ALESSANDRO MARINI
ECLISSI DELL’IMPEGNO E NOBILITAZIONE INTELLETTUALE
IN ROSSO MALPELO
Prendere in esame un testo come Rosso Malpelo, su cui si è scritto
tutto il possibile, comporta sempre il rischio di non riuscire ad
aggiungere granché di significativo: con questo intervento vorrei
ripercorrere la storia del testo, avanzando, attraverso l’accostamento
e la riflessione su alcune varianti tra le diverse edizioni, una proposta
di lettura relativa a due prospettive complementari che ne hanno
animato le successive revisioni.
Nella complessa vicenda che porta Verga alla materia siciliana e
ad una scrittura verista influiscono in diversa misura elementi
biografici, letture, e una ancora abbastanza forte osmosi con il clima
politico degli anni ’70. Ed è proprio sul finire di quel decennio che
l’autore pubblica i primi grandi capolavori del suo nuovo corso: le
novelle di Vita dei campi, tra cui Rosso Malpelo, uscite in volume nel
1880 e I Malavoglia, pubblicati nel 1881.
Sulle motivazioni della svolta verghiana la critica ha ormai
abbandonato sia l’ipotesi della “conversione”, dovuta a una sorta di
rigetto morale, sia l’assunto che il primo testo verista di Verga sia
stato Nedda, un bozzetto del 1874,1 in realtà ancora condizionato dagli
orizzonti della cosiddetta “narrativa campagnola”. Gli esponenti di
questo genere, tra cui la scrittrice friulana Caterina Percoto, che, tra
l’altro, nel 1871 aveva accolto molto positivamente Storia di una
capinera, perseguono una rappresentazione vagamente paternalista
delle classi popolari, di cui si vuole mettere in rilievo la sofferenza
1
Che l’adesione al Verismo non comporti, in Verga, la rinuncia al progetto di trovare
una collocazione da scrittore borghese nel panorama letterario del tempo è
dimostrato dalla produzione dell’autore, che solo un anno dopo l’esperienza dei
Malavoglia ritornerà alla materia mondana con Il marito di Elena, e sperimenterà poco
più tardi – nelle raccolte Per le vie, anch’essa dell’82, Drammi intimi, del 1884, e
Vagabondaggio, del 1887 – forme indubbiamente distanti dal suo originale pattern
siciliano.
87
soprattutto al fine di spingere il lettore borghese alla partecipazione
sentimentale. In Nedda, analogamente, Verga prende subito
posizione e distingue i buoni dai cattivi: la presenza nel testo del
narratore colto è costantemente visibile, e assume addirittura una sua
fisicità letteraria nella lunga sezione iniziale, in cui l’autore si
autorappresenta in un interno borghese, abbandonato davanti al
caminetto in un dormiveglia che è premessa della fantasticheria e del
ricordo.2 Manca dunque, in Nedda, il carattere fondamentale della
svolta verista, cioè l’impersonalità della narrazione, obbiettivo che
per la prima volta viene perseguito con ben altra consapevolezza in
Rosso Malpelo.
