COPERTINA 19/02/2009
26-02-2009
15:47
Pagina 1
Direzione Regionale
Liguria
Regione Liguria
Di.S.A.
Università degli Studi
di Genova
Infortuni e malattie professionali
Cosa ne pensano i lavoratori?
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 1
Direzione Regionale
Liguria
Regione Liguria
Di.S.A.
Università degli Studi
di Genova
Infortuni e malattie professionali
Cosa ne pensano i lavoratori?
Ricerca per conto di Regione Liguria e INAIL
responsabile scientifico
prof. Salvatore Palidda
coordinatore della ricerca
dott. Gianfranco Quiligotti
2008
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 2
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 3
Indice
Perché questa ricerca
pag.
5
Premessa del responsabile scientifico
pag.
7
Breve sintesi della ricerca
pag.
9
Introduzione
pag.
13
Alcune considerazioni teoriche
pag.
21
Selezione delle risposte ai questionari e alle interviste
pag.
29
La ricerca a Genova e nella regione
pag.
45
La Spezia - Nautica da diporto e militare
pag.
55
Percezione del rischio nel settore sanitario
pag.
63
La ricerca in provincia di Imperia
pag.
69
Ricchezza e lati oscuri dell’agricoltura nel ponente ligure
pag.
75
La ricerca in provincia di Savona
pag.
83
La sicurezza sul lavoro nei media liguri
pag.
93
La “cultura della sicurezza” al tempo della precarietà: appunti
pag. 103
La nostra ricerca e le altre
pag. 109
Conclusioni
pag. 113
Allegati
pag. 117
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 4
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 5
Perché questa ricerca
Innanzi tutto perché oggi i problemi della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro
sono sempre più all’attenzione di tutta la collettività: istituzioni, parti sociali, mondo del
lavoro, opinione pubblica. In particolare l’attenzione è rivolta agli infortuni sul lavoro e,
soprattutto, al novero di quelli con esito mortale, da tempo utilizzato dai media come
indicatore delle condizioni di lavoro in molti settori di attività. Ciò avviene in Liguria e in
tutto il Paese non tanto a causa di un aumento del tasso di mortalità sul luogo di lavoro
(i dati ufficiali evidenziano in realtà il contrario), quanto perché evidentemente la coscienza collettiva è meno disposta ad accettare questi eventi.
Nelle strategie adottate e nel percorso comune intrapreso in Liguria, Regione e INAIL
hanno puntato sulla convinzione che per la messa a punto di procedure articolate inerenti la prevenzione e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sono determinanti la conoscenza, il sapere collettivo, la cultura sempre più diffusa della prevenzione
e del diritto a un lavoro sicuro e “legale”.
In tale ambito, nella prospettiva di organizzare campagne comunicative su questi
temi il più possibile mirate e focalizzate sui problemi di larghe fasce di lavoratori, si è
ritenuto opportuno approfondire la percezione che i lavoratori stessi e l’intero mondo
del lavoro hanno dei rischi, dei propri diritti e dello stato delle tutele.
Si è pensato, in sostanza, che un sondaggio su un campione di lavoratori e di soggetti coinvolti in questi temi fosse utile per capire meglio le esigenze, indirizzare in modo
più efficace gli interventi delle istituzioni e le azioni informative.
Quanto descritto in questo rapporto evidenzia che l’obiettivo è stato raggiunto: gli
ingenti materiali raccolti e il lavoro svolto dal gruppo di ricerca forniscono spunti molto
interessanti per un’analisi efficace delle misure da adottare e della realizzazione sul
campo dei vari interventi.
In un momento così difficile per il mondo del lavoro italiano è evidente che non tutto
ciò che emerge dalla ricerca rappresenta una sorpresa: alcuni aspetti risultano invero
inaspettati mentre altri trovano una chiara conferma. Il sentimento diffuso tra i lavoratori è che il mercato del lavoro, così come concepito oggi, a dispetto della tecnologia e
dell’evoluzione normativa, porta a una tolleranza non più accettabile dei rischi per la
sicurezza e per la salute. È estesa la sensazione di non essere difesi abbastanza dalle
istituzioni, considerate da molti come avulse, lontane o poco “amiche”. È diffusa la percezione di quanto siano difficili i “rapporti” interni al mondo delle imprese, tra lavoratori e datori di lavoro e al tempo stesso è diffusa la convinzione che è indispensabile un
diverso approccio collettivo alle possibili soluzioni. Inoltre, in una parte del mondo del
lavoro, quello sempre più ampio delle micro e piccole imprese, lavoratori e datori spesso si sentono “sulla stessa barca”.
I risultati di questa indagine costituiscono quindi motivo e materia di riflessione per
innovare e intensificare le iniziative possibili, suggerendo la necessità di aggiornare sia
la quantità sia la qualità dei provvedimenti finora adottati dalle istituzioni e probabilmente non solo da loro.
Le parole, le impressioni, le opinioni e le esperienze dei protagonisti rappresentano
fonti essenziali per decidere, tutti insieme, ognuno nell’assunzione delle proprie responsabilità e dei propri ruoli, “che fare”: che fare per migliorare le condizioni di lavoro e di
vita sul lavoro, che fare per migliorare il rispetto delle norme e più estensivamente per
contribuire a rafforzare le tutele e i diritti nonché a riaffermare la dignità individuale e collettiva.
5
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 6
Al tempo stesso emerge da queste pagine con maggior forza che, nella complessità
delle azioni che costituiscono la prevenzione, sono sempre più indispensabili quelle che
si giocano sul terreno dei cambiamenti culturali e che proprio nell’informazione, nella
comunicazione e nell’espressione di una reale capacità di governo locale trovano
momenti fondamentali.
Il tempo misurerà se gli impegni che questa ricerca induce a rafforzare e che le istituzioni intendono assumersi a pieno titolo saranno mantenuti e produrranno effetti
positivi.
L’Assessore alle Politiche attive
del lavoro e della occupazione, Politiche
dell’immigrazione, Trasporti e Porti
Giovanni Enrico Vesco
L’Assessore alla Salute, Politiche
della sicurezza dei cittadini
Claudio Montaldo
Il Direttore Regionale INAIL
Emidio Silenzi
6
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 7
Premessa del responsabile scientifico
Quando i committenti di questa ricerca mi hanno chiesto la disponibilità a realizzarla,
con franchezza ho subito espresso le mie perplessità: serve veramente spendere fondi
per un’indagine i cui risultati, come succede spesso, rischiano di finire in un fondo di cassetto? Non sarebbe meglio spenderli direttamente per migliorare lo stato delle tutele
concrete rispetto ai rischi di infortuni e malattie professionali? Con quale faccia ci presentiamo ai lavoratori per chiedere di collaborare a una tale ricerca quando si sa che si
sentono abbandonati alla mercé dell’assenza effettiva di tutele e sanno che ogni giorno
almeno tre loro compagni perdono la vita, altre decine restano infortunati e migliaia contraggono malattie? Ho quindi chiesto se si voleva fare una ricerca seria, cioè diversa da
quelle che ripetono le solite cose note, i vecchi e nuovi luoghi comuni, le retoriche ipermediatizzate, dando voce, senza alcuna censura ma anche senza populismo, a chi non
appare sulla scena pubblica abituale. S’è allora manifestata una sincera e forte disponibilità da parte dei committenti a cui ha corrisposto da parte mia e dei ricercatori impegnati in questo lavoro un impegno non solo professionalmente rigoroso ma anche eticamente consapevole. Ci teniamo a ricordarlo: non si può - e non si dovrebbe- fare ricerca su un fenomeno così grave, anzi, come cercheremo di mostrare, ancora più grave di
quanto si pensi correntemente, se non se ne assume la dimensione etica che per noi si
traduce nell’impegno a capire con rigore scientifico l’oggetto di questa indagine. Una
prova tangibile dell’empatia che s’è realizzata fra molti intervistatori e i lavoratori e altri
intervistati l’abbiamo avuta con le telefonate che successivamente alcuni intervistati
hanno fatto a membri della nostra equipe per chiedere aiuto, tutele, consigli o per denunciare i rischi che stavano correndo. Come vedremo anche nel video, la domanda di aiuto
è forte, ma purtroppo non sta a noi trovare risposte se non cercando di svolgere seriamente questa ricerca che speriamo sia utile.
Una piccola informazione mi preme fornire ai lettori: tutto il contributo finanziario
ricevuto per questo lavoro è stato speso solo per pagare i giovani ricercatori e intervistatori che purtroppo non hanno alcun lavoro fisso.
Non è quindi formale ma sincero il ringraziamento che esprimo sia ai lavoratori che
ci hanno concesso il loro tempo libero per farsi intervistare talvolta a più riprese e con
video-registrazioni, ai ricercatori e intervistatori che con pazienza e passione hanno realizzato l’indagine, ai committenti che hanno seguito e discusso le varie tappe di questo
lavoro dei cui limiti ed errori mi assumo la responsabilità.
Salvatore Palidda
7
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 8
Credits:
Il rapporto finale è stato scritto da Gianfranco Quiligotti e da Salvatore Palidda
riprendendo i contributi di Andrea Macciò, Nazarena Lanza e Claudia Dani.
La ricerca sul campo ed il relativo rapporto sono stati realizzati:
- a Genova e La Spezia da G. Quiligotti
- a Savona da A. Macciò
- a Imperia da N. Lanza
La rappresentazione del fenomeno sui media liguri è di C. Dani.
La realizzazione delle video-interviste è di Michele Ruvioli e di Lorenzo Navone.
La realizzazione delle interviste e la somministrazione dei questionari sono state
effettuate da:
Silvia Cogno, Massimo Crociani, Sara Daltani, Bianca Maria Del Sorbo, Fabrizio
Dentini, Manuela Fragomeni, Sara Gambino, Maddalena Monforte, Emanuele
Gramaglia, Morgane Le Vaillant, Lorenzo Martellacci, Silvia Merello, Antonella Migone,
Ilenia Monterosso, Silvia Mucci, Arianna Novelli, Simone Peretti, Franco Revelli, Andrea
Roncarolo.
La ricerca rientra tra le finalità del Protocollo d’intesa Regione – INAIL in materia di
prevenzione, igiene, sicurezza e qualità del lavoro coordinato dal Tavolo Tecnico:
Claudio Calabresi, Rosanna La Mattina, Carlo Zecchi
Direzione Regionale Inail
Remo Rimotti, Giuseppina Vandini
Regione Liguria - Dipartimento Ricerca, Innovazione, Istruzione, Formazione, Lavoro e
Cultura
Maura Nannini, Paola Oreste
Regione Liguria - Dipartimento Salute e Servizi Sociali
8
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 9
Breve sintesi della ricerca
Cosa pensano i lavoratori? Una ricerca in Liguria
Negli ultimi anni, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono tra le tragedie più mediatizzate. Secondo alcuni la nuova e continua attenzione dei media è un
fatto indiscutibilmente positivo che ha favorito la nuova legge e aumentato l’interessamento di tutte le autorità e le istituzioni sociali implicate in tale campo. Ma qual è la percezione dei rischi, dei diritti e delle tutele riguardanti gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali fra i lavoratori e i datori di lavoro?
Può sembrare una domanda retorica o comunque poco utile dopo i numerosi reportages e documentari che di recente hanno cercato di dare voce finalmente ai diretti interessati. Tuttavia, i risultati della ricerca realizzata su richiesta dell’INAIL e della Regione
Liguria dimostrano che è fondamentale cercare di capire cosa pensano i lavoratori e i
datori di lavoro e soprattutto non dare per scontati i significati delle loro rappresentazioni perché, seppur contradditori, possono corrispondere a effettivi comportamenti.
Questa ricerca è stata realizzata grazie all’impegno di venti giovani ricercatori il cui
coinvolgimento e la cui immedesimazione nella causa dei lavoratori si sono dimostrati
tali che, a ricerca ultimata, questi ultimi hanno continuato a telefonare loro per segnalare situazioni di alto rischio. Chi fa ricerca non deve fornire indicazioni operative in base
ai risultati raccolti né appiattirsi sulle opinioni raccolte; di conseguenza ci siamo limitati a raccontare in sintesi cosa pensano i lavoratori, alcuni datori di lavoro e altri soggetti coinvolti nel campo della sicurezza ben sapendo che le rappresentazioni della realtà
da parte di ogni persona non sempre corrispondono alla realtà “effettiva”. Come insegnano alcuni autori (fra i quali Simmel e Goffman), infatti, ognuno si costruisce la propria idea di realtà che spesso è simile a quella delle persone che vivono le stesse esperienze di vita.
Nella nostra ricerca abbiamo utilizzato questionari aperti e interviste a lavoratori,
datori di lavoro e “testimoni privilegiati” in tutte le province liguri (per un totale di 530
persone ascoltate), privilegiando alcuni settori e situazioni. Il lettore potrà scoprire che
a volte il capocantiere o il datore di lavoro finisce per dire le stesse cose dei lavoratori
e viceversa, anche se la lontananza di opinioni è più frequente. Ma anche tra i lavoratori si constata una certa frattura che separa chi è più tutelato da chi non ha alcuna protezione, malgrado i primi siano spesso a rischio quanto gli altri, soprattutto dove l’ibrido fra grandi imprese e subappaltati accentua i rischi. È stato inoltre interessante osservare che molti “testimoni privilegiati” (RLS, sindacalisti, ispettori, operatori ASL, ecc.)
esprimono la stessa frustrazione e impotenza dei lavoratori. Tuttavia, in diversi casi, fra
gli operatori della sicurezza e i lavoratori sembra profilarsi una certa lontananza: i primi
si sentono isolati, quasi “donchisciotteschi” nei loro intenti, mentre i secondi spesso
pensano di essere abbandonati a se stessi. In effetti, la comunicazione fra chi vorrebbe
vedere l’applicazione delle norme previste e chi è nella condizione di reclamarla sembra a volte inesistente o è nei fatti impraticabile; queste difficili o mancate relazioni
potrebbero essere uno dei fattori principali alla base della sensazione di “impotenza”
provocata dalla difficoltà a modificare positivamente le condizioni di lavoro
Le risposte ottenute sono ovviamente variegate; proviamo a riassumerle.
9
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 10
La banalità o la normalità del rischio
Per alcuni la situazione è senz’altro migliorata ma per molti altri è peggiorata; un
aspetto che tuttavia sembra rappresentare una costante è l’idea che il lavoro in certi
settori o ambiti professionali porti necessariamente con sé una sorta di rassegnazione
implicita - forse più inconsapevole che consapevole - a eventuali infortuni e malattie
professionali ... Quasi una questione di “fato”, di destino cinico e comunque insondabile, di rischio insito nella vita stessa. Così qualcuno dice: “La mia paura è che si produca abitudine all’idea che uno può andare a lavorare e rischiare la vita”. Al fatalismo si
può accompagnare l’idea in base alla quale sarebbe “... normale che molte norme di
sicurezza vengano, diciamo, dimenticate” e poi l’illusione più diffusa: “Tanto a me non
succede …” a cui si collega non tanto la generica “distrazione” quanto piuttosto “l’abitudine ad avere tanta, troppa confidenza con le macchine”. Di conseguenza, mentre
alcuni affermano che rischiano di più “le persone più esperte che si fidano troppo degli
attrezzi e sono troppo sicure di sé”, altri pensano che i più a rischio siano i giovani senza
“cultura del lavoro e della sicurezza” o “che non hanno dormito o hanno consumano
sostanze ...” e, sempre, i lavoratori senza formazione, in particolare gli immigrati. Per
alcuni l’iper-mediatizzazione degli incidenti sul lavoro è un fatto assai positivo mentre
secondo altri rischia di avere l’effetto perverso di banalizzare il fenomeno. Esattamente
come per la droga, gli incidenti stradali o i disastri ambientali, tutte problematiche che
non cessano di riprodursi o persino di aggravarsi, ma sulle quali sembra esserci un’opinione praticamente unanime anche se oscillante dalla “riduzione del danno” sino alla
“tolleranza zero”.
I rischi come conseguenze dello sviluppo economico degli ultimi vent’anni
Nessuno sembra collegare la percezione dei rischi del lavoro con le paure e le insicurezze attribuite alle guerre, ai terrorismi, alla criminalità, sempre più agitate dai media
e dalle stesse autorità politiche e amministrative a livello locale, nazionale e mondiale.
Ma non pochi esprimono in maniera più o meno esplicita la convinzione che oggi i rischi
del lavoro sono dovuti soprattutto alle conseguenze dello sviluppo economico che si è
imposto in questi ultimi due decenni. Così un capocantiere edile dice: “È una specie di
piccola guerra e i campi di battaglia sono i tempi di lavoro, i costi e le spese ...”. Un
operaio edile afferma: “[la situazione] forse è peggiorata. Perché con lo sviluppo della
tecnologia e della cultura di oggi ci dovrebbero essere meno incidenti e morti. Se tutto
è come prima allora vuol dire che si sta peggio”. Un altro operaio non ha dubbi: “... troppa pressione sulla gente che lavora, troppe ore e la fretta di finire il lavoro da fare ...
diciamo che i cantieri sono abbastanza sicuri, soprattutto all’inizio dei lavori, poi però
man mano che il lavoro va avanti, la sicurezza è sempre minore fino ad arrivare al punto
in cui si deve terminare e la sicurezza sparisce del tutto e tu ti infili in dei posti in cui
neanche ti pagassero oro ti azzarderesti ad andarci ... eppure lo fai lo stesso, perché sei
costretto ... lo devi fare”. E tanti segnalano le caratteristiche del nuovo modello di sviluppo: “per poter lavorare e trovare lavoro bisogna essere competitivi”. “La fretta, la
premura sono le cause ... e non vanno d’accordo con la sicurezza. Se stai attento lavori troppo piano” (operaio del porto). “Molte volte le cause sono la stanchezza prima di
tutto, che porta alla disattenzione ... fare più in fretta possibile, il lavoro deve essere finito entro tot e piuttosto che non tornare a lavorare il giorno dopo, dici la classica frase:
“Diamoci una botta” e da lì magari può nascere un infortunio”. “I datori di lavoro mettono pressione per finire un lavoro e magari impongono due, tre ore di straordinario al
giorno e una persona arriva stanca e succedono gli infortuni”. “Per incrementare la pro-
10
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 11
duzione e i loro facili guadagni non guardano in faccia a nessuno” (operaio dei trasporti). “Fare cento aeroplani e avere trenta morti? Non è meglio fare ottanta aeroplani e
avere trenta vivi?” (metalmeccanico). “I salari sono bassi, per aumentarli un po’ devi per
forza fare straordinari. Lo stress può causare infortuni, è un conto se arrivi alle sei del
mattino, fresco come una rosa e te ne vai a mezzogiorno … un altro se fai il turno del
mattino e ti richiamano per la notte” (lavoratore del porto). “Aumento della produttività
e la tendenza ad aumentare l’orario oltre le 48 ore settimanali”. Le persone più a
rischio? “L’extracomunitario che non vuole stare fermo, non può permettersi di stare a
casa e cascasse il mondo lui va a lavorare. Gli extracomunitari oltre a dover mantenere una famiglia vengono pagati pochissimo rispetto a noi italiani e cercano quindi di
lavorare il triplo solo per guadagnare lo stesso nostro stipendio” (metalmeccanico).
“Sicuramente gli stranieri che non sono in regola. Sono quelli che hanno più paura di
rimanere senza lavoro e quindi accettano tutto”. “I neo-assunti e gli interinali sono più
a rischio di infortuni ... per non parlare degli stranieri e dei lavoratori in nero, perché
sono più ricattabili (operaia). “Si é costretti a chiedere ai propri lavoratori sforzi sovraumani ... manco fossero dei super eroi” (capocantiere). “C’è troppo lavoro nero e anche
cantieri senza contratto”. “Noi lavoriamo sempre con la paura ...” (operaio immigrato).
Le conseguenze dei cambiamenti nel lavoro sono pervasive e colpiscono anche i
lavoratori più tutelati. Come denunciano fra altri i lavoratori di grandi aziende, le lavorazioni tendono sempre più spesso a sovrapporsi, per cui si deve lavorare a fianco dei
lavoratori delle imprese subappaltatrici, che sono costretti a ignorare le norme di sicurezza: di conseguenza il rischio di infortuni e malattie professionali si estende a tutti i
lavoratori, erodendone i diritti.
La sensazione di impotenza e la crisi dell’azione collettiva (e del potere contrattuale)
Alcuni lavoratori sembrano aver acquisito consapevolezza del fatto che, se il nuovo
sviluppo economico comporta un incremento in termini di produttività, flessibilità, competizione, ma anche di precarizzazione, ricatti e lavoro nero a discapito della sicurezza,
ciò è una conseguenza di un loro potere contrattuale significativamente indebolito.
Come osserva un metalmeccanico “un grandissimo problema: l’incomunicabilità ... non
esiste più una coesione tra gli operai ... oggi siamo milioni di ditte differenti e la coesione è praticamente inesistente. Poi c’è l’extracomunitario che non può permettersi di
stare a casa ... ormai non arrivi a fine mese e per fare dei soldi ti tocca andare a lavorare a rischio ... io potrei anche scioperare, ma per mantenere una famiglia non puoi
permettertelo”. A questo aspetto si collegano le opinioni che reclamano più tutela da
parte delle istituzioni, sconosciute o criticate, perché “non si vedono mai” o “sono probabilmente corrotte”, un biasimo che frequentemente si estende ai sindacati. “Il sindacato si faccia sentire con i datori di lavoro, questi qua devono capire che se noi stiamo
meglio, lavoriamo meglio, produciamo di più” (metalmeccanico). “In sette anni io non
ho mai visto nessun controllo, neanche sapevo che ci fosse uno che dovrebbe controllare la zona”. “Per uno che costruisce un palazzo o una casa che si vende a ottomila
euro al metro, fargli pagare una multa di un metro quadrato è una cosa assolutamente
ridicola”. “Sono intervenuta per dire: cerchiamo di ridurre il rischio, invece che monetizzarlo … sono stata accusata di non voler fare ottenere risultati economici ai lavoratori
…”. “Ho fatto il corso sulla sicurezza. Ma cosa fare a distanza di anni un corso di cinque ore ... il tutto sembra una enorme farsa. A che serve conoscere le norme di sicurezza a memoria se poi effettivamente non si fanno rispettare?” (capocantiere edile).
11
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 12
Come possono non moltiplicarsi i rischi, i pericoli e le insicurezze se alcune delle
cause che li producono continuano a peggiorare? Il lavoratore che non dispone di risorse e capacità di agire per la sua tutela non può che constatare la propria impotenza. Il
pericolo non è solo quello degli infortuni che, come osservano gli intervistati, spesso
colpiscono gli stessi segmenti di attività e lo stesso tipo di lavoratori. Come ricordano
alcuni, infatti, gli infortuni non devono far dimenticare il rischio di malattie che in tanti
casi conducono alle morti lente o invisibili. Non è tutto: i rischi di infortuni e malattie professionali non sono forse un problema politico di primo piano perché riguarda tutta la
società? Alcuni lavoratori sono diventati assai sensibili a questa problematica e non
solo per i costi personali che comporta. La consapevolezza degli intrecci tra insicurezza sul lavoro, produzione di merci nocive per la salute, inquinamento ambientale è probabilmente una frontiera da cui partire per sensibilizzare e sollecitare l’impegno diffuso
ed effettivo a favore dell’aumento delle tutele e contro i rischi per la salute. La mobilitazione della società locale, allora, potrà forse compensare l’indebolimento dell’azione
collettiva dei lavoratori che oggi si sentono lasciati soli. La domanda di mobilitazione
collettiva per la sicurezza sul lavoro può forse avere qualche speranza di successo solo
se si tradurrà in un’ampia azione pubblica che rivendichi l’effettivo esercizio dei diritti di
tutti: non solo delle fasce protette, ma anche dei lavoratori più deboli che rischiano
maggiormente e che di fatto finiscono per mettere a repentaglio anche le tutele dei colleghi più tutelati, oltre che dell’ambiente in cui viviamo, delle merci e dei prodotti che
tutti consumiamo.
12
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 13
Introduzione
A seguito delle prime discussioni coi rappresentanti dei committenti (INAIL,
Regione) sulla problematica e sugli obiettivi della ricerca abbiamo precisato i punti
seguenti:
a) per percezione dei rischi intendiamo qui non solo ciò che i lavoratori pensano in
generale a proposito degli incidenti sul lavoro, ma anche la loro percezione delle cause,
dei contesti, su chi sarebbero i soggetti più a rischio, quindi su come, quando e dove
pensano di rischiare di più, su come pensano si possa prevenire. Ci è apparsa allora
importante non solo la semplice raccolta di opinioni dei singoli lavoratori nei diversi settori e nelle diverse zone della regione, ma anche un’indagine approfondita in grado di
ricostruire la rappresentazione sociale di questi aspetti. L’idea del singolo, infatti, è
sempre comune a quella della sua cerchia sociale e professionale, ossia è il risultato di
una costruzione sociale. In ogni dato segmento della società (dalla “socializzazione primaria” a quella “secondaria”) si formano rappresentazioni che riguardano tutti i diversi
aspetti della vita e quindi anche ciò che concerne il lavoro e il rischio di infortuni e malattie. Il comportamento del singolo rispetto al rischio corrisponde sempre alla sua “mentalità” e modalità di agire derivanti dal suo personale percorso di vita, ma questo stesso percorso e il suo comportamento sono fortemente influenzati dalle interazioni con le
persone con cui intrattiene maggiori relazioni nei diversi momenti della sua vita quotidiana (oltre che dal “comune sentire” influenzato dall’opinione dominante più o meno
mediatizzata, a volte con effetti perversi, ossia opposti al senso dei messaggi diffusi).
Non va per esempio trascurata la correlazione oggi esistente fra ignoranza o negligenza rispetto agli incidenti domestici e ignoranza o negligenza rispetto agli infortuni sul
lavoro come negli altri momenti della vita sociale (a riprova che la questione sicurezza
non può essere considerata solo in termini specifici di settore di attività o di categoria
professionale, di età, di genere o di altre variabili). Allo stesso tempo, il contesto e la
congiuntura (in generale il frame) sono spesso determinanti nel senso che in certe situazioni l’esposizione al rischio si rivela più elevata malgrado il quadro formale sembri
dover assicurare più tutele. Non fa parte del nostro lavoro indagare sulla correlazione
fra il comportamento rispetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro e la concezione della
salute e quindi della sanità individuale e collettiva o pubblica. Non manca tuttavia lo stimolo che questa ricerca suggerisce a proposito di come nella nostra società si pensi e
si pratichi la prevenzione sanitaria, la prevenzione degli incidenti stradali, quella degli
incidenti domestici e quella degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
b) per percezione dei diritti intendiamo qui la conoscenza delle norme riguardanti la
sicurezza del/nel lavoro, ossia ciò che le istituzioni e gli operatori del settore inglobano
nella “cultura della sicurezza”. Com’è noto agli addetti del settore, questo aspetto è
molto più complesso di quanto i “comuni mortali” immaginino poiché riguarda non solo
la molteplicità di conoscenze tecniche inerenti la messa in sicurezza delle strutture e
delle infrastrutture di tutte le attività e l’esperienza specifica di ogni lavoratore, ma
anche tutto ciò che concerne l’intero contesto in cui tali attività si inseriscono, tutte le
abitudini e i comportamenti dei lavoratori nel loro quotidiano e infine gli stessi prodotti
del lavoro (che quindi investono la sicurezza e la sanità dell’intera società). È ovviamente importante innanzi tutto la conoscenza dei diritti di cui è titolare ogni lavoratore in
materia di sicurezza della sua attività. Ma è evidentemente altrettanto importante e forse
13
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 14
ancora più incisivo che la consapevolezza dei propri diritti sia percepita come un tutt’uno con quella dei diritti alla sicurezza collettiva che riguarda sia il lavoratore fuori dal
lavoro (come consumatore o abitante di una determinata società locale) sia i suoi stessi familiari e amici; oltre al caso dei prodotti di largo consumo, l’esempio più eclatante
è quello del mancato rispetto delle norme ambientali che finisce per colpire tutti. Infine
è necessario considerare anche il noto aspetto economico, ossia l’incidenza notevole
del costo degli infortuni e delle malattie professionali sulla spesa pubblica.
È poi importante capire come sensibilizzare maggiormente i datori di lavoro che a
volte si rivelano poco consapevoli non solo dei rischi di sanzione ma anche del pericolo di sopravvivenza della loro attività e che spesso non conoscono i diritti e i vantaggi
che possono ottenere rispettando le norme di sicurezza.
Nell’ambito dei diritti non va trascurata l’eventuale critica agli abusi o agli illeciti che
periodicamente danneggiano l’immagine delle istituzioni del settore (per esempio i “falsi
incidenti” o le “false malattie”).
c) per percezione delle tutele intendiamo qui la conoscenza degli enti, delle istituzioni e
dei soggetti che concretamente possono o devono (o dovrebbero) garantire la difesa della
sicurezza del lavoro. Cosa fare, come fare, a chi rivolgersi? È evidente che la questione
riguarda in generale la tutela dei lavoratori e delle attività: laddove il mancato riconoscimento dei diritti elementari lascia spazio al ricatto, il lavoratore è inevitabilmente alla
mercè di condizioni di lavoro insicure ad alto rischio d’infortunio e di malattie. Ed è ovvio
che tale situazione è di estrema gravità nelle attività che si situano nell’universo delle economie sommerse e semi-sommerse. La forte segmentazione eterogenea e instabile che
ha caratterizzato lo sviluppo economico degli ultimi due decenni ha accentuato la diffusione di condizioni lavorative precarie anche nelle attività apparentemente lecite: minaccia di licenziamenti o di chiusura attività, esasperazione della produttività, della flessibilità
e della competitività, proliferazione del subappalto a cascata, del pseudo-artigianato,
boom delle “partite IVA” anche all’interno delle grandi imprese e così via. È quindi difficile pensare una tutela della sicurezza del lavoro al di fuori di un vero e proprio processo di
risanamento complessivo del paese. Ma la stessa costruzione di un tale progetto non può
che partire dalla realtà effettiva vissuta da datori di lavoro e lavoratori e dai contesti in cui
operano. Appare perciò assai importante capire come gli uni e gli altri e il loro contesto
sociale percepiscono la possibilità di tutele e quindi come potrebbero recepire innovazioni o una nuova sperimentazione della sicurezza meglio adeguata a tali realtà.
Come vedremo in seguito, molto spesso nelle interviste s’è parlato di leggi e norme
e della loro incidenza dal punto di vista della percezione delle tutele. Allo stesso tempo
affronteremo il fenomeno del business della sicurezza, ossia delle società e degli studi
di consulenza che offrono “pacchetti-chiavi in mano” per la messa a norma di ogni tipo
di attività. Infine, ovviamente, non abbiamo escluso la percezione degli attori istituzionali e non, identificati spesso come gli agenti che svolgono o dovrebbero esercitare un
ruolo di primo piano nella garanzia delle tutele.
Riassumendo il significato dei tre punti sopra esposti, ricordiamo che per percezione bisogna intendere soprattutto la rappresentazione di sé, degli altri e della realtà che
ogni essere umano si costruisce attraverso la sua esperienza di vita e cioè le interazioni che continuamente vive. Ne consegue, spesso, che le rappresentazioni degli uni possono essere in contrasto se non opposte a quelle degli altri e non solo per ragioni di
interessi opposti (fra datori di lavoro e lavoratori) ma anche a causa di condizioni specifiche diverse. Così, un lavoratore di un settore o di un’attività in cui si sono verificati
numerosi infortuni o casi di malattia tenderà a pensare che la situazione sia dappertut14
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 15
to e per tutti gravissima, mentre è noto che le differenze fra settori e tipi di attività e posizioni lavorative sono notevoli. Lo stesso vale per chi pensa “oggi si muore più di prima”,
fatto evidentemente non vero1. In altre parole, questa ricerca non serve a stabilire la
verità sulla effettiva realtà degli infortuni e malattie professionali2, bensì a dar
conto delle molteplici percezioni dei lavoratori e datori di lavoro poiché queste
corrispondono al loro vissuto concreto e quindi a vari comportamenti abituali che
ovviamente non sono gli stessi per tutti.
Metodo, strumenti e piano della ricerca
Per riuscire a raccogliere e quindi analizzare le percezioni dei lavoratori potrebbero
essere ipotizzati vari tipi di indagine che, impiegando diversi strumenti, producono risultati che possono essere utilizzati come complementari (ovviamente con costi più elevati):
- il sondaggio telefonico con metodi standardizzati su campioni calibrati in base alle
statistiche disponibili;
- l’inchiesta con grandi quantità di questionari con risposte chiuse (sempre su campioni calibrati in base alle statistiche disponibili);
- l’inchiesta con grandi quantità di questionari con risposte a scelta (su campioni -più o
meno ampi- calibrati in base alle statistiche disponibili);
- l’inchiesta (di tipo qualitativo) con una quantità relativamente contenuta di questionari con risposte aperte (su un campione contenuto ma sempre calibrato in base alle statistiche disponibili);
- le interviste a “testimoni privilegiati” su un campione ridotto ma calibrato in base a
informazioni e conoscenze disponibili agli addetti del settore (secondo il metodo etnografico da parte di ricercatori appositamente preparati che realizzano anche l’osservazione “partecipante”);
- osservazioni sul campo secondo il metodo etnografico da parte di ricercatori appositamente preparati (osservazione “partecipante”).
Da decenni gli autori più accreditati nelle scienze politiche e sociali hanno superato le contrapposizioni artificiose o interessate fra metodi genericamente definiti “quantitativi” e metodi “qualitativi”3. Se è evidente che una saggia articolazione fra i due metodi può dare risultati assai soddisfacenti, è anche opinione prevalente che, rispetto
all’approccio quantitativo, l’indagine di tipo qualitativo permette di interpretare in modo
più approfondito i risultati poiché fornisce chiavi di lettura meno generiche di quanto
1
Ricordiamo che il trionfo della modernità, cioè la rivoluzione industriale sino al boom economico degli anni
’60 produce anche il suo “lato oscuro”: decine di migliaia di morti sul lavoro, milioni di disabili e di malati,
immensi danni ambientali, quasi un’ecatombe da “guerra per il progresso” che continua; oggi la maggior parte
della catastrofe umana e ambientale dello sviluppo si produce soprattutto in Asia, in Africa, in America Latina.
Ovviamente non si tratta di credere alle tesi apocalittiche, ma basta attenersi ai rapporti ufficiali della Comunità
europea e dell’Onu, come a certi dossier quali quelli riguardanti la situazione in Cina, in India, senza dimenticare le realtà gravi che esistono anche in Italia.
2
Anche perché esistono solo e sempre tante verità; la “verità assoluta” non ha significato in queste materie.
3
Un ottimo esempio di ricerca qualitativa non in antitesi con quella quantitativa può essere considerato quello
realizzato dall’équipe diretta da P. Bourdieu, a cura di, La misère du monde, Seuil, 1993. Sulle questioni metodologiche, fra altri si vedano: H.S. Becker, I trucchi del mestiere. Come fare ricerca sociale, il Mulino, 2007; D.
Demazière, C. Dubar, Dentro le storie. Analizzare le interviste biografiche, Cortina, 2000; Dal Lago, De Biasi,
Introduzione a; Id., a cura di, Un certo sguardo. Introduzione, all’etnografia sociale, Laterza, 2002; E. Goffman,
La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, 1997; Id., Modelli di interazione, il Mulino, 1978; Id., Il rituale dell’interazione, il Mulino,1982.
15
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 16
inevitabilmente possa scaturire dal solo dato raccolto attraverso metodi di sondaggio o
di inchiesta a tappeto. Oltre a queste considerazioni v’è ovviamente l’aspetto finanziario: per usare contemporaneamente tutti gli strumenti occorrono risorse cospicue.
Allo stesso tempo, come suggeriscono numerose esperienze, è possibile equilibrare l’uso di alcuni strumenti per ottenere risultati soddisfacenti a costi sicuramente più
contenuti rispetto a quelli sostenuti dalle mega-indagini.
Tenendo conto delle richieste dei committenti abbiamo proposto – e condiviso con
gli stessi - un’ipotesi di piano di indagine che comunque esclude il sondaggio di opinione (via telefono) poiché il tema e lo scopo della ricerca vanno ben oltre l’obiettivo di
fornire indicazioni a una semplice campagna di propaganda; si tratta infatti di usare i
risultati raccolti ed elaborati per azioni mirate a segmenti ben definiti della popolazione
oltre che a operatori del settore.
Il disegno della ricerca
L’indagine si è articolata nel mondo seguente:
a) somministrazione di questionari con risposte aperte a un campione di persone
relativamente contenuto ma calibrato sulla base delle indicazioni del committente; per
ogni questionario (si veda in allegato la lista delle domande) l’intervistatore ha compilato anche un’apposita scheda in cui ha annotato tutte le osservazioni significative sull’intervistato, l’ambiente in cui lavora e dove ha fatto l’intervista e altri eventuali elementi raccolti in quella occasione. Non escludiamo una successiva codifica delle risposte e
il conseguente trattamento informatico4.
b) Interviste a “testimoni privilegiati” su un campione ridotto ma calibrato sulla base
di informazioni e conoscenze disponibili agli addetti del settore (secondo il metodo
etnografico da parte di ricercatori appositamente preparati che realizzano anche l’osservazione “partecipante”). Per ogni intervista l’intervistatore ha compilato anche
un’apposita scheda in cui ha annotato tutte le osservazioni significative sull’intervistato, l’ambiente in cui lavora e dove ha fatto l’intervista e altri eventuali elementi raccolti
in quella occasione. Per “testimoni privilegiati” si intende: operatori dei servizi pubblici
di prevenzione, ispettori del lavoro, medici del lavoro, medici di base “storici” del luogo,
farmacisti “storici” del luogo, reduci da infortuni, persone del luogo o del settore, sindacalisti e altre persone individuate sul campo.
c) Analisi della rassegna stampa ligure sul tema e interviste ad alcuni giornalisti che
se ne occupano, quindi analisi delle rappresentazioni degli infortuni e malattie professionali nella stampa locale/regionale.
L’analisi approfondita delle risposte ai questionari, delle informazioni raccolte durante la loro somministrazione, delle risposte alle interviste e delle diverse osservazioni sul
campo costituiscono il primo stadio del rapporto di indagine per zona geografica, settore e categoria.
L’insieme dei rapporti specifici ha fornito infine gli elementi per la redazione della
sintesi finale della ricerca.
Fra le persone incontrate, ai casi più significativi (e disponibili) è stata proposta
un’intervista video-registrata che fa parte di un apposito DVD con i risultati della ricerca, che può costituire quindi uno degli strumenti utili nella diffusione dei risultati.
4
È possibile una successiva codifica delle risposte aperte ai questionari per poterle analizzare secondo i programmi informatici appositi (non solo per ricavarne i più elementari incroci – età, genere, nazionalità, settore,
categoria professionale, scolarizzazione ecc. - ma anche per incroci più complessi fra insiemi di variabili).
16
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 17
Sebbene non previsto inizialmente, nel 70% dei casi la somministrazione dei questionari è stata registrata. Disponiamo quindi di centinaia di ore di registrazione.
Il campione e gli aggiustamenti
In ogni provincia per il campione (qualsiasi sia la sua dimensione) si è cercato di
rispettare le principali variabili concordate col committente. I settori d’attività scelti sono
(in ordine d’importanza):
- edilizia (grandi, medi e piccoli cantieri, nero, semi-nero e regolare, subappalto, artigianato ecc.)
- metalmeccanica (pesante e leggera, non grandi imprese ma soprattutto le piccole che
lavorano in subappalto nelle grandi)
- trasporti (escluso il trasporto pubblico quindi: porto, trasporto su gommato cioè
camionisti, lavoratori dipendenti nei mercati generali, depositi merci, ecc.)
- pubblica amministrazione (ospedali, settore smaltimento rifiuti, ecc.)
Campione
Imperia
Savona
Genova
La Spezia
Questionari a
lavoratori
100 (IM,
100
Sanremo,
stesse %
Ventimiglia)
30% edilizia
30% metalmecc.
20% PA
20% trasporti
300
stesse %
di cui
100 a Genova
centro
100 a ponente
100 a levante
100
stesse %
Questionari a
datori di lavoro
10
stessa divisione
e%
10
stessa divisione
e%
30
stessa divisione
e%
10
stessa divisione
e%
Interviste a
testimoni
privilegiati
10
stessa divisione
e%
10
stessa divisione
e%
30
stessa divisione
e%
10
stessa divisione
e%
Ovviamente tale “campione” è, per altri versi, alquanto arbitrario, cioè non rigorosamente rappresentativo nel senso che gli intervistatori hanno somministrato i questionari o realizzato interviste attraverso contatti diretti all’uscita o all’ingresso del posto di
lavoro, nei luoghi di ritrovo e poi soprattutto per conoscenza tramite alcuni fra i primi
intervistati disposti a collaborare all’indagine. S’è quindi cercato di evitare questionari e
interviste “ripetitive” (sono stati scartate alcune decine di questionari e qualche intervista troppo simile alle precedenti) puntando alla diversificazione anche nello stesso settore, nella stessa zona e nello stesso luogo di lavoro.
17
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 18
Gli strumenti dell’indagine
Il questionario5
Prima di somministrare il questionario l’intervistatore ha cercato di creare empatia
con l’intervistato, ossia un rapporto fiduciario/amichevole, di “complicità” e di garantire l’assoluto anonimato. Ha quindi spiegato che stava realizzando uno studio sul problema degli infortuni e malattie professionali allo scopo di capire meglio cosa si può fare
per evitarli o quantomeno ridurli e come il contributo dell’intervistato potrebbe essere
prezioso per la soluzione di un problema che riguarda tutti! Quando l’intervistato tendeva a “raccontare la sua vita” (tipico bisogno di esprimersi) lo si è lasciato parlare stimolando qualche risposta precisa, evitando derive non pertinenti e ricordandosi poi di
annotare tutto nella scheda da allegare.
Solo alla fine sono state poste le domande più dirette e personali come: età, stato
civile, scolarità, dove lavora, da quanto tempo, che qualifica ha, le altre esperienze lavorative che ha fatto, come si chiama la sua ditta o impresa o datore di lavoro, se è in
regola o no o parzialmente, se è stato sempre in regola, se ci sono persone non in regola dove lavora, se conosce i sindacati ecc. Gli intervistatori hanno prestato attenzione a
quando l’intervistato parlava degli altri poiché in genere anche in questi casi si finisce
per parlare di se stessi e della propria realtà.
Ovviamente ogni intervistatore ha cercato di memorizzare le domande e, se necessario, di snellire il questionario.
La cura e l’impegno assunti dalla maggioranza dei somministratori di questionari
sono stati tali da registrarne circa il 70%, materiale audio che potrebbe essere rielaborato per vari usi.
L’indagine s’è quindi svolta con modalità “scoperta” tranne in pochi casi in cui alcuni ricercatori con più esperienza hanno dovuto far ricorso all’inchiesta etnografica non
esplicitata.
L’andamento dell’inchiesta e aggiustamento del campione
Come prevedibile, lo svolgimento della ricerca ci ha condotto a cambiare alcune
previsioni. Va innanzitutto osservato che nella maggioranza dei casi la somministrazione dei questionari s’è trasformata in intervista registrata proprio perché la tematica,
l’impatto e l’empatia fra intervistatori e intervistati non poteva ridursi alla veloce somministrazione di un questionario seppure con risposte aperte. Oltre a ciò in alcune province non è stato del tutto agevole spostarsi nei vari luoghi di lavoro e, disponendo di un’équipe soprattutto residente a Genova, s’è dovuto ridurre il numero di questionari previsti aumentando però la qualità delle interviste realizzate. Nelle parti specifiche forniremo ulteriori informazioni dettagliate sull’andamento della ricerca.
Pertanto, il quadro riassuntivo del lavoro svolto è il seguente:
- interviste a imprenditori: 30 (di cui 11 a Genova, 7 a La Spezia, 6 a Savona, 6 a
Imperia)
- interviste a “testimoni privilegiati”: 61 (di cui 25 a Genova, 13 a Savona, 10 a Imperia,
12 a La Spezia)
5
Si veda testo del questionario in allegato.
18
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 19
- questionari (più del 70% registrati da considerare come interviste):
210 a Genova (di cui 69 in edilizia, 30 nei trasporti, 31 nella sanità, 61 nella metalmeccanica, 15 nella pubblica amministrazione)
55 a Imperia + 5 interviste a “testimoni privilegiati” attinenti il “lavoro in serra”.
54 a La Spezia + focus con 12 immigrati infortunati + focus con 34 immigrati lavoratori di ditte operanti in grande azienda navalmeccanica
70 a Savona
- interviste filmate: 15
19
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 20
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 21
Alcune considerazioni teoriche
6
Da qualche decennio i termini “rischi”, “insicurezze” e di conseguenza “sicurezza”
sono sempre più ricorrenti in quasi tutti i campi della vita economica, sociale e politica.
Si parla di rischio nucleare e ambientale, di rischi economici, di rischi per i pedoni o per
le auto, così come di insicurezza provocata dalla criminalità o dai terrorismi o dalla precarietà. Come osservano alcuni autori, fra i quali Ulrich Beck, il paradosso del nostro
tempo è che da un lato si pretende di essere protetti o addirittura immuni da ogni rischio
- le società di assicurazioni offrono polizze per tutto - e dall’altro si scoprono sempre
nuovi e sempre più angoscianti pericoli e minacce7. In effetti, come mostrano alcuni
autori, l’esasperazione delle paure è tipica di determinate congiunture di grande trasformazione politica (e quindi economica e sociale). Tale esasperazione è diventata particolarmente utile anche al business della sicurezza, cioè allo straordinario aumento dei
profitti delle assicurazioni, delle società che vendono dispositivi di ogni sorta e sistemi
di controllo sempre più sofisticati. Teoricamente, lo sviluppo delle nuove tecnologie e
delle conoscenze scientifiche dovrebbe permettere di vivere in una “società di massima sicurezza”, dominata dalle pratiche di “tolleranza zero” in tutti i campi, in tutte le
direzioni, contro ogni tipo di minaccia e di nemico8.
