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PICCOLO MANUALE
DI CUCINA IN CAMPO
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IN COPERTINA:
Tavola VI
la cucina da viaggio o “per campagna”
dall’Opera di Bartolomeo Scappi (1570)
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Ho pensato a questo piccolo manuale per condividere la mia esperienza di cucina
durante gli eventi.
Spero che i consigli che seguono possano esservi d’aiuto.
Alcuni suggerimenti per molti potranno essere banali ma ciò che per alcuni è scontato
per altri non lo è.
Conservazione degli alimenti.
Il metodo migliore per conservare gli alimenti è il “medieval frigorifero”, ossia un
contenitore isotermico per alimenti. Si trova nei negozi che trattano forniture
alberghiere.
Generalmente è in polistirolo e mantiene la temperatura per molte ore.
Il contenitore deve venire occultato in una cassa di legno di foggia adatta al periodo che
si sta ricostruendo.
Per mantenere il fresco a mio parere il metodo migliore è quello di congelare delle
bottiglie d’acqua (meglio quelle da 2 litri), possibilmente qualche giorno prima
dell’evento. Se il ghiaccio è vecchio ha una maggiore durata.
Trovo che le bottiglie d’acqua gelata oltre ad essere più efficaci dei panetti di ghiaccio
finto (non conosco il nome tecnico) hanno il vantaggio di fornire acqua fresca man
mano che disgelano (e quando ci sono certe temperature è una bella fortuna!).
Se la carne non viene fornita dagli organizzatori dell’evento e non c’è la possibilità di
andare a fare la spesa quotidianamente, consiglio di portarsi della carne congelata per
prolungarne la durata soprattutto in caso di elevate temperature.
Portare dell’alluminio o della pellicola ad uso alimentare, sono utili per coprire
eventuali avanzi da riporre nel contenitore termico.
Inutile ricordare che le intossicazioni alimentari sono sempre in agguato e,
considerando la scarsità dei servizi igienici durante gli eventi, è meglio cercare di non
farsi venire una dissenteria.
Attrezzature
Utilizzare pentole e padelle di ferro o rame badando che abbiano una forma
storicamente accettabile.
Assolutamente da evitare alluminio, acciaio, teflon e materiali antiaderenti.
Per quando riguarda il coccio è molto difficile trovarne di storicamente credibile, il
coccio che si trova in tutti i supermercati e negozi di casalinghi è moderno e inadatto.
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Varie
Brodo: se decidete di fare una zuppa, utilizzando un buon brodo il risultato sarà
sicuramente migliore rispetto all’uso del dado (inventato da Maggi nel 1880).
Una soluzione pratica è quella di preparare il brodo in anticipo e congelarlo in
bottiglie di plastica.
Fagioli: fino a dopo la scoperta dell’America l’unico tipo esistente era quello
“dall’occhio”. Attualmente si trovano in commercio solo essiccati. Quindi se
volete cucinarli durante l’evento conviene lessarli a casa.
Per essere credibili si deve porre la massima attenzione non solo alle armi e armature,
tecniche di combattimento e abbigliamento.
Alcuni particolari, a volte sottovalutati, possono rendere poco credibile il lavoro del
rievocatore.
Si deve perciò porre la massima attenzione a cosa e come si cucina.
Indossare un abito filologico al 100% e intanto cucinare dei fagioli borlotti o bianchi di
Spagna, peperoni e zucchine alla griglia non è peggiore che tenere in vista bottiglie di
plastica o bibite in lattina.
Pertanto evitare i cibi che non erano presenti o non utilizzati nell’alimentazione umana
nel periodo storico oggetto dell’evento.
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ALCUNE NOTIZIE SULLA PASTA
Già nel I° secolo a.c. Cicerone ed Orazio erano ghiotti di lagana, dal termine greco
laganon che indicava una schiacciata di farina tagliata a strisce, poi cotte in acqua o
fritte, cui solitamente si fanno risalire le attuali lasagne.
La ricetta di un timballo di lagane é nel “De re coquinaria” di Apicio, testo collocato
intorno al I° secolo d.c.. Un’altre documentazione importante è emersa da una delle più
grandi e famose tombe etrusche, la “Tomba dei rilievi”di Cerveteri che ha le pareti
decorate da affreschi raffiguranti personaggi al lavoro in un ambiente di cucina dove
appesi al muro sono perfettamente riconoscibili spianatoia, mattarello e rotella dentata,
cioè gli arnesi necessari per impastare, stendere e tagliare la pasta.
Gli “atriya” erano la forma più antica corrispondente ai maccheroni lunghi o spaghetti
che venivano tagliati allo spessore di pochi millimetri da una sfoglia sottilissima,
riportati sotto il nome di trii dai primi ricettari italiani.
I “fideos” (da cui è derivato il termine “fedelini” o “fidelini”) di forma cilindrica sottile
ed allungata ottenuta rotolando piccole porzioni di pasta sotto il palmo della mano,
erano simili a piccoli vermi, i futuri vermicelli, ma molto più corti di quelli attuali
Lo scrittore-geografo arabo Al-Idrisi nel suo libro “Il diletto di chi è amante delle
peregrinazioni attraverso il mondo”, datato 1154, descrisse tutti i luoghi dell’epoca
conosciuti, indicando le cose di rilievo e le usanze peculiari riscontrate in ciascuna città,
senza trascurare i cibi. Egli riferisce che a Travia, in Sicilia, si fabbricavano vermicelli
in quantità tale da rifornire oltre i paesi della Calabria anche quelli dei territori
musulmani e cristiani. Il termine arabo usato da Al-Idrisi per indicare i vermicelli è
“atriya”, ed in qualche località del palermitano ancora oggi si usa fare a mano dei
vermicelli chiamati “triya” perpetuando l’antica voce araba, tutt’ora in uso nei vari
ricettari di cucina siciliana. Del resto intorno all’anno mille gli arabi si trovavano in
Sicilia in pianta stabile, sicché vi fu una naturale mescolanza tra arabi e siciliani con
conseguente reciproca influenza tra le usanze dei due popoli.
“Theatrum Sanitatis”, codice ricco di miniature che illustrano le varie produzioni
alimentari, come si fa il vino, come si fa il formaggio, o il pane, o l’olio e cosi via. Tra
l’altro è illustrata in modo inequivocabile la lavorazione manuale della pasta, prima
impastata, poi stesa in sfoglie sottili, tagliata in lunghe strisce ed infine appesa ad
asciugare su tralicci, proprio come molti secoli dopo faranno i maccheronari di
Gragnano.
Dell’opera esistono almeno cinque copie manoscritte, una intitolata “Theatrum
Sanitatis” e le altre “Tacuinum Sanitatis”, risalenti alla fine del XIV secolo, derivate dal
libro di un famoso medico arabo di Bagdad, Abul Hasan Al Muchar Ibn Botlan, morto
ad Antiochia verso la metà dell’XI secolo, libro che fu tradotto in latino da Ferraguto
nel XIII secolo e secondo le affermazioni di alcuni studiosi, anche il più antico
ricettario di cucina di area italiana, il “Liber de coquina”, sarebbe la traduzione latina
di un testo arabo, eseguita per volere di Carlo II d’Angiò. In esso vi è la più antica
ricetta di quei vermicelli primordiali, “De tria ianuensis” (della tria genovese), conditi
con cipolle soffritte in olio e con formaggio grattugiato, per essere serviti insieme a
uova, a capponi, o a qualunque altra carne, dunque con funzione di contorno. Ancora
tria nel “Libro della cocina” dell’anonimo toscano, primo ricettario scritto in volgare
italiano alla fine del XIV secolo, questa volta cotte nel latte di mandorle, inserite tra le
pietanze adatte a malati ed infermi.
Da queste testimonianze, si può affermare che le paste alimentari esistevano nei paesi
del mediterraneo occidentale già molto prima del 1292, anno in cui Marco Polo tornò
dalla Cina.
Affermazione suffragata anche da un atto notarile del 1279 in cui il notaio genovese
Ugolino Scarpa menzionava una “bariscella plena de maccaronis” nell’inventario dei
beni lasciati in eredità dal defunto milite Ponzio Bastone.
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Sin dai più antichi ricettari è descritta la tecnica, rimasta invariata per molti secoli, per
confezionare a mano i maccheroni. Fondamentali sono i diversi esemplari manoscritti
del “Libro de arte coquinaria” importante opera di cucina scritta da Maestro Martino
da Como (metà del quattrocento), cuoco del patriarca di Aquileia residente a Roma, che
contiene ben quattro ricette di pasta: “distempera la pasta e filala sottile rompendola a
pezoli piccini con le dita a modo di vermicelli, e ponelia seccare al sole, e dureranno
doi o tre anni…”. Molto differenti, perché fatti con farina, uova e pane bagnato, i
maccheroni descritti nel “Libro Novo” di Cristoforo da Messisbugo (1549), grande
scalco della corte estense, e nella monumentale “Opera” di Bartolomeo Scappi (1570),
cuoco segreto alla corte pontificia di ben due papi, Paolo II e Pio V.
La presenza costante di vermicelli e maccheroni tra le ricette degli antichi testi di
cucina dimostra come sin dal medioevo la pasta era in uso nella cucina aristocratica per
essere servita alle mense dei nobili e dei ricchi di tutta Italia, mentre rappresentava un
miraggio per il popolo minuto che per tutta la vita sognava maccheroni rotolanti su
montagne di parmigiano nel mitico Paese di Bengodi descritto da Boccaccio. Nel
Decamerone, fa raccontare da Maso del Saggio a Calandrino che nel paese di Bengodi
"eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale stavan
genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli...".
Nonostante nel seicento i maccheroni fossero ormai molto diffusi la plebe doveva
accontentarsi di mangiarli solo in sogno; per lei il piatto di pasta rappresentò ancora per
molto tempo il miraggio dei giorni di festa, la ghiottoneria con cui abbuffarsi nelle
grandi occasioni. E’ la realtà trasmessa dai documenti ufficiali, da relazioni medico
scientifiche sull’alimentazione del popolo minuto e dai diari dei viaggiatori stranieri a
Napoli. I maccheroni erano confezionati a mano ed il loro costo era troppo alto per le
scarse risorse dei napoletani. Nei “Giornali di Napoli” di Antonio Bulifon, alla data del
13 gennaio 1617 è annotato che il duca di Ossuta, vicerè del regno, con la consorte ed
altri cortigiani si recò a Poggioreale dove aveva fatto preparare un festino reale e “fece
accomodare molte tavole al popolo minuto, che erano più di diecimila persone… di cui
si prese S.E. gran diletto in vederla scialacquare e mangiare i maccheroni alla
napoletana con le mani a branca… stando ella in disparte in un’altra mensa.”
Se il vicerè li offriva in un festino reale trattavasi di pietanza speciale, prelibata,
intensamente desiderata e non di un cibo usuale per il popolo.
Finalmente nel settecento, grazie alla comparsa delle prime macchine per fabbricare
maccheroni, il prezzo divenne più accessibile ed i maccheroni, serviti da secoli alle
mense aristocratiche, arrivarono nei vicoli di Napoli per essere preparati e venduti a
pochi soldi insieme agli altri cibi cotti e crudi con cui la plebe placava i morsi della
fame e liquidava rapidamente il rito del pasto. Agli angoli delle strade ad un certo
momento trovò posto anche la grossa caldaia del maccheronaio, affiancata dal piatto di
terraglia con la bianca piramide di formaggio grattugiato solcata da nere righe di pepe,
unico condimento dei maccheroni plebei fino alla grande affermazione del pomodoro.
Anche se i maccheroni esistevano già da alcuni secoli, tra la fine dei seicento ed i primi
decenni del settecento si affermarono nuove regole che dettero vita ad un cibo del tutto
diverso: innanzitutto i maccheroni diventarono lunghi, dovevano poi essere cotti in
acqua abbondante, non dovevano essere sfatti, costituivano un piatto autonomo, non più
contorno o accompagnamento di altre pietanze, ed infine erano poco o per niente
conditi. In questa nuova veste, con ruolo di protagonisti, diventarono nei secoli
successivi il cibo abituale del ceto medio napoletano. Il popolo preferiva i maccheroni
“vierdi vierdi” cioè duri al pari dei frutti ancora acerbi, in antitesi con quelli stracotti
preparati per le mense dei nobili. Infatti, sia nelle ricette più antiche sia nei testi
ottocenteschi, la pasta era bollita a lungo in brodi grassi e densi, e poi ancora condita
con burro, formaggio, zucchero e cannella ed altre spezie, utilizzata per costruire
sontuosi timballi, formare ricchi ripieni di pollame o divenire il raffinato contorno di
monumentali arrosti.
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Ancora alla fine del seicento nello “Scalco alla moderna” di Antonio Latini, che fu al
servizio di principi e porporati della capitale partenopea, i maccheroni hanno quasi
sempre il ruolo di ricco contorno a piatti di pollame, selvaggina o altre carni, o di
sostanziosa farcia mescolati ad altri rari e costosi ingredienti.
Lunga, complessa e variegata la storia dei condimenti, che nelle varie epoche hanno
insaporito questo cibo, mai uguale, che si trasforma a seconda dell’intingolo che lo
accompagna. Non si tratta di una storia unica, ma di più storie parallele derivanti dai
tempi, dai luoghi e dalle categorie di consumatori, sicché gli attuali modi di preparare e
condire le paste alimentari derivano da situazioni storiche e sociali molto differenti e
lontane tra loro.
Negli antichi ricettari scritti tra il XV ed il XVIII secolo ad opera di cuochi o
maggiordomi di case reali e principesche, è descritta la cucina dei ricchi
abbondantemente profusa di spezie e zucchero, costosissime merci di lusso sparse a
profusione su tutte le pietanze come status symbol per ostentare grande potenza
economica ed elevata posizione sociale dell’anfitrione. Non fa eccezione la pasta che,
era cotta per ore in grassi brodi di carne o pollame, condita pio con burro e formaggio
grattugiato ed immancabilmente spolverizzata di zucchero, cannella ed altre spezie. Nei
giorni di magro, molto numerosi se si pensa che erano oltre 180 in un anno, i
sostanziosi brodi erano sostituiti da acqua e burro o dal latte se non addirittura dal latte
di mandorle.
Spesso i maccheroni, specie le tagliatelle, fungevano da scenografia raffinata ai
monumentali arrosti o agli esclusivi piatti di caccia, il sugo della carne grondava sul
letto di pasta che acquistava un sapore squisito. E’ probabile che così sia nata l’idea di
condire la pasta col sugo di lepre e simili.
Moltissimi gli ostacoli e le difficoltà che il pomodoro dovette superare per affermarsi
ed entrare nell’alimentazione quotidiana da quando, nei primi del cinquecento, giunse
in Europa portato dai conquistatori spagnoli dal Nuovo Mondo.
Coltivato inizialmente solo come pianta ornamentale o medicinale il suo uso
commestibile fu del tutto sporadico ed occasionale a causa del diffuso timore popolare
contro questa pianta accomunata ad altre solonacee velenose come la belladonna e la
mandragora. Il suo frutto misterioso era avvolto da un alone di magia che per un verso
gli attribuiva proprietà afrodisiache ma per l’altro ne denunciava la sospetta tossicità.
Nelle sue prime apparizioni sulle tavole italiane il pomodoro non giunse sotto forma di
saporite salsa ma come elemento decorativo di ricercati centrotavola sulle tavole dei
potenti. Diffidenza e pregiudizi persistettero a lungo tanto che alla fine del settecento
erano ancora molti i paesi che lo consideravano velenoso.
Antesignane furono la Spagna ed il Regno di Napoli dove il pomodoro era entrato
nell’uso quotidiano già nel seicento.
Tanto è che il merito di aver scritto la prima ricetta di pomodoro va a Antonimo Latini,
grande cuoco attivo a Napoli nella seconda metà del seicento. La bellezza di questa
bacca rossa, allegra e polposa parve la miglior garanzia contro qualunque superstizione,
e proprio a Napoli ne venne fatto l’uso più appropriato e congeniale, mettendolo sulla
pasta. Nell’ottocento il miracolo è compiuto, i maccheroni si colorano di rosso
formando con il pomodoro un binomio ideale che non si sarebbe sciolto mai più.
All’inizio i pomodori erano cotti al naturale, semplicemente con un po’ di sale senza
grassi né aromi; solo in un secondo momento il sugo fu arricchito da olio d’oliva, aglio,
cipolla, basilico, prezzemolo, peperoncino e via via tante altre cose per comporre una
vera e propria salsa.
La prima ricetta di un rudimentale ragù apparve ne “La cucina casereccia” (1807),
mentre solo nel 1837 verrà descritta da Ippolito Cavalcanti una salsa di pomodoro
semplice per condire i famosi vermicelli.
Iniziava così il trionfale cammino dei maccheroni al pomodoro lungo le strade di tutto
il mondo.
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Da queste notizie si evince che la pasta:
• non era cibo destinato al popolo minuto;
• non rappresentava il piatto principale come accade oggi;
• non veniva condita con sughi e ragù.
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Pertanto, se si decide di cucinare della pasta durante un evento è doveroso:
• spiegare al pubblico cosa rappresentava la pasta in passato;
• non utilizzare condimenti attuali, anche se gli ingredienti esistevano nel periodo
storico che si sta ricostruendo;
• evitare formati moderni, il termine “maccherone o maccarone” indicava la
pasta in generale e non l’odierno formato;
• evitare di usare farine integrali e di altri cereali (farro, grano saraceno ecc....)
per renderla più “popolare”; visto che era un cibo per nobili ed aristocratici
veniva utilizzata farina di frumento.
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NOTIZIE SUL RISO
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Fu probabilmente Alessandro Magno che, dopo la conquista dell'India, sul finire del IV
secolo a.C. introdusse il riso nel mondo occidentale. La coltivazione rimase
sostanzialmente estranea ai Greci ed ai Romani che usarono il riso piuttosto a scopi
terapeutici e come pietanza costosa, importata direttamente dall'India e dalla regione
persiana. Furono dunque gli Arabi i veri sponsor del riso in Occidente: ne
acclimatarono la coltivazione con il sistema dell'aridocoltura e lo diffusero nel bacino
del Mediterraneo da loro conquistato. Presumibilmente con essi dunque il riso entrò
anche in Spagna e in Sicilia, ove divenne un prodotto familiare in gastronomia. Negli
altri paesi europei rimase essenzialmente un cibo esotico, utilizzato come farina per la
preparazione di particolari creme e dolci. Tuttavia per tutto l’alto medioevo in Europa il
riso continua a essere considerato ingrediente per dolci o pianta medicinale. Veniva
soprattutto importato dall’oriente dietro pagamento di forti dazi e veniva considerato
prezioso al pari delle altre spezie pregiate. E’ difficile rintracciare l’arrivo del riso in
Italia. Forse fu introdotto dagli Arabi in Sicilia, o dai crociati di ritorno dalla
Terrasanta, o dai mercanti della Repubblica di Venezia. La coltura cominciò alla fine
del quattordicesimo secolo, forse non a caso dopo l’ondata di terribili epidemie di peste
che decimarono la popolazione di tutto il continente. Le prime risaie furono in
Piemonte e in Lombardia, terre fertili e ricche di fiumi. Si sa che nel 1475 Gian
Galeazzo Sforza dona un sacco di riso ai duchi d’Este, contribuendo così alla sua
diffusione, che continuò a crescere.
Se si esclude la Sicilia araba, in Italia la storia del riso ha inizio negli ultimi secoli del
Medioevo: intorno al 1250 ne è testimoniato l'uso presso ospedali e famiglie nobili
come alimento terapeutico, nutriente e digeribile, ma anche raffinato e versatile in
gastronomia. Nel corso del quindicesimo secolo, la sua coltivazione si diffonde
nell'Italia centrale e settentrionale, in Toscana e soprattutto nella pianura Padana. E'
introdotto probabilmente dalla Spagna: il suo uso è attestato infatti nel Regno di Napoli
e in Lombardia, territori allora appartenenti ai possedimenti spagnoli. Rimane un piatto
particolare, adatto a ricorrenze festive: non si può in proposito non richiamare il dipinto
di Pieter Bruegel: Nozze contadine che pone in primo piano proprio le scodelle di riso.
La storia del riso in Italia può essere ripercorsa attraverso le seguenti
documentazioni:
1250: nel LIBRO DELLE SPESE di Casa Savoia si parla dell’acquisto di alcuni
ettogrammi di riso presso l’ospedale di Vercelli, per confezionare particolari tipi di
dolci.
1336: il TRIBUNALE DI PROVVISIONE DI MILANO emanava un'ordinanza per
calmierare il prezzo del riso, che doveva essere venduto a non più di dodici imperiali a
libbra. In tale documento si afferma che "Il riso veniva venduto dagli speziali più caro
del miele" che costava all’epoca otto imperiali a libbra.
1475: il duca GALEAZZO MARIA SFORZA cedeva al duca di Ferrara 12 sacchi di
"risone" raccolti nel Milanese affinché "Potesse sperimentare nelle sue terre la
coltivazione del riso, pianta estremamente interessante perché coltivabile anche in
terreni acquitrinosi".
1500: malgrado i divieti delle autorità, volti a controllare il monopolio di questo
alimento, emanati attraverso la GRIDA MILANESE che proibiva l’esportazione del
riso fuori del ducato, le risaie si diffondevano nelle zone di Pavia, Mantova, Cremona,
Brescia, Novara, Vercelli, Saluzzo, Bologna, Padova, Treviso, nel Polesine e in
Toscana.
1550: le risaie del MILANESE raggiungevano i 5500 ettari.
1600: la coltivazione ha un decremento, perché nell'idrocoltura delle risaie si
ravvisava una delle cause dell'aria malsana e pestilenziale che nuoce alla salute e
propaga le epidemie come la MALARIA. "E’ sufficiente che l’acqua defluisca"
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affermavano i medici di Novara (1584). Così a seguito della scoperta dell’agente
portatore, la malaria veniva sconfitta e il riso ritornava ad essere coltivato.
Origini della ricetta del risotto alla milanese basandoci su documenti storici.
La caratteristica principale è il colore giallo, conferitogli dallo zafferano. I piatti
multicolori erano prerogativa della cucina araba ed europea medioevale. Era il secolo
dei piatti contraffatti o mascherati, destinati a stupire i convitati; l'oro e il suo
succedaneo, il tuorlo d'uovo, erano simbolo di nobiltà, riservati ad una stretta élite. Nel
'300 il riso veniva coltivato estensivamente nel Napoletano. Da qui, grazie agli stretti
rapporti politici e familiari che legavano gli Aragonesi ai Visconti prima, ed agli Sforza
poi, la sua coltivazione risale verso il nord Italia, per affermarsi, grazie ai terreni
acquitrinosi, nella pianura padana ed in particolare nel Vercellese.
Un secolo più tardi lo Scappi parlerà di "riso di Salerno o di Milano " nella ricetta di"
Minestra di Riso alla Damaschina" come per ricordare l'origine di questo alimento,
similmente allo zucchero che per secoli sarà definito "di Cipro" o "di Madera".
I primi ricettari trecenteschi propongono piatti nei quali il riso svolge un ruolo
fondamentale. Il Biancomangiare dell'Anonimo Toscano prevede riso o in alternativa
con la sua farina cotto con latte, zucchero, spezie e colorato con zafferano e tuorli
d'uova. Il Biancomangiare di origine Catalana prevedeva invece le mandorle in
aggiunta alla farina di riso, le spezie, lo zucchero, l'acqua di rose, ma non prevedeva lo
zafferano, che sembrerebbe più un usanza italiana che arabo/spagnola.
Con Bartolomeo Scappi nella metà del '500 si parla per la prima volta di "Vivanda di
riso alla Lombarda": riso bollito e composto a strati con cacio, uova, zucchero,
cannella, cervellata e petti di cappone. Il colore giallo é dato dalla presenza della
cervellata, tipico insaccato milanese, colorato ed insaporito dallo zafferano.
Similmente la "Minestra di Riso e Farro prevede riso cotto nel brodo, condito con
cervellate gialle e cotto che sarà in questo modo, si potrà incorporare con ove sbattute,
cascio grattato, pepe, cannella e zafferano".
Come si può notare il termine di risotto risulta ancora del tutto sconosciuto, e l'attuale
tecnica di cuocere lentamente il riso aggiungendo progressivamente il brodo, ancora
ignota, perché ogni ricetta inizia invariabilmente con la preparazione del riso lessato.
Nulla di nuovo nei numerosi ricettari italiani seicenteschi. Nel ricettario di Massialot
(Parigi, 1691) tradotto in italiano nel 1724, si consiglia di cuocere il riso nel brodo, per
guarnire capponi o galline, condito con cannella e sugo di castrato o limone.
E' necessario attendere la fine del 1700 perchè il riso alla milanese, così come oggi e'
conosciuto, prenda forma. La prima traccia ci viene dall'anonimo autore della
"Oniatologia" (scienza del cibo), che titola una sua ricetta "Per far zuppa di riso alla
Milanese", dove il riso, lessato in acqua salata, alla quale si aggiunge un buon pezzo di
burro quando bolle, è condito con cannella, parmigiano grattato e sei tuorli d'uova, per
fargli acquisire un bel colore giallo.
Ancora di riso condito con parmigiano e cervellato parlerà il napoletano Corrado nel
suo "cuoco Galante". Il secondo suggerimento ci viene da Antonio Nebbia che, nel
"Cuoco Maceratese", con metodo rivoluzionario soffrigge il riso, lasciato a mollo per
due ore nell' acqua fredda, (quindi non bollito) in poco burro e lo bagna con del couli' di
cavolo. Più originale e più moderna la tecnica de "L'arte di far la cucina di buon gusto",
dove il riso viene "soffritto in due once di burro ed un pizzico di cipolla tritata, prima di
venir bagnato con un bicchiere di latte ed insaporito con delle spezie.
La ricetta definitiva, completa nella sua formulazione finale, nasce all'inizio dell'800 e
non a caso in quel "Cuoco Moderno" di un misterioso L.O.G. stampato a Milano nel
1809, testo di estremo interesse per la storia della gastronomia milanese ma dai più
ingiustamente ignorato. La sua ricetta: "Riso Giallo in padella". Cuocere il riso, saltato
precedentemente in un soffritto di burro, cervellato, midolla, cipolla, aggiungendo
progressivamente brodo caldo nel quale sia stato stemperato dello zafferano.
Finalmente la ricetta di Felice Luraschi, celebre cuoco milanese che nel 1829 fa
stampare il suo "Nuovo cuoco milanese economico". Qui l'antico riso giallo diventa
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Risotto alla Milanese giallo, completo di grasso e midollo di bue, zafferano e noce
moscata, bagnato con del brodo, insaporito con quella cervellata di medioevale
memoria e con del formaggio grattugiato.
Risotto alla Milanese di Felice Luraschi.
Tagliate colla mezzaluna una cipolla, unite della grassa e midolla di manzo, poco
butirro fate tutto tostare e passatelo al sedaccio, mettetevi quella quantità di riso che e'
necessario, poco zafferano, poca noce moscata, e fatelo cuocere in buon brodo
rimettendolo di man in mano, a mezza cottura mettetevi un mezzo cervellato, lasciatelo
cuocere, mettete del formaggio grattugiato e servitelo. Di aggiungere vino non se parla
ancora.
Ai primi del '900, l'Artusi fornisce due ricette del Risotto alla Milanese, la prima senza
vino, la seconda con vino bianco. Ma ecco il motivo: nella prima ricetta non menziona
ne' il midollo di bue ne' altri grassi; nella seconda , che lui definisce più greve allo
stomaco ma più saporita", ecco comparire il midollo e vino bianco. Aveva infatti
compreso che questo grasso rendeva il piatto appiccicoso al palato, quindi occorreva un
tocco di acidità per sgrassare la bocca e dare nerbo al risotto
Il risotto dei nostri giorni, quello che inizia con la tostatura del riso crudo, per
intenderci; era un piatto sconosciuto nel Medioevo. Le prime testimonianze di questo
procedimento si trovano verso la fine del Settecento(1), ma prima di allora il riso, in
qualsiasi maniera si preparasse, veniva sempre lessato in acqua, brodo o latte. (Enrico
Carnevale Schianca – Appunti di Gastronomia n. 51)
(1) Sono piatti rubricati come “minestra” e “zuppa” di riso e cavoli, la prima nel Cuoco
maceratese di Antonio Nebbia (1779), che ricalca modelli francesi, e la seconda
nell’anonimo L’arte di far cucina di buon gusto (Torino, 1793): il riso è lasciato a
macerare nell’acqua per qualche ora, poi asciugato, messo a soffriggere nel burro e
tirato successivamente con brodo di cavoli. Ma la descrizione più vivace di questa
nuova tecnica di cottura si deve ad un “laico”, un Artusi ante litteram, l’avvocato
Jacopo Antonio Albertazzi, autore nel 1790 di un trattato di economia domestica, dove
si prescrive di infondere il riso crudo in un soffritto di burro, sugo d’arrosto e
cervellato, e cuocerlo “discretamente, finché abbia a sé tirata la maggior parte del
condimento”.
In conclusione il risotto in un campo medievale non lo si deve cucinare!!!!
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Consigli tratti da “Il libro di Casa Cerruti” noto come Tacuinum Sanitatis in Medicina –
Codice miniato del XIV secolo.
Le cicerchie:
“E’ cibo di povera gente e i ricchi raramente ne assaggiano. Peraltro le cicerchie danno
sollievo a chi soffra di tosse con febbre, pur nuocendo debilitati dentium, ai denti
deboli. Il loro nutrimento è buono, ma gravando sullo stomaco causano vertigine. Si
tengano per una notte a mollo e si cuociano con olio e aglio, mentuccia o timo, oppure
si condiscano con sale, pepe, senape e aceto. Sono adatti a stomaci gagliardi o a gente
adusa alla fatica. Se ne astengano i delicati e quanti vivono in ozio.”
I ceci:
“Ve ne sono di bianchi, neri e rossi. Si preferiscano sempre quelli ben grossi e pieni e
che non mostrino segno d’esser stati intaccati o perforati da animali o insetti.
Producono sangue caldo e gagliardo seme al maschio (quelli rossi, detti appunto
venerei). Il cece provocat urinam, genera latte, apre le occlusioni. Facit ventositatem e
nuoce alle ulcerazioni dei reni e della vescica, per cui si provveda con sedano,
finocchio e, altre volte, con semi di papavero. Si tengano i ceci a mollo per una notte e
si cuociano con rosmarino, salvia, aglio e radici di petrosello e alla brodosità,
preferibile allo stesso cece, si aggiunga mosto cotto e cinnamomo.”
Nell’ultimo medioevo erano particolarmente apprezzati in campo medico i “ciceres
rubei” per le loro virtù epato-protettive. Il Guainerio a questo riguardo offre anche la
ricetta di una zuppa di ceci rossi, utili per gli epatosofferenti, anche se apprezzata, a
quanto afferma, particolarmente in campagna, dai contadini. Le diverse fasi di
preparazione di questa zuppa erano le seguenti:
“monda bene i ceci e poi lavali bene. Poni a cuocere in brodo con un po’ di salvia,
maggiorana, prezzemolo o issopo, aggiungendo olio di oliva a volontà. I ceci non
devono essere ammollati nella liscivia, come si fa comunemente.”
I fagioli: (ricordiamo comunque che esisteva solo il tipo “con l’occhio”)
“Come si sa, ve n’è di diversi colori: bianchi, rossi, gialli, punteggiati di varie tinte.
S’usa seminarli anche in altri luoghi fuori dell’orto, come logge e balconi, perché
salgono in alto, abbarbicandosi, e creano piacevole ombra e pergolati. Si sceglieranno
quelli rossicci, che siano intatti nel seme, senza buchi d’insetti, se li si vuol mangiare.
Ingrassano; mettono nausee, pesantezza di testa e sonni non tranquilli; fanno sangue
flemmatico, grosso e cattivo. Attenua gli effetti indesiderati, il condirli con acqua
salata, olio e senape, oppure con olio, aceto sale e pepe.”
Le fave:
“Si colgano le fave nell’orto, scegliendo con cura quelle a baccello lucido, chiaro e
intero. Sono giovevoli contro l’insonnia e i mal di testa. Condendole con sale e origano
si previene quella torpidità di sensi, che è l’inconveniente che provocano. Dioscoride
sostiene che le fave siano difficili alla digestione e per questo generino sogni paurosi,
ma dice anche che, cotte con acqua e aceto e mangiate con tutto il guscio, ristagnano la
dissenteria. Altri pensano che la farina di fave abbia la proprietà di nettare la pelle e che
per questo si debba usare nei bagni.”
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Il maiale:
“Quando si uccide il porco si ha gran ricchezza nella casa di carni varie, prosciutti,
lardo, sanguinacci. La carne di maiale dà un nutrimento copiosum, ma umido. Sono da
scegliere gli animali castrati, che abbiano corso molto in vita, così da rinsaldare la fibra
del muscolo; il lattante è da rifuggire perché di carne eccessivamente umida; la scrofa
ha carne legnosa e piena di umori malinconici. Il maiale è adatto a corporature secche e
magre, ma non agli stomaci flemmatici e deboli nonché a quanti devono stare a dieta.
Gioconda e sana è la carne di maiale, arrostita sulla graticola con finocchio e sale.”
Il sale:
“Quotidianamente si usa a condimento di tutti i cibi e parimenti a conservare le carni e i
pesci e le altre cose necessarie alla vita; può essere marino o minerale o anche di certe
acque di fiume o lago, sebbene rare. Dioscoride pregiava soprattutto quello di Cipro,
ma moderatamente considerasi migliore quello che si produce sulla riva del mare
Adriatico. E’ caldo e secco partecipando del fuoco che ne estrae l’umidità. Aiuta la
digestione e la discesa del cibo, impedendone la putrefazione nei visceri; genera
pruritum in cuti, prurito cutaneo e può far danno al cervello e alla vista.”
Gli arrosti:
“Gli arrosti sono di grande nutrimento e suscitano sangue acuto, ma si digeriscono più
difficilmente delle carni lessate e per questo è bene evitare di riempirsene. Conviene
arrostire le carni grasse e lessare quelle magre, perchè alle prime il fuoco consuma il
grasso e nelle seconde la magrezza riceve l’umidità dell’acqua. Gli arrosti convengono
alla cena perché essendo ardui allo stomaco, la loro digestione, come di ogni altro cibo,
meglio avviene nella notte, Convengono comunque gli arrosti nell’inverno e giovano
alle complessioni e agli stomaci di natura umida, generando sangue caldo. La sete che
suscitano si vince con l’agresto.”
Le bietole:
“Ve ne sono di bianche, di nere e di rosse. Le ultime sono molte apprezzate in insalate,
tagliate a fette sottili dopo lesse nell’acqua o cotte sotto la cenere calda e acconciate con
olio aceto e sale. Migliori sono quelle bianche e dolci; il loro succo aufert furfures
capiti, toglie la forfora dalla testa e scioglie il ventre. Taluno, a quest’ultimo effetto,
indica la radice raschiata col coltello, ricoperta di miele e un poco di sale e adoperata
come supposta. Il danno delle bietole è che impediscono la digestione, a motivo
dell’umidità e della natura lassativa, e che bruciano il sangue. Convengono
nell’inverno, ai vecchi.”
I porri:
“Si dovranno scegliere quelli di montagna dall’odore pungente. Hanno facoltà diuretica
e conducono all’amplesso. Cotti e incorporati con miele e deglutiti pian piano, giovano
alli impedimenti del petto, purificano dal catarro nettando la canna dei polmoni.
Arrostiti sotto la cenere calda, vi è chi li considera di effetto capace di vincere il veleno
dei funghi e risolutivo per eccessi di tavola o di troppo bere. Tuttavia il cervello e i
sensi ne possono soffrire, per cui si provvederà con olio di sesamo o di mandorle dolci.
Producono sangue ardente.”
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LA CUCINA IN CAMPO
Purtroppo non ci è pervenuta la documentazione di ricette di uso popolare, non è da
escludere che alcune ricette trascritte nei manoscritti possono essere di origine popolare
e adattate alla tavola borghese, aristocratica o nobiliare ad esempio con l’aggiunta di
spezie.
“Negli accampamenti militari i pasti non dovevano essere sostanzialmente diversi da
quelli abituali: in generale non si rinunciava a condimenti, spezie e aromi, anche se
sembra molto più ridotto il consumo di pesce fresco, evidentemente per difficoltà
pratiche di approvvigionamento, sostituito dai legumi come cibo di magro;
relativamente scarsa appare anche l’importanza della carne, mentre risulta
fondamentale quella del formaggio, derrata che non comportava problemi di
conservazione.” (nota 14 – Sapori d’Oriente alla corte sabauda. Le spezie in cucina al
tempo di Amedeo VIII – Irma Naso in La mensa del principe. Cucina e regimi
alimentari nelle corti sabaude (XIII-XV secolo)
“L’uso delle spezie in funzione alimentare era dunque irrinunciabile persino durante le
campagne militari, come confermano i dati relativi all’assedio di Rovasenda intorno
alla metà di luglio dello stesso anno (1413), quando Amedeo VIII con il suo esercito si
trattenne per qualche giorno nell’accampamento, in un padiglione per lui appositamente
allestito, potendo disporre tra l’altro di una buona scorta di svariate spezie,
espressamente comprate per la missione da compiere <<in campis>>.” (vedi sopra).
La citazione si riferisce ad un sovrano, ma è comunque adattabile ai comuni militari,
presumo che venissero cucinate soprattutto formaggi, carni allo spiedo o lessate
accompagnate da salse, zuppe di legumi o cereali insaporite con carne essiccata o
salata.
Le salse erano molto diffuse nel medioevo come accompagnamento alle carni, anche tra
il popolo minuto.
Pertanto, non esistendo una documentazione sulla cucina cosiddetta “da campo”, ho
selezionato alcune ricette di facilmente realizzazione durante un evento.
Ho scelto ricette di origine italiana perchè mi sembra logico, impersonando compagnie
italiane, ricostruire ricette della nostra tradizione che potrebbero essere più vicine a
quella che era la cucina popolare dell’epoca rispetto a ricette di origine straniera.
Ho inserito anche alcune ricette di torte, che non sono realizzabili in campo, ma se
vengono preparate a casa, possono rappresentare una gustosa alternativa al “pane e
formaggio o salame” che generalmente si mangia appena finito di montare il campo.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Brodo de ciceri rosci
Per farne octo menestre: togli una libra et meza di ciceri et lavali con acqua calda e
poneli in quella casseruola dove gli vorrai cocere et che siano sciutti et mettevi meza
oncia di farina, cioè del fiore, et mettevi pocho olio et bono, et un pocho di sale, et
circha vinti granelli di pepe rotto, et un pocha di canella pista, et mena molto bene tutte
queste cose inseme con le mani. Dapoi ponivi tre bocali d'acqua et un pocha di salvia,
et rosmarino, et radici di petrosillo, et fagli bollire tanto che siano consumati a la
quantitade di octo menestre. Et quando sono quasi cotti mittivi un pocho d'oglio. Et se
lo brodo si facesse per ammalati non gli porre né olio né spetie.
Tratta da il "Libro de arte coquinaria" di maestro Martino.
Minestra di ceci
Ingredienti: 200 gr. di ceci, 1 cucchiaio di farina, 2 cucchiai di olio d'oliva, 10 grani di
pepe macinati grossolanamente, 1/2 cucchiaino di cannella in polvere, salvia,
rosmarino, gambi di prezzemolo, sale.
La sera prima: mondare e lavare i ceci (assicurarsi che siano dell'anno e che l'acqua
impiegata per lessarli non contenga molto calcare, altrimenti cuociono con difficoltà e
restano duri sotto i denti.). Metterli a bagno in acqua tiepida per tutta la notte.
Il giorno stesso: mescolare farina, olio,pepe, cannella in una pentola capiente.
Aggiungere i ceci e mescolare ancora una volta con le mani. Ricoprire con acqua
fredda. Portare a ebollizione. Se necessario, schiumare in superficie. Aggiungere un bel
rametto di salvia e di rosmarino, e un mazzetto di prezzemolo. Lasciar sobbollire per 2
ore a fiamma molto bassa, finché i ceci non sono diventati molto teneri. Salare a fine
cottura. Difficile prevedere con esattezza i tempi di cottura, che dipendono dalla qualità
e dalla freschezza dei legumi
De' ceci
Togli ceci rossi o bianchi; e, tenuti a mollo, cuocili col pepe, e col zaffarano, e erbe
odorifere. E quando sono queste cose cotte, ponne parte nel mortaio e pesta che sia
spessa, e ponvi brodo saporoso, e poi ponvi castagne arrostite intere, e radice di
petroselli e brodo di carne; ovvero, a questo modo, le puoi cuocere con la carne, se
vuoli.
Tratta da Libro della cocina” anonimo toscano del XIV° secolo
Minestra di ceci
Ingredienti: 500 g di ceci secchi, lasciati a bagno in acqua fredda per almeno
ventiquattr'ore, 300 g di castagne arrostite e sbucciate, oppure castagne secche
ammollate dodici ore e lessate, 2 litri di ottimo brodo di carne, pepe, zafferano, un
piccolo mazzetto di erbe aromatiche fresche (prezzemolo, salvia, rosmarino,
maggiorana, timo)
Porta i ceci a mezza cottura (circa un'ora e mezza), mettendoli sul fuoco con
abbondante acqua fredda; scolali, mettili in una pentola con il brodo e le erbe
aromatiche, e fai bollire a fuoco lento. Quando i ceci saranno cotti, scolane una parte, e
schiacciarli, rimettili nel brodo, aggiungendo anche le castagne, abbondante pepe e un
pizzico di zafferano. Togli il mazzetto di erbe e fai bollire la zuppa ancora per un quarto
d'ora.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Fave fresche con brodo di carne
Piglia le fave et mondale con l’acqua calda come se fanno le amandole, et poi le mitti a
bollire in bon brodo. Et quando ti pareno cotte mette con esse un pocho de petrosillo et
menta battuta facendogli bollire etandio de bona carne salata. Et questa menestra volle
essere un pocho verde che pare più bella. Et similmente poi fare i peselli, et ogni altro
leghume fresco, ma nota che non voleno essere mondi con l’acqua calda como le fave,
ma lasciali pur così con quella sua scorza sottile.
(Libro de arte coquinaria – Mastro Martino da Como – Seconda metà del XV° secolo –
Ms.Urbinate Latino 1203 Roma, biblioteca Apostolica Vaticana)
Fave fresche con brodo di carne
Ingredienti: 1/2 litro di brodo di manzo o di pollo, 2 kg di fave o piselli freschi, 100 g,
di pancetta, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 1/2 cucchiaio di menta tritata, sale.
Sgranare le fave e sbollentarle per qualche istante, scolarle e farle raffreddare sotto
l’acqua fredda e spellarle.
Mettere in casseruola il brodo, le fave o i piselli, portare ad ebollizione finche le fave si
sbriciolano, Aggiungere il prezzemolo, la menta e la pancetta a dadini, Riportare ad
ebollizione per qualche minuto. aggiustare di sale e servire.
Per fare zanzarelli
Per farne dece menestre: togli octo ova et meza libra de caso grattugiato, et un pane
grattato, et mescola ogni cosa inseme. Dapoi togli una pignatta con brodo di carne
giallo di zafrano et ponila al focho; et como comincia a bollire getta dentro quella
materia, et dagli una volta con cocchiaro. Et como te pare che sia presa toglila dal
focho, et fa¹ le menestre, et mittivi de le spetie di sopra.
Tratta da “Libro de arte coquinaria” Maestro Martino da Como Ms. Washington
Library of Congress (introno 1450)
Zanzarelli
Ingredienti: 2 litri di brodo di carne, 8 uova, 200 g. di parmigiano grattugiato, 80 g. di
pane grattugiato, una bustina di zafferano, spezie dolci e spezie forti.
Mescolare il parmigiano e il pangrattato alle uova sbattute fino ad ottenere un impasto
non troppo denso. (Si possono aumentare o diminuire le dosi a seconda dei gusti e della
consistenza desiderata).
Portare il brodo ad ebollizione, togliere dal fuoco, aggiungere lo zafferano e lasciare in
infusione finché il brodo assume un bel colore dorato. Portare nuovamente ad
ebollizione e versare l’impasto in un sol colpo. Rimestare una volta con un cucchiaio e
aspettare che riprenda il bollore. Lasciare bollire per qualche istante finché la zuppa
non assume un aspetto leggermente granuloso.
Togliere dal fuoco. Spolverare generosamente di spezie.
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Menestra d’herbette
Togli le foglia di viete, et un pocha di borragine et fagli dare un boglio in acqua chiara
bogliente quando le mitti dentro; dapoi cacciale fore et battile bene col coltello. Et togli
un pocho de petrosillo, et di menta cruda, et similemente le batti co le ditte herbe.
Dapoi macinale bene nel mortale, et mittile in una pignatta con brodo grasso et falle
bollire un pocho. Et se ti pare mettevi un pocho di pepe.
Minestra d’erbette
Ingredienti: 1,5 litri di brodo di manzo, 500 g di foglie di bietola, 1 pugno abbondante
di borragine o spinaci o cicoria, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 mazzetto di menta fresca,
sale e pepe.
Mondare e lavare le bietole e le altre verdure. Cuocerle in acqua bollente salata per
cinque minuti senza coprire. Scolare e strizzare con cura. Tritarle fini.
Lavare il prezzemolo e la menta. Tritare il prezzemolo.
Portare a ebollizione il brodo. Aggiungere le erbe cotte 3 cucchiai di prezzemolo tritato
e 2 o 3 cucchiai (secondo i gusti) di menta tritata al momento.
Far riprendere il bollore, aggiustare di sale, pepare e servire.
Se vuoi i gnocchi
Togli lo cascio fresco e pestalo: poscia togli la farina et intridi con tuorla d'uova a modo
di migliacci. Poni il paiuolo al fuoco con acqua e quando bolle, poni lo triso in su in
uno taglieri, fallo andare colla cazza nel paiuolo, e quando sono cotti, poni sopra li
taglieri e getta su assai cacio grattugiato.
Tratto da "Frammento di un libro di cucina del secolo XIV"
Gnocchi di formaggio fresco
Ingredienti:
600 g. di formaggio fresco molto grasso (pecorino fresco, caprino, marzolino ecc.), 200
g di farina, 6 rossi d'uovo, 6-8 cucchiai di parmigiano appena grattugiato, sale.
Schiacciare il formaggio fino a ridurlo in crema. Se è un po' sodo, passarlo al setaccio.
Mescolarlo con le mani alla farina. Salare e aggiungere uno alla volta i rossi d'uovo.
Mescolare con le mani fino a ottenere un composto omogeneo né troppo duro né troppo
molle.
Mettere sul fuoco una grande pentola d'acqua salata. Versare il composto in un piatto.
Quando l'acqua bolle, prendere la pasta a cucchiaini e farla cadere nella pentola. Se si è
in due, l'operazione è più veloce.
Lasciar cuocere per qualche minuto. gli gnocchi sono pronti quando vengono a galla.
Scolarli e disporli in un piatto preriscaldato. Spolverare generosamente di parmigiano
grattugiato e servire.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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De tria ianuensis
Ad triam ianuensem, suffrige cipolas cum oleo et mite in aqua bulliente, decoque, et
super pone species; et colora et assapora sicut vis. Cum istis potes ponere caseum
grattatum vel incisum. Et da quandocumque placet cum caponibus et cum ovis vel
quibuscumque carnibus.
Tratto da“Liber de coquina” di Anonimo trecentesco della corte angioina.
Della tria genovese.
Per fare tria genovese soffriggi cipolle con olio e metti in acqua bollente; fa cuocere e
mettivi sopra spezie; e colora e insaporisci come vuoi. Con queste puoi mettere
formaggio grattato o tagliato a pezzi. E servile ogni qual volta ti piaccia insieme con
capponi o con uova o con qualunque carne.
Per fare belli macharoni ciciliani.
(P)iglia della farina bellissima e impiastala con biancho di ovo e con acqua rosata ho
vero acqua comune e volendone fare due biattelli non vi porre piu che uno o due
bianchi di ove e fa questa pasta bene dura di poi fanne pastoncello lungo uno palmo e
sottile quanto una pagliucha e togli uno filo di ferro lungo uno palmo ho piu e sottile
quanto uno spago e ponilo sopra al dicto bastoncello e dalli una volta con tutte e due le
mani sopra una tavola di poi chaccia fuora el ferro e retira el macharone pertusato in
mezo e questi macharoni si debbano sechare al sole e dureranno due ho tre anni
spetialmente faccendoli della luna dagosto e quocendoli in acqua ho in brodo di carne e
mettili in piatteli con caso grattusato in buona quantita buturo fresco e spetie dolce. Et
questi tali macharoni vogliono bollire per ispatio di due ore.
Tratta da “Libro de arte coquinaria” di Maestro Martino.
Maccheroni Siciliani
Ingredienti: Per la pasta:500 g. di farina di grano duro, 5 albumi, acqua di rose o acqua
comune. Per condire: burro, parmigiano grattugiato, spezie dolci (zenzero, cannella e
chiodi di garofano).
Impastare la farina con gli albumi e l’acqua di rose o l’acqua, fino ad ottenere un
impasto liscio ma piuttosto duro.
Prendere dei piccoli pezzi di pasta e farne un rotolino lungo come un palmo e piuttosto
sottile.
Prendere un ferro lungo un po’ più di un palmo e con il diametro come uno spago,
appoggiarlo sul rotolino di pasta e arrotolando avvolgere la pasta sul ferro, sfilare il
ferro e mettere ad asciugare.
Cuocere in acqua salata o brodo, scolare e condire con burro, parmigiano grattugiato e
spezie.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Per fare un suffritto de carne, o de pippioni, o de pollastri, o de capretto.
In prima nectali molto bene et tagliali in quarti o vero in pezzi piccholi, et poneli in una
pignatta a frigere con bono lardo voltando spesse volte col cocchiaro. et quando la
carne è quasi cotta getta fore la maiore parte del grasso de la pignatta. et dapoi toglide
bono agresto, doi rosci de ova, un pocho pocho de bono brodo et de bone spezie, et
meschola queste cose inseme con tanto zafrano che siano gialle et ponile in la dicta
pignatta inseme co la carne et lascial bollire anchora un pocho tanto che tutte queste
cose ti parano cotte. Dapoi togli un pocho pocho de petrosillo battuto menuto et ponilo
inseme col ditto soffritto in un piattello et mandalo ad tavola. Et questo tale soffitto
vole essere dolce o agro secundo il gusto comuno o del patrone.
(Libro de arte coquinaria – Mastro Martino da Como – Seconda metà del XV° secolo –
Ms.Urbinate Latino 1203 Roma, biblioteca Apostolica Vaticana).
Soffritto de carne, o di piccioni, o di polli, o capretto.
800 g. di pollo, 80 g. di lardo, 2 tuorli d’uovo, vino bianco o aceto di mele diluito in
acqua o succo di limone diluito in acqua, brodo di carne, prezzemolo tritato, zafferano,
spezie dolci e forti, olio, sale.
Mettere il lardo tritato in una padella con poco olio, appena comincia a friggere,
aggiungere la carne e farla rosolare bene da ogni parte a fuoco vivace, coprire la
casseruola e lasciare cuocere a fuoco basso. Quando la carne è cotta togliere la maggior
parte del grasso dalla padella.
Nel frattempo sbattere i tuorli in una tazza, aggiungere lo zafferano, le spezie, un po’ di
brodo, un bicchiere di vino bianco o aceto di mele diluito in acqua o succo di limone
diluito in acqua, aggiungerle nella padella e lasciar cuocere ancora qualche minuto
mescolando spesso, cospargere di prezzemolo tritato, mescolare e servire.
Per havere ogni carne bella alessa
Chi vole havere ogni carne bella alesso la debbe dividere in pezi come li piace et porla
a molle in acqua frescha per ispatio di una hora e poi lavarla bene con lacqua chalda e
poi con acqua frescha e porla al foco in una chaldara dove non stia stretta acciocche
rimangha piu biancha poi li debbi porre il sale secondo che e necessario e schiumarla
bene soprattutto se el sale non fusse netto ponilo in un pocho dacqua chalda e in pocho
spatio sera liquidato e converso in salimora: laquale come sia risechata si potra porre
nel chaldaro pianamente accioche non vi andasse la terra che sera in sul fondo e se la
carne fusse vecchia e dura spetialmente capponi ho galline chavala parechie volte del
lacqua bollente e rinfreschala con acqua frescha e in questo modo sera piu bella e piu
presto chotta.
(Libro de arte coquinaria – Mastro Martino da Como – Seconda metà del XV° secolo –
Ms.Urbinate Latino 1203 Roma, biblioteca Apostolica Vaticana).
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Per fare ogni bello arosto
Per fare bello arosto di pollastri de capponi di chapretti ho di qualunche altra carne che
meriti esse arosto prima se fusse carne grossa falla trarre un bollore excepto se fusse
vitello giovine e poi larderala come si fa li arrosti. Se fusse cappone fasano pollastro
capretto ho qualunche altra carne che meriti arrosto fa che sia ben netta e pulita poi
mettila in acqua bollente e subito cavala fuori e ponila in acqua fredda e questo si fa
accioche sia più bella e meglio si possa concialre poi lardala cioe con lardo battuto e
altre cose convenienti odorifere onta bene ho vero secondo la volunta del tuo padrone e
dentro se ti piace vi poni di buone herbe e prugne seche marasche ho ghisciole ho in
tempo dello agresto et altre cose simili e poi mettila ordinatamente nello spedo ponila al
fuocho e daglielo nel principio adagio perche sia bello e buono arosto se debbe quocere
piano piano e quando ti pare che sia presso che cotto piglia uno pane biancho e
gratugialo minuto e con esso pane misticha tanto sale come ti pare necessario per lo
arrosto poi getta questa mescholanza di pane e di sale sopra lo rosto in modo che ne
vadi in ogni luogo poi dalli una buona chalda di fuocho faccendolo voltare presto. et in
questo modo haverai el tuo arosto bello e colorito e doppo mandalo a tavola e quanto
piu presto meglio.
(Libro de arte coquinaria – Mastro Martino da Como – Seconda metà del XV° secolo –
Ms.Urbinate Latino 1203 Roma, biblioteca Apostolica Vaticana).
Ingredienti: un pezzo di carré di maiale con le ossa da circa 1 kg., 2 hg, di lardo tritato,
un mazzetto di erbe aromatiche (salvia, rosmarino, maggiorana, ecc), qualche prugna
secca, pane grattugiato, sale.
Portare ad ebollizione dell’acqua, metterci la carne, appena riprende il bollore toglierla
e metterla a bagno in acqua fredda.
Mescolare il lardo con le erbe tritate, fare dei taglietti nella carne e riempirli con il lardo
e le erbe tritate, inserire alcune prugne secche e cuocere allo spiedo.