Determinare le motivazioni della nuova poetica di Rosso Malpelo
implica prendere in considerazione una gamma piuttosto estesa di
eventi, propri della biografia intellettuale dell’autore. Sicuramente, il
trasferimento da Firenze a Milano del 1872 ha una influenza decisiva
sulla genesi della ricerca letteraria di Verga. A Milano, alla fine del
’77, Verga stabilisce contatti con alcuni intellettuali particolarmente
attenti all’evoluzione delle forme narrative in area francese. Ma
soprattutto Milano consente a Verga di sviluppare un atteggiamento,
nei confronti della materia siciliana, che trae la sua forza proprio
dalla posizione del punto di osservazione. Verga diventa scrittore
siciliano lontano dalla Sicilia: solo così la sua ottica riesce ad
incentrarsi sulla complessa dialettica di distanziamento e adesione
che caratterizza l’operazione estetica da lui compiuta. Solo
scegliendo una materia siciliana Verga riesce dunque a liberarsi di
2
“Io lascio il mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco, come vi lascerei un
abito, abbandonando alla fiamma la cura di far circolare più caldo il mio sangue e di
far battere più rapido il mio cuore; e incaricando le faville fuggenti […] di far errare
capricciosamente del pari i miei pensieri. Cotesto spettacolo del proprio pensiero che
svolazza vagabondo senza di voi, che vi lascia per correre lontano […] ha attrattive
indefinibili. Col sigaro semispento, cogli occhi socchiusi, le molle fuggendovi dalle
dita allentate, vedete l’altra parte di voi andar lontano, percorrere vertiginose
distanze […]. E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito la fiamma
che scoppiettava, troppo vicina forse, mi fece rivedere un’altra fiamma gigantesca
che avevo visto ardere nell’immenso focolare della fattoria del Pino, alle falde
dell’Etna”. (Verga 1988:161-62)
88
quello sguardo da immigrato, un po’ troppo ravvicinato e comunque
carico di un più o meno esplicito autobiografismo, che aveva
caratterizzato la sua produzione borghese. La consapevolezza della
forza di un’ottica da lontano in Verga è totale, come dimostrano le
parole indirizzate a Luigi Capuana:
Avrei desiderato andarmi a rintanare in campagna, sulla riva del
mare, fra quei pescatori e coglierli vivi come Dio li ha fatti. Ma forse
non sarà male dall’altro canto che io li consideri da una certa distanza,
in mezzo all’attività di una città come Milano o Firenze. Non ti pare
[…] che mai riusciremo ad esser tanto schiettamente ed efficacemente
veri che allorquando facciamo un lavoro di ricostruzione intellettuale
e sostituiamo la nostra mente ai nostri occhi?
(Verga 1984:80)
Più precisamente, se vogliamo cogliere le radici della svolta
verista e dell’ispirazione di Rosso Malpelo, sembrano avere avuto una
rilevanza particolare due fatti. Il primo fu la pubblicazione, nel 1877,
dell’Assommoir. Il romanzo di Zola venne recensito sulle pagine del
“Corriere della Sera” da Luigi Capuana, che vi vide correttamente
affrontata la questione fondamentale della narrativa moderna, la
scelta cioè di una forma adeguata al contenuto rappresentato. Se si
voleva insomma essere impersonali, non si poteva scrivere
adottando uno standard alto e indifferenziato: le scelte lessicali e
sintattiche devono al contrario essere determinate dall’ambiente
sociale raffigurato nel testo.
89
Se il nuovo corso naturalista e la lettura di Zola condizionano le
scelte formali verghiane, la materia e la prospettiva secondo cui essa
viene affrontata sembrano risentire della temperie politica italiana.
Nel 1876 la Sinistra di Depretis diviene compagine di governo, e
alcuni intellettuali della Destra storica si organizzano per una politica
di opposizione. Tra questi sono Leopoldo Franchetti e Sidney
Sonnino, la cui Inchiesta in Sicilia rivela all’opinione pubblica
nazionale l’esistenza e la complessità della cosiddetta “questione
meridionale”. Tra i “pochi borghesi intelligenti che si posero il
problema meridionale come problema nazionale e tracciarono un
piano di governo per la sua soluzione” – secondo Gramsci –,
Franchetti e Sonnino animarono la loro Inchiesta di un riformismo di
Destra, finalizzato alla sconfitta politica del nascente socialismo, di
cui si intendeva minare il consenso attraverso una politica di parziale
apertura verso le istanze provenienti dal basso. Il progetto di fondo
