ALESSANDRO MARINI ECLISSI DELL’IMPEGNO E NOBILITAZIONE INTELLETTUALE IN ROSSO MALPELO Prendere in esame un testo come Rosso Malpelo, su cui si è scritto tutto il possibile, comporta sempre il rischio di non riuscire ad aggiungere granché di significativo: con questo intervento vorrei ripercorrere la storia del testo, avanzando, attraverso l’accostamento e la riflessione su alcune varianti tra le diverse edizioni, una proposta di lettura relativa a due prospettive complementari che ne hanno animato le successive revisioni. Nella complessa vicenda che porta Verga alla materia siciliana e ad una scrittura verista influiscono in diversa misura elementi biografici, letture, e una ancora abbastanza forte osmosi con il clima politico degli anni ’70. Ed è proprio sul finire di quel decennio che l’autore pubblica i primi grandi capolavori del suo nuovo corso: le novelle di Vita dei campi, tra cui Rosso Malpelo, uscite in volume nel 1880 e I Malavoglia, pubblicati nel 1881. Sulle motivazioni della svolta verghiana la critica ha ormai abbandonato sia l’ipotesi della “conversione”, dovuta a una sorta di rigetto morale, sia l’assunto che il primo testo verista di Verga sia stato Nedda, un bozzetto del 1874,1 in realtà ancora condizionato dagli orizzonti della cosiddetta “narrativa campagnola”. Gli esponenti di questo genere, tra cui la scrittrice friulana Caterina Percoto, che, tra l’altro, nel 1871 aveva accolto molto positivamente Storia di una capinera, perseguono una rappresentazione vagamente paternalista delle classi popolari, di cui si vuole mettere in rilievo la sofferenza 1 Che l’adesione al Verismo non comporti, in Verga, la rinuncia al progetto di trovare una collocazione da scrittore borghese nel panorama letterario del tempo è dimostrato dalla produzione dell’autore, che solo un anno dopo l’esperienza dei Malavoglia ritornerà alla materia mondana con Il marito di Elena, e sperimenterà poco più tardi – nelle raccolte Per le vie, anch’essa dell’82, Drammi intimi, del 1884, e Vagabondaggio, del 1887 – forme indubbiamente distanti dal suo originale pattern siciliano. 87 soprattutto al fine di spingere il lettore borghese alla partecipazione sentimentale. In Nedda, analogamente, Verga prende subito posizione e distingue i buoni dai cattivi: la presenza nel testo del narratore colto è costantemente visibile, e assume addirittura una sua fisicità letteraria nella lunga sezione iniziale, in cui l’autore si autorappresenta in un interno borghese, abbandonato davanti al caminetto in un dormiveglia che è premessa della fantasticheria e del ricordo.2 Manca dunque, in Nedda, il carattere fondamentale della svolta verista, cioè l’impersonalità della narrazione, obbiettivo che per la prima volta viene perseguito con ben altra consapevolezza in Rosso Malpelo. Determinare le motivazioni della nuova poetica di Rosso Malpelo implica prendere in considerazione una gamma piuttosto estesa di eventi, propri della biografia intellettuale dell’autore. Sicuramente, il trasferimento da Firenze a Milano del 1872 ha una influenza decisiva sulla genesi della ricerca letteraria di Verga. A Milano, alla fine del ’77, Verga stabilisce contatti con alcuni intellettuali particolarmente attenti all’evoluzione delle forme narrative in area francese. Ma soprattutto Milano consente a Verga di sviluppare un atteggiamento, nei confronti della materia siciliana, che trae la sua forza proprio dalla posizione del punto di osservazione. Verga diventa scrittore siciliano lontano dalla Sicilia: solo così la sua ottica riesce ad incentrarsi sulla complessa dialettica di distanziamento e adesione che caratterizza l’operazione estetica da lui compiuta. Solo scegliendo una materia siciliana Verga riesce dunque a liberarsi di 2 “Io lascio il mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco, come vi lascerei un abito, abbandonando alla