Mescolare il pane grattugiato con il sale. A cottura quasi ultimata cospargere la carne
con il pangrattato e finire di cuocere.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Per aconciare bene una porchetta
Fa’ in prima che sia ben pelata in modo che sia biancha et netta. Et poi fendila per lo
deritto de la schiena et caccia fore le interiori et lavala molto bene. Et dapoi togli i
figatelli de la ditta porchetta et battili bene col coltello inseme con bone herbe, et togli
aglio tagliato menuto, et un pocho di zafrano, et mescola tutte queste cose et mettele in
la ditta porchetta, reversandola à modo che si fanno le tenche, cioè ponendo quello di
dentro di fori. Et dapoi cusila inseme et legala bene et ponila accocere nel spedo, o vero
su la graticola. Ma falla cocere adascio che sia ben cotta così la carne como etiamdio il
pieno. Et fa una pocha di salamora con aceto, pepero et zafrano, et tolli doi o tre
ramicelle de lavoro, o rosmarino; et gitta spesse volte di tal salamora sulla porchetta; et
simile si po’ fare de oche, anatre, gruve, capponi, pollastri, et altri simili.
Tratta da il "Libro de arte coquinaria" di maestro Martino.
Porchetta
Ingredienti: 1 maialino di 5-6 kg., con il suo fegato, 1/2 kg. di lardo, 300 g. di
parmigiano o grana grattugiato, 100 g. di aglio, 200 g. di erbe miste (prezzemolo, aneto,
maggiorana, menta), 6 uova, 1/2 litro. di aceto di vino rosso di buona qualità, qualche
pizzico di stigmi di zafferano, 1 rametto di alloro fresco, 1 rametto di rosmarino fresco,
sale, pepe.
Pulire accuratamente il maialino quindi spolverarne generosamente l’interno con sale e
pepe. Tritare il fegato, il lardo e le erbe ben lavate e mondate. Tritare e pestare l’aglio.
Mischiare tutti gli ingredienti e aggiungere il formaggio grattugiato, aggiungere le
uova, condire con sale, pepe e zafferano. Farcire il maialino, tenendo presente che la
farcia non lo deve riempire completamente, ma ha piuttosto una funzione aromatica.
Non si deve quindi esitare a farla molto saporita.
Arrostire spennellando spesso l’animale con un rametto d’alloro e uno di rosmarino
bagnati in aceto, sale e pepe e alcuni stigmi di zafferano.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Rosto in cisame bono e perfetto optimo
Se tu voy fare rosto in cisame toy una lonza de porco e arostisila e toy ovi crudi e cocti
e fay pestare insieme e toy bon vino biancho e aceto emiti a bolire in la padella e fay
peze del rosto e metili a bolire con esso e metige datali taiati e pignoli e uva sarasinesca
ben lavata e specie; e quando è cocto levalo del foco e serà bono.
Tratto da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo.
Arrosto in cisame
700 g.di lonza di maiale, mezzo bicchiere di vino bianco, mezzo bicchiere di ottimo
aceto, 50 g. di pinoli, 50 g. di datteri snocciolati e tagliati a pezzi,2 uova, 50 g. di uva
passa ammollata, 2 0 3 pizzichi di spezie dolci e forti, sale olio di oliva.
Fare rosolare la carne in una casseruola con poco olio, salare e fare cuocere coperto a
fuoco lento. Rassodare un uovo e passarlo nel mixer con l’uovo crudo, il vino, l’aceto e
le spezie fino ad ottenere un composto fluido. Togliere la carne dalla pentola e versarvi
il composto aggiungendovi la frutta secca, Portare ad ebollizione su fuoco basso,
mescolando di tanto in tanto. Tagliare la carne a dadi e aggiungerla agli altri
ingredienti. Lasciare insaporire per una decina di minuti e servire.
2- Sunt quidam qui, tempore estiuali, pullos iuuenes preparant in hunc modum: primo,
inflant, ut cutis a carne fiat separatio, spola anseris tibiis imponendo; post, replent
undique interius tali condimento: accipiunt ysopum et petrosillum et saluiam
aliquantulum perbullita et minutim incissa, et carnes macras porcinas teneres, et de
lardo baconis, et iecur ipsius pulli, et oua perdita dura, et maxime uitella; que duobus
cutellis hagantur in tabula. Post, apponitur puluis istarum specierum cum sale uidelicet
piperis albi, longi et nigri, zinziberi, cynamomi; de quo condimento intus et extra pullo
repleto et bene consuto uel ligato, assant a remotis ad hoc ne rupantur et ne interius
remaneat crudus et non combustus.
Tractatus de modo preparandi e condiendi omnia cibaria Databile tra il 1360 e il 1370
di probabile origine italiana
Pollo ripieno
V’è chi, d’estate, prepara i polli giovani in questo modo: anzitutto li gonfia, per
separare la pelle dalla carne, adattando una sacca di pelle d’oca alle cannule per
insufflare; poi fa il ripieno con questa farcia: prende issopo, prezzemolo e salvia
sbollentati e tritati finemente, carne magra e tenera di maiale, bocconcini di lardo, il
fegato del pollo stesso, uova sperdute(1), e specialmente tuorli, e batte il tutto con due
coltelli sul tagliere. Poi si aggiunge sale e polvere delle seguenti spezie: pepe bianco,
pepe lungo, pepe nero, zenzero e cinnamomo; con questo pastume riempie il pollo
dentro e fuori tra carne e pelle, lo ricuce bene e lo fa arrostire distante dal fuoco, perché
non si rompa e tuttavia non rimanga crudo all’interno.
(1) si può tradurre con uova in camicia, si possono comunque utilizzare uova crude.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Assadura bouina, cum costis iuxta dorsum acceptum, simpliciter in ueru assatur et cum
bullito pipere administratur.
Tractatus de modo preparandi e condiendi omnia cibaria Databile tra il 1360 e il 1370
di probabile origine italiana
Costata di manzo
1 bella costata di manzo di 1 – 1,5 kg, 2 cucchiai di pepe nero in grani, 1,5 dl. d’acqua,
sale.
Preparare la costata in modo di ripartire ugualmente il suo peso intorno allo spiedo. se
non si ha a disposizione uno spiedo, mettere la costata su una griglia non troppo vicino
al fuoco. Cuocere 3’ – 40 minuti rigirandola con regolarità, oppure rigirandola una
volta solo a metà cottura, se la si arrostisce semplicemente sulla griglia.
Nel frattempo, frantumare i grani di pepe nel mortaio o col mattarello. Far bollire per
qualche minuto nell’acqua. Salare leggermente.
Quando la costata è cotta, far riposare per qualche istante affinché il sangue della carne
si ripartisca equamente. Tagliare a fette regolari, salare e servire col pepe bollito.
Per fare polpette di carne de vitello o de altra bona carne
In prima togli de la carne magra de la cossa et tagliala in fette longhe et sottili et battile
bene sopra un tagliero o tavola con la costa del coltello et togli sale et finocchio pesto et
ponilo sopra la ditta fetta di carne. Dapoi togli de petrosimolo, maiorana et bon lardo et
batti queste cose inseme con un poche de bone spezie, et distendile bene queste cose in
la dicta fetta. Dapoi involtela inseme et polla nello speto accocere. Manon la lassare
troppo seccar al focho.
Tratta da “Libro de arte coquinaria” Maestro Martino da Como Ms. Washington
Library of Congress (introno 1450)
Polpette di vitello
Bistecche di vitello o vitellone (carne magra della coscia) tagliate a mano, una fetta di
lardo per ogni bistecca, semi di finocchio pestati nel mortaio, prezzemolo e
maggiorana, spezie forti, sale.
Battere leggermente le fette di carne, salarne e cospargerle con i semi di finocchio
pestati. Tritare le erbe aromatiche con il lardo, mescolare bene aggiungendo le spezie
forti. Spalmare il ripieno sulle bistecche, arrotolare e infilare sugli spiedi. Cuocere sulla
griglia o sullo spiedo senza farle seccare troppo. Eventualmente spennellarle con un po’
d’olio utilizzando un rametto di rosmarino come pennello.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Fungi di monte
toglie fungi di monte, e lessali: e gittane via l'acqua, mettili poi a friggere con cipolla
tritata minuto, o con bianco di porro, spezie e sale e dà a mangiare.
Tratta da " il libro di cucina del secolo XIV"
Funghi saltati alle spezie
Ingredienti: 500 gr. di funghi misti, 1 cipollina, olio d'oliva, 1 pizzico di pepe appena
macinato, 1 pizzico di zenzero in polvere, 1 pizzico di noce moscata appena grattugiata,
2 pizzichi di coriandolo in polvere, sale.
Mondare e lavare i funghi. Se sono grossi, tagliarli in due o in quattro parti.
Cuocerli in acqua bollente per 10 minuti e scolarli con cura.
Frattanto, tritare fine la cipolla e farla sciogliere in un filino d'olio. Aggiungere i funghi
e rosolarli per qualche istante a fuoco vivo. Salare e aggiungere le spezie; abbassare la
fiamma, coprire e sobbollire per una quindicina di minuti. Sorvegliare la cottura
mescolando di tanto in tanto e, quando sono ben dorati, servire.
De la insaleggiata di cipolle
Togli cipolle; cuocile sotto la bragia, e poi le manda, e tagliale per traverso longhette et
sottili: mettili alquanto d'aceto, sale oglio, e spezie, e dà a mangiare.
tratta da "Il Libro della cucina del secolo XIV"
Insalata di cipolle alla brace
Ingredienti: 800 gr. di cipolle di media grandezza, 1 filino d'olio di oliva, 1 filino di
buon aceto di vino, 1/3 di cucchiaino di spezie fini.
Se si ha il caminetto, cuocere le cipolle sotto la brace finché non siano tenerissime. La
buccia delle cipolle sarà nera e caramellata. Quando non scottano più tanto, sbucciarle e
affettarle fini. Mettere in un'insalatiera. Salare, cospargere con un 1/3 di cucchiaino di
spezie in polvere. Bagnare con un filino d'olio e d'aceto. Mescolare e servire.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Agliata bianca
Piglia de le amandole monde molto bene et falle pistare, et quando sonno mezze piste
metti dentro quella quantità d'aglio che ti pare, et inseme le farai molto bene pistare
buttandogli dentro un pocha d'acqua frescha perché non facciano olio. Poi piglierai una
mollicha di pane biancho e mettirala a mollo nel brodo magro di carne o di pesce,
secundo i tempi; et questa agliata poterai servire et accomodare a tutte le stagioni grasse
et magre como ti piacerà.
Tratta da "Libro de arte coquinaria" di Maestro Martino
Ingredienti: 70 gr. di mandorle, 3 spicchi d'aglio, la mollica di una fettina di pane, 40 cl
di brodo di carne ben sgrassato, sale.
Mondare le mandorle e pestarle (o frullarle) aggiungendo l'uno dopo l'altro gli spicchi
d'aglio, sempre continuando a pestare. Mettere la mollica a bagno in una parte del
brodo, schiacciarla bene fino a ottenere un composto liscio e aggiungere la pasta di
mandorle e aglio. Montare questa miscela stemperandola col brodo fino a ottenere la
consistenza desiderata.
Potrete preparare questa salsa per accompagnare la gallina lessa o il bollito, utilizzando
il brodo precedentemente sgrassato.
Salza verde a capretto e ad altre carni alesse
Toy petrosemolo e zenzevro e garofali e fiore de canella e un poco de sale e pista ogni
cossa inseme e distempera con bono aceto; fay che sia temperato e non vole stare che se
guasta.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa Verde
Ingredienti (per una ciotolina): 4 cucchiai d'aceto di vino di buona qualità, 3 cucchiai di
prezzemolo tritato finemente, 1 punta di cucchiaino di zenzero in polvere, 1 punta di
cucchiaino di cannella in polvere, 1 punta di coltello di chiodi di garofano in polvere, 1
pizzico di sale grosso.
Pestare nel mortaio il prezzemolo tritato insieme al sale grosso in modo da ottenere un
purè sugoso, Aggiungere le spezie e pestare di nuovo. Stemperare con l'aceto.
Si ottiene una salsa non legata ma sufficientemente densa. Servire con qualsiasi tipo di
bollito sia caldo che freddo.
Come molto saggiamente sottolinea l'autore della ricetta, il colore di questa magnifica
salsa sbiadisce rapidamente. Va quindi preparata poco prima di servire.
La salsa verde è un grande classico della cucina medievale, e tutti i trattati ne
forniscono una ricetta.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Savore camelino optimo
Affare savore camelino optimo, toy mandole monde e masenale e colali, toy uva passa
e canella e garofani e un pocho de molena de pan e masena ogni cossa in seme e
distempera con agresto ed è fato.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa Camelina
Ingredienti: 70 gr. di mandorle spellate, 40 gr. di uva passa, 40 gr. di mollica di pane
raffermo, 30 cl. di agresto oppure 20 cl. di aceto di mele diluito in 10 cl. d'acqua, 1
cucchiaino di cannella in polvere, 1/4 di cucchiaino di chiodi di garofano in polvere,
sale.
Lavare e poi mettere e bagno per 1 ora l'uva passa. Pestare nel mortario le mandorle,
quindi stemperarle in un po' d'acqua. Filtrare la miscela ottenuta. Pestare nel mortario
l'uva passa insieme alle spezie e alla mollica di pane precedentemente messa a bagno in
un po' d'acqua. Mischiare il latte di mandorle e l'uvetta e aggiungervi l'agresto.
Amalgamare bene, salare leggermente e, se necessario, aggiustare il condimento. La
consistenza dev'essere fluida, il colore biondo vivo.
La camelina è un classico delle tavole medievali e, insieme all'agliata e ad alcune salse
verdi, è un complemento quasi d'obbligo sia per i bolliti che per gli arrosti. Il nome
"camelina" si può riferire alla cannella o al color "pelo di cammello" di questa
preparazione, dato che le salse erano spesso definite in base al loro colore o a seconda
della spezia predominante.
Salsa Lombarda
Piglia juivert menta salvia alio pepe serpillo una foglia de biete pane brusculado infuso
in aceto he pista ogni cosa inseme he distempera cum aceto he se tropo forte mite
inseme saba ho un poco de brodo.
(Libro de arte coquinaria – Mastro Martino da Como – Seconda metà del XV° secolo –
Ms. Buhler 19 Pierpoint Morgan Library, New York)
.
Salsa Lombarda
Ingredienti: un mazzetto di prezzemolo, un po’ di menta e salvia, uno spicchio d’aglio,
un foglia di bieta, una fetta di pane abbrustolito e bagnato con aceto, pepe, sale,un po’
di brodo.
Tritare le erbe con l’aglio, mescolare al pane ridotto in poltiglia, aggiungere sale e pepe
e se troppo forte diluire con un po’ di brodo.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Savore tartaresco perfettissimo
Toy l’aglio mondo e coxi in acqua, toy mandole e cenamo e zensebro e garofali e
zucharo e rossi d’ovi cocti e masena ogni cossa inseme e distempera con aceto. Questo
è bon savore a porchetta rosta ed altra carne.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa tartaresca
Ingredienti: 3 spicchi d’aglio, 2 cucchiaini di mandorle polverizzate, 2 tuorli d’uovo
sodo, un pizzico di zenzero, uno di cannella e una punta di chiodi di garofano, un
cucchiaino di zucchero, un pizzico di sale, acetoLessare gli spicchi d’aglio e pestarli con gli altri ingredienti. Diluire con aceto fino ad
ottenere una salsa omogenea.
Savore rinforzato perfetto
Se tu voy fare savore reforzato toy garofali e cinamo e zenzevro e un pocho de
gardanino e noxelle pellate suso la cenere calda e un pocho de molena de pan e
zucharo; pesta queste cosse inseme un pocho e maxena con aceto; e questo si è bono
savore con zaschuno rosto.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa rinforzata
Ingredienti: 50 g. di nocciole sgusciate e spellate, 2 cucchiaini di pangrattato, 1
cucchiaino di zucchero, un pizzico di chiodi di garofano in polvere, un pizzico di
cannella, un pizzico di zenzero in polvere, un capsula di cardamomo macinata, un po’
di aceto diluito in acqua, sale.
Polverizzare in un mortaio le nocciole e mescolarle a tutti gli altri ingredienti.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Savore confetto
A ffare savore confetto toy pan e rostillo e mitilo a moglo in aceto; toy garofali e
melegete, zenzevro, cenamo, noce moschate e gardanino e zucharo e masena ogni cossa
insieme e distempera con axèo e bona agresta ed è fato.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa Confetto
Ingredienti: Pane arrostito, aceto, chiodi garofano, semi di cardamomo, zenzero,
cannella, noce moscata, zucchero.
Prendere il pane arrostito e inzupparlo in aceto diluito con un po’ d’acqua, strizzarlo e
schiacciarlo. Pestare nel mortaio qualche semino di cardamomo (quelli piccoli e neri
che si trovano all’interno del baccello, fare attenzione perchè sono molto aromatici).
Mescolare un pizzico di chiodi di garofano in polvere, zenzero e cannella in polvere il
cardamomo pestato e un cucchiaino di zucchero. Aggiungere le spezie al pane
mescolare bene e diluire con un po’ di aceto eventualmente mescolato ad acqua fino ad
ottenere una consistenza cremosa. Regolarsi secondo il gusto personale per la quantità
di spezie, aceto e zucchero.
Savore a carne alessa overo arosto
Se tu voy fare salomono toy la semenza del aneso e mandole monde e zenzevro e noce
moschate e zucharo e masena ogni cossa insieme e distempera con aceto e questo è
bono savore a carne de castrado alessa overo arosto.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa per carne di lessa o arrosto
Ingredienti: Mandorle spellate, semi di anice, zenzero, noce moscata, zucchero, aceto.
Pestare tutto insieme nel mortaio e diluire con aceto.
Questa è una salsa buona con carne di castrato sia lessa che arrosto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Specie fini a tutte cosse
Toy una onza de pevere e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de garofali e
uno quarto de zaferanno.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Spezie fini per tutti gli usi
Ingredienti: 16 gr. di pepe macinato, 16 gr. di zenzero in polvere, 16 gr. di cannella in
polvere, 4 gr. di zafferano, 2 gr di chiodi di garofano in polvere.
Mescolare tutti gli ingredienti e utilizzare al bisogno.
Specie negre e forte per assay savore
Specie negre e forte fer fare savore; toy mezo quarto de garofali e do onze de pevere e
toy arquanto pevere longo e do noce moscata e fa de tute spece.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Spezie nere e forti per molte salse
Ingredienti: 60 gr. di pepe, 60 gr. di pepe lungo, 4 gr. di chiodi di garofano, 2 gr. di
noce moscata.
Mescolare le spezie e usare all'occorrenza.
Specie dolce per assay cosse bone e fine
Le meior specie dolce fine che tu fay se vuoi per lampreda in crosta e per altri boni
pessi d’aque dolze che se faga in crosto e per fare bono brodetto e bon savore. Toi uno
quarto de garofali e una onza de bon zenzevero e toy una onza de cinamo leto e toy
arquanto folio e tute queste specie fay pestare insiema caxa come te piaxe, ese ne vo’
fare più,toy le cosse a questa medessima raxone et è meravigliosamente bona.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Spezie Dolci
Ingredienti: 20 g. di zenzero, 20 g. di cannella, 5 g.di chiodi di garofano.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Torta de fongi bona e perfettissima.
Se tu voy fare torta de fongi colà, toy li fongi intriegi mondi ben lavati, fane morseli
grande e premi ben fuora l’ acqua e toy lardo insalato distruto e ben colato e mitili al
sofrigere con esso li fongi e alquanta aqua che non se ardesseno e quando sono apresso
cocti, trali fuora in uno catino e mitigi con essi quantità di caxo e de ova e meti questo
batuto in uno testo con una crosta molto sutille la qualle forte molto vole essere sotille e
zalla e ponderosa de specie e assay fongi e puocho e ova e fallacoxere bene.
Tratta da “Libro per cuoco” anonimo veneziano del XIV secolo
Torta di funghi
Ingredienti: 500 g. di funghi misti puliti e tagliati a pezzetti, 100 g. di lardo tagliato
minuto, 100 g, di raveggiolo ( oppure linea osella o cestella osella), una manciata di
parmigiano grattugiato, 2 uova.
Per la pasta: 200 g, di farina, 100 g.di burro, sale e acqua, un pizzico abbondante di
spezie forti, ½ bustina di zafferano.
Preparare la pasta brisée aggiungendo le spezie e lo zafferano e lasciarla raffreddare in
frigo per un paio d’ore. tirare una sfoglia sottile, foderare una tortiera.
Sciogliere a fiamma bassa il lardo in una casseruola, aggiungere i funghi e cuocere
mescolando spesso (deve consumarsi l’acqua di vegetazione). Frullare il formaggio con
le uova e il parmigiano per ottenere un composto cremoso.
Mescolare il frullato di formaggio e uova ai funghi cotti, regolare di sale, stendere nella
crosta di pasta e cuocere in forno caldo (180° ) per circa un’ora, deve risultare ben
dorata.
Torta de schalogne o de cepolle
Se tu voy fare torta de queste do cosse, toy quale tu voy e fay ben allessare. Pone prima
l’acqua fuora ben con stamegna e po’ le bati finalmente e toy lardo fino e batilo bene;
toy l’ova e caxo fresco e zafarano e bati insiema e fay la torta.
Tratto da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo.
Torta di scalogno o di cipolle
Per la pasta: 200 g, di farina, 100 g .di burro, sale e acqua.
Per il ripieno: 500 g. di scalogno o di cipolle, 125 g. di pancetta, 300 g. di formaggio
tipo raveggiolo, 1 uovo, un pizzico di zafferano, sale.
Preparare la pasta brisée e lasciarla raffreddare in frigo per un paio d’ore. tirare una
sfoglia, foderare una tortiera.
Sbucciare gli scalogni o le cipolle e lessarli in acqua bollente salata finché saranno
morbidi. Scolare e lasciare raffreddare.
Tritare finemente la pancetta e gli scalogni, mischiare con il formaggio sminuzzato,
l’uovo e lo zafferano. Versare nel guscio di pasta e fare cuocere in forno caldo (220°)
fino a doratura.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Migliaciti bianchi e vantagiati, etc.
Se tu voy fare migliaciti bianchi per lo megliore modo che fare se poy per XII persone,
toy tanto levato che sia un pan e mezo, toy aqua ben calda pocha e menalo molto questo
levato tanto che faza file; e toy quatro chaxi freschi che sia ben grassi; e toy X ova, e
toy do libre d' onto frescho ben destruto con poco fogo ben colato. E quando el levato è
ben menato, metige suso farina in quantitade de una scudella pizola, e mitige anche
acqua pocha, e mitige tri casi triti, e mitige le ove che tu ay, e fay che questo batuto sia
longo e molle, e metilo in el testo caldo e non tropo e ben onto, e tritali suso li doi casi
che tu ay ben triti, e l' altra mitade del lardo che tu ay molto caldo, e falo cosere. E se
voy fare per piú persone o per men, toy le çosse per quello modo.
Tratta da “Libro per cuoco” anonimo veneziano del XIV° secolo.
MIGLIACCIO
Ingredienti: 300 g. di farina bianca, 350 g di formaggio fresco tipo caciotta ben
schiacciato, 150 g di pancetta tritata finemente e fatta rosolare, 3 uova, ½ cubetto di
lievito di birra, mezzo cucchiaino di sale.
Sciogli il lievito sbriciolato in tre cucchiai di acqua tiepida, metti due terzi della farina a
fontana sulla spianatoia. versa nell’incavo il lievito sciolto e, sbattendo leggermente con
la forchetta, incorporalo con una piccola quantità di farina formando una pappa densa
che lascerai lievitare per circa mezz’ora.
Aggiungi l’acqua tiepida necessaria ad ottenere un impasto abbastanza sodo ed elastico,
lavoralo con le mani per una decina di minuti e lascialo lievitare coperto e in luogo
tiepido per due ore, o almeno finché avrà raddoppiato il suo volume.
In una terrina sbatti le uova con il sale e aggiungi la farina rimasta, 200 g. di caciotta e
la metà della pancetta; aggiungi anche l’impasto lievitato a pezzetti e due dita di
bicchiere d’acqua calda, lavorando ancora energicamente il tutto fino ad ottenere un
impasto ben soffice, che fari lievitare ancora un paio d’ore.
Lavora brevemente l’impasto lievitato e versalo in una teglia rettangolare unta e
infarinata.
In una padellina, senza aggiungere altro, scalda l’altra metà della pancetta e
distribuiscila sulla pasta, insieme alla caciotta rimasta.
Cuoci il migliaccio in forno caldo per circa 40 minuti.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Torta de herbe.
Se tu voy fare torta de herbe per xii persone, toi vi cassi grandi e toy granda quantità de
herbe zoè blede, petrosemolo, spinaze, menta, e do libre de lardo salato e octo ova; toy
queste herbe ben necte e ben batute e ben spremute del sugo, toy il caxo e trialo con
herbe bene grosso taglato e toy lo lardo che tu ay ben batuto al piú che tu poy e toy l'
ova che tu ay e mescola queste cosse insema e miti dentro do croste in el testo e fay
zalla la crosta de sovra questa torta molto vole essere grasso e assay caxo e molte herbe
e voy essere voa e se voy per men persone, toy le cosse a questa mesura.
Tratta da “Libro per cuoco” anonimo veneziano del XIV° secolo.
TORTA DI ERBE
Ingredienti:
Per la pasta brisée: 300 g. di farina, 150 g. di burro,sale e acqua in proporzione
Ripieno: 150 g. circa di foglie di bietola, 150 g di spinaci, 1 pugno di prezzemolo, 1
pugno di foglie fresche di menta, 250 g. di lardo o pancetta, 300 g. di raveggiolo (linea
osella), 4 uova, zafferano sciolto in acqua per colorare
Preparare la pasta brisée e lasciarla riposare in luogo fresco.
Lavare e mondare le erbe e tritarle molto fini. Schiacciare il formaggio e mescolarlo al
trito di erbe. Tritare il lardo o pancetta e incorporarlo alla miscela. Aggiungere le uova
e mescolare bene, regolare di sale. Stendere una prima sfoglia sottile e foderarne lo
stampo. Riempirla con il composto. Fare una seconda sfoglia che servirà da coperchio.
Saldare i bordi con cura. Dorare con lo zafferano sciolto in acqua servendosi di un
pennello. Cuocere in forno caldo (180 – 200°) per almeno un’ora. Controllare che la
parte inferiore sia ben cotta.
Torta communa e bona, etc.
Toy la panza del porcho fala alessare e pestala po' ben, po' la meti in uno chatino e po'
formazo fresco e menal ben inseme e metili specie dolze e forte e pignoli mondi e uva
passa e zafarano e distempera con ova. Per iij libre de carne vole cinque de caxo.
Tratta da “Libro per cuoco” anonimo veneziano del XIV° secolo.
TORTA COMUNE
Ingredienti:
Per la pasta brisée: 300 g. di farina, 150 g. di burro, sale e acqua in proporzione
Ripieno: 200 g di pancetta fresca di maiale, 350 g di raveggiolo, 100 g di pinoli, 50 g di
uva passa, 2 uova, 1 bel pizzico di spezie dolci, 1 bel pizzico di spezie forti, 1 pizzico di
zafferano.
Preparare la pasta brisée e farla riposare al fresco.
Lessare la pancetta di maiale, tritarla, aggiungere il formaggio sbriciolato, le spezie, lo
zafferano, i pinoli e l’uvetta, mescolare bene e aggiungere le uova. Stendere la pasta in
una sfoglia sottile, foderare lo stampo e riempire con il composto. Cuocere in forno
caldo (180-200°) per circa un’ora facendo attenzione che non colorisca troppo,
eventualmente terminare la cottura coprendo con dell’alluminio.
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Torta de fave fresche optima bona.
Torta di Re Manfredo da fava frescha. Toy la fava e mondala, poy la coxe in bono
lacte, poy la colla, poy toy panza de porcho cocta e batilla con cortello, e poy miti la
fava e la carne insieme, toy le specie dolze e forte e zafarano e meti in catino e mitili de
bon formazo fresco e fa el pastume, e poy fay la torta e mitige a quella lessadura entro
el pastume, e poy miti per mezo e di sopra fette de formazo dolce e grasso, etc.
Tratta da “Libro per cuoco” anonimo veneziano del XIV° secolo.
TORTA DI FAVE FRESCHE
Ingredienti: Per la pasta brisée: 300 g. di farina, 150 g. di burro, sale e acqua in
proporzione
Ripieno: 500 g di fave fresche sgranate o surgelate
100 g. di pancetta fresca di maiale (non il salume), 200 g di caciotta fresca o scamorza,
metà tritato e metà a fette, 3 dl di latte, 1 bel pizzico di spezie dolci, 1 bel pizzico di
spezie forti, 1 pizzico di zafferano.
Preparare la pasta brisée e lasciarla riposare in luogo fresco.Cuocere le fave nel latte
con un pizzico di sale fino a quando non saranno tenere, scolarle e sbucciarle e passarle
con il passaverdura, aggiungere il formaggio tritato. Lessare o rosolare la pancetta e
tritarla, mescolarla al composto di fave e formaggio e aggiungere le spezie e lo
zafferano. Regolare eventualmente di sale.
Stendere la pasta in una sfoglia alta pochi millimetri e rivestire lo stampo, stendere
metà dell’impasto e metterci sopra metà delle fette di formaggio, aggiungere il
rimanente impasto, coprire con il formaggio e cuocere in forno caldo (180-200°) per
circa un’ora, se dovesse scurirsi troppo coprire con dell’alluminio.
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Torta de riso bianco.
Habi una libra d’amandole monde et ben piste et habi un pocha d’acqua rosata, et un
pocho di brodo di riso quando è presso che cotto, et con questo distemperarai le ditte
amandole; et passarale per la stamegna, et pigliarai del riso octo oncie; et cotto che sia
il macinarai molto bene con l’amandole, agiognendovi doi once de lievito biancho, et
una quarta di farina d’amitto, overo un pocho d’ova di luccio passato per la stamegna
como è ditto di sopra, et una meza di zuccharo, item una meza oncia de pignoli mondati
et rotti un pocho nel mortale, ma non pisti. Et tutte queste cose le mescolarai inseme, le
metterai accocere con una crosta di sotto. Et quando serà meza cotta gli mettirai di
sopra de le lasagne secche ben sottili. Et fornita di cocere gli metterai sopra del
zuccharo, et dell’acqua rosata. Et nota che questa torta non vole essere troppo cotta.
Tratta da “libro de arte coquinaria” di Mastro Martino – Riva del Garda
Torta di riso
Per il ripieno: 160 g. di riso per dolci, 160 g. di mandorle, 160 g. di zucchero, 30 g. di
pinoli, qualche cucchiaio di acqua di rose,
Per la pasta: 200 g. di farina, 60 g. di zucchero, 60 g. di burro.
Lessare a lungo il riso in acqua leggermente salata, (deve essere scotto), scolarlo
tenendo da parte l’acqua di cottura e lasciare raffreddare.
Passare il riso al passaverdura aggiungendo eventualmente qualche cucchiaio di acqua
di cottura, mescolare le mandorle tritate, i pinoli spezzettati, lo zucchero e 2 cucchiai di
acqua di rose.
Preparare la pasta mescolando la farina con lo zucchero, il burro freddo e acqua fino ad
ottenere un impasto come la pasta all’uovo.
Tirare la pasta metterla in una tortiera tenendone a parte un po’ per la copertura,
aggiungere il ripieno, tagliare delle lasagne o tagliatelle con i ritagli di pasta e
cospargerli sulla torta, infornare in forno caldo a 180° per ¾ d’ora o fino a completa
cottura. Sfornare e cospargere di zucchero e acqua di rose.
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Tartare di pome ala francesa
Per fare tartare di pome ala francesa fa cocere le pome como e dito de sopra e haby
pignolli ben pisti et mette le pome in esse con zucharo asay canela zenzero zafrano
pocho poche ova de luzio ben pisto distempando ogni cossa insema con aqua rossa o
altra aqua passando per la stamegna per forza per esse uno pocho spissa ma non troppo
poy fali una pasta distempata con uno pocho de ollio zucharo e aqua e salle fazendolla
dura et fa che passa Et fa che in questa pasta sia dela materia supradicta suttille de uno
ditto et volle esse cotte al forno overo ala padella dandogli lo focho adazio farane poy
ale nevole fare con zucharo e fale in polvere con pocho di zucharo e polveriza di sopra
con aqua rossa
Tratta da “libro de arte coquinaria” di Mastro Martino – Riva del Garda
Torta di mele alla francese
Per la pasta: 200 g. di farina, 60 g. di zucchero, 30 g. di burro, 1 cucchiaio di olio
Per il ripieno: 1 kg. di mele, 6 cucchiai di zucchero, 1 cucchiaino e ½ di zenzero in
polvere, 2 cucchiaini di cannella, ½ bustina di zafferano, 6 cucchiai di acqua di rose, 50
g. di pinoli, 4 cucchiai di amido di frumento (non fecola o amido di mais non c’erano
nel medioevo).
Qualche lingua di gatto.
Cuocere le mele in forno o in un tegame, frullarle e aggiungere i pinoli tritati, e tutti gli
altri ingredienti compresa l’acqua di rose ed escluse le lingue di gatto
Preparare la pasta mescolando farina,zucchero, burro, olio e acqua fredda fino ad
ottenere un impasto sodo.
Tirare la pasta in una sfoglia che non sia più alta di un dito, mettere il ripieno e cuocere
in forno caldo (180°) per un’ora o un’ora e mezza. A cottura quasi ultimata cospargere
con le lingue di gatto polverizzate e terminare la cottura. Sfornare e spolverizzare con
zucchero e acqua di rose.
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APPENDICE
ALIMENTI PRESENTI NEL MEDIOEVO
• Fave
• Ceci
• Piselli
• Lenticchie
• Fagioli solo ed esclusivamente quelli “dall’occhio” se non si trovano meglio
evitare di cucinarli!!!!!!!!!!
• Aglio
• Cipolle
• Porri
• Scalogno
• Cavoli
• Rape
• Noci
• Nocciole
• Castagne
• Mandorle
• datteri
• Zucche solo quelle a “trombetta”
• Fichi
• Uva
• Pesche
• Pere
• Albicocche
• Arancia
• More
• Fragole selvatiche
• Melograni
• Mele cotogne
• Cedri
• Ciliege
• Nespole
• Carrube
• Ghiande
• Olive nere
• Pinoli
• Limoni
• Meloni
• Comeri
• Cetrioli
• Capperi
• Asparagi
• Spinaci
• Biete
• Radicchio
• Ravanello
• Rucola
• Ruta
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• Sedano
• Pastinaca
• Carote
• Lupini
• Luppolo
• Funghi
• Lattuga
• Cicoria
• Senape
• Menta
• Ruta
• Finocchio
• Frumento
• Orzo
• Miglio
• Panìco
• Segale
• Farro
• Sorgo
• Riso: Ha le sue origini probabilmente nell’attuale Indonesia, da dove si diffuse
in India, Indocina e Cina. Fu noto ai Greci e ai Romani, non come alimento, ma
come pianta medicinale o come spezie. In Italia probabilmente viene introdotto
intorno all’anno 1000 ad opera degli Arabi. La sua coltivazione a metà del XV
secolo è già abbastanza diffusa fra il Piemonte e la Lombardia. Nel 1475, Gian
Galeazzo Sforza dona un sacco di semi di riso ai duchi d’Este assicurando che, se
ben impiegati, si trasformeranno in 12 sacchi di prodotto. L’unica varietà di riso
coltivata fino al 1839 era il “Nostrale”. Utilizzato come spezia, medicinale o per
la preparazione di dolci. Si documentano ricette con l’uso del riso sotto forma di
minestre o per la preparazione del “biancomangiare” diffuso durante il medioevo..
• Tartufo
• Zucchero: Greci e Romani conoscevano lo zucchero, che importavano
dall’Oriente in piccole quantità, ma lo impiegavano esclusivamente a scopi
terapeutici. Divenne sempre più comune sui mercati del XIV secolo. Prodotto
inizialmente nei campi di canna dell’Asia e poi, a partire dall’XI secolo nelle isole
del Mediterraneo, lo sciroppo di zucchero veniva estratto dalla canna spezzata,
schiarito, solidificato e trasportato da mercanti arabi ai porti Europei del
Mediterraneo. Le raccolte di ricette dell’epoca attestano la crescente dipendenza
dallo zucchero per piatti che venivano preparati per le persone sane
• Faraona: detta anche “gallina faraona”, “gallina di faraone” o “di Numidia”,
vive nelle foreste aperte e nelle pianure coperte d’erba di gran parte dell’Africa e
dell’Isola di Madagascar. Sembra che la specie sia stata resa domestica dagli
antichi Greci e quindi dai Romani, che la introdussero, addomesticata, nei paesi
d’origine. Le prime razze domestiche si estinsero all’inizio dell’Era Cristiana e
questo volatile ricomparve in Europa intorno al secolo XV, quando i navigatori
portoghesi riportarono nuovi esemplari dal Golfo della Guinea. Non trovo
comunque documentazione di ricette nei manoscritti.
• Carciofo: di origine mediorientale, è stato introdotto in Occidente a opera
degli arabi. In Italia il carciofo si diffuse intorno al XV secolo, ma era già noto al
principio del Trecento. Dapprima non godette di eccessivo favore e ancora ai
primi del Cinquecento l’Ariosto scrive che “durezza, spine a amaritudine molto
più vi trovi che bontade”. Ciò non toglie che il carciofo assente nei ricettari
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precedenti, compaia costantemente nei trattati di cucina del XVI secolo, in
parecchie preparazioni e composizioni.
• Melanzana: Originaria della Cina e dell’India. Molto utilizzata nella cucina
mediorientale, la documento in una sola ricetta di Mastro Martino, dove viene
prima fritta e poi fatto cuocere tipo zuppa. Ne eviterei l’uso soprattutto grigliata
Non documento la cottura alla griglia di verdure, piuttosto venivano cotte
sotto la brace.
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ALIMENTI SCONOSCIUTI NEL MEDIOEVO
• Patata: La cronologia dell’adozione della patata è differente secondo le
regioni. Nel 1573 essa compare tra gli acquisti dell’ospedale de la Sangre, a
Siviglia. In seguito Charles de l’Ecluse, che la introdusse nei Paese Bassi, scrive
che, cucinata in umido con la carne di pecora, era apprezzata dagli italiani negli
ultimi decenni del XVI secolo. Nel 1600 Oliver de Serre la segnala in diverse
località delle Alpi. In ogni caso è difficile conoscere la consistenza delle
popolazioni interessate. Tutt’altro accade nel XVII secolo, quando la patata venne
adottata dagli irlandesi e rappresentò ben presto la loro maggiore risorsa. Essa fu
pure introdotta in certe regioni dell’Inghilterra come il Lancashire e lo Yorshire
dell’Ovest, poi in-Prussia , dove il prigioniero Parmentier la scoprì nel XVIII
secolo,nell’Est della Francia ecc.
• Mais: Importato in Europa da Cristoforo Colombo fin dal 1493, si è
rapidamente acclimatato: dai primi anni del XVI secolo è coltivato in Castiglia, in
Andalusia e in Catalogna; verso il 1520 è in Portogallo; entra quindi nella Francia
de Sud-Ovest e nell’Italia del Nord ( a Venezia tra il 1530 e il 1540). Agli inizi il
mais non rimpiazza nei campi i cereali tradizionali se non di rado ma è utilizzato
sia come foraggio sia coltivato negli orti dei contadini, nel caso in cui essi lo
consumino. Ciò accade di solito nelle regioni in cui l’alimentazione era per
tradizione fondata sul miglio o sul panìco, cereali poveri e scarsamente
panificabili, sostituiti a poco a poco dal mais. Così accade nel Sud-Ovest della
Francia, ove il mais era spesso chiamato “miglio di Spagna”, o “miglio grosso”;
analogamente in Portogallo, nell’Italia del Nord, dove era chiamato “granoturco”,
e in Albania.
• Peperone: proveniente dall’America meridionale e dalle Antille importato in
Europa nella seconda metà del XVI secolo. Chiamato prima “pepe d’India”,
assunse poi in Italia il nome di “peperone” a causa del suo sapore piccante, molto
affine a quello del pepe. Il peperone dolce ebbe diffusione abbastanza rapida in
Itali, tanto da essere usato prima del pomodoro.
• Pomodori: sedurrà, nel XVI o XVII secolo, gli italiani, gli spagnoli, i
provenzali e gli abitanti della Linguadoca, ma non si diffonderà in Europa prima
della fine del XVIII o dell’inizio del XIX secolo e certi botanici tedeschi lo
denunciavano come pianta tossica. Nella stessa Italia, se il pomodoro è mangiato
in insalata, “con sale, pepe ed olio, come si mangiano i cetrioli”, diceva nel 1704
il Dictionnaire de Trévoux, la salsa di pomodoro come condimento della pasta
compare molto più tardi, e nel XVIII secolo non ne segnalano ancora né i libri di
cucina né i viaggiatori.
• Topinanbur: arriva fin sulle migliori tavole parigine nel XVII secolo, grazie
senz’altro al suo sapore di carciofo, in un’epoca in cui se ne andava matti, Non
per questo s’impose sul serio e il Dictionnaire de Trévoux ricorda che era
mangiato soprattutto dai poveri, col nome di “patata”.
• Arachidi: Sono il frutto di una pianta originaria dell’America del Sud, poi
introdotta in Africa.
• Peperoncino: In alcune parti del Vecchio Mondo il peperoncino non
comparve prima del XVI secolo. Per quanto riguarda l’Europa, il peperoncino
ebbe un rapido successo in Spagna, sia come pianta ornamentale che come
sostituto del pepe, poiché allora lo si giudicava più “caldo”, più saporito e molto
meno caro. Fu piantato anche nell’Italia meridionale, nei paesi slavi del Sud e in
Ungheria, dove oggi la paprica è internazionalmente apprezzata.
• Tacchino: Scoperto in Messico da Hernan Cortés e dai suoi uomini verso il
1520, il “pollo d’India” è ricordato da Rabelais nel suo Gargantua, nel 1534.
Apprendiamo da un contratto dello stesso anno che Margherita d’Angouleme ne
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faceva allevare nelle sue fattorie in Navarra. Durante un banchetto, offerto nel
1549 dalla regina Caterina de’ Medici nel vescovado di Parigi, furono serviti 70
“polli d’India” da 20 soldi e 7 “galli d’India” da 30 soldi. La cosa più
stupefacente è che questi prezzi sono oramai nettamente inferiori a quelli dei
volatili indigeni comuni n Francia: pavoni e aironi a 40 soldi, fagiani e otarde a
70, gru a 80, cigni a 100 soldi ecc. Se il tacchino fu praticamente accettato sin dal
suo arrivo è perché sulle tavole aristocratiche medievali si era soliti consumare
ogni sorta di grandi uccelli, alcuni dei quali per noi immangiabili, come i
cormorani, le cicogne, gli aironi, le gru, i cigni, i pavoni, ecc. Non era quindi un
problema offrire il tacchino, al tempo stesso grande, decorativo e ottimo al palato.
• Caffè: originario dell’Etiopia e dello Yemen, viene introdotto in Europa dai
Turchi. Dapprima entusiasma la repubblica di Venezia ( a partire dal 1570) e
quindi l’Italia. Sbarcato a Marsiglia nel 1644, sale a Parigi, dove si diffonde nella
buona società durante la seconda metà del secolo. Nella capitale francese anche il
caffè con latte diventa una bevanda popolare nel XVIII secolo. Viene adottato
dalla Germania, dall’Inghilterra e da molti altri paesi europei pure nel XVII
secolo. Lo sviluppo del suo consumo in Europa spiega i motivi per cui le
piantagioni di caffè si sono moltiplicate a iniziare dal XVIII secolo in diverse
colonie europee, soprattutto olandesi (come Ceylon, Giava, Suriname), o inglesi
come la Giamaica, o nelle Antille francesi, nel Brasile portoghese ecc.
• Cioccolato – cacao: Dopo aver scoperto il cioccolato nel Messico, gli
spagnoli hanno pensato bene di zuccherarlo invece di insaporirlo con spezie
piccanti come facevano gli Indios. Cortés ne aveva mandato a Carlo V fin dal
1527, ma è solo alla fine del XVI secolo che questa bevanda viene apprezzata con
gusto in Spagna, mentre altrove si è affermata molto più lentamente, salvo, forse
in Italia, diventando uno dei grandi prodotti del commercio mondiale solo nel
XIX secolo.
• Tè: ultimo arrivato, il tè è un regalo dei cinesi. Segnalato in Olanda e in
Francia nel XVII secolo, non riuscì a imporsi veramente se non in Inghilterra,
dove prese il posto del caffè dopo il 1730. diventando in breve tempo una
bevanda nazionale. Dal 1760 al 1797 avrebbe rappresentato l’81 per cento del
valore dei carichi dell’East India Company. Dal XVIII secolo si diffuse pere in
Russia, mentre le altre nazioni davano la loro preferenza al caffè.
• Fagiolini o cornetti: non si trova traccia nei ricettari dell’epoca
• Zucchina: è il frutto di una pianta erbacea originaria dell’America centromeridionale, che forma un cespuglio
• Vaniglia: frutto aromatico di una pianta rampicante originaria dell’America
Centrale.
• Ananas: Originaria dell’America del Sud e diffusasi in seguito, dopo la
scoperta dell’America nelle aree tropicali africane, asiatiche e oceaniche.
• Fagioli tutti i tipi tranne quelli “dall’occhio”:Di maggiore importanza i
fagioli, che si sono imposti molto rapidamente e con facilità, prendendo ovunque
il posto dei fagioli antichi e medievali, una specie simili di cui resta oggi una
varietà africana, il dolico, bianco con un occhio nero. Di origine americana, si può
ritenere che la loro prima semina in Italia abbia avuto luogo nel Bellunese intorno
al 1528.
• Fichi d’india: Originari dell’America Latina
• Avocado: Originario dell’America Centrale
• Cachi: è il frutto di una pianta di origine asiatica che venne introdotta in
Europa alla fine del XIX secolo.
• Indivia belga: verso il 1850, un contadino della zona di Bruxelles scoprì
casualmente come alcune radici di cicoria selvatica, rimaste abbandonate in una
cantina al buio e protette dal freddo, avessero prodotto dei germogli allungati con
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foglie bianco-giallastre; constatato che erano gradevoli all’assaggio, cominciò a
coltivarle regolarmente.
• Kiwi: chiamato anche con il suo nome scientifico Actinidia, è un frutto di
origine esotica divenuto oramai popolare. Pur avendo origini antichissime (risale
al 600 a.c., in Cina), deve la recente diffusione ai Neozelandesi che, selezionando
in particolare tre varietà, hanno iniziato la valorizzazione di questo frutto.
• Maionese: Il nome è un adattamento del francese “mayonaisse”,
probabilmente derivato da Mahon, centro di Minorca, nelle Isole Baleari, a
ricordo della presa della città effettuata nel 1756 dal duca di Richelieu, il cui
cuoco, nel momento di gloria, gli avrebbe dedicato la salsa.
• Besciamella: dal francese béchamel, derivato dal nome di colui che viene
ritenuto il suo inventore,il fianziere Louis de Béchameil, maestro di casa alla
corte di Luigi XIV. Potrebbe essere la derivazione della “salsa colla” portata in
Francia dai cuochi di Caterina de’ Medici.
• Soia: E’ una pianta erbacea di antiche origini orientali. In Europa comparve
verso il XVII secolo, portata da alcuni viaggiatori sotto forma di farina, ma solo
un secolo dopo i semi giunsero in Europa e se ne fecero le prime colture
sperimentali.
MOLTO IMPORTANTE
L’esistenza di determinati ingredienti non implica che alcune ricette
“moderne” fossero in uso anche nel medioevo.
Un esempio è dato dei condimenti per la pasta.
Durante tutto il medioevo la pasta era condita solo con formaggio, talvolta burro e
spezie, nel XVI secolo si aggiunge anche lo zucchero.
A volte la pasta serviva come accompagnamento alla carne.
La prima ricetta di un rudimentale ragù apparve ne “La cucina casereccia”
(1807), mentre solo nel 1837 verrà descritta da Ippolito Cavalcanti una salsa di
pomodoro semplice per condire i famosi vermicelli.
ATTREZZATURE
• Evitare l’uso di pentole in coccio con invetriatura e forma moderna (le normali
pentole in coccio che si trovano in commercio), quelle antiaderenti, quelle in
acciaio o alluminio, paioli in rame di forma moderna e qualsiasi attrezzatura di
evidente forma moderna
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Libri consigliati:
Ricostruzione di ricette
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A tavola nel medioevo - O. Redon F. Sabban S. Serventi - Editori Laterza
A tavola nel rinascimento O. Redon F. Sabban S. Serventi - Editori Laterza
Cucina medioevale Italiana - Federica Badiali - Stupor Mundi
Mangiare Medievale - Rosella Omicciolo Valentini - Edizioni Penne e Papiri
Storia della gastronomia:
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Alimentazione e Cultura nel Medioevo - M. Montanari - Editori Laterza
Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola dall'antichità al medioevo M. Montanari
Et coquatur ponendo…cultura della cucina e della tavola in Europa tra
Medioevo ed età moderna - Istituto internazionale di storia economica
"Francesco Datini"
Il cibo come cultura - M. Montanari - Editori Laterza
Il Cibo del ricco e il cibo del povero - Anna Maria Nada Patrone - Centro
Studi Piemontesi
L'arte della cucina nel Medioevo - Terence Scully – Piemme
Storia della gastronomia italiana - Claudio Benporat – Mursia
Storia dell'alimentazione - J.L.Flandrin M. Montanari - Editori Laterza
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PICCOLO MANUALE
DI CUCINA IN CAMPO II
VERDURE E LEGUMI
1
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IN COPERTINA:
Spinaci
Theatrum Sanitatis di Ububchasym de Baldach
Codice 4182 della Biblioteca Casanatense di Roma
2
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La cultura medievale, assai attenta a segnalare le differenze di ceto, mediante codici di
comportamento che coinvolgevano in primo luogo i consumi alimentari, identificava senz’altro
le verdure come cibi poveri, “contadini”: il fetore dell’aglio, della cipolla e dei porri che un
vecchio pellegrino porta nel suo sacco assieme al pane è sufficiente a segnalarne lo stato
sociale e a provocare la nausea del monaco Giovanni, affiancatosi a lui sulla via di ritorno da
Roma. A questo episodio riportato da un testo agiografico del X secolo, cento altri se ne
potrebbero affiancare, fino alla novella di Sabadino degli Arienti (XV-XVI secolo) che
racconta di una beffa giocata dal duca di Ferrara Ercole d’Este ai danni del contadino Bondeno,
che presumeva, nientemeno, di essere fatto cavaliere: si fanno dunque i preparativi, ma al
momento di scoprire lo scudo con le insegne del nuovo “nobile” ecco apparire, fra squilli di
trombe e fra le risate generali, un capo d’aglio in campo azzurro, emblema di un’impossibile
promozione sociale. Perché, commenta Sabadino, l’aglio “sempre è cibo rusticano, quantunque
alle volte artificiosamente civile se faza, ponendose nel corpo de li arostiti pavari”. La
precisazione lascia intuire un contrasto fra l’ideologia e la pratica, fra i codici alimentari
“pensati” – che lasciano l’aglio ai contadini - e gli usi quotidiani, che lo vedono impiegato
anche nella cucina di corte. Contrasto forte, che necessita di “segni” altrettanto forti per essere
risolto.
Il primo segno è quello prospettato dallo stesso Sabadino: gli accostamenti e le modalità d’uso
chiariscono inequivocabilmente la destinazione sociale della vivanda. Il prodotto umile viene
nobilitato facendolo partecipe di un diverso sistema gastronomico e simbolico, quale semplice
ingrediente – non protagonista – di vivande di pregio. Nel momento in cui l’aglio è conficcato
in un papero arrosto, la sua natura contadina “artificiosamente” si modifica. Perciò l’agliata, la
salsa a base di aglio pestato nel mortaio, tipica della cucina contadina, può comparire anche nei
ricettari delle classi alte: il libro veneziano del Trecento la propone “a ogni carne”. Allo stesso
modo, la ricetta dei “cavoli delicati ad uso dei signori” contenuta nel Liber de coquina non
manca di precisare che essi andranno serviti come contorno delle carni: cum omnibus carnibus.
La separazione alimentare e gastronomica fra le classi, ribadita con asprezza dalla letteratura e
dalla trattatistica, non esclude dunque la presenza di prodotti e sapori “rusticani” nella cucina
“civile”, fortemente segnata da un “retrogusto” popolare che, pur essendo in qualche modo
prevedibile, non manca di stupire per le dimensioni che assume. Nei ricettari di corte
trecenteschi colpisce il gran numero di piatti a base di verdure, l’uso sistematico dell’aglio e
della cipolla nei condimenti e nei soffritti. Colpisce la semplicità di tante preparazioni, che ben
potremmo immaginare sulla tavola di un contadino se non fosse per qualche ingrediente
prezioso o per un tocco finale –l’aggiunta di spezie – che immediatamente ci riporta al clima
del privilegio economico e sociale. Per esempio: “Togli raponcelli, bene bulliti in acqua, e poni
a soffriggere con oglio, cipolle e sale; e quando sono cotti et apparecchiati, mettivi spezie in
scudelle.” (Zambrini, Il libro della cucina del sec. XIV). Oppure (ricetta toscana della
insaleggiata di cipolle - Zambrini, Il libro della cucina del sec. XIV):”Togli cipolle; cuocile
sotto la bragia, e poi le monda, e tagliale per traverso longhette e sottili: mettili alquanto
d’aceto, sale, oglio e spezie, e dà a mangiare”. Qui, solo le spezie segnalano la differenza. Si
veda anche la Torta d’agli del libro veneziano: “Toy li agli e mondali e lessali; quando sono
cocti metili a moglio in acqua freda e poy pistali” stemperando con uova e aggiungendo
zafferano, formaggio fresco, lardo battuto, spezie dolci e forti, uva passa.
Nel contesto gastronomico europeo, la cucina italiana si segnala, fin dal Medioevo per la
ricchezza d’impiego dei prodotti dell’orto: non solo le verdure ma le erbe odorose, che
regolarmente si affiancano alle preziose spezie: maggiorana e menta (i due profumi
caratteristici della cucina italiana medievale e rinascimentale: Scappi, nel Cinquecento, li
proporrà con regolarità assoluta in gran parte delle ricette), rosmarino, prezzemolo, salvia,
aneto; meno presenti il basilico, l’alloro, la nepitella e poi (in Scappi) la pimpinella e il serpillo.
Anche funghi e tartufi compaiono nei ricettari italiani con una “naturalezza” altrove
sconosciuta, segno – ancora – di una profonda condivisione di saperi fra il mondo contadino e
quello cittadini-nobiliare.