Da più parti si parla di “tolleranza zero”. Ma in effetti, i rischi e le insicurezze si sono
sempre riprodotti e si accentuano ancora di più nelle congiunture di grandi cambiamenti, cioè di grave destrutturazione dell’organizzazione della società. Come segnala
Bauman, l’insicurezza che oggi attanaglia buona parte delle popolazioni dei cosiddetti
paesi ricchi (negli altri la situazione è ovviamente peggiore) può essere compresa nell’accezione polisemica del termine Unsicherheit che non riguarda solo la paura per la
propria incolumità fisica ma anche l’insicurezza esistenziale e l’incertezza connessa alla
condizione economica, sociale, giuridica e quindi politica9. In altri termini, i rischi o pericoli e le insicurezze si accentuano all’aggravarsi delle cause che li producono. E naturalmente l’insicurezza del soggetto sociale che dispone di risorse e capacità di agire è
ben diversa da quella di chi non ha né mezzi né possibilità di intervento. Il primo può
crearsi i sistemi di protezione adeguata mentre il secondo non può che constatare la
sua impotenza. Proprio questo è uno degli aspetti che, come vedremo, caratterizza il
fenomeno degli infortuni e malattie professionali.
Il paradosso del nostro tempo (specie nei paesi più ricchi) è che, se le conoscenze, le norme, i sistemi, le tecniche e i dispositivi atti a prevenire e contrastare i rischi sul
lavoro e dal lavoro si sono notevolmente sviluppati, il fenomeno sembra aggravarsi non
tanto in termini quantitativi, quanto per l’impatto che esso provoca nell’opinione pubblica e nella fattispecie presso la parte dei lavoratori più colpita. Senza dubbio è assai
discutibile guardare solo al numero di morti ufficialmente accertati, comunque elevato
6
di S. Palidda.
7
U. Beck, Un mondo a rischio, Einaudi, 2003; Id., La società globale del rischio, Asterios, 2001; Id., Il lavoro
nell’epoca della fine del lavoro. Tramonto delle sicurezze e nuovo impegno civile, Einaudi, 2000; Id., La società
del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, 2000. Ricordiamo anche le numerose pubblicazioni di Z.
Bauman.
8
S. Palidda, Polizia postmoderna, Feltrinelli, 2000; Un mondo di controlli, “conflitti globali, 5/2007 e vari documenti sul sito www.libertysecurity.org.
9
Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Milano, Feltrinelli, 2000 (prefazione di A. Dal Lago).
21
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 22
per una società ricca. Sebbene sia noto che oggi il tasso di mortalità sul lavoro è diminuito rispetto al passato, lo stesso non si può dire per il tasso di insorgenza delle malattie professionali; in questo caso, infatti, è impossibile confrontare le statistiche odierne
con quelle più antiche, anche per le trasformazioni delle patologie potenzialmente legate al lavoro e la loro minor riconoscibilità oggi rispetto a quadri “storici”. La valutazione
del fenomeno è senz’altro assai complessa e non è oggetto di questa ricerca, ma non
possiamo ignorarla poiché si tratta di uno degli aspetti cruciali delle percezioni dei lavoratori. È evidente che gli infortuni e le malattie professionali preoccupano soprattutto chi
li “tocca con mano”, cioè chi ne è direttamente colpito o chi è assai vicino alle vittime.
Non conta quindi il numero dei morti, degli infortuni e delle malattie ufficialmente riconosciuti. Come osserva qualcuno, perché non prendere in considerazione le conseguenze sul territorio e quindi sull’intera popolazione? Si tratta di un fenomeno che
riguarda solo i lavoratori e in particolare quelli che svolgono determinate mansioni in
settori più a rischio di altri? O si tratta di un fatto politico nel senso che riguarda tutta la
polis cioè tutta la popolazione ? Si pensi ai morti e ai malati o ai neonati deformi in tante
zone d’Italia, dal territorio intorno a Siracusa, a Gela, a Porto Marghera, da Casale
Monferrato a Taranto, dalla Liguria alla Campania, per non parlare dei morti, feriti e
ammalati nelle strutture e zone delle delocalizzazioni delle attività italiane nei paesi
“terzi”.
Tale paradosso appare ancora più evidente se si prende in considerazione il boom
mediatico dei discorsi sulle paure, le insicurezze e le risposte che dovrebbero rassicurare.
Una delle frequenti “indagini” su questi aspetti10, realizzate sempre con gli stessi
metodi ormai standardizzati, è stata pubblicizzata di nuovo nel luglio 2008, rafforzando,
di fatto, la costruzione di un’opinione pubblica pervasa dai discorsi che esasperano le
paure, le insicurezze e le risposte sicuritarie. Nella presentazione di tale ricerca si
segnala che
“l’elemento di maggiore rilievo che emerge dall’analisi risiede proprio nella parziale confutazione di una tesi che si tende a dare quasi per scontata: che sia innanzitutto la criminalità a generare inquietudine. L’indagine fa emergere una visione più articolata, in cui i temi securitari, legati alla
“paura privata”, alle illegalità quotidiane, pesano, ma non da soli. E non più di altri”.
Tuttavia, come è facilmente prevedibile, i risultati mostrano che:
“La crescita della “paura” riferita alle diverse forme di criminalità è stata, nell’ultimo anno, piuttosto esplicita. Quasi nove persone su dieci pensano che la criminalità sia cresciuta, in Italia (88%);
più di una su due che le cose siano peggiorate nella propria zona di residenza (51%, 17 punti percentuali in più rispetto al 2005)”.
10
cfr. Demos&Pi per la Fondazione Unipolis, “Indagine sul sentimento e sul significato di sicurezza in
Italia” (a cura di I. Diamanti e Fabio Bordignon), dicembre 2007,
(www.unipolgf.it/Media/Lists/Comunicati/Attachments/258/Comunicato%20stampa%20evento
%2017.12.07%20_3_.pdf). La ricerca è stata realizzata con un sondaggio telefonico svolto, nel periodo 22-27
ottobre 2007, dalla società Demetra di Venezia. Le interviste sono state condotte con il metodo CATI (Computer
Assisted Telephone Interviewing). I dati sono stati successivamente trattati e rielaborati in maniera del tutto
anonima. Il campione, di 1200 persone, è rappresentativo della popolazione italiana di età superiore ai 15 anni,
per genere, età e zona geopolitica. Si tratta di ricercatori con lunga esperienza e riconoscimenti indiscutibili in
questo campo. Tuttavia, a parte le riserve che suscita il metodo, la continua ripetizione di questo genere di
“indagini” sembra contribuire a influenzare l’opinione pubblica ossia ne stimola la focalizzazione su questi
aspetti che peraltro sono proposti sempre negli stessi termini.
22
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 23
E altrettanto prevedibile fra i risultati di tale genere di indagini è che:
“Al deterioramento (percepito) delle condizioni di sicurezza, si associa una forte domanda di
intervento pubblico, attraverso un rafforzamento del controllo sul territorio. L’89% degli italiani
chiede un aumento delle forze di polizia; l’86% di sorvegliare i luoghi pubblici attraverso l’utilizzo
di telecamere. Allo stesso tempo, si assiste al progressivo allargamento della propensione a “fare
da sé”. E’ rilevante la diffusione degli strumenti di autodifesa: il 32% degli italiani ha installato un
sistema antifurto nella propria abitazione; il 44% ha già provveduto a blindare porte e finestre; l’8%
ha acquistato un’arma”.
e, dulcis in fundo:
“Parallelamente, si è rafforzata la percezione di un legame tra immigrazione e delinquenza: il
47% degli italiani considera gli immigrati una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico. Di conseguenza, tutte le misure che mirano a “sgomberare” la presenza illegale di stranieri lungo le strade e ai margini della città riscuote grande consenso: il 55% degli intervistati si dichiara favorevole
alle ordinanze contro i lavavetri o i venditori irregolari; sono aumentati in modo sensibile quanti
sostengono che i campi nomadi debbano essere sgomberati “e basta”.
Il discorso che propone questo sondaggio merita interesse perché vorrebbe parlare di altro ... cioè di “altre fonti di insicurezza”. Si parla allora di:
“diverse preoccupazioni... anzitutto, di tipo “ambientale” e “globale”: il degrado del territorio,
dell’aria, del clima; ma anche la guerra, il terrorismo ... Pesano molto, poi, i timori di tipo “economico”: il reddito, la pensione, le prospettive di lavoro, i risparmi. Il 38% degli intervistati teme di
“non avere abbastanza risorse per vivere” ... Opprime, poi, la “paura del domani”. Il futuro dei figli,
che angustia quasi una persona su due (46%). D’altronde, il 64% pensa che i giovani, in futuro,
avranno “una condizione sociale ed economica peggiore dei loro genitori”. Anche il timore suscitato dalla tenuta del sistema pensionistico, peraltro, è coerente con questo “collasso del futuro”.
Ci aspettiamo che si parli di insicurezza sul lavoro e troviamo:
“Altre paure incombono ... richiamano la tradizionale domanda di “prevenzione” e di “assistenza”. ... Mentre resta forte il timore sollevato dalla “salute” (36%). Le preoccupazioni suscitate dagli
incidenti sulle strade (29%). Ma anche sul lavoro: in particolare, fra gli operai, uno su cinque teme
di essere vittima di infortuni (20%). Ed è percezione diffusa, nell’opinione pubblica, che la situazione sia andata peggiorando: il 45% ritiene che la sicurezza sul lavoro sia diminuita, negli ultimi anni”.
Ecco quindi che alla fine soltanto fra gli operai un esiguo 20% teme infortuni (non
malattie) e il 45% pensa che la sicurezza sul lavoro sia diminuita. È proprio questo tipo
di “risultato di indagine” iper-mediatizzata che può essere considerato un elemento particolarmente rivelatore non solo dell’isolamento dei lavoratori (solo loro e solo il 20%
pensa all’insicurezza sul lavoro!) ma di tutto ciò che li riguarda e che riguarda tutta la
società. Invece, tutti a parlare di paura per la criminalità, tutti a reclamare più polizia, più
controlli, più penalità, più tolleranza zero e ... più intolleranza per le diversità11.
11
M. Maneri (2001), Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell’insicurezza, in Rassegna Italiana di
Sociologia, 1, pp. 5-40. M. Maneri (2006), Migrants’ experiencies of discrimination. Italy. In EUMC(a cura di),
Migrants’ Experiences of Racism and Xenophobia in 12 Eu Member States. PilotStudy,
www.migra.tn.it/opencms/export/sites/default/migra/docs/documenti/EUMC_Studio_Pilota_MigrantsExperien
ces.pdf.
23
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 24
Secondo un nuovo sondaggio della stessa società12, il 35% degli intervistati afferma che c’è stato un incremento delle condizioni di sicurezza nelle fabbriche e nei cantieri (due punti percentuali in meno che nell’ottobre 2007), mentre il 47% pensa che ci
sia stato un deterioramento. Nel suo complesso solo il 10% del campione rappresentativo di tutta la popolazione dice di sentirsi frequentemente preoccupato di essere vittima di un incidente sul lavoro (21% tra gli operai, 12% tra gli imprenditori. 41% del
campione ritiene gli imprenditori responsabili e il 24% attribuisce le colpe innanzitutto
all’assenza di controlli da parte delle autorità pubbliche preposte mentre il 21% ritiene
che le responsabilità maggiori debbano essere attribuite agli stessi operai, che non
seguirebbero con sufficiente attenzione le norme di sicurezza). In altre parole si conferma così la scarsa percentuale degli stessi lavoratori che si “sente frequentemente
preoccupato di essere vittima di un incidente”, mentre non si cita neanche il rischio di
malattie professionali, si ignora assolutamente la connessione con i rischi ambientali e
alimentari.
Come mostra bene Jonathan Simon, il discorso sulla paura attribuita alla criminalità
è diventato talmente pervasivo che le leadership politiche (dei diversi fronti politici) si
sono adattate a farne il pilastro fondamentale del loro governare13. Poco importa sapere con documenti e statistiche ineccepibili alla mano che non è affatto vero che la criminalità sia aumentata e/o sia più orribile di prima. Ciò che importa è che tutti si sentano potenziali vittime di una criminalità che magari ha le sembianze dell’immigrato più
stigmatizzato, che alle insicurezze attribuite alla criminalità si accompagnino angosce
quasi “escatologiche” (l’ambiente, la guerra) purché non siano in correlazione con la
realtà concreta. Allo stesso tempo, l’esasperazione della paura per la criminalità non fa
che alimentare il business del XXI secolo. Così, una società che pubblica libri e riviste
specializzate e organizza fiere e convegni su “Sicurezza Informatica, Sicurezza Fisica,
Qualità, Ambiente, Formazione, Approvvigionamenti” ci spiega:
“È noto che si tratta di un comparto in forte espansione, con oltre 6 miliardi di euro di valore,
oltre 60.000 addetti e notevoli potenzialità di crescita, sino a 40 miliardi di euro entro il 2010, con
un incremento medio annuo di oltre il 45%. Secondo i risultati della quarta edizione dell’indagine
mondiale “The Global State of Information Security 2006”, curata da PricewaterhouseCooper,
emerge che uno dei cambiamenti più significativi registrati, rispetto all’anno precedente è che
molte più aziende oggi dichiarano di procedere verso una piena integrazione tra Sicurezza IT e
Sicurezza Fisica. Questo fenomeno ha un effetto positivo molto marcato sul ruolo e sulle capacità
di intervento del Responsabile della Sicurezza. L’aumento dei progetti di integrazione delle funzioni di Sicurezza fisiche con quelle logiche, infatti, porta ad un aumento dei budget allocati alla voce
Security”.
Cercando, infatti, alla voce “sicurezza sul lavoro” il motore di ricerca Google propone 1.430.000 segnalazioni e alla voce “sicurezza aziendale” 400.000. Ma di cosa si tratta? In molti casi si propone la messa in sicurezza “chiavi in mano” secondo le norme,
alludendo anche a particolari relazioni con ispettori del lavoro e ASL. In altri casi si tratta invece di sicurezza rispetto ai lavoratori, cioè di “Prove garantite e riservatezza.
Sospetti Dubbi” ..., di sicurezza rispetto allo spionaggio industriale (che magari finisce
come in un caso nazionale recente per essere incentrata anche sui dipendenti),
12
F. Bordignon e N. Porcellato, La sicurezza sul lavoro, in I. Diamanti (curatore), La sicurezza sul lavoro. La sicurezza in Italia. Significati, immagine e realtà, Demos & Pi e Osservatorio di Pavia per Fondazione Unipolis,
Novembre 2008 (scaricabile da http://www.demos.it/).
13
Cfr. J. Simon, Il governo della paura. Guerra alla criminalità e democrazia in America, Cortina, 2008.
24
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 25
“Ricerca e rimozione di microspie e sistemi di intercettazione” e non a caso c’è chi
esplicita la sua promozione con “Indagini sull’infedeltà coniugale, aziendale, assenteismo”14. Ma fra le offerte di prestazioni ci sono anche quelle di professionisti che sembrano essere assolutamente rispettosi delle norme costituzionali.
C’è quindi da chiedersi cosa ha prodotto l’iper-mediatizzazione della commozione
pubblica rispetto agli infortuni sul lavoro. Dal presidente della Repubblica al Papa, da
destra a sinistra, tutti dicono che gli infortuni e l’insicurezza sul lavoro sono intollerabili. Per un verso questo è un fatto indiscutibilmente positivo, sarebbe peggio il contrario!
Ma, come vedremo, i lavoratori si rendono ben conto che in tanti casi a questo non corrisponde gran che di concreto. Se si dovesse fare il paragone ci si dovrebbe chiedere
perché tutti invocano la “tolleranza zero” contro la criminalità, l’immigrazione clandestina e i rom, tutti concordano con l’invio dei militari per il controllo del territorio delle città,
ma in concreto cosa cambia dal punto di vista del miglioramento delle tutele effettive
dei lavoratori rispetto al rischio di infortuni e malattie? Nulla dal punto di vista di chi si
sente ed è vittima dell’istituzionalizzazione della precarietà a perpetuità, nulla se si
pensa agli inesistenti tentativi di risanamento delle economie sommerse, nulla se si
guarda all’asimmetria di potere d’intervento e di azione fra datore di lavoro e lavoratore ma anche talora alla stessa totale subalternità del primo agli stessi rischi. Insomma
nulla per quella parte dei lavoratori che sono più a rischio perché meno tutelati.
Ma facciamo ancora il raffronto fra quella che dovrebbe essere la lotta agli infortuni e le malattie professionali e due campagne che sembrano aver avuto un successo
assai soddisfacente: la prima per l’obbligo del casco per chi va in moto e dell’obbligo
della cintura per chi va in auto, e la seconda campagna contro il fumo nei luoghi pubblici. Perchè queste due campagne hanno vinto? Il successo della prima sembra poter
essere attribuito sia alla persuasione degli utenti per il bene di essi stessi e dei loro familiari, sia all’intensificazione dei controlli e alla repressione delle trasgressioni. Per la riuscita della seconda sembra invece evidente che i controlli e la repressione abbiano
avuto un ruolo piuttosto secondario mentre l’elemento determinante è stato palesemente la mobilitazione assolutamente sotterranea dei non fumatori contro i fumatori al
punto che questi ultimi a volte si sentono alla stregua di marginali stigmatizzati e minoritari, quasi con il senso di colpa sino a nascondersi. Si tratta qui di comportamenti abituali che sono stati cambiati in poco tempo in un paese che ha la nomea di essere fra
i più indisciplinati del mondo (è soprattutto l’auto-disciplinamento rispetto al fumo che
appare clamoroso). Si potrebbe quindi chiedere: ma perché la lotta contro il fumo, per
il casco in moto, per le cinture in auto è riuscita mentre per la lotta agli infortuni e alle
malattie professionali non funziona? Non è un paradosso che si spendano decine di
milioni di euro per adibire dei militari alla sicurezza urbana quando il crimine dell’insicurezza sul lavoro fa di gran lunga molto più morti che l’insieme della cosiddetta criminalità di strada?15
Vedi ad esempio i siti facilmente reperibili con Google cercando “Indagini sull’infedeltà coniugale, aziendale,
assenteismo”.
15
In realtà la cosiddetta criminalità di strada provoca rarissimi assassinii. Nel rapporto pubblicato sul sito del
ministero dell’interno nel 2007 si scrive che nel 1991, che è stato l’anno con più omicidi dal 1968, se ne sono
verificati 1.918 di cui 700 attribuiti alla criminalità organizzata. Nel 2006 sono stati registrati 621 omicidi di cui
109 dovuti alla crim. org. “A questo si aggiunge il declino anche degli omicidi della criminalità comune riconducibili a scopi di furto o rapina, che dal 2004 si sono ridotti tra le due e le tre decine, dopo aver raggiunto e
superato il centinaio a cavallo degli anni novanta.” (cfr. M.I., p.16). Peraltro, come si afferma anche nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario a proposito degli omicidi volontari: “c’è purtroppo una incidenza
notevole di quelli commessi all’interno del nucleo familiare o fra persone legate tra loro da vincoli affettivi. Per
le statistiche di New York si veda http://www.disastercenter.com/crime/nycrime.htm; dal 2001 al 2005 gli omicidi oscillano fra 960 e 874 all’anno (nella sola città di NY).
14
25
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 26
Queste considerazioni non sono molto diffuse fra tutti i lavoratori ma cominciano a
circolare e a lasciare il segno con effetti diversi che vanno dall’aumento del senso d’impotenza alla critica radicale a tutto e a tutti e si traducono in una sempre più forte
domanda di aiuto.
Anche nelle risposte fornite da vari lavoratori e operatori, uno degli aspetti più ricorrenti nei discorsi sull’insicurezza sul lavoro è rappresentato da una sorta di credo in una
“via pedagogica” alla sicurezza. Al di là delle persone interessate, constatiamo che la
maggioranza degli intervistati spesso afferma che sarebbero necessarie più educazione e formazione, che bisognerebbe cominciare già nella scuola elementare. Ma ecco
che il tragico incidente nella scuola di Rivoli con la morte di uno studente e il ferimento
di 14 altri allievi contribuisce a mettere allo scoperto che la sicurezza non alberga in
molte scuole e che la pedagogia non sarebbe stata certo in grado di prevenire tale tragedia se non corrisponde a precise pratiche abituali di prevenzione.
Ricordiamo altresì che questo stesso “mito” della funzione “taumaturgica” attribuito alla pedagogia abbraccia pressoché tutti i cosiddetti problemi della società contemporanea (si potrebbe dire che Durkheim e tutti i teorici classici dell’organizzazione della
società - da Platone e Aristotele sino ai giorni nostri- sono vivi più che mai). Ma è realistico pensare che con una buona educazione si risolverà o quantomeno si migliorerà
la situazione dell’insicurezza sul lavoro? È indubbio che l’acquisizione di conoscenze
appropriate sia indispensabile alla prevenzione di infortuni e malattie ed è evidente che
la formazione abbia effetti positivi: basta pensare che già qualche decennio fa nessuno
sapeva della opportunità di proteggersi da determinati rischi e della assoluta necessità
di dotarsi di apposite precauzioni rispetto a certe sostanze, così come non si sapeva
gran che degli antiparassitari o di vari farmaci abitualmente usati. Tuttavia, va anche
osservato che alcuni lavoratori non solo non percepiscono la pedagogia antinfortunistica come la “soluzione”, ma la considerano puramente illusoria se non una vera e propria farsa che offende chi rischia continuamente infortuni e malattie. In effetti, l’ educazione (che ovviamente, al pari della formazione professionale, non va assolutamente
trascurata) può essere realmente efficace solo per chi è in grado di tradurla in pratica
abituale mentre non potrà mai spezzare tutti i meccanismi che oggi riproducono insicurezza. Come vedremo qui di seguito dalla selezione delle risposte degli intervistati, le
vere cause di tale insicurezza sono ben note ed evidenti e non possono essere affrontate con un’operazione solo o puramente pedagogica anche ammesso che sia la più
efficace che si possa immaginare. Precarietà, lavoro nero, “ricattabilità”, competitività
sfrenata, ritmi incontrollabili e ancora tutti gli altri aspetti tipici di una parte del mondo
del lavoro odierno non si eliminano con l’educazione alla sicurezza dei lavoratori e dei
datori di lavoro (così come, purtroppo, la diffusione dell’uso e abuso di droghe non può
essere limitata solo per mezzo delle campagne pubblicitarie e delle conferenze nelle
scuole). Insomma, non è possibile che si tratti semplicemente di una questione di “cultura della sicurezza”, intesa in termini di informazione e formazione. I meccanismi che
riproducono rischi, infortuni e malattie sono insiti nell’attuale assetto socio-economico.
Per alcuni lavoratori la situazione sembra assomigliare a quella del XIX secolo, quando
le classi subalterne godevano in misura assai minore di diritti e tutele. Oggi, formalmente, tutti hanno pari diritti, ma alcuni non riescono a usufruirne proprio perché, come
affermato in qualche risposta, “non c’è più coesione”, è venuta a mancare la capacità
di agire collettivo e non è possibile praticare la sicurezza. L’asimmetria fra chi impone o
permette condizioni di lavoro insicure, se non ad alto rischio, e chi subisce e non ha
capacità di reazione si aggiunge al nuovo ritmo delle attività economiche che si intensificano talora anche in una ibridizzazione fra formale, informale e talora illegale (come
26
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 27
avviene nelle economie sommerse)16.
Solo se si traduce in pratica costante e collettiva nel lavoro e fuori dal lavoro, la protezione della salute e dell’integrità fisica nonché dell’ambiente può effettivamente
migliorare. Come mostrano tante risposte raccolte, alcuni lavoratori sanno bene che
sono ridotti a una condizione di impotenza o addirittura di assoggettamento passivo
alla produzione della loro stessa insicurezza.
Trovare soluzioni è mestiere dei governanti, dei politici e dei sindacalisti e non di noi
ricercatori. Ci limitiamo quindi a constatare che allo stato attuale si sta sollevando una
grande richiesta di mobilitazione collettiva per la sicurezza sul lavoro che potrà avere
qualche speranza di successo solo se saprà trasformarsi in agire pubblico volto all’effettivo esercizio dei diritti di tutti: non solo delle fasce più protette ma necessariamente
anche dei lavoratori più deboli che, come vedremo, rischiano maggiormente e la cui
condizione di fatto finisce spesso per mettere a repentaglio anche coloro che sono tutelati meglio. Ma non si tratta forse di una posta in gioco che riguarda sia la prevenzione
sanitaria che quella ambientale, la sicurezza stradale e la sicurezza sul lavoro? Non
riguarda quindi l’intera organizzazione politica della società?
16
A tale proposito c’è da chiedersi nuovamente come mai la grande attenzione posta alla cosiddetta lotta alla
criminalità di strada non venga rivolta a tale ibridizzazione che riproduce economie sommerse sempre più
inquinate da connessioni criminali. Vedi S. Palidda, Inflation of controls and lack of contrast to the organized
crime, WP8 - Deliverable 218, Italian Team, CHALLENGE, The Changing Landscape of European Liberty and
Security, www.libertysecurity.org (european project) and Crimprev, network d’excellence.
27
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 28
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 29
Selezione delle risposte ai questionari e alle interviste
Abbiamo riunito qui in “blocchi” una prima parziale selezione di risposte fra le più
significative e le più frequenti ai questionari e alle interviste poiché pensiamo che sia la
migliore introduzione a questo rapporto finale.
1. Le responsabilità, le cause e le persone più a rischio
“La troppa pressione sulla gente che lavora, le troppe ore, e la fretta di finire ... come sicurezza diciamo che i cantieri sono abbastanza sicuri, soprattutto all’inizio dei lavori, poi però man mano
che il lavoro va avanti la sicurezza è sempre minore fino ad arrivare al punto in cui si deve concludere in cui la sicurezza sparisce del tutto e tu ti infili in dei posti in cui neanche ti pagassero oro ti
azzarderesti ad andarci ... eppure lo fai lo stesso, perchè sei costretto ... lo devi fare”. [operaio]
“... è sempre lo stesso discorso: per poter lavorare e trovare lavoro bisogna essere competitivi. È una specie di piccola guerra e i campi di battaglia sono i tempi di lavoro, i costi e le
spese ... tutte cose che sono profondamente collegate tra loro”. [capocantiere edile]
“(…) un altro grandissimo problema nei cantieri: l’incomunicabilità. ... ognuno pensa per sé.
Non esiste più una coesione tra gli operai e penso che questo sia dovuto al fatto che un tempo
tutti lavoravano per la stessa azienda, oggi siamo milioni di ditte differenti e la coesione è praticamente inesistente. Poi c’è la questione dell’extracomunitario che non vuole stare fermo, non
può permettersi di stare a casa e cascasse il mondo lui va a lavorare. Quindi è praticamente
impossibile bloccare il cantiere. Perchè è inutile bloccarlo per un giorno, devi farlo per due settimane tre. Ma ormai ti hanno messo in una condizione in cui non arrivi a fine mese e per fare dei
soldi ti tocca andare a lavorare lo stesso. Capisci che io potrei anche scioperare perchè devo mantenere solo me stesso, ma se cominci a dover mantenere una famiglia non puoi permettertelo,
senza dimenticare che gli exracomunitari oltre a dover mantenere una famiglia vengono pagati
pochissimo rispetto a noi italiani e cercano quindi di lavorare il triplo solo per guadagnare lo stesso nostro stipendio che non è malvagio”. [operaio metalmeccanico]
“Le cause naturalmente sono tante, dalle ore di lavoro alla fatica, possono essere legati a problemi personali o ai costi del lavoro. ... in ultima analisi le cause sono insite nel nostro lavoro: noi
siamo muratori, solo oggi abbiamo montato tre putrelle che pesavano cento venti chili l’una, abbiamo dovuto sollevarle al soffitto e prima portatrle qua al terzo piano... e siamo solo in quattro a lavorare. Poi può anche essere la mancanza di attrezzature ... mi è capitato per esempio di dovere
riprendere dei miei operai perchè non avevano le scarpe anti-infortunistiche ... quelle con la punta
di ferro ... sembrano stupidate ma se ti cade una putrella su un piede almeno non ti saltano le dita”.
[muratore]
“Si dovrebbe cercare di evitarli ma non sempre è possibile. Perché se si seguissero alla lettera tutte le norme di sicurezza non si riuscirebbe a stare dentro ai tempi di lavoro. È importantissimo capire che la concorrenza è al centro del mondo dell’edilizia. Si deve sempre cercare
di ridurre i costi di lavoro e di stringere i tempi. Sono questi i punti fondamentali del mondo dell’edilizia. Far rispettare tutte le norme di sicurezza impone un impiego di tempo che ha dei costi
esagerati ed è “normale” quindi che molte di esse vengano diciamo “dimenticate”. [capocantiere edile]
“La fretta, la premura sono le cause.. e non vanno d’accordo con la sicurezza. Se stai attento
lavori troppo piano”. [operaio porto]
29
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 30
La voce del “padrone”:
“Distrazione e menefreghismo nei confronti delle norme di sicurezza da parte degli operai.
Oggi il lavoro non è come una volta: è meno faticoso, nessuno lavora dodici ore al giorno. Prima
sì che ti spezzavi la schiena, ti facevano lavorare duro, ora è diverso, è tutto meccanizzato. E poi
dire che in generale è cambiata la mentalità, non c’è più la cultura del lavoro di una volta. Prima ti
presentavi al lavoro pulito, pronto a lavorare: oggi si va in discoteca, si fa tardi, si beve, ci si droga,
e si arriva al lavoro stanchi, senza motivazione”. [imprenditore edile]
“70% a fine giornata. E quando ci sono i geometri perché c’è più pressione sui tempi di lavoro: si preoccupano solo di dirti cosa fare, mai di controllare la sicurezza, guardano solo il lavoro”.
[operaio edile]
“mancanza dei sistemi di sicurezza, specie nell’edilizia dove non vengono rispettate le regole:
gli imprenditori pensano solo al risparmio e non comprano i materiali adatti per tutelare i lavoratori”. [operaio edile]
“Fine settimana e alla fine di ogni turno. Soprattutto nei turni di notte, verso le 5/6 ti molla la
tensione, quando pensi che stai per tornare a casa”. [operaio porto]
“... molte volte le cause sono la stanchezza prima di tutto, che porta alla disattenzione e magari compiere delle movimentazioni di pezzi o dei lavori in maniera di fare più in fretta possibile, a
causa delle pressioni dei principali che il lavoro deve essere finito entro tot, e magari ti trovi al
venerdì o al sabato, che il lavoro deve essere finito e piuttosto che non tornare a lavorare anche il
giorno dopo, dici la classica frase: “Diamoci una botta”, e da lì magari può nascere un infortunio,
una braga messa male, non ti accorgi e metti il piede in un paiolo messo male e cadi, varie cose
che possono succedere a bordo di una nave che è un ambiente molto pericoloso per gli infortuni. Gli infortuni sono una realtà con cui abbiamo a che fare quotidianamente, come si può vedere
ogni mese muore una persona in porto e noi facciamo parte delle riparazioni navali. Le cause delle
malattie sono più che altro ciò che si respira durante il giorno”. [operaio porto]
“(…) i datori di lavoro che mettono pressione per finire un lavoro e magari impongono due, tre
ore di straordinario al giorno e una persona arriva stanca e succedono gli infortuni. Per le malattie
la colpa può essere del datore di lavoro che magari non rispetta certe norme e anche dello Stato,
si è visto nell’ultima fabbrica in Piemonte dove sono morte 10 persone, stati dei controlli e, non si
sa come, risultava tutto in regola. Quindi poca serietà nei controlli per le norme di sicurezza nelle
fabbriche”. [operaio metalmeccanico]
“In Italia se dovessimo guardare tutte le norme di sicurezza non si potrebbe più lavorare, perché è quasi tutto fuori norma e quindi purtroppo bisogna andare avanti così. Nel mio ambiente di
lavoro almeno la mia sede è tutto a norma, per quanto riguarda la mia officina, i macchinari, devo
dire che sono sempre controllati. Però nei posti dove andiamo a lavorare, ad esempio a bordo
delle navi, il 90% delle volte si lavora non a norma”. [operaio metalmeccanico]
“La colpa è per il 70% delle imprese (forse anche una percentuale maggiore) perché per incrementare la produzione e i loro facili guadagni, non guardano in faccia a nessuno. Inoltre dovrebbero essere sempre in regola, ma il più delle volte non è così e le esperienze che le ho raccontato ne sono la prova; e per il 30% dei lavoratori”. [operaio dei trasporti]
“Il rischio non si valuta spesso per la fretta, e perché quando stai facendo una manovra a
rischio i geometri ti dicono di farla lo stesso, anche se vorresti fermarti”. [operaio dell’edilizia
addetto alla guida di mezzi]
“La colpa è dell’assenza di controlli. Ci vorrebbero più controlli, ma veri controlli … e pene più
severe per i trasgressori. Da noi, in cantiere, ogni tanto viene qualcuno (non so chi), e … guarda,
vede che siamo tutti senza caschi, senza cinture, senza mascherine ecc. e … non dice nulla, se ne
va”. [operaio edile]
30
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 31
“Quando entri in cantiere e chiedi documentazione, ti dicono: Vuole il POS (Piano Operativo di
Sicurezza)? Il problema è che è fotocopiato da quello precedente, c’è un sito sul computer dove
paghi e te lo fanno loro. Ma come fanno a fare il POS se non sanno nemmeno chi sei?”.
[Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione]
“Mah! Io sul lato dei controlli di ispettorati, ASL non conosco né il ruolo né il senso dell’ispettorato del lavoro. Io in giro non ne vedo, vengono quelli di Genova, esterni chiamati dall’azienda,
dell’università di Genova. Non ho visto ispezioni, neanche quando abbiamo avuto molti infortuni”.
[operaia metalmeccanica)
“In una cava è un lavorare non sicuro. Scavano i gradoni ... non avevano i dispositivi di protezione individuale, magari sei su un gradone come scavatore, arrivi sempre su un ciglio … Cercavi
di fartela te un po’ di sicurezza, ci facevi un muretto, buttavi le prime bennate su un ciglio per non
appoggiarsi giù di sotto. Finché ti va, va bene … un attimo cede e magari vai giù. È successo tante
volte. Nelle cave l’orario di lavoro influisce molto sul rischio, lavoravi anche 12-13 ore al giorno,
non è che facevi 8 ore e bon … basta finito lì. È capace che chi faceva il turno alle 5 del mattino,
alle 5 del pomeriggio era ancora lì che lavorava. Dopo un po’ per forza che ti distrai … pensi ad
altro, per forza … È diversa la distrazione se pensi alla ragazza o se sei distratto perché hai lavorato 12 ore”. [operaio metalmeccanico con precedente esperienza nell’estrazione di materie prime]
“Insegnare di più, fare più corsi di formazione. E multare di meno …”. [edile]
“La colpa è dell’organizzazione del lavoro, della spinta dei datori di lavoro ad aumentare
comunque la produttività. Vogliono fare tanto, con macchine che lavorano come 30 anni fa, però
mi accorciano i tempi. Ma vale la pena di mettere a rischio la sicurezza per fare cento aeroplani
e avere trenta morti? Non è meglio fare ottanta aeroplani e avere trenta vivi?”. [operaio
metalmeccanico]
“Le principali cause sono la fretta che i datori di lavoro ti mettono quando lavori per incrementare la produzione e la troppa sicurezza di quando si lavora da parecchio tempo nello stesso posto.
Vanno aggiunte inoltre la distrazione e a volte la mancanza di osservazione delle norme di sicurezza”. [operaio metalmeccanico]
“La responsabilità è della scarsa cultura della sicurezza nella nostra società. In questa società
si deve fare tutto presto e bene, e purtroppo a volte chi predica determinate cose, anche i
Responsabili dei Lavoratori per la Sicurezza, ha contro anche i lavoratori stessi, che dicono: -Ah
cosa mi stai a dire, tanto a me non succede …- Nelle piccole aziende una causa sono gli scarsi investimenti sulla sicurezza … non si fanno investimenti sulla sicurezza per avere costi più bassi,
ma se questo significa avere questo numero spropositato di morti all’anno”. [operaia metalmeccanica]
“Un po’ la distrazione e un po’ la mancanza di informazione. Se entra un nuovo macchinario, un capoturno ben addestrato dovrebbe passare tutto sul modus operandi ... L’altra causa,
la distrazione, è quando per far prima, prendersi una pausa caffé o sigaretta un po’ più lunga, fai
qualche gesto avventato … di solito nel caso sia necessario ci sono delle valvole che bloccano i
macchinari, sono tutti a norma di legge”. [operaio metalmeccanico Rappresentante dei Lavoratori
per la Sicurezza (RLS)]
“La distrazione c’è. Ma l’abitudine di vedere tanto le macchine e avere così tanta confidenza con esse a volte è dannoso. Per esempio a un mio collega che conosceva perfettamente tutte
le norme anti-infortunistiche è successo proprio quello che lui diceva di non fare a tutti noi”. [operaio metalmeccanico, piccola impresa]
“I salari sono bassi, per aumentarli un po’ devi per forza fare straordinari. Lo stress può causare infortuni, è un conto se arrivi alle sei del mattino, fresco come una rosa e te ne vai a mezzogiorno … un altro se fai il turno del mattino e ti richiamano per la notte”. [lavoratore del porto]
31
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 32
“Quella che la maggior parte delle persone indica è la disattenzione. Io non sono d’accordo,
per me è legato a momenti di velocizzazione dei ritmi di lavoro, momenti di precarietà”. [RLS]
“È sempre colpa dell’azienda, come punto di partenza, perché ha sempre mancato in qualcosa, nel fare la formazione, nell’informare, nel fare determinati lavori, nel creare le condizioni”. [RLS]
“La nostra azienda negli ultimi anni ha investito poco in formazione, tutela e prevenzione, tutela del lavoro. L’azienda deve verificare le macchine, l’attenzione e la stanchezza devono essere protette, ti devono proteggere anche dalla stupidità che uno può fare”. [RLS]
“L’impreparazione, la scarsa formazione e soprattutto la fretta. I mezzi di prevenzione sono
spesso inadeguati, fastidiosi e a volte sono più scomodi del male stesso e molti operai non se li
mettono per questo”. [operaio edile]
“Fra le cause degli infortuni c’è la precarizzazione e la frammentazione del lavoro.
Eccessiva confidenza con il lavoro: chi fa sempre la stessa cosa per lunghi periodi tende a sottovalutare il rischio. Scarsa inclinazione all’utilizzo dei DPI, perché purtroppo significa complicarsi
il modo di lavorare, mettersi cintura, elmetto …”. [operaio metalmeccanico RLS]
“Di base vi è sicuramente un’impreparazione poiché nell’edilizia si affacciano tutte le persone
che non hanno sbocchi e quindi non sono a volte, appunto, preparate nel trovarsi in chiare situazioni di pericolo come ponteggi, utilizzo di macchinari pesanti e rumorosi che non permettono di
reagire con riflessi pronti. Altra causa che è sicuramente rilevante è la poca attenzione, il non dare
peso al pericolo; altrettanto importante è l’arrivare sul posto di lavoro in condizioni fisiche alterate
dovute ad esempio all’aver dormito poco la sera prima o all’aver assunto sostanze alcoliche nella
pausa pranzo o addirittura sul posto di lavoro, cosa che noi nella nostra azienda assolutamente
non permettiamo né in pausa pranzo né tanto meno sul posto di lavoro vigilando i nostri lavoratori”. [datore di lavoro settore edile]
“La negligenza da parte dei datori di lavoro nell’applicazione delle norme e nel formare le persone.
C’è a volte anche la poca attenzione del lavoratore, secondo me è dovuta al fatto che siamo
spesso costretti a lavorare con ritmi troppo pressanti e sotto stress è più facile distrarsi”. [operaia
metalmeccanica]
“Le richieste da parte dell’azienda di aumento della produttività, e la tendenza ad aumentare l’orario oltre le 48 ore settimanali, secondo me sono la principale causa dell’esposizione al
rischio di infortunio. Spesso la ditta per aumentare la produzione in certi settori mette a rischio il
lavoratore”. [operaio metalmeccanico]
“In ditte cosi piccole per la sicurezza si fa veramente poco, gli operai fanno qualsiasi tipo d’impianto e riparazione senza i dispositivi di protezione individuale”. [operaio metalmeccanico]
“Principalmente la troppa confidenza, dimestichezza con il lavoro che si fa quotidianamente,
fa abbassare la guardia anche se il lavoro di cui trattasi è altamente pericoloso. Penso che in alcuni settori, soprattutto in gioventù, le persone non sappiano governarsi”. [sindacalista settore trasporti]
“La mancata formazione. Succede che entri e pretendono subito, danno poco tempo all’apprendimento, uno non può minimamente imparare le norme per lavorare sicuro. Questione di
tempo, non puoi minimamente vedere quali sono le lavorazioni difficili, un tipo di lavorazione… ti
mettono lì. Schiacci il bottone verde e vai”. [operaio metalmeccanico]
“Quando è richiesta una anormale prestazione nell’attività lavorativa, quindi, ad esempio,
quando è richiesto uno sforzo per finire un lavoro, un eccesso di ore di straordinari. Attenzione
32
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 33
però, l’eccesso di ore di straordinari può essere dovuto sia a una richiesta del datore di lavoro, sia
dal dipendente stesso per farsi più soldi”. [operaio dei trasporti]
“C’è poi un’incidenza non dico di malattie, ma di stress psicofisico elevato, nelle imprese con
lavoro a catena, con la catena di montaggio, che producono parti per auto. I ritmi di lavoro sono
dettati dalla macchina, i lavori sono ripetitivi, i tempi sono dettati dalla macchina, i tempi di riposo
e di pausa sono inadeguati rispetto a una ripresa psicofisica adeguata … non è un infortunio né
necessariamente porta a un infortunio, ma se guardiamo l’incidenza, in queste imprese in cui si
lavora attaccati alla catena, tutto questo influisce perché non c’è la possibilità di avere un recupero adeguato e un uso armonico del corpo che si può provare ad avere quando devi costruire qualche cosa, non quando devi fare tre movimenti, sempre gli stessi, per l’intero turno”. [dirigente sindacale]
Le persone più a rischio:
“Sicuramente gli stranieri che non sono in regola. Sono quelli che hanno più paura di
rimanere senza lavoro e quindi accettano tutte le condizioni che gli vengono dette: orari
durissimi e anche continui spostamenti da un cantiere all’altro. Questo è molto importante: capisci che se salti da un cantiere all’altro non potrai mai abituarti al tuo posto di lavoro, non puoi conoscerlo ed è quindi più facile farsi del male”.
“Quando lavoravo come camionista, e andavo nelle grosse ditte, ogni giorno c’erano degli
operai diversi ... un giorno vedevo uno e il giorno dopo no. Li spostavano perchè erano in nero.
Dico solo che un lavoratore in nero è più sfruttabile, perchè gli puoi far lavorare come bestie senza
anche ti dicano niente. Non che io lavori di meno, anch’io se sono dietro a un lavoro cerco di finirlo. La differenza è che non sono obbligato a farlo e se sono stanco me ne vado a casa. Questo un
lavoratore in nero non lo fa”. [muratore]
“Sono sicuramente quelli che lavorano con sostanze e materiali dannosi. La cosa stupefacente che questi materiali diventano tali solo a posteriori [ride] quando ci hai già lavorato per anni ...
è il caso dell’amianto ma anche di molti altri materiali utilizzati comunque per ridurre i costi ... oggi
usiamo un sacco di nuovi preparati che premiscelano in fabbrica e che hanno dentro sicuramente delle sostanze chimiche dannose per l’organismo e che tu comunque respiri e tu non lo saprai
mai se non quando sarai già ammalato. Ma anche a quel punto ci sarà qualcuno che ti verrà a spiegare che non è a causa di quelle sostanze che ti sei ammalato ma perché magari fumi troppo. Poi
è anche vero che oggi ci sono molte persone che arrivano e dicono sono questo, so fare quello e
poi in realtà sono totalmente impreparati. Ti dicono di essere muratori ma in realtà non é vero”.
[muratore]
“Sono sicuramente i giovani che entrano per sei mesi, sono loro i primi a farsi male, perchè
hanno paura di essere lasciati a casa, allora cercano di fare il più possibile; ma non hanno esperienza e non conoscono bene le macchine così alla fine si fanno male”. [operaio metalmeccanico]
La voce del “vecchio” operaio che rischia di criminalizzare i giovani:
“Giovani che non hanno esperienza e gente che beve e si droga. Ma anche quando si è vecchi si sente di più la stanchezza. In generale chi lavora in nero: se ti fai male i datori di lavoro ti
danno dei soldi magari 1000/2000 euro e poi non si fanno più vedere”. [operaio edile]
“Neo assunti e interinali per gli infortuni, perché sono più ricattabili. Chi è a contatto con
vernici e solventi per le malattie”. [operaio metalmeccanico]
“Le persone più esperte che si fidano troppo degli attrezzi e sono troppo sicure di sé”.