fiamma la cura di far circolare più caldo il mio sangue e di far battere più rapido il mio cuore; e incaricando le faville fuggenti […] di far errare capricciosamente del pari i miei pensieri. Cotesto spettacolo del proprio pensiero che svolazza vagabondo senza di voi, che vi lascia per correre lontano […] ha attrattive indefinibili. Col sigaro semispento, cogli occhi socchiusi, le molle fuggendovi dalle dita allentate, vedete l’altra parte di voi andar lontano, percorrere vertiginose distanze […]. E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito la fiamma che scoppiettava, troppo vicina forse, mi fece rivedere un’altra fiamma gigantesca che avevo visto ardere nell’immenso focolare della fattoria del Pino, alle falde dell’Etna”. (Verga 1988:161-62) 88 quello sguardo da immigrato, un po’ troppo ravvicinato e comunque carico di un più o meno esplicito autobiografismo, che aveva caratterizzato la sua produzione borghese. La consapevolezza della forza di un’ottica da lontano in Verga è totale, come dimostrano le parole indirizzate a Luigi Capuana: Avrei desiderato andarmi a rintanare in campagna, sulla riva del mare, fra quei pescatori e coglierli vivi come Dio li ha fatti. Ma forse non sarà male dall’altro canto che io li consideri da una certa distanza, in mezzo all’attività di una città come Milano o Firenze. Non ti pare […] che mai riusciremo ad esser tanto schiettamente ed efficacemente veri che allorquando facciamo un lavoro di ricostruzione intellettuale e sostituiamo la nostra mente ai nostri occhi? (Verga 1984:80) Più precisamente, se vogliamo cogliere le radici della svolta verista e dell’ispirazione di Rosso Malpelo, sembrano avere avuto una rilevanza particolare due fatti. Il primo fu la pubblicazione, nel 1877, dell’Assommoir. Il romanzo di Zola venne recensito sulle pagine del “Corriere della Sera” da Luigi Capuana, che vi vide correttamente affrontata la questione fondamentale della narrativa moderna, la scelta cioè di una forma adeguata al contenuto rappresentato. Se si voleva insomma essere impersonali, non si poteva scrivere adottando uno standard alto e indifferenziato: le scelte lessicali e sintattiche devono al contrario essere determinate dall’ambiente sociale raffigurato nel testo. 89 Se il nuovo corso naturalista e la lettura di Zola condizionano le scelte formali verghiane, la materia e la prospettiva secondo cui essa viene affrontata sembrano risentire della temperie politica italiana. Nel 1876 la Sinistra di Depretis diviene compagine di governo, e alcuni intellettuali della Destra storica si organizzano per una politica di opposizione. Tra questi sono Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, la cui Inchiesta in Sicilia rivela all’opinione pubblica nazionale l’esistenza e la complessità della cosiddetta “questione meridionale”. Tra i “pochi borghesi intelligenti che si posero il problema meridionale come problema nazionale e tracciarono un piano di governo per la sua soluzione” – secondo Gramsci –, Franchetti e Sonnino animarono la loro Inchiesta di un riformismo di Destra, finalizzato alla sconfitta politica del nascente socialismo, di cui si intendeva minare il consenso attraverso una politica di parziale apertura verso le istanze provenienti dal basso. Il progetto di fondo dell’Inchiesta è quello di favorire, in Sicilia, le condizioni per la nascita di una classe media di piccoli contadini economicamente indipendenti, processo che, smussando le differenze economiche, avrebbe arginato il radicalismo delle rivolte popolari. Si tratta di un’alternativa agraria al latifondo, da realizzarsi attraverso una politica agricola che prevedesse l’appoggio economico dello Stato alla piccola proprietà contadina, classe protagonista di un possibile sviluppo, parallelo a quello realizzatosi, grazie alla crescita industriale, al Nord. Da qui la necessità di una