I grandi ricettari quattro-cinquecenteschi riprendono a amplificano questa tradizione. Cavoli,
rape, finocchi, funghi, zucche, lattuga, prezzemolo e ogni sorta di herbette, oltre a legumi come
le fave e i piselli, sono alla base di tante preparazioni (minestre, torte, frittelle) proposte da
Maestro Martino. Platina si sofferma a spiegare con dovizia di particolari il modo di condire la
lattuga, l’indivia, la buglossa, la portulaca, la malva, il radicchio, la sassifraga, la pimpinella,
l’acetosa...e l’insalata mista: “L’insalata mista si prepara con lattuga, buglossa, menta, nepitella,
finocchio, prezzemolo, crescione, origano, cerfoglio, cicoria e lancedine – dette rispettivamente
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dai medici tarassaco e arnoglossa -, morella, fiori di finocchio e parecchie altre erbe aromatiche,
lavate e scolate per bene. Si mettono in un piatto grande, si salano con abbondanza, si aggiunge
olio e sopra si sparge aceto; poi si lasciano macerare un po’. Per la loro durezza, quando si
mangiano è bene triturarle a lungo con i denti. (Platina, Il piacere onesto e la buona salute.)
Il repertorio dei prodotti orticoli, che per circa un millennio non era sostanzialmente cambiato
rispetto all’età romana, si stava frattempo arricchendo. Già nel XIII-XIV secolo si era diffusio
lo spinacio, introdotto dalla Persia tramite gli arabi: agli inizi del Trecento Bonvesin da la Riva
lo include tra le specialità della campagna lombarda. (Bonvesin da la Riva, De magnalibus
Mediolani)
Poi apparve il carciofo, derivato dal cardo selvatico con operazioni di innesto sperimentate già
in Medio Oriente ma che vari autori attribuiscono al talento degli orticoltori ialiani del XV
secolo. “Veggonsi à tempi nostri i carcioffi in Italia di diverse sorti imperché di spinosi, serrati
e aperti e di non spinosi ritondi, larghi, aperti e chiusi se ne ritrovano”, scrive nel 1557 Andrea
Mattioli. Costanzo Felici, in una lettera del 1569, attesta una larga diffusione della pianta e del
suo uso, soprattutto sulle tavole di prestigio: i carciofi “sonno frutti di piante o herbe spinose
cognosciuti da tutti hormai; tanto la gola vi ha industriato sopra che gli ha fatto familiarissimi a
tutti et in gran reputazione appresso de’ grandi”, che li mangiano crudi o cotti “in diversi modi,
o con olio o con grasso o con butiro e sale e pepe, sopra le gradelle, sopra le brage, o nel bruodo
grasso et in molti altri modi secondo che più diletta”.(Felici, Del’insalata).
Per quanto riguarda i ricettari, la prima citazione è in un testo anonimo napoletano della fine del
Quattrocento. (Benporat, Storia della Gastronomia, pag. 64: “Il “Ricettario” dell’Anonimo
Napoletano. Questo manoscritto si trova dal 1948 presso la Pierpont Morgan Library di New
York.).
Diversa la sorte della melanzana, importata in Spagna e in Sicilia dagli arabi, già menzionata
nel duecentesco Novellino (Messedaglia, Per la storia delle nostre piante alimentari. La
melanzana.) e rappresentata nei Tacuina sanitatis del Trecento, ma a lungo guardata con
diffidenza: il nome stesso mela insana, o “pomo sdegnoso” che troveremo ancora in Scappi,
basta a testimoniarlo. “Pianta volgare” la chiama Mattioli, riferendo di usi soprattutto popolari:
“Mangiansi volgarmente fritte nell’olio con sale e pepe come i fonghi”. Anche Costanzo Felici
si mostra sospettoso e non condivide l’entusiasmo di quanti la mangiano “avidamente per il più
cotta nella brage e gradelle [...] et anco fritte”;nonostante la presenza – invero discreta- nei
maggiori ricettari, la melanzana continuerà a essere gravata di un’immagine di marginalità
sociale e culturale, accntuata dalla particolare attenzione di cui essa godeva nella cucina
ebraica. Nel XVII secolo Frugoli scriverà che “non devono essere mangiate se non da gente
bassa o da hebrei” – attribuzione ribadita da Vincenzo Tanara (“vivande per campagna [...] e
massime per la famiglia siccome per gli Hebrei sono costumato cibo”) e che troveremo ancora
in pieno Ottocento. Ma a quel punto Pellegrino Artusi ne avrà rovesciato il senso, notando che
sei petonciani “erano tenuti a vile come cibo di ebrei” ciò sarebbe solo a conferma che “in
questo, come in altre cose di maggior rilievo, [essi] hanno sempre avuto buon naso più de’
cristiani”.
Nei ricettari del Cinquecento compaiono anche i fagiolini (prima volta nei Banchetti di
Messisbugo) e i cavolfiori (Opera di Scappi). ed è in quel secolo che comincia a essere
coltivato il finocchio dolce, nuova varietà – quella che tuttora usiamo – rispetto al finocchietto
aromatico impiegato come condimento nella cucina medievale. “Gloria degli agricoltori
bolognesi” secondo l’agronomo Tanara, esso incontra una strepitosa fortuna sulla tavola
rinascimentale: il “finocchio dolce fresco” (o più precisamente, “finocchio dolce verde, mondo
il gambo”) compare praticamente in tutte le liste di vivande di Bartolomeo Scappi, servito
sempre alla fine del pranzo secondo un uso ancora oggi vivo, soprattutto al Sud.
Poi c’è il grande capitolo dei prodotti americani.
Le zucche “turchesche” (quelle che comunemente usiamo oggi) si affiancano, in Scappi, alle
“nostrali” (la lagenaria, conosciuta fin dall’antichità e normalmente utilizzata nella cucina
medievale).
Dei “fagioli senza occhi” ci parla, nel 1584, Giovan Battista Rossetti, alludendo alle piante
d’America (solo il piccolo fagiolo “dell’occhio”, il dolico, era conosciuto in Italia e in Europa
nell’età antica e medievale).
Il pomodoro, curiosità esotica, frutto ornamentale solo tardivamente commestibile, fa la sua
apparizione nelle opere dei naturalisti e dei viaggiatori, del Mattioli e di José de Acosta.
Scarsissime al di fuori di queste fonti restano le attestazioni del suo consumo, nonostante i soliti
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“ghiotti ed avidi de cose nove” – richiamati anche stavolta da Costanzo Felici – non aspettino a
gustarlo al modo dei funghi e, appunto, della melanzana: fritto nell’olio e condito con sale e
pepe. Solo alla fine del Seicento il pomodoro, di cui non è da escludere un precoce consumo
popolare, emerge nella cucina alta grazie al ricettario napoletano di Antonio Latini. A ciò non
sembra estraneo un influsso iberico: “alla spagnola” sono denominate varie ricette con impiego
di pomodoro, fra cui quella “salsa di pomodoro”, insaporita con cipolle, “peparolo” e serpillo
“o piperna”, accomodata con sale, olio e aceto. Preparazione – dopo qualche aggiustamento –
destinata a grande avvenire nella cucina italiana e nell’industria conserviera. Una modalità
d’uso che in un certo senso favoriva l’accettazione del nuovo prodotto, riconducendolo
nell’ambito di una tradizione gastronomica consolidata, quella – antica, medievale,
rinascimentale – delle salse di accompagnamento: “per bollito, ò per altro”, precisava in questo
caso Latini. Anche per questo il pomodoro trova piena accoglienza nella cucina italiana del
Sette-Ottocento: il toscano Panunto, il napoletano Corrado, il romano Leonardi lo includono
ormai senza remore nei loro ricettari.
Più difficile appare la “promozione sociale” di un altro cibo americano, il peperone, che stenta
parecchio ad affermarsi nella cucina italiana. Ne troviamo alcuni cenni nella letteratura
gastronomica del XVII secolo: Carlo Nascia lo propone per cottura del tacchino, Antonio Latini
per insaporire alcune salse. Stessa tiepida accoglienza, un secolo dopo, nel Cuoco galante di
Corrado, che qualifica il peperone come “cibo rustico e volgare” pur ammettendo che piace
ormai “a molte persone”: in tal modo ci lascia immaginare vicende in parte simili a quelle del
pomodoro. Nel XIX secolo, i peperoni sott’aceto di un oste veronese finiranno sulla tavola di
Napoleone, dell’imperatore d’Austria e del re di Napoli.
Nei confronti della patata, invece, vi fu una lunghissima diffidenza. I viaggiatori italiani del
XVI secolo la incontrarono in America e ne rassomigliano il gusto a quello della castagna, ma
per la sua introduzione negli usi alimentari italiani bisognerà attendere altri due secoli: solo le
dure carestie del Settecento, e una capillare propaganda sollecitata dai pubblici poteri,
convinsero infine i contadini ad accogliere nei loro campi e sulla loro tavola questo strano
“tartufo bianco” (con questo nome fu spesso indicata la patata) che il senso comune riteneva
più adatto alla pastura dei maiali. E’ peraltro interessante notare che anche in questo caso, come
per il pomodoro, l’inserimento del nuovo venuto nel sistema della cucina tradizionale passò
attraverso un processo di “acclimatazione”, sia pure, in questo caso, abbastanza velleitario. La
patata venne infatti consigliata ai contadini per surrogare la farina di grano nella fabbricazione
del pane: soprattutto su questo insistono gli agronomi italiani del Settecento (per esempio
Giovanni Battarra) così come aveva fatto in Francia Parmentier. Oppure si assimilò il suo
impiego a quello, tradizionale, delle rape: “Allessate e tagliate in fette condite con agli, pepe,
petresellino, e oglio in un tegame –spiega Battarra – fanno un manicheretto gustoso; oltre il
poterle mangiare allessate e condite con olio sale e aceto all’usanza delle rape. Inoltre si
cominciarono a usare nell’imposto degli gnocchi, una vivanda cara al gusto popolare fin dal
Medioevo, preparata sino a quel momento con farina o con pane grattuggiato. Del resto,
l’esperienza non tardò a mostrare quante raffinate elaborazioni fossero possibili con il nuovo
prodotto d’oltremare: già i libri di ricette del primo Ottocento rivelano l’attenzione delle cultura
“alta” per l’uso in cucina della patata. Vince Corrado, napoletano, include un Trattto sulle
patate o pomi di terra nel suo Cuoco galante. secondo la lezione degli agronomi settecenteschi,
anch’egli consiglia l’uso della fecola di patate per confezionare il pane (mescolandola al 50 per
cento con farina di grano); intanto, però, ne “rivela” oltre cinquanta modi diversi di impiego
gastronomico.
(A. Capatti M. Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Editori Laterza)
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CIPOLLE
IV - 7. -- Dequoque cepas in aqua bene a corticibus purgatis. Confringe bene cum cocleari in
ipso potto ereo. Quo facto, impone porci, uel butirum recens, uel lac amigdalarum, uel aliud
brodium. Si uis, colora croco et cetera. Et quod tibi dixi de sepis, hoc idem facere poteris de
rappellis si uis.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
Sbuccia con cura le cipolle e cuocile in acqua, e schiacciale bene con il cucchiaio, dentro la
stessa pentola di bronzo. Fatto ciò, aggiungivi dello strutto di maiale, o del burro, o del latte di
mandorle o qualche altro sugo. Se vuoi, colorale con lo zafferano e, per il resto, fa’ come si
suole.
E quanto detto delle cipolle, puoi applicarlo, volendo,alle piccole rape.
Di cipolle.
Togli cipolle tagliate e lavate bene con acqua calda, e metti a cocere con carne e cascio, pepe e
zaffarano; e poi ponevi ova dibattute, pepe e croco, se vuoli, e spezie in scudelle
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Cipolle
Ingredienti: Cipolle, carne, formaggio (a scelta tipo marzolino, caciotta, ecc.) uova, pepe
zafferano.
Sbucciare, tagliare a fette le cipolle e lavarle in acqua calda. Cuocerle con la carne, aggiungere
del formaggio, pepe, zafferano e uova sbattute, far rapprendere e servire.
De la insaleggiata di cipolle
Togli cipolle; cuocile sotto la bragia, e poi le manda, e tagliale per traverso longhette et sottili:
mettili alquanto d'aceto, sale oglio, e spezie, e dà a mangiare.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Insalata di cipolle alla brace
Ingredienti: 800 gr. di cipolle di media grandezza, 1 filino d'olio di oliva, 1 filino di buon aceto
di vino, 1/3 di cucchiaino di spezie fini.
Cuocere le cipolle sotto la brace finché non siano tenerissime. La buccia delle cipolle sarà nera
e caramellata. Quando non scottano più tanto, sbucciarle e affettarle fini. Mettere in
un'insalatiera. Salare, cospargere con un 1/3 di cucchiaino di spezie in polvere. Bagnare con un
filino d'olio e d'aceto. Mescolare e servire.
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MELE E PERE
Vivanda di pere o mele (La ricetta originale non ha titolo)
IV - 6. -- Piraceum uel pomaceum hoc modo fit ualde saporosum: pira in aqua dequoquuntur
donec sint bene mollia. Post, excorticata ab interioribus mondificentur et peroptime in mortario
mondo terantur. Post, apponantur uitella ouorum cruda cum aliquando croci et pone in potto.
Quo bullire incipiente, impone pinguedinem porci uel anseris uel galline. Quibus in scutellis
positis, super aspergas puluerem specierum et impone poto et, si uis, butiri pinguedinem. Idem
fac de pomis, coctanis, cucurbitis, cucumeribus ac aliis fructibus.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
6 – Una gustosissima vivanda di pere o di mele si fa in questo modo: si cuociono le pere
nell’acqua finché siano ben tenere; quindi si sbucciano, si privano dei torsoli e si pestano molto
bene in un mortaio pulito. Vi si aggiungono poscia dei tuorli d’uovo crudi con un po’ di
zafferano e si versano in pentola: non appena il tutto comincia a bollire, vi si unisce del grasso
di maiale, o d’oca o di gallina. Una volta versato il passato nelle scodelle, vi si sparge sopra
polvere di spezie e, se si vuole, burro fuso.
Lo stesso si potrà fare con le mele, con le cotogne, con le zucche, con i cetrioli e con altri frutti.
Passato di mele (La ricetta originale non ha titolo)
1. -- Pomaceum hoc modo fit: dequoquuntur poma aliquantulum acria bene preparata a
superfluis mollificentur. Post, tere subtilissime, pila et distempera lacte, uitellis ouorum crudis
et croco infecto. Et impone butirum dulce et de farina tritici, si uolueris.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria.
V - 1 – Il passato di mele si fa così: si scelgono delle mele un po’ asprigne, ben mondate, e si
cuociono finché si inteneriscono. Poi si sbucciano e si pestano finemente, si stemprano con latte
e tuorli d’uova crudi e vi si aggiunge zafferano. E, volendo, vi si amalgami del burro dolce(1) e
della farina di tritico.
(1) Molto spesso il burro veniva salato perchè si conservasse più a lungo; la raccomandazione
circa l’impiego del burro dolce (=non salato) si rende qui opportuna per non guastare il
carattere “dolce” della vivanda.
Mele alla birra (La ricetta originale non ha titolo)
V - 20. -- Decoque poma, per rotulas incisa, in butiro et distempera ceruesia
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
20 – Cuoci le mele, tagliate a rondelle, nel burro e allunga con la birra.
CXVIII. Vivanda da fare bon stomacho.
Toy pome codogne e lessale e mondale e pestalle, e toy late de mandole e distempera queste
codogne e miti a coxere; quando è cocto mitige specie dolze poche e zucharo assay.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento
Prendi delle mele cotogne, mondale, tritale e prendi latte di mandorle, diluisci la polpa di mele
e mettila a cuocere. Quando è cotta, cospargivi sopra poche spezie dolci e molto zucchero.
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CAVOLI
Cavoli d’estate (La ricetta originale non ha titolo)
V - 5. -- Dequoquuntur caules in estate, minnutim inciduntur et cum lardo coquuntur. Tempore
uero hiemali, inter manus confriguntur uel integre cum lardo decoquuntur.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
5 – D’estate i cavoli si cucinano tritati finemente, insieme con il lardo. Ma d’inverno si
spezzettano con le mani o si lasciano interi, cuocendoli poi sempre con il lardo.
Dei cavoli
2. -- De caulibus : Ad caulles uirides secundum usum imperatoris, accipe cimulas caullium
sanas et in caldaria bulliente cum carnibus pone et fac bene bullire. Et inde extractis, pone in
aqua frigida. Accepto alio brodio in quodam alio uase, addas albedinem feniculi et fac eam
bullire. Et cum fuerit hora comestionis, pone predictos caulles cum brodio in uase predicto et
facias totum parum bullire.
Liber de coquina (sec. XIV.) Testo: Marianne Mulon: Deux traités inédits d'art culinaire
médiéval.
Per cucinare cavoli verdi secondo l’uso imperiale, prendi le cime verdi dei cavoli, mettile in
una pentola che bolle insieme con la carne e falle bollire bene. Levate dalla pentola, mettile in
acqua fredda. Preso altro brodo in qualche altro recipiente, mettivi il bianco del finocchio e
fallo bollire. Quando poi sarà ora di mangiare, metti i cavoli suddetti nel recipiente di cui sopra
e fa bollire il tutto per un po’.
Caule alla romanesca
Piglia caule he rompele cum le mane he metele in aqua quando bulle Et quando serano quasi
meze cotte getta via tuta quella aqua he habi bono lardo he assaj he sbatillo he mettilo in la
pignata cum le caule cusi asutto voltando bene cum lo Cughiaro. Poi pigliaraj bono brodo
grasso he cum quello le metteraj al foco a bulire per spacio de doi hore che he trista menestra
quando hai fame.
Anonimo Napoletano –Ms. Buhler 19 – New York, Pierpont Morgan Library
Ingredienti: Cavoli, lardo, brodo di carne.
Spezzare le foglie di cavolo e metterle in acqua bollente. Portarli a metà cottura, scolarli e
metterli in una padella con lardo tritato, mescolare bene con un cucchiaio, aggiungere il brodo a
fare bollire per due ore.
71. A fare vivanda di cavoli capuci in tre modi.
Tolli li capuci taiati minuti, e falli lessare in latte di vacha e aqua ingualmente, [34v.] e poi li
cava e cola, e rimetti a bollire con latte, e butiro fresco, e sale: questo è el primo modo. Et a
tempo quaresmale, pestali e coci in aqua, poi li cola remetti a bollire con latte di mandole
inzaffaranato, e specie dolce per schudella. Et a tempo di carne, coce in aqua e cola più che tu
poi, e remetti a cocere con brodo grasso e uno poco di caso grasso con essi; e poi caso gratato
grasso con specie dolce sopra le schudelle.
Manoscritto di SheffieldPer fare vivanda di cavoli cappucci in tre modi.
Prendi i cavoli cappucci tagliati minuti, e falli lessare in latte di vacca e acqua in uguale misura
e poi colali e rimettili a bollire con latte e burro fresco e sale: e questo è il primo modo. E al
tempo di quaresima, pestali e cuoci in acqua, poi colali e rimettili a bollire con latte di mandorle
con zafferano, e spezie dolci. E in tempo di carne, cuoci in acqua e scolali più che puoi, e
rimettili a cuocere in brodo grasso e un po’ di formaggio grasso con i cavoli, versare nelle
scodelle e cospargere con formaggio grattugiato e spezie dolci.
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FAVE
Fave novelle (La ricetta originale non ha titolo)
V - 6. -- Fabe noue uel pise uel grana noui tritici hoc modo parari poterunt. Et, cum dixi, primo
in aqua, postea ad sufficientiam dequoquuntur. Postea, tere in mortario piper, zinziberum,
crocum, cuminum et cinamomum. Que distempera cum lacte amigdalarum uel ouium et uitellis
ouorum duris uel mollibus; et fac bullire cum aliquantulis fabis nouis decoctis, semper
mouendo cum cocleari. Post, ab igne remoue et alias fabas nouas impone et administra.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
6 – Le fave novelle, i piselli o i grani di frumento fresco si possono preparare in questo modo.
Come ho già detto, si ammollano prima nell’acqua, quindi si lessano a sufficienza. Poi si pesta
nel mortaio il pepe, con zenzero, zafferano, cumino e cinnamomo (cannella). Si stempera il
tutto con latte di mandorle, oppure di pecora, e con tuorli d’uova crudi o sodi; e si mette a
cuocere il tutto con le fave novelle lessate, rimestando continuamente con il cucchiaio. Infine si
toglie dal fuoco, si aggiungono altre fave fresche e si serve.
Fave secche (La ricetta originale non ha titolo)
V – 7. – Fabe dure et inueterate: primo in aqua ponantur frigida, et stent ad ignem donec
bulliendo a mane usque ad uesperam aut per unam noctem. Post, aqua illa abieta, imponitur alia
aqua clara et decoquentur donec crepantur, et pila. Pistentur. Post, patella erea per fenestram
collentur. Et possunt preparari butiro uel oleo uel iure carnium pingui aut lardo baconis,
decoquendo uelut pisa.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
V – 7 – Le fave vecchie e secche si preparano così: si versano anzitutto nell’acqua fredda e si
lasciano accanto al fuoco da mane a sera, o per l’intera notte, Poi, scolata la prima acqua, vi si
versa altra acqua pura e si fanno cuocere finché si disfacciano, staccandosi dalle bucce. A
questo punto si pestano, ed infine si passano attraverso un crivello in una padella di bronzo. E si
possono cucinare con burro oppure con olio o sugo di carne grasso o lardo salato, preparandole
come i piselli.
Fave decorticate (La ricetta originale non ha titolo)
V - 8. -- Fabe excoriate decoquantur donec mollificari incipiant, aqua calida prius bene lote.
Postea depurentur et in mortario peroptime cum pistello agitentur donec efficiant albissime et
ad modum paste spisse. Et dentur cum cepis oleo frixis uel lardo minutim inciso uel croco, ad
comedendum.
Idem fac de pisis, si uelis.
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
8 – Le fave spellate si cuociono finché cominciano ad intenerirsi, dopo averle ben lavate in
acqua calda. Poi si scolano e si rigirano accuratamente con il pestello nel mortaio fino a ridurle
ad una pasta spessa e bianchissima. E si servono con cipolle fritte nell’olio o con lardo tritato,
oppure con zafferano.
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74. A fare fava fresca con carne.
Tolli la fava e mondala, e mettila a cocere in brodo di vitello o cappone; e metti poca carne
salata e serpillo, e fa bollire a stretto, e mettivj zaffarano; e quando son cotte, lassa ripossare.
Manoscritto di Sheffield
Ingredienti: Fave fresche, brodo di vitello o cappone, carne salata o pancetta tesa, timo serpillo,
zafferano.
Prendere le fave, pulirle e metterle a cuocere in brodo di vitello o di cappone con un pezzo di
carne salata o pancetta e timo serpillo, fare bollire e restringere, aggiungere zafferano e quando
saranno cotte lasciare riposare prima di servire.
De le fave sane.
Fave fresche novelle, falle bullire; e gittata via l'acqua, mettile a cocere con latte di capra, o di
pecora, o latte d'amandole, o con carne, bene spurata di sale. E mettivi ova dibattute, e lardelli
inscudelle, se vuoli.
Ingredienti: fave fresche, latte di capra o di pecora o latte di mandorle, carne salata o pancetta
tesa, uova e lardo tagliato a striscioline.
Lessare le fave, scolarle e cuocerle con il latte e la pancetta. A piacere aggiungere uova sbattute
e strisce di lardo prima di servire.
Altramente. Le fave in prima molli, mettile a bollire, e gittatane via l'acqua, mettile in altra
acqua a bollire con carne di porco, o con cascio; e da' mangiare.
Ingredienti: fave, carne di maiale, formaggio.
Lessare brevemente le fave, scolarle e cuocerle con carne di maiale o formaggio.
Altramente. Fave fresche novelle bullite; e gittatane via l'acqua, mettile a cocere con cipolla
soffritta in oglio, e erbe odorifere pestate, aggiunte con pepe e zaffarano.
Ingredienti: Fave fresche, cipolle, erbe aromatiche (menta, prezzemolo, issopo, salvia,
maggiorana, timo), pepe, zafferano.
Lessare le fave, scolarle e cuocerle con cipolla fritta in olio, erbe aromatiche tritate, pepe e
zafferano
Altramente. Togli fiori di fave, e metti a cocere con carne di porco fresca; e quando sono quasi
cotte, mettivi dentro ova dibattute, latte e spezie, zaffarano e sale, e fa' che la carne sia bene
dibattuta, e mesta tutto, e fallo spesso, quasi mortadello
.
Ingredienti: fave novelle, carne di maiale tritata, uova, latte, spezie miste, zafferano.
Cuocere le fave con la carne di maiale tratata, quando sono quasi cotte aggiungere le uova
sbattute, il latte, le spezie e lo zafferano, mescolare bene il tutto e fare rapprendere.
Altramente. Cuoceli i fiori di fave col cappone intero, e al fine de la cocitura, mettivi latte
d'amandole e ova dibattute, pepe, zaffarano e sale; e cocansi in buono vaso.
Ingredienti: Fave, 1 cappone (o pollo) intero, latte di mandorle, uova, pepe, zafferano.
Cuocere le fave con il cappone o pollo intero. A fine cottura mettervi latte di mandorle, uova
sbattute, pepe e sale.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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De le fave infrante.
Togli fave, bene infrante, mundate e sciolte e nette, e falle bullire uno bullore; e, gittatane via
l'acqua, lavale molto bene, e mettile in uno altro vaso con poca acqua e sale, che siano
solamente coperte coll'acqua, e volgile spesso colla mescola: e, cotte che le siranno spesse,
ammaccale con la mescola fortemente. Poi le distempera con uno poco d'acqua aggiunta, e fa'
scudelle, e metti in le scudelle mele, ovvero oglio fritto con cipolle, ovvero lardo fritto.
Ingredienti: fave secche decorticate, miele millefiori, cipolle fritte in olio o lardo fritto.
Mettere le fave in ammollo e lasciarle per una notte. Sciacquarle e metterle in una pentola
coprendole d’acqua, salarle e farle bollire a fuoco bassa facendo attenzione che le fave siano
sempre coperte d’acqua, quando saranno cotte ridurle in purè schiacciandole con il mestolo e
stemperandole con l’acqua di cottura. Cospargere con un filo di miele o con l’olio e le cipolle
fritte ovvero con il lardo fritto.
Altramente. Fave infrante, e lavate con l'acqua calda, mettile a bullire: e quando aranno bullito,
lavale bene un'altra volta, e polle a bullire in tanta acqua, che sieno coperte e guardate dal fumo.
E quando saranno ben cotte, menale con la mazza; poi le distempera con acqua fredda, ovvero
vino bianco, sì che sieno ben fatte. Poi fane minestre, e mettivi su oglio, fritto con cipolle; e da'
mangiare. E se volessi, puoile distemperare con acqua calda, e se vuoli, mettivi su pepe,
zaffarano, mele e zuccaro. Con queste fave porrai dare tinca, o altri pesci. E sappi che, de le
predette cose, porrai fare mortadello.
Ingredienti: Fave secce decorticate, vino bianco, cipolle fritte nell’olio, pepe, zafferano, miele o
zucchero.
Ammollare le fave nell’acqua per una notte, sciacquarle e lessarle come nella ricetta
precedente, ridurrle in purè stemperando con vino bianco, aggiungere le cipolle fritte e l’olio di
frittura, pepe, zafferano miele o zucchero
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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PISELLI
(La ricetta originale non ha titolo)
V - 9. -- Pisa electa bene cum aqua clara lauantur. Postea, ponantur in aqua calida non feruida
ad decoquendum. Et dum inflari inceperint ac ingrossari, agitentur cum pistello in mortario, non
terendo, ad remouendum cortices. Post, aqua monda lauentur, et decoquantur et pistentur. Ac
brodium carnium imponatur et lardum incisum superponatur.
Quidam, non deponendo cortices, confringunt pisa et imponunt cepas oleo frixatas, aut butirum
uel lac ouium, et quisque facit prout sibi placet
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria
9 – I piselli scelti si lavano bene in acqua pura, poi si mettono a cuocere in acqua calda ma non
bollente. E quando cominceranno a gonfiarsi e ad ingrossarsi, si rigirano nel mortaio col
pestello, non pestandoli, ma soltanto decorticandoli. Poi si bagnano con acqua pura, si cuociono
e si passano. E vi si aggiunga brodo di carne e lardo affettato.
Alcuni pestano i piselli senza decorticarli e vi mettono cipolle fritte nell’olio, o burro, o latte di
pecora, e ciascuno fa un po’ come gli pare.
Piselli cum carne salada
Piglia piselli cum la scorza he falli dare uno bullore he piglia carne salata verzellata he tagliata
in fette sotili longe mezo digito he frigele uno poche poi metti li diti piselli a frigere cum la dita
carne he meteli uno pocho de agresto uno poco de sabba he zucaro he canella. Cusi se po fare
cum li fasoli.
Anonimo Napoletano –Ms. Buhler 19 – New York, Pierpont Morgan Library
Ingredienti: Piselli, pancetta tesa, agresto o succo di limone diluito con acqua, sapa, zucchero,
cannella.
Lessare i piselli, tagliare la pancetta a listarelle e friggerle, aggiungere i piselli, l’agresto o il
succo di limone eventualmente la sapa, lo zucchero e la cannella.
La stesso si può fare con i fagioli.
Piselli in tempo quatragessimalle.
Per fare piselli in tempo quatrafessimale poteray similmente cocerli con latte de armandole
como e dicto de supra nel capitolo del bianchomangiare.
Martino de Rubeis- Libro de cosina – Riva del Garda. Archivio storico.
Piselli in tempo di quaresima
Ingredienti: Piselli, latte di mandorle, zenzero fresco.
Cuocere i piselli nel latte di mandorle, quando sono cotti aggiungere lo zenzero grattugiato.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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De' peselli.
Togli i pesi, e poni a bullire con molta acqua, e riserva l'acqua, nella quale tu possi fare suppa a
modo di Francia. E poni in padella cipolla con oglio a soffriggere; e quando è soffritta, metti la
detta acqua nella detta padella, et allora togli pane, tagliato grosso mezzanamente, e poni in la
detta acqua con spezie, e dentro vi s'immolli. Poi togli i pesi predetti, e poni a cocere in altra
acqua con oglio, sale e cipolla, e da' mangiare.
Ingredienti: Piselli, cipolle, pane raffermo spezzettato, spezie miste.
Lessare i piselli, scolarli tenendo da parte l’acqua di cottura. Friggere la cipolla in olio,
aggiungere l’acqua di cottura dei piselli con le spezie e il pane spezzattato, lasciare
ammorbidire il pane e aggiungere i piselli.
Altramente. Togli i pesi ben bulliti, e, gittata via l'acqua, mettili a cocere con cascio di briga,
oglio e ova sperdute; e puoi mettervi dentro del petrosello.
Ingredienti: Piselli, formaggio Brie, olio, uova sode, prezzemolo.
Lessare brevemente i piselli, scolarli e cuocerli con il formaggio le uove e il prezzemolo.
Altramente. I pesi freschi, cuocili con oglio, sale, spezie, zaffarano, ova dibattute; e da' a
mangiare.
Ingredienti: Piselli freschi, olio, sale, spezie, zafferano, uova.
Cuocere i piselli in olio con sale, spezie, zafferano, uova sbattute.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Peselli con carne.
Metti i peselli a cocere con carne, bene spurata dal sale; e la detta carne, poi che sarà cotta,
tagliala minuto, e metti in scudelle.
Ingredienti: Piselli, carne salata o pancetta tesa o prosciutto in un pezzo solo.
Cuocere i piselli con la carne o la pancetta che verrà poi tagliata e servita con i piselli.
Altramente. Peselli bulliti, e gittata via l'acqua, ponli a cocere in altra acqua con carne di porco
salata, e un poco di zaffarano. E puoi mettervi dentro carne fresca di castrone, o altra, come tu
vuoli.
Ingredienti: Piselli, carne di maiale salata o pancetta o carne fresca di castrone o altra carne,
zafferano.
Lessare i piselli, scolarli e cuocerli in altra acqua con la carne e lo zafferano.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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VARIE
Verdure in giorno di digiuno
13. -- In die ieiunii : si uis facere optima folia in diebus ieiunii, accipe petrosillum, anetum,
maioranam, feniculum, cepam, species cum safrano. Omnia in mortario bene terantur. Postea
coquantur
cum
oleo
et
ministra.
Liber de coquina (sec. XIV.) Testo: Marianne Mulon: Deux traités inédits d'art culinaire
médiéval.
Se vuoi fare ottime verdure in giorno di digiuno, prendi prezzemolo, aneto, maggiorana,
finocchio, cipolla, spezie con zafferano. Trita tutto quanto per bene in un mortaio. Poi cuoci
con olio e somministra.
De li sparaci.
Togli li sparaci, e falli bollire; e quando sieno bulliti, ponli a cocere con oglio, cipolle, sale e
zaffarano, e spezie trite, o senza
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Ingredienti: asparagi, cipolle, zafferano, spezie miste.
Lessare gli asparagi. Ripassarli in padella con olio, cipolle zafferano e spezie.
De le lattuche.
Togli lattuche con latte fresco di capra, del mese d'aprile, con spezie e torli d'ova, e lardo
fresco, e carni di porco. Questo mangiare si chiama mangiare di lattuche, perciò che si fa di
midolle di lattuche.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Ingredienti: Lattuga, latte di capra, spezie, tuorli d’uova, lardo fresco, carne di maiale.
Cuocere la lattuga con latte di capra, lardo fresco, carne di maiale tritata, spezie e tuorli d’uova.
De le lenti.
Togli le lenti bene lavate e nette da le pietre, e poni a cuocere con erbe odorifere, oglio, sale e
zaffarano. E quando saranno cotte, tritale bene; e messovi su ova dibattute, e cascio secco
tagliato, da' mangiare.
Ingredienti: lenticchie, erbe aromatiche (prezzemolo, salvia, rosmarino, alloro, timo, ecc.);
zafferano, uova, scaglie di parmigiano.
Lessare le lenticchie con le erbe aromatiche, olio sale e zafferano. Quando saranno ben cotte
ridurle in purè, aggiungere le uova sbattute e il parmigiano.
Altramente. Poni a cuocere le lenti con carne di porco fresca o insalata, e dalle a mangiare, pur
così senza ova e cascio.
Ingredienti: lenticchie, carne di maiale.
Cuocere le lenticchie con la carne di maiale.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
De l'erbe minute.
Spinacci, borraggini, petrosello, biete, aneto e simili cose fa' bullire, gittane via l'acqua: poi le
batti minutissimamente su la taola: e metti a cocere con latte d'amandole, e guardale dal fumo
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Ingredienti: Spinaci, borragine, prezzemolo, biete, aneto, latte di mandorle.
Sbollentare le verdure, scolarle e strizzarle, tritarle e cuocerle con il latte di mandorle
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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FAGIOLI
41. Ad usum marchie trivisine.
Pone fassellos bullitos descacatos ad coquendum cum carnibus salsatis, posito pipere et
safrano.
Liber de coquina (sec. XIV.) Testo: Marianne Mulon: Deux traités inédits d'art culinaire
médiéval
41. All’uso della Marca Trevigiana.
Metti a cuocere fagioli bolliti, tolti dai baccelli, insieme con carne salata, aggiungendovi pepe e
zafferano.
Fasolj
Coceli fasoli in aqua pura ho in bono brodo he quando serano cotti tole cipolle tagliate suttili he
frigele in patella cum bono olio he mette de sopra queste cipolle fritte cum pipo: he canella he
zaffrano poi lassale reposare sopra la Cinere Calda uno pezo Et poi fa le menestre cun spacie
bone de sopra.
Anonimo Napoletano –Ms. Buhler 19 – New York, Pierpont Morgan Library
Ingredienti: Fagioli con l’occhio (solo ed esclusivamente quelli!!!!), cipolle, cannella,
zafferano, spezie forti, olio.
Lessare i fagioli. Tagliare a fette sottili le cipolle e friggerle in olio, aggiungere i fagioli, pepe,
zafferano e cannella. Cuocere a lungo sulla cenere calda, cospargere di spezie e servire.
De' fasoli.
Fasoli bene lavati e bulliti, metti a cocere con oglio e cipolle, con sopradette spezie, cascio
grattato, et ova dibattute.
Ingredienti: Fagioli con l’occhio, cipolle, spezie miste, uova, parmigiano grattugiato.
Lessare i fagioli, scolarli e cuocerli con olio, cipolle e spezie miste. Aggiungere uova sbattute e
parmigiano grattugiato, fare rapprendere e servire.
Altramente al modo trivisano. Metti fasoli bulliti, descaccati, a cocere con carne insalata, e con
pepe, e zaffarano. E possonsi dare soffritti con oglio, postovi dentro un poco d'aceto, amido e
sale.
Ingredienti: fagioli con l’occhio, pancetta tesa, pepe, zafferano, aceto.
Lessare i fagioli, scolarli e cuocerli con la pancetta, il pepe e lo zafferano. Spruzzare con un po’
di aceto e regolare di sale.
Altramente. Tolli i fasoli bulliti, e gittatane via l'acqua, mettili a cocere con carne di castrone, di
porco, o di bue, o qualunche vuoli, e molto pesta, e un poco di zaffarano e sale, e da' mangiare.
Ingredienti: Fagioli con l’occhio, carne di castrone, di maiale, di bue o altra carne a scelta,
zafferano.
Lessare i fagioli, scolarli e cuocerli con la carne scelta tritata e lo zafferano
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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PORRI
CXVII. Tredura.
A ffare tredura, toy lo biancho delli porri e mitilo a lessare intriego e poy li batte con coltello
ben trito; poy lo frizi con lo grasso della carne che tu coxi; toy pan e gratillo e mitilo a moglo in
acqua calda; toy una peza de carne e bati lo pan e la carne con coltello, poy to ove batute e
zafarano assay el bati in sema e miti su quelli porri friti cum specie assay e serà bon.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento
Tredura
1 kg di porri, 200 g di pancetta salata fresca, 100 g di pane secco, 3 uova, zafferano, sale, spezie
dolci e spezie forti.
Prendere il pane secco e bagnarlo con acqua calda.
Prendere il bianco dei porri e lessarlo intero insieme alla pancetta, quindi tritarlo bene con il
coltello.
Prendere il grasso della pancetta cotta e farlo sciogliere in una padella, aggiungendo
eventualmente del condimento, aggiungere i porri tritati e fare rosolare.
strizzare il pane bagnato e ridurlo in pappa. Prendere la parte magra della pancetta e tritarla,
aggiungere il pane, le uova, lo zafferano. Versare il composto sui porri e scaldare. Spolverare di
spezie e servire.
80. A fare porrata rapina.
Tolli doi parti di rave e una parte di porri mondi e lavati, e fa bollire in aqua; poi cola e dirompe
bene colla mescolla, e metti brodo di carne grasso e alguno bianco di finochi; e metti latte, e
caso grattato, e zaffarano, e specie forte.
Manoscritto di Sheffield
Ingredienti: 2 parti di rape e una di porri. brodo di carne, bianco di finocchi, latte, formaggio
grattugiato. zafferano, spezie forti.
La proporzione tra porri e rape deve essere di 2 a 1 ossia ogni 100 grammi di porri ci vogliono
200 grammi di rape.
Lessare le rape e i porri in acqua. Colarli e tritarli. Metterli nel brodo con il bianco del finocchio
tritato, un po’ di latte. Portare ad ebollizione, aggiungere lo zafferano le spezie forti e il
formaggio.
De' porri.
Altramente a tempo di digiuno. Togli porri tagliati, ben lavati e premuti, e poni a cocere con
oglio e pane trito, o grattato, distemperato con ova, pepe e cruoco; e ponvi ova sperdute, e
cascio tagliato, e da' a mangiare.
Ingredienti: Porri, pane grattato, uova, pepe, zafferano, formaggio tipo marzolino o caciotta.
Tagliare i porri, lavarli e strizzarli, cuocerli in olio. Bbattere le uova con il pane grattato, pepe e
zafferano, aggiungere le uova ai porri, mettere del formaggio affettato fare rapprendere e
servire.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Altramente. Anche i porri fessi in quattro parti, e ben bulliti e cavati da l'acqua, si possono
friggere con oglio, sale e pepe, sopra le scudelle a tempo di Quaresima.
Ingredienti: Porri, olio di oliva, pepe.
Lessare i porri lasciandoli al dente, scolarli e asciugarli, tagliarli in quattro parti e friggerli in
olio. Scolarli, salarli e peparli.
Altramente con carne. Togli porri bianchi, tagliati minuto e ben lavati, e cuocili con carne di
castrone; e cotti da' mangiare con spezie.
Ingredienti: Porri, carne di castrone, spezie miste.
Prendere la parte bianca dei porri, tagliarli sottili, lavarli e cuocerli con carne di castrone,
speziare e servire.
Altramente. Togli porri bene lavati e lessati: poi li cava, e tritali minuti col coltello, e poni in
padella o altro vaso a friggere con oglio e sale, ovvero lardo. E poni in acqua a cuocere e
ciminium (cumino) trito e ova dibattute e cruoco, e, se vuoli, ponerai carne di porco, o di
castrone, o quello che ti piace.
Ingredienti: Porri, cumino, uova, zafferano, carne di maiale o altra carne.
Lessare brevemente i porri, tritarli finemente e friggerli in padella con olio o lardo, aggiungere
un po’ d’acqua, cumino tritato, uova sbattute, zafferano.
Se si vuole si possono cuocere con carne di maiale o altra carne.
Altramente. Togli porri interi, bene lavati, e fessi in quattro parti, e lessali un poco: poi cavali, e
poni in taola a scolare; poi togli farina, e distempera con acqua calda un poco, e mena nel catino
co la mescola fortemente, e con sale dentro. Poi togli quelli porri a pezza a pezza, et involgi in
quella pasta; e poi friggili con olio ad abbundanza
Ingredienti: Porri, farina, olio d’oliva per friggere.
Lessare brevemente i porri, scolarli e asciugarli bene. Tagliarli in quattro parti. Con la farina,
sale e acqua calda fare una pastella, immergervi i porri, scolarli e friggerli in abbondante olio.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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RAPE
LXV. Rapa armata.
A ffare una rapa armata, fa coxere la rapa in lo fogo; po' ch' è cocta, mondala e poy fay le fette
sotille e de caxo dolce fa le fete sotille e tra zaschaduna fetta de rapa miti una de caxo e lassa
cossí ben confettare insieme. Se tu voy tu ge po mettere un testo caldo suso e serà fato; poi
polverizage del zucharo, etc.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento
Rapa armata.
Ingredienti: rape, formaggio dolce tipo caciotta o marzolino, zucchero, spezie dolci.
Lessare le rape, quando sono cotte tagliarle a fette sottili. Tagliare a fette sottile il formaggio.
Mettere le fette di formaggio tra le fette di rapa e fare candire insieme. Per ottenere il risultato
più velocemente, mettere sopra un coperchio di terracotta caldo, cospargere di zucchero e
spezie.
De le rape.
Togli rape bullite colle foglie, e polle a cocere con carne di bue, e pepe, e cruoco. E quando
sono cotte, le poni in scudelle per la comune famiglia.
Ingredienti: rape, carne di bue, pepe, zafferano
Lessare le rape con carne di bue, pepe e zafferano,
Altramente. Togli i capi de le rape, senza foglie, taglia e fa' bullire in acqua. E gitta via quella
acqua, poni a cuocere con cappone o altra carne, e colorale con cruoco e pepe. E poste in esse
ova distemperate, cascio secco tagliato e ova lesse, mettivi su latte di capra, e da' mangiare.
Ingredienti: rape, cappone o pollo o altra carne, zafferano, pepe, uova, uova sode, parmigiano,
latte di capra.
Lessare le rape, scolarle e passarle in padella cuocendole con la carne, aggiungere pepe e
zafferano. Aggiungere delle uova sbattute, lamelle di parmigiano e uova sode. Stemperare con
latte di capra.
Altramente. Togli rape senza foglie, mondate di corteccia, bullite e sciutte, e poni a cuocere con
sale e latte di noci, e ponvi pepe e cruoco.
Ingredienti: rape, latte di mandorle o di noci, pepe e zafferano.
Lessare le rape, tagliarle e cuocerle con latte di mandorle o noci pepe e zafferano.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Rave in tempo de gegiunio
Affare rapa in tempo de iegiuno tolli rape con follie ben mondate et mictele a bollire in grande
quantità de acqua, et quando el è ben lesse. tralle fora dell’acqua et mictele in acqua freda, et
poy le frigi con olio et cepolle et micti del pepe ed dà ad magnare
Anonimo meridionale del primo Quattrocento.
Ingredienti: Rape, cipolle, pepe, olio.
Lessare le rape, quando sono cotte, scolarle e metterle in acqua fredda. tagliarle a fette e
asciugarle bene, friggerle in olio con cipolle affettate, salare e pepare.
81. A fare Rave maritate.
Tolli le rave e cocele sotto le brase, poi lo monda, e fa fette, e frizele in butiro fresco (e <di>
quaraesima in latte di mandole) e poi le dirompe con la mescola; e così assutte le menestra con
bono caso grasso, e di quaraesima con latte di mandole; e zucharo e specie di sopra.
Manoscritto di Sheffield
Ingredienti: Rape, burro, formaggio grasso tipo marzolino o caciotta, spezie miste.
Cuocere le rape sotto la brace, pulirle, tagliarle a fette e friggerle nel burro, aggiungere
formaggio grasso, zucchero e spezie
82. A fare Rave in su testo.
[35v.] Tolli le rave cotte sotto le brase e mondale, e fa fette a modo di suppa francescha; e tolli
una padella di rame, o di terra, e metti uno solaro di caso e uno di raue, e così a solaro a solaro
tuttavia; e fa che sia caso grasso messitato con specie dolce e forte; poi poni el testo caldo di
sopra, e di sotto foco lento, e vole mettere col testo in tavola a modo di macharoni.
Manoscritto di Sheffield
Ingredienti: Rape, formaggio grasso tipo marzolino o caciotta o fontina, spezie dolci e forti.
Cuocere le rape sotto la brace, pulirle e tagliarle a fette, Prendere una pentola di rame o di
terracotta, fare uno strato di formaggio e spezie, uno di rape e così via, mettere un coperchio
sopra ricoprire con la brace e far sciogliere il formaggio.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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CECI
Altramente (ceci) Togli ceci rotti bulliti et gitata via l’acqua ponansi a cocere con lacte di
mandole spetie e croco et posi fare senca spetie con giengiovo. E siranno i ceci bianchi
Ingredienti: Ceci, latte di mandorle,spezie, zafferano, zenzero.
Lessare i ceci, scolarli e cuocerli con il latte di mandorle, spezie e zafferano.
Si possono fare senza spezie ma con zenzero.
Altramente (ceci). Togli ceci interi et poni a cuocere con oni carne salata lavata e spurata bene
dal sale. Et ponvi pepe et croco se vuoli. E poi ponervi ceci rotti e ova perdute overe dibatutte e
etiandio lardelli.
Ingredienti: Ceci, pancetta tesa o carne salata, pepe, zafferano, uova, lardo.
Lessare i ceci, scolarli cuocerli con la pancetta, pepe e zafferano.
Si possono aggiungere uova sbattute e lardo.
Altramentedi quaresima. Togli ceci rotti o interi pone a cocere con olio sale et pesci menucati
overo bactuti e distemperati nel mortaio e messovi spezie et caffarano dà a mangiare.
Ingredienti: Ceci, ilio, sale, pesci sminuzzati, spezie miste, zafferano.
Lessare i ceci, scolarli e cuocerli con olio, sale pesci sminuzzati, spezie e zafferano.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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FUNGHI
De' fungi.
Togli fungi di monti, bulliti, e cipolla soffritta con lardo, e poni a bullire con spezie et altre erbe
odorifere, e ova dibattute; e da' mangiare.
Ingredienti: Funghi freschi, cipolla, lardo, spezie, prezzemolo, uova.
Sbollentare i funghi e scolarli. Soffriggere la cipolla con il lardo aggiungere i funghi tagliati a
pezzi, aggiungere le spezie, prezzemolo tritato e uova sbattute, far rapprendere e servire.
Altramente. Togli fungi di monte, e lessali; e gittatane via l'acqua, mettili poi a friggere con
cipolla tritata minuto, o con bianco di porro, spezie e sale; e da' a mangiare.
Ingredienti: Funghi, cipolla o bianco di porro tritato, spezie, sale.
Sbollentare i funghi, scolarli friggerli con la cipolla o i porri tritati, aggiungere le spezie e il
sale.
Altramente. Togli fungi secchi, e tenuti a mollo dal vespero a la mattina; e gittata via l'acqua,
tagliali minuti col coltello, e un poco di porro bianco, o cipolla, e poni a friggere con oglio, o
lardo e spezie e castagne e aceto, e un poco d'acqua e sale. E poi ci poni mostarda con mosto
cotto, e carne di porco, se ti piacerà.
Ingredienti: Funghi secchi, bianco di porro o cipolla tritata, lardo, castagne lessate, aceto.
Mettere ammollo i funghi per una notte, strizzarli e tagliarli con il coltello, cuocerli in olio o
lardo con la cipolla, le spezie, le castagne, un po’ di aceto e acqua.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Per quocere funghi
Netta li funghi molto bene e falli bollire in acqua con due ho tre capi di agli e con mollica di
pane. et questo si fa perche da natura sono velenosi dipoi cavali fuora e lassali bene colare
quella acqua in modo che rimangano sciutti e dipoi frigili in buono olio ho in lardo e quando
sono cotti mettivi sopra delle spetie.
Mastro Martino – Ms.Urbinate Latino 1203 – Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
Ingredienti: Funghi, aglio, mollica di pane, lardo, spezie.
Lessare i funghi con l’aglio e la mollica di pane. Scolarli bene e asciugarli. Friggerli in olio o
lardo e cospargerli di spezie.
In altro modo modo potrai conciare li dicti funghi cioe nettandoli prima molto bene e poi
metteli sopra la bracia e ponvi sopra la bracia e ponvi sopra dellardo e dello aglio battuto
insieme e del pepe e similmente li potrai conciare con olio. Et etiamdio li potrai quocere cosi
aconci in una padella come se fusse una torta.
Mastro Martino – Ms.Urbinate Latino 1203 – Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
Ingredienti: Funghi, lardo, aglio, pepe.
Utilizzare possibilmente funghi con una grossa cappella.
Pulire le cappelle, metterci sopra un trito di lardo, aglio e pepe. Cuocere sulla brace.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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INSALATE
Nella normalità dei casi i libri di cucina ignorano queste preparazioni propriamente di
competenza dei credenzieri e non dei cuochi; e tale scarsa attenzione si riscontra soprattutto
nella letteratura culinaria tardo-medievale, mentre i trattati cinquecenteschi cominciano a far
posto alle insalate, se non nei ricettari veri e propri, almeno nelle liste dei banchetti. A ben
vedere, anche le annotazioni del nostro manoscritto (Manoscritto di Sheffield- Manoscritto
inedito del primo Cinquecento. Il manoscritto è stato redatto all’inizio del XVI sec., ma è stato
in parte copiato da un originale del tardo Quattrocento, e parecchie delle ricette che vi sono
contenute ricalcano manifestamente modelli ancora più antichi, sicuramente anteriori al 1492.)
non possono sempre aspirare al nome di ricette, trattandosi di brevi, lapidari elenchi di
ingredienti di base, spesso senza alcun cenno al modo di prepararli, combinarli, condirli.
(Enrico Carnevale Schianca – Appunti di Gastronomia n.52 – Insalate medievali –
[1r.] Incipit primus tractatus: de insaltitiis.
In mane.
1. Erba santa maria, menta, matricaria, botano1 e ysopo.
2. Menta, nepetella, pulegio e ruta.
3. Fiore de rosmarino, fiore de buragine.
4. Scabiosa, menta campestra, perforata e radichio.
5. Fiore de zaffarano, peverella e mazorana.
Da matina cocte, a dezuno,2 e azonzige spetie.
6. Cappari lavati in tre acque calde, e poi alzate boll<or>e,3 e remesta in aqua fresca e spermete;
consi4 con sale, olio e aceto e spetie.
7. Radice de radichio cotti in aqua e conci come di sopra.
8. Sparagi teneri cotti e fricti con olio dolce, conci con aceto e spetie e sale. Anche son boni
senza sofrigere.
9. Erba dicta crescione cotto in aqua, aceto e poi olio sopra, e sale senza spetie.
10. Cepolle cotte tenerissime e menuzate, e conze con sale, olio e aceto, e spetie; e vole essere
caldo.
11. Vitizi vitarbi zovenetti lessi e soffricti come sparasi.
12. Carote, de qual rasone se sia, domestiche, cotte sotto el fuogo tenerissime e poi monde, e
factte fectte sottile, e conze con olio, aceto, e sale e spetie.
Insalate da sera crude per mettere appetito.
13. Ruchetta campestra, morella, finochi, lenzola, perforata, fegatella, giengio bianco, primo
fiore.
14. Lattuche senza olio e boragine.
15. Raponzoli, cecerbita, barba de becho, barba de prete, pimpinella, erba luce, petrosello,
pulezuolo, con sale, olio e aceto.
16. Cavoli cappucci lessi, e conservati con seme di finochio e aceto, e anisi.
17. Lactuca, boragine, basilico, ruchetta domestica, agretti.
18. Radichi teneri, crespigni, aglietti, raponzoli, caza lepori.
1
botano: abrotano
francesismo da dejeuner = desinare; dal latino jejunium (digiuno), attraverso il latino volgare disjunare = rompere il
digiuno. Dunque ‘a dezuno’ significa qui ‘a pranzo’.
3
Possibile ricostruzione. La sostenibilità dell’espressione ‘alzare il bollore’ è giustificata dall’impiego di quella
contraria ‘chalare el boio’ (VIII,24).
4
consi: conciati, conditi.
2
22
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Nota che queste erbe e insalate sopra dicte non uogliono essere acconze nel modo scripto
auolere che una erba freni laltra dela calideze, e [1v.] frigideza, e luna per laltra non sia nociva
alla natura ma sopra tutte le cose ogni erba cruda none sana alla digestione dela natura ben che
rimoua alguno difecto per sua natura noce poi alaltro difetto.
1. Erba santa Maria = tosc. per menta greca (Mattioli, p. 358); dalla descrizione è una
composita appartenente ai tanaceti; Ungarelli, p. 24; probabilmente è Chrysanthemum
balsamita, altre volte chiamato anche erba di S. Pietro (Negri, p. 398). Herba di Santa Maria:
mentha sanicenica, costo hortense secondo Cassiano Basso (Anguillara, p. 225). [MATTEO
SILVATICO, fo. 124r.]: Herba sancte Marie est herba ad albedinem tendens rugosis folijs sicut
herba que dicitur flommos (latine tapsus barbassus).