dell’Inchiesta è quello di favorire, in Sicilia, le condizioni per la
nascita di una classe media di piccoli contadini economicamente
indipendenti, processo che, smussando le differenze economiche,
avrebbe arginato il radicalismo delle rivolte popolari. Si tratta di
un’alternativa agraria al latifondo, da realizzarsi attraverso una
politica agricola che prevedesse l’appoggio economico dello Stato
alla piccola proprietà contadina, classe protagonista di un possibile
sviluppo, parallelo a quello realizzatosi, grazie alla crescita
industriale, al Nord. Da qui la necessità di una serrata lotta contro
l’usura, vista, nella prospettiva di Franchetti e Sonnino, come il
principale ostacolo alla formazione di una classe di piccoli
proprietari. Non è certo un caso che, in questo contesto, gli stessi
Malavoglia, ridotti ai loro minimi termini economici, non siano che
una storia di usura, in cui la corruzione della classe dirigente
siciliana viene sottolineata con la stessa intensità dell’Inchiesta, anche
se, ovviamente, con strumenti diversi. Rosso Malpelo intende d’altro
canto intervenire su un altro aspetto dell’organizzazione
socioeconomica siciliana, preso in esame dagli stessi Franchetti e
Sonnino: il problema del lavoro minorile. Al tempo nessuno si
prefiggeva una sua abolizione, il che, tra l’altro, avrebbe reso
90
indispensabile la ristrutturazione delle cave siciliane, le cui gallerie
erano di fatto cunicoli angusti, fatti su misura per i carusi. Alcuni
intellettuali e politici proponevano una semplice riduzione
dell’orario di lavoro, mentre i proprietari, e i parlamentari che ne
rappresentavano gli interessi, vi si opponevano.4
L’osmosi tra Rosso Malpelo e il contesto sociale e politico risulta
d’altronde evidente se prendiamo in esame la sua vicenda editoriale,
così come l’eclissi di una prospettiva di riforma è leggibile nella
storia della forma fisica del testo, nelle correzioni cioè che l’autore vi
apportò nel corso del tempo.
Il testo esce per la prima volta, a puntate, dal 2 al 5 agosto 1878,
sul “Fanfulla”, il quotidiano romano diretto da Ferdinando Martini,
4
Riportiamo le pagine dell’Inchiesta, chiara fonte del racconto di Verga: “Alcuni
ragazzi sono figli degli zolfatari; sono questi i meglio trattati e guadagnano più degli
altri. Molti sono orfani o figli naturali e sono i peggio trattati, perché privi di ogni
difesa; gli altri sono figli di contadini. Nelle miniere lontane dal paese gli operai
dormono sopra luogo da lunedì a sabato coricandosi sulla paglia, uomini e bambini
insieme. I ragazzi non mangiano che pane; solo quando vanno a casa, il sabato, vi
prendono qualche minestra. Portano con sé da casa il pane, a volte per mezza
settimana, e il quarto giorno tornano a casa a prendersi il pane, partendo la mattina
prima dell'alba per non perdere la giornata. Dai vari capi-mastri, assistenti degli
zolfatari stessi, siamo stati assicurati che un gran numero di bambini si ammala e
molti crescono su curvi e storti. Avendo noi chiesto a un picconiere, un bell'uomo
robusto che ci confermava questi fatti, come mai egli, avendo lavorato da bambino
nelle zolfare si fosse conservato sano e vigoroso, ci rispose che essendo figlio unico di
uno zolfataro aveva lavorato presso suo padre, il quale aveva sempre avuto molto
riguardo per lui”. E ancora: “La vista dei fanciulli di tenera età, curvi e ansanti sotto
i carichi di minerale, muoverebbe a pietà, anzi all'ira, persino l'animo del più
sviscerato adoratore delle armonie economiche. Vedemmo una schiera di questi
carusi che usciva dalla bocca di una galleria dove la temperatura era caldissima,
passava i quaranta gradi, nudi affatto, grondando sudore e contratti sotto i
gravissimi pesi che portavano. Dopo essersi arrampicati su, in quella temperatura
caldissima, per una salita d'un centinaio di metri sottoterra, quei corpicini stanchi ed
estenuati uscivano all'aria aperta, dove dovevano percorrere un'altra cinquantina di
metri esposti a un vento diaccio. Altre schiere di fanciulli vedemmo che lavoravano
all'aria aperta, trasportando il minerale dalle basterelle al calcarone. Là dei lavoranti
empievano le ceste, le caricavano sui ragazzi, che correndo le traevano alla bocca del
calcarone dove un altro operaio li sorvegliava, gridando questo, spingendo quello,
dando ogni tanto una sferzata a chi si muoveva più lento”.