serrata lotta contro l’usura, vista, nella prospettiva di Franchetti e Sonnino, come il principale ostacolo alla formazione di una classe di piccoli proprietari. Non è certo un caso che, in questo contesto, gli stessi Malavoglia, ridotti ai loro minimi termini economici, non siano che una storia di usura, in cui la corruzione della classe dirigente siciliana viene sottolineata con la stessa intensità dell’Inchiesta, anche se, ovviamente, con strumenti diversi. Rosso Malpelo intende d’altro canto intervenire su un altro aspetto dell’organizzazione socioeconomica siciliana, preso in esame dagli stessi Franchetti e Sonnino: il problema del lavoro minorile. Al tempo nessuno si prefiggeva una sua abolizione, il che, tra l’altro, avrebbe reso 90 indispensabile la ristrutturazione delle cave siciliane, le cui gallerie erano di fatto cunicoli angusti, fatti su misura per i carusi. Alcuni intellettuali e politici proponevano una semplice riduzione dell’orario di lavoro, mentre i proprietari, e i parlamentari che ne rappresentavano gli interessi, vi si opponevano.4 L’osmosi tra Rosso Malpelo e il contesto sociale e politico risulta d’altronde evidente se prendiamo in esame la sua vicenda editoriale, così come l’eclissi di una prospettiva di riforma è leggibile nella storia della forma fisica del testo, nelle correzioni cioè che l’autore vi apportò nel corso del tempo. Il testo esce per la prima volta, a puntate, dal 2 al 5 agosto 1878, sul “Fanfulla”, il quotidiano romano diretto da Ferdinando Martini, 4 Riportiamo le pagine dell’Inchiesta, chiara fonte del racconto di Verga: “Alcuni ragazzi sono figli degli zolfatari; sono questi i meglio trattati e guadagnano più degli altri. Molti sono orfani o figli naturali e sono i peggio trattati, perché privi di ogni difesa; gli altri sono figli di contadini. Nelle miniere lontane dal paese gli operai dormono sopra luogo da lunedì a sabato coricandosi sulla paglia, uomini e bambini insieme. I ragazzi non mangiano che pane; solo quando vanno a casa, il sabato, vi prendono qualche minestra. Portano con sé da casa il pane, a volte per mezza settimana, e il quarto giorno tornano a casa a prendersi il pane, partendo la mattina prima dell'alba per non perdere la giornata. Dai vari capi-mastri, assistenti degli zolfatari stessi, siamo stati assicurati che un gran numero di bambini si ammala e molti crescono su curvi e storti. Avendo noi chiesto a un picconiere, un bell'uomo robusto che ci confermava questi fatti, come mai egli, avendo lavorato da bambino nelle zolfare si fosse conservato sano e vigoroso, ci rispose che essendo figlio unico di uno zolfataro aveva lavorato presso suo padre, il quale aveva sempre avuto molto riguardo per lui”. E ancora: “La vista dei fanciulli di tenera età, curvi e ansanti sotto i carichi di minerale, muoverebbe a pietà, anzi all'ira, persino l'animo del più sviscerato adoratore delle armonie economiche. Vedemmo una schiera di questi carusi che usciva dalla bocca di una galleria dove la temperatura era caldissima, passava i quaranta gradi, nudi affatto, grondando sudore e contratti sotto i gravissimi pesi che portavano. Dopo essersi arrampicati su, in quella temperatura caldissima, per una salita d'un centinaio di metri sottoterra, quei corpicini stanchi ed estenuati uscivano all'aria aperta, dove dovevano percorrere un'altra cinquantina di metri esposti a un vento diaccio. Altre schiere di fanciulli vedemmo che lavoravano all'aria aperta, trasportando il minerale dalle basterelle al calcarone. Là dei lavoranti empievano le ceste, le caricavano sui ragazzi, che correndo le traevano alla bocca del calcarone dove un altro operaio li sorvegliava, gridando questo, spingendo quello, dando ogni tanto una sferzata a chi si muoveva più lento”. 