Menta = Numerosissime e di non facile classificazione sono le specie del genere Mentha, e
quelle oggi più diffusamente coltivate (come la M. piperita) sono ibridi ottenuti di solito da
Mentha viridis e Mentha aquatica. – MATTEO SILVATICO (Opus pandectarum medicine, Pavia,
Jacob de Paucisdrapis, 1508): [fo. 158r.] 1) mentha domestica, que proprie hortulana dicitur vel
communis vel odorifera; 2) m. silvatica que mentastrum dicitur; 3) alia m. que longiora et
acutiora habet folia, et hec mentha romana vel sarracenica dicitur; 4) alia dicta aquatica et
vocatur sisimbrium vel balsamita; 5)alia non odorifera et illa est calamentum. [Serapione,
ibidem]: 1) m. domestica: ramuli quando masticantur habent colorem celestem et sunt interius
concavi et in summitate ramulorum sunt quasi licinia et virent; 2) m. silvestris, cuius folia sunt
aspera pilosa maiora folijs sisimbrij et in odore suo est pinguedo. [Paolo Egineta, ibidem]: 1)
domestica (la più efficace); 2) agrestis seu viridis; 3) hortulana vel sarracenica.
Matricaria = tosc. per amarella (Chrysanthemum parthenio), altre volte denominata erba di S,
Pietro; Mattioli, p. 438, la identifica esattamente con il parthenio di Dioscoride, opponendosi al
Brasavola che lo riteneva altra erba, e precisamente quella che i Ferraresi chiamavano
‘brusaculo’; ‘brusacul’ (anche cægasangv o camamella) in bolognese è la Cuscuta europaea
(Ungarelli, p. 10), pianta parassita delle fave e delle ortiche. - Negri, p. 398. - MATTEO
SILVATICO, [fo. 27r.]: Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine grece tagetes
(descritta simile all’assenzio e all’abrotano, ma con foglie non bianche, bensì verdi, e fiori
come quelli della camomilla, graveolenti. – Bras., p. 111: la M. o marella [<amarella] è simile,
ma non è l’artemisia.
Abrotono = pianta del genere Artemisia, cui appartiene anche l’assenzio. (Negri p. 403);
comunemente coltivato negli orti ancora nel XVI sec. (Mattioli, p. 348); MATTEO SILVATICO
[fo. 2v.]: due specie di abrotano: la prima è l’a. femmina, chiamata anche tanaceto, con fiori
gialli; la seconda è l’a. maschio, con semi simili a quelli dell’assenzio e fiori simili a quelli
della pucida (cotula fetida, simile alla camomilla; la cotula non fetida è il buftalmo).
Issopo = (Mattioli, p. 349)
2. Nepetella = Mattioli (p. 360) identifica la Nipotella (nepetella) con la Calamintha,
volgarmente detta calamento. Il riferimento è sempre a Dioscoride, che elenca tre specie di
calaminta: per Anguillara (p. 202) la nepitella è la calaminta seconda, mentre la calaminta
prima potrebbe essere la melissa.
Puleggio = Altro appartenente al genere Mentha (Negri, p. 361); (Mattioli, p. 353).
Ruta =
4. Scabiosa = Succisa pratensis; Fuchs, tav. 408; Ungarelli, p. 100; Negri, p. 382.
Menta campestra = potrebbe trattarsi di Mentha longifolia, detta anche mentone, mentastro
selvatico, menta selvatica (Mattioli p. 358).
5. Peverella = sinon. di santoreggia in alcuni luoghi d’Italia fuori di Toscana (Mattioli, p. 361),
come ad esempio nel Veneto (Erbe, Fabbri, p. 556; - «dirò […] che il lepidio sia quell’herba
che si chiama piperite» (Anguillara, p. 121). Piperela, piperella in Serap. I, 30, II, 180 è
identificata (attraverso l’illustrazione) con la menta piperita; altrove (I, 318, II, 180) è la
semente dell’agnocasto.
11. Vitizi vitarbi = viticci della vitis alba (Bryonia dioica); «vigna biancha», Serap., I, p. 49: «li
rami le foge e i cavrioli» sono più asperi di quelli della vite comune. Sono amari e stiptici.
13. Morella = Strychnos in greco (Teofrasto); con lo stesso nome venne ribattezzato un genere
di piante equatoriali da cui, agli inizi del XIX sec., si cominciò ad estrarre l’alcaloide chiamato
per l’appunto stricnina, che non ha niente a che vedere con la nostra erba. La quale tuttavia è
oggi considerata decisamente sospetta (Negri, Nuovo erbario), soprattutto le bacche. Le foglie
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tuttavia, si sono sempre consumate nell’antichità, tanto che l’erba morella fu per molti secoli
comunemente coltivata negli orti. Il suo nome latino è solanum, solatrum nel gergo degli
apotecari; nomi volgari: uva lupina, uva delle volpi, erba morella; solatro hortolano (Mattioli);
(Leonhart Fuchs, New Kreüterbuch, Basilea 1543, cap. 265, tav. 392). Galen, pur
annoverandola tra le erbe commestibili, dice di non conoscerne un’altra che sia astringente al
pari di questa; per cui si capisce bene perché si impieghi largamente nei rimedi farmaceutici e
con estrema parsimonia nei cibi: infatti fa al caso di chi abbia bisogno di rimedi astringenti e
rinfrescanti, ma quanto a valore nutritivo ne ha ben poco (Galeno, De alimentorum facultatibus
libri III, Parigi, S. Colinaeum, 1530, fo. 67v.). In ogni caso, il suo diffuso impiego alimentare è
desumibile dal fatto che veniva coltivata, ed è pure documentato, pur se sporadicamente, dai
libri di cucina. Il ms. Western 211 del Wellcome Institute di Londra, a fo. 120r. riporta una
ricetta piuttosto complessa di salsa camelina, da cui emerge lampante la preoccupazione di
conferire alla preparazione un colore rosso bruciato: si fa infatti ampio ricorso, oltre che alle
solite spezie come cannella e garofani, all’uva passa, al vino rosso, al sugo di melagrane, al
legno di sandalo rosso e al «calabunsi sicho che tengono lo spitiali», che è il kalambouk o
calambucco, la qualità migliore di legno di aloe (Aquilaria agallocha), proveniente dalla
Cocincina (Cfr. Heyd, p. 1187); ma «si non havesse el suo colore» camellino come si desidera,
si consiglia una aggiunta di «sciugo de la maurella», e sembra chiaro che questo succo andasse
spremuto dalle bacche tossiche, visto che le foglie non renderebbero la stessa tinta violetta.
Primo fiore = tosc. per Bellis perennis; Mattioli, p. 439
Fegatella = Marchantia polymorpha, Fuchs tav. 266. – Hepatica, Mattioli, p. 485.
15. Erba luce = Herba luzula, nome toscano del combreto (Anguillara, p. 179)
17. Agretti = «il nasturtio hoggi si dimanda agretto e in Puglia cardamo» (Anguillara, p. 118).
18. Crespigni = sonchi, cicerbite, crispini; a Padova latisuoli. (Anguillara, p. 115)
Caza lepori = caccialepre. Diverse identificazioni locali. A Roma il caccialepre è da
identificarsi con lo hieracio minore (Felici, p. 59); da Mattioli (pp. 379-380) non è possibile
individuare lo hieracio maggiore né il minore, che egli dice largamente diffuso e in tutto simile
al sonco. - A Padova (Anguillara, p. 107) si chiama caccialepre il raggagiolo (Felici), che è da
identificarsi con la Condrilla prima di Dioscoride (Felici, p. 58); nella illustrazione del Mattioli,
la condrilla prima assomiglia ad un piattello, il che non parrebbe accordarsi con l’annotazione
che è più amara della cicoria (Mattioli, p. 273). – Oggi nell’Italia meridionale, partic. In Sicilia,
il caccialepre è la Reichardia picroides (Polunin, p. 247);
Come condire l’insalata mista
L’insalata mista si prepara con lattuga, buglossa, menta, nepitella, finocchio, prezzemolo,
crescione, origano, cerfoglio, cicoria e lancedine – dette rispettivamente dai medici tarassaco e
arnoglossa - , morella, fiori di finocchio e parecchie altre erbe aromatiche, lavate e scolate per
bene. Si mettono in un piatto grande, si salano con abbondanza, si aggiunge olio e sopra si
sparge aceto; poi si lasciano macerare per un po’. Per la loro selvatica durezza, quando si
mangiano è bene triturarle a lungo con i denti. Questo contorno richiede più olio che aceto e più
d’estate è consigliabile d’inverno, perchè esigendo una digestione più lunga, d’inverno e più
facile smaltirlo.
De honesta voluptate et valetudine – Bartolomeo Platina – Traduzione di Emilio Faccioli
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Specie fini a tutte cosse
Toy una onza de pevere e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de garofali e uno
quarto de zaferanno.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento –
Spezie fini per tutti gli usi
Ingredienti: 16 gr. di pepe macinato, 16 gr. di zenzero in polvere, 16 gr. di cannella in polvere,
4 gr. di zafferano, 2 gr di chiodi di garofano in polvere.
Mescolare tutti gli ingredienti e utilizzare al bisogno.
Specie negre e forte per assay savore
Specie negre e forte fer fare savore; toy mezo quarto de garofali e do onze de pevere e toy
arquanto pevere longo e do noce moscata e fa de tute spece.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento –
Spezie nere e forti per molte salse
Ingredienti: 60 gr. di pepe, 60 gr. di pepe lungo, 4 gr. di chiodi di garofano, 2 gr. di noce
moscata.
Mescolare le spezie e usare all'occorrenza.
Specie dolce per assay cosse bone e fine
Le meior specie dolce fine che tu fay se vuoi per lampreda in crosta e per altri boni pessi d’aque
dolze che se faga in crosto e per fare bono brodetto e bon savore. Toi uno quarto de garofali e
una onza de bon zenzevero e toy una onza de cinamo leto e toy arquanto folio e tute queste
specie fay pestare insiema caxa come te piaxe, ese ne vo’ fare più,toy le cosse a questa
medessima raxone et è meravigliosamente bona.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento –
Spezie Dolci
Ingredienti: 20 g. di zenzero, 20 g. di cannella, 5 g.di chiodi di garofano.
Latte di mandorle
ingredienti: 120 gr. di mandorle non spellate, 1 litro d'acqua.
Mettere a scaldare un pentolino d'acqua. Quando bolle, versarvi le mandorle e aspettare che
riprenda il bollore. Scolare e passare sotto l'acqua fredda. Si può cominciare a mondare le
mandorle. Prendetele una ad una fra le dita e sentirete che la pelle scivola via da sola,
espellendo la mandorla.
Mettere le mandorle nella tazza del frullatore, aggiungere l'acqua e frullare a lungo fino a
ottenere un bel liquido bianco. Prendere un pezzo di garza, metterla a doppio, bagnarla e
strizzarla con cura. Distenderla in un colino e filtrare il liquido.Il resto delle mandorle può
essere utilizzato per arricchire l'impasto dei biscotti, delle torte o mischiato ai polpettoni e
passati di verdura.
E' possibile aumentare la quantità di mandorle o diminuire la quantità d'acqua a seconda della
densità che si vuole ottenere.
Il latte di mandorle era una derrata essenziale nella cucina medievale, perché era un sostituto del
latte di mucca o di pecora per i giorni di Quaresima o di magro, quando era vietato il consumo
dei prodotti animali. Inoltre non irrancidiva ed era a disposizione in qualsiasi momento
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DESCRIZIONE DEI MANOSCRITTI
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria Testo: Marianne Mulon: Deux
traités inédits d'art culinaire médiéval. (Del Tractatus sono conosciute due versioni, contenute
nei manoscritti latini 7131 e 9328 della Biblioteca Nazionale di Parigi. Il primo si ritiene risalga
all’inizio del XIV secolo e si vuole redatto a Parigi, mentre il secondo, databile tra il 1360 e il
1370, parrebbe di origine italiana. – Traduzione Enrico Carnevale Schianca in “Appunti di
Gastronomia” n.XXVI – Condeco S.r.l. Editore
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Il “Libro della cocina” è contenuto in un codice miscellaneo che si conserva presso la
Biblioteca Universitaria di Bologna (n.158del Catalogo dei Mmanoscritti). Il codice è
menbranaceo, di complessive carte 101 in folio, a due colonne. Circa la datazione del codice, lo
Zambrini, lo assegnerebbe al finire del secolo XIV oppure ai primissimi anni del susseguente.
Il “Libro della cocina” fu dato alle stampe per la prima volta più di cent’anni or sono, a cura di
Francesco Zambrini con il titolo di: “Il libro della cucina del sec. XIV. Testo di lingua non mai
fin qui stampato.”. Il quale, nell’atto di pubblicarlo, tenne a dichiarare di esser mosso “dal
desiderio di accrescere sempre più la messe de’ vocaboli, spezialmente domestici e di cose
attinenti alle arti”, non già perché avesse in animo di “porgere ammaestramenti di buona
cucina”.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento –
E’ conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma, si tratta di un volumetto menbranaceo
di carte 51, da assegnarsi, per quanto riguarda la scrittura, alla fine del secolo XV, mentre, se si
tiene conto della struttura linguistica del trattatello, la composizione è da far risalire al
Trecento. Fu dato alle stampe per la prima volta a cura di Ludovico Frati, col titolo di “Libro di
cucina del secolo XIV” (Livorno 1899), nella “Raccolta di rarità storiche e letterarie” diretta da
G.L. Passerini.
“Libro per cuoco”è l’intitolazione recenziore che fu posta in testa al manoscritto originale sotto
la data del 1741.
Liber de coquina (sec. XIV.) Testo: Marianne Mulon: Deux traités inédits d'art culinaire
médiéval. Anonimo trecentesco della corte angioina.
Il più vetusto ricettario di cucina di area italiana è anche, il meno “provinciale” dei trattati di
gastronomia circolanti in Italia nel secolo XIV, il più aperto alle suggestioni di costumi cucinari
di altre regioni e di altri popoli.
Nel “Liber de coquina” troviamo ricette all’uso di Roma, dell’Inghilterra, della Francia, della
Campania, della Marca Trevigiana, della Provenza, della Germania, delle popolazioni arabe,
della Spagna, di Genova, di Parma, della Lombardia, a riprova di una varietà di esperienze e di
conoscenze che ne fanno un’opera a carattere cosmopolita, concepita in un ambiente di una
corte particolare nel contesto italiano, com’era quella angioina nei primi decenni del trecento.
Non a caso esso è stato attribuito ad autore operante nella sfera della corte napoletana al tempo
della dominazione angioina. e può essere qualificato, per la concezione complessa e fastosa di
certe vivande, come il prodotto tipico di un mondo principesco che aveva origini e antecedenti
storici non locali.
Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.
Anonimo Napoletano –Ms. Buhler 19 – New York, Pierpont Morgan Library – Le ricette
appartengono quasi tutte alla tradizione di Maestro Martino. Quelle di altra origine sono:
Sent Sovì primitiu; testo ipotetico che comprenderebbe anche talune ricette estrapolate da altri
manoscritti.
De apereylar be de menyar, ms. 2112, Biblioteca de Cataluna; Barcelona; contiene anche un
esteso frammento del Sent Sovì.
Mestre Robert, Libre del coch,
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Manoscritto di Sheffield - Manoscritto inedito del primo Cinquecento. Il manoscritto è stato
redatto all’inizio del XVI sec., ma è stato in parte copiato da un originale del tardo
Quattrocento, e parecchie delle ricette che vi sono contenute ricalcano manifestamente modelli
ancora più antichi, sicuramente anteriori al 1492.
Il manoscritto in questione, segnato R. 3550 e conservato presso la Ruskin Gallery di Sheffield,
contiene nelle sue 79 carte il più corposo ricettario medievale di cucina in lingua italiana finora
conosciuto. Le prime cinquanta carte, copiate negli ultimi anni del Quattrocento probabilmente
da un’altra copia di un’opera di molto precedente, contengono sedici sezioni distinte, spesso
chiamate pretenziosamente trattati, un nucleo di 526 ricette, suddivise per argomento in:
insalate, savori, salse, spezie, agresti, frittelle, arrosti e piatti vari da dare ‘per tagliere’, vivande
per schudelle, mostarde, paste, torte e minestre, ripieni, aceti, suchi dolci per erbate, lattovarij
e ancora polveri aromatiche per aceti; seguono, da c.47v. a c.49r., le singolari <<laude e
comendationi e biasmi di magistro Andromachasso sopra l’arte de la cocina>> e due liste
cibarie di desinari. Le carte dalla 51 alla 64 ripropongono 94 ricette di Maestro Martino, cui
seguono altre descizioni di feste e banchetti, con gli ordini del pasto.
Martino de Rubeis- Libro de cosina – Riva del Garda. Archivio storico.
Redatto in area lombarda. attribuito a Mastro Martino da Como cuoco del Trivulzio.
Mastro Martino – Ms.Urbinate Latino 1203 – Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
Maestro Martino (Martino de Rubeis o de Rossi).
Poche le notizie biografiche, si sa che nacque a Blenio nel Canton Ticino prima del 1450.
Negli anni compresi tra il 1460 e il 1470 è al servizio del patriarca di Aquileia
Il “Libro de arte coquinaria” parla per lui: è un cuoco che scrive per altri cuochi, quindi le dosi
degli ingredienti non sono sempre specificate e spesso le indicazioni sono molto vaghe e
relative (assai, pocho, secondo il bisogno, in maiore quantità…). perché Martino confida nella
sensibilità culinaria dei suoi lettori, che paragona alla sua.
Anonimo meridionale del primo quattrocento.
Con il trecentesco “Liber de coquina” i “Due libri di cucina” databili alla prima metà del
secolo XV hanno in comune la zona d’origine genericamente meridionale. Un elemento
differenziante potrebbe essere ravvisato nell’ambiente sociale in cui sembrano aver operato gli
autori, identificabile per il “Liber de coquina” nella corte degli Angiò, per i “Due libri di
cucina” nel ceto aristocratico o altoborghese. Non diversamente dai libri trecenteschi di cucina,
i “Due libri di cucina” non forniscono informazioni sulle dosi degli ingredienti da usare o vi
accennano in maniera approssimativa, e soltanto vi appare più circostanziata e scrupolosa la
normativa suggerita per la manipolazione e per la cottura delle vivande, a volta con
accorgimenti di una raffinatezza che negli altri non si riscontra.
Il Manoscritto dei “Due libri di cucina” appartiene a una collezione privata di Stoccolma ed è
stato edito come opera di Anonimo Meridionale, “Due libri di cucina” a cura di Ingemar
Bostrom, negli “Acta Universitatis Stockholmiensis” Stockholm 1985, con commento alla
lingua, commento al contenuto, con tabelle delle occorrenze degli ingredienti culinari e con
glossario volgare.
La prima edizione del “De honesta voluptate et valetudine” comparve a Roma senza
indicazioni bibliografiche, probabilmante nel 1474. Altre traduzioni del testo latino seguirono
nel corso del ‘400 e del ‘500. La prima traduzione in volgare fu pubblicata a Venezia nel 1487
e altre vi fecero seguito fino all’inoltrato ‘500, insieme con versioni in inglese, in francese e in
tedesco.
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PICCOLO MANUALE
DI CUCINA IN CAMPO III
PESCI
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IN COPERTINA:
Salamoia di pesci aceto ed erbe
Theatrum Sanitatis di Ububchasym de Baldach
Codice 4182 della Biblioteca Casanatense di Roma
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A Elisabetta (Betta) Weiss
degli Aper Labronicus di Livorno.
Per anni mi ha chiesto ricette di pesce.
Finalmente l’ho accontentata!
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PESCE
Agli ebrei era consentito mangiare il pesce con le squame quale augurio di
fecondità. I primi cristiani ne mangiavano sia fresco che secco, conservato sotto
sale. Nel Nuovo Testamento è narrata la parabola dei pani e dei pesci in accordo
alla quale Gesù sfamò la folla che lo aveva seguito benedicendo cinque pani e due
pesci, che si moltiplicarono. Frutto della Provvidenza, il pesce è qui individuato
come cibo cristiano, nel tempo diventato cibo penitenziale per eccellenza,
consentito laddove era proibita la carne. L’abitudine di cibarsi del pesce perdura
nel Medioevo e nel Rinascimento grazie anche al fatto che, essiccato e conservato
sotto sale, poteva resistere meglio della stessa carne.
(Silvia Malaguzzi – Il cibo e la tavola – Electa)
Nel Medioevo, l’attività della pesca ebbe un’importanza tutta particolare, e il
pesce conobbe “livelli di consumo neppure lontanamente paragonabili, almeno
nell’Europa occidentale, né con l’età precedente né con quella successiva”. In
primo luogo ciò avvenne per un motivo molto ovvio: di pesce ce n’ era in
grandissima abbondanza ovunque. Se dappertutto si pescava – nel mare, nei laghi,
nei fiumi maggiori e minori, negli stagni, nei canali, nelle paludi, in qualsiasi
corso d’acqua grande o piccolo – lo si faceva innanzitutto perché si poteva: le
acqua, di ogni genere, erano nel Medioevo un vero e proprio serbatoio di fauna
ittica, così come i boschi e le brughiere lo erano di selvaggina....
...C’è poi una seconda serie di motivi, che nel Medioevo concorsero a fare del
pesce una derrata alimentare particolarmente importante: motivi di ordine diverso,
non economico ma culturale, legati cioè a quella che fu nel Medioevo l’unica
“cultura” ufficialmente riconosciuta – quella religiosa. La religione cristiana
esercitò infatti in proposito una duplice influenza, sul piano simbolico e sul piano
precettistico. Per quanto concerne il primo punto di vista, è da rilevare il ruolo
singolare del pesce e dei pescatori nella tradizione biblica e soprattutto
evangelica: si pensi agli episodi della moltiplicazione dei pesci e della pesca
miracolosa; si pensi alla figura degli apostoli, già pescatori, trasformati in
“pescatori d’anime”. In tal modo, tramite i testi evangelici e il rilievo che essi
danno (anche per l’ambiente in cui furono prodotti) alla pesca e al pesce,
quell’attività e quella derrata alimentare finiscono per oltrepassare il loro
significato terreno e accedono a una nuova scala di valori, mistici e sacrali. Così,
a livello dottrinale, il pesce assume un valore fortemente simbolico, giungendo
talora ad indicare la figura stessa del Cristo: ne deriva, nella cultura clericomonastica occidentale, una forma di particolare stima e rispetto verso questo cibo,
che trova la sua massima espressione nelle regole monastiche, ove la proibizione
della carne fa riscontro alla liceità del consumo di pesce. Certo che, al livello del
mondo contadino, di una cultura, cioè, rimasta fondamentalmente pagana per
tutto il Medioevo e oltre, tale aspetto “simbolico” attribuito al pesce dai dotti
trattatisti della Chiesa non doveva essere recepito con chiarezza, se mai lo era.
Senza dubbio maggiori erano gli effetti pratici del secondo dei due aspetti di cui
andiamo parlando: quello precettistico. In questo caso, infatti, l’influenza della
cultura cristiana non si limitava al piano dottrinale, ma entrava nella sfera del
comportamento individuale, in un settore, cioè, sul quale il controllo delle autorità
ecclesiastiche poteva essere esercitato con maggiore efficacia che sul piano delle
idee. Si tratta, come è chiaro, del precetto dell’astinenza dalla carne, cui tutti i
cristiani erano tenuti per un certo numero di giorni all’anno: e, nel Medioevo, il
numero di questi era molto alto, 120-130 all’anno, ossia, in media, uno su tre. Vi
erano infatti compresi tutto il periodo dell’avvento e della quaresima; i giorni che
precedevano le principali feste liturgiche; il venerdì e il sabato di ogni settimana.
Ora, non sappiamo fino a che punto tali prescrizioni fossero rigorosamente
rispettate, soprattutto nell’alto Medioevo, quando la “cristianizzazione” delle
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campagne era - come si è detto – tutt’altro che compiuta. A livello dotto, il
problema era assai sentito: lo dimostrano le fonti agiografiche, che non di rado ci
propongono episodi in cui l’occasionale carenza di pesce, necessario per rispettare
la vigilia, viene risolta miracolosamente. Ma a livello popolare? Si seguivano le
norme dell’astinenza con lo stesso scrupolo che ci è attestato nelle città del basso
Medioevo, dove nel periodo quaresimale il bilancio delle macellerie scende
praticamente a zero? Purtroppo è impossibile rispondere; dobbiamo però pensare
che il precetto dell’astinenza dalla carne, se pur non sempre rispettato, non poté
non avere una notevole influenza sul comportamento alimentare delle persone: le
dimensioni macroscopiche del fenomeno (un giorno su tre!) non potevano restare
senza eco.
Impossibile, dunque, valutare in che misura tutto ciò abbia effettivamente influito
sull’alimentazione contadina medievale, favorendo il consumo di pesce rispetto a
quello di carne. Ma va tenuto presente che la normativa religiosa si inseriva in una
realtà di fatto – il largo consumo di pesce – diffusa a tutti i livelli sociali; ed è
ovvio che l’accettazione di quella normativa era tanto più semplice e spontanea
quanto più essa corrispondeva ad una situazione reale. Se, tuttavia, la ricchezza
naturale della acque è un dato di partenza dal quale non si deve prescindere, è
vero che nel Medioevo anche i fattori culturali contribuirono a far fruttare al
massimo questa ricchezza, con la creazione di vivai e peschiere e l’allevamento
sistematico dei pesci ovunque ciò fosse possibile. Come sempre accade, realtà
economica e atteggiamenti mentali si influenzarono e rafforzarono a vicenda...
...Oggigiorno si consuma soprattutto pesce di mare. Il contrario accadeva nel
Medioevo, quando, come si è messo in luce, il pesce d’acqua dolce era
abbondantissimo, più che sufficiente a soddisfare la domanda locale; la preferenza
accordata a quest’ultimo dipendeva, inoltre, anche dalle difficoltà di trasporto e di
conservazione di questa derrata così facilmente deperibile. Ciò vale, naturalmente,
per l’entroterra, perché è ovvio che nelle zone costiere si ricorreva in primo luogo
al pesce di mare, rombi, sogliole, passere e così via.
Tale era la situazione ancora nel basso Medioevo, quando, pure la
commercializzazione dei prodotti alimentari aveva segnato rilevanti progressi: è
stato dimostrato, ad esempio, che la maggior parte del pesce che si consumava a
Bologna in età comunale non veniva dal mare, ma dalle zone paludose della bassa
pianura – le “valli” come si diceva. La pesca si configura perciò, in primo luogo,
come una vera e propria “economia della palude”, in cui il pesce d’acqua dolce
aveva una parte nettamente preponderante. Questo emerge dalle fonti scritte;
quelle archeologiche, poi, non fanno che confermare l’assunto: gli scavi di
Toscanella hanno mostrato che i resti di fauna marina (spigole, cernia, molluschi)
sono molto scarsi, pur trattandosi di un centro non molto distante dalla costa; assai
più importante, anche in questo caso, era il pesce “locale”. Se tale era la
situazione nel basso Medioevo – non solo in Italia, ma ovunque – a maggior
ragione la cosa doveva valere nei secoli precedenti, quando la struttura economica
era ancora decisamente orientata verso l’autoconsumo, ossia il reperimento in
loco di tutto il necessario. Anche e soprattutto nell’alto Medioevo, il consumo di
pesce d’acqua dolce - che si trovava abbondantemente nei laghi, nelle paludi, in
tutti i corsi d’acqua – aveva un’importanza di assoluto primo piano.
Il pesce più ricercato sembra essere stato l’anguilla. Così era in Francia, dove è
questo l’unico pesce ricordato nella legge salica, che ne proibisce il furto, e dove
gli elenchi di beni registrano numerosi canoni in anguille; così doveva essere da
noi, dove le anguille sono fra i pochi pesci espressamente menzionati nei
documenti: abbiamo visto ad esempio il polittico di Bobbio, che ricorda le
anguille e le trote pescate nella peschiera del Garda. Del tutto particolare era poi il
ruolo dello storione, che sembra sia stato considerato un pesce particolarmente
“nobile”, fino ad essere riservato, nell’Inghilterra bassomedievale, solo alla tavola
del re. In Italia non si giunge a tanto: è però significativo constatare che i
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visdomini di Mantova chiedono come canone agli uomini di Sermide “due
storioni grossi del Po”, come abbiamo visto: si tratta, molto probabilmente, del
ladano o storione maggiore, un pesce che normalmente raggiunge la lunghezza di
2-4 metri, ma può arrivare fino a 6; in passato sembra poi che le sue dimensioni
siano state ancora maggiori, addirittura fino a 9 metri di lunghezza e a molte
decine di quintali di peso. Di questo pesce si parla anche, come si è visto, nella
charta piscatoria stipulata nel 943 dall’arcivescovo di Ravenna con
l’associazione dei pescatori del Padoreno: ove precisa che, se lo storione catturato
super ai quattro piedi (circa 2 metri) di lunghezza, prima di venderlo se ne dovrà
informare la chiesa ravennate. Celebre, dunque, la storione del Po, che anche le
fonti narrative non mancano di ricordare.
Oltre all’anguilla, alla trota e allo storione, assai ricercati erano il salmone, la
lampreda, il luccio, anche se su quest’ultimo i pareri erano discordi: così, almeno,
pensa Luigi Messedaglia, che interpreta in senso restrittivo un’affermazione di
Salimbene da Parma secondo cui il luccio “è reputato, in Francia, pesce caro e
prezioso”. Non è detto, però, che Salimbene volesse dire che da noi accadeva
diversamente. Sugli altri tipi di pesce le notizie scarseggiano: abbiamo solo
qualche elenco, come quello riportato da Bonvesin della Riva nel descrivere le
risorse del contado milanese. Egli enumera trote, dentici, capitoni, tinche, temoli,
anguille, lamprede, riferendosi, a conferma di quanto detto,solo alla pesca d’acqua
dolce (in laghi, fiumi, ruscelli). Possiamo aggiungere lasche, ghiozzi e carpe,
pesci particolarmente facili da allevare nei vivai, perché molto fecondi; e poi
perche, barbi, e pesci di ogni genere, che venivano catturati e consumati in
quantità.
Il pesce si consumava fresco, oppure conservato, in diversi modi: essiccato,
marinato, affumicato, soprattutto salato. Anche in questo caso perciò, come per la
carne, il ruolo economico del sale era di prima essenzialità.
Oltre ai pesci veri e propri, vanno infine considerate altre specie animali che si
trovavano anch’esse nel mare, nei corsi d’acqua e nelle paludi, e che certamente
venivano anch’esse consumate in abbondanza. Le rane, ad esempio: famose
quelle delle paludi padovane. E poi molluschi e crostacei: scampi, calamari,
polipi, seppie, aragoste, granchi e così via.
Una menzione particolare va poi riservata ai gamberi: se Bonvesin ci informa del
gran numero di gamberi che venivano consumati a Milano nel periodo di
Quaresima, sicure attestazioni della loro importanza alimentare ci sono offerte
anche dagli statuti cittadini, da quelli bolognesi, ad esempio, che dedicano a
questi crostacei diversi articoli, e quando si occupano della vendita del pesce non
mancano di aggiungere: “e dei gamberi”. Così nell’epoca comunale, ma in questo
caso non c’è alcun motivo per pensare che nell’alto Medioevo le cose stessero
diversamente.
(Massimo Montanari – L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo – Liguori
editore.)
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I pesci costituivano uno dei cardini principali dell’alimentazione proteica durante
i giorni di astinenza dalle carni, molto più numerosi nel Medioevo che ai nostri
giorni: erano infatti in media circa uno su tre, in quanto non si poteva mangiar
carne nel periodo dell’avvento e della quaresima, nelle vigilie delle principali
feste liturgiche, tutti i venerdì e spesso anche il sabato, oltre il mercoledì nei due
mesi dell’anno corrispondenti al raccolto del grano (giugno) e del vino
(settembre) per motivi propiziatori legati forse ancora ai vecchi culti agrari.
Questi giorni di astinenza erano in genere fedelmente rispettati nei singoli nuclei
familiari, dove il consumo delle carni diventava quasi nullo, e dove, tra i fedeli
più ortodossi, si abbassava anche notevolmente il consumo delle uova e, talvolta,
anche del formaggio, indicato da molti teologi come cibi non adatti ai periodi di
magro, in quanto di origine animale. A maggior ragione nelle collettività religiose
dove il rispetto delle regole religiose era più rigido, il consumo del pesce era
ampiamente diffuso. L’uso del pesce, già alto anche nei giorni normali
specialmente in Piemonte, dove il patrimonio ittico era quantitativamente, ma
anche qualitativamente, alto e quindi accessibile a tutti i ceti sociali, veniva
notevolmente incrementato in questi giorni di magro.
I piatti di pesce, fresco o conservato, dovevano quindi essere abbastanza usuali su
tutte le mense. Sulle tavole dei ceti subalterni compariva probabilmente il pesce
meno pregiato. La pesca più apprezzata era convogliata verso le mense signorili
ed i mercati cittadini; rimaneva il pesce meno pregiato e la minutaglia di pesce di
piccolo formato, adatta ad essere fritta e consumata in umido, di difficile trasporto
e di più facile deperibilità.
Sulle mense signorili, anche in occasione di banchetti fastosi, erano portati piatti
ricercati di pesce di acqua dolce e corrente, dalle carni saporite ed apprezzate,
quali trote, lucci, storioni del Po, particolarmente gustosi.
(Anna Maria Nada Patrone – Il cibo del ricco ed il cibo del povero. Contributo
alla storia qualitativa dell’alimentazione. L’area pedemontana negli ultimi secoli
del Medio Evo – Centro studi Piemontesi – Torino 1989)
QUARESIMA E CIBI DI MAGRO
A questa società di “carnivori” (con tutte le distinzioni e le precisazioni del caso)
il calendario ecclesiastico imponeva di astenersi dalla carne per qualcosa come
140.160 giorni all’anno. Era una forma di rinuncia – la cui importanza,
indirettamente, conferma la centralità del ruolo della carne nel sistema alimentare
del tempo – diffusa da molti secoli in ambito culturale cristiano:agli inizi
l’avevano praticata soprattutto eremiti e monaci, come scelta individuale o come
osservanza di una regola; poi il ‘modello’ si era allargato alla società intera,
confortato e consolidato dalle prescrizioni delle autorità ecclesiastiche, che
riguardavano alcuni giorni della settimana (in particolare il mercoledì ed il
venerdì; poi solo quest’ultimo) e certi giorni o periodi dell’anno: vigilie di
festività, grandi e piccole Quaresime (oltre ai quaranta giorni che precedono la
Pasqua, vi erano altri tre periodi ‘minori’, di diversa durata a seconda degli usi
locali).
I motivi di questa scelta sono piuttosto complessi: accanto a motivazioni di ordine
strettamente penitenziale (la rinuncia a un significativo piacere quotidiano)
dovettero entrarvene altre, legate sia alla persistenza di una certa immagine
‘pagana’ del consumo di carne (il sacrificio di animali e il loro consumo rituale
erano un momento essenziale di quella religiosità) sia alla convinzione,
scientificamente corroborata dai testi di medicina, che il consumo di carne
favorisce l’eccesso di sessualità (questo grande nemico del perfetto cristiano),
Fatto sta che l’astinenza dalla carne si delinea fin dai primi secoli del
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cristianesimo come un tema ricorrente della trattatistica morale e della normativa
penitenziale. Di qui la necessità di cibi alternativi: di qui la grandissima fortuna
alimentare (economica e culturale) di questi prodotti ‘sostituitivi’ come i legumi,
il formaggio, le uova – e il pesce.
La promozione di quest’ultimo a sostituto per eccellenza della carne, a vero e
proprio ‘segno alimentare’ dei periodi e dei giorni ‘di magro’ non fu tuttavia
lineare, né incontrastata. Nei primi secoli cristiani sembra piuttosto forte la
tendenza a escludere anche il pesce dalla dieta quaresimale; poi si fa strada un
atteggiamento di tacita tolleranza, che non lo vieta ma neppure lo prescrive; solo
dal IX-X secolo no vi sono più dubbi nell’ammettere la liceità del consumo di
pesce – che doveva essere ormai divenuto una consuetudine in buona parte
dell’Europa cristiana – durante i giorni di astinenza.
Dalla dieta quaresimale vengono esclusi solo i cosiddetti pesci “grassi”, cioè gli
animali marini di grandi dimensioni (balene, delfini, ecc.) la cui polpa appariva
troppo simile alla carne degli animali terrestri, forse soprattutto per l’abbondanza
di sangue. A parte tali eccezioni, il pesce ( e tutto ciò che nasceva e viveva
nell’acqua) assunse allora, in modo via via più netto e inequivocabile, la
fisionomia culturale di alimento di ‘magro’: diventò il simbolo della dieta
monastica e quaresimale (da cui venivano intanto banditi latticini e uova); la sua
opposizione alla carne, inizialmente assai sfumata, se non addirittura negata, si
definì sempre più chiaramente. La composizione dei menu si orientò
drasticamente nell’uno o nell’altro senso, evitando contaminazioni. La divisione
dei ruoli fu netta, invalicabili i confini.
Bisogna però aspettare qualche secolo perché i progressi nei metodi di
conservazione consentano al pesce di diventare un alimento davvero ‘comune’. Il
problema maggiore era quello del trasporto: il pesce è una derrata estremamente
deperibile. Di qui la singolare fortuna di cui godette l’anguilla, un pesce che
secondo gli scienziati del tempo “sopravvive sei giorni senz’acqua”, “soprattutto
se lo si stende su dell’erba in un luogo fresco e ombreggiato, e non gli si
impedisce di muoversi”. A viaggiare e ad essere consumato era soprattutto il
pesce d’acqua dolce, più semplice da reperire e catturare, più rapido da
trasportare. Il pesce di mare fresco era in effetti una rarità: soprattutto quello
conservato raggiungeva i mercati urbani. L’uso di sottoporlo a salagione (o di
essiccarlo, o di affumicarlo, o di metterlo sott’olio) era assai antico, ma è solo a
iniziare dal XII secolo che il perfezionamento di queste tecniche, sollecitato
dall’accresciuta domanda, rende popolare il consumo di questo tipo di pesce –
contrapposto a quello fresco, sempre individuato come cibo di lusso.
Appunto nel XII secolo si comincia a commercializzare su larga scala l’aringa
(salata) del Baltico. Verso la metà del XIV secolo, in Olanda, si mette a punto un
sistema per ripulire rapidamente l’aringa dalle interiora, metterla sotto sale e
stivarla nella stessa imbarcazione che è servita per pescarla. Su questa produzione
si costruisce la fortuna della Lega anseatica, poi, dei pescatori di Olanda e
Zelanda; ma fra XIV e XV secolo l’aringa abbandona il Baltico. Da allora, le
barche olandesi e zelandesi vanno a rincorrerla al largo delle coste inglesi e
scozzesi.
Analoghi trattamenti comincia a subire il pesce d’acqua dolce. Dal XIII secolo
sono documentate nel basso Danubio grandi peschiere per la produzione di carpe
salate o essiccate: un tipo di pesce che sembra essere stato introdotto nella regione
qualche secolo prima dai monaci della Germania meridionale, insieme con la fede
cristiana. Col tempo esso diventa una delle maggiori risorse del paese: la Boemia,
osserva nel XVI secolo l’ambasciatore veneziano Giovanni Michiel, “ha peschiere
così abbondanti di pesci che in esse consiste gran parte delle ricchezze del regno”.
Nelle zone di montagna, la carpicoltura cedeva il passo all’allevamento di lucci e
trote;altrove si pescavano salmoni, lamprede, storioni – questi ultimi, soprattutto,
stimati di grande pregio, anche in virtù della loro grandezza. Famosi erano quelli
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del Po, del Rodano, della Gironda; quelli del mar Nero e del mar Caspio. Seccati e
salati, costituivano oggetto di commercio soprattutto da parte dei mercanti
veneziani e genovesi.
Dalla fine del Quattrocento il commercio e il consumo del pesce conobbero un
nuovo grande protagonista, che a poco a poco scalzò lo storione e altri
concorrenti: il merluzzo, catturato da secoli nelle acque dell’Oceano ma scovato,
ora, in quantità praticamente inesauribile sui banchi di Terranova. Ebbe inizio
allora una vera e propria guerra per lo sfruttamento di quelle acque: vi
parteciparono Baschi, Francesi, Olandesi, Inglesi, con vicende dettate sempre
dalla forza e dai cannoni. Alla fine solo le marine più potenti, ossia quella inglese
e la francese, conservarono accesso ai banchi di pesca. Merluzzi seccati
(stoccafisso) e salati (baccalà), acquistati l’uno a peso, l’altro a pezzo,
diventarono una presenza assidua sulla mensa dei ceti popolari, soprattutto delle
città.
Il consumo di pesce rimase tuttavia segnato da un insieme di connotazioni
culturali che gli impedirono di conquistare simpatie veramente ‘popolari’. Il pesce
conservato richiama nozioni di povertà economica e di subalternità sociale. Il
pesce fresco richiamava immagini di ricchezza, ma di una ricchezza scarsamente
invidiabile, perché il pesce non riempie: è un cibo ‘leggero’, e appunto per questo
‘quaresimale’, che può essere pienamente goduto solo da chi non deve fare i conti
con la fame quotidiana. In entrambi i sensi, il pesce faticava a entrare nel novero
dei valori alimentari ritenuti generalmente positivi: lo si mangiava, sì, e anche
molto; ma culturalmente rimaneva pur sempre il surrogato della carne.
(Massimo Montanari – L’Europa a tavola. Storia dell’alimentazione dal Medioevo
a oggi. – Editori Laterza)
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Cisame de pesse quale tu voy
Toy lo pesse e frigello, toy zevolle e lessale un pocho e taiale menude, po’ frizelle ben,
poy toli aceto et aqua e mandole monde intriegi et uva passa e specie forte e un pocho
de miele e fa bolire ogni cossa insema e meti sopra lo pesse.
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
700 g.di pesce a piacere di pezzatura medio – piccola (sarde, alici, triglie, sogliole), una
cipolla affettata sottilmente, due cucchiate di mandorle, una cucchiaiata di uva passa
ammollata in acqua tiepida, un cucchiaio di miele millefiori (non esisteva ancora
l’acacia), un bicchiere di ottimo aceto di vino, 1 bicchiere e mezzo di acqua 2 0 3
pizzichi di spezie forti, farina bianca, olio per friggere, sale.
Pulire il pesce, lavarlo, asciugarlo e infarinarlo. Scaldare l’olio e friggere il pesce,
quindi sgocciolarlo bene e disporlo in un unico strato su un piatto a bordi alti. Friggere
la cipolla nell’olio di frittura del pesce (se l’olio è in buone condizioni) In una
casseruola portare a ebollizione l’aceto mescolato all’acqua, aggiungere il miele, le
spezie, l’uva passa, le mandorle, un pizzico di sale e lasciare bollire adagio per una
decina di minuti. Versare nella casseruola la cipolla fritta e dopo un paio di minuti
togliere dal fuoco e versare sul pesce. Lasciare raffreddare, coprire e conservare il
frigorifero per almeno dodici ore prima di consumarlo.
Savore de pesse.
Se tu voy fare pesse a savore che se chiama a sabeto, frizelli in bono olio, toy uva passa
e maxenala con l' agresta e con aceto e toy cepola e lessala e batila con cotello poy
frigilla con quello savore e mitige specie che non habia zafarano e mitigi galanga asai e
fai che seano acetoxi non tropo
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
Pesce in Saor
Per preparare del pesce in saor che si chiama “a scapece”, friggi il pesce in buon olio,
prendi uva passa e macinala con agresto e aceto; prendi la cipolla, lessala, battila col
coltello e falla soffriggere con la salsina che hai preparato e mettici delle spezie, ma
non zafferano e aggiungi galanga, e fa in modo che il pesce risulti saporoso d’aceto, ma
non troppo.
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Brodeto de pessi.
Toy lo pesse e lesallo, poy toy petrosilo e noce e una molena de pan e pasta insiema, e
toy specie dolze e forte e fai bolire insiema e meti sopra lo pesse ed è bono perfetto, etc.
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa per il pesce
Fa lessare il pesce. A parte prendi prezzemolo, noce moscata, una mollica di pane con
la crosta e spezie dolci e forti e fai bollire insieme, quindi versa sul pesce ed è buono,
anzi perfetto.
VIII (manca il titolo)
Tolli i pesci et lavali bene et poi li fa ben frigere et tolli cipolla taglata attraverso et falla
ben frigere si che sia rossa et toli una parte de pesce et trane fora le spine et pestalo
bene et mictivi un poco de pane con esso et stempera con bon vino biancho et bono
aceto et mictivi mandorle monde et lesse et fini spezij et huve saracinesche et dacteri
amorsellati
Manoscritto n. 226 della Biblioteca Victor de Cessoles, del Museo Massena Nizza.
Prendi i pesci e lavali bene e falli friggere, prendi la cipolla tagliata a rondelle e falla
friggere bene finché sia ben dorata. Prendi una parte del pesce, togli le spine e pestalo
bene del mortaio con della mollica di pane, stempera con buon vino bianco e buono
aceto. Metti mandorle spellate e sbollentate, spezie fini, uva passa e datteri tagliati.
Ricoprire con la salsa il pesce rimasto.
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Del brodo del pesce.
Pesce bene lavato, quanto si conviene: friggilo con l'oglio abbundantemente, poi lassa
freddare: poi abbi cipolle tagliate per traverso; friggile con oglio rimanente del pesce:
poi prendi amandole monde, uva secca, ienula secca e prugne, e friggi con le dette
cipolle insieme,e leva via l'oglio che avanza, e togli pepe e zaffarano, e altre spezie
elette, e vino e aceto; e, distemperato fortemente, metti a fuoco fino che bolla: poi
levalo dal fuoco, e poni in altro vaso, e mettilo ordinatamente a solaio col pesce
predetto. E se 'l volessi dolce, ponvi o vino cotto, o zuccaro competentemente
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Pesce in agrodolce
Ingredienti: 1 kg. di pesce sgombri o sardine, 4 grosse cipolle, 50 g. di mandorle
spellata, 100 g. di uva passa, 20 prugne secche, 3 dl. di vino (bianco o rosso), 1 dl. di
aceto di vino, olio d’oliva, 1 bustina di zafferano, 1!4 di cucchiaino di pepe macinato,
1pizzico di zenzero in polvere, 1 pizzico di cardamomo in polvere, 1 pizzico di noce
moscata, sale, 1/2 bicchiere di vino cotto (facoltativo) o un cucchiaio di zucchero.
Friggere il pesce pulito e tagliato a pezzi in abbondante olio d’oliva. Togliere il pesce e
friggere nello stesso olio le cipolle tagliate a rondelle, aggiungere le mandorle, l’uvetta,
le prugne, il sale e spezie. bagnare con il vino e l’aceto, fare bollire per cinque minuti.
Disporre il pesce e le cipolle a strati in un recipiente fondo.
Eventualmente cospargere di zucchero o vino cotto.
IX (manca il titolo)
Tolli i pesci et mictili ad lessare si che siano presso che copti et poy li tray dell’acqua et
tolli mandorle monde et stempera co’ la cocitura del pesce si che torne bene ispissso et
tolli petrosinoli et menta et persa (maggiorana) et pestale et stemperale con agresto et fa
bullire omnie cosa insieme et mictivi speçij dolci et çaffarano et quando il brodecto
bolle mictivi entro il pesce et fa bollire lento che sia el pesce ben cocto.
Manoscritto n. 226 della Biblioteca Victor de Cessoles, del Museo Massena Nizza.
Prendi i pesci, mettili a lessare,quando sono cotti toglili dall’acqua e mettili da parte.
Prendi mandorle spellate e fai un latte di mandorle ben spesso utilizzando l’acqua di
cottura del pesce. Prendi prezzemolo, menta e maggiorana pestale nel mortaio e
stempera con agresto, aggiungi il latte di mandorle e porta ad ebollizione, aggiungi
spezie dolci e zafferano, metti dentro il pesce a fa bollire lentamente finché il pesce è
ben cotto.
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De la gelatina di pesci senza oglio.
Metti a bullire vino con aceto, e mettivi dentro a cocere i pesci bene lavati; e cotti,
cavali e poni in un altro vaso. E in lo detto vino e aceto metti cipolle tagliate per
traverso, e fa tanto bullire che torni a la terza parte: poi mettivi dentro zaffarano,
comino e pepe, e getta tutto sopr'al pesce cotto, e lassa freddare. Questa è schibezia di
tavernaio.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Scapece da Taverna
Ingredienti: 1 kg di pesci (sgombri, naselli, ecc..), 3 cipolle, 1 l. di vino, 1/4 di l. di
aceto di vino, 1 bustina di zafferano, 1/2 cucchiaino di cumino in grani, 1/2 cucchiaino
di pepe, sale.
Mettere a bollire il vino, l’aceto e il sale. Metterci a cuocere i pesci ben lavati per una
decina di minuti facendo sobbollire il liquido. Trasferire il pesce in un recipiente fondo.
Rimettere il liquido sul fuoco aggiungendoci le cipolle tagliate a rondelle e fare bollire
fino a quando il liquido si sarà ridotto ad un terzo. Togliere dal fuoco, aggiungere le
spezie.
Versare sul pesce e fare raffreddare: si rapprenderà in gelatina.
Servire freddo.
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XXXIII. Gellatina communa e bona de pesse.
A fare gellatina de pesse per XII persone, toy tre tenghe grosse, toy do onze de specie
forte e dolze insembremente, e mezo quarto de zafarano per si; e toy lo pesse ben lavato
e stato el sole un pocho, toy e lessalo in parte de aqua e de aceto fino, e mitilo a bolire.
E quando è bene bollito, la prima cossa che tu ge mitti, miti de le ditte specie e
zafarano, e ogni cossa, e faili bolire piano, e molto chosere. Quando è cocto, traila fuora
e mitilo a refredare; habii arquante foglie de laurano ben lavate e polve[ri]zate con le
ditte specie, e poy toy lo pesse e conzalo in lo vasello, e lassa reposare lo zillo. Altri fa
bollire lo zafarano, altri no. Quando è refredato un pocho el çelo, yettalo suso el pesse,
e metili assay specie ed è fata, etc
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
Gelatina comune e buona di pesce
Per preparare della gelatina di pesce per 12 persone, prendi 3 tinche grosse, 60 g. di
spezie forti e dolci frammiste e 40 g. di zafferano da solo. Prendi il pesce ben lavato e
asciugato un po’ ai raggi del sole, fallo lessare in metà acqua e metà aceto fino e lascia
che bolla. Quando è ben bollito, la prima cosa che gli metti sono tutte le spezie
frammiste e lo zafferano e fai bollire pian piano fino a completa cottura. Quando il
pesce è cotto, levalo e mettilo a raffreddare e intanto prendi diverse foglie d’alloro,
puliscile, sminuzzale finissime e uniscile alle spezie, quindi prendi il pesce, mettilo in
un vaso, aromatizzalo con le spezie e gli odori e lascia riposare la gelatina. C’è chi fa
bollire lo zafferano e chi no. Quando la gelatina si è un po’ raffreddata, versala sul
pesce e aggiungi molte spezie.
P.S: la dose indicata di spezie è veramente esagerata, per i gusti odierni sarebbe
immangiabile, consiglio quindi di regolarsi secondo il gusto.
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Ostriche
1. -- Dequoquuntur pisces otres, id est oistres, per modicam horam in aqua pura. Post,
accipitur cynamomum, zinziberum, piper, cuminum et tere bene cum croco, et
distempera cum uino uel lacte amigdalarum et aliquantulo aque et fac bullire in patella
cum cepis oleo frixatis. Quo bullire incipiente, impone otras aqua bullitas. Et
administra.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Le ostriche si cuociono per un’oretta nell’acqua pura. Poi si prendono cannella,
zenzero, pepe e cumino, si pestano bene insieme con lo zafferano, diluendo con vino o
latte di mandorle e con un poco d’acqua; indi si fa rinvenire in padella con cipolle fritte
nell’olio. Appena leva il bollore si aggiungono le ostriche già cotte, e così si servono.
Per quocere ostrighe.
(L)e ostrighe si quoceno sopra la bracia viva e quando si aprano sono cotte e cosi si
possano magnare e se le vuoi altremente chavarle fuora di quella sua cortice e frigile un
pochetto in olio e metteravi di sopra dello agresto e delle spetie forte.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Ostriche
Le ostriche si cuociono sopra la brace ardente e quando si aprono sono cotte e si
possono mangiare così come sono. E se le vuoi in un altro modo estraile dal guscio e
friggile in un po’ d’olio, aggiungendovi agresto e spezie forti.
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Rombi e salmoni
2. -- Rumbi uel salmones in longum inciduntur et in aqua dulci salita ad sufficientiam
dequoquuntur. Quibus decoctis et infrigidatis in galatina reseruari possunt.
Vel tali modo: accipitur saluia et petrosillum et minutim inciditur; et in aceto bene salso
ponitur uel in mortario bene teritur et cum aceto distemperatur, in quo iam pisces
predicti preseruantur.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
I rombi, come pure i salmoni, si dividono per il lungo e si cuociono a sufficienza in
acqua salata. Una volta cotti e raffreddati, si possono conservare in gelatina.
Oppure si apparecchiano in questa maniera: si prendono salvia e prezzemolo tritati
finemente e si infondono in aceto salato, o si pestano direttamente nel mortaio insieme
con l’aceto, ed in questa salsa si conservano i pesci.
Rombo.
Fallo allessare, et perché è molto fragile et si rompe facilmente mettilo a cocere in un
canestro, overo lo liga sopra ad un tagliero per poterlo cavar sano quando è cotto, che
non si rompa; et vole bollire molto ad ascio. Et nota che ogni pesce generalmente vol
bollire ad ascio et bisogna intendere per descritione et conoscere la qualità di pesci, che
ve ne sonno de li più saldi et più duri uno che un altro,item de li più teneri et più molli;
et così vogliono cocere più et mancho secundo il bisogno, ma tutti vogliono bollire
piano, suavemente, ad ascio, tanto che siano ben cotti.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Fallo lessare, e perchè e molto fragile e si rompe facilmente mettilo a cuocere in un
cestello oppure legalo sopra ad un tagliere per poterlo tirare fuori intero quando è cotto,
perchè non si rompa deve bollire molto adagio. Nota che ogni pesce generalmente deve
bollire adagio.
Salmone.
Il salmone è gentilissimo pesce et il suo naturale è d'allessarlo, et ancora serebe bono ad
ogni altro modo che lo cocissi.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Il salmone è un pesce delicatissimo e il modo migliore di cucinarlo è di lessarlo.
Sarebbe buono in ogni altro modo lo si cuocia.
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Murene e anguille e sgombri
3. -- Murene uel anguille dequoqui possunt assando in ueru uel in pastillo, hoc modo:
primo anguilla excorietur pellicula et perfrustra diuidatur et peroptime lauetur; et post,
in pasta ponitur inter species cum croco; et salsa circa ponitur et in furno dequoquitur.
Quandoque perfrustra incisa et in ueru locatur et assatur, et cum salsa camelina uel
uiridi comedatur.