91
che inaugura con Rosso Malpelo una nuova politica editoriale,
scegliendo il racconto breve e abbandonando la pubblicazione a
puntate di romanzi popolari.
Nel febbraio del 1880 il racconto viene nuovamente edito, con
alcune modifiche, nella Biblioteca dell’Artigiano, una collana di
opuscoli curata da una rivista gestita dalla Destra storica, “Il patto di
fratellanza”. La rivista, che ospitava testi ameni ed educativi per
operai, sosteneva, in chiara funzione antisocialista, una linea di
confronto tra padronato e classe operaia che evitasse il radicalizzarsi
del conflitto sociale, escludendo così l’eventualità di esiti estremi –
una rivoluzione socialista – che avrebbero ridisegnato gli equilibri
sociali a tutto svantaggio della classe dirigente. “Il patto di
fratellanza” testimonia dunque, analogamente all’Inchiesta in Sicilia
di Franchetti e Sonnino, di una stagione di particolare attivismo
sociale della Destra storica; un editoriale ne definisce il programma:
Non intendiamo al certo introdurre nelle nostre colonne un bollettino
per uso e vantaggio del socialismo, ma dobbiamo noi tacere,
mantenere il segreto sulla sua propaganda per il timore di propagarne
le teorie anziché combatterle? No, per certo. La questione esiste:
scopriamola, adunque, perché possiamo […] provvedere ad isolarla
per circoscriverla. […] Laonde, se [questo giornale] da una parte
predica la rassegnazione e la pazienza, dall'altra deve invitare
all'amore, alla benevolenza e alla beneficenza. […] Per vincere il
socialismo non servono le misure repressive.(cit. in Luperini 1995:38)
Il testo chiarisce ottimamente il fine strategico della scelta
riformista operata dalla classe dirigente legata alla Destra storica:
“vincere il socialismo”, obbiettivo considerato raggiungibile solo
attraverso la una sorta di concertazione ante litteram tra padronato e
classe operaia, paternalisticamente uniti da una improbabile
‘fratellanza’. Al di là dei complessi e spesso difficili rapporti
personali che legavano Verga agli intellettuali conservatori del
tempo, la presenza di Rosso Malpelo tra le “letture amene”, destinate
agli operai, del “Patto di fratellanza” testimonia comunque un
impegno, che lascia, come vedremo concrete tracce nel testo.
92
Una terza volta la novella esce nella raccolta Vita dei campi, nel
1880, e poi nuovamente nel 1897, anno di una sua nuova edizione in
cui il testo appare visibilmente modificato, coerentemente con le
nuove scelte stilistiche dell’autore e con l’evoluzione delle sue
posizioni.
L’analisi delle varianti in Vita dei campi, come è noto, ha dato
luogo a discussioni e a posizioni estremamente differenziate.5 In
questa sede vorrei mettere in rilievo alcune prospettive secondo le
quali Verga ha rivisto Rosso Malpelo, e di mostrare la
complementarità che lega i diversi interventi revisori.
Un primo livello di rielaborazione tiene conto, come accennato,
dell’orizzonte sociale del testo. Luperini ha messo in rilievo come il
testo del 1880 rifletta una stagione di strumentale impegno riformista
che vede Verga al fianco di altri intellettuali di destra, impegnati a
tarpare le ali al nascente socialismo. Ne è il segnale più evidente
l’ampio spazio riservato all’episodio della morte del babbo di
Malpelo:
Quella sera in cui vennero a cercare in tutta fretta l'ingegnere che
dirigeva i lavori della cava, ei si trovava a teatro, e non avrebbe
cambiato la sua poltrona con un trono, perch’era gran dilettante. Rossi
rappresentava l’Amleto, e c’era un bellissimo teatro. […] L'ingegnere,
quando gli ebbero detto che il caso era accaduto da circa quattro ore,
domandò cosa venissero a fare da lui dopo quattro ore. Nondimeno ci
andò con scale e torcie a vento, ma passarono altre due ore, e fecero
sei, […] L’ingegnere se ne tornò a veder seppellire Ofelia; […]
L’edizione del 1897 ridimensiona decisamente l’episodio:
L'ingegnere che dirigeva i lavori della cava, si trovava a teatro quella
sera, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando
5
Basti pensare al fatto che della raccolta verghiana esistono due diverse edizioni
critiche, di cui una, curata da Gino Tellini, considera come testo base l’edizione del
1897, mentre la seconda, di Carla Riccardi, sceglie la versione del 1880 sulla base di
una valutazione di contraddittorietà delle scelte di revisione testuale operate
dall’autore.