91 che inaugura con Rosso Malpelo una nuova politica editoriale, scegliendo il racconto breve e abbandonando la pubblicazione a puntate di romanzi popolari. Nel febbraio del 1880 il racconto viene nuovamente edito, con alcune modifiche, nella Biblioteca dell’Artigiano, una collana di opuscoli curata da una rivista gestita dalla Destra storica, “Il patto di fratellanza”. La rivista, che ospitava testi ameni ed educativi per operai, sosteneva, in chiara funzione antisocialista, una linea di confronto tra padronato e classe operaia che evitasse il radicalizzarsi del conflitto sociale, escludendo così l’eventualità di esiti estremi – una rivoluzione socialista – che avrebbero ridisegnato gli equilibri sociali a tutto svantaggio della classe dirigente. “Il patto di fratellanza” testimonia dunque, analogamente all’Inchiesta in Sicilia di Franchetti e Sonnino, di una stagione di particolare attivismo sociale della Destra storica; un editoriale ne definisce il programma: Non intendiamo al certo introdurre nelle nostre colonne un bollettino per uso e vantaggio del socialismo, ma dobbiamo noi tacere, mantenere il segreto sulla sua propaganda per il timore di propagarne le teorie anziché combatterle? No, per certo. La questione esiste: scopriamola, adunque, perché possiamo […] provvedere ad isolarla per circoscriverla. […] Laonde, se [questo giornale] da una parte predica la rassegnazione e la pazienza, dall'altra deve invitare all'amore, alla benevolenza e alla beneficenza. […] Per vincere il socialismo non servono le misure repressive.(cit. in Luperini 1995:38) Il testo chiarisce ottimamente il fine strategico della scelta riformista operata dalla classe dirigente legata alla Destra storica: “vincere il socialismo”, obbiettivo considerato raggiungibile solo attraverso la una sorta di concertazione ante litteram tra padronato e classe operaia, paternalisticamente uniti da una improbabile ‘fratellanza’. Al di là dei complessi e spesso difficili rapporti personali che legavano Verga agli intellettuali conservatori del tempo, la presenza di Rosso Malpelo tra le “letture amene”, destinate agli operai, del “Patto di fratellanza” testimonia comunque un impegno, che lascia, come vedremo concrete tracce nel testo. 92 Una terza volta la novella esce nella raccolta Vita dei campi, nel 1880, e poi nuovamente nel 1897, anno di una sua nuova edizione in cui il testo appare visibilmente modificato, coerentemente con le nuove scelte stilistiche dell’autore e con l’evoluzione delle sue posizioni. L’analisi delle varianti in Vita dei campi, come è noto, ha dato luogo a discussioni e a posizioni estremamente differenziate.5 In questa sede vorrei mettere in rilievo alcune prospettive secondo le quali Verga ha rivisto Rosso Malpelo, e di mostrare la complementarità che lega i diversi interventi revisori. Un primo livello di rielaborazione tiene conto, come accennato, dell’orizzonte sociale del testo. Luperini ha messo in rilievo come il testo del 1880 rifletta una stagione di strumentale impegno riformista che vede Verga al fianco di altri intellettuali di destra, impegnati a tarpare le ali al nascente socialismo. Ne è il segnale più evidente l’ampio spazio riservato all’episodio della morte del babbo di Malpelo: Quella sera in cui vennero a cercare in tutta fretta l'ingegnere che dirigeva i lavori della cava, ei si trovava a teatro, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, perch’era gran dilettante. Rossi rappresentava l’Amleto, e c’era un bellissimo teatro. […] L'ingegnere, quando gli ebbero detto che il caso era accaduto da circa quattro ore, domandò cosa venissero a fare da lui dopo quattro ore. Nondimeno ci andò con scale e torcie a vento, ma passarono altre due ore, e fecero sei, […] L’ingegnere se ne tornò a veder seppellire Ofelia; […] L’edizione del 1897 ridimensiona decisamente l’episodio: L'ingegnere che dirigeva i lavori della cava, si trovava a teatro quella sera, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando 5 Basti pensare al fatto che della raccolta verghiana esistono due diverse edizioni critiche, di cui una, curata da Gino Tellini, considera come testo base l’edizione del 1897, mentre la seconda, di Carla Riccardi, sceglie la versione del 1880 sulla base di una valutazione di contraddittorietà delle scelte di revisione testuale operate dall’autore. 