Il 10 febbraio è il giorno del ricordo di una pagina tra le più cupe della storia contemporanea, avvolta a lungo
nel silenzio e nel buio, come le tante vittime, inghiottite nelle cavità carsiche, le cosiddette foibe, per volere
del maresciallo Tito e dei suoi partigiani, in nome di una pulizia etnica che doveva annientare la presenza
italiana in Istria e Dalmazia.Fra il 1943 e il 1947 oltre 10 mila persone furono gettate vive o morte in queste
gole, un genocidio che non teneva conto di età, sesso e religione, riconosciuto ufficialmente nel 2004, con la
legge numero 94 che istituì la «Giornata del Ricordo», in memoria dei martiri delle foibe e dell’esodo
giuliano dalmata.
5 maggio 1945: Caduti per la libertà
E' il terzo giorno (della famosa "quarantena titina") in cui la città di Trieste è sotto il controllo dell' "esercito" di
Tito. In città il clima è di festa a seguito della capitolazione delle forze armate tedesche. Il popolo di Trieste
però ancora non si è reso conto di ciò che lo attende.
tratto da Foibe: 60 anni di silenzi
(…) Il 5 maggio Trieste aspettava ancora di dimostrare la sua gioia per l'avvenuta liberazione. Il prepotente
bisogno di esternare i proprio sentimenti in qualche modo non poteva più essere trattenuto. Era una mattina di
sole e la primavera si faceva sentire con un impellente impulso di esultanza (...).
Così nacque quella manifestazione dopo tanti anni di schiavitù, in una presunta atmosfera di libertà, che
doveva venir invece soffocata nel sangue innocente di 15 vittime. (...).
Già durante la prima mattinata si notava un movimento insolito (...).
Allorché dai quattro punti cardinali della città il popolo triestino saturo di impazienza si mosse, convergendo al
centro, si effettuò il miracolo di fede tanto contenuto. Tutta la città si ammantò di tricolore. Vecchi e giovani,
uomini e donne, radicali ed estremisti, tutti affratellati in un unico sentimento gridarono il nome della loro
fede: Italia! (...) Mentre la marea di popolo si avviava lungo il Corso in direzione di Piazza Goldoni, cantando
gli inni della propria passione, ad un tratto si udì un miagolare di mitragliatrice. Lo stupore più che il terrore,
inchiodò per un attimo la massa del popolo allibita. Ma allorché si vide il terreno cospargersi di caduti e il
sangue zampillare dalle ferite, il raccapriccio si impossessò degli animi ed un insano spavento primordiale
attanagliò i cuori, Tutto sarebbesi aspettato tranne tale ignobile ed ingloriosa carneficina. I "drusi" ( l'
"esercito" titino N.d.R.) curvi sulle armi, con il ceffo contratto in un'orribile smorfia di sadico piacere,
sparavano all'impazzata sulla folla inerme. (...) Dopo l'inevitabile fuggi fuggi seguito alla sparatoria, e il
conseguente ritiro delle bandiere tricolori dalle finestre per ovviare inutili rappresaglie, la calma tornò. Era una
calma funebre però. Le strade ridivennero deserte e il corpo straziato delle vittime rimase in balia degli
assassini i quali lo gettarono nel deposito mortuario all'ospedale (...).
Ecco i nomi delle vittime (che non troverete nei libri di storia, N.d.R.):
Per i morti:
1- Graziano Novelli, anni 20;
2- Carlo Murra, anni 19;
3- Mirano Sanzin, anni 26;
4- Claudio Burla, anni 21;
5- Giovanna Drassich, anni 69.
Per i feriti:
1- Albino Canaletti;
2- Manlio De Mattia;
3- Tancredi Kolarski, rimasto invalido;
4- Camillo Carmeli;
5- Angelo Cavezza;
6- Antonio Kreiser
7- Augusto Mascia;
8- Pina Solimossi;
9- Renato Artico
10- Marialuisa Fonda.
Il sangue di questi innocenti fece bella mostra di sé per parecchi giorni, sin tanto che la pioggia non lo lavò
cancellando la traccia materiale, ma non riuscendo a togliere dall'animo dei triestini il ribrezzo e il disprezzo
per i volgari assassini.