93
vennero a cercarlo per il babbo di Malpelo che aveva fatto la morte del
sorcio. […] L'ingegnere, quando gli ebbero detto il come e il quando,
che la disgrazia era accaduta da circa tre ore, […] andò proprio per
scarico di coscienza, con scale e corde, a fare il buco nella rena.
Scompaiono soprattutto i riferimenti al mondo del teatro: non si
dice niente né dell’attore Rossi, né che si rappresentava l’Amleto, né
che l’ingegnere dopo il tentativo di salvataggio se ne torna a “veder
seppellire Ofelia”. Ciò avviene sicuramente nell’ambito di una
ricerca di maggiore impersonalità che caratterizza tutto il lavoro
revisorio di Verga: i riferimenti al teatro sono un segno troppo
visibile di una presenza colta, quella dell’autore, e appaiono del tutto
estranei all’ottica di un anonimo narratore popolare. Ma c’è di più.
Insistere sugli interessi teatrali dell’ingegnere nel contesto narrativo
tragico della morte del padre di Malpelo equivale a mettere in rilievo
il suo cinismo, la sua disumanità, che raggiunge il culmine con il
ritorno a teatro nel momento del funerale di Ofelia, evidentemente
più interessante, ai suoi occhi, della morte del povero Misciu Bestia.
La scelta di alludere all’Amleto non appare casuale: Ofelia, al cui
corteo funebre partecipano i più alti personaggi del regno, è un
impossibile doppio del babbo di Rosso. La contiguità psicologica che
la unisce all’ingegnere configura l’incomunicabilità della
contrapposizione di classe, tra chi siede in poltrona come su un
trono, e chi muore in un buco che si riempie di rena.6 In un’analoga
direzione polemica si muove d’altronde l’eliminazione, nel testo del
1897, del particolare delle due ore perse nell’organizzazione dei
soccorsi. Complessivamente, assistiamo dunque a una decisa
attenuazione della critica sociale, che era aveva caratterizzato la
stagione riformista della Destra storica alla fine degli anni Ottanta,
rivolta contro una classe dirigente irresponsabile e cinica che, con il
suo comportamento, rischia di provocare una violenta reazione
6 Per una interessante lettura delle analogie tra Rosso Malpelo e l’Amleto – il “copione
più opportuno per non stornare il lettore dalla condizione di chi sta assistendo al
racconto tragico di una famiglia venuta meno per la morte del padre, l’abbandono
della madre, lo smarrimento del figlio” – rimando a Guglielminetti 1991.
94
popolare. Tale polemica viene smussata nell’edizione del 1897 in
quanto ormai avvertita come sorpassata dai fatti: la Destra storica si è
dissolta, e alle porte del nuovo secolo l’Italia appare destabilizzata da
una fortissima tensione sociale, alimentata da politiche autoritarie, e
destinata a culminare nei fatti di Milano del 1898 e nel regicidio del
1900. In questo contesto Verga è un isolato le cui posizioni sono
sempre più reazionarie, ormai insensibile a ogni prospettiva di
riforma e di ricomposizione del conflitto sociale; è questa l’ottica
dell’ultima revisione di Rosso Malpelo.
Complementari a tale inaridimento, sono, a mio avviso, altre
correzioni del testo, volte ad accentuare, attraverso una
rielaborazione stilistica, tematica e lessicale, il carattere drammatico
dell’esperienza di Malpelo, nonché la dignità del suo materialismo.