[operaio porto]
33
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 34
“Sicuramente andando avanti con gli anni inizi ad avere meno riflessi ed essere meno tonico,
far fare l’operaio a una persona di 60 anni che magari si deve arrampicare, non dovrebbe essere
consentito, dovrebbero andare in pensione prima”. [operaio metalmeccanico]
“La colpa degli infortuni sul lavoro sta a metà tra il lavoratore ed il datore di lavoro: più è a
norma ed in sicurezza l’ambiente dove tu lavori, più la colpa è del lavoratore, più è mal organizzato il sistema di sicurezza del posto dove lavori, più la colpa è del datore.
La colpa delle malattie dipende, l’azienda principalmente, perché comunque loro ti mandano
a lavorare su una cosa, tipo uno che fa vernici. Cosa si respira uno tutto il giorno? E ti dicono di
usare la mascherina, però nessuno ti dice che se per otto ore fai quell’attività ti viene qualcosa con
o senza mascherina. Dopo anni viene fuori che dentro la fabbrica si sono contratte le malattie che
hanno portato alla morte”. [operaio metalmeccanico]
“Là dove viene a mancare una sensibilità da parte di chi da il lavoro e laddove c’è una corsa al
ribasso per eseguire quel lavoro quelli sono i posti più a rischio, dove ci sono aziende che lavorano in maniere criminali, che non informano il lavoratore del rischio che corre e non danno le necessarie tutele ed i necessari dispositivi di protezione. Non si possono portare a zero gli infortuni
perché la componente incidentale rimane, però si può incidere pesantemente nella loro riduzione. Purtroppo la sicurezza coincide con i costi ed i costi non tutti sono disposti a sostenerli. La sicurezza non deve essere una certificazione o un foglio di carta, ma deve andare
oltre e bisogna crederci a tutti i livelli. Non vuol dire che se io indosso i DPI, allora tutto va bene;
anche il contesto lavorativo deve essere adeguato. Non si deve controllare solo l’ultima catena. È
fondamentale che ognuno faccia la propria parte, anche le autorità competenti, imprese, sindacato, autorità portuale e capitaneria di porto, non devono abbandonare chi lavora ma fornire un
costante controllo sulle condizioni generali di lavoro. È inutile che l’operaio sia a posto con i dispositivi di protezione individuale e poi lavori in un contesto di pericolo”. [operaio metalmeccanico]
“I più anziani, uno di sessant’anni su un’impalcatura rischia più di uno di venti. Chi fa
straordinario, l’attenzione e la stanchezza giocano dei ruoli molto importanti e non puoi essere lucido se fai turni di 10 o 12 ore ... c’è un legame fra straordinari, ore lavorate e rischio”. [operaia
metalmeccanica]
“Parlo sempre del mio settore, che è quello che conosco meglio. Chi si droga sul lavoro e chi
beve troppo, sicuramente, prima o poi si farà o farà involontariamente ad altri del male. Chiunque può
farsi male. Alcuni giovanissimi sono davvero molto attenti, le prime volte che salgono sui ponteggi,
però penso che le prime volte siano comunque più rischiose. Anche i più anziani, che conoscono
molto bene il lavoro, a volte, per troppa sicurezza, potrebbero avere dei problemi”. [operaio edile]
“Si fa male chi conosce di più i macchinari, operatori, operai con molti anni di lavoro …
Molte donne fanno molte cose durante il giorno e arrivano al turno di lavoro già stanche”. [operaia
metalmeccanica]
“Gli stranieri e i lavoratori in nero, perché sono più ricattabili”. [operaia metalmeccanica;
è una delle tipologie di risposta più diffuse]
“Le persone con più anzianità di servizio perché tendono a sottovalutare il rischio. I precari perché tendono a non investire in formazione”. [operaio metalmeccanico]
“Operai dell’edilizia e autisti, sono più a rischio, per me, i lavoratori più anziani e esperti che
sono troppo sicuri di sé e si fidano troppo dei macchinari”. [operaio dell’edilizia, autista di mezzi]
“È un fatto culturale, sta migliorando molto la situazione nei giovani, però non dico negli anziani, ma le persone che da qualche anno sono nel settore hanno una familiarità col rischio che lo fa
apparire meno probabile di quello che invece è. Delle volte c’è un atteggiamento di spavalderia,
sembra quasi che siano più uomini”. [operatore ASL]
34
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 35
“A volte l’anzianità … le persone di una certa età provengono da una certa concezione del
mondo del lavoro, un po’ perché per abitudine lo hanno sempre fatto … e le abitudini sono le cose
più difficili ... Ad esempio, i problemi alla schiena sono una delle cose che stanno venendo fuori e
uno di una certa età è più soggetto a dolori, a problemi … l’età diventa un problema, bisognerebbe organizzare l’età in un certo modo. C’è anche un rapporto fra ore lavorate e rischio.
Bisognerebbe far rispettare la legge. Il contratto dei metalmeccanici dice che lo straordinario non
può superare le 10 ore settimanali o fai il sabato o fai delle aggiunte settimanali. Invece scopri che
c’è chi lo fa tutti i giorni e il sabato. Più stai a lavorare, maggiore diventa la disattenzione rispetto
a quello che fai, perché c’è l’abitudine”. [Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione]
2. Diritti e doveri
“Per quanto riguarda i diritti ho seguito dei corsi e posso giurare che le norme di sicurezza non
sono rispettate. Per quanto riguarda i doveri l’unico che abbiamo è lavorare”. [muratore]
“Beh tanto per cominciare ho fatto il corso sulla sicurezza. Ma per quanto meriti fare a distanza di anni (cinque?) un corso di cinque ore... il tutto sembra una enorme farsa. A che serve
conoscere le norme di sicurezza a memoria se poi effettivamente non si fanno rispettare?”. [capocantiere edile]
“Conosco la legge 626, per quanto riguarda il mio campo”. [operaio porto]
“Più o meno. Conosco le cose che ti devono dare i datori e che tipo di protezione dovrebbero avere le macchine”. [operaio metalmeccanico]
“Più o meno … non ho mai fatto corsi né sono mai stato particolarmente informato sulle norme
di sicurezza”. [operaio metalmeccanico]
“Seguo corsi di aggiornamento. Sono responsabile sicurezza per il controllo delle funi. Inoltre
siamo costantemente informati tramite opuscoli e facciamo esercitazioni sul campo. Se ne occupa una ditta esterna”. [operaio metalmeccanico]
“Nel nostro lavoro secondo me non siamo sufficientemente informati, in particolare durante i
periodi di tirocinio non siamo sufficientemente tutelate. So che esiste la legge 626, ma non ho
molte informazioni specifiche sulle norme riguardanti il mio lavoro”. [infermiera]
“Sì, in ogni luogo di lavoro c’è anche esposto un manifesto con gli articoli più importanti a
riguardo dei rischi dei lavoratori, ma soprattutto come comportarsi in caso di varie emergenze”.
[infermiera caposala]
“La nostra è un’azienda sindacalizzata, siamo una delle aziende con il maggior numero di
denunce di infortunio, altissimo, perché c’è una cultura della sicurezza e gli incidenti vengono
denunciati.
Però ci sono delle aziende che invitano i lavoratori a mettersi in malattia, invece che in
infortunio … è diverso, non puoi dire ... cosa cambia? sto a casa lo stesso ... l’infortunio se è riconosciuto può servire a tutelarti se sorgono altri problemi”. [operaia metalmeccanica]
“I miei doveri sono quelli di lavorare e fare bene le cose che mi vengono richieste. I miei
diritti non li conosco molto bene, ad esempio proprio ora volevo andare a chiedere a qualcuno,
magari al commercialista (!), cosa fare per il dolore alla mano? perché quasi non riesco più a sollevare pesi. Volevo andare dal dottore ma non so come fare con la mutua ecc ... Ora capisco che
dovrei informarmi di più, ma a volte non si sa dove andare, non so a chi chiedere e di chi mi posso
fidare”. [operaio metalmeccanico]
“No, vagamente, poco ...”. [tipo di risposta prevalente fra i lavoratori dell’edilizia]
35
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 36
“Loro non mi hanno spiegato nulla. Di mio conosco qualcosa, ma di sicuro non tutto.
Comunque ci hanno detto che presto andremo a un corso di formazione, (ovviamente non in orario di lavoro) e lì, spero, ne saprò qualcosa di più”. [operaio dell’edilizia]
“In generale ci sono poche conoscenze, i lavoratori sono divisi in due parti: quello che siccome lavoro, tutto il resto è un diritto. È quello che a lui basta lavorare e tutto gli deve essere dato.
Poi c’è quello che “il capo ha sempre ragione” e lui ha solo del dovere. È brutto, il lavoro è uno
scambio, fra una prestazione, una manodopera e una condizione economica, ho diritti e doveri,
non devo essere sottoposto a ricatti tipo “se vuoi le ferie, devi fermarti due ore in più”. Questi
ragionamenti sono deleteri, bisognerebbe cambiare mentalità”. [Responsabile Servizio
Prevenzione e Protezione, Settore Metalmeccanico]
“Sì, i corsi per la sicurezza li fanno. Non tutti secondo me sanno il rischio che corrono o cosa
bisogna fare in caso di infortunio”. [operaia metalmeccanica]
“Negli ambienti come il porto più o meno tutti sanno la procedura. Però nelle microimprese,
dove ci sono i lavoratori del Maghreb o gli albanesi non lo sanno [...] ma anche certi lavoratori
anche più tranquilli non conoscono bene la differenza tra INAIL e INPS”. [lavoratore del porto]
“Molte volte è capitato di sentire la frase tipica “se ti fai male sei caduto a casa”. [operaio
metalmeccanico, piccola impresa]
“Ci sono molti problemi per informazioni ai giovani, c’è un po’ di carenza, l’informazione negli
ultimi anni non è stata curata molto bene. Complessivamente abbastanza, ma si vedono in giro
persone che sanno. Non si può saper tutto, molte cose le impari sul campo”. [RLS settore metalmeccanico]
“Un’idea chiara chiara non ce l’ho. Quando si parlava di come potevamo ovviare al problema
di quella macchina specifica, mi hanno risposto: oh, quello no, non si può fare per legge. Ma come,
serve a non farmi male e non mi va bene per legge. Se è così, non va bene la legge … non può la
legge prevedere che non possono mettere a posto la macchina perché così non è più come l’hanno progettata. Prima devi pensare a non farmi far male! Come devono mettere a posto una macchina per non farsi male lo so meglio io che ci lavoro che uno che fa la legge. All’azienda interessa solo essere a posto e spendere il meno possibile”. [operaio metalmeccanico]
“Si, abbastanza, ma abbiamo fatto dei corsi sulla 626 secondo me insufficienti, solo sul rischio
incendio, ogni tipo di lavoro ha le sue problematiche e noi non abbiamo una formazione specifica”. [operatore sociosanitario]
3. Sicurezza, lavoro, società
“Partendo dal fatto che la nostra è una società fondata sul lavoro, direi che la società rientra in
ogni piccolo fatto lavorativo ... penso cioè che sia innanzitutto la società a dover far rispettare le
norme di lavoro anche a costo che questo diventi controproducente ... è ovvio che però
questa sia una enorme chimera ... chi lavora nell’edilizia questo lo sa. La regolamentazione dall’alto è pressoché inesistente. Esiste solo sul piano personale. Sta cioè alle singole persone fare in
modo che le cose funzionino con meno pericoli possibili ... sta cioè al datore di lavoro trattare o
meno i suoi operai in maniera umana ... io spero di farlo o almeno cerco di farlo ... spesso però è
difficilissimo: si é costretti a chiedere ai propri lavoratori sforzi sovraumani ... manco fossero dei super eroi”. [capocantiere edile]
“Tutta la società. C’è troppo lavoro nero: non solo lavoratori in nero ma anche cantieri senza
contratto. Se il lavoro non è fatto bene, se i materiali non sono buoni alla fine tutti ci rimettono”.
[muratore]
36
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 37
“Riguarda tutta la società, perché tutti dovrebbero sapere i propri diritti e doveri. Come se uno
guidasse ubriaco: è responsabile nei confronti di tutta la società”. [operaio edile]
“Riguardano tutti quanti! Ma ripeto che la loro attuazione è difficile per tutti, datori di lavoro e
dipendenti. Per i datori di lavoro è difficile mettere a norma un edificio o dei dipendenti costa sempre e comunque, e non mi pare ci siano grosse sovvenzioni. Poi uno si scoraggia anche perché se
si sbatte tanto per prendere le misure di sicurezza e poi i dipendenti non le usano vedi che quando si deve aggiornare o mettere a posto delle cose quelle modifiche non le fa più, non si mette più
a norma, non ti compra più la mascherina o l’occhialino. Lo stesso vale per i dipendenti: è difficile a volte seguire ciò che ti viene detto o usare certe cose che sarebbero obbligatorie ma che poi
di fatto non segue nessuno. Perciò tutti e nessuno sono responsabili”. [operaio edile]
“Riguarda proprio tutti. È importante sapere queste cose, ma io non guardo mai la tv e leggo
molto poco i giornali ... a volte la domenica mattina!”. [operaio metalmeccanico]
“Pensare che riguardi solo gli addetti è illusorio. Siamo tutti coinvolti, tutta la società.
L’opinione pubblica ha finalmente alzato la soglia di attenzione sull’argomento, anche perché si è
resa conto che i casi sono molti e questo è già un primo passo, ma molto resta ancora da fare,
anche a livello di sindacato. Occorre un’azione sinergica da parte dell’intera società. È fondamentale investire nella sicurezza che, non è mai abbastanza. Non ci sono soldi spesi meglio se non
quelli finalizzati alla sicurezza”. [sindacalista settore trasporti]
“Secondo me il problema della sicurezza riguarda in modo particolare i sindacati e i datori di
lavoro. Da parte della società c’è parecchia sensibilizzazione per questi problemi. Anche se come
è successo ultimamente per far venire a galla questi problemi ci deve sempre scappare il morto”.
[operaio metalmeccanico]
“Sono un aspetto che le imprese usano per ridistribuire dei costi sulla collettività. Normalmente
gli infortuni sul lavoro se non sono mortali o non sono molto gravi si tendono a non considerare
come tali, però dal punto di vista di salute del lavoro ed igiene del lavoro, sono dei costi altissimi
che vengono poi traslati serenamente all’INPS”. [trasporti, autotrenista]
“Può riguardare anche tutta la società ma coloro che lavorano devono avere determinati accorgimenti per avere dei comportamenti altrettanto adeguati nelle diverse situazioni, ci deve essere
una coscienza che guida tutti nel fare determinate cose”. [operaio edile]
“Tutta la società. Il fatto di non applicare determinate regole significherà avere un aumento
della spesa pubblica per l’INAIL è rilevante perché lo paghiamo tutti”. [operaia metalmeccanica]
“In teoria tutta la società, che è composta da datori di lavoro e persone che lavorano, ma la
sicurezza si dovrebbe gestire con l’affiancamento a un lavoratore esperto [...] è una cosa che purtroppo non si può fare più per ragioni di tempo, soldi, globalizzazione … la società a volte si
nasconde per non responsabilizzarsi”. [lavoratore del porto]
4. La mediatizzazione della sicurezza sul lavoro
“Alla fine non si capisce mai che cosa è successo. Ad esempio, alla Thyssen, in tutte le trasmissioni televisive, nessuno ci ha mai spiegato la dinamica dell’incidente, che cosa è realmente
successo, le persone che lavorano nei luoghi coinvolti non si vedono quasi mai, vediamo solo pietismo, interviste alle vedove, ai figli … senza che si faccia capire che cosa uno potrebbe fare per
evitare l’infortunio […]. Non ci risultano modifiche nell’atteggiamento dei lavoratori a seguito di
queste ondate comunicative”. [operatrice di un patronato]
“Parlarne in sé è necessario e utile, perché c’è un numero di morti sul lavoro che sembra una
guerra, indegno di una società civile. Bisognerebbe secondo me non dare solo la notizia del morto,
37
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 38
l’approccio dovrebbe essere diverso, i giornali dovrebbero parlare di più di prevenzione, di perché
succedono certe cose ... perchè c’è la corsa agli appalti a basso costo. Il basso costo nasconde
lavoro in nero, assenza di sicurezza. La mia paura è che questo modo di dare le notizie produca
abitudine all’idea che uno può andare a lavorare e rischiare la vita. Il lavoro per me deve essere un mezzo per vivere in maniera dignitosa, in un paese civile non si deve rischiare la vita per questo”. [operaia metalmeccanica]
“È un argomento trattato male. I mezzi di informazione sono stati utilizzati solo per fare ascolti, c’è l’infortunio grave e poi si dimentica. Chi oggi si ricorda più della Thyssen, se non quelli coinvolti direttamente, o dei quattro morti in fondo alla cisterna?”. [operaio metalmeccanico]
“Secondo me se ne parla poco, solo quando diventa un fatto che serve a qualcuno, i morti sul
lavoro ci sono sempre stati, in certi momenti serve tirarli fuori. Poco approfondimento, poco nei
programmi finché non capita la tragedia …”. [operaia metalmeccanica]
“Rischia di essere una cantilena poco utile. Non si entra a fondo nelle cose, i mezzi di comunicazione fanno demagogia, non sanno fare altro. Se l’INAIL fosse in grado di gestire una
testata giornalistica potrebbe fare qualcosa, sarebbe una delle poche cose da fare”. [lavoratore del porto]
“Usano le morti bianche sotto elezioni e poi finisce lì, continuiamo la nostra vita. Le grandi
aziende faranno finta di rispettare le regole, le piccole continueranno a farsi i fatti loro”. [operaio
metalmeccanico]
“Nella mia azienda è migliorata, da alcuni errori si è fatta esperienza. Sono aumentati gli infortuni in itinere. A livello generale in tutto quello che sento è peggiorata. Molta gente accetta, per la
situazione che si ha a livello economico, di fare più ore in nero, sottopagata”. [operaia metalmeccanica]
“Ho notato una discrepanza fra l’accaduto e il riportato sul giornale, è scritto a sensazione,
in maniera che faccia sensazione … più effetto, più colpo, talvolta è riportato, è difficile che il
giornalista arrivi in zona, mancano le conoscenze base che sarebbero necessarie per trattare questo argomento”. [tecnico ASL]
“C’è solo lo scoop giornalistico. Non ho mai visto la stampa venire qui a intervistarci, a fare
un articolo per vedere quali sono le ditte che si sono attrezzate per rendere sicuro il lavoro. Non
gli interessa, non gli interessa se l’azienda va bene, gli interessa l’infortunio, il morto, la notizia
grama, gli interessa solo il fatto compiuto”. [dirigente sindacale]
“È abbastanza utile, non ne parlano nel modo giusto, ma se non ne parlassero sarebbe peggio. I media ne parlano quando ci sono molti morti, se c’è la possibilità di parlarci per giorni, di
spettacolarizzare, e ignorano quello che c’è da sempre, i morti c’erano anche prima. Le persone
sono più sensibilizzate, mi ricordo che prima non ne parlava nessuno. Per ora però non c’è un reale
effetto sulla realtà del lavoro … si spera che in futuro le cose cambino”. [RLS]
“Si sminuisce la figura dell’ispettore, è sempre rappresentato come un pelandrone, uno
che non fa il suo dovere”. [tecnico ASL]
“È un problema sociale che esiste, ma che secondo me non è più grave rispetto al passato.
Solo che oggi, anche se è brutto dirlo, è un argomento che “va di moda” e ogni evento anche minimo ha un’enorme visibilità”. [infermiera]
“Purtroppo quando capita l’irreparabile si fa sempre notizia. Però forse è utile, perché la stessa notizia ti fa riflettere ... si pensa sempre: “tanto a me non capiterà mai”, almeno cosi uno è
portato a riflettere”. [operaio edile]
38
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 39
“In questi ultimi mesi ci si è accorti che si muore sul lavoro. Ma non si muore soltanto, ci si
ammala moltissimo, ci sono molte malattie professionali e non se ne parla. Si parla del morto,
ma non c’è interesse ad evidenziare quante malattie professionali ci sono e quanti infortuni che
diventano non mortali. Al di là dell’aspetto scandalistico che fa notizia, non mi pare si voglia incidere più di tanto. Vediamo quanto la Confindustria e le organizzazioni datoriali facciano resistenza
a prevedere delle sanzioni per i loro aderenti”. [dirigente sindacale]
5. La situazione attuale
“Secondo me è peggiorata ... anche perchè noi lavoriamo sempre con la paura ... ci trattano come se venissimo qua per derubare gli italiani e non per lavorare e guadagnare i soldi per la
famiglie per i figli ...”. [immigrato muratore tuttofare]
“La situazione è un po’ migliorata anche per via delle multe, ma non basta: bisognerebbe
innanzi tutto prestare più attenzione alle condizioni di lavoro per prevenire gli infortuni. A che serve
fare delle multe se poi le cose non cambiano?”. [operaio metalmeccanico]
“Forse è peggiorata. Perché con lo sviluppo della tecnologia e della cultura di oggi ci
dovrebbero essere meno incidenti e morti. Se tutto è come prima allora vuol dire che si sta
peggio”. [operaio edile]
“Secondo me è peggiorata perché gli addetti ai controlli sicuramente beccano dei soldi
per far passare i controlli, queste cose accadono, specie al Sud. Un altro motivo è che avere
tutto a norma e tutto in regola costa un sacco di soldi e chi per risparmiare, chi per avidità, chi perché non ne ha, però non tutti possono permetterselo, se non le grandi aziende, e forse!”. [operaio
metalmeccanico]
“Nel nostro campo migliorata, ci sono più forme di sicurezza e prevenzione. Anche per gli altri
tipi di lavoro vale lo stesso, le cose sono miglioraie anche se in certi settori c’è ancora molto da
fare”. [operatore sanità]
“Non è migliorata. Anche per via del flusso in entrata di lavoratori stranieri che, più facilmente
ricattabili, sono spesso costretti a lavorare mettendo a repentaglio la loro sicurezza”. [operaio dei
trasporti]
“Sicuramente la situazione sta migliorando, anche se come detto, ci vuole sempre il morto
prima che venga sensibilizzata la società. Sicuramente qualcosa in Italia si sta muovendo, io sono
ottimista”. [operaio metalmeccanico]
“Secondo me la situazione è peggiorata. I sindacati non controllano più gli orari, i tempi di lavoro e l’anti-infortunistica non viene mai rispettata”. [operaio metalmeccanico, piccola impresa]
“Mi sembra che il numero complessivo sia diminuito, a circa milletrecento, so che alcuni anni
fa gli incidenti mortali erano circa mille quattrocento. Ma sono numeri da terzo mondo, non da
una Repubblica “ fondata sul lavoro” e “ democratica” la cultura della sicurezza continua a
mancare.
Si dovrebbe fare molto di più”. [operaia metalmeccanica]
“Secondo me la situazione è sempre la stessa, non migliorata né peggiorata. Infatti si sentiva
e si sente sempre parlare di morti sul lavoro”. [[operaio edile]
“Secondo me la situazione è uguale, ma è mediatizzata e pubblicizzata. È come la pedofilia,
che è sempre esistita, ogni tanto è presentata come un fenomeno nuovo che poi “scompare”non
appena giornali e televisioni non ne parlano più, anche se nella realtà continueranno ad accadere”. [infermiera]
39
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 40
“Mi sembra che dai numeri sia un po’ in flessione, ma il dato è ancora impressionante rispetto agli altri paesi europei”. [RLS]
“Sembra che ci sia costanza, o forse lieve miglioramento, ma i numeri non ti dicono, bisogna
saperli leggere e capire cosa c’è dietro. C’è una diminuzione generale del tasso di occupazione e
in particolare dei lavori ad alto rischio di incidente mortale ... per esempio l’INAIL si basa molto
sul documento di valutazione del rischio che l’azienda deve avere obbligatoriamente. Per
esempio se in un reparto rumoroso le relazioni fonometriche le fai fare nei turni di minor picco o
alla domenica ... sono numeri, dati oggettivi … e si può dire: questo non è esposto al rumore, è
sordo per fatti suoi. Dietro ai numeri bisognerebbe ragionare. Oggi ci basiamo tantissimo sulla
percezione per tutta una serie di cose … ma tra la percezione e la realtà ci sono delle differenze”.
[operatrice patronato]
“A naso direi che la diminuzione dei casi è soprattutto una diminuzione di denunce; bisognerebbe controllare a tappeto dove c’è l’impresa denunciata […] Questo non è scontato, anche noi come
sindacato tendiamo ad occuparci esclusivamente di chi rappresentiamo”. [dirigente sindacale]
“Per me è rimasta uguale ... sembra peggiorata perché se ne parla di più”. [operaio metalmeccanico; è una delle risposte più frequenti]
“Non credo che sia cambiata particolarmente. La percezione è che sia aumentata perché se
ne parla di più, ma se la percezione è aumentata è una cosa buona, non abbiamo che da guadagnarci”. [operatore socio-sanitario]
“Sono dubbioso. Se ne parla, se ne vede, ma nel palazzo nuovo che sta facendo la CGIL
a Milano lavorano senza caschetto! Se ne parla ... se ne parla … prima gli stipendi erano adeguati a un tenore di vita medio … ora stiamo tornando indietro, non si guarda alla sicurezza, basta
produrre, anche le grandi fabbriche, come la Thyssen”. [operaio metalmeccanico]
“Per me non è cambiato molto ... qua dentro è leggermente migliorata. Il clima generale però
è peggiorato. La Confindustria dice che dobbiamo aumentare la produttività, ma loro cosa ci
danno in cambio? Non dico in termini monetari, ma almeno in termini di sicurezza”. [operaio metalmeccanico]
6. Proposte
“Bisognerebbe innanzi tutto cambiare i metodi di lavoro, regolamentare soprattutto i tempi.
Perchè tutto il nostro lavoro ruota intorno al tempo, alla fretta, alla velocità. Bisognerebbe lavorare in tranquillità e non sempre con l’ansia di finire. Poi bisognerebbe prestare più attenzione ai contratti di lavoro ... che attualmente fanno schifo ... e per prendere più soldi devi metterti d’accordo
con il tuo datore di lavoro”. [operaio metalmeccanico]
“Ci vorrebbero più controlli esterni. Da noi ci sono tanti cantieri che non hanno neanche i cartelli di sicurezza. E quando ci sono, sono scritti in italiano: dovrebbero essere anche in francese,
inglese e arabo perché tutti i lavoratori nei cantieri sono stranieri”. [operaio edile]
“Innanzi tutto controllare, secondo me certe cose si sanno e si lasciano stare, tipo il lavoro
nero. Il lavoro nero c’è da tutte le parti nei posti piccoli sotto i 15 dipendenti. Nelle piccole realtà
lavorative. Ci sono un sacco di aziende che per risparmiare preferiscono avere dieci marocchini
invece che un italiano. Da noi l’apprendista fa il mese di prova in nero e questo accade ovunque.
Solo le grandi aziende che hanno bisogno di tanta manodopera assumono a scatola chiusa. Quindi
ripeto, innanzi tutto controlli e poi le ditte che vengono trovate fuori regola vengano realmente sanzionate”. [operaio metalmeccanico]
40
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 41
“Ci vuole il ricambio generazionale, puntare sui giovani in grado di portare energie fresche
e innovazione. non si può vivere sul passato, bisogna insegnare ai giovani come lavorare, in sicurezza e con giudizio, bisogna fornirgli una strada da seguire. Lo ripeto i controlli servono solo a farti
paura”. [imprenditore ditta trasporti]
“Bisognerebbe riuscire a fare applicare le giuste leggi che sono già in vigore. Bisognerebbe
fare maggiore denuncia, se ci fosse più denuncia e meno omertà si risolverebbero un sacco di
problemi, invece l’omertà sta ovunque, nelle aziende private pubbliche, ovunque c’è omertà, e
senza denuncia il problema non si identifica e la legge giusta non viene rispettata. Bisognerebbe
stressare meno i lavoratori, richiedere meno produzione, se io non sono obbligato a produrre 100
ma solamente 80, ecco che sono più riposato, meno stressato e quindi sbaglio di meno”. [operatore sanità]
“Assolutamente tutelare di più i lavoratori, soprattutto chi inizia. Chi inizia è esposto alle difficoltà di apprendere, difendersi dal rischio e integrarsi. E’ una categoria a rischio”. [operaio metalmeccanico]
“Bisogna fare corsi di formazione, formare le persone, dare tanta conoscenza in mano alla
gente e poi far capire che la cosa è utile”. [lavoratore del porto]
“L’industriale che sbaglia deve pagare, non è giusto togliere le sanzioni. Bisogna tutelare l’orario di lavoro, le leggi italiane sono migliorabili, ma secondo me sono buone. Chi sbaglia deve
pagare seriamente. Bisogna informare la gente”. [operaia metalmeccanica]
“Per prima cosa cambiare la testa dei geometri … quando sei lì, devi fare lo scarico in un posto
a rischio, c’è sempre un dirigente che ti ordina di farlo lo stesso in qualunque situazione.
Comunque rendere noto a dirigenti di qualsiasi cantiere o fabbrica metalmeccanica che la fretta è
sempre una cattiva consigliera ed è la principale causa degli incidenti”. [operaio edile]
“Occorrerebbe un sistema di controllo più efficiente. Gli ispettori preposti sono pochi e fanno
quello che possono”. [operaio metalmeccanico RLS]
“La sicurezza deve diventare un fatto culturale, deve esserci la percezione del dolo nel violare
le leggi, come c’è per il rapinatore in banca. E invece le reazioni sono state: cinque anni a un
imprenditore? Scherziamo …”. [operaio metalmeccanico]
“Per prima cosa non bisogna legare tutto alla produttività, tanto se l’operaio è monco lo metto
in ufficio, lo sostituisco. Bisogna che il sindacato si faccia sentire con i datori di lavoro, questi qua devono capire che se noi stiamo meglio, lavoriamo meglio, produciamo di più.
Migliorare la formazione specifica sul posto di lavoro”. [operaio metalmeccanico]
“Ci vorrebbero più controlli, soprattutto per aiutare i ragazzi che lavorano in nero, sia
stranieri, sia italiani. Sono troppo sfruttati, lavorano moltissimo e senza alcuna tutela. Non è giusto. Nell’altra ditta, una volta, ci sono stati dei controlli e … “ci hanno fatto scappare come conigli”. Il datore di lavoro ti dice sempre e solo “se così non ti va bene, te ne puoi andare”. Ma quando uno è costretto, non può fare diversamente”. [operaio edile]
“Per migliorare la sicurezza sul lavoro bisogna, come detto in precedenza, informare ed aggiornare continuamente la gente, anche a costo di diventare noiosi”. [operaio metalmeccanico]
“Un ampio lavoro di base a partire dalla scuola. Potrebbe essere utile anche una defiscalizzazione degli investimenti in sicurezza delle singole imprese; esempio: quando comprano materiali più sicuri o fanno fare ai proprio operai corsi per la sicurezza, ecco questi dovrebbero poter
scaricare dalle imposte i relativi costi, sicuramente questo servirebbe anche ad incentivare che
non lo fa a farlo.” [datore lavoro]
41
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 42
“Si dovrebbe innanzitutto aumentare i controlli, e sensibilizzare la coscienza delle imprese …,
non riesco a imputare tutta la colpa ai lavoratori!”. [operaio dei trasporti]
“Bisogna cominciare un po’ prima, creare già da ragazzi una mentalità diversa. Cominciare
dalle scuole […] Assolutamente è un modo inutile di fare informazione questo che vediamo attualmente bisognerebbe studiare delle forme più adatte, specifiche di comunicazione e iniziare dalle
scuole”. [tecnico Asl]
“Formare le persone mettendole a conoscenza degli aspetti specifici del lavoro, delle regole
della sicurezza, dei diritti. Singolarmente, esigere i dispositivi di protezione individuale e usarli.
Pretendere dei ritmi di lavoro non stressanti e ridurre le ore di straordinario”. [operaia metalmeccanica]
“Aumentare i controlli dello Stato e far applicare le norme, ma soprattutto liberarsi dall’ossessione della produzione, produrre di meno, consumare di meno e avere ritmi di vita meno ossessivi”. [infermiera]
“La politica, i governi non devono prenderli come una moda del momento, ma proprio come
una parte del programma di governo, prioritario anche rispetto ai salari. Investire miliardi di euro in
formazione, fare sgravi fiscali alle aziende che decidono di emergere. Inasprire le pene, dal punto
di vista penale e amministrativo, a coloro che violano le norme, vengono colti in violazione. Se
avviene un incidente, l’azienda deve essere sottoposta a un’inchiesta approfondita a largo spettro,
la funzionalità di quell’azienda lì. La strada è quella”. [operaio RLS]
“Bisogna iniziare a costruire una cultura della sicurezza a partire dalle scuole”. [operaia metalmeccanica]
“Il datore di lavoro ne deve pagare le conseguenze sul serio, in prima persona. Non che muore
una società e il giorno dopo se ne riapre un’altra, e poi un’altra … Deve pagare la persona stessa,
certo questo è possibile solo in una piccola impresa o media e non dove il datore di lavoro nessuno sa chi sia di preciso. I controlli vanno aumentati, io non ho mai visto nessuno”. [operaio metalmeccanico]
“Ridurre i ritmi di lavoro e gli straordinari, almeno nel mio settore. Assumere più persone negli
organi di controllo, il numero di ispettori va aumentato, i controlli non possono essere solo occasionali. Aumentare le multe e le sanzioni per le aziende che non rispettano le regole. Il lavoratore
deve potersi fermare, deve potersi rifiutare di fare un’operazione a rischio”. [operaio metalmeccanico]
“Bisogna aumentare i controlli, mettere degli ispettori provinciali a girare anche per i cantieri e
le piccole imprese come quella li. In sette anni io non ho mai visto nessun controllo, neanche
sapevo che ci fosse uno che dovrebbe controllare la zona. I controlli vanno fatti anche per eliminare il lavoro nero”. [operaio metalmeccanico]
“L’aspetto sanzionatorio è una cosa che non dovrebbero decidere i politici, dovremmo deciderlo noi … in certi ambienti come l’edilizia la sanzione di tre, quattro, cinquemila euro è una cosa
ridicola […] Non li stimola a quell’attenzione che dovrebbero porre, perché poi quei tre-quattrocinquemila euro li paga l’acquirente dell’opera. Se invece ci cominciasse a dire: “Qui c’è un reale
pericolo per la gente” e si dovessero mangiare due appartamenti per pagare le sanzioni, ci starebbero più attenti. Quelle cifre lì sembrano grosse, per uno come me che ha uno stipendio, ma per
uno che costruisce un palazzo o una casa che si vende a ottomila euro al metro, fargli pagare una multa di un metro quadrato è una cosa assolutamente ridicola. Poi bisognerebbe
avere un po’ di strumenti più incisivi per i professionisti, i quali non ci aiutano in niente. Anche per
loro questi piani operativi, piani di montaggio e smontaggio ponteggi, sono delle mere formalità da
presentare all’ispettore che viene e basta”. [tecnico ASL]
42
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 43
“Secondo me è utile che fra i tanti corsi di aggiornamento che si fanno ce ne siano molti mirati e specifici per creare un cambiamento culturale nelle persone, dove si sperimentino situazioni
realistiche, con simulazioni, per imparare a non sottovalutare i rischi. La consapevolezza è l’aspetto centrale in questo campo”. [infermiera]
“Rendere a conoscenza gli operai dei rischi che possono incontrare svolgendo il loro lavoro,
fare più controlli e obbligare l’azienda a mettersi in sicurezza anche multando chi non rispetta le
norme. Applicare le norme. La 626, interamente”. [operaia metalmeccanica]
“I controlli sono insufficienti, i dipendenti dell’ispettorato del lavoro nella nostra provincia
saranno sì e no tre … tre ispettori del lavoro in una provincia come Savona, come fanno a fare
tutto? È una cosa assurda! Bisogna andare a revisionare, ad ampliare una provincia come Savona,
per quanto piccola, deve avere un numero adeguato di persone all’ispettorato del lavoro che possono durante l’attività lavorativa girare per le fabbriche e per i cantieri … se manca questo, manca
già una buona parte del discorso”. [dirigente sindacale]
“Ci vuole un aumento di controlli, più fondi per le persone che controllano in giro per i cantieri, ci deve essere la percezione che lo Stato e gli enti locali sono presenti, devono creare il senso
civico”. [RLS]
“C’era anche fra noi, i delegati sindacali, chi sosteneva che siccome il lavoro era rischioso bisognava monetizzare il rischio. C’è anche una percezione distorta, invece che ridurre il
rischio al minimo, si vuole monetizzare perché il lavoro è rischioso … quando ti trovi di fronte a
queste esternazioni capisci che sei indietro anni luce […]. Io sono intervenuta di fronte all’azienda per dire: cerchiamo di ridurre il rischio, invece che monetizzarlo … sono stata accusata
di non voler fare ottenere risultati economici ai lavoratori … questo secondo me è il primo problema da affrontare coi lavoratori … far loro capire che non si può rinunciare alla sicurezza in cambio di un quantum economico. Cerchiamo di ridurre il rischio, non di monetizzare […] e invece
atteggiamenti come questo sono diffusi in tutti gli ambienti”. [dirigente sindacale]
43
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 44
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 45
La ricerca a Genova e nella regione
17
Considerazioni generali
La rappresentazione della sicurezza tra i lavoratori è diversificata poiché corrisponde a una pluralità di posizioni nelle imprese oltre che a sensibilità e cultura diverse. Una
prima sommaria ma importante distinzione che emerge con nettezza divide il mondo del
lavoro in due fasce: una parte apparentemente “sicura e tutelata”, che ha beneficiato
delle normative entrate in vigore negli ultimi decenni, anche per iniziativa comunitaria,
sensibile ed attenta al problema; una seconda parte più esposta ai rischi e in generale
all’insicurezza, in termini di infortuni e di malattie professionali, perché più debole, sia
da un punto di vista normativo - a causa delle nuove tipologie contrattuali e del lavoro
nero - perché oggettivamente più debole economicamente e professionalmente, quindi più ricattabile e costretta ad accettare o subire condizioni di lavoro insicure. In questo secondo gruppo evidentemente rientrano spesso i lavoratori immigrati, la cui posizione è ulteriormente aggravata dalle leggi vigenti, che osservate dal punto di vista del
lavoro e della sicurezza, come vedremo, non producono altro che forza lavoro ricattabile. Nella gran parte dei casi, questi lavoratori non vengono raggiunti dai provvedimenti relativi alla prevenzione e alla formazione sulla sicurezza; per esempio, molti non
hanno mai sentito parlare della legge 626. Ne consegue che in questo secondo gruppo
non si incontra particolare sensibilità verso il problema malgrado la maggiore esposizione. Per buona parte di questi lavoratori tale sensibilità appare come una sorta di
“lusso”, date le condizioni reali di lavoro in cui abitualmente si trovano ad operare; se
pure fosse presente è meglio ignorarla, far finta di nulla, perché sarebbe causa di ulteriori frustrazioni considerati i problemi di maggiore urgenza, come quello dell’occupazione in sé, del salario e persino del suo pagamento.
Ci si trova quindi di fronte a rappresentazioni diverse, stratificate, ma che rivelano
immediatamente ulteriori differenze e articolazioni al loro interno. La fascia di lavoro che
abbiamo definito debole, ad esempio, è segmentata dalle varie tipologie contrattuali dei
lavoratori, dalla presenza del lavoro nero, della manodopera dei lavoratori immigrati
ecc.
Percezione responsabilità e cause
Prendendo in considerazione il primo blocco tematico dei questionari e delle interviste, a proposito della percezione delle responsabilità e delle cause dell’insicurezza sui
luoghi di lavoro, potremmo riassumere che emergono già differenti posizioni che attraversano la prima e importante distinzione tra una fascia di lavoro relativamente protetto ed una fascia debole, peraltro senza che tale distinzione sia messa in discussione.
Appare subito rilevante che la maggioranza attribuisce parte delle responsabilità agli
stessi lavoratori. Sono diverse le modalità, spesso compresenti, con cui viene descritta tale responsabilità. Si passa dalla distrazione alla negligenza, fino ad arrivare al fattore esperienza, che, per le sue implicazioni, si rivela particolarmente interessante per
la ricerca. In questa prospettiva è il lavoratore stesso ad essere responsabile, almeno in
parte, della sua esposizione a rischi e incidenti. Queste stesse risposte chiamano in
17
Capitolo a cura di G. Quiligotti.
45
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 46
causa i datori di lavoro e tutti gli altri attori sociali e istituzionali che si occupano del problema della sicurezza. L’esempio più evidente è quello relativo all’esperienza. Come
imputare l’inesperienza ai soli lavoratori? Quando un lavoratore muore o si infortuna, un
“numero” torna ad essere per un attimo una persona; allora qualsiasi giornalista è
costretto a domandarsi cosa ci facesse un operaio inesperto in quella situazione particolare che ne ha provocato la morte; si porrebbe domande sulle condizioni di effettive
sicurezza, data la presenza di lavoratori senza esperienza in ruoli pericolosi per loro
stessi e per gli altri. Normalmente questo non avviene, quotidianamente si rischia e si
spera, con un lavoratore generico si rischia semplicemente di più. Ma lo stesso discorso vale anche per la “distrazione”. Se le condizioni di sicurezza fossero rispettate a
dovere, forse una semplice distrazione non sarebbe sufficiente a far morire una persona, a far cadere un manovale da una impalcatura, ad esempio. Anche perché è difficile
immaginare che in un giorno lavorativo non ci siano momenti di flessione dell’attenzione, distrazioni appunto. Ancora più flagrante è l’ignoranza o la scarsa attenzione alle
misure di protezione rispetto ai rischi di malattie, connessa all’assenza di rischio immediato di morte o di infortunio. Ignoranza che, come vedremo meglio in seguito, corrisponde a una comprensione ancora troppo scarsa del problema non solo nel mondo
del lavoro ma in tutta la società.
Accanto ai lavoratori sono chiamati in causa, ancora una volta dalla maggioranza
delle persone sottoposte al questionario, i datori di lavoro. Il giudizio sugli atteggiamenti di questi ultimi è molto variabile. Da una parte troviamo chi pensa che gli imprenditori siano semplicemente disinteressati al problema della sicurezza e quindi alla salute e
alla vita dei lavoratori. La forza lavoro appare allora come una merce “usa e getta”, perché ha assunto la caratteristica di essere in eccedenza e quindi facilmente intercambiabile18. Una rappresentazione tanto più vera quanto più ci si avvicina alla fascia più bassa
del mercato, dove la forza lavoro appare effettivamente molto debole, come nell’edilizia, l’esempio che meglio illumina questa condizione. A tale proposito, la percezione dei
testimoni è netta: gli uomini nei cantieri - soprattutto la bassa manovalanza, gli immigrati appesi ad un permesso di soggiorno, ecc - non sono che braccia, numeri, nonpersone19. Una rappresentazione che troviamo a tutti i livelli del mondo del lavoro, trasversale alle differenze che lo segmentano, ovvero sia tra chi subisce sulla sua pelle
questa condizione sia tra gli altri lavoratori. L’edilizia è quasi invariabilmente identificata come il settore più pericoloso. Al polo opposto troviamo chi attribuisce ai datori di
lavoro la loro parte di responsabilità, accanto a lavoratori, ai sindacati e alle altre figure
che si occupano di sicurezza (una ripartizione che dà a ciascuno un terzo di responsabilità: un terzo, un terzo, un terzo, secondo la formula di un intervistato), senza enfatizzare, mostrando comprensione per gli atteggiamenti degli stessi.
Seppure in assenza di dati statistici a supporto di tale considerazione, si può osservare che nelle piccole e medie imprese meccaniche, e soprattutto in quelle abbastanza
solide, con a capo magari un ex operaio, la condivisione degli obbiettivi e delle sorti
aziendali è spesso forte e che c’è molta comprensione e rispetto tra imprenditori e lavoratori. I limiti che nondimeno vengono individuati nella gestione della sicurezza vengono
accettati come inevitabili: appare realistico che non si possa raggiungere una sorta di
18
In effetti, una delle conseguenze negative della cosiddetta “rivoluzione liberista” consiste nella duplice possibilità di far ricorso alle nuove tecnologie (per esempio la robotizzazione) per ridurre al minimo la manodopera oppure di puntare sulle delocalizzazioni delle attività nei paesi terzi dove la manodopera costa ben poco e
non è protetta o ancora nella possibilità di far ricorso a una manodopera inferiorizzata, precaria, senza diritti
che è appunto quella impiegata nel semi-sommerso e nel sommerso.
19
Vedi A. Dal Lago, Nonpersone, Feltrinelli, 1999 e Z. Bauman, Vite di scarto, Laterza, 2007.
46
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 47
sicurezza totale (“la sicurezza assoluta é mangime per polli”). Ma questo conduce anche
a giustificazioni dell’insicurezza, come ad esempio quelle invocate in relazione alle difficoltà in cui versa la stessa azienda di fronte alla concorrenza. In questi contesti generalmente si lavora solo in regola, le norme basilari sulla sicurezza vengono ottemperate, i
lavoratori si percepiscono come relativamente protetti e rispettati. Le piccole e medie
imprese in questione hanno una presenza relativamente solida sul mercato per la professionalità, l’esperienza, il prestigio che possono vantare, si occupano di lavorazioni o di
fasi del processo produttivo dove è richiesta una certa eccellenza, lavorano dentro o per
le medie e grandi imprese meccaniche genovesi e spezzine. I lavoratori hanno un mestiere, una dignità, una forza contrattuale, possono negoziare le condizioni in cui si trovano
a lavorare di fronte al datore di lavoro come nei grandi cantieri dove si appaltano lavorazioni specifiche. La posizione sul mercato di queste imprese, per quanto solida, è minacciata dalla concorrenza di nuove aziende più aggressive, disposte ad appaltare le stesse lavorazioni a costi più bassi, che fanno uso di lavoro precario, non in regola, che investono meno in sicurezza ecc… I lavoratori delle prime sentono la pressione di questa
concorrenza al ribasso come una minaccia. Quando lavorano in grandi cantieri, accanto
ad altre decine di ditte appaltatrici, sono esposti direttamente alle conseguenze di questa logica, trovandosi spalla a spalla con lavoratori che per diversi motivi sono molto
meno esigenti in termini di sicurezza, che sono disposti a monetizzare i rischi d’infortunio e la salute e che finiscono per esporre ai rischi tutti i lavoratori presenti nell’area.