(...)
Tre mesi dopo, allorché il popolo triestino recavasi sul posto dell'eccidio per deporre delle corone in memoria
dei suoi innocenti figli, una contro dimostrazione "progressista" tentò di turbare la sacra cerimonia, ma ebbe il
fatto suo. Con coraggio, e meravigliati dell'inaspettata reazione, i manigoldi dell'unione antifascista italo-slava
se la diedero a gambe. Più tardi quelle gentildonne del D.A.I.S. ( donne antifasciste italo-slave) approfittando
dell'assenza di sorveglianza staccarono le corone e con i nastri si pulirono le scarpe (..).
Il 5 maggio tramontava in un'atmosfera cupa e tragica.
Definizione di foiba.
Il termine "foiba" è una corruzione dialettale del latino "fovea", che significa
"fossa"; le foibe, infatti, sono voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato,
create dall’erosione di corsi d’acqua; possono raggiungere i 200 metri di
profondità. Agghiacciante è l’affermazione del prof. R. Battaglia, che scrive in
proposito: "Il sottosuolo dei vasti altipiani carsici nasconde un mondo di
tenebre: abissi verticali e cupi cunicoli che si perdono nel silenzio delle
profondità terrestri, caverne immense, tortuose gallerie percorse da fiumane
urlanti, sale incantate rivestite di cristalli, antri selvaggi che la fantasia del
volgo popolò di paurose leggende". In Istria sono state registrate più di 1.700
foibe. (Nella foto sotto una foiba istriana).
Le foibe furono utilizzate in diverse occasioni e, in particolare, subito dopo la
fine della seconda guerra mondiale per infoibare ("spingere nella foiba")
migliaia di italiani, antifascisti e fascisti, colpevoli di opporsi all’espansionismo
comunista slavo propugnato da Josip Broz meglio conosciuto come "Maresciallo
Tito". A riguardo è interessante riportare quanto affermato da Kardelj (vice di
Tito) il quale poté affermare che "ci fu chiesto di far andar via gli Italiani con
tutti i mezzi e così fu fatto". Nessuno sa quanti siano stati gli infoibati: alcune
stime parlano di 10-15.000 sfortunati. (Di seguito è riportata la sezione di una
foiba istriana).
Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini,
non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro ad ogni
singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre tramite
il fil di ferro. I massacratori, nella maggior parte dei casi, sparavano al primo malcapitato del
gruppo che ruzzolava rovinosamente nella foiba spingendo con sé gli altri. (Il disegno sotto è tratto
da un opuscolo inglese).
Nel corso degli anni questi martiri sono stati vilipesi e dimenticati. Considerate che, sfogliando il
"Vocabolario della lingua italiana" edito dalla Treccani, ci si imbatte in una definizione parecchio
evasiva di foiba: "In geologia fisica, tipo di dolina; in partic., nella regione istriana, grande conca
chiusa (derivante da doline fuse assieme) sul cui fondo si apre un inghiottitoio. Vedi anche
infoibare”. Sapete cosa significa infoibare? "Gettare in una foiba, e più in part. ammazzare una
persona e gettarne il cadavere in una foiba, o farla morire gettandola in una foiba (il verbo è nato
e s'è diffuso alla fine della seconda guerra mondiale)".
cosa sono le Foibe
> Le Foibe in breve
> Una tragica contabilità - quante sono state le vittime delle Foibe?