Quandoque in aqua dequoquitur cum decoctione, cum aliquantulo uini albi uel aceti uel
agresta distemperatur sanamunda, petrosillum, saluia, pipere, zinzibero, cinamomo; in
quo anguilla decocta aliquantulum bullitur. Quidam apponunt cepas in oleo frixatas.
Sunt etiam quidam qui in trapa dequocunt, et hoc pluribus modis fieri poterit.
Item dico fieri posse de murena. Quidam assant in ueru integram; quidam per partes
incisam.
4. -- Predicto modo exomagara cum pipere bullito comedenda.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Murene e anguille si possono cuocere arrosto sullo spiedo, come pure in pastello, nel
modo seguente: anzitutto l’anguilla va privata della pelle, ben lavata e tagliata a
tronchetti; quindi si dispone nella pasta con spezie e zafferano, si irrora di salsa e si
mette a cuocere nel forno.
Tagliata a pezzi, inspiedata e arrostita, si accompagna con salsa verde o camelina.
Se si fa cuocere in umido, si distempera un miscuglio di sanamunda (Pianta erbacea
della famiglia Timeleacee -Thymelaea Sanamunda), prezzemolo, salvia, pepe, zenzero
e cannella con un poco di vino bianco, o aceto, o agresta; in questo intingolo si fa poi
rinvenire l’anguilla precedentemente cotta. Alcuni vi aggiungono cipolle rosolate
nell’olio.
C’è pure chi la cuoce nella trapa, ed anche questo può farsi in diversi modi.
Così dicasi della murena, che alcuni arrostiscono alla spiedo intera, altri a bocconi.
Nel modo predetto si prepara lo sgombro, e si serve con pepe bollito.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Anguilla
La più bella ricetta di anguilla arrostita e marinata, di tutta la letteratura culinaria
medievale, la rinveniamo sorprendentemente non in un libro di cucina, ma tra le pagine
di un novellatore del primo Quattrocento, il senese Gentile Sermini, il quale incastona
sapientemente nello spassoso racconto di Ser Meoccio ghiottone, pacioso parroco di
campagna, renitente peccatore di gola e lontano emulo di Martino IV, con il quale
tuttavia non si riesce a non essere indulgenti. Questo grasso prevosto di Pernina (una
pieve a poche miglia da Siena), ricercato buongustaio, esperto cuciniere ed ancora più
abile persuasore, approfittando della dabbenaggine dei suoi parrocchiani, li convince
che la produttività dei campi e del bestiame è direttamente proporzionale alla generosità
con cui si devolvono offerte alla chiesa; e in men che non si dica, ecco che l’altare, la
sacrestia, la canonica, ad ogni festa comandata, rigurgitano di ogni sorta di generi
alimentari, tanto da sembrare banchi di beccai o pizzicagnoli.
Racconta Sermini che ser Meoccio aveva un servo, molto meno pratico di cucina di
quanto non lo fosse il suo padrone, e per conseguenza incapace di seguire il ritmo
travolgente di quei donativi annonari senza la costante assistenza del prete; ma questi,
dovendo attendere ai suoi uffici liturgici, non era sempre presente, come quel mattino
che un devoto parrocchiano si presenta offrendo una gigantesca anguilla di dieci libbre
(tre chili e mezzo!!!), immediata cagione di profondo turbamento per lo sprovveduto
domestico.
Ser Meoccio era sul pulpito, accalorato in una predica sui miracoli di San Vincenzo, e
l’apprendista cuoco non trova altra soluzione che prendere il cesto con l’anguilla e
presentarsi alla porta della chiesa, alle spalle dei fedeli, facendo intendere al prevosto,
con smorfie e gesti, che non aveva idea di come andasse trattato quel mostruoso pesce.
Ser Meoccio capisce al volo e dà l’avvio ad una digressione sulla temperanza di San
Vincenzo, che non era come certi ghiottoni che egli – il prevosto – ha conosciuto di
persona, e ricorda di averli visti rivelare la prpria golosità, preparando un’anguilla; la
descrizione che segue è apparentemente diretta all’uditorio, ma ad intenderla dev’essere
il servo.
(L’anguilla dei ghiottoni: il mito medievale del pesce-serpente. – Enrico Carnevale
Schianca – Appunti di Gastronomia n.58 –Conedeco S.r.l. Editore)
La ricetta per l’anguilla del prevosto:
Prima pellaro quella anguilla con l’acqua bollita e cavaro quello dentro, e mozzaro la
coda e la testa, poi lavaro bene a sei acque, poi ne fecero rocchij agugliati d’uno palmo
l’uno o meno, e miserli in uno spedone con frondi d’alloro in mezzo tra’ rocchij
acciocché non s’attaccassero insieme, e così temperatamente l’arrostiro: e avendo prima
messo in una conchetta sale, aceto e uno gocciolino d’olio, con quattro speziare dentro,
cioè pepe, specie, garofani e celamo fino, di ognuna di questi una mezza oncia, e con
una rametta di osmarino, sempre di questa zenezaverata l’andavano ognendo: e quando
fu bene cotta e spolpata, la trassero in una conca da gelatina, ed ivi i rocchij assetarono;
poi su vi premettero sei melegrane con bene vinti aranci, e con molto fine specie sopra
essa, poi con una teglia di migliacci caldetta la copersero, acciocché calda si
mantenesse infine che fosse a tavola.
Tratta da Sermini, novella XXIX
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Spiedini d’anguilla alla San Vincenzo
Ingredienti: 1,5 kg. di anguilla, 1 dl di aceto di vino, 2 cucchiai d’olio, 4 arance, 3
limoni, 1/2 melagrana, 1 rametto di rosmarino, foglie di alloro fresche, sale,
cardamomo, zenzero, pepe, chiodi di garofano, cannella.
Spellare l’anguilla, pulirla accuratamente e tagliarla a pezzi, infilarla sugli spiedini
intercalandovi le foglie di alloro.
Preparare la miscela di aceto, olio, 1/4 di cucchiaino per ognuna delle seguenti spezie in
polvere: pepe, chiodi di garofano, cannella, zenzero.
Cuocere gli spiedini un po’ lontano dalla brace e bagnare spesso con la miscela, usando
il rametto di rosmarino come pennello.
Quando è cotta, disporre i pezzi in un piatto fondo e versarvi sopra il succo delle
arance, dei limoni e della melagrana, spolverare con !/4 di cucchiaino di zenzero e
cardamomo in polvere.
Tenere in caldo e servire.
Salamura de anguille optima.
Toy le anguille e metelle a rostire de soto una padella con aqua in la quale chaza tuto el
grasso quando le se rostono; quando sono cocte toy specie forte e sale e si le miti in
questa aqua e grasso e smenbra le anguillee miti entro questi salamora e si tu voy
meterge un pocho de vin cocto daràlisapore bono.
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
Anguilla in salamoia
Prendi delle anguille e mettile ad arrostire con sotto una padella con acqua, nella quale
cada tutto il grasso che producono mentre arrostiscono. Quando sono cotte, prendi delle
spezie forti e del sale e versali in acqua col grasso. Taglia le anguille a rocchi e mettili
in questa salamoia e se aggiungi del vin cotto otterrai un sapore migliore.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Razza o pescecane
5. -- Rax uel canis marinus perfrustra incisus aliquantulum in aqua dequoquitur; post,
deponitur et a pelliculis mundatur; et iterum in aqua monda dequoquitur donec satis fit.
Et cum aleata comeditur.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
La razza, o il pescecane, si riducono a sottili filetti e si cuociono nell’acqua; poi si
scolano e si spellano, tornando a sbollentarli finché siano cotti a puntino. Si mangiano
con l’agliata.
Platessa
6. -- Pleiz dequoquitur in aqua uel assatur. Et cum uino superfuso et sale comeditur.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
La platessa si fa bollita o arrosto. E si serve condita con sale e vino.
Per quocere le soglie.
(V)ogliono esse fritte e di sopra li butterai uno pocho di sale trito del sugo di aranci o
dello agresto e del petrosillo tagliato pure assai.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Vanno fritte, e sopra spargerai un po’ di sale fino, succo d’arancia e limone o agresto e
abbondante prezzemolo tritato.
Storione
228. Per cocere lo storione mazallo e fallo stare morto per duy di senza cocere perche e
migliore e cocello in bon vino biancho o aceto miscollato con aqua equalmente con sale
a sufficientia et lassallo alessare fazendollo buglire quanto faresti la carne di vittello o
di manzo secondo la sua groseza tagliandollo in pezi quadri grossi ala discretione tua e
piu se per magnificentia lo volli cocere integro ma se vole habere li vasi capaci como fa
lo myo signore perche ogni peso e molto migliore integro che in pezi o aperto.
Martino de Rubeis - Riva del Garda, Archivio Storico
Per cuocere lo storione ammazzalo e conservalo al fresco due giorni (!) perchè diventa
più buono (!). Cuocilo in buon vino bianco o aceto mescolato con acqua in parti uguali.
Sala a sufficienza e fallo bollire a secondo della sua grossezza e taglialo in pezzi grossi
secondo la tua discrezione. Se per magnificenza lo vuoi cuocere intero devi avere delle
pentole della grandezza adeguata. Ogni pesce è migliore cotto intero piuttosto che a
pezzi.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Dentice.
Il dentale vole esser allessato essendo ben frescho, non li bisogna mettere tanto vino o
aceto quanto è ditto di sopra. Ma nota che 'l vino o l'aceto strigne et fa sodo et fa più
conservare il pesce, et ancora gli dà migliore gusto al magnare, che non fa l'acqua
simplice et salata.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Il dentice deve essere lessato fresco e non bisogna metterci tanto vino o aceto quanto
detto sopra. Ma nota che il vino o l’aceto rassodano e conservano il pesce e gli danno
un gusto migliore che non lessato con la semplice acqua salata.
Lucci e Tinche
8. -- Lucii uel tenche in aqua dequoquuntur et cum salsa uiridi uel camelina
comeduntur. Et qui uoluerit in galatina diu seruari poterunt: dequoquitur in aqua.
Sunt quidam qui dequoquunt tenchas per partes incisas, in trapa, frixando cum cepis et
oleo. Post, imponunt brodium specierum distemperatum aceto uel uino uel agresta.
Ita dico de breynis.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Lucci e tinche si cuociono nell’acqua e si consumano con salsa verde o camelina.
Volendo, si potranno conservare a lungo in gelatina.
Alcuni cucinano le tinche nella trapa, divise a tranci, friggendole nell’olio con le
cipolle. Poi vi aggiungono una salsa di spezie diluita con aceto, o vino, o agresta.
Persici
9. -- Perce uel roches uel alii pisces in aqua dequoquuntur; aliquando cepas minutim
incisas interponendo, ad dulcorandum et ad amaritudinem tollendam, et comeduntur
cum salsa uiridi; aliquando frixantur in oleo ut magis sint saporosi.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Persici, scardole o altri simili pesci si fanno lessare, aggiungendovi talvolta olio e
cipolle tritate finemente, per addolcirli e toglier loro l’amaro; poi si mangiano con salsa
verde. Oppure si friggono nell’olio, per farli più saporiti.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Merluzzo salato o grongo
7. -- Morua in aqua dequoquitur et cum synapi comeditur uel cum aleata, hoc modo:
teruntur allea et mica panis et cum lacte amigdalarum uel nucum distemperatur. Et
ponitur in cepis in oleo frixatis cum morua et aliquantulum bulliri permitatur.
Idem fit de rungra [app.: cungra?] paranda.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Il merluzzo salato si cuoce nell’acqua e si serve con senape o agliata, fatta in questo
modo: si pestano degli spicchi d’aglio insieme con mollica di pane, stemperando con
latte di mandorle o di noci. E poi si mischia con cipolle fritte nell’olio, unendovi il
merluzzo e lasciando cuocere un poco.
Allo stesso modo si fa per cuocere il grongo.
Merluzzo in agliata.
Ingredienti:
500 g. di merluzzo secco e salato, 60 g. di mollica di pane raffermo, 1/2 litro di latte di
mandorle, 3 spicchi d'aglio, 2 cipolle, olio d'oliva, sale (se necessario)
La sera prima: dissalare il merluzzo tenendolo a bagno per un'intera notte, cambiando
l'acqua almeno una volta.
Il giorno stesso: tagliare il pane a pezzetti e metterlo a bagno nel latte di mandorle.
Sbucciare e affettare fini le cipolle. Friggerle nell'olio d'oliva fino a farle leggermente
colorire.
Cuocere il merluzzo in un court-bouillon a fuoco molto lento per circa 20 minuti.
Diliscare e sfogliare.
Schiacciare il pane con la forchetta in modo da ottenere un impasto col latte. Mettere
sul fuoco. Aggiungere le cipolle, quindi l'aglio schiacciato. Incorporare il merluzzo e
lasciar sobbollire per una quindicina di minuti. Aggiustare di sale se necessario, e
servire.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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De le triglie per li 'nfermi.
Lessa le triglie con petrosello e con zaffarano, e da' mangiare.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Lessa le triglie con prezzemolo e zafferano e servi.
De trillis vel pulpis vel calamatis, de brodio pro sipiis.
Lixa bene trillas pro non bene sanis, cum petrosillo et croco.
Ad brodium pro sipiis sive pulpis sive calamatis, pisces predicti bene loti et incisi
suffrigantur cum oleo et cepis, reservato felle nigro sipie. Et coquatur ponendo de aqua
parum. et circa finem decoctionis, ponas in esi maioranam, rosmarinum, petrosillum,
omnia ista tritta cum speciebus, distemperata cum aqua.
Fac bulliri aliquantulum, et ante perfectam decoctionem, ponas lescas panis torrefactas,
trittas et distemperatas cum aqua,Et debet esse spissum. Postea, cola et mitas fel nigrum
reservatum. Et post, parum bulliat. et si volueris poner fel, colora ea de croco.
Tu potes facere dictum brodium spissum cum amigdalis, avellanis vel nucibus trittis,
distemperatis ut supra dictum est. Et si volueris acrum dulce facere, ponas ibi succum
citrangulorum cum zucara.
Anonimo meridionale del primo quattrocento.
16. Delle triglie o dei polpi o dei calamari, del brodo per le seppie.
Fa lessare bene le triglie per i valetudinari, con prezzemolo e zafferano. Per fare brodo
per le seppie o per i polpi o per calamari, fa friggere i detti pesci ben lavati e tagliati a
pezzi con olio e cipolle, mettendo da parte il nero delle seppie. E si cuociano
mettendovi un po’ d’acqua. Verso la fine della cottura mettivi maggiorana, rosmarino,
prezzemolo, e trita il tutto con spezie stemperando con acqua. Fa bollire un po’ e prima
che abbia finito di cuocere mettivi fette di pane tostato, tritate e stemperate con acqua.
E deve essere denso. Poi fa scolare e introduci il fiele nero messo da parte. Dopo di che
fa bollire per un po’. E se vuoi metterci il fiele, colora con zafferano. Puoi rendere
spesso il detto brodo con mandorle, nocciole o noci pestate, stemperate come è detto
più sopra. E se vuoi farlo in agrodolce, mettivi il succo di aranci amari con zucchero.
Per quocere triglie.
(V)ogliono esse cotte con buona diligentia a rosto e non vogliono esse aperte ma
solamente lavate bagnandole spesse con la sopradicta salamora e volendone salvare per
otto o dieci giorni ordinatamente la concerai luna sopra laltra in uno piatto ho altro vaso
e di sopra li metterai tanta della sopra dicta salamora che stiano bene coperte e a questo
modo le potrai salvare.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Le triglie fanno arrostite e non devono essere aperte ma solo lavate. Vanno bagnate
spesse con la sopraddetta salamoia (aceto, olio, sale. Spennellare con un rametto di
rosmarino o alloro). Volendole conservare per otto o dieci giorni le metterai in un piatto
e le coprirai con la salamoia.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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De troitis in pastillo.
Pastillum de troitis: fiat forma de pasta ad longitudinem troite, et troite bene scamate,
lote et eventrate ibi ponantur et parum de oleo; bonas species trittas cum safrano
desuper sparge. Postea, claudatur pastillum, et fiant cornua in quolibet capite, ad
modum barche. Postea, fac duo foramina, unum prope caudam et aliud ad caput, vel
tantum unum in medio. Postea, dequoquatur. Postquam fuerit bene coctum, per illa
foramina ponatur aqua rosacea et succus citrangulorum vel limonum. et tempore carnis,
potes ponere lardum loco olei.
Anonimo meridionale del primo quattrocento.
Del pasticcio di trote.
Per fare pasticcio di trote fa una forma di pasta lunga quanto la trota e mettivi la trota
ben squamata, lavata e sventrata, con un po’ di olio; spargivi sopra buone spezie tritate
con zafferano. Poi chiudi il pasticcio, ma fa delle corno da ciascuna parte, a modo di
barchetta. E fai due fori, uno dalla parte della coda e l’altro dalla parte della testa,
oppure soltanto uno nel mezzo. Dopo che sarà ben cotto, attraverso quei fori
s’introduca acqua di rose e succo d’aranci amari o di limoni. E in tempo di carne puoi
mettere lardo in luogo dell’olio.
Trutte grosse.
Nettale molto bene et tagliale per traverso in pezi larghi una manu; et conciarai questi
tal pezi per ordine nel caldaro o altro vaso dove li voli cocere, facendo che quello
tagliato venga di sopra, et assettandole in questa forma assolo assolo gli buttarai del
sale abundantemente. Et fatto questo de tutta la quantità che vole cocere, gli buttarai su
dell'acqua pianamente con tale attentione che non mandi via quello sale posto sopra il
pesce, agiognendoli ancora un poco di aceto, tanto che venga a stare il brodo sopra il
pesce doi dita, et fallo bollire spiumandolo molto bene. Et como non fa più schiuma gli
levarai di sotto quasi tutto il foco, per lasciarlo bollire quanto più ad ascio tu poterai,
tanto che sia cotto. Dapoi cavalo fore sopra ad una tavola netta ad asciuccare, et di
sopra gli metterai de le spetie dolci. Et con questa trutta darai il sapore bianco che habia
zenzevero assai. Et quando è piccola nettarala molto bene et tagliala per lo longo da la
schina dall'una parte et dall'altra. Et in quelli tagli mettirai del sale molto bene et
simelemente ne gli metterai in corpo. Poi lasarai stare in soprescia tra doi taglieri con
qualche peso di sopra per spatio doi o tre hore. Et fatto questo la 'nfarinarai et frigerai et
in bono olio bene ad ascio. Et a questo modo la poterai conservare tre o quattro dì se ti
piace.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Prendi le trote grosse e tagliale in pezzi larghi una mano, mettili in una pignatta o dove
li vuoi cuocere tenendo in alto la parte tagliata e facendo degli strati, gli metterai molto
sale. Fatta questa operazione per tutta la quantità di pesce che vorrai cuocere gli
metterai dell’acqua facendo attenzione di non togliere il sale posto sopra al pesce e
aggiungerai dell’aceto ricoprendo per due dita il pesce. Fallo bollire schiumando
continuamente. Quando non farà più schiuma, toglierai quasi tutto il fuoco per farlo
bollire il più adagio possibile fino alla cottura. Poi lo toglierai dall’acqua e lo metterai
su una tavola ad asciugare, e lo spargerai con spezie dolci. Con questa trota servirai
della salsa bianca che abbia molto zenzero. Quando la trota è piccola la pulirai molto
bene e farai dei tagli lungo la schiena da ambo le parti. In quei tagli metterai molto sale
e anche in tutto il corpo. Poi le farai stare tra due taglieri con un peso sopra per due o
tre ore, poi le infarinerai e le friggerai adagio in buon olio. In questo modo le potrai
conservare tre o quattro giorni se vuoi.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Carpionar trutte al modo di carpioni.
Netta le trutte molto bene et cavane fora l'interiori, pugnendole in molti lochi con la
punta del coltello da ogni parte, et farai una salimora d'acqua et aceto tanto dell'uno
quanto dell'altro, mettendogli del sale assai, el quale farai strugere molto bene, et dentro
gli mettirai le trotte per un mezo giorno o più. Et facto questo le cavarai sopra una
tavola mettendole in soprescia per tre o quattro hore, et frigerale bene in olio bono et
assai, che sian ben cotte et non arse. Et queste trutte poterai conservare un mese
frigendole dell'altre volte se ti piacerà et refacendole a modo di carpioni.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Pulisci molto bene le trote e svuotale dalle interiora, pungendole spesso e dappertutto
con la punta del coltello; farai anche una marinata con acqua e aceto in quantità uguali
aggiungendovi molto sale, che farai sciogliere molto bene, e vi metterai le trote per
mezza giornata e più. E fatto questo le tirerai fuori dalla marinata e le metterai su una
tavola sotto dei pesi per 3 o 4 ore, e le friggerai bene in molto olio buono, cosicché
risultino ben cotte ma non bruciate. E potrai conservare queste trote per un mese
friggendole di nuovo, se ti piace, e rifacendole nello stesso modo.
Orata.
Se la orata è grossa falla allessare et staionare molto bene. Et s'ella è piccola frigila o
arrostila al modo ordinato.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Se l’orata è grossa falla lessare. Se è piccola friggila o arrostiscila.
Cefalo.
Questo pesce per sua natura et qualità vole essere rostito, ma quando è molto grosso se
deve cocere allesso; et il sapore dell'arrosto è la salimora, et dello allesso è il sapore
bianco.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Questo pesce per la sua natura e qualità vuole essere arrostito, ma quando è molto
grosso si deve lessare. La salsa per il pesce arrostito è la marinata, per quello lesso è la
salsa bianca.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Cozze
10. -- Molles lauantur; post, in uino post modicam horam dequoquuntur; quorum
decoctio distemperatur zinzibero, pipere ac cynamomo;et sale comeduntur.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Le cozze si lavano, poi si cuociono nel vino per un’oretta (!!!!); una volta cotte, si
condiscono con pepe, zenzero, cannella,e si servono con il sale.
Granchio
11. -- Cancer in modica aqua dequoquitur ad rubedinem, et cum solo sale uel agresta
comeduntur.
Hoc si bene intellexeris, omnes pisces assando uel dequoquendo inaqua, preparari
possunt ad placitum.
Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
Il granchio si cuoce in poca acqua finché diventa rosso, e si serve soltanto con sale o
agresta.
Se mi sono spiegato bene, tutti i pesci si possono preparare arrostendoli oppure
lessandoli nell’acqua, a piacere.
Savore de gambari.
Çadelo, zoè el savore de gamberi. Toy li gambari e lessali e trane fuora le code monde
poy pestalli tuto l' altro e mitige un poco d' aqua, poy lo colla. Toy un pocho de herbe
bone e toy rossi de ovi e mandole overo molena de pane e pista ben in mortaro e
distempera con agresta; mitige uno pocho d' aqua sí che non sia acetoso e mitige specie
dolze e forte e olio, fiçili code e mitili in quello savore che ty ay fato e fa bolire quando
te pare.
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
Prendi i gamberi e lessali, metti da parte le pulite e pesta tutto il resto, poi versa un po’
d’acqua e passa al setaccio, Prendi delle erbe aromatiche, tuorli d’uovo, mandorle o
mollica di pane, pesta bene nel mortaio e diluisci con agresto. Versa dell’acqua perchè
non emerga troppo l’aceto, aggiungi spezie dolci e forti e olio d’oliva. Adagia in questa
salsa le code di gamberi e falle bollire quanto ti pare.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Del polpo.
Polpo grosso si può lessare e mangiare col sale e comino, o altri pesci simili al polpo,
che si chiamano moscatelli.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
De pulpis.
De pulpis grossis: possunt elixari et comedi cum sale et cumino vel aliis piscibus vel
pulpo qui dicuntur calamatum. Extrahantur intestinas per auriculas.
Anonimo meridionale del primo quattrocento.
Dei polpi.
I polpi grossi si possono lessare e mangiare con sale e cumino o con altri pesci come
quel polpo che chiamano calamaro. Gli intestini si estraggono dalle orecchiette.
Polpi
Li polpi è pesce vile et de non farne stima; cocilo adunque como ti pare.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Il polpo è pesce vile e non pregiato, cuocilo dunque come ti pare.
De la seppia.
Togli la seppia, aprila, e cavane il nero, e servalo: poi taglia la seppia minuto e friggila
in oglio co le spezie. E quando sia fritta, mettili un poco d'acqua, e bolla ine dentro: poi
distempera quello nero riservato, che si chiama sale di seppia, col buono vino, e poni
nel brodo con erbe odorifere e spezie, e da' mangiare.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Prendi le seppie, aprile e tira fuori il sacchetto di inchiostro e tieni da parte, poi taglia le
seppie in piccoli pezzi e friggile in olio con le spezie. Quando saranno cotte aggiungi
dell’acqua e fai bollire, stempera il nero con buon vino e aggiungilo alle seppie con
spezie e erbe profumate (prezzemolo, menta, maggiorana) e servi.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sapor bianco.
Piglia dell'amandole secundo la quantità che tu voi, che siano ben mondate, et ben
piste. Et perché non facciano olio como ho ditto più volte, pistando vi mecti un pocha
d'acqua fresca. Et pigliarai un pocha de mollicha di pane biancho stata prima a moglio
nell'agresta, et pistarala con le ditte amandole, agiungendovi del zenzevero biancho,
cioè mondato a sufficientia. Et questa tal compositione distemperarala et passarala con
bono agresto, overo con sucho di pomeranci o di limoni, facendolo dolce con il
zuccharo et bruscho con agresto, et pomeranci più et mancho secundo il gusto del tuo
Signore o altri. Et tal sapore si voi dare con ogni allesso a tempo di carne, o di
Quadragesima.
MS urbinate latino 1203 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana – Mastro Martino
Prendi delle mandorle secondo la quantità che vuoi, che siano ben spellate e pestate nel
mortaio. E perchè non facciano olio, come ho detto più volte, pestandole aggiungici un
po’ d’acqua fresca. Prenderai un po’ di mollica di pane bianco ammollata nell’agresto e
la pesterai con le mandorle aggiungendovi dello zenzero. E questa salsa stemperala con
agresto o con succo di arance amare o di limone, facendola dolce con zucchero e acida
con agresto più o meno secondo il gusto del tuo signore. E questa salsa la servirai con
ogni lesso in tempo di carne o di Quaresima.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Salse per pesci
tratte dal Manoscritto di Sheffield
10. Comensano savori di pessi, e prima crudi.
Crosta di pane arostito, e metti in vino bonissimo a moio, poi macina forte con poco
d’olio comune, e tolli cannella pesta, distempera con vino predicto e sale.
Crosta di pane arrostito e ammollato in vino buono, pestata con un poco d’olio,
cannella in polvere, sale e stemperata con il vino.
11. Savore per pesso arostito.
Sugo de melaranze, aqua rosata, sale; e onzi el pesse mentre se cuoce.
Succo di arance amare (arancia dolce e succo di limone), acqua di rose, sale e usale per
spennellare il pesce mentre lo cuoci.
12. Savore di pesse.
[2v.] Çevolle ben fritte in olio e distemperate con mostarda dolce e con bono uino, e
lacte di mandole, e spetie fine, e mescita ogne cosa insieme.
Cipolle fritte in olio stemperate con mostarda dolce, buon vino, latte di mandorle,
spezie fini e mescola ogni cosa insieme.
13. Savore per pesse fritto.
Latte di mandole e vino bianco, zenzero e zaffarano, e fa bollire, e metti suxo lo pesse
fritto.
Latte di mandorle, vino bianco, zenzero e zafferano, bollire il tutto e mettere sul pesce
fritto.
14. Savore da pesse alesso.
Pane brustito, uva passa, pevere, e distempera con brodo di pesse e poco aceto, e cola
per uno panno, e fa bollire con spetie fine, e mele poco.
Pane abbrustolito, uva passa, pepe pestare tutto insieme, stemperare con brodo di pesce
e un po’ di aceto, fare bollire con spezie fini e un poco di miele.
15. Savore domestico per pesse fritto.
Noxe, aglio ben peste; distempera con agresto e zaffarano, e fa bollire, e metti su lo
pesse.
Noci. aglio pestati bene insieme, stemperara con agresto e zafferano e fa bollire e metti
sul pesce fritto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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16. Savore per pessolini fritti.
Piglia la farina che romane nella padella quando è fritto lo pesse, e mitti agresto, e aqua,
e zaffarano e spetie comune, e metti sul pesse.
Prendere la farina che rimane nella padella dove si è fritto il pesce, aggiungi agresto,
acqua e zafferano e spezie comuni e metti sopra al pesce
17. A fare brodetto di pesse zentile.
Piglia libre 8 di pesse e coce in aceto e aqua per terzo, e sale; e quando è cotto, tolli
tanto brodo che baste, e uno ottavo di zaffarano, e onze una di spetie di lampreda, libre
una de uva passa, libre meza di mandole monde e intriege, onze 4 di mele (o voi
zucaro) e fa bollire insieme; e dallo freddo o caldo.
Prendi 2,8 kg. di pesce e cuoci in 2 parti di aceto e una di acqua e sale, quando è cotto
prendi un po’ di brodo quanto basta, 4 grammi di zafferano, 29 grammi di spezie per
lampreda, 350 g. di uva passa, 175 g. di mandorle pelate e intere, 120 g. di miele (o
zucchero) e fa bollire.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Miscele di spezie
Tratte dal Manoscritto di Sheffield 2. Spetie dolce e fine a lampreda per libra 1, e queste specie son bone a ogni
peverada rossa, e bianca, e uerde.
Tolli onze 4 de zenzero bianco mondo, onze 4 di cennamo, quarto 1 di spigonardo,
onze meza di cardamomo, onze meza di grana paradiso, onze meza di pepe longo,
quarto 1 di mace, onze meza di garofoli, quarto 1 di galanga, quarto 1 di noxe moscate,
onze meza di pepe rotondo, quarto 1 di folia, quarto 1 di fusti; posto assutto.
Prendi 120 g, di zenzero, 120 g. di cannella, 6 g. di spigonardo (1), 15 g. di cardamomo,
15 g. di grani del paradiso (2), 15 g. di pepe lungo (3), 6 g. di macis, 15 g. di chiodi di
garofano, 6 g. di galanga (4), 6 g. di noce moscata, 15 g. di pepe nero, 6 g. di folia (5),
6 gdi peduncoli di chiodi di garofano (6).
3. Specie forte da lampreda e pevero zallo, e pane pepato: e sia zalda.
Tolli onze 6 di pepe, onze 1 di garofoli, onze meza di zaffarano, onze 4 di cannella,
onze meza di zenzero machime; e questa è bona a peverada zalda; è fatto per libra 1.
Prendi 180 g. di pepe, 30 g. di chiodi di garofano, 15 g. di zafferano, 120 g. di cannella,
15 g. di zenzero.
4. Specie forte da lampreda senza zaffarano.
Tolli pepe longo onze 5, cubebe onze meza, pepe negro rotondo onze 1, grana paradisi
onze meza, cannella onze 4, garofoli onze 1.
Prendi 150 g. di pepe lungo, 15 g. di cubebe (7), 30 g. di pepe nero, 15 g. di grani del
paradiso, 120 g. di cannella, 30 g, di chiodi di garofano.
12. Specie fine per lentichie e pesce e cominate.
Tolli cannella onze 3, pepe onze 3, garofoli onze meza, folie 3, comino onze 2,
zaffarano onze meza.
Prendi 90 g. di cannella, 90 g. di pepe, 15 g. di chiodi di garofano, 90 g. di folio, 60 g.
di cumino, 15 g. di zafferano.
14. Spetie di lampreda per libra 2.
Tolli libra 1 di canella, pepe longo onze 4, garofoli onze 1, zenzero bianco onze 6,
galanga onze meza, mace onçe meza, noxe moscate 4.
Prendi 350 g. di cannella, 12 g, di pepe lungo, 30 g. di chiodi di garofano, 180 g. di
zenzero, 15 g. di galanga, 15 g. di macis, 4 noci moscate.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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56. Fritole con pesse.
Tolli menta, petrosello, mazorana, ortiga, spinaci e bietole, e batti queste erbe molto
ben, e frizile in olio, che siano meze cotte; poi le pesta con 24 noxe e una anguilla (e
cava fora le spine, quando è lessa), overo altra polpa di pesse, e onze 1 di spetie fine; e
fa tortelli, e involgi in farina, e frize; e di sopra, spetie.
Prendi menta, prezzemolo, maggiorana, ortiche, spinaci e bietole, trita bene, friggile in
olio, che siano cotte a metà, poi pestale con 24 noci e un’anguilla lessata e diliscata,
oppure altra polpa di pesce, 30 g. di spezie fine, fa dei tortelli, infarinali e friggili,
Cospargili di spezie.
Note:
(1) Spigo = De la spiga (Serap., I, p. 60): tre specie: 1) spiga indica. Spiga nardi: la migliore è quella
dell’India (Nardostachys jatamansia); 2) la spiga romana o spiga celtica nasce in Siria: in realtà è la
Valeriana celtica delle nostre Alpi, chiamata saliunca dai latini e anche nardus celtica. 3) la spiga
montana ricomprende alcune specie del genere Lavandula. La denominazione spiga senza nient’altro
dovrebbe riferirsi a quest’ultima (Serap., II, p. 208)
(2) GRANI DEL PARADISO, o “semi del paradiso”, la “meleghetta” o pepe di Guinea. è una specie
africana di Cardamomo, l’Amomum melegueta, spontanea nel Mali, Liberia e Sierra Leone. La spezia,
più profumata e più muschiata, ma meno saporita del pepe orientale, cominciò ad affluire in Europa nel
XIII sec., dopo aver raggiunto il Mediterraneo attraverso le carovaniere del Sahara, e riscosse successi
tanto rapidi quanto effimeri, poiché, a partire del XV sec. accusò un precipitoso declino.
(3) PEPE LUNGO: Piper longum. Le minuscole bacche crescono costipate le une contro le altre a
formare un cornetto. Il maggior uso viene fatto dall’anonimo trecentesco cuoco veneziano che. oltre a
prevederlo esplicitamente per alcune salse, lo prescrive come componente essenziale delle Specie negre e
forte.
(4) GALANGA: appartenente alla famiglia delle zingiberacee, ha una radice rizomatosa simile allo
zenzero, ma di colore scuro, che val dal giallo al rosso a seconda delle piante da cui è ricavata; il suo
sapore pungente e canforato evidenza sempre un sottofondo di rosa.
(5) 15. Folia = «Trovansi [in Oriente] due piante, che producono foglie, che ancor hoggi dalli paesani si
tengono in bocca per masticarle; perché rendano il fiato odorato. Et una nasce in India, e l’altra in Persia.
La indiana da quelli del paese vien detta Betel, e quella che nasce in Persia si chiama da’ Persiani
Tembul. Il Betel si dice trovarsi nel paese de Malabari ne’ luoghi più tosto humidi, che aridi e che se ne
fanno pergolati […] in molti luoghi d’Italia si usa per Folio Indo, e trovasene in Vinegia con i rami alla
spetieria di Grosso dal Mortaio dietro al fondaco de’ Tedeschi. Il Tembul […] è albero simile al pepe
nero, e si attacca nelle pergole a guisa di vite con frequenti, e molti capreoli, le cui foglie sono simili a
quella della Tilia, nervate come quella della Piantagine, di grandezza come quella dell’Alno». [Stesso uso
del betel: si mastica con la calce] (Semplici dell’eccellente M. Luigi Anguillara, li quali in più pareri a
diversi nobili huomini scritti appaiono, et nuovamente da M. Giovanni Marinello mandati in luce.
Venezia, Valgrisi, 1561, pp. 29-30).
(6) 2. Fusti = «Peduncolo del «chiodo di garofano» (bottone del frutto dell’«Eugenia caryophillata»)
distinto dall’altra parte («cappelletto») per il suo colore più chiaro e per il suo minor pregio. V. Heyd,
Op. cit., p. 1165». (Franco Borlandi, El libro di mercatantie et usanze de’ paesi, Torino, Lattes, 1936, p.
191). Dovrebbe trattarsi inequivocabilmente degli steli dei fiori, raccolti in racemo, che vengono staccati
dai calici subito dopo la raccolta, e fatti seccare a parte. Oggi se ne fa largo consumo soprattutto in
Malesia, dove vengono mescolati al tabacco per confezionare sigarette speciali chiamate kreteks,
localmente molto apprezzate. (Jan-Öjvind Swahn, Les épices, Prigi, Gründ, 1993, p. 138).
(7) CUBEBA: Piper cubeba è una specie di pepe originaria dell’Indonesia, conosciuta anche come pepe
di Giava. Le sue bacche, dalla superficie rugosa a reticolo, sono di forma sferica leggermente appuntita e
con una sorta di aculeo alla base, che gli ha meritato il nome di “pepe con la coda”. Il profumo,
spiccatamente canforato, è più intenso di quello del pepe nero, mentre il sapore è meno mordente e
vagamente amarognolo. La cubeba, modestamente impiegata in cucina, godeva per contro larga stima da
parte dei medici, per le sue proprietà diuretiche.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Specie fini a tutte cosse
Toy una onza de pevere e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de garofali e
uno quarto de zaferanno.
Tratta da “Libro per cuoco” di anonimo veneziano del XIV secolo “
Spezie fini per tutti gli usi
Ingredienti: 16 gr. di pepe macinato, 16 gr. di zenzero in polvere, 16 gr. di cannella in
polvere, 4 gr. di zafferano, 2 gr di chiodi di garofano in polvere.
Mescolare tutti gli ingredienti e utilizzare al bisogno.
Specie negre e forte per assay savore
Specie negre e forte fer fare savore; toy mezo quarto de garofali e do onze de pevere e
toy arquanto pevere longo e do noce moscata e fa de tute spece.
Tratta da “Libro per cuoco” di anonimo veneziano del XIV secolo “
Spezie nere e forti per molte salse
Ingredienti: 60 gr. di pepe, 60 gr. di pepe lungo(si può omettere, non si riesce a reperire
in Italia), 4 gr. di chiodi di garofano, 2 gr. di noce moscata.
Mescolare le spezie e usare all'occorrenza.
Specie dolce per assay cosse bone e fine
Le meior specie dolce fine che tu fay se vuoi per lampreda in crosta e per altri boni
pessi d’aque dolze che se faga in crosto e per fare bono brodetto e bon savore. Toi uno
quarto de garofali e una onza de bon zenzevero e toy una onza de cinamo leto e toy
arquanto folio e tute queste specie fay pestare insiema caxa come te piaxe, ese ne vo’
fare più,toy le cosse a questa medessima raxone et è meravigliosamente bona.
Tratta da “Libro per cuoco” di anonimo veneziano del XIV secolo “
Spezie Dolci
Ingredienti: 20 g. di zenzero, 20 g. di cannella, 5 g.di chiodi di garofano.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Latte di mandorle
ingredienti: 120 gr. di mandorle non spellate, 1 litro d'acqua.
Mettere a scaldare un pentolino d'acqua. Quando bolle, versarvi le mandorle e aspettare
che riprenda il bollore. Scolare e passare sotto l'acqua fredda. Si può cominciare a
mondare le mandorle. Prendetele una ad una fra le dita e sentirete che la pelle scivola
via da sola, espellendo la mandorla.
Mettere le mandorle nella tazza del frullatore, aggiungere l'acqua e frullare a lungo fino
a ottenere un bel liquido bianco. Prendere un pezzo di garza, metterla a doppio,
bagnarla e strizzarla con cura. Distenderla in un colino e filtrare il liquido. Il resto delle
mandorle può essere utilizzato per arricchire l'impasto dei biscotti, delle torte o
mischiato ai polpettoni e passati di verdura.
E' possibile aumentare la quantità di mandorle o diminuire la quantità d'acqua a
seconda della densità che si vuole ottenere.
Il latte di mandorle era una derrata essenziale nella cucina medievale, perché era un
sostituto del latte di mucca o di pecora per i giorni di Quaresima o di magro, quando era
vietato il consumo dei prodotti animali. Inoltre non irrancidiva ed era a disposizione in
qualsiasi momento.
SUGGERIMENTI:
L’Agresto si può sostituire con: succo di limone o aceto diluiti con un po’ d’acqua.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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DESCRIZIONE DEI MANOSCRITTI
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria Testo: Marianne Mulon:
Deux traités inédits d'art culinaire médiéval. (Del Tractatus sono conosciute due
versioni, contenute nei manoscritti latini 7131 e 9328 della Biblioteca Nazionale di
Parigi. Il primo si ritiene risalga all’inizio del XIV secolo e si vuole redatto a Parigi,
mentre il secondo, databile tra il 1360 e il 1370, parrebbe di origine italiana. –
Traduzione Enrico Carnevale Schianca in “Appunti di Gastronomia” n.XXVI –
Condeco S.r.l. Editore
Manoscritto n. 226 della Biblioteca Victor de Cessoles, del Museo Massena Nizza.
Il manoscritto è composto da due quaderni di diversa fattura e, almeno un quaderno. il
primo, sembra copiato da una fonte più antica di quella dell’altro ed anche più antica di
quelle che hanno fornito il materiale per altri testi analoghi e coevi.
Nulla suggerisce la datazione al XV secolo. L’indicazione regionale è apodittica ma
inattendibile perché il ms. è composta da due quaderni provenienti da botteghe diverse
e che differiscono fra loro nel linguaggio e nella grafia.
Le ricette contenute nei due frammenti si possono attribuire ad ambiente senese
dugentesco anche se ci sono pervenute attraverso successive trascrizioni ed in copie
tarde, che ne hanno corrotto il linguaggio e talvolta, di errore in errore, il contenuto.
(Giovanni Rebora – La cucina Medievale italiana tra Oriente ed Occidente- In
Miscellanea storica ligure – Anno XIX (1987) – n.1-2 – Estratto)
Manoscritto di Sheffield - Manoscritto inedito del primo Cinquecento. Il manoscritto è
stato redatto all’inizio del XVI sec., ma è stato in parte copiato da un originale del tardo
Quattrocento, e parecchie delle ricette che vi sono contenute ricalcano manifestamente
modelli ancora più antichi, sicuramente anteriori al 1492.
Il manoscritto in questione, segnato R. 3550 e conservato presso la Ruskin Gallery di
Sheffield, contiene nelle sue 79 carte il più corposo ricettario medievale di cucina in
lingua italiana finora conosciuto. Le prime cinquanta carte, copiate negli ultimi anni del
Quattrocento probabilmente da un’altra copia di un’opera di molto precedente,
contengono sedici sezioni distinte, spesso chiamate pretenziosamente trattati, un nucleo
di 526 ricette, suddivise per argomento in: insalate, savori, salse, spezie, agresti,
frittelle, arrosti e piatti vari da dare ‘per tagliere’, vivande per schudelle, mostarde,
paste, torte e minestre, ripieni, aceti, suchi dolci per erbate, lattovarij e ancora polveri
aromatiche per aceti; seguono, da c.47v. a c.49r., le singolari <<laude e comendationi e
biasmi di magistro Andromachasso sopra l’arte de la cocina>> e due liste cibarie di
desinari. Le carte dalla 51 alla 64 ripropongono 94 ricette di Maestro Martino, cui
seguono altre descizioni di feste e banchetti, con gli ordini del pasto.
Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento –
E’ conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma, si tratta di un volumetto
menbranaceo di carte 51, da assegnarsi, per quanto riguarda la scrittura, alla fine del
secolo XV, mentre, se si tiene conto della struttura linguistica del trattatello, la
composizione è da far risalire al Trecento. Fu dato alle stampe per la prima volta a cura
di Ludovico Frati, col titolo di “Libro di cucina del secolo XIV” (Livorno 1899), nella
“Raccolta di rarità storiche e letterarie” diretta da G.L. Passerini.
“Libro per cuoco”è l’intitolazione recenziore che fu posta in testa al manoscritto
originale sotto la data del 1741.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Il “Libro della cocina” è contenuto in un codice miscellaneo che si conserva presso la
Biblioteca Universitaria di Bologna (n.158 del Catalogo dei Manoscritti). Il codice è
membranaceo, di complessive carte 101 in folio, a due colonne. Circa la datazione del
codice, lo Zambrini, lo assegnerebbe al finire del secolo XIV oppure ai primissimi anni
del susseguente.
Il “Libro della cocina” fu dato alle stampe per la prima volta più di cent’anni or sono, a
cura di Francesco Zambrini con il titolo di: “Il libro della cucina del sec. XIV. Testo di
lingua non mai fin qui stampato.”. Il quale, nell’atto di pubblicarlo, tenne a dichiarare
di esser mosso “dal desiderio di accrescere sempre più la messe de’ vocaboli,
spezialmente domestici e di cose attinenti alle arti”, non già perché avesse in animo di
“porgere ammaestramenti di buona cucina”.
Mastro Martino – Ms.Urbinate Latino 1203 – Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana
Maestro Martino (Martino de Rubeis o de Rossi).
Poche le notizie biografiche, si sa che nacque a Blenio nel Canton Ticino prima del
1450.
Negli anni compresi tra il 1460 e il 1470 è al servizio del patriarca di Aquileia
Il “Libro de arte coquinaria” parla per lui: è un cuoco che scrive per altri cuochi,
quindi le dosi degli ingredienti non sono sempre specificate e spesso le indicazioni sono
molto vaghe e relative (assai, pocho, secondo il bisogno, in maiore quantità…). perché
Martino confida nella sensibilità culinaria dei suoi lettori, che paragona alla sua.
Martino de Rubeis- Libro de cosina – Riva del Garda. Archivio storico.
Redatto in area lombarda. attribuito a Mastro Martino da Como cuoco del Trivulzio.
Anonimo meridionale del primo quattrocento.
Con il trecentesco “Liber de coquina” i “Due libri di cucina” databili alla prima metà
del secolo XV hanno in comune la zona d’origine genericamente meridionale. Un
elemento differenziante potrebbe essere ravvisato nell’ambiente sociale in cui sembrano
aver operato gli autori, identificabile per il “Liber de coquina” nella corte degli Angiò,
per i “Due libri di cucina” nel ceto aristocratico o altoborghese. Non diversamente dai
libri trecenteschi di cucina, i “Due libri di cucina” non forniscono informazioni sulle
dosi degli ingredienti da usare o vi accennano in maniera approssimativa, e soltanto vi
appare più circostanziata e scrupolosa la normativa suggerita per la manipolazione e per
la cottura delle vivande, a volta con accorgimenti di una raffinatezza che negli altri non
si riscontra.
Il Manoscritto dei “Due libri di cucina” appartiene a una collezione privata di
Stoccolma ed è stato edito come opera di Anonimo Meridionale, “Due libri di cucina”
a cura di Ingemar Bostrom, negli “Acta Universitatis Stockholmiensis” Stockholm
1985, con commento alla lingua, commento al contenuto, con tabelle delle occorrenze
degli ingredienti culinari e con glossario volgare.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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PICCOLO MANUALE
DI CUCINA IN CAMPO IV
UOVA E SALSE
1
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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IN COPERTINA:
Ova galinacea
Tacuinum Sanitatis
Liechtenstein, ora Londra Sam Fogg
2
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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UOVA
Tenendo presente il diffuso allevamento domestico di pollame, la produzione di
uova doveva essere abbastanza rilevante in tutte le aziende agricole, grandi o
piccole o anche solo a conduzione familiare...
...Il consumo di uova doveva essere, in ogni caso, abbastanza costante e diffuso in
tutti i ceti sociali, in rapporto alle variazioni stagionali della loro produzione,
anche se non si posseggono indicazioni sufficienti per trarne qualche ipotesi.
Le uova sono infatti generalmente ignorate nella regolamentazione statutaria,
eccetto qualche rara eccezione, in quanto venivano considerate un sottoprodotto
alimentare, secondario per l‟alimentazione e di scarso valore venale...
Le uova dovevano entrare con continuità e frequenza nella dieta quotidiana di tutti
i livelli sociali, se si deve prestar fede ai trattati dietetici del tempo ed alle
numerose ricette in cui le uova entrano almeno come elemento-base
indispensabile. Era un apporto nutritivo di primaria importanza, in quanto le uova
sono ricche di protidi, di sali minerali e di vitamine, specie vitamina A: potevano
così costituire un alimento quasi completo, facilmente digeribile, specie se
consumate “sorbilia vel mollia” (cioè al guscio), consigliabili specialmente alle
gestanti e alle nutrici [Cfr.Giacomo Albini, De sanitatis Custodia; pag. 55] ed in
ogni caso necessitasse un buon nutrimento ed una digestione non laboriosa.
Dal punto di vista dietetico sono consigliate le uova “gallinarum iuvenum et
pinguium habentium gallum, nam ova femellarum carentium masculis que
dicuntur ova venti...non sunt eque bona” o, meglio ancora, le “ova perdicum et
fassianorum”, mentre non erano “laudabilia” le “ova anserum et anatum”.
[Cfr.Giacomo Albini, De sanitatis Custodia; pag. 85]
Dalle leggi religiose e civili era severamente vietato nei giorni di astinenza dalle
carni e durante il periodo quaresimale il consumo di uova, nella loro qualità di
prodotti animali sicché, ad esempio, era spesso vietato agli osti, dalle autorità
comunali più osservanti, di servire ai loro avventori uova o anche soltanto cibi
confezionati con uova, nei giorni di magro. E‟ questo un divieto ecclesiastico che
sembra perdurare per tutto il secolo XV e non solo in area pedemontana: ci piace
qui ricordare che in Toscana, nella seconda metà del Trecento, un vecchio
mercante, tradito, beffeggiato ed abbandonato dalla giovane e piacente seconda
moglie, nel processo di separazione non trovò di meglio che accusarla di essere
una “mangiacarne ed uova a de dì di quaresima a fingersi d’aver male”, cioè di
cibarsi non di magro con la falsa scusa di essere ammalata. [Cfr. CH. M. DE LA
RONCIERE, Un changeur florentin, p. 245]
(ANNA MARIA NADA PATRONE, Il cibo del ricco e il cibo del povero,
pagg.293-295)
3
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
155/208
Ove plene.
Se tu voy fare ove implite, toy le ove e mitili a bolire e fay che siano ben duri e
quando sono cocti traili fuora e mitili in aqua freda e schovrali e tagliali per mezo
e trane fuora lo rosso e toy caxo magro al piú che tu poy che sia ben dolze e herbe
bone che tu ay ben monde e ben lavate e pestali in lo mortaro. Quando sono bene
menate, toy lo rosso de l' ova, el chasso e le specie e mecti in el mortaro con le
herbe bone insieme e pesta bene e fay pastume, e distempera con ove crude e fay
che non sea bono, e miti in la padella sopra el focho, e toy li elapi del ova che tu
ay e impleli de questo pastume e fay choxere. Quando sono cocti trali fuora e
polveriza di sopra del zucharo e dali caldi a tavola. E se tu voy fare savore, toli,
etc.
Tratta da “Libro per cuoco” di Anonimo Veneziano del XIV secolo
Uova ripiene
Ingredienti:
9 uova, un mazzetto di erbe aromatiche miste (prezzemolo, maggiorana, menta),
100 gr di raveggiolo, spezie forti, olio o strutto per friggere, zucchero (se piace.)
Rassodare 8 uova, toglierle dall‟acqua e passarle sotto l‟acqua fredda, sgusciarle e
tagliarle a metà, levare i tuorli. Pestare le erbe aromatiche in un mortaio (o
tritarle), unire il formaggio, i tuorli d‟uovo e le spezie, mescolare con cura,
amalgamare l‟impasto con l‟uovo crudo.
Prendere le mezze uova e riempire l‟incavo con l‟impasto. Cuocerle in olio
bollente o strutto, trasferirle nei piatti e cospargere di zucchero.
De le ova piene.
Togli ova, lessali e mondali, e parti ciascuno per mezzo, e cava inde il tuorlo; e
presa maggioranzia, zaffarano e garofani, distempera coi detti tuorla d'ova, e pesta
forte, aggiontovi dentro cascio grattato: e per ciascuno otto ova distempera uno
ovo crudo; e fatto questo, d'esso savore empi le pacche de l'ova e friggile con
buono lardo; e mangia, aggiontovi il savore che si dice verzuzo francioso. De l'ova
fritte, arrostite e sbattute è sì noto che non bisogna dire d'esse.
Anonimo Toscano, Libro della cocina
Uova ripiene
Ingredienti: 9 uova, una presa di maggiorana tritata, zafferano, chiodi di garofano,
una manciata di parmigiano grattugiato, lardo tritato (o burro).
Lessare 8 uova, sgusciarle, tagliarle a metà e togliere i tuorli. Pestare i tuorli con la
maggiorana, lo zafferano, un piccolo pizzico di chiodi di garofano, il formaggio
grattugiato. Amalgamare con 1 uovo crudo, riempire le mezze uova e friggerle nel
lardo.
4
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sic fac fritatem de pomeranciis
Recipe ova percussa, cum pomeranciis ad libitum tuum, et axtrahe inde sucum, et
mitte ad illa ova cum zucaro; post recipe oleum olive, vel segimine, et fac califieri
in patella, et mitte illa ova intus. Et erit pro ruffianis et leccatricibus
Tratto da "Registre de cuisine" di Jean de Bockenheim
Omelette d'arance per ruffiani e prostitute
Ingredienti: 6 uova, 2 arance e 1 limone, 2 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai d'olio
d'oliva, sale.
Procedere come per una semplice omelette, sbattendo le uova e aggiungendovi lo
zucchero, un pizzico di sale, il succo delle arance e del limone spremuti. Cuocere
in una padella in olio d'oliva. Servire tiepida.
Poiché nel Medioevo le arance erano amare, si consiglia di mischiare arance e
limoni. L'acido e lo zucchero impediscono alle uova di rapprendersi, per cui si
ottiene una crema.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Capitolo per cocer ova in ogni modo.
Tratta da “Libro de arte coquinaria” Maestro Martino da Como Ms. Washington
Library of Congress (intorno 1450.)
Frictata.
Battirai l'ova molto bene, et inseme un poca de acqua, et un poco di lacte per farla
un poco più morbida, item un poco di bon caso grattato, et cocirala in bon botiro
perché sia più grassa. Et nota che per farla bona non vole esser voltata né molto
cotta. Et volendola fare verde, prendirai similmente le cose sopra ditte giognendoli
del suco de queste herbe, cioè vieta, petrosillo in bona quantità, borragine, menta,
maiorana, salvia in minore quantità, passando il ditto suco; poi cavarai piste le
herbe molto bene per la stamegna. Et per fare in un altro modo frittata con herbe,
prendirai le sopra ditte herbe et tagliate menute le frigerai un poco in un bon botiro
o oglio, mescolandole con l'ova et l'altre cose sopra ditte farai la frittata et cocirala
diligentemente che sia bene staionata et non troppo cotta.
Frittata
Ingredienti: 6 uova, 2 cucchiai d‟acqua, 2 cucchiai di latte, una manciata di
parmigiano grattugiato, burro.
Sbattere le uova con l‟acqua e il latte, aggiungere il formaggio. Cuocerla nel burro
fuso.
Martino dice che per essere buona non deve essere voltata e non deve essere
troppo cotta!