Seppure in forme e dimensioni diverse anche nel settore edile esiste una situazione per
molti aspetti analoga. Gli artigiani e le piccole ditte di artigiani che lavorano nelle costruzioni sembrano occupare una posizione simile, per la professionalità e l’affidabilità che
possono vantare, per il relativo potere contrattuale e le sue importanti ricadute sul terreno della sicurezza. Questi artigiani - le testimonianze concordano - possono rifiutarsi di
fare un lavoro in determinate condizioni, possono esigere l’applicazione dei dispositivi di
sicurezza previsti dalla normativa o ritenuti comunque indispensabili, per lo meno entro
certi termini. Nonostante la loro posizione di relativo vantaggio competitivo dato dal
mestiere e dall’affidabilità, essi subiscono comunque la pressione dal basso di lavoratori e ditte disposti a lavorare a costi minori, in condizioni peggiori ecc… In molti casi, inoltre, hanno frequentato corsi di formazione, legati alla specificità delle loro mansioni, ma
soprattutto sembrano in possesso di una propria cultura della sicurezza, maturata sul
campo e ritenuta in genere fondamentale quanto l’esperienza e spesso anche di più
(argomento che verrà ripreso più avanti per le importanti implicazioni che ha in relazione
alla “formazione”). Tra questi lavoratori è molto diffusa la consapevolezza che per quanto riguarda l’esposizione a incidenti e malattie, forte è l’incidenza dei tempi e dei costi di
produzione, della concorrenza globale e delle sue conseguenze sui sistemi produttivi,
quali la diffusione del subappalto e del lavoro irregolare, il peggioramento delle condizioni e degli ambienti di lavoro, oltre che l’erosione del potere contrattuale e in generale
dello stato di diritto.
Un terzo blocco di responsabilità chiamate in causa dai lavoratori è relativo ai sindacati e ai vari attori che si occupano del problema della sicurezza. Nel settore delle
costruzioni sembra che il sindacato praticamente non esista, ovvero non sia presente
nei luoghi di lavoro. Ed essendo questo un dato “storico”, un carattere di lungo periodo dell’edilizia, è quasi scontato che anche a livello di percezione non gli venga attribuita una posizione rilevante. Tra i metalmeccanici è invece abbastanza importante la presenza di operai molto critici verso le organizzazioni sindacali. Il terreno della sicurezza
sembra essere una dimensione in cui le stesse organizzazioni dei lavoratori sono considerate in difetto di sensibilità e cultura o accusate di averne sottovalutato la portata o
persino di averne fatto mercanteggio (forse perché i continui ripieghi su atteggiamenti
47
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 48
difensivi hanno indotto ad addossare ai sindacati la generale erosione del potere contrattuale dei lavoratori). Anche nelle grandi aziende, dove il sindacato è una presenza
stabile e tradizionalmente forte, si registrano tra i lavoratori posizioni molto critiche. Il
sindacato viene infatti percepito come un’istituzione burocratica, che svolge una funzione prettamente contrattuale e tutta una serie di importanti compiti amministrativi, ma
un attore assente sul terreno della sicurezza, incapace di opporsi alle logiche più deleterie dei nuovi sistemi di produzione e all’erosione in termini di diritti per tutti, come
sembra dimostrare proprio la questione della sicurezza. Le interviste ai testimoni privilegiati, appartenenti al sindacato o meno, confermano questa rappresentazione, ma
sottolineano il fatto che ci troviamo in una situazione in movimento, segnata da importanti trasformazioni, che la recente normativa in materia - il cosiddetto Testo Unico rafforzerà ulteriormente. Secondo questi testimoni negli ultimi anni, con variazioni
anche notevoli da contesto a contesto, la cultura della sicurezza ha comunque fatto
notevoli passi avanti, che si sono riflessi anche in nuove figure professionali, quali i Rls,
i Rlst, in nuovi momenti e materie di concertazione con le imprese.
Lo scarto che si registra in questo senso tra la rappresentazione degli operai e quella dei testimoni privilegiati potrebbe essere dovuto alla lentezza con cui si affermano
questi cambiamenti, al tempo necessario perché diventino effettivamente operativi, ma
anche, secondo alcune testimonianze, all’inefficacia pratica e reale di certi istituti in via
di affermazione, alla “burocratizzazione” della sicurezza. Vengono prodotti documenti di
valutazione programmatici, “piani sicurezza”, certificazioni; visto dal basso, tuttavia, ciò
appare un mondo di carta e gli adempimenti formali hanno una retroazione praticamente inesistente sulle condizioni di lavoro. Anche figure a prima vista molto importanti,
come i Rls solo nelle aziende medio-grandi e con una certa tradizione sindacale e operaia, sembrano essere espressione dei lavoratori e anche in questi casi il loro ruolo pare
condizionato da limiti e ambiguità che tutti i lavoratori intervistati e gli stessi Rls segnalano. Più spesso, e specialmente nelle piccole imprese, appaiono come espressioni di
scelte padronali, che l’interessato accetta e che i lavoratori ratificano.
Oltre che verso i sindacati i lavoratori esprimono diversi livelli di critica agli altri attori
che si occupano di sicurezza, in particolare agli Ispettorati del lavoro e alle ASL. La grande maggioranza dei lavoratori pensa che i controlli siano truccati o anticipati da una
telefonata. In dati giorni il datore di lavoro e l’impresa divengono tutto ad un tratto molto
solerti nell’imporre i dispositivi di protezione individuale, nell’adempiere i requisiti normativi o nell’allontanare prontamente la manodopera non in regola. Nel cantiere, per l’occasione anche pulito, passerà dopo poche ore il controllo. Si tratta di un racconto quasi
seriale, per la sua frequenza, tra i lavoratori dell’edilizia. Nello spezzino è molto diffuso
un motto che rende molto bene l’idea: “è più facile che ti colga un fulmine piuttosto che
un ispettore dell’Asl…”. Nella rappresentazione dei lavoratori e di alcuni sindacalisti, gli
ispettori “frequentano troppo i piani alti”, gli uffici della direzione delle imprese, si preoccupano troppo poco di verificare che la loro opera di controllo e sensibilizzazione abbia
ricadute reali e coerenti negli ambienti di lavoro, non ascoltano le istanze che vengono
da chi rischia. Gli operatori delle Asl difendono il loro operato sostenendo che un atteggiamento esclusivamente sanzionatorio non sarebbe comunque efficace per la semplice
ragione che è impossibile per loro controllare a tappeto tutte le attività, che spesso per
le imprese pagare un’ammenda non è un problema, che sul lungo periodo paga di più il
dialogo, la dissuasione, la persuasione. La collaborazione del mondo delle imprese è
fondamentale per affrontare seriamente il problema e va sensibilizzato in questo senso,
dicono, evidenziando i vantaggi economici di una produzione in sicurezza. In realtà, i
lavoratori non sanno gran che delle attività delle Asl e dell’ispettorato del lavoro e ciò
sembra rafforzare una loro immagine in genere piuttosto negativa.
48
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 49
Altre perplessità e frustrazioni emergono nei confronti dell’INAIL, soprattutto per la
gestione di infortuni e malattie, giudicata in alcuni casi arbitraria o lesiva dei diritti del
lavoratore. Lo stesso avviene per la messa in malattia, e quindi il passaggio all’INPS,
per la richiesta di riconoscimento di infortunio, per l’assegnazione dei giorni di infortunio, per le percentuali di invalidità. I cosiddetti scandali riguardanti l’INAIL non hanno
migliorato l’immagine di questa istituzione che, come le precedenti, appare troppo lontana dai lavoratori.
Per quanto riguarda le cause “sistemiche” dell’insicurezza, i lavoratori riconoscono
nell’accelerazione dei tempi di produzione la prima ragione dei rischi a cui si trovano
esposti. Soprattutto in determinate fasi della produzione, quasi sempre in coincidenza
della consegna, le lavorazioni, per problemi di tempi, finiscono per sovrapporsi, vengono processate in modo affrettato, necessariamente sommario, in condizioni di sicurezza assolutamente inadeguate, anche per l’uso massiccio di straordinari. Questo accade invariabilmente in tutti i settori presi in considerazione e gli esempi pervenuti sono
molteplici. Naturalmente vengono menzionati il fiorire di forme contrattuali atipiche o
precarie, l’esternalizzazione della produzione, la logica del subappalto, pratiche giudicate in genere deleterie. Va innanzi tutto osservato che le risposte appaiono prive di forti
elementi ideologici; le rappresentazioni scaturiscono dalle esperienze e solo se sollecitata la maggioranza dei lavoratori approfondisce l’analisi e fornisce risposte più ampie.
In generale, la precarietà del lavoro e dell’esistenza prodotta dal sistema di produzione
attuale viene percepita come la prima causa dell’erosione dei diritti dei lavoratori, anche
sul piano della sicurezza e della salute individuali. Tale precarietà, infatti, si traduce inevitabilmente in diverse forme di subordinazione, ricattabilità, accettazione del rischio.
Ciò che emerge, con più forza dove le condizioni lavorative sono più insicure, meno
tutelate e selvagge ma che sembra profilarsi anche altrove, è la “complicità” che lega
tutti gli attori coinvolti, a partire dai lavoratori e dai datori di lavoro, nell’elusione delle
norme relative alla sicurezza. Le strategie individuali dei lavoratori - arrivare a fine mese,
non perdere il lavoro, portare a casa una busta paga più cospicua ecc.- sono spesso
dettate brutalmente dalle condizioni materiali e sembrano contribuire, unitamente alle
logiche della produzione, nel determinare questo spirito al ribasso per il quale tutti gli
attori a vario titolo coinvolti sono responsabili. Il circolo vizioso che porta alla “monetizzazione” dei rischi e della salute viene rafforzato dalla pervasività della competizione per
mantenere il posto di lavoro e guadagnare di più (sebbene a volte il compenso sia
comunque miserabile), che passa proprio attraverso l’ignoranza e/o l’accettazione del
rischio.
Diritti e doveri
Nella percezione dei diritti e dei doveri ritroviamo la segmentazione rilevata in sede
iniziale tra una fascia relativamente protetta del mercato del lavoro e una debole. I lavoratori più garantiti a livello contrattuale, con una maggiore professionalità, che lavorano
presso medie e grandi imprese, dimostrano di avere una conoscenza dei diritti e dei
doveri in materia di sicurezza molto più diffusa. Spesso questi lavoratori hanno frequentato corsi di prevenzione e formazione, come quelli previsti dalla legge 626, conoscono
i sindacati, che, nonostante le critiche rilevate, continuano a essere un importante agente di conoscenza in materie di diritti e doveri. Inoltre, beneficiando di una maggiore stabilità occupazionale, hanno modo di apprendere sugli stessi luoghi di lavoro la “cultura
della sicurezza”, quindi la difesa della loro persona, a fianco degli occupati con più
esperienza. Quando si parla di diritti e doveri nel mondo del lavoro, infatti, bisogna pren49
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 50
dere in considerazione un doppio registro, quello formale e quello informale, che non si
sovrappongono completamente. Quello formale è intessuto dalla normativa in materia,
con casi significativi di discreta competenza tra i lavoratori, soprattutto per quanto attiene le norme relative alle condizioni di lavoro che interessano loro specificatamente.
Nella maggioranza dei casi la normativa è giudicata fondamentale in linea di principio,
ma rigida, contraddittoria e inapplicabile alle realtà concrete in gran parte delle sue
componenti, anche nelle situazioni più protette e ideali. In ogni caso, parte della normativa stessa ha un valore esclusivamente formale, così come il suo eventuale adempimento. Se prendiamo l’esempio più semplice, quello cioè dei mezzi di protezione individuale, la prescrizione di indossarli comunque indipendentemente dalle condizioni
effettive di lavoro contingenti è vissuta come un’imposizione inutile o una rigidità della
normativa, che non trova riscontro nella realtà e, laddove ce lo avesse, non verrebbe
valutata solo positivamente. Sono l’esperienza, il savoir faire e dunque la protezione e
la prevenzione apprese nella pratica (per affiancamento più che nei corsi) ad orientare
l’atteggiamento di questi lavoratori verso la sicurezza. I limiti attorno a cui si profilano i
diritti e i doveri dei lavoratori divengono quelli apparentemente fluidi e inafferrabili della
dignità del lavoratore, della persona e la normativa vigente viene utilizzata, in modo
strategico e contestuale, per difendere tale dignità.
Nella parte che abbiamo definito più debole della forza lavoro è sicuramente minore la conoscenza dei diritti e doveri dei lavoratori e dell’impresa in termini di sicurezza e
sembra minima tra i giovani e i lavoratori immigrati. Nella maggioranza dei casi queste
figure non vengono raggiunte dai corsi di formazione previsti per i vari settori e mansioni e, se pure un corso del genere viene effettivamente proposto, sovente si configura
come un adempimento formale che l’impresa accetta per non incorrere in sanzioni. Alla
domanda in merito alla loro conoscenza dei diritti e dei doveri rispondono affermativamente, ma nel corso della somministrazione del questionario tale competenza si rivela
davvero effimera, spesso ridotta all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e alle
norme più elementari. Questa situazione di obbiettiva ignoranza è spesso dovuta anche
alla fluidità delle mansioni svolte ed alla molteplicità dei contesti lavorativi sperimentate tipicamente dai lavoratori generici, deboli contrattualmente. Una situazione che risulta vistosa in particolare nell’edilizia. Tuttavia sarebbe semplicistico attribuire la maggiore insicurezza di questa fascia di lavoratori esclusivamente allo scarto nella conoscenza delle norme formali e spesso sostanziali. Anche in questo segmento della forza lavoro vi sono casi significativi di conoscenza dei propri diritti e una percezione comunque
netta delle pratiche che ledono la dignità del lavoratore e della persona, la sua salute e
incolumità. Ma le condizioni di obbiettiva inferiorità economica, professionale e normativa - sovrapposte o meno -, la frammentazione e l’eccedenza della forza lavoro impediscono la difesa di questi limiti, che possono essere rivendicati nella quasi totalità dei
casi solo a prezzo di un sicuro licenziamento. Molti lavoratori immigrati provenienti dalle
città, con esperienze lavorative alle spalle e approdati nel settore delle costruzioni non
sono privi di cognizioni generali in materia, ma il loro livello di ricattabilità è talmente elevato che non possono opporre alcuna resistenza alle richieste dei datori di lavoro. Ci
sono anche casi di lavoratori immigrati, in genere considerati privi di una “cultura della
sicurezza”, che rispettano le norme di protezione individualmente, investendo soldi del
proprio salario per proteggersi in modo adeguato, ad esempio con scarpe antinfortunistiche che i datori di lavoro non forniscono o forniscono di pessima qualità. Spesso,
invece, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una sorta di volontario ottundimento
della coscienza da parte dei lavoratori; nel corso dell’intervista al testimone emerge la
sua sensibilità per la sua salute e gli incidenti, i suoi timori e l’impossibilità di difendersi o anche solo di pensarci: in altri termini, la sua impotenza. Nella maggioranza dei casi
50
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 51
i lavoratori incontrati ritengono che sia comunque importante una maggiore formazione
e conoscenza dei diritti e dei doveri di lavoratori e datori di lavoro in materia di sicurezza. Le esperienze di infortuni e malattie sembrano costituire un momento rilevante per
il riconoscimento dei diritti e dei doveri; purtroppo, è spesso in questi contesti che i
lavoratori prendono effettivamente contatto in modo più approfondito con la materia e
con tutti gli attori coinvolti e cominciano ad interessarsene maggiormente.
Sicurezza, lavoro, società
La differenza che divide il mondo del lavoro in una parte “meno debole” e una
“debole” nonché il suo riflesso sulle rappresentazioni dei lavoratori corrispondono
ampiamente alla realtà fotografata dalle statistiche su incidenti e malattie e sembrano
ripercuotersi anche sulla percezione più generale del problema sicurezza. Alla domanda se la situazione negli ultimi anni sia migliorata o meno rispondono affermativamente
solo persone appartenenti alla prima fascia di lavoratori. Ma a prescindere dalla posizione occupata singolarmente, anche molti di loro rilevano un peggioramento a causa
della precarietà diffusa, dello sfruttamento intensivo di manodopera inesperta con la
quale tutti si trovano a contatto, dei tempi elevati di produzione, di un numero, insomma, eccessivo di fattori negativi perché un lavoro possa essere svolto in sicurezza.
Su questa rappresentazione può certamente avere pesato il particolare momento
di attenzione mediatica al fenomeno delle cosiddette “morti bianche” che ha contraddistinto tutto il periodo della ricerca e permane tuttora, anche grazie a incidenti davvero “spettacolari”. Alcuni lavoratori si appoggiano esplicitamente a questa mediatizzazione per affermare che la situazione è peggiorata. Ed esprimono stupore quando gli si
oppone il dato del decremento del numero complessivo delle “morti bianche” negli ultimi anni. La situazione italiana viene giudicata in molti casi esageratamente drammatica
rispetto a quella di altri paesi europei. Ma non tutti i lavoratori prestano grande attenzione alle campagne televisive; in questa percezione negativa sembra avere una certa
influenza il peggioramento generale delle condizioni lavorative in termini di salario, stabilità, qualità del tempo di lavoro, dovute essenzialmente all’intensificazione dello sfruttamento e alla precarietà. Evidentemente pesano insoddisfazioni di tipo più generale e
se ci fossero più morti, e non meno, nessuno si stupirebbe tra i lavoratori.
La maggior attenzione riservata recentemente dai media al fenomeno delle morti
sul lavoro viene accolta con grande ambivalenza, che lascia trapelare tutta una serie di
frustrazioni che ci pare interessante indagare. Una parte dei lavoratori sembra ritenere
importante che si parli degli incidenti poiché questo interesse tiene comunque aperta
una finestra sul lavoro e sui problemi connessi a certe professioni e può essere utile a
sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a una materia su cui negli ultimi anni c’è stata
molta disattenzione. D’altro canto, quasi tutti riconoscono che queste campagne non
producono alcun effetto sulle condizioni reali di lavoro, bensì solo una maggiore attenzione ai controlli nel momento di massima esposizione del fenomeno, sull’onda dell’indignazione generale. Parte consistente dei lavoratori si rende anche conto che si parla
di morti, di incidenti, di vite e di famiglie spezzate, ma constata altrettanto che l’attenzione dedicata agli approfondimenti sul mondo del lavoro manuale e alle condizioni di
vita e di lavoro dei soggetti interessati è pochissima. Proprio in virtù della loro conoscenza delle condizioni materiali, i lavoratori più sensibili vivono con fastidio l’iper
mediatizzazione del fenomeno, la conseguente retorica dell’emergenza contro le “morti
bianche” e l’insicurezza e ravvisano nelle contromisure di volta in volta annunciate solo
provvedimenti simbolici o formali, che non cambieranno i luoghi di lavoro. Ascoltando i
testimoni è facile avvertire la sensazione di distanza siderale tra il mondo del lavoro e le
51
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 52
istituzioni, di impotenza dei lavoratori di fronte ai processi in atto, di vuoto, che diventa
critica ai sindacati, alle Asl e a tutti. Durante le interviste, con l’aumentare della fiducia
e dell’empatia con l’intervistatore, i testimoni passano spesso da un atteggiamento
laconico e misurato di sospetto a una espressione più libera del proprio pensiero e della
proprie frustrazioni e rabbie, dimostrando una forte esigenza di parlare delle loro condizioni di lavoro e di essere ascoltati. La sensibilità sociale verso la sicurezza viene quindi giudicata ambivalente: certamente aumentata, ma allo steso tempo superficiale, strumentale, troppo legata alle oscillazioni mediatiche e priva di un interesse autentico. In
questo senso, i lavoratori che si sono posti il problema ritengono che il “prestigio” del
lavoro manuale nella nostra società sia decisamente basso - un dato significativo, se
pensiamo che la Liguria e Genova sono una sorta di santuario della tradizione operaia
- e che l’attenzione reale per le condizioni dei lavoratori sia nullo. In definitiva pensano
che ciò che importa è solo e sempre la produzione indipendentemente dalle condizioni, che l’andamento economico è comunque al primo posto sulla pelle di chiunque. I
lavoratori più sensibili e attenti arrivano a manifestare esplicitamente la loro rabbia, si
sentono raggirati, umiliati, violentati dalla mediatizzazione del problema. Il discorso
comune conta solo i morti, le vite spezzate - sostengono con evidente sofferenza - ed
evita di affrontare le cause, cavalcando la retorica dell’emergenza e del dolore e lasciando tutto come prima. Non parla mai delle centinaia di incidenti quotidiani, a volte nemmeno di quelli gravi, così come non affronta i problemi relativi alle malattie, ai rischi di
lungo periodo, che se osservati congiuntamente costringerebbero a ripensare il rischio
nel lavoro e le logiche che lo sottendono in modo necessariamente più complesso. Una
parte dei giovani ha una percezione molto incerta della sensibilità sociale verso il lavoro e la sicurezza e non sembra identificarsi con la professione svolta; la loro attenzione
si concentra soprattutto sul salario, sul posto fisso, traguardi ai quali l’industria ancora
permette di accedere più che in altri settori.
Proposte e soluzioni
La proposta e la soluzione sulla quale quasi tutti gli intervistati -lavoratori, datori di
lavoro, testimoni privilegiati come sindacalisti, operatori Asl, esperti sicurezza, scuole
edili ecc. - sembrano concordare è la necessità di maggiore formazione. Seppure con
variazioni interessanti all’interno del campione considerato nel suo complesso, la sensibilità rispetto al problema sicurezza viene ritenuta, con le diverse motivazioni che
abbiamo visto, insufficiente e inadeguata persino dove è presente una certa “cultura
della sicurezza”. La percezione generale è che sia importante proseguire e ampliare il
cammino iniziato con la legge 626 per migliorare la sensibilità esistente, per continuare
ad adeguarla alle nuove tecniche di lavorazione, alla normativa e alle disposizioni in
materia, che sono in continua evoluzione. La formazione ideale tende ad essere permanente, anche in questo campo. La prima proposta per migliorare le condizioni di lavoro
in termini di sicurezza è quella di incrementare e migliorare l’offerta formativa a cominciare dal momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, da tutti ritenuto particolarmente
critico, con un primo breve corso sulle norme elementari relative alla funzione lavorativa che il neo-assunto andrà a svolgere. Quasi tutti i testimoni sentiti, a partire dai lavoratori, concordano anche sul fatto che nel loro complesso i corsi fino a oggi effettuati
sono spesso stati poco adeguati e a volte addirittura inutili: in parte per i loro contenuti, ritenuti generici e lontani dalle situazioni di lavoro effettive e in parte per le modalità
stesse con cui sono tenuti. Tutto avviene all’interno di aule, senza alcun contatto con
gli ambienti di lavoro e spesso l’atteggiamento scolastico degli insegnanti è poco efficace da un punto di vista comunicativo e non aiuta a mantenere desta l’attenzione degli
52
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 53
operai, che si annoiano come fossero a scuola. Emblematico è il caso di immigrati
recenti, la cui conoscenza dell’italiano era praticamente nulla, che per entrare in certi
settori lavorativi hanno frequentato corsi di formazione senza potersi avvalere di mediatori culturali e linguistici e che hanno comunque conseguito il relativo attestato finale.
L’enfasi sulla formazione sembra avere tratto alimento anche dalle recenti attenzioni dei media e delle istituzioni, la cui rappresentazione se non altro ha avuto il merito di
convogliare un rinnovato interesse per il lavoro manuale e le condizioni in cui viene svolto. Nell’ambito di questo sostegno generalizzato a favore della formazione si sono
distinte le posizioni di coloro che pensano alla formazione e alla cultura della sicurezza
in modo più complessivo e articolato, cioè come a un’azione culturale destinata non
solo ai lavoratori ma a tutta la società, immaginando anche l’intervento di specialisti
nelle scuole e una formazione civica di base, capace di integrarsi e prevedere corsi successivi e più specifici per i lavoratori in senso stretto. Un’opera di sensibilizzazione
generale che nella prospettiva dei sostenitori dovrebbe avere soprattutto importanti
ricadute di lungo periodo oltre che naturalmente effetti immediati. La sicurezza è un
costo sociale, oltre che umano, e la società deve farsene carico agendo sul terreno
della prevenzione attraverso la formazione. Per l’impresa stessa l’incidente e la malattia costituiscono un costo, sempre più gravoso secondo la recente legislazione, ed è
quindi nel suo interesse migliorare la propria sensibilità e conoscenza in materia.
Ovvero, se praticata con coerenza, la formazione si prospetta come la soluzione in
grado di creare un ciclo virtuoso tra la cosiddetta cultura della sicurezza e le condizioni reali di lavoro, da cui tutti i protagonisti trarrebbero beneficio. Se più formazione sembra essere la ricetta generale condivisa dall’intero campione dei testimoni per una risoluzione del problema sicurezza, quest’ultima convinzione appartiene soprattutto ai vari
operatori del settore, esperti e tecnici della sicurezza, sindacalisti, con una forte prevalenza tra i consulenti della sicurezza. Per molti fra questi attori formazione significa,
anche, fondi, finanziamenti, profitti. L’obiezione che - come abbiamo riscontrato durante la ricerca - una percentuale importante di lavoratori fino ad oggi non ha tratto alcun
beneficio dal percorso formativo in quanto rappresenta un segmento difficilmente raggiungibile (manodopera precaria, flessibile, in nero, clandestina ecc.) e, considerate le
attuali tendenze, difficilmente potrà fruirne in futuro ha suscitato reazioni diversificate.
Alcuni sembrano percepire questa condizione come un momento di particolare criticità,
ma pensano che sia possibile contenere le conseguenze più deleterie di determinate
dinamiche della produzione “postfordista” soprattutto mediante i dispositivi introdotti
dal recente “Testo Unico sulla sicurezza”, che per la prima volta disciplina la responsabilità delle catene di subappalti e altri importanti aspetti. Altri invece in particolare in
ambiti sindacali considerano questa soglia come un limite strutturale delle proposte
attuali rispetto alla formazione e ritengono che la precarietà e l’instabilità insite nell’attuale sistema produttivo, per quanto costose in termini umani, siano assolutamente funzionali alle imprese dal punto di vista economico; le strategie aziendali di mercato, infatti, si riducono spesso a minimizzare i costi e a intensificare lo sfruttamento del lavoro,
scaricandone tutto il peso sulla forza lavoro e la sua sicurezza. A proposito della situazione reale in cui versa la manodopera più esposta e debole molti lavoratori riconoscono e sottolineano la sistematicità e la pervasività di certe logiche del mercato e della
concorrenza. A fronte dell’eccedenza di manodopera disponibile è evidentemente semplicistico sostenere che l’incidente rappresenta un costo anche per i datori di lavoro.
Non tanto perché ciò non corrisponda a verità in linea di principio, quanto perché è illusorio di fatto in una situazione in cui gli investimenti in sicurezza sono un costo sicuro
rispetto al rischio e allo sfruttamento intensivo della manodopera, che, se tutto va bene,
garantiscono ingenti quote di profitto. Quando disgraziatamente qualcosa va male si
53
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 54
può sempre trovare una scappatoia non troppo onerosa per l’impresa e la produzione.
La proposta formativa - avanzata in prima istanza da lavoratori ed esperti del settore,
accettata dai datori di lavoro e pensata in chiave sistemica di società e di cultura generalizzata da diversi professionisti della sicurezza - sembra dunque scontrarsi contro
questo limite strutturale, confermato dai dati statistici sugli incidenti mortali, che malgrado in diminuzione negli ultimi anni sembrano registrare un incremento proprio tra i
lavoratori immigrati, i soggetti più deboli sul mercato. Tale proposta ha tuttavia il merito di sottolineare la necessità di una partecipazione congiunta dei soggetti coinvolti
nella sicurezza per approntare un intervento efficace sulle condizioni reali del lavoro. Il
“tallone d’Achille” di tutto il mondo del lavoro (e dei suoi rapporti con l’intera società)
non consiste solo nell’estrema vulnerabilità dei lavoratori più deboli ma nel fatto che la
loro stessa presenza generalizza il rischio a tutti, cioè anche ai meno deboli. Come
vedremo in seguito con casi concreti, in una grande impresa navalmeccanica, dove
lavorano ditte appaltatrici che a volte impiegano persino lavoratori in nero, i cosiddetti
“tutelati” o formati alla “cultura della sicurezza” sono sottoposti agli stessi rischi di questi “dannati del lavoro privo di sicurezza”20.
Accanto alla formazione naturalmente vengono avanzate altre risposte, che chiamano in causa diverse questioni, quali il ruolo dei sindacati e quello delle Asl. La richiesta di controlli più articolati ed efficaci da parte del campione viene espressa in linea di
massima subito dopo la necessità di formazione. Anche in questo caso emergono
immediatamente i limiti della proposta. Forse a causa della carenza di personale, il
compito delle Asl appare agli intervistati non sufficiente nel controllo dei contesti lavorativi; anche se disponessero di maggiori risorse probabilmente non potrebbero effettuare le ispezioni necessarie a dissuadere i comportamenti sanzionabili. Appare peraltro poco appropriato il paragone spesso evocato con l’obbligo delle cinture di sicurezza in automobile, una pratica che si è affermata grazie all’intensa campagna comunicativa che ne aveva sostenuto l’introduzione accompagnata dall’azione repressiva. In
effetti, il successo della campagna per il rispetto dell’uso delle cinture, come dei caschi
per chi va in moto e per il divieto di fumo nei locali pubblici, si deve soprattutto a una
mobilitazione informale della popolazione. Le istituzioni, infatti, non sembrano in grado
di promuovere e sostenere un’operazione analoga, ammesso che emerga una volontà
in tal senso. Tenendo presente che, come già segnalato, persino tra i lavoratori molti
attribuiscono ai dipendenti stessi la responsabilità degli incidenti o dell’esposizione ai
rischi, vengono avanzate proposte conseguenti, e non solo tra i datori di lavoro: si configura così persino l’ipotesi di assegnare ai datori di lavoro un potere sanzionatorio nei
confronti di chi non rispetta i requisiti della sicurezza. Per quanto riguarda la normativa
entrata recentemente in vigore, non mancano le risposte che, tra le altre soluzioni, prospettano l’applicazione delle norme già esistenti; si tratta di un parere che ha il pregio
di riportare l’attenzione sul fatto che l’esistenza di una legge non è di per sé sufficiente
a cambiare una situazione.
20
E a tale proposito non va ignorata nemmeno l’insidia rappresentata dall’ostilità quasi razzista dei lavoratori
tutelati nei confronti dei colleghi lavoratori in nero che finiscono per essere considerati i responsabili dei rischi
di infortunio e malattia. Una simile tendenza ha il triste risultato che né gli uni né gli altri vedranno migliorare la
propria tutela effettiva!.
54
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 55
La Spezia - Nautica da diporto e militare
L’industria della cantieristica navale e della nautica da diporto e militare è uno dei
settori economici e produttivi della provincia di La Spezia che, unitamente all’edilizia,
viene segnalato come particolarmente critico per quanto riguarda la sicurezza e verso
il quale negli ultimi anni si è orientata l’attenzione delle istituzioni e delle parti sociali.
Nello specifico è stata individuata la fase della “resinatura” come particolarmente pericolosa per la salute dei lavoratori. Si tratta di una tecnologia per la costruzione di scafi
e componenti per imbarcazioni (ma anche auto e numerosi altri prodotti) che permette
di realizzare materiali di ottima qualità per resistenza, leggerezza ed elasticità. Strati di
poliestere vengono sovrapposti e saldati a fogli di lana di vetro mediante resine speciali, fino al raggiungimento dello spessore richiesto. È un’operazione che libera nell’aria lo
“stirene”, una sostanza nociva per inalazione . Per capire questa specificità, anche in
questo caso è necessario esaminare la struttura complessiva del settore e i cambiamenti che lo hanno segnato negli ultimi due decenni. In generale l’industria navalmeccanica è un settore in crescita, che negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo notevole, soprattutto per quanto attiene la nautica da diporto e militare.
Contemporaneamente ha subito forti mutamenti nella struttura produttiva e nell’organizzazione del lavoro, in linea con quanto già riscontrato in precedenza. L’impresa di
tipo “fordista” ha lasciato il posto a forme produttive e organizzative nuove e più flessibili, che consentono di fare fronte alle sfide della concorrenza in termini di tempi, costi
ed elasticità, di competere sui mercati incerti dell’economia globale e di respirare con
essi, per utilizzare un’espressione tratta dal cosiddetto “modello giapponese”. Le medie
e grandi imprese hanno esternalizzato parti consistenti delle lavorazioni e conservato al
loro interno solamente il core business, vale a dire le fasi del processo produttivo che
richiedono professionalità e competenze specifiche e che garantiscono profitti elevati
(uffici tecnici, di progettazione e commerciali). I cicli restanti del processo produttivo
vengono appaltati ad altre ditte, che a loro volta possono subappaltare nuovamente la
commessa. Questo andamento si riflette sui dati occupazionali, che registrano una
diminuzione degli occupati nella media e grande impresa, sull’incremento delle piccole
imprese e delle ditte individuali, sulla flessione dei contratti a tempo indeterminato e
sulla proliferazione di quelli atipici. Il cantiere viene così a profilarsi come un grande
contenitore in cui confluiscono più soggetti che lavorano alle diverse fasi della produzione in appalto o subappalto. La frammentazione della produzione che ne deriva influisce direttamente sulla segmentazione del mondo del lavoro. Nello stesso spazio e
ambiente di lavoro convivono lavoratori con diverse tipologie contrattuali, diversa professionalità, diverse provenienza e diverse lingue - data la presenza sempre più consistente di lavoratori immigrati - e queste diversità spesso sono direttamente proporzionali all’esposizione al rischio di infortuni e malattie. Le lavorazioni generiche, onerose o
considerate maggiormente pericolose, vengono invariabilmente svolte dalla manodopera più debole e per diversi motivi più disponibile, ben esemplificata dagli operai immigrati. Così è per la resinatura appunto, ma anche per la verniciatura, il carteggio ecc.
Tutti i testimoni intervistati percepiscono nettamente le conseguenze di questo nuovo
modello produttivo: i lavoratori che lo subiscono maggiormente, gli operai dalla figura
professionale tradizionale e quelli con contratti a tempo indeterminato che lavorano
nelle aziende più grandi e solide. Secondo gli operai, è la qualità del lavoro nel suo complesso a essere peggiorata. I tempi sono avvertiti come troppo stretti per lavorare bene
55
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 56
e in sicurezza, le lavorazioni si sovrappongono, gli spazi sono più angusti di quelli delle
grandi navi. Si tratta infatti di yacht, cacciamine, motovedette, imbarcazioni che possono raggiungere i 40/60 metri di lunghezza, che, per i mercati cui sono rivolti (nautica di
lusso e marina militare), richiedono anche lavorazioni di eccellenza e l’intervento di artigiani, maestri della carpenteria e saldatori specializzati. Nei momenti di picco della produzione le aziende ricorrono allo straordinario e a turni massacranti la produzione, infatti, diventa a ciclo continuo. Per gli operai precari delle ditte appaltatrici il lavoro è una
necessità a cui non possono sottrarsi e quindi sono costretti a sottostare alle condizioni più gravose che includono flessibilità e rischi. Il cottimo e gli straordinari, molto diffusi malgrado i rischi che comportano, vengono spesso accettati per raggiungere un salario più elevato o per accondiscendere alle richieste padronali in vista del rinnovo del
contratto. Nelle ditte subappaltatrici sembrano molto diffusi i contratti flessibili, come il
“lavoro a progetto”, che non prevede una paga minima sindacale, tutele rispetto al
licenziamento o ferie e malattie retribuite ecc. Rispetto all’edilizia, invece, il lavoro nero
non sembra particolarmente diffuso. Sono gli immigrati a svolgere mansioni come la
“resinatura”, la “verniciatura”o il “carteggio”, che richiederebbero l’uso di aspiratori e di
altri dispositivi di protezione, un’ampia aerazione dei locali a lavoro ultimato e un’organizzazione conseguente del processo produttivo. I testimoni concordano nel riconoscere che per fare fronte alle esigenze della produzione e assecondare la domanda (nonché “respirare con il mercato”), queste norme non vengono rispettate nel loro complesso con conseguente esposizione a rischi e malattie con ripercussioni che interessano
tutta la manodopera dei cantieri in modo variabile in base alla posizione occupata. La
frammentazione del mercato del lavoro e le differenze create dai contratti flessibili, dalle
diverse professionalità e dalle leggi sull’immigrazione impediscono una solidarietà attiva tra i lavoratori, che oggi si configura come una condizione necessaria a un lavoro
effettivamente in sicurezza. Si affermano così orientamenti, “strategie” e comportamenti individuali che risultano negativi sia per il singolo che per la collettività.
Come in altri settori anche nella cantieristica e nella nautica da diporto la manodopera immigrata è sempre più presente. Senza dubbio rappresenta la parte maggiormente esposta a rischio di infortuni e malattie a causa delle condizioni precarie e ricattabili
nelle quali si trova: il rinnovo del permesso di soggiorno è infatti subordinato a un contratto di lavoro regolare, per quanto flessibile. L’ingresso di lavoratori immigrati in questa produzione ha avuto ripercussioni anche sulla formazione: ne è aumentata l’esigenza insieme alla richiesta di iniziative in più lingue consentire di raggiungere anche la
forza lavoro straniera. Come rilevato da diversi testimoni, un aspetto importante e di
non facile gestione è quello dei cartelli antinfortunistici presenti nei cantieri: nonostante
le avvertenze scritte siano spesso accompagnate da immagini e segni, difficilmente
vengono compresi. A sostegno della loro convinzione che la formazione sulla sicurezza
spesso si risolve in un adempimento puramente formale, molti lavoratori hanno portato
l’esempio dei corsi di formazione “seguiti” da immigrati con una conoscenza insufficiente della lingua italiana.
Recenti innovazioni tecniche hanno portato a nuove forme di lavorazione che permettono di ridurre sensibilmente il rischio della “resinatura”. Il procedimento è simile,
ma la saldatura dei fogli di poliestere e lana di vetro avviene “in ambiente chiuso”, sottovuoto, per infusione, con una minore esposizione per i lavoratori alla liberazione dello
“stirene”. Ma nonostante il mercato della nautica da diporto e militare sia in crescita, gli
investimenti in questa direzione appaiono ancora insufficienti, tanto che le aziende che
hanno fatto proprie queste nuove innovazioni tecnologiche sono ritenute esemplari,
nella loro unicità. Una questione che rimanda a tutta la situazione italiana, dove gli inve-
56
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 57
stimenti in tecnologia e ricerca sono assolutamente inferiori alla media dei paesi europei più avanzati. Non appare affatto casuale che i lavoratori, anche nello spezzino, percepiscano la situazione come peggiorata negli ultimi anni: infatti la crescita economica
del settore ha significato per loro un salario sicuro, in certi casi anche buono, ma anche
una intensificazione dei ritmi di lavoro, turni massacranti, straordinari, ecc… Inoltre questa crescita non ha modificato i processi di precarizzazione del lavoro che contraddistinguono l’attuale mercato, per la diffusione del subappalto, dei contratti flessibili,
ecc… che abbiamo visto essere in rapporto molto stretto con la percezione e le condizioni reali della sicurezza nei cantieri. Lo sviluppo del settore ha piuttosto coinciso con
la diffusione di questa organizzazione della produzione. Gli esperti del settore sicurezza, come ad esempio gli operatori delle Asl, sottolineano l’importanza di queste nuove
acquisizioni tecnologiche che permettono di lavorare con maggiore sicurezza, il successo di aziende modello, ma queste esperienze positive appaiono ancora limitate.
Nell’ambito del loro lavoro, oltre al controllo in senso stretto, l’attività ritenuta molto
importante è rappresentata infatti, dall’informazione, dalla formazione, dall’assistenza,
una strategia quindi rivolta al medio e lungo periodo. Lo sforzo delle Asl va nella direzione di diffondere questi modelli, illustrandone la convenienza, in termini di salute, di
qualità della produzione, e quindi anche economici, perché la stessa salute è un costo.
Secondo gli operatori è ancora troppo presto per valutare l’impatto del Testo Unico, che
attribuisce nuovi poteri, anche in termini di sanzioni, e nuove responsabilità alle istituzioni ed alle parti sociali. La provincia di La Spezia presenta aspetti interessanti in questo senso. Sindacato, associazioni di categoria, Asl, esperti del settore sicurezza, ecc…
hanno aperto dei momenti di concertazione attorno al nuovo testo, per comprenderlo,
innanzitutto, data la consistenza e la complessità dello stesso, e per valutarne le possibili ed immediate applicazioni. Queste iniziative rappresentano una novità importante,
si tratta di tavoli aperti di recente, che non hanno ancora avuto modo di consolidarsi e
dispiegare il loro effetto, sui quali tutti gli attori contano molto. Sarebbe auspicabile,
forse, una maggiore interazione con il mondo del lavoro, che certo è rappresentato, ma
dovrebbe essere partecipe più direttamente; ad esempio valorizzando figure ancora
incerte come quella dei RLST, che potrebbero assumere un ruolo molto importante date
le loro attribuzioni21.
Un dovere assoluto - un diritto inviolabile
Questa ricerca ha avuto la ventura e la sventura di essere condotta in un momento di grande attenzione mediatica per il problema della sicurezza negli ambienti di lavoro, legata in particolare allo “scandalo” delle “morti bianche”, sul quale sono intervenute anche importanti cariche istituzionali e politiche a cominciare dal Presidente della
Repubblica. Come abbiamo già accennato, questa attenzione, culminata per il momento in una sobria e perentoria Pubblicità Progresso, è stata vissuta dai lavoratori in modo
ambivalente. In positivo, da una parte, è stata manifestata la speranza che queste finestre aperte sul mondo del lavoro portassero ad una maggiore sensibilità, conoscenza,
riconoscimento del lavoro manuale ed operaio, delle condizioni in cui viene espletato,
21
Sulla situazione economica e del mercato del lavoro spezzino, ed in particolare sul ruolo che in questo occupano i lavoratori immigrati, la tesi di S. Lorefice (Immigrazione e lavoro nella provincia di La Spezia - 2006) propone l’espressione “la precarietà come moltiplicatore dell’insicurezza” relativamente alle condizioni di rischio
nel mondo del lavoro. Per quanto attiene alla carenza di investimenti tecnologici nell’industria come carattere
storico della produzione italiana e come dato attuale vedi ad esempio il recente libro di Luciano Gallino,
Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Einaudi, 2007.
57
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 58
del suo posto nella produzione. Le morti sul lavoro hanno riacceso sotto gli occhi di
tutti, grazie ai giornali e alla televisione, frammenti di realtà del mondo del lavoro da
decenni velata di opacità, se non rimossa, un processo incoraggiato dalla convinzione
di una transizione ineludibile verso una società dei servizi, e quindi della residualità di
certi comparti produttivi. Effettivamente questa sovraesposizione mediatica ha prodotto i suoi primi effetti in questo senso, come si può dedurre dai servizi e dalle pubblicazioni che giornali, riviste, libri hanno dedicato alle condizioni di lavoro. Le frustrazioni e
la rabbia dei lavoratori che invece sottolineano lo scarto tra questa dimensione spettacolare del problema, la superficialità e la perversione di questo interesse, legati alle
ondate emotive, ed alle loro logiche, sembra invece confermata dalla piega che ha
preso questa attenzione. Si continua a parlare di morti, quando accadono incidenti particolarmente eclatanti, si parla di “schiavi” nell’agricoltura, nell’edilizia, ma non si lambiscono nemmeno la quotidiana esposizione a rischi e malattie, le reali e quotidiane
condizioni di lavoro della maggioranza dei lavoratori e le contraddizioni che le attraversano. Anzi proprio questa enfasi su casi spettacolari ed estremi, la costruzione mediatica degli stessi, sembra di fatto confinare e perimetrare l’attenzione in determinati e
specifici ambiti, che difficilmente vengono posti in relazione con i complesso e più
ampio spettro dei fattori di rischio presenti nelle realtà lavorative.
Appare quindi di estremo interesse, pensando anche alla “pubblicità progresso”
promossa dalla istituzioni politiche italiane, analizzare qualche realtà niente affatto
estrema, almeno in apparenza.
La navalmeccanica in Liguria
Orientati dai primi questionari ed interviste pervenuti, dagli importanti suggerimenti di testimoni privilegiati, abbiamo scelto di approfondire la nostra analisi sul settore
cantieristico nelle diverse realtà liguri, anche per verificare eventuali differenze tra loro
Abbiamo sentito sia i lavoratori diretti dipendenti del grande gruppo, sia quelli che
entrano in cantiere con le ditte a cui vengono subappaltati i lavori.
Somministrando i primi questionari agli operai era emersa una prima rappresentazione delle problematiche relative alla sicurezza relativamente confortante, soprattutto
in relazione ai lavoratori delle ditte in subappalto, che ci aveva suggerito l’esistenza di
uno strato di lavoratori più tutelati, protetti. Gli operai sono in genere in possesso di un
mestiere, di una specializzazione ed entrano in cantiere solo dopo avere svolto corsi di
formazione sulla sicurezza; è presente in azienda un importante ufficio “Sicurezza e
Igiene” che si occupa costantemente della materia; come previsto dalla legge 626 sono
state istituite da tempo importanti figure come il Responsabile dei Lavoratori per la
Sicurezza - RLS, e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione -RSPP; l’azienda fornisce i “Dispositivi di Protezione Individuale –DPI”, ecc… Diverso il discorso
per i lavoratori delle ditte, sempre più spesso immigrati, più esposti in termini di rischi
malattie ed infortuni.