93 vennero a cercarlo per il babbo di Malpelo che aveva fatto la morte del sorcio. […] L'ingegnere, quando gli ebbero detto il come e il quando, che la disgrazia era accaduta da circa tre ore, […] andò proprio per scarico di coscienza, con scale e corde, a fare il buco nella rena. Scompaiono soprattutto i riferimenti al mondo del teatro: non si dice niente né dell’attore Rossi, né che si rappresentava l’Amleto, né che l’ingegnere dopo il tentativo di salvataggio se ne torna a “veder seppellire Ofelia”. Ciò avviene sicuramente nell’ambito di una ricerca di maggiore impersonalità che caratterizza tutto il lavoro revisorio di Verga: i riferimenti al teatro sono un segno troppo visibile di una presenza colta, quella dell’autore, e appaiono del tutto estranei all’ottica di un anonimo narratore popolare. Ma c’è di più. Insistere sugli interessi teatrali dell’ingegnere nel contesto narrativo tragico della morte del padre di Malpelo equivale a mettere in rilievo il suo cinismo, la sua disumanità, che raggiunge il culmine con il ritorno a teatro nel momento del funerale di Ofelia, evidentemente più interessante, ai suoi occhi, della morte del povero Misciu Bestia. La scelta di alludere all’Amleto non appare casuale: Ofelia, al cui corteo funebre partecipano i più alti personaggi del regno, è un impossibile doppio del babbo di Rosso. La contiguità psicologica che la unisce all’ingegnere configura l’incomunicabilità della contrapposizione di classe, tra chi siede in poltrona come su un trono, e chi muore in un buco che si riempie di rena.6 In un’analoga direzione polemica si muove d’altronde l’eliminazione, nel testo del 1897, del particolare delle due ore perse nell’organizzazione dei soccorsi. Complessivamente, assistiamo dunque a una decisa attenuazione della critica sociale, che era aveva caratterizzato la stagione riformista della Destra storica alla fine degli anni Ottanta, rivolta contro una classe dirigente irresponsabile e cinica che, con il suo comportamento, rischia di provocare una violenta reazione 6 Per una interessante lettura delle analogie tra Rosso Malpelo e l’Amleto – il “copione più opportuno per non stornare il lettore dalla condizione di chi sta assistendo al racconto tragico di una famiglia venuta meno per la morte del padre, l’abbandono della madre, lo smarrimento del figlio” – rimando a Guglielminetti 1991. 94 popolare. Tale polemica viene smussata nell’edizione del 1897 in quanto ormai avvertita come sorpassata dai fatti: la Destra storica si è dissolta, e alle porte del nuovo secolo l’Italia appare destabilizzata da una fortissima tensione sociale, alimentata da politiche autoritarie, e destinata a culminare nei fatti di Milano del 1898 e nel regicidio del 1900. In questo contesto Verga è un isolato le cui posizioni sono sempre più reazionarie, ormai insensibile a ogni prospettiva di riforma e di ricomposizione del conflitto sociale; è questa l’ottica dell’ultima revisione di Rosso Malpelo. Complementari a tale inaridimento, sono, a mio avviso, altre correzioni del testo, volte ad accentuare, attraverso una rielaborazione stilistica, tematica e lessicale, il carattere drammatico dell’esperienza di Malpelo, nonché la dignità del suo materialismo. L’eclissi di una stagione in cui Verga poteva, pur col suo pessimismo, sentirsi organico a una prospettiva condivisa, conservatrice ma strumentalmente riformista, si accompagna cioè inevitabilmente all’accentuazione drammatica della scrittura letteraria e alla