> Le Foibe, un incubo: a Trieste ed in Istria la fine della guerra coincide con l'inizio di un incubo
> Immagini: il recupero delle vittime
> Immagini: ancora vittime
> Immagini: il triste riconoscimento
> Filmati d'epoca
> Cosa sono le Foibe: dai partigiani comunisti a Trieste alla tragedia delle Foibe
> La Foiba di Basovizza - Monumento nazionale
> Mappa ed elenco delle Foibe
> Come la Foiba di Basovizza diventò monumento nazionale
la ricostruzione di Girogio Tombesi
> Foibe: una pagina di storia nazionale saggio di Giannantonio Paladini
> Foibe: la storia sepolta di una tragedia italiana di Silvia Ferretto Clementi
> Desaparecidos: tragedia e oblio di stampo comunista
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> Le Foibe nei testi: verità, falsità, omissioni
> Le Foibe degli altri: migliaia di anticomunisti sloveni e croati uccisi da Tito
> Dossier Foibe ed Esodo
> I Desaparecidos di Fiume
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> Le mappe delle Foibe
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> Contro operazione Foibe: La risposta completa e dettagliata a tutte le teorie negazioniste di sedicenti
storici e trinariciuti divulgatori che imperversano su internet, nelle librerie, ai convegni e nelle scuole.
i 40 giorni di terrore
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L'occupazione jugoslava di Trieste (di Riccardo Basile)
Il Partito Comunista Italiano e la Questione Giuliana
5 maggio 1945: Caduti per la libertà
5 maggio 1945: a Trieste si moriva per l’Italia
Caduti di Via Imbriani: ricostruzione storica
Fotografie delle manifestazioni del 1945 e 1946
Il Terrore Titino: cosa è accaduto? perché è successo? chi ne porta la responsabilità?
torie di preti dell’Istria uccisi per cancellare la loro fede
Terza edizione arricchita del libro di Ranieri Ponis «In odium fidei» pubblicato dalla Litografia Zenit
Il Piccolo 06/06/2006
Storie di preti dell’Istria uccisi per cancellare la loro fede
Ranieri Ponis racconta gli avvenimenti con scorrevole taglio da cronista: nato a Pola, ma trasferitosi
giovanissimo a Capodistria, è stato per trent'anni giornalista al «Piccolo», diventandone capo cronista e, infine,
redattore capo. La sua sensibilità alle vicende istriane, che del resto ha personalmente vissuto, lo porta a non
esentarsi dal fare commenti in prima persona su storie, che, per formazione professionale, narra attingendo ai
ricordi, alle testimonianze dirette, alla rivisitazione dei luoghi.
Dopo i capitoli dedicati allo scomparso vescovo di Trieste Antonio Santin, a monsignor Edoardo Marzari (il don
Bosco dei ragazzi esuli), a Marcello Labor, il prete medico di origine ebraica divenuto sacerdote dopo la morte
della moglie e del quale è stato avviato il processo di beatificazione, sono molti altri i ritratti, ai più sconosciuti,
di preti che si sono trovati dopo il secondo conflitto mondiale a immolare la loro vita nel turbinio delle vicende
che vedevano opposti i nazisti e i titini nella tormentata terra istriana.
Don Francesco Bonifacio, i Benedettini di Daila, monsignor Giorgio Bruni, don Miro Bulesic, monsignor
Giuseppe Dagri, don Angelo Tarticchio, padre Atanasio Cociancich, don Marco Zelco. Nomi e storie che Ponis
ha raccontato per onorare la memoria di istriani che hanno sofferto e anche pagato con la vita il loro essere
sacerdoti in tempi e terre divenuti barbari e ostili. La terza edizione, arricchita, del volume, è stato edito a cura
del Centro culturale Gianrinaldo Carli aderente all’Unione degli Istriani, con disegno in copertina di Nevio Grio,
che ne ha fatto omaggio all’associazione. In prefazione un intervento del Vescovo di Trieste monsignor Eugenio
Ravignani: «Custodire la memoria è dovere / farla conoscere è saggezza». Una copia del libro è stata offerta a
Papa Benedetto XVI durante l’udienza dello scorso 29 marzo concessa dal pontefice all’Associazione nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia e alla Famiglia Montonese.