La costruzione di una nave è una operazione complessa, con una pluralità di passaggi, che avvengono in diversi capannoni, poi in bacino, per concludersi nella banchina. Nei primi avvengono la preparazione delle componenti strutturali, che spesso arrivano in cantiere già pronte, in blocchi, l’assemblaggio delle stesse fino a dare forma agli
scafi e ai primi ponti. Quando queste enormi navi cominciano ad avere una forma vengono portate in bacino, avvolte di ponteggi, e la loro costruzione prosegue, all’assemblaggio si sovrappone l’allestimento, che prevede diverse operazioni. Di fatto si tratta di
un particolare edificio in costruzione per opera di saldatori, carpentieri, elettricisti, coibentatori, falegnami, meccanici, verniciatori, ecc. Gli ambienti sono più angusti che nei
58
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 59
palazzi in costruzione e la circolazione dell’aria è problematica soprattutto nelle parti
basse della nave, nelle sentine. I fattori di rischio si moltiplicano. Alla possibilità di cadute dall’alto, di essere colpiti da materiale sospeso, si aggiunge l’esposizione a polveri e
fumi, il pericolo di inalazione di sostanze nocive, oltre ai rischi specifici relativi ad ogni
singola lavorazione. È in questa fase che i testimoni identificano il momento più critico
della costruzione di una nave. In cantiere sopraggiungono gli operai delle ditte di allestimento, il numero dei lavoratori coinvolti aumenta in modo esponenziale, le operazioni si sovrappongono, in modo sempre più frenetico. In questi momenti nel complesso
dello stabilimento in fase di allestimento possono arrivare ad operare 2500-3000 lavoratori, la maggior parte dei quali appartiene alle ditte che lavorano in appalto e subappalto. La situazione già di per sé complessa è aggravata negli ultimi anni dalla pressione sempre più massiccia dei tempi di consegna, che costringe a sovrapporre le diverse fasi delle lavorazioni. Operazioni come la verniciatura, che prima venivano fatte solo
nei turni notturni per non interferire negativamente con le altre lavorazioni, oggi vengono fatte giorno e notte, da operai immigrati, e così per molti altri interventi. La saldatura, la molatura, le tracciature ed i tagli con l’acetilene delle porte e dei cavi dove passeranno gli impianti elettrici, la pavimentazione con resine ed il carteggiamento delle stesse, ecc. avvengono spesso contemporaneamente, con gli operai della azienda madre
che si trovano a lavorare fianco a fianco con quelli delle ditte, ai quali sono riservate la
mansioni più generiche, insalubri, faticose. Non per caso i problemi e le rimostranze
operaie nascono quasi sempre da problemi ambientali, soprattutto nell’estate, quando
i fumi, le polveri si uniscono al calore e rendono gli spazi chiusi delle navi assolutamente invivibili. Gli aspiratori e la ventilazione degli ambienti non sono mai sufficienti e,
sovente, non vengono neppure garantiti. In questa situazione è anche assolutamente
semplicistico insistere sui DPI, quando è evidente anche ad occhi non esperti che un
saldatore ad esempio oltre alle sue dotazioni di protezione dovrebbe dotarsi di quelle
previste per altre lavorazioni, data la prossimità con cui queste avvengono e idealmente bardarsi come un marziano. I lavoratori “garantiti” possono richiedere aspiratori, fare
spostare determinate lavorazioni, in situazioni particolarmente gravi fare intervenire il
sindacato o il RLS. Ma non possono esagerare in queste richieste, la rigorosa applicazione di quanto previsto dalle normative bloccherebbe continuamente la produzione.
Inoltre, sempre per questi lavoratori, sono previsti premi di produzione quando la nave
viene terminata prima dei termini previsti, incoraggiando in questo modo la produttività
e la monetizzazzione del rischio e della salute. Per i lavoratori delle ditte, precari e flessibili, quasi interamente immigrati, basta il ricatto del lavoro ad impedire ogni rivendicazione in termini di sicurezza.
Ovvero la cogenza dei tempi porta ad una erosione generalizzata dei diritti “inviolabili” alla sicurezza, che attraversa la forza lavoro presente negli stabilimenti e sembra
negare la partizione sulla quale ci siamo soffermati più volte in questa ricerca tra una
fascia di lavoro relativamente protetta ed una debole. Tuttavia questa differenza, che la
dimensione della sicurezza tende a sfumare fino a negarla, si ripresenta sotto altri termini. I lavoratori precari delle ditte sono adibiti alle mansioni più faticose ed a rischio,
meno qualificate, lavorano normalmente molte più ore, dalle 260 alle 320 circa al mese,
percepiscono la cosiddetta “paga globale”, nella quale confluiscono ferie, malattia, ecc.
e soprattutto vengono continuamente “taccheggiati” nel loro salario (espressione ormai
corrente). I capi delle ditte difficilmente riconoscono e pagano loro il monte di ore svolto, come tutti i testimoni hanno sottolineato, e spesso rischiano l’intero salario, quando
la ditta con la quale lavorano sparisce o dichiara fallimento. Vedasi i casi riportati recentemente dalla stampa di un rumeno che minacciava di gettarsi da una gru per ottenere
59
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 60
il salario che da alcuni mesi non gli veniva corrisposto22 e dei circa 60 lavoratori, quasi
tutti bengalesi, che, alle dipendenze di una ditta che svolgeva lavori in appalto al cantiere si trovarono nel luglio del 2008 in una situazione analoga. Le imprese che cercano di rispettare le regole corrono il rischio di essere poste ai margini del mercato per
questa concorrenza sleale ed al ribasso. La domanda per nulla retorica per noi che
abbiamo incontrato ed ascoltato questi lavoratori diventa: come parlare con questi
lavoratori di sicurezza? Come pensare che ci sia da parte loro una sensibilità per la
materia? Solo ad incidente avvenuto i lavoratori immigrati sono costretti a pensare alla
loro salute. Comincia così il loro primo approccio con le strutture sindacali, la lunga vertenza per vedere riconosciuto il loro incidente in termini assicurativi o pensionistici. Con
sempre l’impellenza di tornare al lavoro, di trovarne uno nuovo, sotto un’altra ditta, perché al lavoratore infortunato viene difficilmente rinnovato il contratto di lavoro.
Uno sciopero spontaneo
La ricerca, i necessari approfondimenti che sempre richiedono i percorsi conoscitivi da essa avviati, ci hanno portato a costruire legami e scambi di lunga durata con i
vari protagonisti della stessa - lavoratori, sindacati, esperti ed operatori del settori molto importanti per elaborare, interpretare, approfondire i materiali raccolti. Inoltre
questo scambio ha permesso di venire a conoscenza di incidenti e situazioni relative
alla sicurezza di indubbio interesse per i risultati della stessa ricerca, per gli ulteriori
interrogativi da questi posti.
Recentemente uno sciopero spontaneo ha scosso il lineare flusso della produzione
in uno stabilimento. Si è concluso dopo tre giorni con il blocco del varo di una nave che
si è protratto per alcuni minuti. A noi la vicenda ha interessato perché l’agitazione è nata
per motivi squisitamente legati alle tematiche della sicurezza e dell’igiene sul luogo di
lavoro. Il problema è sorto da una istanza degli operai che hanno richiesto sistemi di
ventilazione per arieggiare un ambiente ritenuto insalubre oltre ogni limite, maggiore
pulizia dello stesso. La direzione ha opposto una dura presa di posizione contraria. A
detta dei lavoratori le pulizie in cantiere vengono svolte in modo sempre più sommario,
la presenza di polveri residue resta elevata a causa della carenza di manodopera nel
settore. Inoltre gli operai delle ditte sono spesso costretti a fare i loro bisogni a bordo.
Per raggiungere i bagni, posti a terra, gli operai dovrebbero allontanarsi dal luogo di
lavoro per minuti, date le distanze, finirebbero per perdere tempo. Il resto è la conseguenza della sovrapposizione delle mansioni cui abbiamo accennato, con ambienti
fumosi e densi di polvere resi ancora più insopportabili per il caldo intenso. Dopo anni
di relativa pace sociale i lavoratori si sono mossi nel cantiere, tra i capannoni, per invitare all’agitazione, che si è sviluppata in modo spontaneo per tre giorni, da un reparto
all’altro, irrompendo a scacchiera in singole fasi della produzione. Alla lotta hanno partecipato esclusivamente una parte degli operai dell’azienda capocommessa, essendo
quelli delle ditte impossibilitati a scioperare e a manifestare la loro eventuale solidarietà
per le condizioni di debolezza oggettiva più volte richiamate in questa ricerca. Il sindacato non ha dato nessun sostegno attivo allo sciopero e, forse anche per questo, non
22
Vedi “LA VERTENZA DI GRUPPO”/9 “FIOM NEWS”/ 23/7/2008. Si vedano anche “La costruzione della
Grande Nave. Uno schiavismo ben temperato è il futuro del capitalismo italiano?” di Maurizio Pagliassotti su
“Diario” 15.03.08; su ISIG ·Trimestrale di Sociologia Internazionale · Web Magazine · http://www.isig.it/ anno XI
- n. 4/9/2002, “Trasfertisti e immigrati a Monfalcone · la piccola città italiana come laboratorio per integrare la
città dei trasfertisti e degli immigrati e la città degli autoctoni”, di Giuseppe Torraco; La nave delle Mille e una
notte costruita dal popolo invisibile su “la Repubblica”, 1/5/2003, p.14.
60
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 61
ha avuto nessuna eco sui media locali, salvo un piccolo articolo sul “Corriere
Mercantile”. Molta la rabbia espressa dagli operai per questa circostanza, maggiore di
quella che ha originato la stessa agitazione.
“Si parla tanto di sicurezza, i media e i politici sembrano estremamente interessati
alla questione, escono articoli, inchieste, pubblicazioni, ma quando i lavoratori cercano
di parlarne in prima persona, la loro voce non esce nemmeno dai cantieri”.
Quello che chiedevano attiene alle più basilari misure di sicurezza ed igiene, quei
diritti che la “Pubblicità progresso” dichiara inviolabili in modo perentorio: miglioramenti delle condizioni igieniche, dei sistemi di aspirazione, un riparto delle lavorazioni che
non crei sovraffollamento ed esposizione a rischi, un sistema di ventilazione a bordo e
nelle officine per il ricambio dell’aria. Sembrerebbero sufficienti piccoli investimenti in
personale e mezzi per soddisfare queste richieste, ma evidentemente anche questi
nella logica di contenimento dei costi del grande gruppo vengono ritenuti eccessivi, inutili, anche quando ledono direttamente ed in modo quotidiano e massiccio il diritto dei
lavoratori alla sicurezza.
61
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 62
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 63
Percezione del rischio nel settore sanitario
23
Tipologie di rischio, percezione cause e responsabilità
La rappresentazione del rischio nel settore sanitario è diversificata in quanto legata alle specifiche professionalità24.
In generale si può affermare che i lavoratori della sanità hanno una scarsa percezione del rischio relativo agli infortuni (i testimoni indicano infatti l’edilizia e le fabbriche
metalmeccaniche come i settori più esposti).
“Complessivamente direi che la percezione del rischio tra gli infermieri e gli operatori del settore socio-sanitario è abbastanza bassa, non è il loro principale pensiero.
Forse è più sentito il problema del burnout”. [dirigente sindacale]
Si riscontra invece un’elevata sensibilità circa i rischi legati alle malattie professionali e alle criticità specifiche legate al lavoro a contatto con persone sofferenti.
Sono state rilevate tre diverse tipologie di rischio.
Il rischio biologico o chimico, determinato dal contatto con agenti infettivi o materiale tossico, percepito in particolare dagli infermieri e dai tecnici di laboratorio. E’ questo l’aspetto dove si pone con più pregnanza la questione dell’uso dei DPI.
Il rischio di patologie muscolo-scheletriche legate alla movimentazione dei pazienti,
e le relative problematiche sull’uso dei sollevatori appositi. Su questo argomento è stata
riscontrata una certa sottovalutazione del rischio, confermata dai testimoni privilegiati
interpellati.
I rischi tipici di un’attività dove al lavoratore è richiesto di mettere in gioco non solo
prestazioni fisiche, manuali o intellettuali, ma anche qualità di carattere emotivo e relazionale in situazioni molto difficili dal punto di vista umano.
I fattori sistemici relativi all’assetto generale della società e all’organizzazione del
lavoro, emersi nel complesso della ricerca, sono presenti anche nella sanità: in particolare ci riferiamo alla concitazione e velocizzazione dei ritmi, che costringe i lavoratori ad
operare sotto pressione e stress, e la scarsità del personale, che determina un frequente ricorso allo straordinario.
“Le cause potrebbero essere i ritmi troppo veloci a causa della mancanza di personale, con
conseguente minor attenzione per alcune precauzioni”. [infermiera]
“La causa principale degli infortuni e delle malattie è la ristrettezza dei tempi per l’esecuzione
delle procedure e l’eccesso di carichi di lavoro”. [dirigente sindacale]
23
capitolo a cura di A. Macciò.
24
Per le interviste sono stati sentiti in qualità di testimoni privilegiati alcuni dirigenti sindacali e un Responsabile
del Servizio Prevenzione e Protezione di una struttura ospedaliera. I questionari sono stati somministrati invece a un ventaglio di figure professionali: in maggioranza infermieri, ma anche tecnici di laboratorio, operatori
del settore radiologia, ausiliari in ospedali e anche istituti privati, assistenti alla poltrona in studi dentistici, operatori socio-sanitari delle Residenze Protette per anziani e delle comunità residenziali per persone affette da
disabilità psichica. La femminilizzazione e l’elevata scolarizzazione differenziano il campione dei lavoratori della
sanità da quello degli altri settori inclusi nella ricerca.
63
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 64
Questi fattori assumono nella sanità una luce particolare, intersecandosi con l’aspetto peculiare di questo lavoro: l’operatore non ha di fronte ponteggi e macchinari, ma
persone con le quali deve entrare in relazione.
La pressione alla quale è sottoposto l’operatore risulta amplificata, in qualche
modo è portato a caricare su di sé non solo il proprio stress, ma anche quello della persona aiutata.
Si configurano rischi diversi e meno immediatamente evidenti rispetto agli altri settori, ma non meno insidiosi per il lavoratore e per la società tutta.
Ci riferiamo alla cosiddetta “sindrome del Burnout”, caratteristica della professione
di aiuto, un processo di logoramento psicofisico che rende l’operatore sanitario incapace di sostenere lo stress accumulato, favorendo comportamenti di fuga dal proprio
ambiente di lavoro e una riduzione della capacità empatica verso i pazienti o le persone assistite.
Il burnout può inficiare quindi in primo luogo la capacità lavorativa dell’operatore,
ma anche la sua vita personale e la qualità stessa del servizio sanitario.
Il contatto quotidiano con persone sofferenti e malate, l’essere esposti in prima persona ad ansie, fobie, preoccupazioni di pazienti e familiari, la difficoltà a relazionarsi con
persone affette da problemi psichici, il coinvolgimento della sfera emotiva: tutto questo
contribuisce a configurare le professioni sanitarie come un autentico lavoro usurante.
Nell’ambito specifico delle comunità residenziali per persone affette da disabilità psichica, ad esempio, gli operatori sono spesso esposti alle aggressioni fisiche dei pazienti.
“Ci sono poi tutte le strutture dedite all’assistenza ai disabili psichici, come una dove abbiamo
fatto un’assemblea lunedì e gli operatori mi mostravano i loro lividi, le loro bruciature. Un operatore ha ricevuto un estintore in testa. Il rischio principale è legato qua alle aggressioni da parte dei
pazienti. Sono situazioni da controllare, hanno spesso reazioni inconsulte, possono essere violenti e il personale che lavora è sottoposto a questi rischi”. [dirigente sindacale]
Fra gli infermieri c’è molta frustrazione per lo scarso riconoscimento sociale della
propria professione: in generale, il lavoro di cura e assistenza appare svilito e scarsamente valutato, determinando una generale demotivazione.
“Nella mia realtà lavorativa si è affetti da sindrome del burnout, perché gli utenti spesso sono
arrabbiati per le lunghe attese, sfogando la loro aggressività sull’infermiere di turno, spesso sono
prevenuti, quindi si lavora quotidianamente in uno stato di stress e di mancanza di gratificazioni”.
[infermiera]
“Essere bruciati… se l’infermiere è la figura più soggetta a questo tipo di patologie, è anche a
causa di una scarsa considerazione sociale per la figura dell’infermiere, visto quasi come una specie di inserviente”. [dirigente sindacale]
La diffusione del fenomeno del burnout impone una riflessione sulla centralità delle
professioni di aiuto nella nostra società, in particolare in un territorio, quello ligure,
caratterizzato da una forte incidenza della popolazione anziana, dove il lavoro assistenziale tenderà ad assumere un’importanza sempre crescente.
La serenità e la salute psico-emotiva dei lavoratori della sanità sono infatti una
garanzia per l’intera società.
L’operatore che lavora in condizioni di disagio, stress, stanchezza eccessiva, non
mette a rischio esclusivamente la propria incolumità, ma anche quella del cittadino che
usufruisce dei servizi sanitari e socio-sanitari.
64
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 65
Il forte stress inficia talora anche la serenità del clima organizzativo: sono stati infatti segnalati alcuni casi di mobbing.
“Il burnout dipende da molte cose, dall’affiatamento con i colleghi, dal rapporto con la struttura, secondo me anche un po’ da quanto si riesce a fare in termini di mobilità sui posti di lavoro, ad
esempio in un posto piccolo, un RP per anziani con 50 persone uno si deve licenziare per andarsene; la situazione è migliore invece in una struttura pubblica, dove dopo un po’ di anni si può
cambiare, a livello sindacale abbiamo stabilito delle procedure di mobilità interna, per cui uno cambia aria, si rinnova, o può passare dall’ospedale all’attività territoriale. Sono questi i modi con cui
il burnout può essere combattuto, più che con la terapia psicologica”. [dirigente sindacale]
“Sicuramente ci sono anche delle risorse carenti. Là dove il personale va in maternità o in pensione e non viene sostituito l’organizzazione del lavoro viene a modificarsi. Movimentare un paziente in due o da soli è ben diverso. Resta il fatto che un lavoro in cui si è costantemente in contatto
con la sofferenza e con la morte produce sicuramente fatica e stress, che a volte sfociano in burnout… Però anche qui l’azienda ha delle possibilità di intervento, con ricerche sul clima organizzativo e lavorativo, facilitando quelle relazioni interpersonali oltre che professionali che possono
alleviare lo stress”. [Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione, struttura ospedaliera].
Prendendo in considerazione la questione delle responsabilità e cause degli infortuni, emerge una sostanziale assenza del rischio a carattere comportamentale o “elettivo”, fenomeno che tendenzialmente è più presente nei settori lavorativi a prevalenza
maschile.
Nella sanità, il mancato uso dei DPI, ove riscontrato, non è quindi riconducibile ad
atteggiamenti di tipo “macho” o di ostentata esposizione al rischio, bensì alla pressione imposta dai ritmi, dalla scarsità di personale che costringe a velocizzare il lavoro a
scapito della sicurezza.
Quasi tutti i testimoni identificano proprio nel rapporto fra l’esiguità degli operatori
e la dilatazione dei carichi di lavoro la causa principale degli infortuni e delle malattie
professionali.
“La mancanza di personale e strumentazione adeguata, questo crea grossissimi problemi,
molte volte ho visto colleghi farsi male perché correvano da una parte all’altra in quanto avevano
troppo lavoro da fare date le scarse risorse”. [infermiera]
“In questo momento è un delirio totale, manca il personale, il numero dei pazienti è sempre
maggiore, le problematiche sul lavoro sono sempre più difficili da sostenere, si accavallano le due
dimensioni lavorative. Il lavoro richiesto è sempre più burocratico e lascia poco tempo al lavoro
di corsia vero e proprio, alla somministrazione di terapie che richiedono tempo se applicate in
modo adeguato e corretto, …..ti trovi molto spesso a non vedere neanche in faccia il paziente,
ad agire senza avere il tempo di relazionarti in modo corretto. Questa corsa contro il tempo porta
a sottovalutare tante manovre …..ed hai maggiore facilità nella pratica ti pungerti, di non usare
tutti i dispositivi previsti”. [infermiera]
“Nella mia realtà lavorativa la causa principale è la mancanza di personale, spesso il lavoro che
deve essere svolto da 3-4 persone è svolto da 1-2 persone, ma per far vedere che non sei da
meno degli altri e non creare disservizio, lavori lo stesso”. [infermiera]
E’ un fattore che influisce sul rischio biologico, perché può portare ad omettere per
eccessiva fretta l’uso dei DPI, e sulla sindrome da burnout, a causa dell’accrescimento
dello stress individuale.
65
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 66
In particolare, la carenza di personale aggrava tutte le problematiche legate alle
patologie della schiena riscontrate negli addetti alla movimentazione di pazienti con
problemi di deambulazione.
“Tempi ristretti e carichi di lavoro dilatati!...pensa a due operatori socio-sanitari che fanno il
turno di notte in una struttura con 70-80 pazienti... è impossibile accudirli tutti, non ci sono ausili
meccanici che possano aiutare e se ci vuole mezz’ora per assistere una persona, vuol dire che in
mezz’ora non si possono farne più di sedici.
A volte l’operatore se deve pulire due persone, per senso di responsabilità non prende l’elevatore e le fa tutte e due...ma poi avrà problemi alla schiena”. [dirigente sindacale]
I datori di lavoro, che in molti casi sono enti pubblici o istituti religiosi, sono percepiti come “lontani” ed estranei all’attività.
Possiamo affermare, tuttavia, che dalle interviste e dai questionari emerge un quadro nel quale le responsabilità non sono individuali, bensì strutturali, ed imputabili prevalentemente agli insufficienti investimenti in sicurezza da parte delle aziende: personale, inadeguatezza delle strutture in particolare.
I lavoratori della sanità pubblica appaiono mediamente più garantiti e protetti degli
operatori del settore socio-assistenziale del privato.
Una criticità caratteristica del settore socio-sanitario è la tendenza alla poli-funzionalità del lavoratore, in particolare sono stati segnalati alcuni casi nei quali persone
assunte come educatori sono adibite alle mansioni riservate agli infermieri.
È un altro esempio di come le distorsioni ricorrenti dell’organizzazione del lavoro
nella sanità mettono a rischio non solo l’operatore costretto a mansioni per le quali non
ha adeguata formazione, ma anche il paziente stesso nel suo diritto ad essere curato
da una persona in possesso di adeguate competenze.
“Spesso nello strutture sanitarie si fanno svolgere mansioni non di competenza a persone prive
della necessaria qualifica, in una cooperativa che si occupa di assistenza ai disabili in teoria c’è
un’infermiera che si occupa della somministrazione medicine e dell’igiene personale delle persone non autosufficienti. Però in realtà questo lavoro alla fine lo fanno fare a me e ad altre persone
prive di competenze sanitarie”. [operatrice socio-sanitaria]
“Spesso le persone assunte come educatori sono messe a fare le funzioni di infermiere. E’
molto frequente che siano fatte delle forzature rispetto agli inquadramenti professionali e accreditamenti con le ASL, oltre ad altri problemi di natura formativa e giuridica. Chi non è formato più
difficilmente potrà tutelare se stesso”. [operatrice socio-sanitaria]
Altre forme di polifunzionalità, che non comportano in sé rischi, ma influiscono nell’aumento dei carichi di lavoro, sono la necessità per gli operatori socio-sanitari addetti ai turni
notturni di effettuare lavori di pulizia, in assenza del personale ausiliario, e per gli infermieri di adempiere talora ad alcune mansioni a carattere amministrativo e burocratico.
Percezione diritti e doveri
La conoscenza dei propri diritti e doveri in ambito sanitario è abbastanza buona.
“In ogni luogo di lavoro viene esposto un manifesto con gli articoli più importanti a riguardo dei
rischi dei lavoratori, ma soprattutto con indicazioni su come comportarsi in caso di varie emergenze”. [infermiera caposala]
66
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 67
Nel settore ospedaliero tutti i testimoni hanno seguito il corso di formazione sulla
626, sono a conoscenza delle procedure da osservare in caso di infortunio e conoscono l’attività dell’INAIL e gli aspetti assicurativi.
L’elevata scolarizzazione e la maggiore strutturazione contrattuale presenti in quest’ambito garantiscono quindi un buon livello di competenza e consapevolezza.
Le criticità si riscontrano soprattutto nel settore delle Residenze Protette, ove spesso la legge trova un’applicazione meramente formale.
“È vero c’è le legge 626, ma è solo in parole, nei fatti non viene mai applicata, un controllo non
c’è assolutamente”. [dirigente sindacale, si riferisce alle Residenze Protette per anziani]
La frattura fra il registro formale della sicurezza e quello “informale” è quindi sentita
anche in parte del settore sanitario, pur se in maniera meno drammatica rispetto alla
piccola impresa edile e metalmeccanica.
Un aspetto critico è quello relativo alla nomina degli RLS: abbiamo riscontrato una
scarsa motivazione a ricoprire questo ruolo previsto dalla legge a causa delle difficoltà
a relazionarsi con un ente pubblico quale “datore di lavoro” e di una percezione del
rischio professionale non elevatissima.
Gli incarichi elettivi previsti dalla legge sono pochi e molto spesso l’RLS viene
nominato nel pubblico dalle organizzazioni sindacali e nel privato dal datore di lavoro
che anche nella piccola impresa si mette così formalmente in regola.
In generale i testimoni percepiscono un certo miglioramento della situazione nel
proprio ambiente di lavoro, limitatamente all’aspetto degli infortuni e del rischio biologico e infettivo.
Le normative specifiche di sicurezza e l’introduzione di DPI specifici e adeguati
hanno ridotto in maniera significativa il rischio di infortunio.
Si riscontra un peggioramento delle problematiche legate alle patologie della colonna e una crescita dei fenomeni di sindrome del burnout.
La percezione generale della sicurezza, come negli altri settori, è fortemente
influenzata dalla rappresentazione mediatica che induce a ritenere presente un certo
peggioramento.
Alcuni ritengono che la situazione oggettiva sia inalterata e che sia invece aumentata la sensibilità sociale verso la questione.
“Non credo che sia cambiata particolarmente. La percezione è che sia aumentata perché se
ne parla di più, ma se la percezione è aumentata è una cosa buona, non abbiamo che da guadagnarci”. [operatore socio-sanitario]
A conferma di quanto riscontrato anche altrove, il disagio per lo stile con cui i mezzi
di comunicazione e la politica si occupano della sicurezza sul lavoro è diffuso: si percepisce, infatti, un’attenzione interpretata come strumentale da parte di questi attori
sociali che sarebbero comunque privi di una reale volontà di intervento.
La specificità del settore sanitario non inficia uno dei dati principali emersi dalla
ricerca: la sicurezza sul lavoro è una questione che riguarda la società intera ed è
minacciata, prima ancora che da comportamenti negligenti dei singoli individui (lavoratori, datori di lavoro o ispettori) da fattori sistemici e strutturali.
I tratti caratteristici del nostro stile di vita - la fretta, la corsa alla produttività, la
nuova tendenza alla dilatazione dell’orario di lavoro - determinano una serie di rischi e
problemi anche in un comparto relativamente “protetto”, che ha risentito meno di altri
della precarizzazione del lavoro e che è tendenzialmente estraneo a fenomeni di irregolarità contrattuale.
67
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 68
I rischi del settore sanitario hanno un impatto emotivo ridotto e, per i media, un
basso livello di “notiziabilità”, ma in un periodo medio-lungo possono configurare effetti sociali molto gravi, proprio per la centralità che il lavoro di assistenza e cura sta assumendo nella società.
Ad esempio, la diffusione della sindrome del burnout finisce per aggravare la carenza di personale, producendo una sorta di circolo vizioso.
La rappresentazione sociale e mediatica del rischio è talora eccessivamente
appiattita sulle situazioni più estreme (schiavitù, caporalato, lavoro nero) e rischia di trasmettere il messaggio erroneo secondo cui le questioni della sicurezza riguarderebbero esclusivamente settori marginali dell’edilizia e dell’agricoltura, nei quali sono più evidenti le distonie dell’assetto socio-economico contemporaneo e dove l’insicurezza
assume forme più drammatiche perché si va ad aggiungere alla privazione dei più elementari diritti umani, come nel caso dei lavoratori migranti.
La sicurezza rischia così di essere concepita come un problema che non colpisce
chi lavora in condizioni di legalità e regolarità.
I dati del settore sanitario mostrano invece che la sicurezza riguarda tutti e che in
molti casi i problemi rilevati nelle situazioni più estreme sono presenti in forma meno
grave anche in quelle più protette.
68
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 69
La ricerca in provincia di Imperia
25
La maggior parte dei lavoratori del comparto edile considera gli infortuni sul lavoro
in primo luogo come una fatalità, Solo approfondendo con gli intervistati le dinamiche
degli infortuni, emerge che l’avversione per l’uso dei DPI è dettata anche dalle pressioni a cui il lavoratore è sottoposto per rispettare i tempi di consegna o di chiusura dei
lavori oppure dalla richiesta di migliori prestazioni individuali.
Soprattutto agli occhi di quelle categorie di lavoratori a termine, la cui principale
preoccupazione dichiarata è quella legata alla continuità lavorativa, i DPI sono spesso
considerati ostacoli che rallentano il lavoro. In generale tutti ritengono che i momenti di
maggior rischio si hanno quando la stanchezza aumenta e l’attenzione diminuisce, cioè
tipicamente dopo pranzo, nei turni di notte e durante le ore di straordinario, spesso
richieste proprio per rispettare i tempi di consegna.
I lavoratori più anziani pongono l’accento sulla mancanza di esperienza dei lavoratori più giovani o degli immigrati, con i quali non c’è quel rapporto privilegiato tra “compagni di lavoro” che una volta permetteva la trasmissione di saperi e pratiche. Quello
che un tempo poteva rappresentare un tirocinio informale, basato sull’affiancamento e
il praticantato, è stato sostituito da forme contrattuali, definite “di apprendistato”, che
mettendo in secondo piano la formazione al lavoro privilegiano un rapporto lavorativo
più flessibile per i lavoratori e più vantaggioso economicamente per i datori di lavoro.
La conseguenza denunciata dai lavoratori più anziani e da quelli più sindacalizzati è che
si assiste a una progressiva sostituzione della contrattazione collettiva a favore di una
individuale che inevitabilmente favorisce forme contrattuali atipiche.
Tra gli stranieri emerge spesso anche una sofferenza relativa al rapporto con il proprio datore di lavoro, generalmente italiano, che sarebbe del tutto disinteressato all’incolumità dei propri dipendenti, da lui considerati e trattati come forza lavoro usa e getta.
Oltre alla frustrazione dovuta alla mancanza di rispetto per la dignità del lavoratore, si
avvertono la minaccia e il ricatto.
Questa particolare percezione emerge a maggior ragione tra gli stranieri che lavorano nel settore agricolo, in particolare in quello delle serre per la floricoltura. Qui non si
parla molto di infortuni, generalmente in numero ridotto, ma di malattie causate dalla
esposizione alle sostanze tossiche contenute nei fitofarmaci e negli antiparassitari. E’
anche noto che sono spesso gli stessi contadini e i loro familiari ad essere vittime di
ignoranza che porta a sottovalutare molto i rischi per la salute. Contraddistinto da una
forte stagionalità, il lavoro in serra è stato tradizionalmente caratterizzato da una presenza importante di lavoro sommerso e di manodopera immigrata (prima dal sud Italia,
ora dall’estero). Qui si riscontra sovente una negligenza nel rispetto delle regole relative all’uso in sicurezza dei prodotti chimici irrorati nelle serre, soprattutto nelle situazioni in cui i lavoratori non hanno la forza, la possibilità o le conoscenze necessarie per sottrarsi a un uso improprio di tali sostanze. Può accadere, ad esempio, che quando il
lavoratore entra in serra subito dopo l’irrorazione non sia munito della necessaria protezione.
25
Capitolo a cura di Nazarena Lanza.
69
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 70
Da alcune testimonianze sembra che in certe occasioni gli organi preposti al controllo cerchino di “concordare” la regolarizzazione delle situazioni non conformi. Si annunciano a volte le ispezioni e ne consegue l’abbandono momentaneo del posto di lavoro
da parte degli irregolari. Secondo alcuni, questa pratica è applicata con motivazioni differenti: per agevolare la piccola impresa o per non aggravare la condizione degli immigrati senza permesso di soggiorno.
Nel settore dei trasporti si sono riscontrate significative differenze tra i lavoratori del
trasporto pubblico e quelli del privato. La principale causa di infortuni riportata è la
distrazione, sebbene le preoccupazioni più sentite dai lavoratori riguardano la salute e
le malattie professionali (diabete, mal di schiena ecc.). Laddove la distrazione è generalmente causata dalla stanchezza, a sua volta spesso peggiorata dalle condizioni del
traffico e da comportamenti azzardati degli altri automobilisti, le malattie professionali
vengono ingenerate dalle posture sbagliate a seguito di numerose ore di guida. Nel settore privato si lamenta lo stress dettato dai tempi di consegna e dalla maggiore diffusione di contratti a termine connessi alla paura per il non rinnovo del contratto. Lo
straordinario diventa la regola e la giornata lavorativa si prolunga in maniera indefinita,
aumentando la possibilità che insorgano malattie professionali. Nel pubblico, dove il
sindacato è più forte, non esistono forme contrattuali a termine, ma la mancanza di
nuove assunzioni comporta un aggravio di lavoro per il personale (aumento delle ore di
servizio, slittamento delle giornate di riposo e un aggravarsi dei disturbi professionali).
Interviste a testimoni privilegiati
Da questo campione, formato da persone che a diverso titolo si occupano della
sicurezza in enti, sindacati e aziende, emergono interpretazioni che attribuiscono le
cause degli infortuni e delle malattie sul lavoro a fattori sia individuali, riconducibili a
quella che è stata definita come una “mentalità dell’insicurezza”, che strutturali o sistemici, legati al contesto economico e sociale in cui gli infortuni e le malattie professionali si verificano e al mercato del lavoro che li produce.
Come menzionato da imprenditori e operatori del comitato paritetico, la mancanza
di una “cultura della sicurezza” è citata come prima causa di infortuni e viene messa in
relazione alla superficialità, alla trascuratezza e all’incompetenza diffusi che investirebbero tanto l’ambiente di lavoro quanto l’intera società. Le cause degli infortuni sarebbero quindi da ascrivere principalmente a un comportamento errato del lavoratore, che
nonostante i corsi di formazione e la dotazione di DPI, spesso non segue le indicazioni
dei protocolli di sicurezza. In particolare tre categorie di persone sono menzionate come
maggiormente a rischio: i giovani, che per incoscienza o inesperienza eseguirebbero
lavori in modo azzardato o senza porsi il problema della propria incolumità; gli anziani,
che avendo per anni fatto lo stesso lavoro senza i DPI si rifiuterebbero di iniziare proprio ora. L’eccessiva confidenza con le operazioni da svolgere, inoltre, rappresenterebbe un fattore di rischio per i lavoratori più anziani. Infine gli stranieri, che da una parte
non capirebbero bene l’italiano e dall’altra sarebbero spesso costretti a trascurare le
norme di sicurezza perché costretti a lavorare a ogni costo e a ritmi elevati sotto il ricatto perpetuo di essere cacciati via, di perdere il permesso di soggiorno o di essere espulsi se irregolari.
Nel settore dell’edilizia emerge con forza il problema legato al funzionamento degli
appalti, in particolare all’effetto perverso del “massimo ribasso” che induce le aziende
a tagliare le spese per la sicurezza e quelle relative alla regolarità dei lavoratori per
garantirsi una posizione sul mercato.
70
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 71
Le disposizioni in materia di certificazioni prevedono, solo per la ditta appaltatrice,
l’obbligo di possedere di conformità ai requisiti di sicurezza europei; ma le ditte che
eseguono materialmente il lavoro, prendendo e dando a loro volta in subappalto sezioni del lavoro, non devono presentare alcun requisito in tal senso e quindi possono
tagliare ulteriormente i costi dalle uniche voci di spesa che lo consentono a fine di ricavare un margine di profitto accettabile.
Nel settore dei trasporti viene segnalato un problema strutturale legato alla liberalizzazione che ha causato una deregolamentazione anche nel settore pubblico: in virtù
della nuova forma di SPA, ci si avvicina sempre di più all’impresa privata per quanto
riguarda le modalità di azione e gestione. Ciò si è tradotto in una maggiore flessibilità
dei lavoratori, più di prima costretti a ore di straordinario e allo slittamento del riposo,
che consente all’azienda di restare sul mercato. L’allungamento dell’orario di lavoro è
quindi considerato come il fattore di maggior rischio, sia in relazione ai possibili infortuni che alle malattie professionali.
Un altro aspetto che accomuna le percezioni dei testimoni privilegiati (tranne gli
imprenditori) e dei lavoratori di tutti i settori è quello relativo alle conseguenze del lavoro a termine. Questo provoca uno stress costante per la mancanza di certezze sul lungo
periodo ma soprattutto a causa della ricattabilità a cui sono sottoposti quotidianamente. Qualsiasi rivendicazione viene così inibita. Questo aspetto riguarda tutti, ma diventa
particolarmente insostenibile per i lavoratori stranieri, che in virtù delle normative vigenti hanno il proprio permesso di soggiorno subordinato al periodo lavorativo previsto dal
contratto. Ciò genera prevedibilmente un circolo vizioso in cui il lavoratore deve continuare ad avviare pratiche per il permesso di soggiorno che arriva di volta in volta già
scaduto e che porta a livelli di stress e di disattenzione particolarmente acuti.
E’ da tutti riconosciuto che gli infortuni si verificano maggiormente nei momenti di
stanchezza, oltre l’orario di lavoro contrattuale. La detassazione del lavoro straordinario e il conseguente aumento delle ore lavorative appaiono quindi come “cattive pratiche” esemplari.
Sui diritti e i doveri
Si profila in proposito una sostanziale divergenza tra le opinioni dei lavoratori maggiormente tutelati, sindacalizzati e inseriti in aziende in linea di massima più grandi e
quelle dei lavoratori meno qualificati, inseriti in micro imprese o nel circuito del lavoro
stagionale agricolo. Dalle risposte dei secondi emerge, infatti, una maggiore ignoranza
rispetto ai propri diritti e per quanto riguarda i doveri vengono riconosciuti solo quelli nei
confronti del proprio datore di lavoro. Non c’è nemmeno grande informazione sui doveri dei datori di lavoro, tranne quando avviene un infortunio e si ricorre al patronato per
le tutele. Questo è il quadro poco edificante che si evince dai questionari somministrati nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura, un quadro che è frutto di un mercato del lavoro in cui la rincorsa alla minimizzazione dei costi porta al reclutamento di lavoratori poco
qualificati e molto spesso stranieri, disposti ad accettare qualunque condizione in cambio di una seppur minima remunerazione. In questi contesti il datore di lavoro non ha
alcun interesse alla formazione dei propri dipendenti anche perché la ritiene un costo
aggiuntivo; del resto è facile immaginare che il lavoratore formato sia maggiormente
incline a rivendicare diritti e tutele.
Nel comparto dei trasporti la situazione è migliore, anche grazie al tipo di formazione prevista per gli autisti, che sono tenuti a conoscere il codice della strada e le norme
di sicurezza relative al trasporto e devono essere in possesso dei documenti necessari
a condurre un mezzo. La titolarità della patente di guida esclude (ma non sempre) gli
71
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 72
stranieri irregolari, che a differenza dei settori precedentemente considerati, qui sono in
numero esiguo.
Sensibilità sociale rispetto alla sicurezza
Secondo gli intervistati, questo aspetto rinvia a considerazioni relative alla insensibilità per la sicurezza e all’individualismo diffusi in Italia, frutti di un’insufficiente educazione civica che alcuni confondono con la cosiddetta “cultura della legalità”. Più
intervistati (comitato paritetico, sindacati, imprenditori) hanno messo in relazione la
mancanza di sicurezza nel lavoro con il persistere di un lassismo e di un’ignoranza
endemici. Molti guardano con nostalgia ai vecchi corsi di economia domestica che
insegnavano ad affrontare le piccole incombenze quotidiane in maniera ottimale ed
efficace, oltre che sicura. L’idea è insomma quella di considerare i lavoratori come
degli sprovveduti, che per questo semplice fatto sono naturalmente più a rischio delle
generazioni precedenti.
Dai questionari somministrati ai lavoratori emergono opinioni contrastanti che si
riferiscono a vari aspetti della società. I lavoratori più anziani, la cui opinione si avvicina
a quella dei testimoni privilegiati, lamentano che oggi mancano proprio quella preparazione, coscienza civica e maturità che loro avevano interiorizzato già all’inizio della carriera. Tra i lavoratori più giovani, che cercano la propria identità al di fuori della vita lavorativa, si è perso quel sentimento di appartenenza che era proprio di alcune categorie.
In questo contesto si inquadrano alcuni questionari dai quali risulta che le ore di lavoro
straordinario non sono necessariamente accettate a causa del precariato o delle ristrettezze economiche, quanto per obbedire a un modello consumistico generalizzato che
porta a ricercare una propria dimensione nell’acquisto di beni, piuttosto che in che in
un gruppo definito socialmente dall’appartenenza a una categoria lavorativa.
In merito alla grande attenzione mediatica riservata alle morti bianche e agli infortuni sul lavoro nell’ultimo anno, le considerazioni degli intervistati sono abbastanza
uniformi ed esprimono un parere generalmente positivo sul fatto che l’argomento della
sicurezza sia diventato una questione di primaria importanza. Tuttavia si registra un
accordo quasi unanime nella constatazione che nei cantieri non ci sono stati segnali di
cambiamento particolarmente significativi al riguardo, se si escludono i periodi immediatamente successivi alle stragi in cui aumentano i controlli e l’attenzione pubblica. Per
molti, soprattutto tra i testimoni privilegiati, manca la volontà politica di porre rimedi credibili, perché ciò implicherebbe scelte radicali che andrebbero contro gli interessi consolidati dell’imprenditoria italiana.
Cosa fare per migliorare la sicurezza sul lavoro?
Le risposte fornite in merito agli interventi necessari a garantire la sicurezza dei
lavoratori riflettono le posizioni prevalenti espresse nei precedenti campi di indagine.
Per gli operatori dei sindacati e del comitato paritetico, nonché parte dei lavoratori, la
formazione dovrebbe innanzitutto essere meno teorica e più legata a ciò che praticamente avviene nei cantieri e non venire relegata a momenti episodici. In secondo luogo
dovrebbe essere maggiormente accessibile anche ai lavoratori stranieri, ai quali viene
richiesto di partecipare ai corsi di formazione senza alcuna verifica circa l’effettiva comprensione della lingua de degli argomenti trattati.
L’idea alla base di questa posizione è che la sicurezza sia diventata più un business
che un’esigenza comunemente sentita e una pratica applicata, percezione confermata
da operatori della scuola edile e del comitato paritetico che considerano i piani per la
72
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 73
sicurezza aziendale formalità praticamente avulse dalla situazione specifica dell’azienda, fotocopiate su fogli che non vengono mai letti e che spuntano solo in occasione
degli sporadici controlli.
Tra gli operatori del settore sicurezza è stata anche ventilata l’ipotesi di mostrare
immagini o documentari che illustrino in tutta la loro crudezza incidenti sul lavoro realmente avvenuti e altro materiale informativo - anche sotto forma di fumetti - tradotto in
tutte le lingue parlate nelle realtà lavorative.
Sia i lavoratori che i testimoni privilegiati esprimono la richiesta di maggiori e più
efficaci controlli finalizzati alla denuncia delle situazioni di rischio e di sommerso, con
sanzioni puntuali e significative alle aziende che non si adeguano alle direttive del testo
unico in materia di sicurezza. Anche la dilatazione dell’orario lavorativo, necessaria alla
produzione aziendale, è giudicata come una delle principali cause di insicurezza da
sanare proprio perché è tendenzialmente in aumento.
73
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 74
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 75
Ricchezza e lati oscuri dell’agricoltura nel ponente ligure
L’agricoltura nel ponente - la cosiddetta riviera dei fiori degli anni di forte espansione del settore - si caratterizza per la forte frammentazione delle aziende, perlopiù a conduzione familiare, che si sono specializzate nella floricoltura e poi anche nella produzione ortofrutticola. Attualmente la zona fatica a reggere la concorrenza globale sia a
causa della limitata innovazione tecnologica, che ha invece permesso all’Olanda di
imporsi sul mercato, sia per la comparsa di nuovi mercati, come Ecuador e Kenia, che
si caratterizzano per i prezzi estremamente bassi e che hanno soppiantato la Liguria
nella produzione di fiori da taglio. La crisi che ne è derivata nel ponente ha portato a
una contrazione del settore e a un conseguente riallineamento al ribasso degli standard
di vita e di sicurezza, dettati dalle nuove condizioni economiche imposte dal mercato.
Soprattutto nella provincia di Imperia, dove la realtà produttiva agricola è rappresentata soprattutto da piccole aziende a conduzione famigliare, la crisi si è tradotta da
una parte con l’abbandono di molte serre e dall’altra nella rincorsa a una maggiore produttività ed elasticità che garantiscano sopravvivenza e profitti in un mercato ormai
molto competitivo.