Frittata Verde
Ingredienti: 6 uova, 2 cucchiai d‟acqua, 2 cucchiai di latte, una manciata di
parmigiano grattugiato, un mazzetto di biette, un mazzetto di erbe aromatiche:
prezzemolo, borragine, menta, maggiorana, salvia, burro.
Sbattere le uova con l‟acqua e il latte, aggiungere il formaggio. Tritare le biette e
le erbe aromatiche, rosolarle nel burro fuso, versarci sopra le uova e cuocere senza
voltarla.
Ova frictellate.
Metti in la padella un poco d'olio, et fa' che sia un poco caldo, et rompegli dentro
l'ova fresche facendole cocere bene ad ascio, et frigendosi butta continuamente
con la paletta de quello olio che se frige sopra le ova; et como sono prese et fatte
bianche di sopra sonno cotte, che [non] si vogliono cocere troppo.
Uova fritte
Ingredienti: uova, olio di oliva,
Scaldare l‟olio in una padella, romperci dentro le uova e farle cuocere adagio
irrorandole continuamente con l‟olio di cottura. Appena sono rapprese e bianche
di sopra sono pronte. Non devono cuocere troppo.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Ova sperdute.
Fa' che l'acqua bolla et rompegli dentro l'ova freschissime, et prese ch'elle sonno
cavale fora dell'acqua che siano tenerelle, mettendoli sopra del zuccaro, dell'acqua
rosata, de le spetie dolci, et un poco di suco di naranci overo agresto; et si più ti
piacesse, lasciando le cose sopra ditte gli mittirai sopra di bon caso grattato et de
le spetie dolci.
Uova affogate
Ingredienti: uova, zucchero, acqua di rose, spezie dolci, succo di arancia o di
limone, oppure parmigiano grattugiato.
Portare l‟acqua a ebollizione, romperci dentro le uova, quando l‟albume si sarà
rappreso (il tuorlo deve rimanere morbido), scolarle con una paletta, impiattarle e
cospargerle con acqua di rose, zucchero, spezie dolci e succo d‟arancia o di
limone.
In alternativa si possono cospargere solo di parmigiano grattugiato e spezie dolci.
Ova sperdute in lacte o vino dolce.
Farai similmente como è ditto nel capitolo precedente, excepto che non gli se
convien mettere sopra del caso.
Uova affogate nel latte o nel vino dolce.
Si fa come detto per le uova affogate sostituendo l‟acqua con il latte o il vino
dolce. Non si deve mettere il formaggio.
Ova piene.
Fa' bollire l'ova fresche in l'acqua sane, che siano ben dure, et cotte monderale
politamente et tagliate per mità cavarane fora tutti i soi rosci, guardando di non
rompere il biancho, et di quelli rosci ne pistarai una parte con un poca d'uva passa,
un poco di bon caso vecchio et uno del frescho; item di petrosillo, maiorana et
menta tagliate menute, agiognendovi uno o doi bianchi d'ova, o più, secundo la
quantità che voli fare, con le spetie dolci o forti, como ti piace. Et questa tale
compositione, mescolato ogni cosa inseme, farai gialla con il zafrano, et impierane
quelli bianchi d'ova sopra ditte, frigendole in olio molto ad ascio; et per farli di
sopra il suo sapore conveniente, prendirai alchuni di quelli rosci d'ova che sonno
rimasti con una pocha d'uva passa. Et pistati inseme molto bene, li destemperarai
con un poco de agresto et un poca di sapa, cioè vin cotto; gli passarai per la
stamegna giognendovi un poco di zenzevero, un pochi di garofoli, et di canella
assai, facendo bollire un pochetto questo tal sapore. Et quando le ditte ova voli
mandare ad tavola buttagli di sopra questo sapore.
Uova ripiene in salsa
Ingredienti: 10 uova, 2 albumi, una manciata di uva passa, una manciata di
parmigiano grattugiato, 100 gr di raveggiolo, un mazzetto di erbe aromatiche:
prezzemolo, maggiorana, menta, spezie dolci o forti secondo i gusti, zafferano,
aceto, sapa o vino cotto, zenzero, chiodi di garofano, cannella, olio.
Far rassodare le uova in acqua, sgusciarle, tagliarle a metà e levare i tuorli facendo
attenzione di non rompere gli albumi. Mettere da parte un paio di tuorli
(serviranno per la preparazione della salsa) e pestare i restanti con un po‟ di uva
passa, in precedenza sciacquata, il formaggio e le erbe aromatiche tritate
finemente. Aggiungere gli albumi e le spezie dolci o forti a secondo dei gusti e lo
zafferano. Riempire la cavità degli albumi, friggerli adagio in olio.
Preparare la salsa pestando i tuorli con un po‟ di uva passa, stemperare con aceto e
un po‟ si sapa o vino cotto, aggiungere un pizzico di zenzero, chiodi di garofano,
cannella in maggior quantità. Portare a ebollizione e cospargere sulle uova.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Ova in patelletta.
Metti di bon botiro nelle patellette o rame et lascialo scaldare un poco, et habi
apparecchiati i rosci dell'ova fresche separate dal biancho se più ti piaceno, et
mettile a cocere, mettendoli del zuccharo et de la canella, et dalli focho sotto et
sopra temperatamente che non siano troppo cotte. Poi gli mettirai sopra un poco di
suco d'aranci o d'acqua rosata.
Uova nelle padellette
Ingredienti: uova, burro, zucchero, cannella, succo d‟arancia o acqua di rose.
Mettere un po‟ di burro in un recipiente che vada in forno o sulla brace, fare
sciogliere il burro, sgusciarci le uova, cospargere di zucchero e cannella e mettere
in forno caldo (o coprire con un altro recipiente e coprire di cenere) far cuocere un
pochino, devono rimanere morbide. Spruzzare con succo d‟arancia o acqua di
rose.
Ova in cenere calda.
Metti le ova fresche ne la cenere calda voltandole spesso con diligentia, che da
ogni parte sentano il caldo del foco equalmente. Et quando sudano ben forte,
cavale che son cotte.
Non richiede di altre spiegazioni
Ova tuffate con la sua cortece.
Metti le ova fresche in l'acqua freda, et falle bollire per spatio d'un paternostro o
un poco più, et cavale fore.
Bello il metodo di misurare il tempo utilizzando le preghiere!
Ova frictellate a la fiorentina.
Habi l'ova fresche et rompile ad uno ad uno in la patella che l'olio si caldissimo, et
subito che le mettirai in l'olio le restringerai inseme con la paletta o col cocchiaro,
facendole tonde quanto più sia possibile, et rivolterale spesso cocendole, in modo
che di fora siano alquanto colorite, et di dentro non siano dure né troppo cotte, ma
più presto morbide et tenere.
Uova fritte alla fiorentina
Ingredienti: uova, olio.
Scaldare l‟olio in una padella, romperle ad uno ad uno nell‟olio, con una paletta o
un cucchiaio raccogliere l‟albume attorno al tuorlo cercando di farle belle tonde,
voltarle spesso, devono essere colorite all‟esterno ma morbide all‟interno.
Ova sperdute in la brascia accesa.
Piglia l'ova integre et gittale ne la brascia viva et calda, et dagli suso con uno
bastone tanto che le rompi, et lasciale cocere; et quando ti parono cotte cavale
fore, et mettile di sopra un poco d'aceto et di petrosillo.
Non richiede spiegazioni
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Ova frictellate piene.
Farai l'ova afrittellate al modo fiorentino como s'è ditto di sopra, et che non siano
troppo cotte, et ad uno di lati farai un buscio ad ogni uno et politamente ne cavarai
fora tutto il roscio che hanno dentro. Poi prendirai un poco di bon caso grattato
che sia grasso et vecchio, con un pocha di menta et petrosillo ben battuti, item un
pochetta d'uva passa et un pocho di pepe con uno o doi rosci d'ova crude o più,
secundo la quantità che vole fare; et mescolate et incorporate inseme tutte queste
cose et impierai l'ova sopra ditte per quelli busci che hanno, et farale un'altra volta
frigere tanto che quello pieno possa essere cotto, et volterale spesso, et fornite di
cocere gli mettirai di sopra un pocho di suco di naranci o dell'agresto, et un poco
di zenzevero.
Uova fritte ripiene
Ingredienti: uova fritte alla fiorentina, una manciata di parmigiano grattugiato, un
mazzetto di menta e prezzemolo, una manciata di uva passa, pepe, uno o due tuorli
d‟uovo crudi, succo d‟arancia o aceto, zenzero.
Prendere le uova fritte alla fiorentina, farci un buco e svuotarle dal tuorlo.
Mescolarlo al formaggio, alle erbe aromatiche tritate finemente, l‟uva passa il
pepe ei tuorli crudi. Riempire gli albumi dal buco fatto per estrarre il tuorlo, e farle
friggere una seconda volta, voltandole spesso. Scolarle e spruzzarle con succo
d‟arancia o aceto, spolverizzarle di zenzero.
Ova in forma de raffili.
Farai una pasta al modo de le lasagne che non sia sottile né molto tenera, et
rompevi dentro dell'ova fresche, buttandogli sopra del zuccharo et de le spetie
dolci con un pochetto di sale, ad uno ad uno ligarai queste ova ne la ditta pasta al
modo che faresti i rafioli, et falle allessare o frigere como ti piace. Ma meglio
seranno fritte; similmente poi conciarai le ditte ova in forma di pastelli
mettendogli con esse le cose sopra ditte et giognendogli un poco d'agresto si ti
piace, cocendo li ditti pastelli a modo d'una torta, overo frigendole, ma che non
siano l'ova troppo cotte, perché è di tal natura l'ovo che quanto più si coce tanto si
fa più duro et diventa pegiore.
Uova a forma di ravioli
Ingredienti: farina, acqua, zucchero, spezie dolci, sale, uova, olio o strutto per
friggere.
Impastare la farina con l‟acqua (deve avere la consistenza dalla pasta per le
lasagne), dividerla e fare delle piccole sfoglie rotonde abbastanza sottili (devono
essere della dimensione da poterci racchiudere l‟uovo). Appoggiare la sfoglia su
una ciotola, sgusciarvi l‟uovo facendo attenzione a non romperlo, cospargere con
un po‟ di sale, zucchero e spezie dolci. Ripiegare i bordi della pasta e chiudere con
cura. Farli friggere nell‟olio o nello strutto bollenti. In alternativa possono venire
lessati.
Martino dice che sono meglio fritti!!!
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Tratte dal Manoscritto di Sheffield Minestra di ova ripiene.
Tolli le ova e lessale, e mondale, e taiale per mezo, e cava lo rosso; poi tolli lardo
battuto con specie fine e erbe dolce, e con quelli rossi quali tu ai cavati, e lo
biancho quale tu ai levato da torno; e batte insieme molto bene, e poi tempera, per
ogne 10 ova, doi ova crude: tempera con quello battuto e metti a frizere in lardo
structo, e poi li cava, e fa guazetto. Tolli uve passe onze 6, e mandole lauate e non
mondate onze 6, e pane bianco brustatto e moiato in vino di monte buono (pesto,
questo pane), e mandole e uve passe insieme, e poi cola con vino per setazo, e
metti specie fine, e zaffarano, e agresto; e fa bollire in una pignata invetriata che
non abia altro sapore, e metti ova 3 o 4 per schudella.
Minestra di uova ripiene
Ingredienti: 12 uova, lardo battuto, spezie fini, prezzemolo, menta, maggiorana,
strutto.
Per la salsa: 180 gr di uva passa, 180 gr di mandorle con la pelle, pane bianco
abbrustolito, vino, spezie fini, zafferano, aceto.
Lessare 10 uova, sbucciarle tagliarle a metà e toglierne i rossi, mescolare il lardo
tritato con le spezie fini e le erbe aromatiche tritate, stemperare con 2 uova crude,
riempire le mezze uova e friggerle nel lardo o nello strutto. Preparare la salsa
pestando (o frullando) insieme l‟uva passa, le mandorle, il pane abbrustolito e
ammollato nel vino, aggiungere le spezie fini e lo zafferano. Aggiungere un po‟ di
aceto, diluire con il vino in cui è stato ammollato il pane, portare a ebollizione
(deve rimanere abbastanza liquida). Mettere 3 o 4 uova per scodella e ricoprire
con la salsa
In altro modo.
Tolli ove lesse e acconcie come di sopra, e in luogo di lardo, metti butiero o olio,
[31v.] e dentro nelle ova, per ripieno, scambio di lardo metti del caso bono, e frize
in butiero o olio; e fa lo guazetto come di sopra e fa bullire.
In altro modo
Preparare le uova come spiegato di sopra sostituendo il lardo del ripieno con
formaggio, friggerle anziché nel lardo nell‟olio o nel burro.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Ova avolte e ripiene per 10 persone.
Tolli 30 ova, e fa doi busi per zaschuno ovo, e soffia in uno di questi busi; e poi
che è voto, repone le gusse che non se rompano, e così farai a tutte quelle ova; e
poi metti la mitade de quelli rossumi a chosere in aqua calda, e l‟altra mitade, con
tutti li bianchi, salva; e pesta una pestarola de erbe odorifere e dolce, e uno molle
de pane bianco, e questi 12 rossi duri e lessi, con onze 1 di specie fine e zaffarano;
e metti, al tempo di carne, onze 6 di lardo frescho, e al tempo di zezuno onze 6 di
butiro frescho. Et tolle le gusse, e slargale da uno de li canton, e reimpie queste
gusse azonzendoli qualche chiaro e tuorlo crudo; e messita insieme, e coceli in
aqua; quando sonno cotti, mettili in aqua freda e mondale intorno; e falli soffrizere
in lardo, o butiro, o olio; poi li fa lo guazeto sopradicto, overo uno altro guazetto
de vino e sapa, e aceto e specie.
Uova ripiene col guscio per 10 persone.
Ingredienti: 30 uova, un mazzo di erbe aromatiche (prezzemolo, menta,
maggiorana, santoreggia, issopo), mollica di pane bianco, un cucchiaino di spezie
fini, zafferano, 180 gr di lardo fresco o burro.
Per la salsa: 180 gr di uva passa, 180 gr di mandorle con la pelle, pane bianco
abbrustolito, vino, spezie fini, zafferano, aceto.
Altro condimento: Vino, sapa, aceto e spezie fini.
Fare un buco ad ogni estremità dell‟uovo, soffiare da un‟estremità per svuotarlo
raccogliendo le uova in una ciotola. Fare attenzione di non rompere i gusci!
Cuocere in acqua calda la metà dei tuorli.
Mescolare l‟altra metà dei tuorli e tutti gli albumi con le erbe aromatiche tritate, la
mollica del pane sminuzzata, i tuorli lessi, le spezie e il lardo tritato o il burro.
Amalgamare bene (eventualmente frullare), prendere i gusci delle uova, allargare
un po‟ uno dei buchi e, con molta pazienza, riempire i gusci. Cuocerli in acqua per
circa 15 minuti da quando incominciano a bollire. Passare le uova sotto l‟acqua
fredda, sgusciarle e friggerle in olio o lardo o burro.
Preparare la salsa pestando (o frullando) insieme l‟uva passa, le mandorle, il pane
abbrustolito e ammollato nel vino, aggiungere le spezie fini e lo zafferano.
Aggiungere un po‟ di aceto, diluire con il vino in cui è stato ammollato il pane,
portare a ebollizione (deve rimanere abbastanza liquida).
Versare la salsa sulle uova.
In alternativa scaldare il vino con la sapa, l‟aceto e le spezie e cospargere le uova.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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SALSE
La salsa, oggi come duemila anni fa, ha la precipua funzione di rendere qualsiasi
cibo più appetibile, con il sovrapporgli un gusto particolarmente stimolante. In
questa “sovrapposizione” di un preparato complesso, a consistenza
tendenzialmente liquida e con prevalenza di sapori agri e aromatici, sopra
ingredienti di base strutturalmente primitivi, compatti e asciutti (come le carni
lessate e soprattutto arrostite), qualcuno ha voluto intravvedere un inconscio
intervento di esorcizzazione e di mascheramento del carattere “selvaggio”
connaturato ai primordiali procedimenti di cucina; qualcun altro ha ceduto alla
tentazione di interpretare la salsa come il prodotto elaborato di una civiltà
tecnicamente e culturalmente avanzata (quella greco-romana), profuso a temperare
la barbarie delle carni rosse carbonizzate sugli spiedi dei guerrieri celti. Vero è
che, nella cucina tardo-imperiale romana, la salsa rivestiva un ruolo ancora più
determinante che non nella cucina medievale: circa 130 sono le salse elencate nel
ricettario di Apicio, dove intere sequenze di ricette si esauriscono nella lapidaria
rubricazione degli ingredienti, neppure dosati, di una salsa: il cibo con cui sarà
servita è appena citato. Così avveniva ancora nei ricettari medievali, soprattutto
nei più antichi: le funzioni della salsa erano in parte assimilabili a quelle svolte
oggigiorno dai cosiddetti “contorni”, con spiccato rilievo all‟azione
“migliorativa”, che si traduceva nel rendere le carni più morbide e più saporite. E‟
significativo che nel tardo Medioevo sia andato diffondendosi il termine sinonimo
savore; ed è altrettanto emblematica l'osservazione di Michele Savonarola a
proposito del “gran fracasso” che riscuoteva a Ferrara la salsa di senape: i
prodotti delle rosticcerie erano talmente scadenti e coriacei, da diventare
accettabili soltanto se accompagnati da un condimento piccante (“...le cattive e
dure carne senza sapor mal manzare se pono...”, Savonarola, fo. 8r.). La voce
salsa deriva dal partecipio passato femminile del verbo sallere (=salare,
conservare sotto sale) ed è entrata nell‟uso comune proprio nel Medioevo, mentre
il latino classico si serviva del termine jus, nel significato generale di “sugo”.
L‟Autore del Tractatus, nell‟accingersi finalmente a dare le ricette delle salse,
dopo avervi ripetutamente, ma sempre incidentalmente, accennato, si sente in
dovere di sancire il primato della salsa verde e della camelina su tutte le altre. I
nomi sono già indicativi del particolare gusto dei cuochi medievali per il colore
(camelino significa “color cammello” e va posto in relazione con certe stoffe di
lana di cammello grezza, diventate di moda nel basso Medioevo).
Il verde della salsa omonima si otteneva con l‟impiego di un campionario
abbastanza vasto di erbe aromatiche, tra le quali il prezzemolo era fondamentale.
Fra le salse di Apicio, ne è citata una “verde da servire con volatili” (jus viride in
avibus, Lib. VI, V, 4), composta di otto erbe (prezzemolo, menta, coriandolo, ruta,
santoreggia, sedano, origano e ruchetta), quattro aromi e spezie (pepe, cumino,
carvi e folium) e cinque eccipienti (garum, olio, vino, miele e aceto); le ricette
medievali si imperniano quasi esclusivamente sul prezzemolo (“...petrosilinus, ex
cuius folijs contusis cum veriuto vel albo vino, fit viridis salsa”, Arnaldo, Haec
sunt etc., fo. 157 r.), abbinato spesso con lo zenzero e mescolato ad aceto o ad
agresto; i dietologi consigliavano poi le dovute variazioni stagionali: d‟estate era
meglio abbondare con l‟aceto, rafforzandolo con l‟agresto ottenuto dai viticci, e
ridurre nel contempo la dosatura delle spezie, per natura calde; all‟opposto,
d‟inverno l‟aceto andava temperato con vino e/o brodo di carne, le spezie
intervenivano a profusione, magari accompagnate dall‟aglio, e anche il mazzetto
di erbe odorose si arricchiva: salvia, menta, serpillo, ruchetta e senape. La salsa
verde era indicata per tutti gli arrosti, sia di carne che di pesce, con particolare
raccomandazione per quelli di maiale e di montone.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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La salsa camelina era soprattutto a base di cannella (cinnamomo nel migliore dei
casi), da cui ritraeva il caratteristico colore; la spezia, finemente polverizzata,
veniva stemperata in aceto o agresto e quindi addensata con mollica di pane o con
mandorle macinate. Occasionalmente vi si introducevano altre spezie, come
zenzero, noce moscata, pepe, chiodi di garofano e meleghetta. Gli statuti “pour le
saussiers et moutardiers” parigini del 1394 fissano nel seguente modo la ricetta di
questa salsa: “Quiconques s’entremettra de faire sausse, appellèe cameline, que il
la face de bonne cannelle, bon gingembre, de bons cloux de girofle, de bonne
graine de paradis, de bon pain et de bon vinaigre ». (Du Cange, s,v,). La camelina
era raccomandata con gli arrosti di carni (domestiche o selvatiche); quanto ai
pesci, era eccezionalmente ammessa per l‟anguilla e la murena arrosto.
La mostarda è una salsa antichissima a base di semi di senape (spesso ridotti a
farina) stemperati con mosto cotto; quest‟ultimo era talvolta sostituito con il miele,
come nella ricetta del sinapium dell‟Anonimo Meridionale 1: “Accipe grana
sinapis libra 1/2, pulveriza et confige ea cum una libra melis despumanti, et cum
opus fuerit, dissolvas cum vino cocto, et si vis fortius, com aceto” (Bostroem, p.
26). Tutto fa credere che nella mostarda fosse gradito il prevalere del sapore dolce:
l‟Autore del Liber annota che “quando dulcius mustum est, tanto melior mustarda
inde fit” (cap. V, 14), e le più frequenti variazioni sulla base costante “senapemosto” comportano l‟accentuazione del sapore dolce, con l‟aggiunta di zucchero;
più raro è l‟impiego si aceto e/o agresto, tipico della cucina tedesca piuttosto
incline all‟agrodolce: il condimentlin rubricato dal Buoc von guoter spise alla
ricetta n.48 (e destinato a conservare frutta e verdura in composta) è preparato con
semi d‟anice e di cumino, senape, pepe e zafferano stemperati in aceto e miele.
L‟Anonimo Napoletano (fo. 45 r.) esalta la mostarda italiana addizionata con
mandorle pestate, ostentando sufficienza nei confronti della mostrada franzesa, la
quale “solo se distempera cum vino agro, ho sabba. Questa hè la mostrada
francesa, senza pede he senza capo”.
(Enrico Carnevale Schianca, Appunti di Gastronomia n.26, cit. pagg.95-97)
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Mastro Martino – Ms.Urbinate Latino 1203 – Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana
CAPITOLO III: PER FAR OGNI SAPORE
Sapor bianco.
Piglia dell'amandole secundo la quantità che tu voi, che siano ben mondate, et ben
piste. Et perché non facciano olio como ho ditto più volte, pistando vi mecti un
pocha d'acqua fresca. Et pigliarai un pocha de mollicha di pane biancho stata
prima a moglio nell'agresta, et pistarala con le ditte amandole, agiungendovi del
zenzevero biancho, cioè mondato a sufficientia. Et questa tal compositione
distemperarala et passarala con bono agresto, overo con sucho di pomeranci o di
limoni, facendolo dolce con il zuccharo et bruscho con agresto, et pomeranci più
et mancho secundo il gusto del tuo Signore o altri. Et tal sapore si voi dare con
ogni allesso a tempo di carne, o di Quadragesima.
Salsa bianca
Ingredienti: 50 gr di mandorle pelate, mollica di pane bianco, zenzero fresco,
succo di limone, zucchero, aceto.
Ammollare la mollica di pane in un po‟ di acqua e aceto, macinare le mandorle,
aggiungere la mollica di pane ammollata e strizzata, un pezzettino di radice di
zenzero tritato, mescolare bene e stemperare con succo di limone. Aggiungere su
po‟ di zucchero se si desidera più dolce.
Questa salsa si serve con la carne lessa o nel periodo di Quaresima.
Sapor camellino.
Habi dell'uva passa et pistala molto bene. Et habi doi o tre fette di pane brusculate
poste a mollo nel vino roscio più et mancho secundo la quantità che voi fare. Et
pistarai inseme le preditte cose. Poi pigliarai un pocho de vino roscio, di sapa et
agresto, et a chi non piacesse l'agresto farailo con l'aceto facendolo dolce o
bruscho secundo che ti piace. Et passarala tutta questa compositione per la
stamegnia, agiongendovi poi de bona canella et assai, un pochi di garofoli et noci
moschate piste.
Salsa Cammellina
Ingredienti: 50 gr di uva passa, 2 o 3 fette di pane abbrustolito, vino rosso, sapa,
aceto, cannella, chiodi di garofano, noce moscata.
Ammollare il pane nel vino rosso. Pestare l‟uva passa, aggiungerci il pane
ammollato e pestare bene. Stemperare con vino rosso, sapa e aceto. Aggiungere 2
cucchiaini di cannella, un pizzico di chiodi di garofano e un pizzico di noce
moscata.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Salsa de pavo.
Habi di rossi d'ovo cotti duri, et figatelli di pollo cotti allesso, et amandole
bruschulate, secundo la quantità che tu vorrai farne. Et tutte queste cose pista
inseme molto bene con bono aceto o agresto, le distemperarai et passarai per la
stamegnia agiungendovi de la cannella, et un pocho di zenzevero, et del zuccharo.
Et nota che tal sapore vole essere un pocho cotto et facto giallo con zafrano.
Salsa di fegatini
Ingredienti: 100 gr di fegatini di pollo lessati, 3 tuorli di uovo sodo, 30 gr di
mandorle tostate, aceto, cannella, zenzero, zucchero e zafferano.
Pestare tutti gli ingredienti, stemperare con aceto ed eventualmente un po‟ di
acqua, portare ad ebollizione.
Sapor de progna secche.
Habi le progne et mittile a moglie nel vino rosso, et cavagli fora l'ossa, et pistarale
molto bene con un poche de amandole non mondate, et un pocho di pane rostito, o
bruschulato, stato a moglio nel preditto vino dove erano le progne. Et tutte queste
cose pistarai inseme con un pocho d'agresto, et de questo vino sopra ditto, et un
pocha di sapa, overo zuccharo, che serrebe molto meglio, distemperarai et
passarai per la stamegnia mettendovi dentro di bone spetie, spetialmente de la
cannella. Per fare la peperata vederai il capitolo di sopra nel quale si tratta; et
siguirai quanto lì si contene.
Salsa di prugne secche
Ingredienti: prugne secche, vino rosso, mandorle non pelate, pane abbrustolito,
aceto, zucchero, chiodi di garofano, cannella.
Ammollare le prugne nel vino rosso, togliere il nocciolo e pestarle bene con le
mandorle, aggiungere il pane bagnato nel vino dove erano state a mollo le prugne.
Stemperare con un po‟ di aceto, il vino di ammollo delle prugne, un po‟ di
zucchero, chiodi di garofano e cannella.
Salsa verde.
Piglia petrosillo et sarpillo, et un pocha de bieda, con qualche altra bona herbicina,
con un pocho di pepe, et zenzevero, et sale. Et pista inseme molto bene ogni cosa
distemperando con bono aceto forte, et passarailo per la stamegnia. Et se voi che
senta dell'aglio vi poterai mettere a pistare inseme con le sopra ditte cose un pocho
di fronde de aglietti. Et questo secundo il gusto a chi piace.
Salsa verde
Ingredienti: prezzemolo, serpillo, biete, maggiorana, menta, pepe, zenzero, sale,
aceto, facoltativo uno spicchio d‟aglio o fronde d‟aglio.
Tritare tutti gli ingredienti e stemperare con aceto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sapor fior de persico.
Habi l'amandole monde bianche, et ben piste con una mollicha di pane biancho, un
pocho di zenzevero et di cannella, et de un pocho de agresto et de vino roscio, et
sucho de pomi granati, agiongendovi con queste cose un pochi di sandali. Poi
distemperarai et passarai questa compositione, con il vino roscio la farai dolce et
bruscha secundo che ti piace.
Salsa fior di pesco.
Ingredienti: mandorle pelate, mollica di pane bianco, zenzero, cannella, aceto,
vino rosso, succo di melograno, polvere di sandalo.
Pestare le mandorle con la mollica di pane, aggiungere zenzero, cannella, un po‟
di aceto, vino rosso, succo di melograno, polvere di sandalo,
Sapor fior de ginestra.
Piglia de le amandole, et zafrano, et rosci d'ova, et che le amandole siano monde et
piste como vogliono essere, et distemperale et passale como bono agresto,
agiongendovi del zenzevero pisto.
Salsa fior di ginestra
Ingredienti: mandorle pelate, zafferano, tuorli d‟uova, aceto, zenzero.
Pestare bene le mandorle, aggiungere lo zafferano, lo zenzero, i tuorli d‟uova,
Stemperare con aceto.
Sapor de uva.
Habi de la bona uva negra et rompila molto bene in un vaso, rompendo con essa
un pane o mezo secundo la quantità che voi fare, et mettevi un pocho di bono
agresto, overo aceto, perché l'uva non sia tanto dolce. Et queste cose farai bollire
al focho per spatio di meza hora, agiongendovi de la cannella, et zenzevero, et
altre bone spetiarie.
Salsa d’uva
Ingredienti: Uva nera (possibilmente uva da vino), mollica di pane, aceto,
cannella, zenzero, chiodi di garofano.
Schiacciare bene l‟uva per farne uscire il succo, aggiungere la mollica di pane e un
po‟ di aceto. Portare ad ebollizione e far sobbollire per circa mezz‟ora mescolando
spesso, aggiungere le spezie, passare al passaverdura o frullare.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sapor de moroni.
Habi dell'amandole monde et piste bene con un pocha di mollicha di pane biancho.
Et piglia li ditti moroni, et macina con diligentia ogni cosa inseme. Et non gli dare
colpo né pistare, per non rompere quelli granelli piccini che hanno dentro; poi gli
mecti de la cannella, del zenzevero et un pocho di noce moscata. Et ogni cosa
passa per la stamegnia.
Salsa di more
Ingredienti: mandorle pelate, mollica di pane, more, cannella, zenzero, noce
moscata.
Pestare le mandorle con la mollica di pane. Schiacciare le more senza rompere i
semini, aggiungerle alle mandorle, mettere le spezie ed amalgamare bene.
Sapor de cerase negre o viscioli.
Per fare simili sapori seguirai l'ordine dato et discrepo di sopra nel capitolo di fare
sapore de uva. Ma il poterai fare differente di colore più et mancho secundo il
subgetto gli mecterai.
Salsa di ciliege nere o di visciole
Ingredienti: ciliege nere o visciole, mollica di pane, aceto, cannella, zenzero,
chiodi di garofano.
Snocciolare le ciliege e frullarle, aggiungere la mollica di pane, un po‟ di aceto e
le spezie. Portare ad ebollizione e far sobbollire per circa mezz‟ora mescolando
spesso.
Sapor de crognali roscio.
Seguirai quello medesemo modo che è dicto qui di sopra del sapore delle cerase et
dell'uva,
Salsa di cornioli
Seguire lo stesso procedimento della salsa di ciliege o d‟uva utilizzando i cornioli
al posto dell‟uva o delle ciliege.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Mostarda.
Piglia la senepa et mettila a moglio per doi dì mutandogli spesso l'acqua perché sia
più biancha, et habi delle amandole monde et piste como vogliono essere. Et
quando seranno ben piste metterai con esse la ditta senepa, et di novo le pistarai
inseme molto bene. Poi habi di bono agresto overo aceto pistandogli etiamdio una
mollicha di pane biancho; poi distemperala et passala per la stamegnia. Et fallo voi
lo dolce o forte como ti piace.
Mostarda
Ingredienti: semi di senape, mandorle pelate, aceto, mollica di pane bianco.
Mettere la senape a bagno nell‟acqua per due giorni, cambiando spesso l‟acqua.
Pestare le mandorle aggiungere i semi di senape scolati, pestare nuovamente,
aggiungere l‟aceto, la mollica di pane e pestare ancora il tutto. Farla dolce o forte a
seconda dei gusti.
Mostarda roscia o pavonaza.
Piglia la senapa, et falla pistare molto bene et piglia dell'uva passa, et pistala
etiamdio bene quanto più poi. Et habi un pocho di pane bruschulato et un pochi di
sandali, et di cannella, et con un pocho di agresto, o aceto, et sapa distemperarai
questa compositione; et passarala per la stamegnia.
Mostarda rossa o pavonazza
Ingredienti: senape in polvere, uva passa, pane abbrustolito, polvere di sandalo,
cannella, aceto, sapa.
Pestare bene l‟uva passa, aggiungere la senape, il pane abbrustolito e pestare
nuovamente, stemperare con aceto e sapa, aggiungere le spezie.
Mostarda da portar in pezi cavalcando.
Habi la senepa et pistala como è ditto di sopra, et habi de l'uva passa molto ben
pista; et con le ditte cose mitti de la cannella, un pochi de garofoli. Poi ne poterai
fare pallottole tonde a modo di quelle che se tragono con l'arche, o pezoli quadri di
quella grandeza che ti pare et ti piace; et li metterai per un pezo ad asciucchare
sopra una tavola, et sciutti tu li poterai portare de loco ad loco dove tu vorrai. Et
quando li vorrai usare li poterai stemperare con un pocho d'agresto, o aceto, o vino
cotto, cioè sapa.
Mostarda da portare in pezzi cavalcando
Ingredienti: senape in polvere,uva passa, cannella, chiodi di garofano.
Pestare bene tutte le cose, farne delle palline o dei quadretti. Fare asciugare su una
tavola per alcuni giorni, in alternativa porli in forno tiepido ad asciugare per
alcune ore. Quando saranno ben asciutti si potranno conservare per diverso tempo.
Al bisogno stemperare con aceto o vino cotto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sapor celeste de estate.
Piglia de li moroni salvatiche che nascono in le fratte, et un poche de amandole
ben piste, con un pocho di zenzevero. Et queste cose distemperarai con agresto et
passarale per la stamegnia.
Salsa celeste d’estate
Ingredienti: more (meglio se selvatiche), poche mandorle macinate, poco zenzero
in polvere, aceto.
Frullare o passare le more al passaverdura per estrarne il succo, aggiungere le
mandorle tritate, un pochino di zenzero. Stemperare con aceto.
Peperata gialla da pesce.
Habi del pane et taglialo in fette, et falle bruscolate, et poi piglia del vino roscio,
con un pocho de aceto, et de vin cotto, et mittirale dentro a bollire queste fette di
pane; poi le passarai per la stamegnia giongendovi di bone spetie dolci et forti; et
farala gialla con un pocho di zafrano.
Peperata gialla per pesce
Ingredienti: Fette di pane abbrustolito, vino rosso, aceto, vino cotto, spezie dolci,
spezie forti, zafferano.
Fare bollire le fette di pane nel vino con aceto e vino cotto, passare al
passaverdura, aggiungere le spezie.
Agliata bianca
Piglia de le amandole monde molto bene et falle pistare, et quando sonno mezze
piste metti dentro quella quantità d'aglio che ti pare, et inseme le farai molto bene
pistare buttandogli dentro un pocha d'acqua frescha perché non facciano olio. Poi
piglierai una mollicha di pane biancho e mettirala a mollo nel brodo magro di
carne o di pesce, secundo i tempi; et questa agliata poterai servire et accomodare a
tutte le stagioni grasse et magre como ti piacerà.
Agliata bianca
Ingredienti: 70 gr. di mandorle, 3 spicchi d'aglio, la mollica di una fettina di pane,
40 cl di brodo di carne ben sgrassato, sale.
Mondare le mandorle e pestarle (o frullarle) aggiungendo l'uno dopo l'altro gli
spicchi d'aglio, sempre continuando a pestare. Mettere la mollica a bagno in una
parte del brodo, schiacciarla bene fino a ottenere un composto liscio e aggiungere
la pasta di mandorle e aglio. Montare questa miscela stemperandola col brodo fino
a ottenere la consistenza desiderata.
Potrete preparare questa salsa per accompagnare la gallina lessa o il bollito,
utilizzando il brodo in precedenza sgrassato.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Agliata pavonaza.
Sequirai l'ordine del capitolo sopra scripto, excepto che non bisogna gli metti
brodo, ma pigliarai dell'uva negra et con le mani la romperai molto bene in una
pignatta, o altro vaso; et faralo bollire per meza hora; poi collerai questo mosto,
col quale distemperarai l'agliata; et il simele si po fare con le cerase. Et questa
agliata si pò dare al tempo di carne, o di pesce, como si vole.
Agliata Paonazza
Ingredienti: 70 gr. di mandorle, 3 spicchi d'aglio, la mollica di una fettina di pane,
succo d‟uva nera, o di ciliege, sale.
Far bollire il succo d‟uva per mezz‟ora. Mondare le mandorle e pestarle (o
frullarle) aggiungendo l'uno dopo l'altro gli spicchi d'aglio, sempre continuando a
pestare. Mettere la mollica a bagno in una parte del mosto cotto, schiacciarla bene
fino a ottenere un composto liscio e aggiungere la pasta di mandorle e aglio.
Montare questa miscela stemperandola col rimanente mosto fino a ottenere la
consistenza desiderata.
Salsa.
Habi de le pampane et pistale molto bene, et piacendoti vi poterai mettere alcuna
fronde de aglietto, con un pocha di mollicha di pane et di sale. Et queste cose
distemperarai con aceto o agresto, et passale per la stamegnia.
Salsa
Ingredienti: un mazzetto di pampini di vite, qualche stelo di aglio, un po‟ di
mollica di pane, sale, aceto.
Pestare bene tutti gli ingredienti e stemperare con aceto.
Sapor di roselli.
Vogliono essere li roselli un pocho verdi, et non troppo fatti né troppo maturi, et
pisti che li haverai molto bene gli metterai a pistare con essi una spica d'aglio a chi
li piace, et a chi no, lassa stare. Poi li destemperarai con un pocho de agresto, et
passaraili per la stamegnia.
Salsa di corbezzoli
Ingredienti: corbezzoli non ancora troppo maturi, uno spicchio d‟aglio
(facoltativo), aceto.
Pestare bene i corbezzoli con l‟aglio (se piace), stemperare con aceto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Libro de arte coquinaria – Mastro Martino da Como – Seconda metà del XV°
secolo – Ms. Buhler 19 Pierpoint Morgan Library, New York
.
Sapore a polastri spezati
Piglia maiorana he ficatelli de diti polatri: he rossi de ovo he canella he pista ognj
cosa insieme he passale per la stamegna cum agresto cum uno poco de acqua
rosata he mette de sopra zucaro quanto basti ho vero pone questo sapore sopra de
li polastrj che prima haveraj spezati he fritti in bono strutto et quando haveralli
fritti cava fora quello saimo he pone lo dito sapore adare uno bullore cum li pezi
del pullastro he manda a tavola in piatelli.
Salsa per pollo fritto
Ingredienti: fegatini di pollo, maggiorana, rossi d‟uovo, cannella, aceto, acqua di
rose, zucchero.
Pestare i fegatini con la maggiorana, aggiungere i rossi d‟uovo, la cannella e
stemperare con aceto e acqua di rose. Aggiungere un po‟ di zucchero.
Friggere i pezzi di pollo nello strutto, quando sarà cotto, togliere il pollo e nel
grasso di cottura far bollire la salsa.
Sapore bruno
Piglia granate dolce he cava uno bucale de vino poi fallo bulire cum meza libra de
zucaro he meza oncia de canella Nota che voli bulire assai he adasio he manda
calda a tavola.
Salsa bruna
Ingredienti: 1/2 litro di succo di melograno, 170 gr di zucchero, 2 cucchiaini di
cannella.
Fare bollire adagio per circa un‟ora il succo di melograno con lo zucchero e la
cannella. Servire la salsa calda.
Limonata
Piglia amandole he falle bianche he pistale bene poi fane latte, poi fallo bullire
cum Canella zenzaro he zaffrano lo latte dico le amandole passale per la stamegna
cum suco de limonj ho granate he un poco de agresto he brodo magro he se le
voraj assai forte mette piu limonj ho altro agrume.
Limonata
Ingredienti: Latte di mandorle, cannella, zenzero, zafferano, succo di limone,
aceto, brodo magro.
Fare bollire il latte di mandorle con cannella, zenzero, zafferano. Aggiungere le
mandorle tritate utilizzate per preparare il latte, il succo di limone, un po‟ di aceto
e brodo.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sapore de marzapane
Piglia quatro dita de marzapane he pistalo cum uno poco de zenzaro bono poi
distempera cum suco de limonj ho de granate dolce he forte he sera bono sapore.
Salsa di marzapane
Ingredienti: Marzapane, zenzero fresco, succo di limone.
Pestare il marzapane con un po‟ di zenzero fresco, stemperare con succo di
limone.
Salsa de piu Sorte
Salsa ad ognj bestia salvatica ho de cervo ho orso ho capriolo ho de altra carne
Netta bene la carne he ponele arosto ho alesso poi fa questa salsa piglia una molica
de pane bruscolato cum uno pugno de carne loro he cum pebro: gingebro ho
zaffarano he pista bene inseme poi distempera cum brodo magro he agresto he
cum mele he fa bullire tanto che sia ben spessa he pone in scutelle.
Salsa per diversi tipi di carne
Ingredienti: carne di selvaggina, mollica di pane abbrustolito, pepe, zenzero,
zafferano, brodo magro, aceto, miele millefiori.
Arrostire o bollire la carne, tritarla. Prendere la mollica di pane abbrustolito,
mescolarla alla carne, aggiungere le spezie, stemperare con brodo e aceto,
aggiungere un po‟ di miele e far bollire.
Salsa Sarazinesca
Quando cocineraj alla sarazinesca fa pezi de la carne he lavala bene cum aqua
calda poi metila in una olla senza sabrero he metice lardo del grasso he del vino
agro he cipolla tagliata sutile he juivert he salvia he maiorana he suffrige queste
cose cum la dita carne Et quando haveraj soffritto uno bono pezo che sia cotto fa
piatelli pienj de dita salsa Et manda a tavola de sarazinj.
Salsa Saracena
Ingredienti: Carne a pezzi, lardo, vino, cipolla tagliata sottile, prezzemolo, salvia,
maggiorana.
Mettere in una pentola la carne a pezzi con il lardo, il vino, la cipolla e le erbe
aromatiche. Fare soffriggere a lungo con la carne.
Salsa Cotidiana
Piglia una onza he meza de zenzevro he onza una de pebro he otto Tornesi de
zaffrano he fa bullire cum aceto ho vino agro tanto che queste speciere integre
habiano perso el suo odore in lo vino agro.
Salsa quotidiana
Ingredienti: Radice di zenzero, pepe in grani, zafferano, vino.
Mettere le spezie a bollire con il vino.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Salsa Lombarda
Piglia juivert menta salvia alio pepe serpillo una foglia de biete pane brusculado
infuso in aceto he pista ogni cosa inseme he distempera cum aceto he se tropo
forte mite inseme saba ho un poco de brodo.
.
Salsa Lombarda
Ingredienti: un mazzetto di prezzemolo, un po‟ di menta e salvia, uno spicchio
d‟aglio, un foglia di bieta, una fetta di pane abbrustolito e bagnato con aceto, pepe,
sale,un po‟ di brodo.
Tritare le erbe con l‟aglio, mescolare al pane ridotto in poltiglia, aggiungere sale e
pepe e se troppo forte diluire con un po‟ di brodo.
Salsa Ala Franzesa a pernice a galline o altrj
Piglia pignoli e amandole he pista bene ogni cosa insieme cum bona canella pipero
garofoli zenzaro he zaffrano poi distempera cum vino agro ho cum aceto ho de
granate dolce ho brusce ha fa scudelle.
Salsa francese per pernici o galline o altro
Ingredienti: Pinoli, mandorle, cannella, pepe, chiodi di garofano, zafferano, vino o
aceto o succo di melograno.
Pestare bene i pinoli con le mandorle e le spezie. Diluire con vino o aceto o succo
di melograno.
Salsa o savore sclavonesco ho vero Agliata
Piglia Noce bone he pistale he quando serano piste metele dentro quella quantità
de Aglio che tu voraj: Da poi piglera una molica de pane bianco ha fallo stare
amoglio in brodo ha repista poi distempera cum brodo he fa scudelini cum sopra
pipero Se la voraj ghiada pone zafrano se la voraj pavonaza pone uva negra o
cerase dico del suco Nota che pistando Noce ho vero Amandole sempre se debe
pistando ponere una guta de aqua fresca ho rosata nel mortaro.
Salsa sclavonesca o Agliata
Ingredienti: Noci, aglio, mollica di pane bianco, brodo, pepe.
Pestare le noci con l‟aglio. Mettere il pane a mollo nel brodo, strizzarlo e pestarlo
con le noci e l‟aglio. Stemperare con brodo e aggiungere del pepe.
Se si vuole fare gialla, aggiungere zafferano.
Se si vuole farla paonazza aggiungere succo di uva nera o di ciliege.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salza verde a capretto e ad altre carni alesse
Toy petrosemolo e zenzevro e garofali e fiore de canella e un poco de sale e pista
ogni cossa inseme e distempera con bono aceto; fay che sia temperato e non vole
stare che se guasta.
Salsa Verde
Ingredienti (per una ciotolina): 4 cucchiai d'aceto di vino di buona qualità, 3
cucchiai di prezzemolo tritato finemente, 1 punta di cucchiaino di zenzero in
polvere, 1 punta di cucchiaino di cannella in polvere, 1 punta di coltello di chiodi
di garofano in polvere, 1 pizzico di sale grosso.
Pestare nel mortaio il prezzemolo tritato insieme al sale grosso in modo da
ottenere un purè sugoso. Aggiungere le spezie e pestare di nuovo. Stemperare con
l'aceto.
Si ottiene una salsa non legata ma sufficientemente densa. Servire con qualsiasi
tipo di bollito sia caldo che freddo.
Come molto saggiamente sottolinea l'autore della ricetta, il colore di questa
magnifica salsa sbiadisce rapidamente. Va quindi preparata poco prima di servire.
La salsa verde è un grande classico della cucina medievale, e tutti i trattati ne
forniscono una ricetta.
Savore camelino optimo
Affare savore camelino optimo, toy mandole monde e masenale e colali, toy uva
passa e canella e garofani e un pocho de molena de pan e masena ogni cossa in
seme e distempera con agresto ed è fato.
Salsa Camelina
Ingredienti: 70 gr. di mandorle spellate, 40 gr. di uva passa, 40 gr. di mollica di
pane raffermo, 30 cl. di agresto oppure 20 cl. di aceto di mele diluito in 10 cl.
d'acqua, 1 cucchiaino di cannella in polvere, 1/4 di cucchiaino di chiodi di
garofano in polvere, sale.
Lavare e poi mettere a bagno per 1 ora l'uva passa. Pestare nel mortaio le
mandorle, quindi stemperarle in un po' d'acqua. Filtrare la miscela ottenuta.
Pestare nel mortaio l'uva passa insieme alle spezie e alla mollica di pane in
precedenza messa a bagno in un po' d'acqua. Mischiare il latte di mandorle e
l'uvetta e aggiungervi l'agresto. Amalgamare bene, salare leggermente e, se
necessario, aggiustare il condimento. La consistenza dev'essere fluida, il colore
biondo vivo.
La camelina è un classico delle tavole medievali e, insieme all'agliata e ad alcune
salse verdi, è un complemento quasi d'obbligo sia per i bolliti che per gli arrosti. Il
nome "camelina" si può riferire alla cannella o al color "pelo di cammello" di
questa preparazione, dato che le salse erano spesso definite in base al loro colore o
a seconda della spezia predominante.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Savore de ruga overo Rochetta.
Toy la semenza de la ruchetta e mandole e ove cocti e zucharo e noce moschate e
cenamo e masena ogni cossa insema e distempera con bono aceto ed è bono a ogni
carne optimo.
Salsa alla ruchetta
Ingredienti: 15 gr di semi di rucola (*), 75 gr di mandorle pelate, 3 tuorli di uovo
sodo, 2 cucchiaini di zucchero, 1/2 cucchiaino di noce moscata, 1/2 cucchiaino di
cannella, un pizzico di sale, 3 cucchiai di aceto.
Pestare finemente i semi di rucola con le mandorle, aggiungere gli altri ingredienti
e stemperare con aceto.
E‟ ottima con tutte le carni.
(*) Consiglio di acquistare i semi di rucola per germogliazione, si trovano in
vendita nei negozi che vendono prodotti Bio e naturali (naturaSi, ecc....)
Savore tartaresco perfettissimo
Toy l‟aglio mondo e coxi in acqua, toy mandole e cenamo e zensebro e garofali e
zucharo e rossi d‟ovi cocti e masena ogni cossa inseme e distempera con aceto.
Questo è bon savore a porchetta rosta ed altra carne.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa tartaresca
Ingredienti: 3 spicchi d‟aglio, 2 cucchiaini di mandorle polverizzate, 2 tuorli
d‟uovo sodo, un pizzico di zenzero, uno di cannella e una punta di chiodi di
garofano, un cucchiaino di zucchero, un pizzico di sale, aceto.
Lessare gli spicchi d‟aglio e pestarli con gli altri ingredienti. Diluire con aceto fino
ad ottenere una salsa omogenea.
Savore rinforzato perfetto
Se tu voy fare savore reforzato toy garofali e cinamo e zenzevro e un pocho de
gardanino e noxelle pellate suso la cenere calda e un pocho de molena de pan e
zucharo; pesta queste cosse inseme un pocho e maxena con aceto; e questo si è
bono savore con zaschuno rosto.
Tratta da “Libro per cuoco” Anonimo Veneziano del XIV secolo
Salsa rinforzata
Ingredienti: 50 g. di nocciole sgusciate e spellate, 2 cucchiaini di pangrattato, 1
cucchiaino di zucchero, un pizzico di chiodi di garofano in polvere, un pizzico di
cannella, un pizzico di zenzero in polvere, un capsula di cardamomo macinata, un
po‟ di aceto diluito in acqua, sale.
Polverizzare in un mortaio le nocciole e mescolarle a tutti gli altri ingredienti.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Savore confetto
A ffare savore confetto toy pan e rostillo e mitilo a moglo in aceto; toy garofali e
melegete, zenzevro, cenamo, noce moschate e gardanino e zucharo e masena ogni
cossa insieme e distempera con axèo e bona agresta ed è fato.
Salsa Confetto
Ingredienti: Pane arrostito, aceto, chiodi garofano, semi di cardamomo, zenzero,
cannella, noce moscata, zucchero.
Prendere il pane arrostito e inzupparlo in aceto diluito con un po‟ d‟acqua,
strizzarlo e schiacciarlo. Pestare nel mortaio qualche semino di cardamomo (quelli
piccoli e neri che si trovano all‟interno del baccello, fare attenzione perchè sono
molto aromatici). Mescolare un pizzico di chiodi di garofano in polvere, zenzero e
cannella in polvere il cardamomo pestato e un cucchiaino di zucchero. Aggiungere
le spezie al pane mescolare bene e diluire con un po‟ di aceto eventualmente
mescolato ad acqua fino ad ottenere una consistenza cremosa. Regolarsi secondo il
gusto personale per la quantità di spezie, aceto e zucchero.
Savore a carne alessa overo arosto
Se tu voy fare salomono toy la semenza del aneso e mandole monde e zenzevro e
noce moschate e zucharo e masena ogni cossa insieme e distempera con aceto e
questo è bono savore a carne de castrado alessa overo arosto.
Salsa per carne lessa o arrosto
Ingredienti: Mandorle spellate, semi di anice, zenzero, noce moscata, zucchero,
aceto.
Pestare tutto insieme nel mortaio e diluire con aceto.
Questa è una salsa buona con carne di castrato sia lessa che arrosto.
Savore a caponi.
Se tu voy fare savore a caponi, toy carne schieta e magra e fala coxere e toy
figatelli de polli e falli coxere e falli pestare e pesta di garofalli con essi; toi noce
moscate e zenzevro e poi si vole stemperare con aceto e con vino biancho e con
aqua e sí se volo tore questo grasso ch' è caldo del rosto e meterlo a coxere con
questo savore e mitige arquanto zucharo ed è fato.
Salsa per capponi
Ingredienti: fegatini di pollo, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero, aceto,
vino bianco, zucchero.
Lessare i fegatini, pestarli con le spezie, stemperare con aceto, vino bianco, un po‟
d‟acqua di cottura dei fegatini ed eventualmente il grasso di cottura del cappone.
Mettere sul fuoco e far sobbollire per qualche minuto. Aggiungere un po‟ di
zucchero.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Savor de zenzevro biancho a caponi.
Se tu voy fare savore bianco de zenzevro, toy zenzevro biancho e tolo ben mondo
e toy alquante spinaze e salvia ben monda e queste cosse pista insieme e mitige
arquanto zucharo e distempera questo savore con agresta e cum axeto biancho.
Questo savore se vole dare crudo con caponi arostiti e con polastri.
Salsa allo zenzero per capponi
Ingredienti: Un pezzetto di radice di zenzero fresco, un mazzo di spinaci, qualche
foglia di salvia, zucchero, aceto bianco.
Pestare gli spinaci ben lavati con la salvia e lo zenzero, stemperare con aceto
bianco e un cucchiaino di zucchero.
Questa salsa si serve cruda con capponi o polli arrosto.
Savore a çiascuna carne.
A ffare savore ditto gratonato a ogni carne o senza carne, toy ove batute e late de
mandole, poco agresta: altri li mete pane e aqua rosa e brodo e distempera ogni
cossa insema e specie dolze e fay bolire ogni cossa insieme e mitili un poco de
zafarano o di rassa di bote e serà spesso.
Gratonata – Salsa per ogni tipo di carne
Ingredienti: Uova, latte di mandorle, aceto, mollica di pane bianco, acqua di rose,
brodo, spezie dolci, zafferano.
Sbattere le uova con il latte di mandorle, un po‟ di aceto, acqua di rose, brodo,
mollica di pane e spezie dolci. Portare il tutto ad ebollizione, aggiungere lo
zafferano. Deve risultare abbastanza spessa.
Savore de pesse.
Se tu voy fare pesse a savore che se chiama a sabeto, frizelli in bono olio, toy uva
passa e maxenala con l' agresta e con aceto e toy cepola e lessala e batila con
cotello poy frigilla con quello savore e mitige specie che non habia zafarano e
mitigi galanga asai e fai che seano acetoxi non tropo.
Salsa per pesce (Saor)
Ingredienti: 1 manciata di uva passa, aceto, 1 cipolla lessata, spezie dolci e forti,
galanga.
Frullare l‟uva passa con l‟aceto. Tritare la cipolla lessa e friggerla in olio (magari
quello dove è stato fritto il pesce), aggiungere l‟uvetta, le spezie e molta galanga.
Non deve essere troppo acetosa.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
179/208
Salsa bona a carne de castron o de capreto.
La meiore salsa che fare se pò a questa carne alesse o rosto. Toy de la carne magra
ben cocta e ben batuta e pesta in lo mortaro cum arquante cime de petrosemolo e
menta e salvia e rosmarino e altre bone herbe che tu poi avere e maxenale con
questa carne e mitige cenamo e garofali e pever e distempera questa salsa con el
piú fino aceto che tu ay.
Salsa per castrato o capretto
Ingredienti: Carne di castrato o di capretto lesse o arrosto, un mazzetto di
prezzemolo, menta, salvia, rosmarino, maggiorana, cannella, chiodi di garofano,
pepe, aceto di ottima qualità.