costruzione di un mito – il personaggio Malpelo –, la cui diversità è anche allegoria della condizione sociale dell’intellettuale e, più precisamente, dell’isolamento dell’autore nel contesto storicoculturale di fine secolo. Sembra insomma accentuarsi, anche sull’asse diacronico della storia del testo, quell’acquisizione di una dimensione eroica da parte del personaggio, che, come ha osservato Baldi, all’interno del racconto si realizza nel passaggio dal punto di vista primitivo del narratore regredito al protagonismo intellettuale, interpretante, di Malpelo: L’ingresso del punto di vista di Rosso in quel mondo dominato da una legge ferrea, […] in cui il soggetto aderisce senza margini di distacco ad un’oggettività oppressiva e si annulla in essa, apre lo spiraglio della coscienza attiva e del giudizio: in opposizione all’ottusità e all’indifferenza che è tipica dell’ambiente che lo circonda, l’eroe, sotto la spinta dei suoi sentimenti filiali offesi, della sua rabbia di sfruttato e del suo odio di classe per gli sfruttatori, giunge a vedere il vero volto di quella società antagonistica fondata sulla violenza e sull’oppressione. (Baldi 1980:60-61) 95 La volontà di tratteggiare una simile crescita è evidente anche in alcune delle varianti introdotte nel testo. Accentuare in Malpelo i tratti dell’eroe consapevole, portavoce di una filosofia negativa accettata e subita in tutte le sue conseguenze, implica necessariamente l’annullamento del carattere patetico del personaggio, già rifiutato, come nota Guglielmi, nella stessa sua assunzione di una posizione sovrapersonale (Cfr. Guglielmi 1986:507). Tale prospettiva rivela anche una volontà di distanziamento sia dalla tradizione del romanzo filantropico, sia dall’ingombrante modello deamicisiano, volto al tratteggiamento di un’immagine agiografica dell’adolescenza. Una delle modifiche che più chiaramente va in questa direzione è riscontrabile nel passo relativo alla morte del babbo di Rosso. La “voce di fanciullo, la quale non aveva più nulla di umano”, elemento apertamente patetico, deamicisiano, nonché rivelatore di un’esplicita ottica autoriale, ancora presente nel testo del 1880, scompare nell’edizione definitiva del 1897, in cui Malpelo “si graffiava la faccia ed urlava, come una bestia davvero”. Analogamente, il testo del 1880 presenta nel finale una breve sezione poi fortemente scorciata: Ma Malpelo non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tutto l’oro del mondo: sua madre si era rimaritata e se n’era andata a stare a Cifali, e sua sorella s’era maritata anch’essa. La porta della casa era chiusa, ed ei non aveva altro che le scarpe di suo padre appese al chiodo; perciò gli commettevano sempre i lavori più pericolosi, e le imprese più arrischiate, e s’ei non si aveva riguardo alcuno, gli altri non ne avevano certamente per lui. Il confronto con l’edizione del 1897 conferma l’intento di ridurre il patetismo della situazione: 96 Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Verga elimina qui i particolari concernenti la famiglia di Malpelo, troppo espliciti nel disegnare il patetico cliché del bambino abbandonato, e la ripetizione chiastica del periodo iniziale, stilisticamente omogenea alla ricerca melodica dei Malavoglia ma ormai estranea alla scrittura drammatica del Mastro Don Gesualdo, alla quale Verga adegua la stessa revisione sintattica di Rosso Malpelo.7 Segnali della volontà di rappresentare Rosso come eroe consapevole di un inesorabile meccanismo sociale, sottraendolo almeno in parte all’incessante e cinica prospettiva del narratore popolare, sono inoltre riconoscibili nel sintagma “fiero orgoglio”, che sostituisce il “bieco orgoglio” dell’edizione datata 1880, nonché nella sostituzione del verbo ‘rubare’ con il verbo ‘prendere’ nel passo in cui si dice dei “furti” di Rosso che sottrae, dai soldi onestamente guadagnati, il