Un altro dato importante rilevato è il numero limitatissimo di lavoratori a tempo
indeterminato rispetto a quello sempre più alto di lavoratori a tempo determinato e in
nero, sebbene in quest’ultimo caso sia difficile riuscire a quantificare il fenomeno.
La percezione del rischio di coltivatori diretti, braccianti, operai delle aziende vivaistiche, lavoratori a giornata italiani e stranieri è intrinsecamente connessa alle condizioni socio-economiche sopra accennate e si manifesta con un’ansia diffusa rispetto alle
proprie prestazioni lavorative, che ha conseguenze allarmati per la salute dei lavoratori. Nel caso dei coltivatori diretti si constata da un lato una sorta di autosfruttamento per
cui, pur di non perdere una commissione sono spesso disposti a bypassare le più elementari norme di sicurezza e mettere in pericolo la propria salute. Dall’altro è diffuso lo
sfruttamento di manodopera avventizia, spesso irregolare e quindi disposta ad accettare qualsiasi condizione per portare a casa la giornata.
A questo si aggiunge la forma di coltivazione tipica della floricoltura, le cui mansioni vengono principalmente svolte in serra, quindi in un ambiente chiuso che richiede
trattamenti con sostanze tossiche come insetticidi, antiparassitari e concimi chimici.
Le patologie potenzialmente conseguenti a un’esposizione prolungata a queste
sostanze (ad esempio tumori, danni ai sistemi riproduttivo, nervoso ed endocrino) difficilmente vengono riconosciute come malattie professionali, perché nel momento in cui
se ne manifestano i sintomi, il lavoratore ha probabilmente già cambiato o addirittura
cessato l’attività.
“…È un paradosso, l’attività prevalente nel territorio, l’agricoltura, ha una o due malattie professionali denunciate all’anno…Questo dato ci preoccupa. Oggettivamente non c’è una correlazione fra questo tasso e la realtà. Ci sono malattie dell’apparato urogenitale che molti attribuiscono a questa attività, ma non sono riconosciute. Il lavoratore autonomo, il coltivatore diretto, va dal
suo medico, questo gli dice: hai un tumore al rene… e lo cura come un cittadino qualsiasi”. [dirigente sindacale]
Agli elementi strutturali si aggiunge una congenita difficoltà nell’assimilazione e diffusione della cultura della sicurezza, tuttora segnata da un sapere contadino che fatica
75
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 76
ad aggiornarsi e a predisporre modifiche alle abitudini lavorative. Da numerose fonti,
tuttavia, emerge una maggiore consapevolezza dei rischi legati all’uso delle sostanze
chimiche rispetto al passato. In questo senso è stato iniziato un importante lavoro dalle
ASL locali in collaborazione con l’INAIL, che comunque è ancora insufficiente.
“…Spesso c’è una situazione paradossale: la formazione obbligatoria formalmente è a posto,
poi se vado a chiedere ai lavoratori ... sanno se una cosa non va fatta, ma poi all’atto pratico...”.
[operatore ASL]
Grazie alla formazione organizzata in questi anni e al patentino necessario per poterle comprare, molte persone intervistate conoscono la tossicità delle sostanze che utilizzano, ma ancora stentano ad associarle a un uso corretto dei DPI e al pericolo concreto per la loro salute. Alla domanda sui rischi di malattie e infortuni, la risposta verte
in primo luogo sui problemi legati ai tipi di attività svolte in campagna, quindi all’utilizzo
di macchine, al pericolo di cadute da ulivi e serre, al rovesciamento del trattore, all’insorgenza del mal di schiena e agli incidenti diffusi e immediatamente collegabili all’attività agricola.
Il Decreto Legislativo 626 aveva previsto una serie di figure preposte alla formazione, al controllo e al monitoraggio della sicurezza in azienda, ma la particolare orografia
della zona, che presenta notevoli difficoltà di accesso, e la tipologia di aziende presenti non hanno facilitato la creazione di una rete efficace di osservazione del territorio.
In questa situazione la figura dell’RLS è rimasta praticamente assente poiché la
maggior parte delle aziende non raggiunge il numero minimo di dipendenti per doverla
creare; nei casi in cui è presente, il lavoratore viene scelto di solito direttamente dal
datore di lavoro per cui si trova in un evidente difficoltà operativa.
“… All’inizio mi han parlato un po’ della legge 626, mi pare se ne è parlato qualche anno fa ma
perché c’era da fare il rappresentante sicurezza, ma poi adesso non ne sento più dire niente e mi
sa che adesso [il datore di lavoro] avrà nominato qualcun altro o qualcuno che viene da fuori azienda perché quello che c’era prima nominato per la sicurezza non lavora manco più con noi…”
[operaio agricolo]
Il ruolo di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), quando
presente, è invece spesso assunto dal datore di lavoro, con le difficoltà legate alla insufficiente competenza che spesso ne conseguono
Un’altra figura prevista dalla 626 per monitorare la sicurezza nelle aziende con
meno di 15 dipendenti è il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale
(RLST), che avrebbe dovuto essere creata con il contributo di ciascuna azienda di un
dato territorio per raggiungere e integrare le piccole realtà produttive locali in una rete
di osservazione. L’RLST rimane ancora lettera morta nel comparto dell’agricoltura.
Anche l’istituzione di una Commissione Paritetica Territoriale (CTP), che integri
imprenditori e sindacati in un ente che sia presente e attivo sul territorio per monitorare il settore e controllare il rispetto delle norme di sicurezza, non è stata mai portata a
termine probabilmente anche in virtù del poco interesse dimostrato dalle stesse organizzazioni professionali [associazione di categoria].
76
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 77
I rischi legati alle piccole aziende
Nel corso della ricerca sono stati intervistati numerosi agricoltori e coltivatori diretti, in parte legati alla rete di conoscenze e in parte incontrati e fermati al mercato dei fiori
di Sanremo. L’approccio è stato colloquiale e l’obiettivo era quello di lasciare spazio alle
idee e alle percezioni dei lavoratori, stimolando di volta in volta gli argomenti di interesse della ricerca. La maggior parte delle persone sentite si è mostrata aperta e disponibile alla “chiacchierata”, coinvolgendo eventualmente anche la moglie o il marito e i
conoscenti presenti.
Il quadro che ne emerge risulta abbastanza contraddittorio, a seconda del grado di
coinvolgimento delle aziende nel processo di formazione sulla sicurezza o del loro inserimento in una rete di scambio con altre realtà produttive. Gli infortuni principalmente
menzionati sono quelli legati a tutte le attività agricole:
“… i più gravi sono quelli di cadute dagli alberi, trattori che si rovesciano, motoseghe che se
le tirano addosso, motozappe…”. [coltivatore diretto, Bussana]
In generale, tuttavia, sembra vi sia una buona consapevolezza rispetto a questa
tipologia di rischi, proprio perché l’azienda si basa proprio sul lavoro di questi piccoli
produttori e gli infortuni rappresenterebbero un costo insostenibile.
È stata riscontrata una generale resistenza a denunciare gli infortuni all’INAIL e a
prediligere il metodo del “cerotto casalingo”. Si cerca di risolvere l’incidente in autonomia, senza sporgere denuncia spesso nemmeno nei casi che richiedono l’intervento del
pronto soccorso. Si ritiene che il coinvolgimento dell’INAIL costituisca una perdita di
tempo poiché
“… il fatto è che comunque l’INAIL fa di tutto per cercare di non pagare quando ci sono degli
infortuni o comunque non è che dia dei grossi assegni a chi si infortuna. […] Quasi sempre, a meno
che non sia una cosa grave, non è il caso di fare una denuncia all’INAIL, uno si cura da solo, se ne
sta a casa o anche se va al pronto soccorso dice di essersi fatto male a casa perché tanto non ne
vale la pena di chiedere rimborso all’INAIL. Inoltre tanti qui sono coltivatori diretti e la maggioranza non ha dipendenti e se li ha li prende in giornata per poco …”. [patronato Sanremo]
Questa resistenza sembra dovuta anche alla paura di subire controlli, molto diffusa
tra i piccoli agricoltori. Si preferisce arrangiarsi piuttosto che correre il rischio di essere
controllati e pagare multe per piccole irregolarità, che in campagna sono spesso considerate necessarie per la sopravvivenza dell’azienda stessa:
“… Bisogna che controllino davvero chi proprio non è in regola e paga in nero gli immigrati e
gli italiani senza che si preoccupi della sicurezza, perché sono quelle lì le cose gravi; invece vanno
dalle persone oneste che son sempre lì che faticano e non scappano come gli altri, noi siamo delle
prede più facili per le multe e cose varie su questioni che alla fine non son manco gravi, mentre
chi è fuori legge del tutto se la scampa e non gli fanno nulla …”. [contadino]
Il dato interessante è che la maggior parte degli infortuni denunciati è dichiarata da
coltivatori diretti o da imprenditori, raramente dai lavoratori. Il motivo è da ricercarsi
nella tipologia di lavoro a termine, che non mette il lavoratore in condizione di sporgere denuncia all’INAIL per infortuni non gravi, se il datore di lavoro non è d’accordo perché preferisce evitare controlli in azienda.
77
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 78
“… Raramente si trovano lavoratori che fanno una denuncia di infortunio. Per il motivo che le
ho detto prima: io mi faccio male in azienda poi però casualmente sono scivolato a casa …”. [associazione di categoria]
Nei picchi stagionali il lavoro nero “a giornata” è molto diffuso e con ogni evidenza
anche in questi casi se un operaio si fa male non solo non denuncia l’infortunio ma
rischia di essere allontanato dall’azienda senza troppi complimenti.
Per quanto riguarda le malattie professionali, le più citate sono il mal di schiena “…
che qui ce l’abbiamo un po’ tutti” [coltivatore diretto, Taggia] e quelle provocate dall’esposizione prolungata alle sostanze tossiche usate in serra, entrambe però quasi mai
denunciate all’INAIL.
Su queste ultime si sono concentrati negli ultimi anni numerosi sforzi volti a offrire
maggiore formazione sulla sicurezza a partire dalla concessione di un patentino per
l’acquisto di materiali tossici di utilizzo agricolo; se la consapevolezza generale sulla
loro pericolosità è migliorata, non sempre i corsi proposti hanno dato i risultati sperati:
“… ma si io ho preso il patentino per comprare veleni perché è obbligatorio, sennò non li puoi
dare, e ci hanno spiegato che è pericoloso, ma io vedo che non li patisco tanto, e quindi non sto
lì tanto a mettere protezione .... eh, non li patisco ....”. [coltivatore diretto, Taggia]
Questo è sicuramente un caso limite, ma esistono molte situazioni in cui, pur conoscendo i rischi di un uso non corretto di queste sostanze, si decide di non rispettare le
norme per convenienza o esigenze immediate:
“… adesso per dare i veleni ti devi prendere un patentino, sennò neanche te li vendono, e ti
fanno una testa sull’inquinamento e sui rischi che corri e anche su come e quando usare i veleni
in agricoltura. Poi però se qualcuno chiama che vuole delle prime o anche qualche chilo di rusco
[…] i miei dicono che alle comande è meglio rispondere subito per farsi buoni i clienti e quindi cosa
succede? Raccogliamo il verde dove ieri, o delle volte capita anche nella stessa giornata, abbiamo dato il veleno”. [figlio di coltivatori diretti, Sanremo]
Le abitudini restano difficili da cambiare. Se la maschera è entrata a fare parte del
corredo necessario per eseguire i trattamenti, sulla tuta e l’attrezzatura completa solo
una minoranza ne dichiara un uso corretto e costante:
“…quando fa caldo non posso mica tenere la maschera e tutta la roba … Sono un po’ gli studi
moderni che mettono in giro tante regole, ma i veleni li abbiamo sempre dati e non c’è mai morto
nessuno …”. [coltivatore diretto, Sanremo]
La crisi della floricoltura ha accentuato questo atteggiamento di chiusura e di ripiegamento su se stessi, contraendo i tempi di riposo a favore di una corsa verso una maggiore produttività che riduce i costi del lavoro con conseguenze inevitabili sulla salute
propria e del territorio.
La diffusione dei contratti a termine e le ripercussioni sulla sicurezza
Nella sola provincia di Imperia lavorano circa 1.400 avventizi e 170 fissi mentre i
lavoratori autonomi sarebbero 6.000.
78
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 79
Il lavoro a termine in agricoltura ha regole diverse rispetto agli altri settori, poiché
l’azienda può assumere un dipendente per un certo periodo all’anno e chiamarlo a propria discrezione, quando se ne presenta la necessità, nell’arco di quel periodo, senza
alcun altro onere di comunicazione. Questo tipo di lavoro pone il lavoratore in una specie di limbo nel quale l’attesa della chiamata costituisce un lavoro di per sé, poiché il
rischio dell’indisponibilità può comportare il mancato rinnovo per la stagione successiva. Al contrario, quando ci sono i picchi di lavoro dettati dall’avvicinarsi delle festività o
dalla stagionalità delle colture non esistono più orari, riposi o malattie: portare a termine la consegna diventa l’unica priorità e i lavoratori non possono fare altro che adeguarsi ai ritmi imposti dal mercato:
“… c’è da dire che la stragrande maggioranza dei dipendenti hanno un rapporto di lavoro che
non è tutelato al 100%, perché c’è sempre il rischio che … io ti assumo, tu lavori e se non ti va
bene, la prossima stagione prendo un altro…”. [sindacalista]
In queste condizioni i rischi di infortuni aumentano in modo esponenziale con il
grado di stanchezza e di stress accumulati e portano inevitabilmente a cali di attenzione e distrazioni, che sono i fattori maggiormente citati tra le cause degli incidenti sul
lavoro.
Lo stesso discorso vale ovviamente per la messa in sicurezza delle operazioni da
svolgere, che sono le prime ad essere cedute in cambio della possibilità di lavorare.
Quando la priorità assoluta è quella di portare a casa uno stipendio per sopravvivere o
mantenere la famiglia, è difficile che si abbia la forza contrattuale di rivendicare l’uso dei
DPI o ci si possa rifiutare di eseguire un compito percepito come pericoloso.
Per gli stranieri il rischio non è “solo” quello di perdere il lavoro una volta terminato il contratto, ma anche di vedersi negare il rinnovo del permesso di soggiorno.
“… ci sono i problemi per il contratto di lavoro, non puoi stare a casa, devi lavorare anche con
malattie e se prendi un colpo finisce il lavoro e finiscono i soldi. I soldi servono sempre e non puoi
non lavorare una, due o tre giornate. Bisogna sempre lavorare, sennò il padrone ti manda via e
senza lavoro uno non può stare per i documenti in Italia.”. [bracciante albanese, Imperia]
Con la legge Bossi-Fini, che ha legato il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, quasi sempre a termine e in scadenza dopo 3-6 mesi, i lavoratori immigrati si sono
ritrovati ad ottenere dalla questura permessi già scaduti e a dovere avviare le pratiche
per il rinnovo prima ancora di averli ricevuti. È difficile immaginare lo stress, l’ansia e le
preoccupazioni che un rapporto lavorativo del genere comporta e le sue conseguenze
pratiche: il lavoratore straniero tenderà a non disturbare, a sperare in un rinnovo sempre a termine, in perpetua scadenza.
Il lavoro nero e il caso di Albenga
In conseguenza delle sue caratteristiche tipiche - stagionalità e frammentazione del
territorio e delle aziende - il lavoro agricolo ha visto storicamente prevalere il ricorso
all’impiego di manodopera non in regola legata a giornate o a brevi periodi di lavoro.
Questo vale soprattutto per le piccole aziende a conduzione famigliare, sempre più in
crisi, che nel momento del bisogno chiamano qualcuno a dare una mano senza formalizzare il rapporto lavorativo.
79
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 80
“… io sto qui perché non ho altro per ora e sono in nero perché comunque cerco altri lavori
che con il verde tanti soldi non te li fai più, ti fai della fatica, ti spacchi la schiena e poi non è che
guadagni bene. Io aiuto i miei e, se si guadagnasse un po’ di più, continuerei anche con la piccola azienda dei miei, ma così non può tanto andare avanti…”. [giovane figlio di contadini].
A queste situazioni strutturali di lavoro informale e mal pagato, che si inseriscono
in contesti difficili ed economicamente asfittici - se ne aggiungono altre, più gravi e perverse, che sono favorite dalla carenza di controlli e dalla presenza massiccia di manodopera a disposizione e che quindi consentono di prendere personale in nero piuttosto
che assumere lavoratori stagionali.
“... guarda io te lo dico subito perché tanto poi ci arriviamo: c’è poco da fare, la floricoltura ha
dei tempi di raccolta che sono un po’ strani e si concentrano in certi periodi, quindi di gente in
nero sovente ne prendi ... […]. Te lo dico tranquillo visto che m’hai detto che è anonimo, capisci
... ma su certe cose dappertutto funziona così .... qui sai delle volte hai un carico di lavoro da smaltire in una settimana per mandare al mercato tutto prima delle feste eh ... ti fai aiutare da qualcuno in nero ... e quindi, tornando al discorso infortuni, come fai a denunciare l’infortunio se capita
a qualcuno di questi qui ... io glielo dico sempre, guarda che se ti fai male poi lo sai che non possiamo fare la denuncia INAIL e quindi stai attento sennò son problemi grossi …”. [contadino]
Il lavoro nero ovviamente riguarda tutti i lavoratori, ma non lo si può affrontare nel
suo complesso senza dedicare ampio spazio alle dinamiche che coinvolgono i lavoratori immigrati. Come accennato nel precedente paragrafo il legame tra il contratto di
lavoro e il permesso di soggiorno crea un vuoto tra la fine del contratto e l’inizio di un
altro, in cui il lavoratore avvia le pratiche per il rinnovo del permesso di soggiorno. In
questa situazione il datore di lavoro potrebbe rinnovare il contratto dietro presentazione della ricevuta per il rinnovo del permesso di soggiorno, ma per una questione di convenienza economica spesso preferisce mantenere il lavoratore in nero fino al completamento di tutta la pratica. Accade anche che molto più semplicemente preferisca assumere direttamente in nero, per non dover rendere conto a nessuno delle condizioni di
lavoro offerte.
Un caso esemplare per presentare il problema in modo inequivocabile è quello di
Albenga, dove pochi mesi fa è scoppiato il caso degli “schiavi marocchini impiegati
nelle serre”26. Si trattava (o si tratta ancora?) di un sistema di sfruttamento di immigrati
dal Marocco orchestrato da caporali connazionali alle dipendenze di imprenditori italiani. Grazie a una fitta rete parentale con ramificazioni in Italia e in Marocco, il reclutamento di braccia avveniva direttamente nel paese di origine con la promessa di un contratto e di un lavoro sicuro ad Albenga a fronte del pagamento di una somma di denaro che
andava dai 6 agli 8 mila euro ciascuno. Una volta giunti in Italia con il nulla osta per il
lavoro stagionale, questi lavoratori marocchini venivano sequestrati fino alla fine del
periodo di lavoro previsto dal contratto,
dopodichè erano lasciati “liberi” di diventare clandestini. Tale situazione si è riprodotta per anni e le stesse famiglie dei lavoratori facevano domanda per la stagione successiva: i lavoratori arrivavano numerosi, prestavano la loro opera e infine venivano scaricati come vuoti a perdere lungo le rive del Centa. Il rinnovo del contratto non era preso
26
Sette marocchini arrestati ad Albenga “ALBENGA (SAVONA), Sette ordini di custodia cautelare sono stati
eseguiti dalla squadra mobile di Savona nei confronti di altrettanti marocchini. Due dei sette, appartenenti ad
un’unica famiglia, sono già in carcere. I nordafricani sono accusati di favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina. È stato accertato che i marocchini, attivi nella zona di Albenga, con l’ausilio di alcuni
imprenditori agricoli compiacenti riuscivano ad ottenere numerosi nulla osta di lavoro stagionale.” ANSA 0807-09.
80
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 81
in alcuna considerazione, poiché avrebbe compromesso un sistema perfettamente funzionale che da un lato vedeva datori di lavoro senza scrupoli e dall’altro lavoratori muti,
senza diritti e possibilità di riscatto. Un bacino prezioso di lavoro nero a basso costo per
tutta la zona, che da dietro alle barricate per la sicurezza sociale minacciata dalla presenza degli immigrati, si è arricchita sulle loro spalle:
“… ci sono stranieri in regola con i documenti che non trovano lavoro, perché al datore di lavoro conviene prendere in nero perché poi tanto nelle serre è difficile il controllo, e non ce n’è molto
comunque … […]. Vent’anni fa non era così, la maggior parte della gente lavorava nell’agricoltura
ma non si vedeva tanto lusso, tanta ricchezza … adesso la maggior parte hanno le grosse macchine, si sono costruiti la villa sulla pelle degli altri …”. [sindacalista]
Per quanto riguarda la sicurezza, è facile immaginare l’attenzione posta da datori di
lavoro e da lavoratori in questa situazione.
“… non c’è interesse da parte dei datori di lavoro ad insistere sulla messa in sicurezza … basta
che lavorino, e se qualcuno si ammala viene mandato via. Li scaricano, li cacciano”. [sindacalista]
I dieci ragazzi marocchini che hanno avuto il coraggio di denunciare il loro stato di
sfruttamento facendo scoppiare il caso hanno ottenuto un permesso di soggiorno di
protezione sociale della durata di un anno che dovrebbe permette loro di trovarsi un
altro lavoro e di regolarizzarsi. Dopo questa prima ondata di denunce andate a buon
fine ne sono immediatamente seguite altre ed è stato così rotto il muro di omertà che
circondava l’esistenza stessa di persone senza diritti. La speranza è che le autorità continuino a collaborare in questa direzione e che sappiano dare a tutti i lavoratori imprigionati in questo sistema la possibilità di affrancamento senza subire la minaccia dell’espulsione.
Il caso di Albenga può essere considerato emblematico di una certa Liguria e in
generale di una certa Italia (dal nord-est al nord-ovest, dal Friuli a Lampedusa, da
Castelvolturno a certe zone della Puglia ecc). Di un paese, cioè, dove padroni e padroncini, con complicità diffuse in tutti i ranghi delle società locali, hanno potuto arricchirsi
non solo sulla pelle di tanti clandestini ma - nel disinteresse generale - sulla pelle di tutti.
In effetti da decenni, ad Albenga come altrove, non solo è risaputo che lavoratori vengono sfruttati “al nero”, ma altresì che nelle serre si usano sostanze nocive, come antiparassitari e fertilizzanti capaci di far ingrossare e maturare camion di fragole in una
notte, di zucchine con fiori giganteschi, di pomodori “scelti” ecc.
Cause e soluzioni per migliorare la sicurezza
Oltre alle forti criticità espresse in merito alla tipologia dei contratti, dalle interviste a
testimoni privilegiati (sindacalisti, ispettori del lavoro, operatori delle ASL, responsabili
della sicurezza) emerge come costante il riferimento alla necessità di una maggiore informazione, sempre percepita come carente, delle persone coinvolte nel lavoro agricolo.
Da una parte si riscontra una forte sottovalutazione del rischio da parte del datore
di lavoro, che a volte esegue in prima persona le operazioni non prestando attenzione
alle norme di sicurezza e non dando la giusta importanza all’uso dei DPI. In simili contesti difficilmente la valutazione del rischio viene fatta in maniera adeguata anche per
quanto riguarda il lavoratore, per cui viene a mancare qualsiasi stimolo a fare adottare
le misure di sicurezza.
81
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 82
“… un esempio. Le foglie ornamentali per renderle appetibili al mercato hanno bisogno di un
trattamento che viene fatto con dei prodotti altamente tossici. Normalmente viene fatto direttamente dal coltivatore diretto a mani nude, senza maschere e senza nulla. E anche lì pensare che
il coltivatore diretto spinga il suo aiutante o il suo lavoratore dipendente ad usare le precauzioni
…”. [sindacalista]
Dall’altra si lamenta la mancanza di una cultura della sicurezza da parte dei lavoratori, soprattutto tra coloro che hanno una certa anzianità lavorativa ma che sottostimano il rischio perché si basano solo sulla propria esperienza personale, non sempre virtuosa secondo i parametri della sicurezza, o tra gli stranieri, a cui vengono associate
anche le difficoltà legate alla comprensione della lingua.
“… bisogna insegnargli a fare prevenzione … che al massimo attaccano un foglio davanti alle
serre e la maggior parte di loro neanche sa leggere. Ci vorrebbe un intervento diretto, da parte
dell’INAIL, con persone specializzate che fanno vedere video di animazione sulla sicurezza …”.
[sindacalista]
Spesso capita che i lavoratori, pur tendendo a sottovalutare i rischi, ne siano consapevoli, ma che le esigenze del mercato impediscano loro di scegliere se eseguire o
meno un lavoro, come nel caso delle serre appena irrorate dove non si rispettano i
tempi di decantazione delle sostanze tossiche.
Una formazione capillare e duratura che controlli i risultati è sentita come priorità
da tutti, ma non è semplice renderla effettiva in condizioni di lavoro nelle quali la pressione, la fretta e la paura di perdere il lavoro regnano sovrane.
82
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 83
La ricerca in provincia di Savona
27
Interviste a testimoni privilegiati
Queste interviste hanno toccato un campione rappresentativo degli attori coinvolti
nella sicurezza nell’attività lavorativa: dirigenti medici della ASL 2 di Savona, tecnici
della prevenzione delle quattro aree geografiche previste dall’ASL (savonese, finalese,
albenganese e valbormidese), operatori del Comitato Paritetico Territoriale per la prevenzione, rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori sul territorio, responsabili per la
prevenzione e sicurezza di enti pubblici, operatrici patronato e dirigenti sindacali
responsabili dei settori d’indagine della ricerca.
Si tratta prevalentemente di persone in possesso di un quadro complessivo della
situazione relativa alla sicurezza del lavoro nella provincia di Savona.
Le interviste ai testimoni privilegiati ci hanno permesso di orientarci con più chiarezza nella somministrazione di questionari nei settori produttivi.
Questionari nei settori produttivi
Per i questionari sono stati ascoltati lavoratori dell’edilizia, del settore metalmeccanico, della sanità, del porto e del trasporto privato.
Il campione dei lavoratori edili è costituito da lavoratori di imprese di dimensioni
medie (anche con un centinaio di occupati) e piccole (con tre-quattro dipendenti).
Tutti gli intervistati dell’edilizia sono maschi, una ventina di nazionalità italiana e gli
altri provenienti da diversi paesi dell’Europa dell’Est (Albania, Romania, Bulgaria).
Sono stati intervistati lavoratori impegnati in tutti le varie mansioni dell’edilizia (autista, escavatorista, muratore, operaio generico, geometra, capocantiere). L’età degli
intervistati varia dai 18 ai 58 anni, quasi tutti sono in possesso della sola licenza media.
Il campione dei lavoratori metalmeccanici è costituito in prevalenza da dipendenti di imprese medio-grandi operanti nel settore della componentistica auto, della meccanica di precisione, dell’aeronautica, compresi alcuni lavoratori di ditte minori che
lavorano in subappalto, e da lavoratori di piccole imprese (officine, carrozzerie, impiantistica).
Tutti gli intervistati sono italiani, circa tre quarti sono maschi e un quarto femmine, dato che peraltro corrisponde alle percentuali nazionali relative al settore metalmeccanico.
L’età varia da 25 a 55 anni, la scolarizzazione è medio-alta, con prevalenza di persone in possesso di diploma di scuola secondaria superiore di carattere non tecnico
(liceo, istituto alberghiero, ecc.).
Il campione dei lavoratori dei trasporti è costituito in prevalenza da addetti a mansioni operaie nell’area portuale di Savona e Vado Ligure.
Alcuni hanno una competenza specifica sul tema come RLS.
Sono stati ascoltati anche lavoratori del trasporto privato (autotrenisti, autisti addetti al trasporto di sostanze pericolose e/o infiammabili).
27
Capitolo a cura di Andrea Macciò.
83
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 84
Gli intervistati sono maschi di nazionalità italiana, la scolarizzazione è in gebere
medio-bassa, con prevalenza di licenza media.
Nel settore della sanità e della funzione pubblica il campione è costituito da operatori della sanità pubblica, soprattutto infermieri e operatori socio-sanitari e socio-assistenziali delle cooperative sociali e della sanità privata (soprattutto nel settore dell’assistenza a persone con disabilità psichica).
Le persone intervistate sono in maggioranza donne, l’età è lievemente inferiore
rispetto agli altri settori e varia da 25 a 45 anni.
La scolarizzazione prevalente è la laurea in Scienze Infermieristiche o il diploma di
corso triennale per coloro che hanno più anzianità di servizio.
Gli operatori sociosanitari sono in possesso di Diploma di Scuola Secondaria
Superiore e, in genere, di titoli specifici come quello di educatore professionale.
I questionari sono stati somministrati in tutto il territorio provinciale: a Savona città,
a Vado Ligure, nel Ponente, in particolare nel comprensorio del Finalese, e in
Valbormida, in particolare nel comune di Cairo Montenotte.
Considerazioni generali
La percezione del rischio emersa dal campione è molto diversificata sia riguardo
alle cause che alle responsabilità degli infortuni e delle malattie professionali.
Come nelle altre province, esiste una distinzione netta nella percezione dei rischi e
della tutela fra i lavoratori raggiunti dalla 626 e inseriti in settori più sindacalizzati e tutti
gli altri: i lavoratori in nero e gli operai delle piccole aziende metalmeccaniche, dell’impiantistica, dell’edilizia e delle imprese di estrazione delle materie prime. Queste realtà
più piccole sono spesso formalmente “a posto” con gli adempimenti normativi, ma un
esame attento consente di mettere in luce che i DPI sono usati solo in occasione di controlli e ispezioni, che gli RLS sono sconosciuti o considerati figure formali nominate dai
datori di lavoro, che i POS (Piani operativi di sicurezza) e i documenti di valutazione dei
rischi sono standardizzati e frutto del “business della sicurezza”: tali documenti spesso
vengono venduti già pronti da parte di soggetti che non conoscono la realtà specifica
di un cantiere o di una fabbrica.
Nel settore sanitario la percezione è diversa: gli operatori, infatti, difficilmente associano la loro attività lavorativa al rischio d’infortunio, collegato soprattutto ai settori edile
e metalmeccanico, ma dichiarano come più diffuso il rischio del burnout.
Un dato generale riguarda la scarsità dei controlli da parte degli enti istituzionali
preposti a causa dell’esiguità del personale addetto alle ispezioni. Tale problema è percepito dagli stessi addetti della ASL, dai dirigenti sindacali e dalla maggioranza dei lavoratori intervistati.
La percezione dei rischi si può diversificare in tre macro aree:
a) Rischio di carattere sociale-sistemico, legato all’assetto socio-economico e all’organizzazione del lavoro
Una parte del campione correla il rischio al tipo di organizzazione del lavoro, che
definisce una corsa alla produttività e all’emulazione di un modello di crescita economica “cinese”.
Si tratta di motivi di carattere essenzialmente strutturale; l’aumento delle ore lavorative normali e straordinarie produce un calo fisiologico dell’attenzione che è percepito come il primo motivo della cosiddetta “distrazione”.
84
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 85
“Le richieste da parte dell’azienda di aumento della produttività e la tendenza ad aumentare
l’orario oltre le 48 ore settimanali, secondo me sono la principale causa dell’esposizione al rischio
di infortunio. Spesso la ditta per aumentare la produzione in certi settori mette a rischio il lavoratore”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
“Chi fa straordinario è più a rischio, l’attenzione e la stanchezza giocano dei ruoli molto importanti e non puoi essere lucido se fai turni di 10 o 12 ore ... c’è un legame fra straordinari, ore lavorate e rischio”. [operaia metalmeccanica, provincia di Savona]
En passant, se questi operai hanno ragione, le continue richieste di aumento delle
ore straordinarie non fanno presagire nulla di buono. Il potenziamento della produttività
determina infatti sia una velocizzazione dei ritmi di lavoro che un aumento delle ore trascorse al lavoro. I ritmi sono in molti casi imposti dal datore di lavoro o a volte da un
geometra capocantiere o ancora sono “autoinflitti” dal lavoratore stesso per la necessità di “fare la quarta settimana”, una strategia obbligata di sopravvivenza, nella quale
datori di lavoro, aziende e lavoratori sono di fatto “complici”.
“Lo stress può causare infortuni, è un conto se arrivi alle sei del mattino, fresco come una rosa
e te ne vai a mezzogiorno … un altro se fai il turno del mattino e ti richiamano per la notte, o se
attacchi pomeriggio e notte … è sbagliato come principio, egoisticamente tu guadagni di più …
l’azienda non assume … e tu ti becchi una microfetta di guadagno”. [operatore del porto, provincia di Savona]
Spesso è l’insicurezza del contratto di lavoro e la precarietà che rendono molti lavoratori di fatto consenzienti a questa situazione.
“Non avere la sicurezza di un contratto di lavoro è un fattore di rischio, carpentieri, ponteggi,
edilizia, sì certo … ma anche in spiaggia, ristoranti, cucine … siamo sempre lì, orari assurdi, la gente
lo deve fare perché a fine mese deve mangiare”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
Ma non è sempre solo la necessità che spinge alcuni lavoratori ad accettare ritmi e
condizioni massacranti: secondo alcuni testimoni non è da sottovalutare il modello consumistico intrinseco alla nostra società, che ha ormai annoverato tra i beni necessari
oggetti e servizi non indispensabili alla sopravvivenza.
“Spesso ci si mette ad iniziare lavori in condizioni psicofisiche non ottimali, per produrre e guadagnare di più”. [operatrice sanitaria, provincia di Savona]
“Abbiamo una vita troppo frenetica, troppo veloce, e non parlo solo del lavoro. È la nostra vita
moderna che è cosi: abbiamo bisogno di quattro macchine, quattro telefonini, computer e
quant’altro …”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
“Sono le condizioni di vita che ci portano a rischiare di più o di meno … alcuni lo fanno per
necessità, per mancanza di alternative, esiste però anche chi lo fa per comprarsi la moto più grossa… “. [operaio settore trasporti, provincia di Savona]
I testimoni che percepiscono maggiori disagi e conseguenti rischi per la salute
legati ai ritmi lavorativi sono i lavoratori del porto, particolarmente esposti al produttivismo sregolato per ragioni strutturali, quali la necessità di finire le navi o reggere la concorrenza dei paesi stranieri, e gli “artigiani” dell’edilizia che lavorano di fatto a cottimo.
85
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 86
Il legame tra rischio e ritmi di lavoro troppo incalzanti - presente in maniera significativa anche tra le donne addette a mansioni operaie nel settore metalmeccanico - è un
fattore di carattere strutturale che ha un impatto sociale a breve termine (rischio d’infortunio per stanchezza, esaurimento psico-fisico e “distrazione indotta”) e un impatto
personale a medio-lungo termine (maggiore esposizione a condizioni che possono provocare malattie professionali).
L’inversione del trend storico a favore di un aumento dell’orario rischia di determinare inoltre un abbassamento generale della qualità della vita e delle relazioni personali, con conseguenze umane e sociali pesanti, solo apparentemente lontane dai temi del
rischio connesso all’attività lavorativa.
b) Rischio legato prevalentemente alla mancanza d’informazione e alla scarsità di investimenti da parte dei datori di lavoro
Un numero rilevante di intervistati percepisce come principale fattore di rischio la
mancanza di formazione, la disinformazione, la sottovalutazione del rischio da parte dei
datori di lavoro e gli scarsi investimenti in sicurezza. Si tratta prevalentemente di lavoratori edili di imprese medio-piccole, spesso non raggiunti dall’applicazione della 626.
Dalle interviste di numerosi lavoratori regolari albanesi o rumeni che, nonostante le loro
difficoltà con l’italiano, erano stati inviati dall’azienda a fare le 8 ore di formazione previste di legge, si è potuto constatare che la “mancanza di formazione” è a monte della
conoscenza di norme tecniche.
Per lavoratori più anziani o con pregiudizi nei confronti di colleghi nuovi o appartenenti a categorie socialmente stigmatizzate (immigrati, giovani dal look deviante o
sospetti consumatori di sostanze stupefacenti ecc.) la mancanza di formazione è una
carenza grave dal punto di vista della cultura generale e si riflette immediatamente sulla
comprensione degli aspetti più tecnici dell’attività lavorativa. Da sempre i più anziani
tendono ad avere poca stima dei giovani e dei nuovi, ma in questo caso rischiano di
attribuire loro la “colpa” degli infortuni o addirittura delle malattie professionali poiché
ignorano o trascurano il fatto più rilevante: i giovani e i nuovi arrivati sono - consapevolmente o meno - impiegati come lavoratori a basso costo che devono dimostrare di
essere produttivi e quindi non possono perdere troppo tempo con la sicurezza (vedi
selezione risposte all’inizio del rapporto).
Un problema differente, sottolineato anche dal campione dei lavoratori delle aziende metalmeccaniche medio-grandi e sindacalizzate, è rappresentato dalla carenza di
formazione specifica su particolari lavorazioni o sull’uso di determinati macchinari. Alla
formazione generica sulla normativa sarebbe dunque necessario aggiungere quella che
di volta in volta affronta gli aspetti più tecnici del lavoro.
“A rischio sono quelli che entrano duri … li prendono … e vai lì a produrre”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
“Una delle cause degli infortuni è la mancanza di specifica formazione sulle singole lavorazioni, su come si usano i macchinari”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
“La mancata formazione. Succede che entri e pretendono subito, danno poco tempo all’apprendimento, uno non può minimamente imparare le norme per lavorare sicuro”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
86
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 87
Ecco quindi che sono appunto i “nuovi” e i “giovani” a essere costretti a fare da
“arieti della produttività” in contrapposizione ai più anziani e a scapito della sicurezza.
L’adempimento delle formalità di legge è ritenuto insufficiente a garantire ai lavoratori una corretta consapevolezza dei rischi che possono correre nello svolgimento delle
loro mansioni e i corsi sulla 626 sono considerati indubbiamente necessari, purché non
li limitino alla mera esortazione a usare i DPI.
Problemi più specifici sono emersi nel Ponente nelle aziende in via di smantellamento o di trasferimento a causa dell’obsolescenza di alcuni macchinari e della scarsità di investimenti in sicurezza e formazione.
c) Rischio legato alla “distrazione” e a fattori individuali
Il terzo profilo riguarda coloro che tendono a percepire il rischio come legato esclusivamente ai fattori individuali.
L’indagine qualitativa e la profondità delle interviste ci hanno permesso di discernere le due declinazioni della “distrazione”: quella legata all’usura psico-fisica per
eccesso di ore lavorate e una distrazione “elettiva” legata a condotte personali inappropriate, fra le quali si evidenziano l’abuso di alcolici nel settore edilizio e l’uso del telefonino durante l’orario di lavoro, segnalato da alcuni intervistati come una delle cause
principali di infortunio.
“Qualche anno fa si era soliti portare bottiglioni di vino, io quando me ne accorgevo li sequestravo. E questo era una causa di molti incidenti, specialmente subito dopo pranzo. Adesso meno,
perché in generale c’è più controllo. Una delle cause principali di distrazione oggi sono i telefonini, giochi, messaggi … Io sono contrario, secondo me sul lavoro non si dovrebbero tenere!”.
[capocantiere edile, provincia di Savona]
Questo tipo di risposta prevale tra i lavoratori edili con bassa scolarizzazione e in
alcuni testimoni del settore metalmeccanico. È necessario precisare che questi comportamenti ritenuti responsabili della “distrazione” sono in genere percepiti come una
negligenza individuale e non come un fatto culturale generale.
Un’altra questione sollevata da molti è quella della scomodità dei DPI, in quanto
considerati inadatti e un impedimento per il lavoro. Tale atteggiamento è diffuso soprattutto nell’edilizia.
“I mezzi di prevenzione sono spesso inadeguati, fastidiosi e a volte sono più scomodi del male
stesso, e molti operai non se li mettono per questo”. [operaio edile, provincia di Savona]
Percezione del rischio relativo alle malattie professionali
La percezione del rischio legato alle malattie professionali è pressoché assente nel
settore edile ed è per altro scarsa anche la consapevolezza del pericolo rappresentato
dalle sostanze nocive utilizzate e dalla problematica relativa alla movimentazione
manuale dei carichi.
Nel settore metalmeccanico si registra invece una maggiore sensibilità dei lavoratori rispetto a questo tipo di rischio. La responsabilità è attribuita da tutti gli intervistati
sensibili al problema al datore di lavoro, alla scarsa attitudine a investire in sistemi di
sicurezza e innovazione dei macchinari. Dalle interviste ai lavoratori e ai testimoni privilegiati è emerso con ricorrenza il problema delle nuove forme di danno alla salute dovute ai lavori ripetitivi da catena di montaggio, più rischiosi perché associati a un tendenziale aumento delle ore lavorate, ai nuovi disagi provocati dalle attività ripetitive caratterizzate da prolungata sedentarietà (in particolare i call center) e al lavoro svolto in
87
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 88
posizioni scomode e affaticanti per ore nelle imprese di montaggio e assemblaggio dei
pezzi. A questo si aggiungono tutte le problematiche legate alla movimentazione
manuale dei carichi.
La percezione delle malattie professionali si sta modificando e non si limita a considerare esclusivamente le patologie gravi, ma comprende tutti gli inconvenienti che
pregiudicano la salute, la qualità della vita e la capacità lavorativa.
Percezione delle persone maggiormente a rischio
La maggioranza dei testimoni interpellati considera come più esposti al rischio i
lavoratori in nero e quelli delle piccole imprese le cui condizioni di lavoro sono caratterizzate da una tutela che è meramente formale, quando non del tutto assente.
A proposito degli infortuni che avrebbero cause comportamentali, la sottovalutazione del rischio è, secondo i testimoni, un atteggiamento tipico del lavoratore con più
anzianità di servizio, sia perché l’abitudine a fare sempre lo stesso lavoro produce
un’eccessiva familiarità con macchinari e attrezzi, sia per un atteggiamento di “tipo
macho” in base al quale lavorare in condizioni rischiose o senza DPI sarebbe segno di
coraggio. È una risposta trasversale a tutti i settori, a parte quello della sanità, dove la
percentuale di donne è molto alta.
“È un fatto culturale, sta migliorando molto la situazione nei giovani, però non dico negli anziani, ma le persone che da qualche anno sono nel settore hanno una famigliarità col rischio che lo
fa apparire meno probabile di quello che invece è. Delle volte c’è un atteggiamento di spavalderia, sembra quasi che siano più uomini”. [tecnico ASL, provincia di Savona]
Nell’industria metalmeccanica, che è un altro settore non esclusivamente maschile,
la sottovalutazione del rischio è legata prevalentemente ad abitudini e automatismi; nell’edilizia e in parte nel lavoro portuale è più presente il secondo tipo di atteggiamento.
Per i più giovani il problema è soprattutto l’assenza di formazione specifica e il
rischio che corrono è associato dai testimoni più all’inadeguatezza degli investimenti
nella formazione da parte dei datori di lavoro che a comportamenti individuali. In ogni
caso i rischi di carattere strutturale e quelli di carattere comportamentale sono spesso
strettamente interconnessi.
Il lavoratore escluso da tutele non può rivolgersi all’RSU e, a causa della ricattabilità legata al permesso di soggiorno, difficilmente sarà interessato ad adottare comportamenti coscienziosi rispetto alla sicurezza.
In molti casi abbiamo riscontrato la percezione di una “complicità” nell’elusione
delle buone prassi della sicurezza fra datori di lavoro e lavoratori. Questi ultimi, tuttavia,
spesso sanno di “non avere scelta”; lo stesso vale anche per lavoratori italiani regolari
di imprese medie e grandi che sono consapevoli del loro limitato potere contrattuale e
del fatto che un eventuale rifiuto di eseguire operazioni a rischio potrebbe pregiudicare
il posto di lavoro.
Per ovvie ragioni non abbiamo realizzato interviste registrate con stranieri “in nero”,
bensì dei colloqui informali che ci permettono di pensare che la loro condizione è sicuramente la più grave e ricattabile: non possono infatti permettersi di rifiutare incarichi
con un ingaggio, spesso giornaliero od orario, che prevede tempi lavorativi anche molto
lunghi. Alcuni testimoni privilegiati hanno confermato che il legame tra lavoro e permesso di soggiorno fa diminuire il numero delle denunce d’infortunio e rende ancora più difficile l’emersione dell’economia sommersa.
88
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 89
Conoscenza di diritti, doveri e tutele
La conoscenza che i lavoratori hanno dei propri diritti e doveri e delle procedure da
adottare in caso di infortuni è molto lacunosa. La quasi totalità dei testimoni afferma di
conoscere meglio il codice della strada delle norme relative alla sicurezza sul lavoro.
La maggior parte dei testimoni dell’edilizia afferma di non conoscere affatto i propri diritti e doveri, altri sostengono di conoscerli, ma nel corso del colloquio si capisce
che hanno fornito una risposta socialmente desiderabile.
L’RLS è una figura praticamente sconosciuta, solo un paio di lavoratori affermano
di sapere che esiste e di essersi loro rivolti in caso di necessità. Quasi nessuno conosce l’INAIL in maniera precisa, molti lo confondono con l’INPS. In tutte le piccole imprese prive di sindacato interno la figura degli RLS è spesso una pura formalità.
“Quando sono in cava sono io il responsabile per la sicurezza, quindi ho dovuto fare un corso
sulla 626 e per completare un corso di primo soccorso. Quello che posso fare per la sicurezza si
limita ad avvertire chi deve venire in cava se ci sono dei pericoli e nel caso allontanarli”. [operaio
dell’edilizia-estrazione materie prime, provincia di Savona]
Una certa criticità relativa alla figura degli RLS esiste anche nel settore sanitario, a
causa della bassa percezione del rischio.