Tritare bene della carne magra, pestarla con le erbe aromatiche e le spezie e
stemperare con aceto.
Salsa sarasinesca.
Se tu voy fare salza sarasinescha toy mandolle, uva passa, zenzevro, cenamo e
garofalli e melegette, gardamono, galanga e noce moscate; masena ogni cossa
inseme e distempera con agresta; questo è bon savore.
Salsa saracena
Ingredienti: Mandorle, uva passa, zenzero, cannella, chiodi di garofano,
meleghetta (pepe di Guinea), cardamomo, galanga, noce moscata, aceto.
Macinare le mandorle con l‟uva passa e le spezie, stemperare con aceto,
Savore a tute carne grossa.
Se tu voy fare bono grassato, toy la carne e fala lessare, poy toy lo petrosemolo e
frigillo in onto de porcho, po' toy la carne in pezolle pisenine e frigella ben con
quello petrosemolo, po' toy late de mandole e rossi de ovi e zafarano e agresta e
specie dolci e bati insieme e meti sovra quella carne e questo è bono a ogni altra
carne.
Salsa per carni grasse
Ingredienti: Carne per lesso, un mazzetto di prezzemolo, lardo, latte di mandorle,
tuorli d‟uovo, zafferano, aceto, spezie dolci.
Lessare la carne e tritarla. Tritare il prezzemolo e friggerlo nel lardo, aggiungere la
carne tritata, stemperare con latte di mandorle, rossi d‟uova, zafferano aceto e
spezie dolci.
Questa salsa è buona anche per le altre carni.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Sartramone overo savore d' ogni carne.
A fare bon sartramone in carne overo in pesse, toy la cepola e lessala, poy le frizi
in onto de porcho, po' toy ove ben sbatute e mitige specie dolze e forte e zafarano
e garof. e fay che sia spesso; questo è bon savore d' ogni carne.
Sartramone, cioè salsa per ogni tipo di carne
Ingredienti: Cipolla, lardo battuto, uova, spezie dolci e forti, zafferano, chiodi di
garofano.
Lessare la cipolla, tritarla e friggerla nel lardo, aggiungere uova sbattute e spezie.
Savore de gambari.
Çadelo, zoè el savore de gamberi. Toy li gambari e lessali e trane fuora le code
monde poy pestalli tuto l' altro e mitige un poco d' aqua, poy lo colla. Toy un
pocho de herbe bone e toy rossi de ovi e mandole overo molena de pane e pista
ben in mortaro e distempera con agresta; mitige uno pocho d' aqua sí che non sia
acetoso e mitige specie dolze e forte e olio, fiçili code e mitili in quello savore che
ty ay fato e fa bolire quando te pare.
Salsa per gamberi
Ingredienti: gamberi, un mazzetto di erbe aromatiche (prezzemolo, menta, ecc.),
tuorli d‟uovo, mandorle o mollica di pane, aceto, spezie dolci e forti, olio d‟oliva.
Lessare i gamberi, sgusciarli e mettere da parte le code pulite. Pestare le teste e i
gusci con un po‟ d‟acqua di cottura dei gamberi e filtrare. Pestare le erbe
aromatiche con le mandorle o la mollica di pane, i rossi d‟uovo le spezie e un
pochino d‟aceto, diluire con l‟acqua filtrata dei gamberi (non deve essere troppo
acetoso), aggiungere le code di gamberi e portare ad ebollizione.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
181/208
Anonimo Toscano, Libro della cocina
De li savori.
Togli cenamo, zenzovo e pane arrostito (la crosta), e sale, e pesta bene nel
mortaio: poi distempera con buono vino, e un poco cola, e fa' bullire un poco. Tale
sapore si chiama cenamata e conviensi a tutte carni di caprioli e lepore a rosto.
Nota che la carne del capriolo si può arrostire con ossa o senza ossa. Simile quella
de la lepore e altre carni, cioè daine, cervi e simili, e a le quali si conviene il detto
savore, e succhio di melangole con spezie, se tu vuoli.
Cenamata
Ingredienti: crosta di pane abbrustolito, cannella, zenzero, sale, vino.
Pestare bene gli ingredienti, stemperare con vino e portare ad ebollizione.
Questa salsa è adatta per le carni di capriolo e lepre arrosto.
De la peverada.
Togli pane abbrusticato, un poco di zaffarano che non colori, spezie e fegati triti e
pesti nel mortaio, e distempera con aceto o vino e brodo predetto, e fallo dolce o
acetoso, come tu vuoli. E tale peverata si può fare con carne domestica, salvatica e
con pesce.
Peverata
Ingredienti: Pane abbrustolito, zafferano, spezie forti, fegato cotto (lesso o
arrostito) e tritato, aceto o vino o brodo.
Pestare nel mortaio il pane con il fegato e le spezie. Diluire con aceto o vino o
brodo facendolo dolce o “acetoso” secondo i gusti.
Dei savori: e prima del savore per l'arrosto.
Pesta il basilico nel mortaio e ponvi del pepe e distempera con l'agresta. Questo
savore è buono con ogni arrosto e ova lesse: e mancando questo, abbi melarance,
citrangole o limoni.
Salsa per l’arrosto.
Ingredienti: Un mazzetto di basilico, pepe, aceto o succo di arance amare o
limone.
Pestare nel mortaio il basilico, aggiungere pepe e stemperare con l‟aceto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
182/208
Dei savori con li pippioni
Fegato dei pippioni abbruscialo e cocilo sotto la bragia; poi lo pesta nel mortaio
col pepe e col pane abbrusticato e insuppato nel vino o nell'aceto, e stempera. Se 'l
vuoi fare bullire, puoi; se non, dallo crudo.
Salsa per piccioni
Ingredienti: fegato di piccioni (pollo) cotto alla brace, pane abbrustolito, pepe,
vino o aceto.
Pestare il fegato cotto nel mortaio con il pane e il pepe. Stemperare con aceto o
vino. Si può cuocere o servire cruda.
Del savore con la grua.
Togli il fegato de la grua e arrostilo sulla bragia; poi piglia bone spezie,
maggiorana, zaffarano e il detto fegatello, e pesta bene ogni cosa insieme, e due
tuorla d'ova metti con essi, e distempera con buono vino e un poco d'aceto; poi
mettivi un poco di mosto cotto, acciò che sia acro dolce.
Salsa per la gru (uccello oggi protetto!)
Ingredienti: fegatini di pollo arrostiti, spezie forti, maggiorana, zafferano, 2 tuorli
d‟uova, vino, aceto, mosto cotto.
Pestare i fegatini con le spezie e le erbe, stemperare con i tuorli d‟uova, il vino,
l‟aceto e il mosto cotto.
Savori per papari e per porchetta.
Fa' come detto è di sopra, eccetto il vino cotto. E il grasso che cola del paparo,
mettilo nel savore. Simile fa' colla porcella arrostita;e se non vuoli fare tale savore,
fa' salsa verde.
Salsa per paperi e porchetta
Si fa come detto per la salsa per gru ma non si mette il vino cotto. Raccogliere il
grasso di cottura del papero o della porchetta ed aggiungerlo alla salsa.
Savore per malardi et anatre.
Fa' come detto è di sopra del savore de la grua; non ponere però zaffarano per tutti
uccelli di rivera. Per queste cose che dette sono, il discreto cuoco potrà in tutte
cose esser edotto, secondo la diversità dei regni; e potrà i mangiari variare e
colorare, secondo che a lui parrà.
Salsa per anatre
Si fa come la salsa per la gru ma non si mette lo zafferano.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Manoscritto n. 226 della Biblioteca Victor de Cessoles, del Museo Massena
Nizza.
Salsa camellina
Tolli cenamomo et gengiove et pever lungo et garofani et una noce moscata,
queste cose intere et mictile al mortaio ed macinare et mictivi crosta di pane et
nociuole monde ne la brasia et stemperale con fino aceto et mictivi quantità di
zucaro.
Ingredienti: Cannella, zenzero, pepe lungo, chiodi di garofano, noce moscata,
crosta di pane, nocciole tostate, aceto, zucchero.
Pestare tutto nel mortaio, stemperare con aceto e aggiungere un po‟ di zucchero.
Savore rinfuso
Tolli il fegatelli et falli lessare in acqua et pestali et stemperali con lacte di
mandorle et con vino de guarnaccia et un pocho d‟aceto et se non ay guarnaccia,
tolli el meglore vino biancho che poi avere o greco et fa cuocere che torne bene
ispesso et mictive un poco di groco et gengiove et cenamo fine et meleghete et
queste che sonno grosse fa tretare et poi pestare; in queste spetie micti in quisto
savore et un pocho di pepe pisto et un pocho di zuccharo.
Savore rinfuso
Ingredienti: fegatini di pollo, latte di mandorle, vernaccia, aceto, zafferano,
zenzero, pepe di Guinea, pepe nero, zucchero.
Lessare i fegatini, macinarli e stemperarli con il latte di mandorle, la vernaccia e
l‟aceto. Aggiungere le spezie polverizzate e lo zucchero.
Savore composto
Tolli il pugno tuo de uve saracinesche et VI garofani et sey galle di gengiove et
XII mandorle over nocciuole monde et stempera con bono vino dolce e se no l‟ai
mictivi in pocho di zuccharo et mictivelo ne i spetij non troppo.
Salsa composta
Ingredienti: 1 pugno di uva passa, chiodi di garofano, zenzero, 12 mandorle o
nocciole pelate, vino dolce.
Pestare l‟uvetta con le mandorle e le spezie, stemperare con il vino.
Savore cum rosto ismisurato
Tolli meleghecte et noce moscada et cenamo et spici et garofano et pepe lungo et
cardamomo et follie di garofani et galanga et pepe nero et gengiove queste ispecie
peste stempra con optimo vino et fino aceto et sale che basti.
Ingredienti: Pepe di Guinea, noce moscata, cannella, spici (potrebbe essere
lavanda), chiodi di garofano, pepe lungo, cardamomo, galanga, pepe nero,
zenzero, vino, aceto, sale.
Stemperare le spezie con ottimo vino e aceto.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Tratto da "Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria"
10. -- Salsa uiridis hoc modo fit: accipe zinziber, cinamomum, piper, nucem
muscatam, gariofilos, petrosillum atque saluiam. Terantur primo species, post
herbe et ponatur tertia pars saluie et petrosilum, et qui uoluerit .3. uel .2. spice de
aleis. Distemperentur aceto uel agresta.
La salsa verde si fa in questo modo: prendi zenzero, cannella, pepe, noce
moscata, chiodi di garofano, prezzemolo e salvia. Pesta le prime spezie, poi le
erbe; di salvia e prezzemolo metti di ciascuno la terza parte, e se vuoi, aggiungi
pure due o tre spicchi d‟aglio. Diluisci con aceto o con agresta.
11. -- Salsa camelina hoc modo fit: accipe cinamomum plus aliis, zinziber, piper
longum, grana parasidis, nucem muscatam, cubebe; et alias adde, si uis, species;
que, peroptime trita in mortario, distempera cum aceto.
La salsa camelina si fa in questo modo: prendi cannella in misura maggiore delle
altre spezie, e poi zenzero, pepe lungo, grani del paradiso (pepe di Guinea), noce
moscata, cubebe (pepe di Giava), e, se vuoi, aggiungi altre spezie, pestale bene nel
mortaio e diluiscile con aceto.
Nota quod in omni salsamento et condimento, sal est apponendum, et mica panis
ad inspissandum.
Nota che in ogni salsa e sugo, si deve aggiungere del sale e della mollica di pane
che li addensi.
12. -- Mustardam conficere poteris de granis tantum sinapi, aut de eruca. Et
condire poteris ex appositione mellis uel sape.
La mostarda potrai prepararla sia con i semi della senape che con quelli della
ruchetta, e la potrai condire con l‟aggiunta di miele o di sapa.
Alleatur uero cum uitellis ouorum decoctis ac zuccara.
Ma si può anche addensare con tuorli d‟uova e zucchero.
Que si ad pisces fuerit, distempera cum aceto; ad carnes, de agresta. Et est melior.
Se si serve col pesce, diluiscila con l‟aceto, se con le carni, con l‟agresta. E così
sarà migliore.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Confectio mustardi: accipe de aniso, et parum plus de cumino, et contere bene in
mortario. Postea, appone plus de canella quam de zuccara, cum aceto distempera,
et adde micam panis. Contere piper in mortario cum pane combusto madefacto, et
distempera cum brodio carnium et uino uel aceto. Post, in potto paruulo uel
pattella bulliri promite bene mouendo.
Preparazione del mostardo: prendi dei semi d‟anice e poco più di cumino, e
pestali nel mortaio. Poi aggiungi più di cannella che di zucchero, diluisci con aceto
e aggiungi mollica di pane. Pesta il pepe nel mortaio, insieme con pane
abbrustolito e ammollato, e diluisci con brodo di carne e vino, o aceto. Poi fa
bollire in un pentolino o in una padella, rimestando bene.
17. -- Ad carnes porcinas recentes, fac salsam, si non habes aliam, de cepis
minutim incisis, distemperando cum brodio calido ipsarum carnium.
Se non hai altra salsa per carni fresche di maiale, fanne una di cipolle tritate,
stemperandole nel brodo delle carni stesse.
19. -- Ad allectia recentia assata, fac salsam de capitibus eorum, et uino
exprimendo.
Con l‟aglio fresco arrostito, fa‟ una salsa con i capi dell‟aglio medesimo,
mettendovi del vino.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Specie fini a tutte cosse
Toy una onza de pevere e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de
garofali e uno quarto de zaferanno.
Tratta da “Libro per cuoco” di anonimo veneziano del XIV secolo “
Spezie fini per tutti gli usi
Ingredienti: 16 gr. di pepe macinato, 16 gr. di zenzero in polvere, 16 gr. di
cannella in polvere, 4 gr. di zafferano, 2 gr di chiodi di garofano in polvere.
Mescolare tutti gli ingredienti e utilizzare al bisogno.
Specie negre e forte per assay savore
Specie negre e forte fer fare savore; toy mezo quarto de garofali e do onze de
pevere e toy arquanto pevere longo e do noce moscata e fa de tute spece.
Tratta da “Libro per cuoco” di anonimo veneziano del XIV secolo “
Spezie nere e forti per molte salse
Ingredienti: 60 gr. di pepe, 60 gr. di pepe lungo(si può omettere, non si riesce a
reperire in Italia), 4 gr. di chiodi di garofano, 2 gr. di noce moscata.
Mescolare le spezie e usare all'occorrenza.
Specie dolce per assay cosse bone e fine
Le meior specie dolce fine che tu fay se vuoi per lampreda in crosta e per altri boni
pessi d‟aque dolze che se faga in crosto e per fare bono brodetto e bon savore. Toi
uno quarto de garofali e una onza de bon zenzevero e toy una onza de cinamo leto
e toy arquanto folio e tute queste specie fay pestare insiema caxa come te piaxe,
ese ne vo‟ fare più,toy le cosse a questa medessima raxone et è meravigliosamente
bona.
Tratta da “Libro per cuoco” di anonimo veneziano del XIV secolo “
Spezie Dolci
Ingredienti: 20 g. di zenzero, 20 g. di cannella, 5 g. di chiodi di garofano.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Latte di mandorle
ingredienti: 120 gr. di mandorle non spellate, 1 litro d'acqua.
Mettere a scaldare un pentolino d'acqua. Quando bolle, versarvi le mandorle e
aspettare che riprenda il bollore. Scolare e passare sotto l'acqua fredda. Si può
cominciare a mondare le mandorle. Prendetele una ad una fra le dita e sentirete
che la pelle scivola via da sola, espellendo la mandorla.
Mettere le mandorle nella tazza del frullatore, aggiungere l'acqua e frullare a lungo
fino a ottenere un bel liquido bianco. Prendere un pezzo di garza, metterla a
doppio, bagnarla e strizzarla con cura. Distenderla in un colino e filtrare il liquido.
Il resto delle mandorle può essere utilizzato per arricchire l'impasto dei biscotti,
delle torte o mischiato ai polpettoni e passati di verdura.
E' possibile aumentare la quantità di mandorle o diminuire la quantità d'acqua a
seconda della densità che si vuole ottenere.
Il latte di mandorle era una derrata essenziale nella cucina medievale, perché era
un sostituto del latte di mucca o di pecora per i giorni di Quaresima o di magro,
quando era vietato il consumo dei prodotti animali. Inoltre non irrancidiva ed era a
disposizione in qualsiasi momento.
SUGGERIMENTI:
L‟Agresto si può sostituire con: succo di limone o aceto diluiti con un po‟
d‟acqua.
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Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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Enrico Carnevale Schianca
L’OPUSCULUM DE SAPORIBUS DI MAGNINO DE’ MAINERI
1 – Magnino de‟ Maineri
Il rinvenimento dell‟ Opusculum de saporibus è uno dei numerosi effetti secondari di quel diffuso
fermento che nella seconda metà del XIX secolo alimentò un crescente rifiorire delle ricerche
letterarie, particolarmente indirizzate al tardo Medioevo, quel Trecento che veniva chiamato “il
buon secolo della lingua”. In questo clima, nel 1883, Arturo Graf, Francesco Novati e Rodolfo
Renier, tre eminenti personaggi della cultura italiana del tempo, avevano fondato a Torino il
Giornale Storico della Letteratura italiana, e il prestigioso periodico non aveva ancora compiuto
un anno di vita, quando ospitò un primo articolo del filologo ed erudito valtellinese (nonché
senatore del Regno) Pio Rajna, sul Dialogus Creaturarum, un‟operetta trecentesca in forma di
favola con intenti moralistici, oggetto di studio, pochi anni prima, da parte del tedesco Teodoro
Grässe, che lo stesso Rajna ebbe a definire “bibliografo eruditissimo e a tutti noto”.1
L‟articolo del Rajna diede l‟avvio ad una polemica destinata a protrarsi per un lustro, mese più
mese meno: una dotta disputa irta di minuziose argomentazioni cui non è sempre facile tener
dietro, e che in questa sede basterà sunteggiare brevemente.
Uno degli argomenti centrali del dibattito verteva sull‟attribuzione dell‟opera: Teodoro Grässe,
fondandosi sulla esplicita dichiarazione riportata in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di
Parigi, sosteneva che l‟autore fosse un tale Nicolaus Pergamenus o Pergaminus, forse un monaco,
magari originario di Pergamo in Macedonia. Rajna, per parte sua, dopo avere obiettato che
Pergaminus poteva collegarsi più ragionevolmente a Bergamo, additava un codice della Biblioteca
Comunale di Cremona, contenente un‟altra edizione del Dialogus, che risultava stavolta attribuito
a ben altra persona: tale Magnum de Magneriis2, medico e astrologo alla corte dei Visconti.
Il nome Magnum de Magneriis, osserva Rajna, “si cercherebbe invano, così nei vecchi storici della
medicina, come nei biografi degli uomini più o meno illustri che può vantare Milano, l‟Argelati
compreso. Bensì, tanto gli uni quanto gli altri, parlano di un medico milanese chiamato Magnino,
che dicono fiorito intorno al mille e trecento.” Nessuna meraviglia che Rajna sia ben presto
pervenuto a identificare Magnum e Magnino come un‟unica persona.
In effetti, prima di quegli ultimi anni del secolo XIX, a parlare di Magnino de‟ Maineri non erano
stati in molti: e si trattava generalmente di bibliografi preoccupati più che altro di redigere
cataloghi di opere di medicina. La notorietà di Magnino resta legata soprattutto alla sua
professione di medico e alla compilazione di un Regimen Sanitatis, coinvolto – a quasi due secoli
dalla morte dell‟autore – in un clamoroso caso di preteso plagio: nel 1504 l‟editore genovese
Tommaso Murchi, nel dare alle stampe a Lione una nuova edizione delle opere dell‟insigne
medico Arnaldo da Villanova, vi inserì il Regimen Sanitatis di Magnino, avvertendo che
quest‟ultimo lo aveva copiato, con qualche modifica, dal maestro di Montpellier 3. Si trattava di
un‟accusa successivamente riconosciuta infondata, ma non impedì tuttavia che per qualche secolo
il Regimen del medico milanese circolasse sotto il nome di Arnaldo; e qualcuno (che
evidentemente “sapeva di Arnaldo pochissimo, e di Magnino non sapeva nulla affatto”) 4 credette
addirittura di risolvere „salomonicamente‟ la questione identificando Magnino con Arnaldo.
Questo „qualcuno‟ era lo scrittore milanese Bartolomeo Corte, medico a sua volta e filosofo, che
agli esordi del XVIII secolo non si era ancor scrollato di dosso l‟antico sospetto di plagio e si
chiedeva come mai questo Magnino, “celebrato…per medico di grido…sia stato famosissimo per
un Opera sola, e che ad altri aveva rubato. …Quello, che…pare più ragionevole da giudicare, si è,
ch‟essendo fuggiasco l‟Arnaldo prima dalla Francia, e poi dall‟Italia per l‟odio conceputosi da
1
Pio Rajna, Intorno al cosiddetto Dialogus Creaturarum ed al suo autore, in Giornale Storico della
Letteratura italiana, vol. III, Loescher, Torino 1884, pp.1-26; vol. IV, 1884, pp.337-360; vol. X, 1887, pp.42113; vol .XI, 1888, pp.41-73. Pio Rajna (Sondrio, 1847 – Firenze, 1930) fu insigne studioso della letteratura
medievale ed autore di importanti opere quali Le fonti dell’Orlando Furioso, Le origini dell’epopea francese,
ed una edizione critica del De vulgari eloquentia. Il saggio di Teodoro Grässe (Die beiden ältesten
lateinischen Fabelbücher des-Mittelalters: des Bischofs Cyrillus Speculum sapientiae und des Nicolaus
Pergamenus Dialogus Creaturarum) era stato pubblicato dalla Biblioteca del Litterarische Verein di
Stoccarda nel 1880.
2
L‟attribuzione è nell‟incipit: “…compositum per reverendum doctorem artium medicine et astrologum
magnum dominum magistrum magnum de magneriis magistrum in domo et in curia dominorum vicecomitum
mediolani…” (Giornale cit., vol. X (1887), p. 57.)
3
“Incipit liber de regimine sanitatis Arnaldi de Villanova quem Magninus mediolanensis sibi appropriavit
addendo et immutando nonnulla”; cfr. Rajna, Giornale cit., vol. X (1887), p.59.
4
Rajna, Giornale cit., vol. X (1887), p. 60.
37
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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quelle nazioni adirate contro le sue predizioni astrologiche, si mutasse il nome per camminare
sicuro, fin tanto che seco riconciliasse le nazioni, che avea provocate ”.5
La diatriba intorno all‟autore del Dialogus Creaturarum (più spesso divulgato sotto il titolo di
Contemptus Sublimitatis) offrì al Rajna l‟occasione per qualificarsi come il più esauriente biografo
di Magnino de‟ Maineri, ed il suo acceso interesse per questo singolare personaggio era ben noto
soprattutto a coloro che operavano nell‟ambito del Giornale Storico.
Fu così che Francesco Novati, nello sfogliare un codice miscellaneo della Biblioteca Nazionale di
Napoli, imbattutosi in uno scritto intitolato “Opusculum de saporibus d[omi]ni M[agistri] Mayni
de Mayneriis”, pensò immediatamente al suo collega Pio Rajna, al quale lo segnalò.
Ora, questo Opusculum de Saporibus – e Rajna se ne accorse subito – si presentava come un
rifacimento bell‟e buono del ventesimo capitolo della parte terza del Regimen sanitatis di cui sopra
e, proprio per questa sua sostanziale corrispondenza, veniva ad aggiungersi alle tante prove addotte
nel tempo a sostegno dell‟attribuzione dell‟opera a Magnino anziché ad Arnaldo. E con ciò si
esauriva l‟importanza dell‟Opusculum ai fini degli interessi che muovevano Rajna, cui a questo
punto restava però da spiegare la duplice attribuzione del Dialogus creaturarum al Maestro
Pergaminus e a Magnino de‟ Maineri.
Tornò dunque alla fonte parigina cui si rifaceva il Grässe, approfondendo l‟esame dell‟explicit
soprattutto laddove il maestro Nicola detto pergaminus veniva riconosciuto come “uomo di corte
assai valente”6, e questo gli rammentò un altro rinomato cortigiano dal nome sorprendentemente
simile: quel Bergamino protagonista di una novella del Boccaccio, che aveva saputo tener testa
con un apologo mordace al lunatico Cangrande della Scala.
Il Bergamino boccaccesco non era certo un semplice giullare, ma uno di quei cortigiani di rango
ricercati per l‟arguzia e le virtù retoriche, dunque una persona qualificata, acculturata e
sicuramente non priva di mezzi, visto che nel suo vagare per le corti, si portava dietro un piccolo
seguito di servitori e cavalli; un personaggio, insomma, dal quale ci si poteva anche aspettare una
“seconda vita” di uomo di lettere, ed un nome d‟arte sotto il quale esercitare l‟incerto mestiere del
cortigiano.
Rajna si rese probabilmente conto che stava scivolando lungo la stessa pericolosa china che aveva
inghiottito Bartolomeo Corte, ed è infatti palese il suo disagio quando propone di identificare
Magnino non già con Arnaldo da Villanova, ma con un Bergamino del tutto sconosciuto e
forsanche frutto di pura immaginazione; tant‟è che riconosce di aver fatto, a sostegno di questa
teoria, “più di quello che molti, se non proprio tutti, stimeranno ragionevole”.
Ma la novella boccaccesca rimaneva l‟unica risorsa per allacciare in qualche modo Nicolaus
Pergaminus a Magnino de‟ Maineri, ed offriva anzi lo spunto per un canovaccio pittoresco su cui
sceneggiare qualche brano di vita del medico milanese, aprendo la strada a quella vera e propria
biografia romanzata che Gabriele Cornaggia Medici avrebbe poi affidato nel 1928 alle pagine
dell‟Archivio Storico Lombardo.7
La famiglia dei Maineri era originaria di Mozzate nel Comasco, e qui Magnino dovrebbe essere
nato, da Giacomo, tra il 1290 e il 1295.
Máino è nome di origine germanica, da un Magino o Maino già longobardico e poi francone,
formatosi da magin- („forza, potere‟) con successivo passaggio a main.8 Il cognome Mainéri,
diffuso anch‟esso prevalentemente nell‟Italia nord-occidentale, ha la stessa origine del nome
Máino, derivando dal nome germanico Mainéro-Maginharius: da magin- e harja- („esercito‟), con
il significato originario, quindi, di „esercito potente‟ o „forza dell‟esercito‟ 9.
La ripetizione del cognome nel nome proprio era già stata messa in luce da Rajna, come “un vezzo
ancor più comune un tempo di adesso”; non manca d‟altra parte chi ha sostenuto che Maineri,
Maini e Del Maino siano forme differenziate del nome di una stessa famiglia. Quanto a Magnus e
Magninus, documentati da più di una fonte, non sono altro che forme foneticamente più scorrevoli
di Maynus e del suo diminutivo Mayninus.
I Maineri, partigiani della fazione milanese dei Torriani, avevano già sofferto le conseguenze di
bandi e confische nel 1287, quando Guglielmo (avo di Magnino?) venne esiliato al primo
5
Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a’ medici scrittori milanesi e a’ principali ritrovamenti fatti in
medicina dagl’Italiani, Milano 1718. pag. 21
6
”Expliciunt fabule magistri Nicole qui dicebatur pergaminus, qui fuit homo valde expertus in curiis
magnatum” (Rajna, Giornale cit., vol. X (1887), p. 50.
7
Gabriele Cornaggia Medici, Mayno de’ Mayneri nella vita dei tempi suoi, in “Archivio Storico Lombardo”,
LVII (1928), pp. 142-151. Cenni biografici si trovano anche in: Ernest Wickersheimer, Dictionnaire
biographique des Medecins en France au Moyen Age, Librairie Droz, Geneve, 1979, vol. 2°, pp.533-534, con
supplemento a cura di Danielle Jacquart, pp. 202-203 - Lynn Thorndike, A medieval sauce-book, in
Speculum, IX (1934), pp.183-190 - Terence Scully, The Opusculum de saporibus of Magninus
Mediolanensis, in “Medium Aevum”, 54 (1985), p. 178-207 - Et coquatur ponendo…., Istituto Internazionale
“F.Datini” -Prato 1996, p.89.
8
Emidio De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, Mondadori, Milano 1979, p.158.
9
De Felice, Dizionario cit., ibidem.
38
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
190/208
affermarsi dell‟arcivescovo Ottone Visconti. 10 Nel 1302 i Torriani, esuli a Lodi e coalizzatisi con il
marchese di Monferrato ed altre città lombarde e piemontesi, ebbero nuovamente ragione di
Matteo Visconti, successore di Ottone, e lo bandirono a sua volta da Milano. La stella dei Visconti
tornò a rifulgere nel 1310, per merito dell‟imperatore Enrico VII, sceso in Italia a disciplinare le
turbolente fazioni guelfe ed occasionalmente illusosi di rappacificare Matteo con Guido Torriani:
protetti dalle bandiere imperiali, i Visconti fecero il loro rientro a Milano qualche giorno prima del
Natale 1310, ma non passò molto tempo che le antiche ruggini tornarono ad affiorare e, complici
le voci di una pretesa congiura ordita contro gli occupanti tedeschi, il partito ghibellino fomentò
sommosse popolari che determinarono una nuova cacciata dei Torriani con il rovinoso saccheggio
delle loro case, nel luogo che ancor oggi porta il nome di “via Case Rotte”.
“Per l‟Italia divulgatasi la fuga de‟ Torriani, non poca gente mise in grandissimo spavento … molti
fuggirono, chi a Lodi, chi a Cremona e alcuni altri a Brescia.” 11
Fu allora che anche Magnino de‟ Maineri avrebbe intrapreso la via dell‟esilio, spingendosi,
secondo le supposizioni di Rajna, fino a Verona, ed assumendo lo pseudonimo di Nicola
Bergamino.
“Nel 1312 – racconta Cornaggia Medici12 – la via che da Brescia guida a Verona per le pendici di
Monte Baldo echeggiava dello strepito di una schiera di cavalieri in marcia verso la città degli
Scaligeri. Erano gli «uomini di corte», gente che andava per i castelli dei gran signori, di tutto
facendo o di tutto accattando: astrologhi, morditori, maestri di rime e di truffe. Fioriva la terra
nelle rive dell‟Adige; più freschi verdeggiavano del loro verde cupo i colli coronati di cipressi; per
questa via la comitiva si inoltrava attratta dalla festa «maravigliosa e notabile» che Messer Cane,
signore d‟ospitalità e di cortesia, prometteva a genti «d‟ogni luogo ed ogni maniera» in una sosta
di pace ch‟era concessa fra l‟una e l‟altra vicenda di guerra, fra l‟una e l‟altra violenza impunita.
Tuttavia, per altre cause, mutò l‟umore del Signore e la festa fu improvvisamente differita. I
menestrelli, lautamente ricompensati, abbandonarono perciò disillusi, gruppo a gruppo, le belle
rive dell‟Adige verso ignoti destini. Ma uno d‟essi, che più stranamente avvinceva il fascino di
Verona, «si rimase» e sacrificando «tre ricche robe»13 presso l‟oste che l‟alloggiava, gli riuscì
d‟accostare Cangrande, al cospetto del quale poi «con una novella di Primasso e dell‟Abate di
Cluny» onestamente morse l‟avarizia del Signor di Verona.”14
Cosa ne sia stato di Bergamino dopo l‟avventura veronese, non si sa; e se Magnino de Maineri si
celava dietro quel nome da giullare, dovette averlo abbandonato prima del 1326, quando lo
ritroviamo inaspettatamente a Parigi, investito della carica prestigiosa di Maître régent della
facoltà di medicina.
Si trattava di un ufficio prevalentemente amministrativo, poiché Magnino sarebbe diventato
medico solo qualche anno dopo.15 La formazione del medico medievale (physicus), passava
obbligatoriamente attraverso il cosiddetto “quadrivio” (aritmetica, geometria, astronomia e
musica), ma nella pratica si perfezionava quasi sempre con il “trivio” (grammatica, dialettica,
retorica); buona parte di questi studi, forse quelli del “trivio”, Magnino li aveva probabilmente
compiuti in Italia, ed è in questo periodo che potrebbe avere incominciato il Dialogus
Creaturarum; ma era già a Parigi nel 1324, termine a quo il Rajna ritiene di datare la
composizione del De intentionibus secundis, un trattato di logica sui concetti di „genere‟ e di
„specie‟ che il Nostro dedicò al marchese Tommaso di Saluzzo. Non è eccessivamente azzardato
attribuire a questo ragguardevole protettore il merito di avere introdotto Magnino nell‟ingranaggio
amministrativo dell‟ateneo parigino.
Dopo un periodo di soggiorno ad Avignone, nel gennaio del 1331 Magnino sposò una provenzale
e tornò a Parigi andando ad abitare in rue de la Harpe. Ormai doveva avere già conseguito il titolo
10
Delle storie milanesi di Bernardino Corio. Commentario di Egidio de Magri. Milano, 1855; vol. I, pp. 635636.
11
Ibidem, p. 735.
12
Mayno de’ Mayneri…etc., in “Archivio Storico Lombardo” cit., p. 144. I passi tra virgolette sono
estrapolati dal Decameron.
13
„Tre preziosi capi di vestiario‟, con i quali il Bergamino della novella boccaccesca paga il conto
dell‟albergo, e che – nel racconto allegorico fatto a Cangrande (V. nota seguente) – corrispondono
ai tre pani consumati da Primasso.
14
La “novella nella novella” adombra una situazione molto simile a quella di Bergamino: il noto erudito
Primasso, presentatosi male in arnese alla corte dell‟abate, non ne viene riconosciuto, e gli si fa fare
anticamera tanto a lungo, da costringerlo a sfamarsi consumando in successione tre pani che aveva seco. (Cfr.
Giovanni Boccaccio, Decameron, Giornata prima, Novella settima). Pare che la corte di Verona fosse mèta
tradizionalmente ambita per le compagnie girovaghe di cui parla Cornaggia Medici: narra Franco Sacchetti
(novella CXLIV) che «quando messer Mastino [Mastino II, successore di Cangrande dal 1329 al 1351] era
nel colmo della rota [fortuna], nella città di Verona facendo una sua festa, tutti i buffoni d‟Italia, come sempre
interviene, corsono a quella per guadagnare».
15
La notizia è desunta da: Denifle et Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis V. II (1286-1350) p.
291. Cfr. Cornaggia Medici, op. cit., p. 145, nota 2.
39
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accademico, e il successivo 3 aprile ottenne dal papa Giovanni XXII l‟autorizzazione “a leggere”
nella facoltà di medicina, funzione ordinariamente riservata ai soli scapoli.
Nello stesso anno venne terminato il Regimen Sanitatis con dedica al vescovo di Arras, l‟italiano
Andrea Ghini da Firenze, personaggio che era doveroso e utile ingraziarsi: saldamente introdotto a
corte da almeno un decennio, Andrea era stato ambasciatore del re Carlo il Bello e, dopo la sua
morte (1328), continuava a godere i favori del successore Filippo di Valois.
Magnino fu probabilmente con lui ad Arras, forse per ripetuti periodi, e magari lo seguì anche a
Tournai, quando questa diocesi fu assegnata al Ghini il 17 ottobre 1334.
Ma nel 1339 il Maineri era di nuovo a Parigi, perché colà è datato un secondo Regimen Sanitatis
dedicato ad Antonio Fieschi.16
Nel giugno del 1343 Andrea da Firenze, assurto alla porpora cardinalizia appena da un anno, morì
improvvisamente a Perpignano, nel bel mezzo di una missione diplomatica presso il re Giacomo di
Maiorca. Questa, se non la sola, fu probabilmente una delle cause che determinarono Magnino a
considerare l‟eventualità di un ritorno in patria, ritorno che dovette avvenire nel giro di pochi anni,
poiché nel 1346 l‟ex professore della Sorbona si trova già a Milano, alla corte dei Visconti, forse
dietro raccomandazione del marchese di Saluzzo, o più probabilmente del canonico Antonio
Fieschi, cognato di Luchino Visconti: è significativo che il Maineri, nel 1347, si trovi proprio al
seguito di Isabella Fieschi, signora di Milano, in visita a Venezia.
Magnino rimase al servizio dei Visconti fino alla morte, avvenuta nella natia Mozzate nel 1368; fu
dunque agli stipendi di Luchino, Giovanni, Matteo , Galeazzo e infine Bernabò, godendo di
indiscussa reputazione.
“Cotal reputazione – scrive Rajna – non riposava di certo sulla medicina soltanto…..Come
Arnaldo da Villanova, come Pietro d‟Abano, come in generale tutti i medici famosi di quella età,
egli era altresì un conoscitore esperto della scienza degli astri”17.
All‟astronomo e astrologo Magnino de‟ Maineri dobbiamo il trattato Theorica corporum
celestium, del 1358. Qualche anno prima (nel 1355, secondo Rajna) era stato terminato il
Contemptus sublimitatis, mentre del 1360 è il Libellus de preservatione ab epydimia, in cui il
Nostro ritorna nelle vesti di medico, per dettare norme di prevenzione contro la peste.
L‟ultimo documento concernente la vita di Magnino è del 1364: un ordine di pagamento di
Bernabò Visconti al proprio tesoriere, per anticipare a “domino magistro Maino de Maynerijs
fisico nostro” 250 fiorini sullo stipendio dovutogli.
2 – L‟Opusculum de saporibus.
Il trattatello sulle salse che Francesco Novati rispolverò alla biblioteca di Napoli presenta, come si
è accennato, evidentissime corrispondenze con un capitolo del Regimen Sanitatis di Magnino18;
ciò non poteva sfuggire a Rajna, che aveva sottomano le due edizioni del Regimen ancor oggi
conservate alla Biblioteca Braidense di Milano 19, nelle quali il capitolo 20 della parte III tratta “De
saporibus et condimentis”. L‟evidente coincidenza in nuce dei testi, a prescindere dalla maggiore
estensione dell‟Opusculum, che per contro non tratta “de condimentis”, è così commentata da
Rajna: “È possibile tuttavia altresì che, staccato dal tronco e trapiantato, questo ramo abbia avuto
degl‟incrementi. Non si pensi peraltro che l‟autore medesimo abbia voluto convertire in un
opuscolo speciale la trattazione sua: le ultime parole mantengono alla breve scrittura il carattere di
capitolo di un‟opera maggiore, escludendo così anche l‟idea che essa sia potuta essere opuscolo
prima ancora di trovarsi incorporata nel Regimen”20.
Ci si sente dunque indotti a supporre che „qualcun altro‟ abbia rimaneggiato, ampliandolo, il
capitolo sulle salse estrapolato dal Regimen di Magnino, ricavandone un‟opera a sé. Coloro che
successivamente si sono occupati dell‟Opusculum, molto prudentemente hanno appena sfiorato la
questione.
16
È il Ms. 873 della Bibliothèque de l‟Arsenal di Parigi, il cui explicit è il seguente: “Regimen istud
compilatum fuit Parisius, anno Domini 1339, per reverendum doctorem magistrum Maynum de Mediolano”.
(Cfr. Wickersheimer, Dictionnaire cit., ibid.)
17
Rajna, Giorn. stor. cit., vol.X (1887), p. 96.
18
Il Regimen sanitatis cui si fa riferimento qui ed in prosieguo, è quello generale dedicato ad Andrea Ghini
(1331), e non quello composto ad personam per Antonio Fieschi (1339).
19
L‟edizione “basileese” non reca la data di stampa: una mano di gran lunga posteriore ha vergato sulla
costola le parole “Basilee sec.XV”. Thorndike (A mediaeval etc., cit., p.183 in nota) cita un‟edizione a Basilea
nel 1493. L‟altra edizione conservata alla Braidense di Milano è del 1503, e il catalogo la dà pubblicata a
Strasburgo (Argentoratus). Sempre a Milano, alla Trivulziana, si trova un‟edizione del Regimen Sanitatis
Magnini mediolanensis medici famosissimi Attrebatensi episcopo directum….impressum Lugduni per
Jacobum Myr. Anno salutis humanae MDXVII, sostanzialmente conforme alla strasburghese.
20
Rajna, Giorn. stor, cit. vol. X (1887), p.112.
40
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192/208
Lynn Thorndike, che per primo pubblicò la trascrizione integrale dell‟Opusculum21, lo mise a
confronto con il capitolo De condimentis et saporibus del Regimen, desunto stavolta dalla
famigerata edizione lionese delle opere di Arnaldo da Villanova (1504), in cui è rubricato come
capitolo 24 della parte II, e si presenta oltretutto vistosamente ridotto rispetto alle edizioni più
sopra nominate.
Terence Scully, nel suo studio sull‟Opusculum del 198522, rileva come quest‟ultimo testo sia un
condensato di quello tramandato nelle edizioni più antiche, fra cui cita – oltre a quelle compulsate
dal Rajna – una versione della prima metà del XV sec., senza data, e quella contenuta nel
manoscritto Palatino 1331 della Biblioteca Vaticana; ma ammette con chiarezza di ritenere
Magnino autore dell‟Opusculum, così come del Regimen.
La differenza fra i due testi si riscontra anzitutto nella presenza, in apertura di capitolo nel
Regimen, di un paragrafo dedicato ai condimenti (strutto, olio, burro e sale) che manca nel trattato
sulle salse.
Il prologo di quest‟ultimo, con quattro distinte „considerationes’ generiche sui sapori, è
notevolmente più esteso di quanto non lo sia nel Regimen; e man mano che ci si addentra nella
rubrica specifica delle varie salse e delle loro compatibilità, le differenze fra i due testi si fanno più
evidenti, soprattutto allorchè si parla di pesci.
Il Regimen delle edizioni utilizzate dal Rajna ne enumera dodici specie (anguilla, murena,
lampreda, grongo, salmone, merlano, triglia, capone, pesciolini d‟acqua dolce, luccio, granchio,
ostrica), l‟Opusculum diciannove: mancano il merlano e il luccio, ma compaiono il porco marino,
lo storione, la trota, la tinca, il pigo, la carpa, i granchi di fiume e due pesci di non facile
identificazione, come si dirà più innanzi.
Nel suo esame del Regimen, Rajna aveva messo in luce l‟impronta francese settentrionale (“il
linguaggio dell‟oïl”) di ittionimi come rogetus e merlengus (a cui si potrebbe aggiungere
gornatus)23; l‟osservazione vale in genere anche per l‟Opusculum,24 ed è scontata qualora il
medesimo si ritenga una estrapolazione dal Regimen; incuriosisce peraltro la presenza di un pigus,
denominazione esclusivamente padana in quanto questo pesce non si è mai trovato altrove, e lo
stesso dicasi per quell’emerorum privo dell‟iniziale, se si ritiene di leggerlo temerorum: temerus e,
ancor più anticamente, timarus è il nome italico del temolo nel latino volgare del Medioevo. Un
altro ittionimo inspiegabile, privo di iniziale e anche della “lettera guida” (che il copista
predisponeva per comodità del miniaturista) è eterlogorum (carta 53 v., riga 4) che, fatti salvi i
soliti probabili pasticci dell‟amanuense, potrebbe richiamare latreganus, leterganus, lotregan, che
sono nomi locali veneti di un cefalo.
E un nuovo campanello d‟allarme squilla allorchè si abborda quel passo (cap.VI, par. 3) sulla
gelatina di pesce, laddove si parla di un pane da due imperiali. Ora l‟imperiale, a quanto mi consta,
era una moneta italiana25, o più precisamente era il nome con cui in Italia si soprannominava il
denaro (la ventesima parte del soldo), ed anche a Milano lo si rinviene dai tempi del Barbarossa.
Ma c‟è di più: durante tutta l‟epoca viscontea, il pane da due imperiali era la pezzatura tipica del
cosiddetto pane di mistura, confezionato con una miscela di farine di frumento e di segale, che
“non deve essere fatto … di maggior prezzo di due imperiali”. 26
Quanto sopra considerato, sembra evidente che, se l‟Opusculum fosse nato come semplice
estrapolazione di una parte del Regimen di Magnino, il risultato sarebbe un testo in tutto conforme
a quello tramandato dalle edizioni più diffuse; invece l‟Opusculum si presenta come una stesura
riveduta e ampliata di quel passo del Regimen, con rimaneggiamenti che sembrano suggeriti, come
21
Thorndike, A mediaeval, etc., cit.
Scully, The Opusc. cit., p.178
23
Rajna, Giorn. Stor., cit. vol. X (1887), p.83. Rogetus/rouget è diffuso nome generico della triglia, ma
spesso designa più precisamente la cosiddetta “triglia di fango” (Mullus barbatus); largamente attestato nel
XIV sec., Merlengus/merlenc/merlan è il merlano (Gadus merlangus), una sorta di merluzzo; si badi però che
merlengo è anche uno dei nomi provenzali del nasello (Merluccius vulgaris). Gornatus è il capone gorno
(Eutrigla gurnardus), il meno appariscente della famiglia, grigio-verde picchiettato di bianco. L‟ittionimo è
diffuso in tutta l‟Europa settentrionale, mentre nel nord della Spagna gorneau designa il capone gavotta
(Aspitrigla obscura). Cfr. A. Palombi-M. Santarelli, Gli animali commestibili dei mari d’Italia, Hoepli,
Milano 1990, pagg. 139-149; Giovanni Santi-Mazzini, Aquarium, Gribaudo, Cavallermaggiore 2000, pagg.
243.
24
Un altro evidente francesismo è il termine vergutum (agresto), latinizzato da vertjus.
25
L‟imperiale era moneta diffusa in Italia dal 1187, cioè regnante Federico I di Svevia. (Cfr. Du Cange,
Glossarium mediae et infimae latinitatis, 1678, rist. Graz 1954. s.v. imperialis: [imperialis] “appellabatur
Moneta Imperatorum, quae in Italia currebat jam inde ad anno 1187”). Nelle Raccolte Archeologiche e
Numismatiche del Comune di Milano sono conservati denari imperiali di Federico I e di Federico II (sec.
XIII) (cfr. La zecca e le monete di Milano, Nuove Edizioni Mazzotta, Milano 1983); la partizione della lira in
soldi, e del soldo in denari perdurò a Milano durante tutta la dominazione spagnola, con la differenza che il
denaro imperiale costituiva allora la dodicesima (e non la ventesima!) parte del soldo.
26
Ordinanza dei XII di Provvisione, 18 gennaio 1413 (Cfr. I Registri dell’Ufficio di Provvisione e dell’Ufficio
dei Sindaci sotto la dominazione viscontea, a cura di Caterina Santoro – Milano, 1929; pag. 543, registro 15,
n. 136).
22
41
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si è detto, dalla necessità di nuovi adattamenti ambientali: come se qualcuno (e perché non lo
stesso Magnino?) avesse voluto riadattare il trattatello sulle salse a beneficio di un pubblico
lombardo.
Comunque sia, non si può negare originalità all‟idea stessa di inserire in un regimen sanitatis una
trattazione sistematica, per quanto concisa, dedicata alle salse: in tutta l‟epoca d‟oro dei regimi
sanitari, nessun altro medico ha mai fatto qualcosa del genere… o quasi nessuno. L‟eccezione,
infatti, c‟è, e conduce sorprendentemente proprio nella direzione di Arnaldo da Villanova, il quale
si rivela, in diversi suoi scritti, un attento e interessato cultore dell‟argomento. Nel regimen
sanitatis indirizzato al re d‟Aragona, Arnaldo dedica un apposito capitolo a saporibus et
condimentis; e sempre sulle salse si sofferma con malcelato compiacimento nel commento alle
regole della scuola salernitana, in quel capitolo XXII (De generali condimento) che colpisce fra
l‟altro per i numerosi passi in tutto e per tutto rispecchianti il testo dell‟Opusculum di Magnino.
3 – La dietetica nel Medioevo.
Che un medico detti istruzioni sul come preparare le salse e a quali cibi abbinarle, non dovrebbe
stupire coloro che si occupano di cucina medievale, e che conoscono per conseguenza il ruolo
quanto mai incisivo della dietetica sulle tavole signorili dell‟età di mezzo, ruolo che si può
comprendere soltanto se si conoscono i princìpi fondamentali della medicina antica.
Secondo una diffusa rappresentazione didascalica, il processo vitale è paragonato dagli antichi
medici ad una lampada, in cui l‟olio – simboleggiante l‟umido radicale – viene progressivamente
ed inesorabilmente bruciato dal calore naturale: caldo e umido sono dunque i princìpi generativi
della creatura umana.27
La morte coincide con la totale estinzione dell‟umido radicale, e nulla può scongiurarla; è tuttavia
possibile rallentare questo processo di consunzione, ed a tal fine soccorre un complesso di regole
di “conservazione”, chiamato regime sanitario (regimen sanitatis), i cui meccanismi applicativi si
chiariscono muovendo dalla definizione del concetto di salute (sanitas).
La salute è una condizione originaria del corpo umano, riconoscibile nella capacità di compiere
azioni o subire eventi secondo il corso naturale, senza accusarne danni di sorta.28 Questa
condizione è caratterizzata da un‟impronta conferita dalla natura, una sorta di patrimonio
strutturale congenito costituito da sette componenti chiamate appunto cose naturali (res
naturales), che sono distintamente: 1) i quattro elementi cosmici fondamentali (aria, acqua, terra e
fuoco); 2) le complessioni, risultanti dalle varie possibilità di composizione delle qualità (caldo,
freddo, secco, umido) insite negli elementi; 3) gli umori, sostanze fluide con cui la materia
corporea si sostenta, e sono: il sangue, il flemma, la bile gialla e la bile nera; 4) le membra, termine
sotto il quale si ricomprendono, secondo una complessa classificazione, le membra vere e proprie,
gli organi, e i tessuti, il tutto alimentato dagli umori; 5) le energie (virtutes), che promanano dal
cuore (virtus vitalis), dal fegato (virtus naturalis), dal cervello (virtus animalis), e presiedono alle
principali funzioni fisiologiche; 6) gli spiriti (spiritus), veicoli delle energie dall‟anima alle
membra; 7) le funzioni attitudinali (operationes) dei diversi organi (membra), con le quali si
completa la vitalità del corpo umano.
La corrispondenza di questo complesso meccanismo al modello coniato dalla natura, in quanto
allo stesso conforme (similis), garantisce lo stato di salute; la malattia subentra se e quando tale
meccanismo si discosta in tutto o in parte dal suo schema esemplare, rivelandosene così difforme
(contrarium);29 e tale difformità può essere cagionata da agenti esterni perturbanti (causae
permutantes et corrumpentes) definiti appunto “non naturali” (res non naturales). Ma questi stessi
agenti, se correttamente manovrati attraverso quello strumento medico che è il regimen sanitatis,
possono adattarsi a funzioni di segno opposto ed essere utilizzati altresì per prevenire e combattere
le malattie,.
Dunque la medicina, anche se non può modificare radicalmente la struttura delle “cose naturali”,
riesce pur sempre a controllarne l‟equilibrio, agendo proprio sull‟oculata somministrazione di
similia e di contraria, in modo da “aggiungere ciò che manca e togliere ciò che eccede“, come
diceva Ippocrate. Nella fase “conservativa” (che costituisce la normalità dei casi) l‟organismo
27
“Calor innatus est causa extinguendi semetipsum accidentaliter, quia est causa suijpsius materiam
consumendi, sicut lampadis flamma que extinguitur, propter ea que suam consumit materiam” (Avicenna,
terza fen del primo canone [De causa sanitatis et egritudinis]). Si tratta di una evidente elaborazione di un
enunciato ippocratico contenuto nel trattato Sulla dieta, secondo cui l‟uomo sarebbe composto di acqua e di
fuoco.
28
“Dicamus igitur quod sanitas est una bona dispositio corporis humani per quam agit vel patitur actionem
vel passionem ei debitam secundum naturam absque notabili lesione”. (Magnino de‟ Maineri, Regimen sanit.,
cit., parte I, cap. II)
29
“Naturalibus enim agnitis, patefiunt ea quae sunt similia sanitati, et sic etiam cognoscuntur quae sunt
contraria. Similibus ergo servatis, contrarijs prohibitis, sanitas custoditur”. Così Galeno, nella epitome di
Ognibene Ferrari (Omniboni Ferrarii…de regulis medicinae libri tres, Venetiis 1573, f. 2v.)
42
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umano dovrà arricchirsi di quelle “cose non naturali” che corrispondono alla propria complessione
(similia similibus), per ripristinarne la porzione (o quantomeno la maggior parte di essa)
costantemente consumata dal calore naturale; ma nella fase “curativa”, in presenza di malattie che
scombussolano l‟equilibrio naturale, le eccedenze patologiche “contrarie” alla complessione
andranno eliminate con la somministrazione di princìpi alle stesse “contrari” (contraria
contrariis).30
I fattori “non naturali” che influiscono sulla salute umana (in bene o anche in male, secondo l‟uso
che se ne fa), sono in numero di sei: 1) il clima (aer); 2) l‟alternarsi dell‟attività e del riposo
(motus et quies); 3) l‟alimentazione (cibus et potus); 4) l‟alternarsi del dormire e del vegliare
(somnus et vigilia); 5) l‟alternarsi di ritenzione ed espulsione degli umori nutrienti (inanitio et
repletio); 6) gli stati d‟animo (accidentia animae)31.
Nei trattati medievali di medicina, queste regole di amministrazione delle cose “non naturali”, alle
quali i medici dell‟antichità avevano spesso dedicato vere e proprie monografie, finirono con
l‟occupare regolarmente una specifica sezione, sotto il titolo “De conservanda sanitate”, dove le
attenzioni rivolte all‟alimentazione prendevano decisamente il sopravvento sul resto.
Nelle sostanze alimentari, infatti, sono presenti gli stessi principi costitutivi della struttura
fisiologica umana, e per poter efficacemente gestire il complesso meccanismo di similia e
contraria, il medico medievale doveva conoscere sia la complessione del proprio paziente, sia le
qualità di una miriade di sostanze commestibili. L‟insieme dei precetti dettati in questa specifica
materia venne presto a configurare quel vero e proprio „genere‟ della letteratura medica medievale
che è il regimen sanitatis, che non va comunque confuso con quella sua emanazione a carattere più
divulgativo denominata tacuinum sanitatis o theatrum sanitatis. I taquina sanitatis erano veri e
propri prontuari per riconoscere e determinare le “qualità” dei singoli alimenti semplici (ad
esempio: carne di vitello, burro, zucca, vino bianco, etc.) ed altresì per procedere al calcolo delle
qualità medesime negli alimenti composti (ad esempio: una frittata cucinata con uova, cipolle,
lardo e formaggio); valutazioni, a dire il vero, tutt‟altro che semplici, poiché bisognava anche tener
conto dei “gradi” (da 1 a 4) con cui veniva misurata l‟intensità della qualità in ogni singolo
alimento.32 Comunque sia, la formula del tacuinum saninatis ebbe straordinario successo. L‟idea
era venuta ad un medico cristiano attivo a Baghdad intorno alla metà dell‟XI sec., che pensò di
condensare i numerosi e spesso complicati dettami della medicina conservativa in una serie di
tavole di pronta consultazione, ispirate ai modelli dell‟astrologia. Questo medico si chiamava Ibn
Botlān ed il suo Taqwīm as-sihhah (Tavole della salute) dilagò letteralmente nell‟Occidente
cristiano dando vita ad una nutrita serie di Tacuina sanitatis in cui la facilità di consultazione
risultava ulteriormente accentuata da un accattivante corredo iconografico, affidato ad illustrazioni
(spesso splendide) quanto mai vive, fresche ed immediate; il commento, in genere estremamente
contratto dalla brachigrafia, si riduceva a lapidarie annotazioni (“canoni”) sulla natura
(caratteristiche salienti della “cosa”, sue qualità e gradi), sulle operazioni (gli effetti prodotti sia in
termini di giovamento che di danno) e sulle rettificazioni (rimedi per riparare il danno).