Era di Montona d’Istria monsignor Luigi Bottizer, lì nato nel 1915, il cui fratello Ubaldo, giornalista, fu vittima
dei partigiani nel 1944. Don Alfredo – rievoca Ponis – lo porterà a spalla per seppellirlo nel cimitero del
villaggio natio. Nel 1946 i titini vogliono arrestarlo, lui scappa, riesce a raggiungere Trieste con il supporto
degli anglo-americani. Ed è nel Gma (Governo militare alleato) che trova la sua collocazione come direttore
della Caritas americana, «tutore attento e premuroso degli esuli istriani e dalmati, mano amica che si protende
Oltreoceano». Fra i primi preti a Trieste a indossare il clergimen, cappellano dei vigili urbani triestini e del
porto, si dà da fare per dirottare fondi dagli Usa nel dopo terremoto del 1976 in Friuli. Il 16 luglio del 1980 il
suo cuore, in quel fisico possente che aveva, si ferma. Don Placido Sancin era stato parroco di San Dorligo
della Valle, catturato nell’ottobre del 1943 dagli slavo-comunisti.
Sono ferite rimarginate, ma che hanno lasciato cicatrici. Nulla si è più saputo di lui. Ma improvvisamente la
svolta: in una foiba di San Servolo, sovrastante San Dorligo-Dolina, fra varie ossa umane, vengono ritrovati
brandelli di un abito talare e un colletto sacerdotale di celluloide. Si ancora indaga se fossero di don Placido.
Infine, nel libro di Ponis, la storia di don Giuseppe Gabbana, cappellano militare della Guardia di finanza, un
prete in divisa. Il 2 marzo del 1944 tre sicari bussano alla sua porta a Trieste in via dell’Istria 39, nel popolare
quartiere di San Giacomo. Lui apre, gli scaricano i proiettili nell’addome, lo colpiscono alla tempia con il calcio
dell’arma. Perché? Risponde Ponis: «Era un prete, amava la Patria, indossava una divisa».
a strage dei Carabinieri alle Cave del Predil
12 carabinieri torturati e trucidati da partigiani comunisti titini.
Malga Bala: l’atroce eccidio.
La carrozzabile Tarvisio - Cave del Predil - Passo Predil - Plezzo - Gorizia costituiva un’importantissima arteria
utilizzata dalle forze di occupazione tedesche per lo smistamento nei due sensi di marcia di uomini, armi,
viveri, munizioni destinati dalla Germania alla zona del Litorale Adriatico. La resistenza slava, dal canto suo,
prendeva di mira le autocolonne tedesche, provocando sovente pesanti perdite ed intaccando il prestigio
militare germanico.
In risposta all’ultimo di una serie di agguati, in cui rimase ucciso un soldato tedesco che stava percorrendo con
una motocarrozzetta la strada che conduce da Passo Predil verso la Valle Coritenza, l’11 ottobre 1943 due
autocarri di SS tedesche raggiunsero Bretto di sopra dove, con largo uso di lanciafiamme, incendiarono tutte le
abitazioni dove erano state rinvenute armi e vestiario militare (una donna 80enne venne
arsa viva), fucilando tutti gli uomini rastrellati (15 in tutto, mentre un sedicesimo venne
ucciso a colpi di calcio di fucile).
Essendosi generata una situazione di pericolo concreto, il commissario germanico sulla
miniera di Raibl, tale Hempel, ottenne dal comando militare tedesco di Tarvisio la
costituzione di un Distaccamento fisso di carabinieri a protezione della centrale idroelettrica
a valle di Bretto di sotto.
La sera del 23 marzo 1944, il V. Brig. PERPIGNANO, comandante del distaccamento ed
il Car. FRANZAN si erano recati in paese e, sulla strada del ritorno, vennero aggrediti da
due partigiani, SOCIAN e ZVONKO, mentre la caserma era già circondata da altri
partigiani, rimasti nascosti.
Il commando, successivamente:
- catturò i due carabinieri di guardia alla centrale;
- entrò all’interno della caserma, verosimilmente costringendo con minacce il comandante a pronunciare la
parola d’ordine.
I carabinieri vennero fatti vestire velocemente, mentre i partigiani si impossessavano
delle armi e di quant’altro di utile avessero potuto trovare nella caserma, poi minata con
esplosivo, così come era stato fatto per la centrale idroelettrica.