L’eclissi di una stagione in cui Verga poteva, pur col suo pessimismo,
sentirsi organico a una prospettiva condivisa, conservatrice ma
strumentalmente riformista, si accompagna cioè inevitabilmente
all’accentuazione drammatica della scrittura letteraria e alla
costruzione di un mito – il personaggio Malpelo –, la cui diversità è
anche allegoria della condizione sociale dell’intellettuale e, più
precisamente, dell’isolamento dell’autore nel contesto storicoculturale di fine secolo. Sembra insomma accentuarsi, anche sull’asse
diacronico della storia del testo, quell’acquisizione di una
dimensione eroica da parte del personaggio, che, come ha osservato
Baldi, all’interno del racconto si realizza nel passaggio dal punto di
vista primitivo del narratore regredito al protagonismo intellettuale,
interpretante, di Malpelo:
L’ingresso del punto di vista di Rosso in quel mondo dominato da
una legge ferrea, […] in cui il soggetto aderisce senza margini di
distacco ad un’oggettività oppressiva e si annulla in essa, apre lo
spiraglio della coscienza attiva e del giudizio: in opposizione
all’ottusità e all’indifferenza che è tipica dell’ambiente che lo circonda,
l’eroe, sotto la spinta dei suoi sentimenti filiali offesi, della sua rabbia
di sfruttato e del suo odio di classe per gli sfruttatori, giunge a vedere
il vero volto di quella società antagonistica fondata sulla violenza e
sull’oppressione.
(Baldi 1980:60-61)
95
La volontà di tratteggiare una simile crescita è evidente anche in
alcune delle varianti introdotte nel testo. Accentuare in Malpelo i
tratti dell’eroe consapevole, portavoce di una filosofia negativa
accettata e subita in tutte le sue conseguenze, implica
necessariamente l’annullamento del carattere patetico del
personaggio, già rifiutato, come nota Guglielmi, nella stessa sua
assunzione di una posizione sovrapersonale (Cfr. Guglielmi
1986:507). Tale prospettiva rivela anche una volontà di
distanziamento sia dalla tradizione del romanzo filantropico, sia
dall’ingombrante modello deamicisiano, volto al tratteggiamento di
un’immagine agiografica dell’adolescenza.
Una delle modifiche che più chiaramente va in questa direzione è
riscontrabile nel passo relativo alla morte del babbo di Rosso. La
“voce di fanciullo, la quale non aveva più nulla di umano”, elemento
apertamente patetico, deamicisiano, nonché rivelatore di un’esplicita
ottica autoriale, ancora presente nel testo del 1880, scompare
nell’edizione definitiva del 1897, in cui Malpelo “si graffiava la faccia
ed urlava, come una bestia davvero”.
Analogamente, il testo del 1880 presenta nel finale una breve
sezione poi fortemente scorciata:
Ma Malpelo non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del
mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tutto l’oro del
mondo: sua madre si era rimaritata e se n’era andata a stare a Cifali, e
sua sorella s’era maritata anch’essa. La porta della casa era chiusa, ed
ei non aveva altro che le scarpe di suo padre appese al chiodo; perciò
gli commettevano sempre i lavori più pericolosi, e le imprese più
arrischiate, e s’ei non si aveva riguardo alcuno, gli altri non ne
avevano certamente per lui.
Il confronto con l’edizione del 1897 conferma l’intento di ridurre il
patetismo della situazione:
96
Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del
mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché
pensarono a lui.
Verga elimina qui i particolari concernenti la famiglia di Malpelo,
troppo espliciti nel disegnare il patetico cliché del bambino
abbandonato, e la ripetizione chiastica del periodo iniziale,
stilisticamente omogenea alla ricerca melodica dei Malavoglia ma
ormai estranea alla scrittura drammatica del Mastro Don Gesualdo,
alla quale Verga adegua la stessa revisione sintattica di Rosso
Malpelo.7
Segnali della volontà di rappresentare Rosso come eroe consapevole
di un inesorabile meccanismo sociale, sottraendolo almeno in parte
all’incessante e cinica prospettiva del narratore popolare, sono inoltre
riconoscibili nel sintagma “fiero orgoglio”, che sostituisce il “bieco
orgoglio” dell’edizione datata 1880, nonché nella sostituzione del verbo
‘rubare’ con il verbo ‘prendere’ nel passo in cui si dice dei “furti” di
Rosso che sottrae, dai soldi onestamente guadagnati, il necessario per
comprare qualcosa da mangiare a Ranocchio, il compagno malato. Alla
miseria e alla spietatezza dei meccanismi sociali, cui pure deve
sottostare, Malpelo contrappone la dignità della consapevolezza.