I prontuari di questo genere, destinati – più che ai medici – a ricchi pazienti desiderosi di
acculturarsi, potrebbero avvalorare la convinzione che il regimen sanitatis medievale sia un
ennesimo riflesso occidentale della cultura araba, quando in realtà si dovrebbe parlare più
semplicemente di un rinnovato successo della dietetica, da inquadrarsi nella fioritura del cosiddetto
“galenismo arabo” che cominciò a manifestarsi dopo l‟anno Mille, innestandosi comunque su una
preesistente consolidata tradizione latina.33 L‟ondata di rinnovamento seguita all‟imponente
afflusso delle opere arabe (si pensi solamente all‟egemonia esercitata dal Canone di Avicenna
dalla fine del sec. XIII addirittura al XVII) fa spesso dimenticare la tradizione medica scampata
alla rovina dell‟impero romano, e profondamente radicata nella medicina greco-ellenistica. Gli
studi in questo senso34 hanno evidenziato, dopo l‟VIII sec., una rinascita culturale coinvolgente
30
“Duae sunt in medicina partes principales, una similis et adiutrix, altera vero contraria et expultrix;
secundum quas possumus dicere medicinam esse adiutricem amicam sanitati, et expultricem inimicam
morbis”. (Ognibene Ferrari, cit., Omniboni additamenta, f. 3r.)
31
L‟elencazione, secondo quest‟ordine, delle sei cose non naturali, si stabilì nella seconda metà dell‟ XI sec.,
in seguito alla traduzione (ad opera di Costantino Africano e col titolo di Pantegni) del Liber regius (Kitab
al-Maliki) di Ali ibn al-Abbas al-Magusi, per gli Occidentali Ali Abbas (morto nel 994).
32
In tutte le “cose complessionate” (minerali, vegetali, animali, uomo…) le qualità manifestano il proprio
potenziale secondo una graduazione crescente che va da uno a quattro; la valutazione dei gradi è determinante
per stabilire la complessione delle entità composte, come ad esempio molti farmaci e molti cibi, in cui
intervengono svariati ingredienti con qualità e gradazioni differenti, di cui occorre fare una vera e propria
somma algebrica. L‟elaborazione della teoria dei gradi, a cui è saldamente ancorata la farmacologia
medievale, si deve al medico (nonché matematico e filosofo) di Baghdad Abu Yusuf al-Kindi (morto
nell‟873).
33
Cfr. Arnaldi de Villanova opera medica omnia, X.1 (Regimen sanitatis ad Regem Aragonum), a cura di
Luis Garcìa-Ballester e Michael R. McVaugh, Barcellona 1996, pag. 481.
34
Cfr. Ernest Wickersheimer, Les manuscrits latins de medecine du haut moyen age dans les bibliotheques de
France, Parigi, 1966, e Augusto Beccaria, I codici di medicina del periodo presalernitano, Roma, 1959.
43
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
195/208
anche la medicina e la sua branca igienistica, in cui vanno iscritte le opere di dietetica che, prima
dei regimina sanitatis, risultano affidate ad altre forme canoniche: l‟epistola e il calendario
dietetico. La prima, ricalcata su modelli bizantini e largamente adattata a tutte le branche della
medicina, presenta i precetti (quasi sempre alimentari, ma anche di igiene generica o addirittura di
medicina curativa e farmacologia) ricuciti nel canovaccio letterario della lettera, quasi sempre
redatta da un personaggio eminente nel mondo della scienza, e indirizzata ad una fiugura storica
ancor più celebre; in realtà si trattava spesso di «raffazzonamenti, di transunti, di estratti messi
assieme da ignoti compilatori»35, in cui le false attribuzioni più sfruttate, sia per i mittenti che per i
destinatari, facevano capo ad Ippocrate, Aristotele, Alessandro Magno, Antioco, e via di questo
passo. Quanto ai calendari dietetici, si trattava di brevi scritti di carattere pratico, che
raccoglievano prescrizioni igieniche (soprattutto alimentari) ordinate secondo il ciclo stagionale.
Comunque sia, e pure attraverso i molteplici e non sempre rispettosi rimaneggiamenti delle opere
latine, i fondamenti della dietetica alto-medievale insistevano pur sempre sulla tradizione
ippocratica, e possono ben considerarsi, al pari dei testi arabi ma con un evidente vantaggio
cronologico, la testa di ponte della rinascita scientifica dei secoli XIII e XIV. Fu proprio in
quell‟epoca che il regimen sanitatis conobbe la sua massima fioritura
Alla luce di quanto si è detto, la speciale trattazione che Magnino de‟ Maineri ha voluto riservare
alle salse, denuncia – anche se ad un livello culturalmente più elevato – i medesimi intendimenti
dei compilatori dei Tacuina sanitatis: le salse, oltre a costituire per se stesse degli alimenti
compositi (per i quali necessita cioè il calcolo algebrico del “peso” delle qualità intrinseche),
incidono direttamente anche sulla composizione dei cibi che insaporiscono; e i loro effetti vanno
ancora confrontati con la complessione di chi le consuma. Presentare dunque una rassegna, se pur
concisa, delle principali salse in uso nella cucina del tempo, precisandone – come nel “bugiardino”
dei moderni medicinali – la composizione più auspicabile, le indicazioni e le relative
controindicazioni, significa offrire allo studente di medicina ma anche al medico, uno strumento
terapeutico pronto all‟uso.
Tanto più che l‟impiego delle salse va esercitato con molte precauzioni, perché le salse contengono
come ingredienti fondamentali quelle stesse spezie ed erbe aromatiche (i cosiddetti “semplici”) che
sono alla base della farmacopea medievale: in pratica, come avverte Magnino, le salse non
differiscono molto dai preparati medicinali, e per questa ragione se ne sconsiglia generalmente
l‟abuso o quantomeno si raccomanda di regolarne il consumo secondo il principio “per contraria”
applicato agli stati di malattia: la qualità delle salse deve essere di segno opposto a quella delle
superfluità sviluppatesi patologicamente all‟interno della complessione36
Per converso, si deduce che non sono in molti a potere impunemente farne uso, visto che gli
ingredienti delle salse di Magnino (una trentina fra erbe, spezie, qualche grasso, qualche liquido,
etc.) volgono decisamente al caldo e al secco: le spezie sono calde e secche in terzo grado (tranne
lo zenzero che è caldo in terzo e umido in primo), le erbe aromatiche anch‟esse calde fra il
secondo e il terzo (con punte del quarto per la senape), così come miele, vino, noci, mandorle;
olio, lardo e sapa sono caldi e umidi, e solamente l‟aceto, l‟agresto, le arance, l‟acetosa e le cime di
vite sono freddi.
I soggetti di temperamento sanguigno o collerico, qualora abusassero delle salse, non farebbero
che acuire pericolosamente la propria qualità dominante, come ammoniva Arnaldo da Villanova
nel dettare un regimen a beneficio del Re d‟Aragona, cronicamente tormentato dalle emorroidi, a
cui sconsigliava salse forti (forcia) come piperate ed agliate, oppure piccanti (acutos sapores)
come quelle a base di senape e di ruchetta.37 Gli ideali consumatori di questi sapori sono dunque
gli individui la cui complessione declina al flemmatico, vuoi per stati patologici acuti, vuoi per
l‟interagire di condizioni naturali quali la stagione o l‟età.
La lapidaria conclusione dell‟Opusculum (Et hec sufficiant de saporibus, et salsis diversis
diversorum alimentorum) adombra la motivazione del trattato: fissare precetti per l‟abbinamento
fra cibi e salse, esattamente come fanno ancora molti odierni libri di cucina, con riguardo
soprattutto ai vini. Verrebbe immediato eccepire che oggi tali regole sono dettate dal gusto, mentre
quelle dell‟Opusculum fanno perno su principi di medicina cui si annetteva – allora – valore
scientifico indiscutibile (e qui torna ad emergere il carattere di coadiuvante terapeutico attribuito al
cibo); ma il reiterato proporsi di determinate combinazioni alimentari finisce con l‟indurre una
sorta di assuefazione che, in buona sostanza, non è facile distinguere da ciò che si chiama “gusto”:
le abitudini adeguano il palato, ma alla lunga anche il cervello; e mentre il primo segue
Quest‟ultimo Autore ha analizzato, in area europea, ben 949 manoscritti di argomento medico appartenenti ai
secoli dal IX all‟XI.
35
A. Beccaria, I codici, etc., cit., pag. 28.
36
Nel suo Regimen, Magnino de Maineri arriva ad affermare che le salse si addicono più ai malati che alle
persone sane (“…talia saporum delectamenta plus conveniunt egris quam sanis”); Excellentissimi Magnini,
cit., fo.XLI r.)
37
Arnaldo da Villanova, Regimen sanitatis ad inclitum dominum regem Aragonum, cap. xvii.
44
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l‟evoluzione dei sapori all‟interno di una una medesima preparazione, il secondo mantiene
l‟impronta della preparazione nel suo complesso. La salsa verde - per fare un esempio – è passata
attraverso innumerevoli ricette, dalle mense di Apicio ai carrelli del bollito dei moderni ristoratori,
e nel corso della sua millenaria esistenza si è via via adeguata alle più svariate intrusioni,
presentandosi di volta in volta al palato con caratteristiche nettamente datate; solo il cervello ne ha
registrato le “costanti”: prezzemolo e aceto. Così, quando ai giorni nostri si insegna ad
accompagnare le carni lessate con la salsa verde, motivando lo sposalizio sul piano del “gusto
corretto”, non si può sapere quanto pesino in questa raccomandazione i remoti precetti di Magnino
de Maineri e dei suoi colleghi medievali.
4. - Il manoscritto
L‟Opusculum de saporibus occupa le carte da 52 recto (dal sesto rigo della colonna B) a 53 verso
(al quarantaseiesimo rigo della colonna A) di un manoscritto miscellaneo di 235 carte (di mm.
307x218), per la maggior parte cartaceo (cc. 1-231) e membranaceo solo per le cc. 232-235.
Il manoscritto, conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli sotto la segnatura VIII.D.35.,
proviene dalla biblioteca dei nobili Albani (Roma) e risulta confluito nei fondi napoletani a far
tempo dal 1799.38
Il committente di questo Opusculum de saporibus della Biblioteca Nazionale di Napoli, non
doveva avere grosse disponibilità finanziarie: lo rivela la scrittura cancelleresca, di un corsivo che
sui banchi degli amanuensi spuntava sicuramente tariffe ben più basse del gotico librario.
Anche gli spazi per le lettere capitali sono rimasti bianchi, e presentano solamente delle minuscole
“lettere guida”, annotate dal copista come pro-memoria per l‟eventuale miniaturista. Tali lettere,
malauguratamente, mancano proprio in quei pochi casi in cui avrebbero potuto chiarire grossi
dubbi.
Come si è già detto, l‟Opusculum de saporibus, è stato fino ad oggi trascritto e pubblicato una sola
volta, nel 1934, da Lynn Thorndike, che ne ha curato anche un riassunto, ma non la traduzione
integrale.
Per una maggiore comodità nei riferimenti, ho ritenuto utile numerare con cifre romane i capitoli e
con cifre arabe i paragrafi di ogni capitolo.
Nella suddivisione per capitoli ho tenuto conto degli spazi bianchi che il copista ha riservato alle
lettere capitali; nell‟ambito di ciascun capitolo, l‟inizio dei paragrafi corrisponde alle pause
contrassegnate, nel manoscritto, dalla doppia sbarra (//).
L‟interpunzione, resa con i segni attualmente in uso, rispetta – per quanto possibile – le pause
segnate nel testo originale.
La rilettura del manoscritto (da microfilm) ha posto in evidenza qualche errore di trascrizione
commesso da Thorndike, con la conseguente intraducibilità dei passi interessati, ai quali vanno
dunque apportati gli opportuni emendamenti. I passi in questione saranno evidenziati in nota, nella
seguente trascrizione del testo latino.
[fo. 52r., b]Incipit opusculum de saporibus domini M.Mayni de maynerijs.
1. Saporum delectamenta, propter voluptatem magis quam propter sanitatem, a gulosis fuerunt
primitus adinventa, non cum sint multum necessaria in sanitatis regimine, ymmo quod plus est
interdum inferunt nocumenta. Nam propter huiusmodi sapores homo plus comedit quam eius
natura requirit, et quam expediat sanitati.
2. Amplius, propter huiusmodi sapores, cibaria mala et corrupta ori efficiuntur delectabilia, et ab
hominibus comeduntur, que ab eis non susciperentur.
3. Amplius sapores ut per plurimum, sapiunt naturam medicinalium que in regimine sanorum a
sapientibus denegantur; debet enim conservatio sanitatis abstinere ab omni medicinali, dico igitur
quod huiusmodi saporibus non est utendum in sanitatis regimine nisi in pauca quantitate, et ut
corrigatur quorundam ciborum malitia seu saltem remittatur. In omnibus autem habentibus
defectionem appetitus huiusmodi sapores et salse multum expediunt, ut melius et delectabilius
valeant alimenta suscipere. Non solum autem huiusmodi sapores iuvant appetitivam ymmo etiam
digestivam. Et sicut fiunt sapores, deservientes appetitui, et digestioni sic etiam fiunt, et fieri
possunt sapores, qui deserviunt retentioni et expulsioni; propter huiusmodi saporum delectamenta
quibus homines uti consueverunt, intendo de saporibus facere unum capitulum singulare.
38
Le carte da 132v. a 145r. contengono un Regimen sanitatis da alcuni attribuito allo stesso Magnino de Maineri. Cfr. Et coquatur
ponendo…, cit.
45
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4. Primo igitur, ponam quasdam considerationes singulares, in saporibus et salsis observandis;
prima consideratio est, quod ex saporibus parum comedatur quia naturam sapiunt medicinalium,
ex quibus sani parum vel nichil [fo. 52v., a] sumere debent; non est etiam artificiale permiscere
cum materia cibali illud quod sapit naturam medicinalem.
5. Secunda consideratio est, quod quanto sapor plus distat a natura cibi, tanto minus ex eo est
comedendum. Et econverso, quanto plus appropinquat nature ciborum tanto plus potest ex eo
sumi39.
6. Tertia consideratio, quod temporibus etate et complectione frigidis,40 utendem est salsis calidis
et econverso; unde saporum materia in estate sit agresta, succus limonum, citrangulorum, acetum
et succus viridis acedule et extremitatum vitis, vinum granatorum, aqua rosata 41, amigdale, et panis
assus fusus in aceto, vel in aliquo predictorum succorum et nullo modo apponantur species calide
nisi forsan in paucissima quantitate sed bene potest addi aliquid serpilli vel petrosilli ad
obtemperandum predicta.
7. Materie42 autem saporum in tempore etate et complectione frigidis sunt sinapium, eruca,
zingiber album, piper, cinamomum, gariofilus, alleum, salvia, menta, serpillum, petrosillum,
vinum, aqua carnium et acetum non forte et propinquum nature vini. In temporibus autem
mediocribus materie saporum sint mediocres.
8. Quarta consideratio est, quod quanto cibi sunt temperatiores et temperamento propiores tanto
minus ex saporibus est comedendum cum eis. Et similiter sapores eis competentiores sunt et esse
debent temperamento propiores et econverso quanto cibi sunt magis lapsi a temperamento tanto
indigent saporibus magis lapsis ad oppositum lapsus ciborum; unde si cibi declinant ad frigidum et
humidum et viscosum, sapor debet esse calidus, et siccus, et subtiliativus; et econverso si cibi sunt
calidi et sicci sapor debet esse frigidus et humidus.
II
1.Nunc restat determinare qui sapores et que salse quibus cibis sunt convenientes.
2. Salsa igitur pro carnibus castratinis vitulinis et edinis elixatis est salsa viridis que sic fit. Recipe
petrosilli manum unam, rorismarini quartam manus unius, panis assi ad quantitatem unius ovi,
zinziberis albi dragmam unam, gariofilos xij. Fiat salsa cum aceto sed in estate apponatur minus de
speciebus et in hyeme plus. Iterum in hyeme in predicta salsa ponatur aliquantulum vini vel quod
ace[fo. 52v., b]tum sit minus forte. Item in hyeme potest sufficere sinapium dulce compositum
cum vino cocto, et pauco melle vel eruca composita cum amigdalis, at aceto non nimis forti.
3. Item possunt preparari carnes vituline lactantes in cinefio 43. Recipe panem assatum nigrum
infusum in aceto, piperis triti unciam unam, lardi liquefacti libram unam, in quo lardo frigantur
carnes, ceparum albarum numero XV et coquantur cepe et fiat cinesium cum aqua carnium
supradictarum et panis et cepe optime quassabuntur44 in mortario et addantur species supradicte, et
bulliatur totum simul usque ad spissitudinem.
4. Item carnes edine possunt preparari cum brodio albo. Recipe amigdalarum dulcium libram
unam, zinziberis albi tricti unciam unam, agreste medietatem quartini et temperetur cum aqua
carnium.
5. Item salsa carnium bovinarum est piperatum croceum bullitum quod fit ex pipere et croco et
pane infuso in aceto in hyeme, in estate in agresta cum aqua carnium et bulliatur totum simul, et
potest sufficere eruca.
Item possent comedi carnes bovine cum alleata alba ex nucibus et zinzibere albo et alleis
distemperatis cum aqua carnium et bullitis.
39
Thorndike trascrive: “summi”.
Thorndike trascrive: “conclusione frigoris”, e così ripete ancora all‟inizio del paragrafo successivo. Nel
testo le due parole sono fortemente contratte (9°ne frīs), ma non è difficile scioglierle in “complexione
frigidis”, dove quest‟ultimo attributo è un ablativo plurale che concorda a senso con “tempore, etate et
complexione”.
41
Thorndike trascrive: “rosarum”.
42
Thorndike trascrive: “nature”.
43
Scil. “cinesio”, come il successivo “cinesium”, con il tipico interscambio tra “n” e “u”, di cui si dirà ancora
nel commento.
44
Thorndike trascrive: “quassabantur”.
40
46
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6. Item salsa carnium porcinarum elixatarum est eruca et sinapium. Sed si predicte carnes
pastilentur apponantur species dulces, et fortes et agresta, et lardum porcinum bene pistatum in
mortario, et aliqui apponunt cepe album, et caseum butirosum, et medullam bovum.
7. Et si fiant pastilli ex carnibus subtilioribus apponatur lac amigdalarum cum vino granatorum vel
agresta, et pulvis specierum dulcium. Et potest in fine addi ovum conquassatum cum agresta.
III
Assature porcine sapor conveniens est liquor descendens ab assatura, conquassatus cum pauco
vino, et cepis decoctis, et hoc in hyeme, vel salsa viridis superius nominata et potest sufficere
sinapium vel eruca.
[fo. 53r., a]
IV
1. Assaturis autem cuniculorum et pullorum parvorum sapor conveniens est salsa camellina ex
cinamomo et mica panis cum agresta in estate, vel cum vino in hyeme, et pauco aceto non forti.
2. Assature autem turturum, perdicum, columbarum, quallearum, nullo alio sapore indigent nisi
sale, et pomo citrono.
3. Caponum autem et fassianorum elixatorum sapor, est aqua decoctionis eorum cum pulvere
specierum dulcium, et specialiter in hyeme, addatur in decoctione ysopus, salvia et petrosillum, et
in estate sufficit aqua decoctionis eorum cum succo acedule viridis, vel extremitatum vitis; vel
potest fieri salsa alba cum amigdalis loco nucum, et addatur zucarum album.
4. Si capones et galline et fassiani pastillentur integri, apponatur pulvis specierum, et agresta in
estate, et in hyeme potest addi aliquantulum boni vini.
5. Item si pastillentur non integri sed incisi potest addi lardum et salvia, et ysopus et petrosillum,
cum pulvere specierum dulcium et fortium. Sed sapor predictorum conveniens in assatura est
alleata cum amigdalis superius dicta, vel vinum dulce conquassatum cum eisdem in hyeme, et
paucis speciebus, vel cum agresta in estate sed tunc minus apponatur de speciebus.
V
Assaturis autem anatum et anserum et similium degentium in aquis sapor conveniens est piperata
nigra, composita ex pane assato nigro infuso in aceto, et epate assato pistis simul distemperatis
cum liquore descendente, et agresta, et bulliant omnia simul, usque ad spissitudinem.
VI
1.De piscibus autem sciendum est quod quanto sunt grossioris carnis, et difficilioris digestionis, et
maioris superfluitatis, et humidioris45 nature tanto indigent saporibus46 calidioribus et acutioribus.
Et hoc est verum non solum in piscibus, verum etiam in carnibus. Unde sequitur quod pisces
bestiales, et specialiter porcus marinus assatus vel elixatus indiget salsa calidiori, et acutiori. Et
similiter intelligatur in aliis piscibus, secundum quod magis vel minus [fo. 53r., b] appropinquant
porco marino.
2. Sapor ergo porci marini conveniens est piperata nigra bullita fortis, cuius compositio fit ex
pipere nigro, et gariofilis et pane asso infuso in aceto, et distemperetur cum aqua piscismet.
3. Et si quis velit conservare per plures dies fiat gelatina cuius compositio est: recipe cinamomi,
galange gariofilorum nucis muscate47 ana drachmas tres, panis assi medium panem de duobus
imperialibus, infundatur panis in aceto, vini bulliti medium quartinum 48. Fiat gelatina cum aqua et
45
Thorndike trascrive: “humoris”.
“tanto indigent saporibus” figura precedentemente scritto e depennato dopo “digestionis”.
47
Thorndike trascrive: “nunc misce”.
48
Thorndike trascrive: “quantenum ?”
46
47
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vino, decoctionis piscis49 et decoquatur piscis in vino, et aqua et erit dicta gelatina sufficiens per
decem personas.
VII
Sturionum sapor est salsa camellina, cuius composito est: recipe zinziberis albi, gariofili,
cinamomi granorum paradisi, ana drachmas tres. panis non assi infusi in aceto forti, et fiat salsa
cum agresta. Vel potest fieri sapor albus cuius compositio est: zinziberis albi quartum unum
amigdalarum dulcium mundatarum uncias duas, allei mundati restam50 unam; distemperetur cum
verguto51 seu agresta, et aqua decoctionis piscis, et colletur per stamineam, et bulliatur.
VIII
Pro lamp [depennato] lampredis magnis assatis, et murenis: recipe zinziberis albi gariofilorum
gallange, granorum paradisi, ana drachmas tres, panis assi infusi in aceto medium; distemperetur
cum pinguedine piscis, et agresta et bulliat. Vel potest fieri gellatina superius scripta. Et sicut
dictum est de lampreda, similiter intelligatur de murena.
IX
Anguillarum elixaturum, vel pastillatarum sapor conveniens est sapor albus sturionum, sed loco
amigdalarum ponantur nuces; vel fiat salsa viridis superius scripta, cum carnibus castratinis, et
specialiter cum anguilla coquitur in assatura et similiter intelligendum de conguro sicut dictum est
de anguilla.
X
1. Sapor salmonum et trutarum elixatorum conveniens est piperata crocea cuius compositio est
talis: recipe piperis, zinziberis albi ana drachmas tres, panis assi non nigri infusi in aceto et aqua
decoctionis piscis mediatem unius panis, croci grana duo frumenti in pondere; distemperentur
omnia simul cum aqua piscis, et bulliantur omnia simul.
2. Assa[fo. 53v., a]torum autem sapor conveniens est agresta vel succus citrangullorum cum
pulvere specierum dulcium, et similiter pastillatorum.
XI
1. ( ) eterlogorum elixatorum sapor conveniens est sapor albus cuius compositio est: recipe
zinziberis albi unciam j, allei testam, panis infusi in agresta medium panem; distemperentur in
agresta.
2. Assatorum autem sapor conveniens et salsa viridis superius nominata.
XII
1. Pro rozetis elixatis sapor conveniens et salsa camellina superius scripta, et similiter intelligatur
de gormato.
2. Assatorum autem salsa conveniens est vinum, cum quo distemperetur zinziber album, et
proiciatur super piscem assatum, et deinde bulliatur unica bullitione; sed in estate loco vini potest
poni vergutum.
XIII
49
Evidentemente l‟amanuense si è distratto e ha cambiato posto a qualche parola, trascrivendo “fiat gelatina
cum aqua et vino decoctionis piscis et decoquatur piscis in vino et aqua”, dove invece dovrebbe scriversi “fiat
gelatina cum aqua decoctionis piscis, etc.” (non si può escludere che l‟originale presentasse già questo
errore.).
50
Resta è propriamente l‟involucro membranaceo dei bulbi di aglio; qui probabilmente si voleva intendere
testa.
51
Thorndike trascrive: “liguto ?”; ma successivamente, al capitolo XII, paragrafo 2, scioglie correttamente in
“vergutum” la medesima parola, che differisce dalla prima soltanto per la iniziale “v” anziché “u”. La coppia
di lettere “er” è come di consueto abbreviata con un apostrofo sospeso perpendicolarmente sopra l‟iniziale
”u”: lo spostamento di questo segno sopra la prima asticciola della “u” ha fatto sì che fosse interpretato come
un prolungamento spezzato della stessa, letta conseguentemenete come una “l”.
48
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( ) emerorum sapor conveniens esta aqua decoctionis eorum cum pulvere specierum dulcium.
XIV
Cancrorum sapor conveniens est salsa viridis superius scripta et hec eadem salsa valet ad tencam
elixatam. Sed tenca assata impleatur cum petrosillo, et pulvere specierum, et agresta intus et extra;
et addatur aliquantulum de oleo olivarum in agresta que apponatur ab externo; et similiter
intelligatur de pigo.
XV
Pro carpilione sapor conveniens est salsa camellina cum succo cintrangullorum. Compositio
cameline superius scripta est.
XVI
Sapor conveniens pro parvis piscibus, est salsa viridis vel sinapium dulce. Et pro cancris
fluvialibus est acetum cum multo sale.
XVII
Pro ostreis frixatis, sapor conveniens est agresta, cum pulvere specierum. Vel potest fieri sapor
croceus bullitus superius scriptus. Et hec sufficiant de saporibus, et salsis diversis diversorum
alimentorum.
TRADUZIONE ITALIANA
Inizia il breve trattato sulle salse del Signore e Maestro Magnino de‟ Maineri.
I
1. - Furono per primi i golosi a scoprire il gusto delle salse, più per compiacere il palato che non
per riguardo alla salute, visto che le medesime non sono gran che necessarie ad una dieta salutare,
ma anzi - ciò che più spesso avviene – arrecano qualche danno. Infatti grazie a questi sapori, si
finisce per mangiare più di quanto la natura richieda e più di quanto giovi alla salute.
2. - Ed è ancora grazie alle salse, che taluni cibi cattivi e deteriorati risultano gradevoli al palato,
così che si finisce per consumare ciò che altrimenti non sarebbe accetto.
3. - Oltre a ciò, la maggior parte delle salse partecipano della natura dei farmaci, che i sapienti
sconsigliano nelle diete delle persone sane; infatti, se si vuole conservare lo stato di salute, bisogna
astenersi da qualsiasi farmaco.52 Dunque ribadisco che nei regimi sanitari non si deve far uso delle
salse se non in quantità limitata, e al solo scopo di correggere o almeno attenuare l‟impatto
sgradevole di qualche cibo. Sapori e salse, tuttavia, si rivelano molto utili a tutti coloro che
soffrono di inappetenza, proprio perché rendono più piacevole e stuzzicante l‟assunzione dei cibi.
E poi non solo giovano alla funzione appetitiva, ma altresì a quella digestiva. Infatti, come si
preparano salse che stimolano l‟appetito, così anche se ne fanno che favoriscono la digestione; e se
ne possono fare che agevolano la ritenzione e l‟espulsione. Proprio a motivo di questa predilezione
che gli uomini hanno sempre manifestato per le salse, ho pensato di dedicare loro un apposito
capitolo.53
52
Magnino intende dire, ovviamente, che bisogna guardarsi dall‟assumere farmaci quando lo stato di salute è
nella norma, vale a dire quando la complessione non è turbata da squilibri patologici.
53
In altra occasione, Magnino motiva in modo più singolare il proprio deliberato indugiare sull‟argomento
delle salse; anzitutto afferma che l‟uomo sano, a prescindere da qualsiasi divieto dei medici, non dovrebbe
neanche sentire il bisogno delle salse, e se se ne serve, è solo per abitudine; ma all‟abitudine bisogna pur
concedere qualcosa…dunque sarà bene occuparsi un poco di questi sapori. (“…homo existens sanus….tales
sapores non appetit…Et si aliquis sanus tales sapores appetat hoc forte est ex consuetudine. Et quia
consutudinem iam inductam difficile immo impossibile et dannosum est subito permutare, dandum est enim
aliquid consuetudini. Ideo intendo hic breviter de saporibus pertransire”, Regimen San. Magnini etc., cit.
supra, nota 17, fo. xliv v.). Fra i numerosi princìpi derivati dalla fisica aristotelica, vi era quello secondo cui
l‟abitudine può finire con il sostituirsi alla natura stessa (consuetudo altera est natura), rendendo innocue
quelle cose che che di norma risulterebbero dannose. Era di rito portare l‟esempio della “mitridatizzazione”,
la graduale, ripetuta e controllata assunzione di sostanze velenose che le rendeva infine inefficaci.
49
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4. - Farò anzitutto alcune specifiche considerazioni da tenere presenti in materia di salse e sapori;
la prima è che se ne dovrebbe consumare con parsimonia, poichè contengono sostanze medicinali
di cui poco o nulla devono assumere le persone sane; non è infatti conforme ai dettami della
medicina mescolare agli alimenti ciò che ha natura di farmaco.54
5. - La seconda considerazione è che quanto più la salsa differisce dalla natura di ciò che si
mangia, tanto meno bisogna consumarne. E viceversa, quanto più è simile alla natura degli
alimenti, tanto più se ne può assumere.
6. - Terza considerazione: in concomitanza con stagioni, età e complessioni fredde, bisogna
consumare salse calde e viceversa; per cui gli ingredienti estivi dei sapori siano l‟agresta, il succo
dei limoni e delle arance, l‟aceto e il succo dell‟acetosa verde e dei viticci, il vino di melagrane,
l‟acqua di rose, le mandorle e il pane abbrustolito e poi inzuppato nell‟aceto o in qualche altro dei
succhi predetti, e in nessun modo vi si mettano spezie calde55, se non proprio in pochissima
quantità, e al posto loro sarebbe anzi bene mettere un po‟ di serpillo o di prezzemolo, in ossequio a
quanto si è detto prima.
7. - Per contro, gli ingredienti delle salse nelle stagioni, età e complessioni fredde, sono la senape,
la ruchetta, lo zenzero bianco, il pepe, il cinammomo, il garofano, l‟aglio, la salvia, la menta, il
serpillo, il prezzemolo, il vino, il brodo di carne e l‟aceto, che non sia forte, e piuttosto incline al
sapore del vino.56 Nelle stagioni temperate gli ingredienti delle salse saranno temperati anch‟essi.
57
8. - La quarta considerazione è che quanto più i cibi sono temperati e prossimi al temperamento,
tanto meno è opportuno accompagnarli con le salse. E similmente i sapori che più convengono a
simili cibi sono e devono essere più prossimi al temperamento; viceversa, quanto più i cibi
declinano dal temperamento, tanto più abbisognano di salse propendenti all‟opposta tendenza dei
cibi (22); per cui, se i cibi propendono al freddo e all‟umido e al viscoso, il sapore dovrà essere
caldo e secco e fluido; e viceversa se i cibi sono caldi e secchi, la salsa dovrà essere fredda e
umida.
II
1. - Ora non resta che determinare quali salse e sapori siano adatti a ciascun cibo.
2. - La salsa più indicata per le carni lesse di castrato, vitello e capretto, è la salsa verde, che si fa
così: si prenda una manciata di prezzemolo, la quarta parte di una manciata di rosmarino, del pane
abbrustolito in quantità pari ad un uovo, una dramma di zenzero bianco e dodici chiodi di
garofano. Si prepari la salsa con l‟aceto, ma d‟estate vi si mettano meno spezie, e d‟inverno di più.
Inoltre, d‟inverno, in questa salsa va aggiunto un poco di vino o l‟aceto meno forte che si abbia.
Ancora d‟inverno ci si può accontentare di senape dolce, conciata con vino cotto e poco miele;
oppure di ruchetta conciata con mandorle e aceto non troppo forte.
3. - Inoltre le carni di vitello da latte si possono conciare in civiere. Si prenda del pane grigliato
ben nero, inzuppato nell‟aceto, un‟oncia di pepe macinato, una libbra di lardo squagliato in cui va
soffritta la carne, e quindi cipolle bianche; si cuociano le cipolle e si faccia il civiere con il brodo
54
Il concetto è ribadito altrove, con più precisione, dallo stesso Magnino, che mette in guardia i medici dal
somministrare qualsiasi farmaco in sede di “conservazione” della salute, obiettivo primario di un Regimen
Sanitatis. (“Amplius scias quod in regimine sanitatis non competet aliquod medicinale nisi forsan ad
preservandum sed non ad conservandum…Caveat igitur sanitatis conservator ne utatur aliqua re sapiente
naturam medicinalem ad conservandum, licet bene ad preservandum.” Excell. Magnini etc, cit., nota 14, Fo.
XLI r.)
55
L‟espressione “species calide” appare vagamente tautologica, in quanto non esistono spezie fredde; va
comunque tenuto presente che la denominazione „spezie‟ abbracciava un tempo anche quelle che oggi si
chiamano „erbe aromatiche‟ (anch‟esse peraltro quasi sempre calde, ma in grado minore), e la precisazione di
Magnino potrebbe avere di mira proprio questa distinzione, visto che, al divieto di impiegare spezie calde,
segue il consiglio di sostituirle con prezzemolo e serpillo.
56
La regola era ben nota : nel celebre ricettario francese compilato dal Menagier de Paris (1394), le salse
invernali si „riscaldano‟ aumentando le dosi di zenzero. (“Et nota que en yver l’en y met plus gingembre pour
estre plus forte d’espices, car en yver toutes saulces doivent estre plus fortes que en estè.“ ; Georgine E.
Brereton – Janet M. Ferrier, Le Menagier de Paris, Oxford, Clarendon Press 1981, p. 262, 26).
57
Nel meccanismo di contrapposizione delle qualità, il secco mitiga il freddo, e l‟umido il caldo, e viceversa.
Questo temperamento è presente in natura nella stagione di mezzo: la primavera è calda e umida, l‟autunno
freddo e secco.
50
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delle carni predette, e pane e cipolle si pestino bene nel mortaio, aggiungendovi le spezie elencate;
poi si lasci cuocere il tutto finchè si addensi.
4. - Le carni di capretto si possono servire con il brodo bianco. Si prenda una libbra di mandorle
dolci, un‟oncia di zenzero bianco tritato, mezzo quartino 58 di agresta e si stemperi con il brodo
delle carni stesse.
5. - Un‟altra salsa per le carni bovine è la piperata gialla bollita, che si fa con pepe, zafferano,
brodo di carne e pane ammollato in aceto d‟inverno, e in agresta d‟estate; si lasci bollire tutto
insieme. Potrebbe comunque bastare la salsa di ruchetta.
Le carni di bue si possono anche mangiare con l‟agliata bianca, fatta con noci, zenzero bianco e
aglio, stemprati nel brodo di carne e bolliti.
6. - Ancora: salse adatte alle carni di maiale lessate sono quella di ruchetta e quella di senape. Ma
se le carni suddette si cuociono in pastello, vi si mettano spezie dolci e forti59, agresta e lardo di
maiale ben battuto nel mortaio; e qualcuno vi aggiunge bianco di cipolla, formaggio cremoso e
midollo di bue.
7. - E se i pastelli si fanno con carni più fini, vi si metta latte di mandorle con vino di melagrane o
agresta e spezie dolci in polvere. E in ultimo si può aggiungere dell‟uovo battuto con agresta.
III
La salsa che più si addice all‟arrosto di maiale è il sugo che cola dall‟arrosto stesso, sbattuto
insieme con poco vino e cipolle cotte, e questo d‟inverno, oppure si può usare la salsa verde più
sopra descritta, ma può bastare anche la mostarda o la salsa di ruchetta.
IV
1. - Ma la salsa adatta agli arrosti di coniglio e di pollastro è la camelina fatta con cinnamomo e
pane bianco intriso di agresta in estate, oppure bagnato nel vino o in poco aceto non forte, in
inverno.
2.- Gli arrosti cucinati con tortore, pernici, colombi e quaglie, non abbisognano d‟altro condimento
che non sia sale e limone60
58
È probabile che “quarto” e “quartino” siano forme volgarizzate di “quartario”, misura che aveva differenti
valori a seconda che fosse di peso o di capacità: nel primo caso corrispondeva alla quarta parte di una libbra,
nel secondo valeva un quarto di sestario. Determinarne il valore assoluto – in termini di corrispondenza al
sistema metrico decimale – non è tuttavia cosa facile, a motivo delle numerose difformi attestazioni. In Italia
si conosceva un sestario bilibris ( = 2 libbre) per l‟olio, un altro detto caenix (= 4 libbre) per il miele, un terzo
chiamato gomor che conteneva 5 libbre; il sestario da vino pare corrispondesse a 2 libbre e 8 once, cioè a 872
ml., valutando la libbra a 327 gr. (il valore comunemente attribuito alla libbra romana antica). Ma nel
Medioevo la libbra si fece vieppiù pesante, diversificandosi oltre a ciò da luogo a luogo e toccando talora i
600 gr. Fatti i debiti conti, ne discende che il quartino (il quale supponiamo si identificasse con il quartario)
poteva contenere all‟incirca da 22 a 36 centilitri.
59
I ricettari italiani del tempo distinguono in genere tre tipi fondamentali di misture aromatiche,
distinguendole come spezie fini, spezie dolci e spezie forti: le prime due hanno una base comune di zenzero,
cannella e chiodi di garofano, a cui si aggregano il pepe e lo zafferano nella miscela fine, e il “folio” in quella
dolce. Quest‟ultima presenza ha un sapore anacronistico; si tratta del Folium malabathri dei Romani, che già
nel XVI sec. nessuno sapeva più cosa fosse di preciso: probabilmente era la foglia del Cinnamomum tamala,
una lauracea simile alla cassia. Le “specie negre e forte” si compongono invece di pepe nero, pepe lungo,
chiodi di garofano e noce moscata. Altre simili miscele si presentano generalmente fondate sulla terna
zenzero, garofani, cannella. Si può comunque concludere che con le parole spezie forti ci si intendesse
riferire soprattutto al pepe (nero, bianco, lungo, cubeba, etc.) e alla noce moscata (compreso il macis), mentre
zenzero, cannella e chiodi di garofano costituivano le spezie dolci per eccellenza. Ogni miscela aveva
ovviamente la propria specifica indicazione gastronomica: le spezie fini erano adatte a carni di vitello, pollo e
maiale; le spezie dolci erano d'obbligo per il pesce, mentre la selvaggina esigeva spezie forti. Per i Francesi,
invece, la polvere forte si distingueva da quella fine per la sola presenza del pepe: la polvere fine del
Menagier è composta in gran parte da zenzero (circa 2/3), miscelato con cannella, chiodi di garofano, grani
del paradiso e zucchero. Lo zenzero supera il 50% nella composizione della miscela usualmente impiegata
dalla cucina catalana, ed è integrato nell‟ordine da cannella, zafferano, pepe, garofano, noce moscata e macis.
60
“Assaturae phaseanorum et columbarum et turturum nulla alia salsa indigent nisi sale“ (Haec sunt opera
Arnaldi de Villanova nuperrime recognita et emendata, Venezia, 1505, fo.157 v.). “sed columbe non indigent
salsamento, sed tantum modici salis aspersione” (Tractatus de modo preparandi et condiend omnia cibariai,
a cura di Marianne Mulon, in Bulletin philologique et hostorique, année 1968 – Paris, Bibliotheque Nationale,
1971, p.387).
51
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3. - Ma la salsa adatta a capponi e fagiani lessati è il loro brodo con polvere di spezie dolci e,
specialmente d‟inverno, vi si aggiungano salvia, issopo e prezzemolo; in estate basterà il brodo
medesimo con succo di acetosa verde o di viticci, oppure si può fare una salsa bianca con le
mandorle al posto delle noci e si aggiunga dello zucchero bianco.
4. - Se capponi e galline si accomodano interi nei pastelli, vi si mettano spezie in polvere e agresta
d‟estate, mentre d‟inverno si può aggiungere un poco di vino buono.
5. - Qualora però i suddetti volatili si cuociano in pastello non interi, ma bensì a pezzi, vi si può
aggiungere lardo, salvia, issopo e prezzemolo, con polvere di spezie dolci e forti. Ma la salsa più
adatta quando si mettano arrosto è l‟agliata con le mandorle più sopra citata, oppure le mandorle
stemperate con il vino dolce e poche spezie d‟inverno, o con l‟agresta d‟estate; ma in questo caso
si usino meno spezie.
V
Per gli arrosti di anatre, oche e simili volatili acquatici, il sapore più conveniente è la piperata nera,
fatta con pane abbrustolito ben nero bagnato nell‟aceto, battuto nel mortaio con i fegati dei volatili
arrostiti stemperando il tutto con sugo di leccarda e agresta; e si lasci bollire il tutto finchè si sia
addensato.
VI
1.- Per quanto riguarda i pesci, bisogna sapere che quanto più sono di carni pesanti e difficili da
digerire, viscose e di natura umida, tanto più richiedono salse calde e piccanti. E questo vale non
solo per i pesci ma anche per le carni.
Ne discende quindi che i pesci bestiali, e specialmente il porco marino sia arrostito che lessato,
abbisognano di una salsa più calda e più piccante. E così dicasi degli altri pesci, nella misura in cui
si assimilano al porco marino.61
2. - Allora la salsa adatta al porco marino è la piperata nera forte bollita, che si prepara con il pepe
nero, chiodi di garofano e pane abbrustolito intriso d‟aceto, stemperandola con il brodo del pesce
medesimo.
3. – E se si vuole conservare il pesce per più giorni, lo si metta nella gelatina, che si fa così: si
prendano cinnamomo, galanga, chiodi garofano e noce moscata, ciascuno per tre dramme, una
mezza pagnotta da due imperiali fatta abbrustolire e intrisa d‟aceto, più mezzo quartino di vino
bollito. Si faccia la gelatina con brodo e vino, cuocendo il pesce nel vino e nel suo brodo, e questa
gelatina basterà per dieci persone.
VII
La salsa per gli storioni è la camelina, che si fa così: si prendano zenzero bianco, chiodi di
garofano, cinnamomo e grani del paradiso, ciascuno per tre dramme, e poi pane non abbrustolito
ammollato nell‟aceto forte, e si prepari la salsa con agresta. Si può fare anche il sapore bianco, che
si prepara con un quarto di zenzero bianco, due oncie di mandorle dolci spellate e una testa
d‟aglio; si distemperi il tutto con verjus, cioè agresta, e brodo del pesce, si passi al setaccio e si
lasci bollire.
VIII
Salsa per murene e lamprede grosse arrostite: si prenda zenzero bianco, chiodi di garofano,
galanga e grani del paradiso, ciascuno per tre dramme, e una mezza pagnotta abbrustolita e
ammollata nell‟aceto; si diluisca tutto con il grasso del pesce e l‟agresta, e si lasci bollire. Oppure
si può preparare la gelatina più sopra descritta. E quanto detto per la lampreda, vale anche per la
murena.
IX
61
“Pisces bestiales” (dove bestialis è già impiegato nel senso traslato di “cattivo” in tutte le accezioni) erano
tutti quei pesci dalle carni non particolarmente appetibili perché dure o maleodoranti o troppo pesanti; si tratta
soprattutto degli squaloidei, ai quali appartiene il pesce porco (Oxynotus centrina), un piccolo squalo che non
supera i 20 Kg. di peso e che ha carni fra le più scadenti. Non escluderei però che il “porco marino”
dell‟Opusculum fosse qualche altro pesce un po‟ più apprezzato, magari un palombo.
52
Alimentazione in area Estense tra '400 e '500
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La salsa adatta per le anguille lessate o cotte in pastello, è lo stesso sapore bianco consigliato per lo
storione, ma al posto delle mandorle si impieghino le noci; oppure si faccia la salsa verde più sopra
descritta a proposito delle carni di castrato, specialmente se l‟anguilla si cucina arrosto; e lo stesso
dicasi per il grongo.
X
1. - Il sapore indicato per salmoni e trote lessate è la piperata gialla, così composta: si prenda pepe
e zenzero bianco, per tre dramme ciascuno, una mezza pagnotta abbrustolita – ma non nera –
intrisa nell‟aceto e nel brodo dei pesci, e due grani di zafferano al peso del frumento62; si
distemperi il tutto con il brodo di pesce e si lasci bollire.
2. - A salmoni e trote arrosto si addice una salsa di agresta o succo di arance amare con polvere di
spezie dolci, e così dicasi quando si cuociono in pastello.
XI
1. - La salsa adatta ai (…..) lessati è il sapore bianco così composto: si prenda un‟oncia di zenzero
bianco, una testa d‟aglio e mezza pagnotta intrisa di agresta, poi si stemperi il tutto con altra
agresta.
2. - Ma se si cucinano arrosto, la salsa indicata è quella verde di cui si è già parlato.
XII
1. - Per le triglie lessate, è indicata la salsa camelina più sopra descritta. E così dicasi per il capone.
2. - Ma se si fanno arrosto, la salsa conveniente è a base di vino, nel quale va sciolto dello zenzero
bianco; si versi nel pesce e poi si lasci bollire il tutto insieme; ma d‟estate, al posto del vino si può
mettere il verjus.
XIII
La salsa che si conviene ai temoli è il loro stesso brodo con polvere di spezie dolci.
XIV
La salsa adatta ai granchi è la salsa verde più sopra descritta, che va bene anche per la tinca lessata.
Ma la tinca da cuocere arrosto, si farcisca all‟interno con prezzemolo e polvere di spezie,
irrorandola di agresta dentro e fuori; e all‟agresta che si porrà all‟esterno, si aggiunga un poco di
olio di oliva. Allo stesso modo si farà con il pigo.
XV
La salsa più adatta alla carpa è la camelina con succo di arancia amara. Come si fa la salsa
camelina è già stato detto.
XVI
Ai pesciolini minuti si addice la salsa verde, oppure la mostarda dolce; ai granchi di fiume,
invece, l‟aceto con molto sale.
XVII
Per le ostriche fritte, la salsa giusta è l‟agresta con polvere di spezie. Ma si può fare anche il sapore
giallo bollito, più sopra descritto.
E tanto basti ad esaurire l‟argomento delle varie salse e sapori che si addicono ai diversi alimenti.
62
Il grano era la misura di peso minima, ed aveva questo nome perché nell‟antico sistema ponderale romano
corrispondeva alla pesatura di un chicco d‟orzo. 10 grani formavano un obolo, 2 oboli uno scrupolo, 3
scrupoli una dramma e via dicendo. Nel Medioevo il vecchio sistema perdurò soprattutto nel campo
farmaceutico, ma l‟introduzione di un nuovo rapporto con il grano di frumento (che pesa circa il doppio)
determinò in pratica l‟instaurarsi di due differenti sistemi. Il sistema ponderale adottato dalla scuola medica di
Salerno si basa sul grano di frumento, mentre il Liber ponderum attribuito a Costantino Africano, ad esempio,
si mantiene fedele al grano d‟orzo (Cfr. Piero Cantalupo Pesi e misure nella farmacopea medioevale – Annali
Cilentani, Quaderno 3 – Acciaroli (SA), 1995). La precisazione di Magnino è necessaria perché, a seconda
del sistema di riferimento, 2 grani di zafferano potevano pesare gr.0,100 (in grani di frumento) oppure gr.
0,042 (in grani d‟orzo).
53
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Appendice
DESCRIZIONE DEI MANOSCRITTI
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria Testo: Marianne
Mulon: Deux traités inédits d'art culinaire médiéval. (Del Tractatus sono
conosciute due versioni, contenute nei manoscritti latini 7131 e 9328 della
Biblioteca Nazionale di Parigi. Il primo si ritiene risalga all‟inizio del XIV secolo
e si vuole redatto a Parigi, mentre il secondo, databile tra il 1360 e il 1370,
parrebbe di origine italiana. – Traduzione Enrico Carnevale Schianca in “Appunti
di Gastronomia” n.XXVI – Condeco S.r.l. Editore
Manoscritto n. 226 della Biblioteca Victor de Cessoles, del Museo Massena
Nizza.
Il manoscritto è composto da due quaderni di diversa fattura e, almeno un
quaderno. il primo, sembra copiato da una fonte più antica di quella dell‟altro ed
anche più antica di quelle che hanno fornito il materiale per altri testi analoghi e
coevi.
Nulla suggerisce la datazione al XV secolo. L‟indicazione regionale è apodittica
ma inattendibile perché il ms. è composta da due quaderni provenienti da botteghe
diverse e che differiscono fra loro nel linguaggio e nella grafia.
Le ricette contenute nei due frammenti si possono attribuire ad ambiente senese
dugentesco anche se ci sono pervenute attraverso successive trascrizioni ed in
copie tarde, che ne hanno corrotto il linguaggio e talvolta, di errore in errore, il
contenuto.
(Giovanni Rebora – La cucina Medievale italiana tra Oriente ed Occidente- In
Miscellanea storica ligure – Anno XIX (1987) – n.1-2 – Estratto)
Manoscritto di Sheffield - Manoscritto inedito del primo Cinquecento. Il
manoscritto è stato redatto all‟inizio del XVI sec., ma è stato in parte copiato da un
originale del tardo Quattrocento, e parecchie delle ricette che vi sono contenute
ricalcano manifestamente modelli ancora più antichi, sicuramente anteriori al
1492.
Il manoscritto in questione, segnato R. 3550 e conservato presso la Ruskin Gallery
di Sheffield, contiene nelle sue 79 carte il più corposo ricettario medievale di
cucina in lingua italiana finora conosciuto. Le prime cinquanta carte, copiate negli
ultimi anni del Quattrocento probabilmente da un‟altra copia di un‟opera di molto
precedente, contengono sedici sezioni distinte, spesso chiamate pretenziosamente
trattati, un nucleo di 526 ricette, suddivise per argomento in: insalate, savori, salse,
spezie, agresti, frittelle, arrosti e piatti vari da dare „per tagliere‟, vivande per
schudelle, mostarde, paste, torte e minestre, ripieni, aceti, suchi dolci per erbate,
lattovarij e ancora polveri aromatiche per aceti; seguono, da c.47v. a c.49r., le
singolari
laude e comendationi e biasmi di magistro Andromachasso sopra
l‟arte de la cocina
e due liste cibarie di desinari. Le carte dalla 51 alla 64
ripropongono 94 ricette di Maestro Martino, cui seguono altre descrizioni di feste
e banchetti, con gli ordini del pasto.
54
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Libro per cuoco – Anonimo Veneziano del Trecento –
E‟ conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma, si tratta di un volumetto
membranaceo di carte 51, da assegnarsi, per quanto riguarda la scrittura, alla fine
del secolo XV, mentre, se si tiene conto della struttura linguistica del trattatello, la
composizione è da far risalire al Trecento. Fu dato alle stampe per la prima volta a
cura di Ludovico Frati, col titolo di “Libro di cucina del secolo XIV” (Livorno
1899), nella “Raccolta di rarità storiche e letterarie” diretta da G.L. Passerini.
“Libro per cuoco”è l‟intitolazione recenziore che fu posta in testa al manoscritto
originale sotto la data del 1741.
Anonimo Toscano, Libro della cocina (Ms. fine XIV secolo o inizi XV secolo)
Il “Libro della cocina” è contenuto in un codice miscellaneo che si conserva
presso la Biblioteca Universitaria di Bologna (n.158 del Catalogo dei Manoscritti).
Il codice è membranaceo, di complessive carte 101 in folio, a due colonne. Circa
la datazione del codice, lo Zambrini, lo assegnerebbe al finire del secolo XIV
oppure ai primissimi anni del susseguente.
Il “Libro della cocina” fu dato alle stampe per la prima volta più di cent‟anni or
sono, a cura di Francesco Zambrini con il titolo di: “Il libro della cucina del sec.
XIV. Testo di lingua non mai fin qui stampato.”. Il quale, nell‟atto di pubblicarlo,
tenne a dichiarare di esser mosso “dal desiderio di accrescere sempre più la messe
de‟ vocaboli, spezialmente domestici e di cose attinenti alle arti”, non già perché
avesse in animo di “porgere ammaestramenti di buona cucina”.
Mastro Martino – Ms.Urbinate Latino 1203 – Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana
Maestro Martino (Martino de Rubeis o de Rossi).
Poche le notizie biografiche, si sa che nacque a Blenio nel Canton Ticino prima
del 1450.
Negli anni compresi tra il 1460 e il 1470 è al servizio del patriarca di Aquileia
Il “Libro de arte coquinaria” parla per lui: è un cuoco che scrive per altri cuochi,
quindi le dosi degli ingredienti non sono sempre specificate e spesso le indicazioni
sono molto vaghe e relative (assai, pocho, secondo il bisogno, in maiore
quantità…). perché Martino confida nella sensibilità culinaria dei suoi lettori, che
paragona alla sua.
Mastro Martino – Ms. Buhler 19 – New York, Pierpont Morgan Library
Ai quattro ricettari che portano la firma di Martino deve venir assimilato il
manoscritto Buhler 19, noto come Anonimo Napoletano a causa delle inflessioni
dialettali che caratterizzano il suo lessico.
Vergato su carta alla fine del „400, con scrittura umanistica della Napoli
aragonese, il ricettario offre alcuni elementi che permettono di collocarlo in un
preciso ambito temporale e sociale grazie alla parte finale dove vengono elencati i
piatti serviti nel corso di alcuni banchetti ai quali intervengono i più illustri
personaggi del tempo, monsignor Ascanio, il conte Jeronimo, l‟arcivescovo di
Benevento, il Principe di Capua.
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Anna Fabbri
e-mail: [email protected]
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