necessario per comprare qualcosa da mangiare a Ranocchio, il compagno malato. Alla miseria e alla spietatezza dei meccanismi sociali, cui pure deve sottostare, Malpelo contrappone la dignità della consapevolezza. L’amplificazione della parentesi didattica, in cui Malpelo mostra a Ranocchio la carcassa dell’asino, rafforza ulteriormente il protagonismo intellettuale di Rosso. Nel testo del 1878, Malpelo “stava a considerare con l'avida curiosità di un monellaccio i corvi che si disputavano le carni del grigio, sbattendo le ali”. Le stesura del 1880 presenta invece una situazione più complessa, solo leggermente rimaneggiata nel 1897. I corvi sono sostituiti dai 7 L’analisi delle varianti sintattiche e di punteggiatura richiederebbe una trattazione autonoma. Basti qui dire che il diffuso appesantimento della punteggiatura dell’edizione del 1897, e il conseguente isolamento drammatico del particolare, rendono il testo più spezzato e duro, coerentemente con gli esiti del Gesualdo, e con l’incupirsi della visione del mondo dell’autore. Sulle varianti di punteggiatura rimando ancora a Luperini 1995:20-21 (in part.). 97 cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si aggiravano ustolando sui greppi dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che Ranocchio li scacciasse a sassate. - Vedi quella cagna nera, gli diceva, che non ha paura delle tue sassate; non ha paura perché ha più fame degli altri. Ora Malpelo prende la parola e assume esplicitamente un ruolo didattico: la filosofia di cui si fa portavoce ha la coerenza sistematica di un materialismo pessimista da cui esula ogni speranza di conforti e compensi, mondani o oltremondani. La sorte dell’uomo si realizza tutta nell’ambito corporeo […] (Spinazzola 1972:11) In questo ambito, la sostituzione dei corvi – animali convenzionalmente legati alla morte – con i cani produce un effetto perturbante. La scelta di un animale molto vicino all’uomo conferma il carattere universalmente valido dell’exemplum con cui Malpelo illustra la sua filosofia, accentuando così lo spessore e la dignità del suo atteggiamento intellettuale. Guglielmi afferma che, in Rosso Malpelo, “la morte è il significante privilegiato della condizione dei vinti”, che, in questo racconto, caratterizzato dalla sua ordinarietà (ben quattro personaggi di primo piano muoiono), “ogni volta […] si parla della stessa morte” e che “la narrazione di un destino è anche narrazione degli altri destini” (Guglielmi 1986:505). Potremmo concludere mettendo in rilievo ciò che in più, rispetto agli altri personaggi, offre al lettore l’esperienza di Malpelo: una consapevolezza del proprio destino che configura la sua fine, più che come un incidente, come un suicidio, un voluto ritorno a quella stessa terra che aveva inghiottito il padre. La teorizzazione di una filosofia negativa implica dunque l’accettazione teorica della logica economica che prevede l’eliminazione del più debole: allora per Malpelo, come per l’asino grigio, “se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”. Nello stesso tempo autoeliminarsi è indice di un atteggiamento di intimo rifiuto verso il mondo esterno e le sue leggi, cui si preferisce 98 coraggiosamente l’abisso, il ricongiungimento alla terra. La percezione del vissuto che è propria del personaggio, una percezione tutta filosofica della spietatezza delle leggi di natura, conferma dunque il carattere eroico verso il quale si muove la revisione del personaggio Malpelo e la sua nobilitazione intellettuale, parziale compensazione della perdita di prospettiva sociale che la narrativa verghiana sconta dopo una significativa stagione di impegno. Bibliografia Asor Rosa 1995 Baldi 1980 Bigazzi Bogliari 1975 1991 Guglielmi 1986 Guglielminetti 1991 A. Asor Rosa, ““I Malavoglia” di Giovanni Verga”, in AA. 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