Il commando partigiano e gli ostaggi, costretti a portare a spalla tutto il materiale
trafugato dalla caserma, si incamminarono lungo un percorso tutto in salita, nel bosco
per raggiungere a tappe forzate Malga Bala, passando per il Monte Izgora (1.000 m
circa s.l.m.), la Val Bausiza (di nuovo a valle) e risalendo verso l’altipiano di Bala.
Il lungo tragitto venne intervallato da poche soste, di cui l’ultima, la sera del 24 marzo, in una stalla sita
sull’altipiano di Logje (853 m s.l.m.). Qui venne loro somministrato minestrone a cui erano stati
proditoriamente aggiunti soda caustica e sale nero, usato per il bestiame perché ad elevato potere
purgante.
La mattina successiva (25 marzo) venne fatto percorrere ai prigionieri l’ultimo tratto di
strada che li separava dal luogo della mattanza, un casolare sito su un pianoro, malga Bala
appunto, dove:
- il Vicebrigadiere PERPIGNANO venne arpionato ad un calcagno con un uncino, appeso
a testa in giù e costretto a vedere la fine dei propri dipendenti; verrà finito a pedate in
testa;
- gli altri militari vennero sterminati barbaramente, dopo essere
stati incaprettati con filo di ferro, legato anche ai testicoli, così che i
movimenti parossistici sotto i colpi di piccone amplificassero il dolore; ad
alcuni furono tagliati i genitali e conficcati loro in bocca; ad
altrivennero sbriciolati gli occhi; ad altri ancora venne poi sventrato il cuore a picconate;
in particolare, al Car. AMENICI venne infilata nel petto la foto dei figli.
Al termine dell’eccidio, i corpi vennero trascinati a qualche decina di metri dal casolare ed
ammucchiati sotto un grosso sasso, parzialmente ricoperti dalla neve.
I cadaveri dei militari vennero rinvenuti casualmente da una pattuglia di militari tedeschi e
recuperati per essere ricomposti presso la chiesa di Tarvisio tra il 31 marzo ed il 2 aprile
1944. I funerali si svolsero presso la stessa chiesa il 4 aprile 1944. Al
termine di solenne cerimonia funebre, i resti dei dodici carabinieri furono
seppelliti in località Manolz di Tarvisio.
Dal settembre 1957, grazie all'opera del "Comitato Onoranze ai Caduti nel
Comune di Tarvisio", che ha ultimato la costruzione del tempio ossario
all'interno della torre medievale, attigua a questa parrocchia, riposano in
pace unitamente a 14 combattenti del XVII Settore delle Guardie alla Frontiera ed a 5
militari tarvisiani, Caduti in guerra nove dei dodici carabinieri trucidati.
Di seguito i nomi dei 12 CC trucidati:
-
V.Brigadiere PERPIGNANO Dino, nato a Sommacampagna (Verona) 17 agosto 1921;
Car. DAL VECCHIO Domenico, n. a Refronto (Treviso) il 18 ottobre 1924;
Car. FERRO Antonio, Rosolina (Rovigo) il 16 febbraio 1923;
Car. AMENICI Primo, n. a Crespino (Rovigo) il 5 settembre 1905;
Car. BERTOGLI Lindo, n. a Casola Montefiorino (Modena) il 19 marzo 1921;
Car. COLSI Rodolfo, n. a Signa (Firenze) il 3 febbraio 1920;
Car. FERRETTI Fernando, n. San Martino in Rio (Reggio Emilia) il 4 luglio 1920;
Car. FRANZAN Attilio, n. a Prola Vicentina (Vicenza) il 9 ottobre 1913;
Car. RUGGERO Pasquale, n. a Airola (Benevento) l’11 febbraio 1924;
Car. ZILIO Adelmino, n. a Prozolo di Camponogara (Venezia) il 15 giungo 1921;
Car. Aus. CASTELLANO Michele, n. a Rochetta S’Antonio (Foggia) l’11 novembre 1910;
Car. Aus. TOGNAZZO Pietro, n. a Pontevigodarzere (Padova) il 30 giugno 1912.
da www.carabinieri.it
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Foibe, 10 febbraio - Istituto Comprensivo di Maiori