“Noi abbiamo purtroppo tentato di andare a procedure di elezione, ma chiaramente dovrebbero essere condivise con le altre organizzazioni sindacali. Avere un referente in ASL 2 … è un
ruolo impegnativo, delicato … non è che si trovano facilmente queste persone, così come organizzazione li ho nominati io”. [dirigente sindacale, provincia di Savona]
In edilizia e nella piccola impresa è diffusa la convinzione che l’ultima parola sull’infortunio spetti al datore di lavoro e ciò non necessariamente a causa di rapporti
basati sul ricatto o sull’intimidazione, quanto per ignoranza. Sebbene molti questionari
siano stati somministrati prima e durante corsi sulla 626, la ricettività dei testimoni alla
formazione è risultata scarsa per una carenza complessiva di cultura generale e, nei
lavoratori stranieri, una grave difficoltà con la lingua italiana. In genere la conoscenza
sulle procedure da adottare in caso di infortunio sono generiche e spesso si limita alla
buona volontà di aiutare il collega o a chiamare l’ambulanza.
Incrociando i questionari con le interviste a testimoni privilegiati, possiamo affermare che nei cantieri raramente ci sono lavoratori con un background specifico al proposito (solo uno è risultato essere formato come soccorritore) e che la tendenza generale
è rivolgersi al datore di lavoro.
Nel settore portuale, del quale abbiamo meno informazioni, ma di qualità superiore, la conoscenza è buona, ma spesso i lavoratori sono costretti a trascurare i propri
diritti per rispettare tempi e consegne.
La stessa situazione critica accertata nell’edilizia è riscontrabile nell’industria metalmeccanica, in tutte le imprese di impiantistica caratterizzate da cantieri mobili e nella
micro-impresa. Le informazioni in merito ci sono pervenute soprattutto dalle interviste
a testimoni privilegiati.
Nelle imprese medie e grandi le procedure previste in caso di infortunio sono generalmente garantite dalla presenza di medici aziendali, infermieri e squadre di soccorritori appositamente preparati. I lavoratori hanno seguito il corso sulla 626 e quindi sono
consapevoli delle misure da adottare in caso di infortunio. Dubbi e incertezze sono tut-
89
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 90
tavia emersi circa le informazioni sulla pericolosità di talune sostanze chimiche utilizzate: la parte critica in questo settore, altrimenti più sicuro, è quindi legata alla corretta
percezione del rischio legato alle malattie professionali.
L’evoluzione della situazione relativa al rischio d’infortunio e malattia professionale
La percezione degli infortuni è strettamente legata alla loro rappresentazione
mediatica.
Abbiamo dedicato una cura particolare a verificare eventuali divergenze tra il livello percettivo e quello statistico. La maggior parte dei testimoni non rileva particolari
cambiamenti della situazione, sia nel proprio luogo di lavoro che in generale.
“Secondo me la situazione è sempre la stessa, non migliorata né peggiorata. Infatti si sentiva
e si sente sempre parlare di morti sul lavoro”. [operaio dell’edilizia, provincia di Savona]
Fra i testimoni del settore metalmeccanico emerge tuttavia la percezione di essere
esposti a un rischio più elevato a causa della velocizzazione dei ritmi di lavoro e della
richiesta da parte padronale di aumentare la produttività. La maggioranza dei lavoratori intervistati in un’impresa in procinto di cambiare sede ha detto di percepire chiaramente un calo abbastanza netto degli investimenti sulla sicurezza. Su alcuni aspetti
specifici molti testimoni segnalano i rischi legati a un clima di generale peggioramento
delle condizioni di lavoro, dovuto all’aumento delle ore di lavoro.
Nell’edilizia non si riscontrano modifiche né nella percezione generale, nè nelle condizioni lavorative. L’uso dei DPI è ancora piuttosto raro, come si può osservare nella
maggior parte dei cantieri aperti. I testimoni privilegiati segnalano una crescita dell’“artigianato” rispetto al lavoro nero tradizionale, una situazione nella quale “lavoratori autonomi” prestano la propria opera praticamente a cottimo e sono esposti a un rischio
pressoché identico a prima.
La percezione di un cambiamento della situazione è influenzata quasi sempre dalla
rappresentazione mediatica. Chi sostiene che si è verificato un peggioramento, si tratta di casi abbastanza isolati, non fa riferimento alla realtà del proprio luogo di lavoro, ma
a quanto si sente nel discorso di giornali e televisione “Non lo so se è peggiorata o
migliorata … ma so che se ne parla di più” è la risposta tipica in questi casi.
Una parte dei testimoni sentiti percepisce invece un miglioramento nel proprio
luogo di lavoro. Si tratta di lavoratori metalmeccanici di alcune imprese sindacalizzate
del Savonese e in Valbormida, che constatano un miglioramento complessivo dell’attenzione dell’azienda verso la sicurezza, dovuto anche a un certo impegno del sindacato e delle RSU su questo tema. Sanno bene che la loro è una situazione di “privilegio”
rispetto ai lavoratori delle piccole e medie imprese, e delle economie sommerse.
“Nella mia azienda è migliorata la situazione, da alcuni anni si è fatta esperienza degli errori. A
livello generale, da quello che sento è peggiorata, molta gente accetta per la situazione che ha a
livello economico, di fare più ore in nero, sottopagata”. [operaia metalmeccanica, provincia di
Savona]
In generale è diffuso, comunque, il senso di impotenza di fronte al problema. La
necessità economica, i costi della vita sempre maggiori mettono il lavoratore, anche
regolare, di fronte all’assenza di alternative.
90
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 91
“Il datore di lavoro ti dice sempre e solo ‘se così non ti va bene, te ne puoi andare’. Ma quando uno è costretto, non può fare diversamente”. [operaio metalmeccanico, Savona]
“Bisognerebbe avere la forza di dire ‘No, questo non lo faccio perché mi faccio male’, ma chi
ha la forza di dire no? Siamo pur sempre dipendenti. Chi è che ti protegge? Almeno è vero, ho un
posto di lavoro fisso, ma se devo tenere questo posto … spesso bisogna chiudere un occhio, non
sempre il sindacato può essere lì, sarebbe troppo bello.” [operaio metalmeccanico, provincia di
Savona)
La necessità economica, la ricattabilità e la contabilità quotidiana degli incidenti
offerta dai media contribuiscono a creare un senso di profonda impotenza.
Le azioni da intraprendere per migliorare la sicurezza sul lavoro
Questo quesito si è contraddistinto per la grande diversificazione e sovrapposizione delle risposte. È stato possibile individuare quattro tipi di risposta talora sovrapposti: chi chiede più controlli, chi una maggiore formazione e la creazione di una vera cultura della sicurezza, chi di ridurre ritmi e orari di lavoro e infine chi chiede l’applicazione effettiva di pene, multe e sanzioni.
Il tipo di risposta prevalente è il secondo, anche se il tema della mancata formazione non resta isolato, ma viene spesso messo in relazione con i ritmi imposti dall’aumento della produttività.
Questa percezione è diffusa soprattutto fra i lavoratori del settore metalmeccanico,
che lamentano appunto una formazione tecnica insufficiente su come si effettuano le
specifiche lavorazioni.
“Informare il personale dei pericoli che possono trovare nelle varie lavorazioni. I nuovi assunti
devono essere affiancati da personale qualificato e non buttati allo sbaraglio”. [operaio metalmeccanico, Savona]
Alla formazione tecnica deve affiancarsi la creazione di una cultura della sicurezza diffusa, a
partire dalla scuola.
“Bisogna che un giovane che esce dalle scuole abbia già un’idea del mondo del lavoro”. [dirigente sindacale, Savona]
“Bisogna iniziare a costruire una cultura della sicurezza a partire dalle scuole.”
[operaia metalmeccanica, Savona]
“I lavoratori lavorano come hanno sempre lavorato, è un po’ la loro mentalità: a loro è successo, a me non succederà mai … Quella mentalità lì. Bisogna cominciare un po’ prima, creare già da
ragazzi una mentalità diversa. Cominciare dalle scuole”. [tecnico ASL]
Sono parole che si sentono spesso anche a proposito della prevenzione in altri
ambiti, come per gli incidenti stradali o le malattie gravi.
Piuttosto diffusa è anche la richiesta di più controlli direttamente sui posti di lavoro
e di un aumento del personale degli ispettorati.
91
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 92
“I controlli sono insufficienti, i dipendenti dell’ispettorato del lavoro nella nostra provincia
saranno sì e no tre … tre ispettori del lavoro in una provincia come Savona, come fanno a fare
tutto. È una cosa assurda! Bisogna andare a revisionare, ad ampliare una provincia come Savona,
per quanto piccola, deve avere un numero adeguato di persone all’ispettorato del lavoro che possono durante l’attività lavorativa girare per le fabbriche e per i cantieri … se manca questo, manca
già una buona parte del discorso”. [dirigente sindacale, provincia di Savona]
“Ci vuole un aumento di controlli, più fondi per le persone che controllano in giro per i cantieri, ci deve essere la percezione che lo Stato e gli enti locali sono presenti, devono creare il senso
civico”. [ RLS, provincia di Savona]
Fra i lavoratori questa opinione è diffusa soprattutto nell’edilizia, dove il problema
della carenza di controlli è più sentito.
“Bisogna fare più controlli, girare per i cantieri”. [operaio dell’edilizia, Savona)
Molti lavoratori soprattutto del settore metalmeccanico vorrebbero avere più voce
in capitolo nella determinazione dei loro tempi di lavoro e chiedono di non legare tutto
alla produttività, di non continuare a prolungare l’orario di lavoro oltre i limiti attuali per
evitare i rischi dovuti al calo fisiologico dell’attenzione e un peggioramento complessivo della qualità della vita.
Queste richieste non si levano fra i lavoratori dell’edilizia che sono particolarmente
segnati dai ritmi imposti dalla produttività e spesso condizionati dalla forzata complicità
con il datore di lavoro nella violazione delle norme.
Il quarto tipo di risposta lega la richiesta di sicurezza all’applicazione effettiva delle
sanzioni. È un approccio caratterizzato da pessimismo “antropologico”. Fra i testimoni
privilegiati in particolare è diffusa la consapevolezza che per un’impresa anche media
la sanzione monetaria è spesso un rischio calcolato e che molti accettano di monetizzare la sicurezza perché trovano il modo di rivalersi su altri.
“È chiaro che ti fa impressione se vedi una sanzione di quattromila euro in una casa in costruzione, ma questi se la dividono tra gli appartamenti che devono vendere, all’inizio pensavo anch’io,
guarda ... quattromila euro ... ma ora penso: cosa vuoi che gli facciano queste sanzioni?”. [operatore ASL]
Molti intervistati auspicano un segnale culturalmente forte, come il fermo e la chiusura temporanea dell’impresa. La creazione di una vera “cultura della sicurezza” passerebbe secondo alcuni
per la costruzione di una giusta riprovazione sociale nei confronti di coloro che violano le norme
anti-infortunistiche.
“La sicurezza deve diventare un fatto culturale, deve esserci la percezione del dolo nel violare
le leggi, come c’è per il rapinatore in banca. E invece le reazioni sono state: cinque anni a un
imprenditore? Scherziamo …”. [operaio metalmeccanico, provincia di Savona]
La richiesta che i lavoratori esprimono di rigore nell’applicazione delle sanzioni non
riguarda esclusivamente i datori di lavoro ma anche i dipendenti che non rispettano le
norme e le procedure in materia anti-infortunistica.
92
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 93
La sicurezza sul lavoro nei media liguri
28
Questa parte della ricerca riguarda la rappresentazione prodotta dai mezzi di comunicazione locali e regionali dell’insicurezza sul lavoro, delle cosiddette morti bianche,
degli infortuni e delle malattie professionali.
L’analisi è stata condotta su diverse testate giornalistiche televisive, radiofoniche e
della carta stampata nelle loro edizioni liguri. In particolare: Radio Babboleo News,
Radio Nostalgia, Telegenova, Primocanale, Telenord, TGR Liguria, la Repubblica ed. di
Genova, Il Secolo XIX, La Stampa ed. Liguria.
Il lavoro sul campo è consistito in alcuni incontri-colloqui e interviste, in qualche
caso solo telefonici, con diversi redattori e caporedattori; le conversazioni si sono svolte liberamente senza una griglia strutturata da rispettare. Le domande guida erano le
seguenti:
1. Che visione pensa di dare al pubblico del fenomeno?
2. Pensa di rappresentare sempre la realtà dei fatti?
3. Cosa dovrebbe fare l’informazione, i media che ruolo dovrebbero avere?
4. Il modo in cui la sua redazione ha di trattare l’argomento è cambiato nel tempo?
5. Che spazio ha?
6. Ci sono ostacoli, ostruzionismo o pressioni su tale genere di informazione?
7. Quali sono le fonti usate e quali gli attori coinvolti?
8. Quali sono le differenze fra l’informazione locale e quella nazionale?
Il processo di costruzione della rappresentazione
Il primo elemento che incide sul processo di costruzione della rappresentazione
mediatica del fenomeno è la “notiziabilità”. Essa corrisponde all’insieme di criteri, operazioni e strumenti con cui gli apparati d’informazione affrontano il compito di scegliere fra un gran numero di “occorrenze” una quantità finita e tendenzialmente stabile di
notizie. A questo processo partecipano le fonti d’informazione che hanno interesse ad
appropriarsi di uno spazio mediatico e a promuovere la trasformazione di un’occorrenza in notizia per pubblicizzare la propria attività29.
È il peso di queste fonti, le relazioni fra esse e il media stesso a far prevalere un
avvenimento sugli altri, a selezionare ciò che diventa notizia. Si ha una rappresentazione quando il fatto viene recepito e interpretato dall’opinione pubblica come una conferma dei modelli sociali e culturali correnti in base agli stereotipi relativi a quel mondo e
a quell’ambiente.
Siamo in presenza di un “fattoide”, che consiste nel proporre al pubblico un fatto
costruito dal media con elementi di realtà ma i cui tagli, montaggio, tipo di scrittura utilizzato, titolo e tono non lo fanno corrispondere al vero. Per dirla con Altheide, il procedimento giornalistico decontestualizza ogni avvenimento, ovvero lo rimuove dal suo
contesto per poi ricontestualizzarlo in modo diverso. In generale, si può affermare che
una notizia si forma sulla base di frames (cornici) già costruiti e conosciuti nella società;
28
Capitolo a cura di C. Dani.
29
Marcello Maneri, La produzione della notizia, in M. Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione,
Laterza, 2006.
93
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 94
tendenzialmente si tende a dare più credito alle notizie che confermano i pregiudizi esistenti.
È necessario aggiungere che nel caso italiano il giornalismo presenta due costanti
che si possono ravvisare nella disponibilità ad accettare l’intervento costante della politica su qualsiasi questione e nel ruolo soprattutto legato alla socializzazione e all’intrattenimento30.
L’ibridazione tra informazione e intrattenimento, quel processo che è stato definito
infotaiment31, è una caratteristica centrale anche della rappresentazione del tema della
sicurezza sul lavoro.
Il lavoro del giornalista è determinato da una continua serie di scelte a cui partecipano elementi quali gli interessi politici, la cultura del giornalista, il caso, le esigenze tecniche e le necessità grafiche.
L’informazione sul tema della sicurezza sul lavoro sembra avere comportamenti
analoghi, riproducendo schemi ben conosciuti e radicati nell’immaginario sociale, ai
quali si aggiunge la cosiddetta “ondata mediatica”: questo fenomeno vede tutti i media
trattare ripetutamente e a gran voce uno stesso evento che nella fase iniziale viene ritenuto eclatante, ma che successivamente sparisce per ripresentarsi in occasione dell’allarme successivo.
Sono i media stessi che costruiscono socialmente l’ondata mediatica, occupandosi per ragioni di mercato del frame dominante in quel momento e tematizzando ogni
avvenimento all’interno del frame stesso.
In questo modo si confezionano emergenze, quali la criminalità dei rom o degli
immigrati, l’invasione dei clandestini, il bullismo, i raptus dei cani aggressivi contro adulti e bambini, il maltempo o il caldo.
La caratteristica principale di queste ondate è l’attenzione spasmodica a ogni evento correlato al frame emergenziale dominante: la più comune delle risse fra ragazzini verrà
conseguentemente tematizzata nel frame del bullismo. Usando il gergo riferito dai giornalisti stessi nelle interviste, si parla di “meccanismo dell’informazione”, di “scia degli altri
media”, di “impennate periodiche”. Questa terminologia sottolinea come non si tratti di
informazione che porta l’opinione pubblica a conoscenza di fatti o notizie, ma sostanzialmente di infotaiment, che mira ad arricchire la cosiddetta agenda pubblica e a pubblicare ciò che “vende”, ciò che è di moda e che già si conosce. Se ne parla per un determinato periodo e poi si dimentica. Gli intervistati lo ammettono, pur aggiungendo che i mezzi
di comunicazione potrebbero occuparsene maggiormente e in modo più adeguato.
“Per struttura e logica dei media, la trattazione dell’argomento va ad ondate, legata alla cronaca … segue la ciclicità tragica degli eventi. La cronaca di questo ultimo anno e mezzo ha costretto a farlo diventare argomento quotidiano … Ci vuole il morto per parlarne …”. [giornalista, Il
Secolo XIX]
“… si è portati a seguire l’onda della cronaca …”. [giornalista, Telenord]
“... rimane il fatto che lo spazio che l’informazione concede è quello, e quindi limitato per quel
fenomeno …”. [giornalista, Radio Nostalgia]
“Dopo la Thyssen non è cambiato nulla, sono impennate purtroppo periodiche, queste tematiche seguono ciclicamente un’onda, c’è un momento di massima attenzione che coincide col
30
31
M. Loporcaro, Cattive notizie, Feltrinelli, 2005.
G. Grignaffini, I generi televisivi, Carocci, 2004.
94
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 95
grosso infortunio a cui segue una coda, se succedono altri fatti, che “rafforzano” l’argomento.”
[giornalista, La Repubblica]
“Lo abbiamo fatto e lo facciamo correttamente con dei limiti… quello che manca è un lavoro
più continuo, attento, capace di andare in profondità che va avanti oltre il momento della cronaca
che ti prende per le orecchie e ti dice c’è il morto ….
L’attenzione dovrebbe essere più continua, i media hanno un ruolo importante di insidiare il
dubbio …”. [giornalista, TGR]
La forma
La forma/struttura utilizzata nel trattare l’argomento non sembra differenziarsi per
tipo di mezzo di comunicazione. La terminologia è quella stereotipata della cronaca in
generale. Si mettono in evidenza i titoli che utilizzano termini cinematografici, di guerra,
spesso metafore, in modo da risultare sensazionalistici, da colpire chi li legge o ascolta. Questo tipo di cronaca è caratterizzata da titoli di tipo dialogico, diretti con “violenza” a chi legge, spesso sono citazioni di chi è coinvolto:
“Quel bancale non era a norma” 15/4/2007, “Indagato il caposquadra Culmv ‘sulla nave non
ci fu prevenzione’” 2/3/2008, “Fabrizio, no ai funerali pubblici” 4/3/2008 (titoli tratti da La
Repubblica edizione di Genova);
“Fratelli uccisi dal cemento” 24/10/2007, La Stampa ed. Imperia;
“morte di un portuale. Genova si ferma.” 14/04/2007, Il Secolo XIX (per altri esempi si veda
l’appendice).
“È ben diverso annunciare una notizia con ancora un morto nei cantieri … gli hanno trovato in
tasca la foto della figlia …”. [giornalista, TGR]
Si utilizzano le parole dei protagonisti del fatto, dei parenti, degli amici della vittima
e ancora vengono citati i personaggi di “spicco” locali che danno la loro opinione sul
fatto.
“C’è una differenza sostanziale, per il sindacalista è il suo terreno di lavoro, può dare degli elementi in più, il politico, il religioso … li metto perché sono autorità, hanno un ruolo … Il congiunto
è questione di professionalità … si cerca chi possa darci degli elementi in più”. [giornalista, TGR]
I limiti del giornalismo su questo argomento si evidenziano nella disponibilità con
cui vengono raccolte dichiarazioni ed esternazioni di attori sociali e politici che vogliono rendere pubbliche le proprie posizioni, nell’accanimento con cui sono esibiti i sentimenti privati dei familiari delle vittime e nell’enumerazione rituale delle affermazioni di
pubblico cordoglio. A questi limiti si aggiunge la mancanza di un effettivo approfondimento sull’accaduto, sulle reali cause della tragedia, sul contesto in cui è maturata.
In realtà i servizi televisivi sulle stragi sul lavoro, centrati sulla disperazione di familiari e amici delle vittime, hanno toni identici a quelli utilizzati per riferire di incidenti mortali allo stadio o sulla strada. È infatti più vendibile la lacrima del congiunto di un’analisi approfondita delle condizioni e delle cause che hanno determinato la morte di un
lavoratore. Questi espedienti, che non aggiungono nulla alla notizia, sembrano essere
utilizzati per creare empatia con il pubblico. Nello stesso modo funzionano le immagini
e i filmati che accompagnano i testi:
95
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 96
“... l’immagine e il filmato vincono su tutto …”. [giornalista, Primocanale]
Secondo alcuni autori, in televisione i concetti spariscono perché la parola è stata
sostituita dall’immagine. Nell’universo collettivo un’immagine non può mentire proprio
in quanto immagine: una fotografia o un filmato vengono scattati, ripresi e quindi esistono senza ombra di dubbio. Ma la televisione può mentire e falsare la verità come
qualsiasi altro mezzo di comunicazione32. Nei telegiornali la credibilità è garantita dalla
visione stessa e il servizio o filmato assume verità-autorità grazie all’immagine (si pensi
alla famosa frase “l’ha detto la televisione” come una sorta di sigillo della verità indiscutibile!).
Nelle testate cartacee va segnalata la differenza fra l’articolo corredato di foto che
occupa due pagine e il minuscolo trafiletto. A stabilire la dignità della notizia è la località dove è avvenuto il fatto, il bacino di vendita e la contemporaneità con altri accadimenti: di conseguenza ogni informazione è subordinata alle altre e tutte insieme ubbidiscono all’imperativo dettato dalla vendita.
La dimensione locale
Trattandosi di un’analisi dei media locali, dalle interviste emerge che l’informazione
a livello provinciale, regionale e cittadino è percepita come cronaca dell’ultimo fatto
accaduto nel bacino di vendita.
“… sostanzialmente si segue l’onda ma ciò che riguarda la Liguria ha la precedenza”.
[redazione di Radio Babboleo News]
Redazioni locali e redazioni nazionali giudicheranno e tratteranno uno stesso evento in modo inevitabilmente diverso. I media riportano non solo “storie” ma anche una
serie di informazioni che hanno la capacità di collegare i cittadini al loro paese, alla loro
città e regione; questo è fra i compiti che si prefigge la testate locale.
Durante le interviste, a proposito della funzione che il giornalismo dovrebbe svolgere rispetto alla sicurezza sul lavoro, la dimensione locale sembra giustificare l’impossibilità di trattare l’argomento con l’impegno e la continuità del giornalismo d’inchiesta.
“Io intravedo un limite che è legato anche alla nostra organizzazione e ai nostri numeri … Non
è una questione di sensibilità scarsa ma di risorse … Il numero di persone è tale che si possa andare dietro solo alle cose di giornata …”. [giornalista, TGR]
“Il giornalismo d’inchiesta non è fattibile in un giornale locale”. [giornalista, Corriere Mercantile]
Ostacoli e ostruzionismo
Nelle interviste ho chiesto se si verificano situazioni difficili nel pubblicare informazioni che potrebbero nuocere a qualcuno. Gli intervistati parlano invece della difficoltà
di interagire nell’immediatezza del fatto perché non si riesce ad avere risposte immediate dai protagonisti (qualcuno che non parla o chi confeziona le risposte). Il fatto di
cronaca va pubblicato immediatamente e la coda che ne segue è principalmente di
commento.
Nella situazione ligure, in particolare, emerge come protagonista il Porto:
32
G. Sartori, Homo videns, Laterza, 2004.
96
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 97
“... in ambito portuale è molto difficile muoversi, non si può mai accedere al luogo”. [giornalista, Il Corriere Mercantile]
“… ho il morto in casa … meglio parlare e far vedere la mia versione … è un’occasione che il
giornalista deve saper sfruttare per comprendere una delle possibili verità … il sindacato si è organizzato con i suoi uffici stampa …”. [giornalista, Il Secolo XIX]
Situazione differente si presenta nei cantieri edili che sono facilmente raggiungibili, spesso il
datore di lavoro è già pronto a parlare con la sua versione dei fatti “pre-confezionata”, in altri casi
si fa negare.
“... inizialmente nessuno parla”. [giornalista, Radio Nostalgia]
“... ostruzionismo che nel primo momento è rappresentato dal fatto che si tratti di un’area isolata … a volte ci sono reticenze da parte dei datori di lavoro, il primo contatto è con i colleghi di
lavoro”. [giornalista, Telegenova]
“l’atteggiamento dei colleghi dipende dalla tragedia ed è molto soggettivo…c’è chi ti fa il caffè
e racconta e chi ti caccia via …”. [giornalista, Il Corriere Mercantile]
Le malattie professionali
Le malattie professionali non rientrano nella cronaca a meno che non si concluda
un processo per il riconoscimento di esse. Per i media il problema della sicurezza sul
lavoro sembra significare solo infortuni gravi soprattutto con morti e non malattie professionali. Infatti se non specificatamente chiesto non viene citato il fenomeno forse
perché come afferma un giornalista del TGR:
“O il processo o il caso umano … per due o tre giorni se ne parla … Non riesco a trovare particolari colpe o particolari meriti, non c’è alcuna sottovalutazione comunque, credo … Quando c’è
un avvenimento di questo tipo cerchiamo di dargli un seguito più o meno ragionato”.
La malattia professionale, per sua natura esclusa dall’emergenza immediata perché
si manifesta in un periodo più lungo, non è considerata notiziabile, se non in casi eccezionali. In realtà, essendo legata spesso all’assorbimento di sostanze tossiche e nocive
che spesso costituiscono un rischio per tutta la cittadinanza, ancor più dell’infortunio è
un tema che riguarda tutta la società. Siamo quindi di fronte al paradosso che un fatto
di tale enorme importanza (si pensi al tasso di tumori e altre malattie collegabili all’inquinamento, ai rifiuti tossici, alla produzione e al consumo di prodotti malsani) viene
occultato apparentemente per il banale meccanismo della produzione e del mercato dei
media. Nei fatti, questo è uno degli aspetti che mette a nudo l’assenza di consapevolezza e di responsabilità rispetto alla portata sociale e quindi squisitamente politica degli
infortuni e delle malattie che non a caso corrispondono a un’economia a volte succube
dell’ossessione per la massimizzazione dei profitti piuttosto che orientata a favore di un
futuro migliore.
Nell’ottica del sensazionalismo e dell’emergenza, è quindi logico che la malattia
cosiddetta professionale non possa essere un fatto eclatante (anche per le modalità in
cui agisce) o comunque non possa essere trattata come tale dai media. Il fatto che i
mezzi di comunicazione ignorino quasi completamente l’argomento rinforza la cornice
sociale per cui le malattie non possono essere concepite come professionali.
97
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 98
Tipi di rappresentazione
Il primo punto da evidenziare è il rischio di produrre assuefazione ed “anestetizzazione” del pubblico che tende ad abituarsi alla contabilità giornaliera delle morti sul
lavoro, analogamente a quanto è avvenuto per la percezione delle notizie di guerra (o di
altri mali). In altri termini, così si rischia di favorire la “banalizzazione” del male (o anche
la relativizzazione ... per esempio, quando surrettiziamente si lascia intravedere una
sorta di declassamento degli incidenti sul lavoro rispetto ai morti per incidenti stradali o
ai morti per cancro ...). Si ricordi: dal panico del 1991 nell’imminenza del conflitto del
Golfo si è passati alla sostanziale indifferenza, negli scorsi anni, verso il quotidiano susseguirsi di vittime del conflitto iracheno.
Analogamente, l’abitudine a questo tipo di notizie ha una doppia valenza: da un lato
può contribuire a far emergere i problemi, pur con modalità stilistiche discutibili; dall’altro può provocare un pericoloso fatalismo, per cui la situazione presente sarebbe in
qualche modo “ fisiologica”.
“... è normale che si produca assuefazione a queste notizie”. [giornalista, Primocanale]
Si è passati dalla denuncia di chi sosteneva che fosse un argomento sdegnato dai
media ad un argomento sempre sulle prime pagine fino all’esaurimento dello stesso a
trafiletti o brevi citazioni nei telegiornali senza servizio annesso.
Caratteristica preminente è l’empatia, il media vuole rappresentare soprattutto “l’umano” della vittima. I protagonisti della notizia sono rappresentati sempre e inevitabilmente, come vittime che non possono uscire dal loro stato, vittime rimarranno. Questo
tipo di notizie non sembra prevedere o suggerire una soluzione al problema, anzi sottolinea e interiorizza nel pubblico ancora maggiormente l’idea di uno status quo che non
si può cambiare, va accettato per quello che è e basta.
“... l’assuefazione è portata dalla straordinaria massa di informazioni che arrivano … alla fine è
la capacità professionale di chi fa … saper fare un attacco (di una notizia annunciata al tg) è importante e l’attacco giusto che distrae chi sta facendo altro mentre ascolta il tg, anche solo per un
attimo, beh questo per me è già partita vinta…”. [giornalista, TGR]
Una volta raccolte le fonti - quelle classiche della cronaca (il 118, le forze dell’ordine,
gli ospedali, i sindacati, l’Inail, l’Asl, …) è l’intervento personale, rappresentato soprattutto dal contatto ricercato col media, dai sindacati stessi, dalle autorità coinvolte, dalla
famiglia della vittima, a ricercare e ottenere lo spazio mediatico nel quale poter affermare la propria posizione. Non a caso, il periodo pre-elettorale è stato caratterizzato da
un’attenzione quasi esasperata al tema oggi assente, anche in presenza di fatti molto
gravi. La stessa candidatura di persone vittime di infortuni ha anche rischiato di trasformare il problema sociale e politico dell’insicurezza sul lavoro in querelle elettorale.
Pubblicata la notizia e sentito chi ha voluto dire la sua sull’argomento è importante
capire che cosa di tutto ciò arriva al lettore:
“L’opinione pubblica, e forse parte della politica ha riscoperto la presenza delle fabbriche e
degli operai, forse perché ci sono stati sette morti alla Thyssen Krupp… ha scoperto che sono i
trentenni che incontra per strada… gente normale…”. [giornalista, Il Secolo XIX]
98
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 99
Come già affermato, l’analisi delle cause del problema non è quasi mai proposta o
rappresentata, quello che “viene messo in scena” è una spettacolarizzazione del fatto
(tipica del giornalismo degli ultimi tempi in genere). Il pubblico non è certo portato ad
avere più interesse a chiedere qualcosa in più e differente. Il tema ha quindi subito una
sovraesposizione mediatica il cui risultato sembra essere l’assuefazione. La scia mediatica sembra produrre niente di nuovo; si ha la percezione dell’ennesima tragedia che
oramai è “normale” sia pubblicata. Spesso le situazioni si ripetono, l’incidente avvenuto in Sicilia è analogo a quello avvenuto a Molfetta a dicembre, non sembra che ci sia
una particolare presa di coscienza dei rischi né da parte di aziende e datori di lavoro,
né dei singoli lavoratori. La tematizzazione, il canovaccio, lo schema e lo stile narrativo,
la retorica restano pronti e a ogni nuovo infortunio grave sono spontaneamente ripresi
non tanto perché il giornalista non ha voglia di lavorare e di innovare, ma perché la produzione mediatica impone di non pensare, di lavorare meno perché c’è poco personale e un redattore deve fare tante altre cose, non si possono spendere troppi soldi per
inchieste e reportage seri.
I giornalisti sottolineano che il fattore fondamentale per la funzione sociale che svolgono i media dovrebbe essere quello di mantenere l’informazione e la pubblicazione
costante al di là della scia mediatica. Sostanzialmente continuare a scriverne anche nei
periodi in cui non sembra essere l’argomento “di moda”. Come emerge dalle citazioni
che seguiranno, gli addetti al lavoro, affermano con le loro stesse parole che, per motivi validi o meno, l’argomento non è trattato nel modo giusto, o meglio il risultato che ne
deriva – la rappresentazione – non è completamente corretta.
“Il giornale dovrebbe tenere un profilo equilibrato. Non esasperare con il sensazionalismo, limitarsi a raccontare veramente qual è la realtà … non cavalcare l’onda emotiva. È necessario dare
sempre il giusto peso alla notizia anche se in quel momento non se ne parla, segnalando per esempio convegni sull’argomento o pubblicare statistiche …”. [giornalista, Corriere Mercantile]
“È fondamentale essere più continui, come Telegenova fa, è importante l’intuizione, l’interesse, la volontà da parte della redazione”. [giornalista, Telegenova]
“… parlarne sempre, non solo quando succede il fatto grave, ma si è portati a seguire l’onda
della cronaca e a non farlo”. [giornalista, Telenord]
“ ... parlarne sempre ma non con la stessa insistenza, con approfondimenti, tramite il giornalismo d’inchiesta, che è il normale giornalismo e così dovrebbe essere … rimane il fatto che lo spazio che l’informazione concede è limitato per quel fenomeno e se ne dovrebbe trovare di più …
ma bisogna seguire il mercato purtroppo …”. [giornalista, Radio Nostalgia]
“Ci sono pecche e carenze, cui si risponde tentando di affrontare il tema fuori dall’emergenza,
magari con un’inchiesta, seguendo un convegno … molto di più si può fare … quello che conta è,
però, l’emergenza dell’informazione che viene rapidamente triturata, triturando l’argomento stesso …”. [giornalista, La Repubblica]
“Il media un ruolo potrebbe averlo tornando sul fatto precedente accaduto”. [giornalista, Il
Secolo XIX]
La stessa ammissione dei giornalisti, mette in luce il fatto che quella che viene pubblicata non è un’informazione completa ma qualcosa che segue la “corrente” mediatica.
99
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 100
“A distanza di tempo spesso se ne parla per segnalazione di chi è coinvolto … ora con la presenza dei media la faccenda che prima era privata ora si risolve pubblicamente, finisce sui giornali che vengono utilizzati per parlarne …”. [giornalista, Il Corriere Mercantile]
“La nostra politica è lasciare spazio alle voci che possono o dovrebbero denunciare i problemi inerenti …”. [giornalista, Telenord]
“... i media hanno un ruolo importante di insidiare il dubbio … uscire dai luoghi comuni che
diventano macigni … guardare da un’ottica diversa”. [giornalista, TGR]
In conclusione quello che la sovraesposizione produce sul pubblico è, nella situazione attuale, l’impotenza fino al disinteresse magari per liberarsi dalla frustrazione, forse.
Le notizie sempre uguali giorno dopo giorno.
La risposta, suggerita dagli stessi addetti ai lavori, è il giornalismo d’inchiesta, ma
si sa che non è più realizzabile soprattutto perché nella realtà locale non si ha il tempo,
né i mezzi necessari per affrontarlo.
“... il giornalismo d’inchiesta può esistere in condizioni diverse dalla nostra perché coi numeri
che abbiamo non si può distaccare una o due persone su un’inchiesta”. [giornalista, TGR]
La distanza del giornalismo dai fatti è acuito dalle innovazioni tecnologico-informative intervenute nelle redazioni. Redazioni nelle quali si muovono figure quali il “deskista” che non esce in cerca di notizie, di approfondimenti ma si limita a riprendere quelle offerte dalle agenzie online. Senza entrare troppo nell’argomento, basta citare l’apporto imponente di internet e di varie rassegne stampa online. La conseguenza è la
pubblicazione di notizie che provocano noia e assuefazione. La superficialità della
comunicazione va a favorire la riproduzione e il consolidamento degli stereotipi esistenti sull’argomento. Si compie così il circolo: boom mediatico – sensazionalismo e spettacolarizzazione – assuefazione – disinteresse.
Il campione degli intervistati, lavoratori e testimoni privilegiati, che abbiamo sentito su
questo argomento conferma nella sostanza le conclusioni esposte nei capitoli precedenti.
A parte una quota non irrilevante che è sostanzialmente esclusa dalla percezione
del boom mediatico, in quanto priva degli strumenti culturali e linguistici per la fruizione dei media italiani, la percezione dominante è quella di un’attenzione puramente strumentale al tema della sicurezza sul lavoro.
In particolare i lavoratori, ma anche molti dei testimoni privilegiati, si mostrano contrariati dalla distanza del giornalismo dalla realtà quotidiana del mondo e del lavoro, dal
fatto che non ci sia una differenza sostanziale tra come è trattato il tema della sicurezza e del rischio legato all’attività lavorativa e quelli delle altre ondate mediatiche.
Il rischio assuefazione incombe, secondo quasi tutti gli intervistati, e il sensazionalismo imperante annulla gli effetti inizialmente positivi del boom mediatico che, almeno
nelle sue prime manifestazioni, ha per molti avuto l’effetto di costringere i politici a legiferare in merito, i sindacati a porre il tema al centro delle proprie attività, i lavoratori e i
datori di lavoro ad essere almeno consapevoli dei rischi legati alla propria attività.
Gli effetti sulla realtà del lavoro sono quindi duplici: da un lato è apprezzato che
comunque si parli dell’argomento e che il lavoro torni al centro dell’agenda pubblica,
dall’altro tutti temono l’incombenza del rischio assuefazione, abitudine, e affermano che
in realtà si continuerà a lavorare come si è sempre fatto.
100
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 101
Dal lavoro sul campo emerge in realtà un desiderio di approfondimento sull’argomento.
I testimoni spesso si dichiarano interessati a trasmissioni o inchieste giornalistiche
sulla realtà della sicurezza fatte in momenti di calma e non sull’onda emotiva dell’ultimo decesso, nelle quali sia dedicata attenzione anche alle esperienze positive e alle
attività di prevenzione. La richiesta che prevale è quella di “dare voce” a chi abita i
mondi sociali descritti, operai, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, operatori
dell’ispettorato e delle ASL, delegati sindacali…. Il pubblico vorrebbe che i giornalisti
lasciassero la postazione internet per confrontarsi col mondo reale. Forse lo vorrebbero anche i giornalisti stessi, spesso limitati nelle loro attività dal meccanismo del mercato dell’informazione e dai ritmi del lavoro redazionale che sono spesso altrettanto
concitati e stressanti di quelli riscontrati nei settori oggetto della ricerca. Ma, come prevedibile, i lavoratori intervistati così come la cd opinione pubblica alimentata dai media
non riescono a pensare che la questione fondamentale riguarda l’assenza di decostruzione della comunicazione corrente, quindi dei discorsi costruiti sul fenomeno come
fatto episodico che riguarda solo i lavoratori. In altri termini a mancare del tutto è la
dimensione squisitamente politica del problema, ossia il fatto che l’insicurezza del lavoro è in realtà insicurezza di tutti.
Ancora un commento
Il presupposto di partenza è che la notizia è una costruzione sociale, un prodotto
culturale. La produzione della notizia è regolata da fonti e sistemi che riflettono i rapporti di potere interni al sistema sociale; tramite i media si impone la visione del mondo
di chi può gestire le cornici che danno forma alla società. Le scelte dei media derivano
dalla preselezione delle persone a cui attribuire la visione corretta delle cose, dai preconcetti interiorizzati (Chomsky, 2006). Tutti i media agiscono allo stesso modo nei confronti di un fenomeno, subendo gli stessi vincoli (di proprietà, di potere politico e di mercato) raccontando o mantenendo il silenzio nella stessa maniera sugli stessi fatti notiziabili o meno. Oltre alla decisione se trasmettere una notizia o meno, è importante il
tipo di attenzione che applicano: collocazione, tono, ripetizioni. “Il compito dei mass
media è di divertire, intrattenere, informare ma allo stesso tempo inculcare negli individui valori, credenze e codici di comportamento atti a integrarli nella società”33. È importante sottolineare come gli stessi addetti ai lavori (vedi le interviste) agiscano in buona
fede perché quello è l’unico modo in cui la notizia può essere trattata e accettata; devono all’interno di cornici precostituite altrimenti rischiano persino il posto. Così, inevitabilmente, essi finiscono –come chiunque in qualsiasi settore - per interiorizzare le
modalità, le retoriche, il discorso che ingloba allo stesso tempo l’interpretazione e la
confezione della comunicazione di ogni fatto sociale. È, come già sottolineato più volte,
un circolo vizioso.
Spesso ciò che vende è lo choc della rivelazione istantanea, non sono sostanza e
caratteristiche spazio-temporali a contare, ma la spettacolarizzazione prodotta.
L’informazione non va a vedere cosa ci sia all’origine di un fatto drammatico, semplicemente registra lo “scandalo”. L’informazione e di conseguenza chi la riceve ha poca
voglia di andare oltre l’emozione e la commozione di un fatto drammatico.
33
N. Chomsky, E. S. Herman, La fabbrica del consenso, Net, 2006.
101
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 102
Ancora una volta i frames si confermano e auto-confermano. Si tratta di interazione
parasociale per cui chi sta davanti al media instaura un rapporto di confusione fra la
realtà e l’immagine virtuale prodotta dal media. Entrano in gioco i diversi attori sociali,
che negoziano fra loro le risorse politiche, economiche e culturali fino a trovarne conferma nella notizia. Nella negoziazione al centro stanno i media, circondati dalle strutture della società. Il prodotto finale è il risultato dell’influenza reciproca.
È evidente come questi concetti più generali si applichino concretamente al fenomeno della sicurezza sul lavoro. Le cornici che si riproducono, nelle notizie sui giornali, nel filmato trasmesso durante il telegiornale, sono la visione, per esempio, della vittima che non può essere nient’altro che vittima, la visione di una situazione di insicurezza che non sembra avere prospettive di cambiamento, sono il parente che se non ha le
lacrime non va nemmeno citato, così come i colleghi che non possono far altro che
arrabbiarsi e urlare la loro denuncia. E così via fino alle solite parole dette dal sindacalista o dal politico di turno.
In altri termini, si conferma così il ruolo dei media allo stesso tempo espressione di
quella parte della società che riesce e può esprimersi e istituzione sociale che partecipa in modo decisivo alla rappresentazione della realtà e quindi alle scelte politiche conseguenti che in questo caso occultano la dimensione politica dell’insicurezza sul lavoro cioè il fatto che colpisce tutti e non solo i lavoratori.
102
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 103
La “cultura della sicurezza” al tempo della precarietà: appunti
34
Come abbiamo già accennato, parlando con i lavoratori emerge, rispetto alla formazione, un complesso di rappresentazioni e di esperienze. Un confronto tra le varie
posizioni sembra proporre un discorso sulla formazione e sulla cultura della sicurezza
diverso da quello degli esperti del settore. Prenderò in considerazione il settore meccanico, in quanto esemplare, ma le riflessioni proposte interessano anche gli altri ambiti
della produzione. I lavoratori relativamente protetti e garantiti di questo comparto hanno
frequentato corsi di formazione sulla sicurezza, parlano con una certa disinvoltura della
legge 626 e hanno una discreta conoscenza dei diritti e dei doveri attinenti la loro posizione lavorativa. Pensano alla propria incolumità sia in termini di infortuni che di malattie e sono consapevoli dello scarto tra la cornice normativa e la realtà delle condizioni
lavorative. Sebbene in genere non siano loro a subire le conseguenze più deleterie in
termini di sicurezza, in determinate condizioni si vedono costretti ad accettare condizioni che presentano rischi di infortuni o, sul lungo periodo, di malattia. Non possono
alzare troppe pretese poiché sanno di essere “privilegiati” rispetto ad altri lavoratori che
subiscono il peggio. Nella maggioranza dei casi questa esposizione è dovuta al sovrapporsi delle lavorazioni nel ciclo produttivo, una condizione abbastanza frequente, dettata dai tempi di consegna e quindi dalla presenza nel cantiere e nei luoghi di lavoro di
numerosi lavoratori appartenenti a ditte diverse, differenti per inquadramento e potere
contrattuale, per professionalità e atteggiamento rispetto al lavoro e alla sicurezza. Tutti
questi lavoratori, dall’operaio specializzato e garantito al semplice manovale precario,
si trovano a convivere e a condividere lo stesso spazio e in parte la stessa sorte. I lavoratori precari delle ditte in appalto svolgono le mansioni meno specializzate, più insalubri e pericolose. La loro sensibilità per la sicurezza è aleatoria dove la disponibilità a
lavorare a qualunque condizione è totale, il che mette a rischio tutto l’ambiente circostante, lavoratori più protetti inclusi. Semplificando, in questi contesti si trovano di fronte due o più segmenti del mondo del lavoro che, definiti in base alla polarità basso-alto,
sono portatori di diverse istanze e “culture della sicurezza”.
Tra i fattori di rischio maggiormente citati si annoverano il rispetto dei tempi di consegna, la sovrapposizione delle lavorazioni, la stanchezza e la distrazione dei lavoratori, nonché l’imperizia e l’inesperienza della manodopera flessibile. Gli operai più stabili,
con una maggiore professionalità e coscienza dei propri diritti, sottolineano soprattutto
quest’ultimo punto. La stabilità occupazionale, che in passato ha contraddistinto la
media e grande industria, permetteva la trasmissione di una “cultura della sicurezza”
garantita sul campo per mezzo del lavoro spalla a spalla con i colleghi più anziani ed
esperti. I nuovi operai che entravano in fabbrica venivano seguiti e tenuti d’occhio dagli
“anziani”. Il regime di instabilità introdotto dal neo-liberismo, le segmentazione del lavoro e delle tipologie contrattuali e la precarietà hanno reso un apprendimento di questo
tipo praticamente impossibile per la maggioranza dei lavoratori. Inoltre la disparità delle
condizioni impedisce una comunicazione e uno scambio effettivi tra i lavoratori pregiudicando sensibilmente lo sviluppo di solidarietà. Di fronte a eventuali condizioni di lavoro insalubri, un operaio più protetto potrebbe richiedere l’esonero, rivolgersi ai sindacati o intervenire direttamente per migliorarle. Ma non interrompere la produzione: se si
34
Capitolo a cura di G. Quiligotti.