L’amplificazione della parentesi didattica, in cui Malpelo mostra a
Ranocchio la carcassa dell’asino, rafforza ulteriormente il protagonismo
intellettuale di Rosso. Nel testo del 1878, Malpelo “stava a considerare
con l'avida curiosità di un monellaccio i corvi che si disputavano le carni
del grigio, sbattendo le ali”. Le stesura del 1880 presenta invece una
situazione più complessa, solo leggermente rimaneggiata nel 1897. I
corvi sono sostituiti dai
7
L’analisi delle varianti sintattiche e di punteggiatura richiederebbe una trattazione
autonoma. Basti qui dire che il diffuso appesantimento della punteggiatura
dell’edizione del 1897, e il conseguente isolamento drammatico del particolare,
rendono il testo più spezzato e duro, coerentemente con gli esiti del Gesualdo, e con
l’incupirsi della visione del mondo dell’autore. Sulle varianti di punteggiatura
rimando ancora a Luperini 1995:20-21 (in part.).
97
cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni
del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si
aggiravano ustolando sui greppi dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che
Ranocchio li scacciasse a sassate. - Vedi quella cagna nera, gli diceva, che
non ha paura delle tue sassate; non ha paura perché ha più fame degli
altri.
Ora Malpelo prende la parola e assume esplicitamente un ruolo
didattico: la filosofia di cui si fa portavoce
ha la coerenza sistematica di un materialismo pessimista da cui esula ogni
speranza di conforti e compensi, mondani o oltremondani. La sorte
dell’uomo si realizza tutta nell’ambito corporeo […]
(Spinazzola 1972:11)
In questo ambito, la sostituzione dei corvi –
animali
convenzionalmente legati alla morte – con i cani produce un effetto
perturbante. La scelta di un animale molto vicino all’uomo conferma il
carattere universalmente valido dell’exemplum con cui Malpelo illustra la
sua filosofia, accentuando così lo spessore e la dignità del suo
atteggiamento intellettuale.
Guglielmi afferma che, in Rosso Malpelo, “la morte è il significante
privilegiato della condizione dei vinti”, che, in questo racconto,
caratterizzato dalla sua ordinarietà (ben quattro personaggi di primo
piano muoiono), “ogni volta […] si parla della stessa morte” e che “la
narrazione di un destino è anche narrazione degli altri destini”
(Guglielmi 1986:505). Potremmo concludere mettendo in rilievo ciò che
in più, rispetto agli altri personaggi, offre al lettore l’esperienza di
Malpelo: una consapevolezza del proprio destino che configura la sua
fine, più che come un incidente, come un suicidio, un voluto ritorno a
quella stessa terra che aveva inghiottito il padre. La teorizzazione di una
filosofia negativa implica dunque l’accettazione teorica della logica
economica che prevede l’eliminazione del più debole: allora per
Malpelo, come per l’asino grigio, “se non fosse mai nato sarebbe stato
meglio”. Nello stesso tempo autoeliminarsi è indice di un atteggiamento
di intimo rifiuto verso il mondo esterno e le sue leggi, cui si preferisce
98
coraggiosamente l’abisso, il ricongiungimento alla terra. La percezione
del vissuto che è propria del personaggio, una percezione tutta filosofica
della spietatezza delle leggi di natura, conferma dunque il carattere
eroico verso il quale si muove la revisione del personaggio Malpelo e la
sua nobilitazione intellettuale, parziale compensazione della perdita di
prospettiva sociale che la narrativa verghiana sconta dopo una
significativa stagione di impegno.
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V. Spinazzola, “La verità dell’essere. Tre
novelle verghiane”, Belfagor, n. 1 (1972)
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ECLISSI DELL`IMPEGNO E NOBILITAZIONE INTELLETTUALE IN