103
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 104
ostinasse a pretendere condizioni di sicurezza più adeguate, scatenerebbe la rabbia dei
colleghi meno tutelati.
La precarietà si conferma dunque come un moltiplicatore di insicurezza innanzitutto per chi subisce le logiche del neoliberismo e gravita negli strati più bassi della forza
lavoro e in secondo luogo per le conseguenze che esercita sui lavoratori nel loro complesso. Impedisce il sedimentarsi dell’esperienza nonché un’effettiva comunicazione e
solidarietà tra i lavoratori. Fra l’altro, i precari non sono raggiungibili dalla proposta formativa avanzata dalle varie istituzioni e dagli attori che si occupano di sicurezza.
Precarietà significa anche flessibilità delle mansioni, passaggi repentini da un lavoro e
da un ambiente a un altro, ricattabilità, tutte pratiche che riconducono al problema dell’inesperienza, dell’imperizia ecc. La possibilità che si affermi una “cultura della sicurezza” generalizzata ed efficace non sembra credibile.
Non mancano esempi molto critici nell’industria genovese in cui un numero molto
elevato di lavoratori è stato avviato al prepensionamento per l’esposizione all’amianto.
Si sono verificati così drastici ricambi di manodopera e l’ingresso in fabbrica di manodopera flessibile e inesperta. Oltre alla già citata difficoltà nella trasmissione di saperi,
molti operai segnalano che i nuovi arrivati sui luoghi di lavoro non ascoltano i colleghi
più esperti, sono distratti e poco interessati al lavoro, in altri termini “pensano solo al
salario”. L’incontro con diversi giovani sembra confermare questa specie di mutazione
antropologica, che sollecita questioni fondamentali come il prestigio e il riconoscimento del lavoro manuale e operaio nella nostra società o il ruolo del lavoro nella vita e nella
cultura delle giovani generazioni. Proprio perché tale evoluzione è innanzi tutto il risultato dei processi di destrutturazione dell’assetto sociale che si era andato forgiando in
circa due secoli di società industriale, sarebbe superficiale ridurla a una crisi dei rapporti intergenerazionali.
Il “cantiere maledetto”
Alla fine di questo brevissimo “viaggio” all’interno del lavoro in Liguria, è forse utile
ricordare un fatto rimasto a lungo nella memoria dei lavoratori e di tutti i genovesi per il
numero alto di morti e feriti che vi rimase coinvolto. Nei primi anni ‘50 a Cornigliano
venne avviato un cantiere per la costruzione del nuovo stabilimento siderurgico, che
dalla delegazione avrebbe preso il nome, Cornigliano appunto, prima di divenire Italsider
nei primi anni ’60 e Acciaierie Riva oggi per alcuni reparti ancora in funzione. Lo stabilimento fu concepito e costruito nell’ambito delle Partecipazioni Statali, dalla Finsider,
allora diretta dall’Ingegner Oscar Sinigaglia. Si trattò di uno dei momenti più significativi
della ricostruzione dell’economia e dell’industria ligure e italiana all’indomani della
seconda guerra mondiale. I lavori iniziarono nel 1950 e già nel 1953 alcune parti dello
stabilimento erano pronte per entrare in funzione. Era necessario rilanciare la produzione, rispondere nei tempi più stretti possibili alla domanda di occupazione e salario che
una società ancora stremata dalla guerra e dalla riconversione dell’industria poneva con
forza. È in questo contesto che si verificò una serie allarmante di incidenti, soprattutto
tra il ‘52 ed il ‘53, quando all’ultimazione dei lavori di costruzione si sovrappose la messa
a punto e l’avviamento dei primi impianti per la produzione di acciaio. I dati parlano di 21
morti e circa 3.000 infortuni, dei quali un terzo grave. I giornali di sinistra, infatti, battezzarono i lavori di costruzione del nuovo stabilimento “cantiere maledetto”.
Il primo aspetto che colpisce oggi degli incidenti di allora è che furono in gran parte
causati da cadute dall’alto, da folgorazioni, da crolli, da esplosioni, ovvero da tipi di
infortunio e decesso che oggi, a più di cinquant’anni di distanza, hanno ancora un posto
rilevante nella casistica, come dimostra anche la più recente cronaca. Ma, sono altre le
104
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 105
analogie che colpiscono ai fini della nostra indagine. Innanzitutto, come già accennato,
la fretta determinata dai tempi stretti e la sovrapposizione delle lavorazioni. Allora, lo
stabilimento doveva assolutamente entrare in funzione, produrre acciaio e occupazione, dimostrare la capacità di reazione delle istituzioni statali e dei partiti al governo di
fronte alla crisi del settore meccanico a Genova e in Liguria e alle contestuali rivendicazioni. All’interno del cantiere maledetto operavano decine di ditte appaltatrici che si
occupavano della costruzione, una soluzione adottata dalla direzione della nuova industria delle partecipazioni statali per non vincolarsi con la manodopera in vista delle successive assunzioni a tempo indeterminato nello stabilimento. Questo espediente è in
stretta connessione con il problema dell’inesperienza: in cantiere finirono per entrare in
modo massiccio immigrati dell’entroterra ligure che cominciavano a riversarsi verso la
città industriale e i primi meridionali sopraggiunti a Genova. Gran parte dei lavoratori
che operavano nel “cantiere maledetto” proveniva dalle campagne, non aveva alcuna
esperienza industriale e, dati i tempi di costruzione e la fame di lavoro, era costretta ad
accettare i ritmi intensissimi di una situazione che doveva apparire caotica a operai già
avvezzi al cantiere e ai suoi pericoli.
La sovrapposizione di cause quali i tempi stretti, il caos dettato dalla molteplicità
delle lavorazioni, l’inesperienza e la presenza massiccia di ditte appaltatrici appare simile a quanto rilevato oggi. È cambiata la cornice politica nella quale si inseriscono queste dinamiche: se non c’è più la guerra fredda, la spinta ad adottare certe soluzioni oggi
è data dalla logica dell’abbattimento dei costi, dalla competitività e dalla globalizzazione. Da un punto di vista politico, oltre alla guerra, che oggi come ieri determina il contesto e per altro non è estranea ai processi migratori, troviamo una classe lavoratrice
debole, costretta a subire le condizioni imposte dai datori di lavoro e dall’andamento
economico.
L’enfasi sulla “cultura della sicurezza”, sulla sensibilizzazione e sulla formazione
sembra prescindere completamente dal coinvolgimento effettivo del lavoratore così
come dalle conseguenze che lo squilibrio politico e le dinamiche sopra ricordate - massicci ricambi di manonera, inesperienza, instabilità e precarietà - hanno sulle pratiche
individuali e collettive dei lavoratori in ambito personale, sociale e famigliare. In altri termini, appare difficile parlare di “cultura della sicurezza” in un contesto che sistematicamente confina i lavoratori in piccoli segmenti marginali e avulsi dalla società. Le pratiche sono “saperi” non solo tecnici o pratici ma anche conoscenza di ciò che una data
attività comporta all’interno della società: rimandano cioè a una dimensione politica del
lavoro alla quale dovrebbe corrispondere anche un potere effettivo di intervento sulle
condizioni in cui il lavoro viene espletato. Non appare affatto casuale che proprio gli
operai che furono stabilmente assunti dalla Cornigliano-Italsider, nel contesto profondamente mutato dal miracolo economico e dalla piena occupazione siano stati in prima
linea nelle lotte contro la “monetizzazione” della salute che sul finire degli anni ‘60
cominciarono ad affiancarsi sempre più spesso alle tradizionali battaglie per salari più
alti: la salute non era più in vendita, o quanto meno questa era l’aspirazione dei lavoratori nel contesto dei nuovi rapporti di forza.
Infine, è interessante notare altri due aspetti. Allora era facile considerare le morti e
gli incidenti sul lavoro sacrifici necessari per il progresso, un mito che finiva per accomunare tutti i partiti e i soggetti sociali presenti sulla scena. La storia aveva ancora una sua
epica, la guerra vicina facilitava la retorica degli eroi e la legittimazione dello stillicidio di
vite umane che l’Italia immolava sulla via della ricostruzione e di una agognata modernità industriale. A tale proposito non va trascurata l’ambiguità della cosiddetta “cultura
del lavoro” quando di fatto legittimava il sacrificio anche della salute se non della vita per
lo sviluppo della modernità intesa anche come sinonimo della democrazia.
105
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 106
Nei primi anni cinquanta, la rabbia e l’indignazione che il mondo del lavoro esprimeva di fronte alle vittime degli infortuni era spesso più forte, con esperienze di solidarietà attiva e di mobilitazione che la società contemporanea sembra non più in grado di
produrre. Oggi, il mondo del lavoro, i cantieri appaiono assolutamente chiusi dentro le
mura degli stabilimenti, isolati anche dai contesti urbani che li contengono, rimossi nell’immaginario collettivo, abituato ormai da decenni a pensare all’industria ed al lavoro
manuale più in generale in termini esclusivamente di residualità, di estinzione, ben oltre
la perdita di centralità sociale ed economica del settore. La visibilità del lavoro si è progressivamente ritratta dall’immaginario collettivo, con conseguenze dirette sulle reali
condizioni dei lavoratori35.
Un salto in cantiere dove l’arte è a rischio
Come abbiamo visto i lavoratori hanno una percezione molto critica rispetto ai controlli sulla sicurezza nel mondo del lavoro; questa immagine si riflette anche nelle valutazioni dell’operato alle istituzioni adibite agli stessi, Asl ed Ispettori del lavoro prima di
tutti, ma con significative ricadute anche su sindacati, Inail, ecc… ritenuti nel complesso responsabili di questa mancanza e della “farsa” a cui dicono di essere ridotti quando vengono espletate le ispezioni. Si parla di controlli “telefonati”, di datori di lavoro
avvisati preventivamente, dell’inutilità in cui spesso si risolvono questi momenti di verifica sul campo degli adempimenti relativi alla loro sicurezza. In particolare questa mancanza viene segnalata nel settore dell’edilizia, dove la situazione si rivela particolarmente critica anche per l’assenza dei sindacati nei luoghi di lavoro e per la forte presenza
di lavoro irregolare, nero. Questo d’altro canto favorisce una consistente presenza di
lavoratori immigrati “clandestini”, che proprio in questo settore possono trovare una
occupazione ed esprimono a loro volta un atteggiamento ambivalente rispetto ai controlli. Se venissero espletati a dovere infatti, finirebbero nelle maglie della giustizia, o troverebbero più difficilmente lavoro, ovvero sarebbero a loro volta vittime degli stessi controlli, anche perché il riconoscimento previsto di un permesso di soggiorno speciale
legato a particolari condizioni di sfruttamento non è facilmente raggiungibile, come riconoscono gli avvocati che si occupano della materia.
Anche nel settore delle costruzioni tuttavia, segnato in generale da questa insufficienza dei controlli, emerge una interessante distinzione, soprattutto per una ricerca che
mira ad indagare la sicurezza sul lavoro non solo sul terreno dell’esposizione ad incidenti ma più in generale a quello delle malattie professionali. Il concentrarsi dell’attenzione generali sulle cosiddette “morti bianche” finisce per guidare l’attenzione verso i
grandi cantieri, i ponteggi e le impalcature in esterno, dove certamente il rischio di incidenti mortali è assolutamente più cogente, ma come sempre accade, lascia in ombra
altre realtà altrettanto problematiche, interessanti, degne di nota.
Accompagnato da un giovane artigiano marocchino ho avuto modo di entrare in un
“cantiere interno” ad un grande palazzo storico del centro genovese. In genere è impossibile accedere in queste situazioni, basta approssimarsi agli ingressi per essere guardati con sospetto, allontanati, ed i lavoratori all’interno hanno l’ordine di non fare entrare nessuno, “per motivi di sicurezza”. Se non è presente il geometra, l’architetto, o il
35
Per una ricostruzione storica delle vicende del cosidetto “Cantiere maledetto” e più in generale sulla storia
del lavoro a Genova ed in Liguria vedi i seguenti testi: “La Liguria, Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità a oggi”,
Einaudi, Torino, 1994; P. Arvati, P. Rugafiori, “Storia della camera del lavoro di Genova”, ESI, 1981; Classe,
AAVV, Gli operai di Genova 1950-1970, n. 19, 1981; “Storia dell’Ansaldo 7. Dal dopoguerra al miracolo economico. 1945-1962”, a cura di G. Mori, Laterza, Roma-Bari, 2000; “Storia dell’Ansaldo 9. Un secolo e mezzo.
1853-2003”, a cura di V. Castronovo, Laterza, Roma-Bari, 2002.
106
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 107
responsabile dei lavori, gli operai sono costretti a negare l’accesso a chiunque, anche
se si presentasse un sindacalista o un ispettore. Cosa che per altro non avviene, data
appunto l’assenza di controlli. Nonostante la pluralità di piani su cui si svolgevano i
lavori mi è stato fatto notare l’assenza di montacarichi e quindi la necessità di approvvigionare i piani superiori di cemento, sabbia ed altri materiali a spalla, cosa che in
genere viene svolta dalla manovalanza straniera e dai giovani, costituita in quel caso da
giovani albanesi e nordafricani. Lo stesso percorso, inverso, questi dovranno poi fare
con i materiali di scarto, risultato delle demolizioni, passando per scale e percorsi spesso tortuosi, sicuramente molto faticosi, data la grandezza e l’articolazione dell’edificio
in questione. Le operazioni di demolizione e ricostruzioni avvengono senza soluzione di
continuità sovrapponendosi continuamente, in mezzo ai polveroni causate dalle prime,
cosa che evidentemente ha conseguenze dirette sulla qualità del lavoro svolto. Anche
in questo caso il problema dei problemi sono i tempi consegna. Se non vengono rispettati si pagano penali elevatissime, che erodono immediatamente il margine di guadagno
delle ditte subappaltatrici, già esiguo, e solo in parte ampliabile risparmiando sui materiali, data comunque una certa rigidità nei prezzi di parte degli stessi. È più semplice
lesinare sulla qualità del lavoro, magari con dei “tapulli” dove sarebbero necessari interventi di tipo più strutturale, se ci si ponesse in una ottica di più lungo periodo. Si mira
solo, di fatto, a finire il lavoro, a renderlo presentabile agli occhi di architetti e geometri
che controlleranno gli esiti finali, delle stesse belle arti, cercando di raggiungere un
compromesso accettabile tra tempi, qualità, investimento in materiali. I mezzi di protezione individuali vengono utilizzati con molta discrezione, a seconda della sensibilità di
ognuno, in ogni caso non ho visto mascherine, nonostante le polveri liberate dalle
demolizioni delle vecchie soffitte e pareti, ancora in canniccio al loro interno, dall’apertura di sacchi di cemento e calcina. Spesso, sostiene il mio accompagnatore, queste
operazioni vengono svolte con grande concitazione, da operai generici senza grande
esperienza o disposti a rischiare per anticipare i tempi, aumentare i salari, in condizioni
di sicurezza ed igiene davvero approssimative. Ancora più interessante il fatto che trattandosi di un edificio storico, tutelato dalle belle arti, erano presenti in cantiere figure
inquadrate nell’edilizia il cui lavoro di tipo artigiano lambisce l’arte, come i decoratori,
gli stuccatori, spesso svolti da ragazze, che si distinguono dagli altri lavoratori per la
tuta di colore bianco e più leggera delle normali tute da lavoro. Anche queste lavorazioni avvengono in un contesto che per uno sguardo esterno appare di assoluta confusione, con i problemi che è possibile intuire molto facilmente, relativi non solo alla qualità
del lavoro svolto, che in ogni caso dovrebbe essere la priorità in questi edifici storici
vocati al restauro di tipo conservativo.
I decoratori, gli stuccatori, ecc… lavorano in ampie stanze dentro le quali devono
ancora essere terminate le operazioni di tipo strutturale, raggiungono i soffitti alti fino ad
otto metri, grazie a precari “trabattelli”, ponteggi mobili, che naturalmente non vengono fissati alle pareti come dispongono le normative in vigore per altezze superiori ai sei
metri, per evitare perdite di tempo. Lo status di cui godono queste figure professionali,
anche nell’immaginario diffuso, non preclude loro né l’esposizione a rischi, che se non
sono mortali possono comunque essere assolutamente consistenti, né la necessità di
darsi da fare autonomamente per approvvigionarsi e preparare i materiali necessari alle
loro lavorazioni, nonostante, come già rilevato, spesso si tratti di donne. Le ditte specializzate a cui vengono appaltate queste lavorazioni non si possono permettere di
pagare un manovale di sostegno adibito unicamente a queste funzioni; in generale, il
risparmio sulla manodopera sembra essere una condizione sistematica alla quale si
supplisce con uno sfruttamento intensivo del lavoro, prolungando le giornate e le settimane lavorative se necessario, assumendone di nuova solo in ultima istanza. Ma que107
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 108
sto significa anche esporsi a rischi, a prove di forza e di coraggio. Tra questi lavoratori
più qualificati dominano le partite Iva, i liberi professionisti, a cui vengono subappaltate singole lavorazioni, o vengono assunti con contratti di collaborazione della durata di
alcuni mesi. Ed è molto difficile trovare decoratrici, restauratrici, con più di quarant’anni, per il logoramento che comportano queste lavorazioni così prossime all’arte.
108
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 109
La nostra ricerca e le altre
L’attenzione che nell’ultimo anno i media hanno dedicato alla sicurezza nel mondo
del lavoro italiano è stata comune anche alla pubblicistica. Oltre alle opere precedenti
di alcuni autori, fra i quali Gallino36, particolarmente interessanti appaiono il lavoro di
Marco Rovelli “Lavorare uccide” e quello di Paolo Berizzi “Morte a 3 euro. Nuovi schiavi nell’Italia del lavoro”. La prima si presenta come un viaggio-inchiesta che a partire da
casi di “morti bianche” ricostruisce, grazie all’ausilio di testimoni privilegiati, la cause
dell’incidente ed il contesto lavorativo nel quale è avvenuto. Con efficacia vengono così
presi in considerazione a partire da eventi singoli i quadri più ampi nei quali questi
avvengonono, i dati relativi al settore di riferimento e, in ultima istanza, la logica che
informa l’attuale organizzazione della produzione. Rovelli si sofferma sulle conseguenze deleterie in termini di rischi infortuni e malattie che i tempi imposti da un mercato
sempre più concorrenziale e attento solo alle esigenze dei costi di produzione e dei profitti hanno sull’origine e gli sviluppi dell’insicurezza nei luoghi di lavoro. Il suo viaggio
attraverso le “morti bianche” tocca varie parti dell’Italia, e diversi settori della produzione, lasciando intravedere come è il complesso del mondo del lavoro ad essere minacciato dalla logica del just-in-time e della precarietà. Ed ancora, come questa si traduca
spesso, quotidianamente, per larghe fasce del lavoro manuale ed operaio, in una subordinazione estrema alle logiche del mercato, in una assoluta “spersonalizzazione” dei
lavoratori, che solo la morte, paradossalmente, è capace di invertire, restituendo un
nome ed un volto a delle braccia. Ma ciò, sottolinea Marco Rovelli, che con il suo libro
intende dare una risposta anche a questo, avviene per un attimo, è una eventualità
strettamente sottoposta alla tirannia dei tempi e dell’attenzione mediatica. Perché è
soprattutto il silenzio, l’afasia, l’omertà a contraddistinguere l’attuale mondo del lavoro
e l’autore non esita a parlare di “mutamento antropologico” a questo riguardo. Un riflesso di questo aspetto è la solitudine in cui si vengono a trovare i parenti delle vittime,
sepolti i corpi delle stesse.
I risultati della nostra inchiesta confermano in gran parte le conclusioni spesso drastiche di Rovelli. I testimoni intervistati hanno spesso accettato di partecipare alla ricerca solo in forma anonima. Quando ritenevano di dire cose particolarmente gravi hanno
chiesto all’intervistatore di spegnere il registratore per alcuni minuti. Alcuni operai hanno
accettato di farsi video-intervistare solamente con la telecamera alle spalle. Il timore di
ripercussioni sul lavoro, di essere licenziati oppure additati come “traditori”, spinge i
lavoratori ad assumere comportanti omertosi, a tacere. D’altro canto, entrati in contatto con queste persone, stabilito un rapporto di empatia, è stato facile osservare quanta fosse la disponibilità a collaborare ed a partecipare ad una inchiesta come questa,
che li interrogava circa le loro esperienze di lavoro. Molti di loro hanno espresso con
sorpresa la constatazione che non avevano mai parlato di queste problematiche, che in
cantiere nessuno gli avesse anche solo solamente chiesto quali sono le condizioni
ambientali del proprio lavoro, come le ritenessero pensando alla sicurezza. Questa circostanza, come la nostra ricerca sembra dimostrare, è strettamente legata all’impoten-
36
Vedi L. Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, 2007; Id., Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, 2007; Id., Il costo umano della flessibilità, Laterza, 2005; Id., L’impresa irresponsabile, Einaudi,
2005. Segnaliamo anche le pubblicazioni periodiche dell’ Agenzia europea per la sicurezza e salute sul lavoro
oltre a quelle dell’Ires-CGIL e di altri enti.
109
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 110
za che sembra contraddistinguere l’attuale mondo del lavoro. L’impossibilità di contrastare prima e di denunciare dopo, in seguito ad eventi tragici, le condizioni ambientali
in cui avviene il lavoro, in cui accadono gli incidenti, l’accettazione delle stesse, espressa con fatalismo, rassegnazione, o rabbia, appare come riflesso di questa impotenza,
che si manifesta anche nella mancanza di parola. Gli operai più anziani fanno notare
spesso come oggi nemmeno si interrompa più il lavoro in occasione di incidenti mortali. D’altro canto questo aspetto appare strettamente correlato con il fatto che il lavoro
manuale ed operaio è nella società contemporanea praticamente rimosso, emarginato,
socialmente svalutato, e l’attenzione che gli viene dedicata è solo episodica, superficiale. Un timore che abbiamo riscontrato in numerosi casi anche nei confronti del nostro
lavoro.
La ricerca di Berizzi investe invece il settore dell’edilizia, ritenuto in generale, anche
dai testimoni della nostra ricerca, quello più pericoloso ed esposto al rischio di infortuni, non solo mortali, e di malattie. Anche in questo studio emerge con forza come siano
le forme dell’attuale produzione e della sua organizzazione ad essere all’origine di questa esposizione. Il lavoro nero, varie tipologie di caporalato, l’estrema precarietà e ricattabilità dei lavoratori, soprattutto quando immigrati, sembrano essere connaturati all’attuale produzione nel settore delle costruzioni, e vengono poste alla base della vulnerabilità del lavoratore e delle sue condizioni all’interno dei cantieri edili. Il giornalista di
“Repubblica” non esita a parlare di nuovi schiavi, soprattutto in riferimento ai lavoratori immigrati. E questo sembra essere anche il limite della sua ricerca, che proprio perché enfatizza questa condizione di schiavitù finisce per confinarla ad un settore e a
realtà che sono presentate e certamente sono particolarmente estreme e colpite duramente da incidenti e morti, ma sembrano essere parti di una logica che informa in modo
ampio e corrosivo l’intero mondo della produzione manuale ed operaia.
La ricerca da noi effettuata sulla “percezione ei rischi e delle tutele, riguardanti gli
infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali” in Liguria sembra infatti dimostrare che
se è vero che esiste una fascia più esposta, che abbiamo chiamato bassa e debole,
perché più ricattabile, questo sembra avere delle forti ripercussioni sull’intero mondo
del lavoro, finendo in determinate condizioni per mettere in discussione i diritti di tutti
anche di quella fascia che abbiamo chiamato alta e più garantita in termini contrattuali
e normativi. Questo è un elemento che appare poco nelle inchieste e negli studi fino ad
ora dedicati alla sicurezza nel mondo del lavoro. La precarietà, l’insicurezza che ne deriva in termini di infortuni e malattie, ha delle ripercussioni più ampie, che finiscono per
investire tutti i lavoratori e poi anche tutta la popolazione. Questo processo si evidenzia con l’esempio emblematico di ciò che accade all’interno di una grande impresa
meccanica-cantieristica. Inoltre nella nostra ricerca emerge come la precarietà sia un
vero e proprio moltiplicatore di insicurezza, perché non agisce solamente a questo livello. L’estrema flessibilità dei lavoratori, soprattutto la fascia più debole, la fluidità delle
mansioni svolte, dei contesti lavorativi attraversati, impedisce di fatto la formazione di
una “cultura della sicurezza”, sia essa appresa attraverso corsi di formazione, che
necessariamente sono efficaci solo quando attengono a specifiche lavorazioni, sia essa
appresa nei luoghi di lavoro, per affiancamento ai lavoratori più esperti, oppure con il
sedimentarsi di esperienze. Emerge anche quanto sia divenuto più rarefatta, per diversi motivi, questa seconda modalità di apprendimento, come questo influisca direttamente sugli atteggiamenti relativi alla sicurezza.
Molto interessante, appare l’inchiesta nazionale promossa dal sindacato dei metalmeccanici, la FIOM, e condotta sul campione molto vasto di 100.000 lavoratori metalmeccanici. La ricerca in questo caso riguarda la condizione lavorativa dei lavoratori nel
suo complesso, ma significativamente sono state inserite una serie di domande sulle
110
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 111
condizioni di sicurezza e di rischio cui è sottoposta la loro salute. Diversi sono i punti di
interesse di questa inchiesta, anche limitandoci alle questioni relative alla sicurezza ed
alle malattie professionali. Ad esempio rileviamo che molti dei rischi cui sono sottoposti gli operai derivano da ambienti fisici rumorosi, densi di vibrazioni, vapori, fumi, e polveri, esattamente come nella industria storica. Continuano ad essere assolutamente
considerevoli i disagi dovuti alla ripetizione del lavoro, a posizioni scomode, soprattutto se protratte nel tempo. Come sottolinea Cremaschi nella sua introduzione, questo
tipo di condizioni lavorative era scomparso dagli orizzonti della nostra rappresentazione sociale del lavoro. Realtà, come quella industriale, le relative condizioni materiali di
lavoro, date per residuali ed in estinzione da oltre due decenni, hanno finito per scomparire effettivamente dalla percezione comune, ma non dalla produzione, dove, sebbene ridimensionate rispetto al passato, continuano a sopravvivere e a giocare un ruolo
economico assolutamente importante. Anche durante la nostra ricerca abbiamo avuto
modo di raccogliere testimonianze che, relativamente alle mansioni e lavorazioni più
dequalificate, descrivono condizioni di lavoro vissute come arcaiche, brutali, inumane.
Non appare affatto casuale che questo tipo di mansioni siano oggi espletate quasi
esclusivamente da lavoratori immigrati, per la semplice ragione che sono i soggetti più
deboli e ricattabile sul mercato del lavoro e che si tratta di attività che nessuno vuole
più espletare. Tornando ai risultati emersi dalla inchiesta condotta dal sindacato, emerge inoltre come circa il 20% del campione tra i lavoratori raggiunti non si dichiari soddisfatto delle informazioni ricevute sulla sicurezza e che la percentuale di chi dice di non
sapere se ha ricevuto una informazione adeguata cresce tra i migranti. A questo dato
vengono correlati la conoscenza degli Rls di azienda, il contatto con questa figura, che
conferma quanto emerso anche dalla nostra ricerca, ed appare assolutamente basso.
Solo meno del 50 % degli operai raggiunti dalla inchiesta sindacale conosce ed ha
avuto rapporti con gli Rls. Ovvero ci troviamo di fronte ad un ruolo che, centrale sulla
carta, sembra faticare ad affermarsi negli ambienti di lavoro, anche solo come presenza. D’altro canto la ricerca da noi condotta, essendo di tipo qualitativo, e condotta tramite interviste ha permesso di approfondire una questione assolutamente centrale
come quella della formazione. Non solo una parte consistente degli operai non è soddisfatta della formazione di cui ha beneficiato, questa è ritenuta spesso troppo formale, lontana, anche fisicamente, dai concreti luoghi di lavoro, fino al paradosso di immigrati che hanno frequentato corsi senza le necessarie competenze linguistiche ed in
assenza di mediatori. La formazione appare come un dovere che sempre più le aziende sono tenute ad espletare e, salvo in edilizia, sembra raggiungere quote sempre più
consistenti di lavoratori, ma nella percezione dei lavoratori appare anche inadeguata. La
nostra ricerca, forse anche perché condotta con il metodo qualitativo, sembra dare
espressione ad una maggiore frustrazione, ad una più diffusa percezione di malessere
rispetto a questa tematica. Pur in presenza di una convinzione diffusa dell’importanza
di momenti formativi e della loro estensione. L’indagine del sindacato dimostra anche
come sia presente, nella percezione dei lavoratori, una stretta relazione tra il rischio di
infortuni e gli orari lavoro, un risultato riscontrato anche nella ricerca da noi condotta.
Inoltre, ad un prolungamento negli orari di lavoro, si è accompagnata una intensificazione dei ritmi, che incide sulla possibilità di farsi male o di contrarre malattie, come emerge dalla nostra inchiesta, in due modi. Con la fretta, la concitazione, lo stress e la stanchezza che ne consegue, ma anche perché porta a sovrapporre nei vari cantieri, o
situazioni, diverse fasi della lavorazione e quindi al convergere di diverse tipologie di
rischio, condivise per prossimità da tutta la manodopera presente sul posto.
111
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 112
112
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
Conclusioni
14:43
Pagina 113
37
Ancora una volta precisiamo che l’obiettivo di questa ricerca non è quello di capire
dove, come, quando e perchè si riproducono infortuni e malattie professionali in Liguria.
Questo è il campo di analisi di cui si occupano l’INAIL, l’ASL, l’Ispettorato del Lavoro e a
volte gli agenti di polizia giudiziaria orientata dall’Autorità giudiziaria. La ricerca in scienze
sociali potrebbe dare un contributo anche su questo versante del fenomeno soprattutto
cercando di analizzare le pratiche che consapevolmente o meno lo alimentano, in particolare in certi segmenti di determinate attività. Qui, invece, abbiamo cercato di raccogliere con cura le percezioni dei rischi, dei diritti e delle tutele fra i lavoratori, i datori di lavoro e i diversi soggetti sociali direttamente o indirettamente coinvolti nella sicurezza sul
lavoro. In altri termini, abbiamo cercato di dare voce alle rappresentazioni che questi
diversi attori sociali si sono forgiati attraverso le loro esperienze e le loro conoscenze.
Ovviamente tali rappresentazioni sono molteplici non solo perché corrispondono a
più settori e a diverse posizioni socio-professionali, ma anche perché sono spesso
comuni alle specifiche cerchie sociali, amicali e professionali di cui fa parte ogni persona. Ricordiamo quindi che non si tratta di giudicare e selezionare queste rappresentazioni per stabilire se corrispondano alla realtà effettiva - è, infatti, sempre discutibile pretendere di definirla -, quanto di capire le “verità” che ogni individuo, gruppo o cerchia
sociale si costruisce e che corrisponde a precise pratiche e comportamenti. Sta quindi
qui l’importanza delle diverse rappresentazioni della realtà, di se stessi e degli altri proprio perché esse si rifanno a realtà diversificate che sono vissute in modo differenziato.
Se ad esempio per alcuni lavoratori l’INAIL, la Regione, l’Ispettorato del Lavoro e le ASL
sono la “stessa cosa”, cioè un insieme informe e vago di istituzioni di cui non sanno
molto ma che considerano con diffidenza o persino astio, è necessario capire le ragioni di questo atteggiamento. Le spiegazioni potrebbero essere numerose: il lavoratore si
sente abbandonato, non tutelato, reclama maggiore attenzione e aiuto o è ormai disincantato e cinicamente o “nichilisticamente” ritiene che comunque non ci sia più nulla
da aspettarsi. O ancora, come mai alcuni lavoratori sono infastiditi dalla iper-mediatizzazione dei discorsi sugli infortuni e arrivano ad arrabbiarsi persino col presidente della
Repubblica, anziché essere contenti che infine si presti attenzione a questa piaga?
Forse perché nei fatti si trovano in una condizione d’impotenza o perché alle parole non
seguono fatti o perché continuano ad ammalarsi di lavoro nell’indifferenza pressoché
generale. E lo stesso si può dire a proposito dei diritti e delle tutele: è evidente che oggi
ci sono leggi e tutele sicuramente molto più articolate e ampie rispetto al passato, così
come è noto che il numero di infortuni è diminuito rispetto a qualche decennio fa.
Tuttavia, i lavoratori che non sono in grado di beneficiare concretamente di tali diritti non
possono che sentire frustrazione o rabbia e maturare quindi l’idea che le leggi siano inutili o un’autentica beffa.
Accanto a queste rappresentazioni della sicurezza tante altre corrispondono a
comportamenti che purtroppo sono assai diffusi. È per esempio il caso di quei lavoratori che disattendono la normativa in materia di sicurezza perché ritengono che non sia
rivolta a loro o che troppe norme finiscono per essere controproducenti per il lavoro
stesso. Altri, e sono molti, adottano una sorta di fatalismo per cui “tanto prima poi si
37
di S. Palidda.
113
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 114
deve morire e si può morire anche scendendo le scale o per una tegola del tetto che ti
cade in testa mentre passeggi in via XX”. Come osserva qualcuno: “bisogna pur campare, cioè lavorare e allora non si può vivere pensando sempre al rischio di incidenti e
malattie perché sennò non vai più a lavorare e allora cosa fai ? Ti ammazzi? O vai a fare
il ladro o diventi barbone?”. C’è, insomma, una sorta di rassegnazione che è palesemente ancor più accentuata fra coloro che hanno meno tutele e che corrisponde anche
alla sensazione di isolamento e di impotenza. Sta allora qui una questione forse cruciale: sin quando il rischio di infortuni e malattie sarà confinato al rango di “problema dei
soli lavoratori e datori di lavoro”, la sensazione di solitudine e debolezza e la conseguente rassegnazione prevarranno. Il paradosso è che questa situazione non danneggia solo il mondo del lavoro, ma tutta la società poiché il fenomeno costa caro ai fondi
pubblici e, lo si riconosca o meno, lede tutta la popolazione. Sebbene - non a caso manchino studi puntuali sulle strette correlazioni fra infortuni e malattie professionali da
un lato e l’inquinamento, i danni ecologici, la circolazione e il consumo di prodotti derivanti da attività insicure, dall’altro lato, è comunque palese che laddove regna l’insicurezza sul lavoro, si afferma anche l’ibrido fra legale e illegale e si arreca danno all’intera società (si pensi ai bambini che nascono malati o deformi nelle zone industriali nei
pressi di Siracusa, a Porto Marghera, a Taranto, a Gela, a Casale Monferrato e altrove).
Come osserva qualche intervistato, “la verità è che a morire, a infortunarsi e ad
ammalarsi per il lavoro sono sia i piccoli imprenditori e gli artigiani, sia gli operai; forse
anche i grossi padroni, i banchieri o i politici si ammalano di stress, ma non c’è paragone è sempre chi sta in basso che ha la peggio e perché cosa? Per guadagnare qualcosa di più o addirittura per sopravvivere ... la società se ne frega di chi muore e di chi si
ammala. Solo le vittime e i loro famigliari piangono e soffrono certe volte senza fine. Ma
non è per l’avidità o la corsa a comprarsi anche le ultime fesserie alla moda che succedono queste disgrazie; oggi come oggi è prima di tutto perché non esiste lavoro senza
rischio sennò non lavori”.
Sarebbe inoltre interessante riflettere su alcuni fatti in apparenza banali ma probabilmente molto significativi. Ad esempio: come spiegare il successo della lotta contro il
fumo? Nessuno avrebbe immaginato che un paese come l’Italia, generalmente considerato indisciplinato, avrebbe adottato in pochissimo tempo comportamenti quasi dappertutto rispettosi del divieto di fumo. È noto che non si tratta di una vittoria della
repressione delle trasgressioni, né della paura delle sanzioni, quanto soprattutto del
frutto della mobilitazione spontanea di tutta la società - e in primo luogo dei non fumatori - che ha indotto i fumatori a sentirsi in dovere di rispettare il divieto. Lo stesso si
potrebbe dire a proposito del rispetto della norma riguardante le cinture di sicurezza in
automobile e il casco per la motocicletta. Allora perché questo tipo di successo dovrebbe essere impossibile nel campo degli incidenti stradali, degli infortuni sul lavoro e delle
malattie professionali? Ogni anno in Italia vengono denunciati più di novecentomila
infortuni e circa 25.000 malattie professionali; considerando il numero dei nuclei familiari coinvolti .. come mai non si riesce a innescare alcuna mobilitazione che possa portare non tanto all’utopia degli “incidenti zero” o dell’“insorgenza malattie professionali
zero”, ma che quantomeno produca una ragionevole riduzione di tali casi? Questa
domanda ci consente di ipotizzare che gli stessi lavoratori siano spesso poco consapevoli della valenza politica del problema infortuni e malattie professionali, nonché della
sua portata purtroppo universale38. Sarebbe quindi auspicabile che il discorso corrente
38
Ovviamente lo stesso vale per ciò che riguarda la sensibilità degli abitanti di un quartiere o di un comune
rispetto ai rischi derivanti dall’inquinamento. In certi casi è palese che gli abitanti fanno finta di ignorarlo perché temono la svalutazione delle abitazioni che hanno acquistato con tanti sacrifici!.
114
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 115
sulla cosiddetta “cultura della sicurezza” e sulla “cultura del lavoro”, anziché restare tra
addetti del settore, lavoratori, datori di lavoro e altri soggetti del mondo produttivo e dei
servizi, abbracciasse anche la dimensione politica di tutte le attività economiche in
quanto aspetti costitutivi dell’intera vita sociale e quindi della sanità privata e pubblica.
Una nota particolare meritano gli immigrati il cui numero fra le vittime di infortuni e
malattie è inevitabilmente destinato ad aumentare, restando comunque parzialmente
noto soprattutto quando si tratta di lavoratori stranieri “clandestini”. Il fenomeno è
conosciuto ed emblematico: l’immigrazione ha una “funzione specchio”, è cioè rivelatrice di una realtà in cui gli immigrati patiscono le condizioni peggiori, ma della quale
anche gli italiani meno tutelati subiscono le conseguenze39. Allora, appare più che mai
sconcertante la continua tendenza alla criminalizzazione dei clandestini (chi ha interesse che rimangano tali impedendo loro l’accesso alla regolarità e riproducendo questa
“categoria”?). Il messaggio più o meno consapevole di quei lavoratori che lamentano
l’isolamento, l’impotenza e la rassegnazione ma che reclamano aiuto e auspicano la
ripresa dell’agire collettivo può essere condensato nell’auspicio di una mobilitazione
politica, cioè di tutta la società, contro gli infortuni e le malattie professionali, garantendo un impegno diffuso e capillare in tal senso.
39
Come è ben mostrato nel film “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, ancora negli anni ’60 la sorte di alcuni
lavoratori clandestini (italiani) morti nei cantieri era quella di essere poi gettati in campagna, così come oggi
avviene per alcuni stranieri.
115
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:43
Pagina 116
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:44
Pagina 117
Allegati
Domande questionario
1) Cosa pensa degli infortuni sul lavoro e delle malattie connesse a questo?
(domanda generica iniziale per cominciare a parlare ... a meno che si sia già parlato ...)
2) Ha avuto mai esperienze di infortuni o malattie connesse al lavoro?
(se si, chiedere di raccontare tutto, quando, come, perché, cosa ha fatto, cosa avrebbe voluto
fare, cosa non ha potuto fare, a chi s’è rivolto, chi l’ha aiutato, che insegnamenti ne ha ricavato ...
ecc. –fare parlare e stimolare il racconto solo se necessario-)
3) Suoi familiari, amici o conoscenti hanno avuto mai esperienze di malattie o infortuni del lavoro?
(se si, come prima farsi raccontare tutto)
4) Quali sono secondo Lei le cause delle malattie e degli infortuni sul lavoro?
(se necessario stimolare la risposta con “mezze domande” tipo : per troppa fatica accumulata? per
troppa ansia? Perché si pensa ad altro? Per mancanza dei sistemi di sicurezza? Per ritmi troppo
veloci? Per aver dormito troppo poco la sera prima ? Per aver bevuto troppo ? Per essere andato
in discoteca? Per aver fumato uno spinello? Per aver provato droghe? Per mostrare di essere più
produttivo? Perché aveva litigato con la fidanzata/la moglie, un vicino/un parente/un amico/un collega o qualcun altro? Perché era incazzato per ...? Cos’è la distrazione? Perché si è distratti?)
5) Chi sono secondo Lei le persone più a rischio di malattie o di infortuni sul lavoro?
(se necessario stimolare la risposta con “mezze domande” tipo : giovani, “gente che si droga” o
beve, “anormali” in che cosa? ecc.)
6) In quali settori secondo Lei si rischia di più le malattie o l’infortunio sul lavoro?
7) Quali sono secondo Lei i mestieri nei quali si rischia di più le malattie o l’infortunio sul lavoro?
8) Secondo Lei quando si rischia di più malattie o infortuni sul lavoro?
9) Secondo Lei di chi è la colpa delle malattie o dell’infortunio sul lavoro?
10) Cosa ha fatto per far rispettare nella sua impresa le norme della sicurezza sul lavoro?
11) Lei conosce i diritti e i doveri dei datori di lavoro e dei lavoratori riguardanti la sicurezza nel
lavoro?
12) Se per disgrazia (“facciamo scongiuri” !) succede un infortunio a qualcuno dove Lei sta lavorando cosa farebbe?
13) Se per disgrazia (“facciamo scongiuri” !) succede un infortunio sul lavoro sa a chi deve rivolgersi?
14) Secondo Lei le norme della sicurezza sul lavoro riguardano solo il datore di lavoro e i lavoratori o anche tutta la società? (per testare la sua consapevolezza sulle correlazioni fra sic. del lavoro e sic. dei prodotti del lavoro e dell’ambiente in generale)
15) Ha avuto mai a che fare con incidenti domestici ? (se si, farsi raccontare episodi significativi)
16) Ha avuto mai a che fare con incidenti stradali ? (se si, (se si, farsi raccontare episodi significativi e chiedere se sa eventualmente come si fa a soccorrere i feriti)
17) Lei conosce le norme per la sicurezza sul lavoro come il codice della strada?
18) I suoi familiari conoscono le norme e le regole per evitare incidenti domestici?
(eventualmente ricordare : non solo gli impianti a norma ma anche prevenzione non solo per i
bambini .. nell’uso di elettrodomestici, asciugacapelli, ecc, o inquinamento elettromagnetico ...)
19) Cosa si dovrebbe fare secondo lei per migliorare la sicurezza sul lavoro?
20) Vuole aggiungere altro?
117
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:44
Pagina 118
Domande questionario a datori di lavoro
(il datore di lavoro può essere una persona del tutto ignorante ossia incosciente o inconsapevole
o non conoscente di ciò che significa e implica sicurezza del lavoro; allora cercare di capire: se
non si rende conto dei rischi che lui corre non solo per le sanzioni che potrebbe subire, ma per
l’esistenza stessa della sua attività e anche per lui stesso ...; capire se tende a pensare che la
“colpa” è di certi lavoratori ... se questo corrisponde a una sua autogiustificazione e al “comune
sentire” della sua cerchia sociale di datori di lavoro; farsi raccontare anche come percepisce i controlli, le sanzioni, le nuove norme ... se s’è fatto raggirare da qualche pseudo-consulente della
sicurezza ...)
1) Cosa pensa delle malattie e degli infortuni sul lavoro?
(domanda generica iniziale per cominciare a parlare ... a meno che si sia già parlato ...)
2) Ha avuto mai esperienze delle malattie e d’infortuni sul lavoro?
(se si, chiedere di raccontare fatti più significativi, quando, come, perché, cosa ha fatto, cosa
avrebbe voluto fare, cosa non ha potuto fare, a chi s’è rivolto, chi l’ha aiutato, che insegnamenti
ne ha ricavato ... ecc. –fare parlare e stimolare il racconto solo se necessario-)
3) Suoi familiari, amici o conoscenti hanno avuto mai esperienze delle malattie e di infortuni sul
lavoro? (se si, farsi raccontare fatti significativi)
4) Quali sono secondo Lei le cause delle malattie e degli infortuni sul lavoro?
(se necessario stimolare la risposta con “mezze domande” tipo : Perché si pensa ad altro? Per
troppa ansia? Per aver dormito troppo poco la sera prima? Per aver bevuto troppo? Per essere
andato in discoteca? Per aver fumato uno spinello? Per aver provato droghe? Perché aveva litigato con la fidanzata/la moglie, un vicino/un parente/un amico/un collega o qualcun altro? Perché
era incazzato per ...? Cos’è la distrazione? Perché si è distratti? Per mostrare di essere più produttivo? Per mancanza dei sistemi di sicurezza? Per ritmi troppo veloci? per troppa fatica accumulata? ecc.)
5) Chi sono secondo Lei le persone più a rischio di malattie e infortuni sul lavoro?
(se necessario stimolare la risposta con “mezze domande” tipo : giovani, “gente che si droga” o
beve, “anormali” in che cosa? ecc. )
6) In quali settori secondo Lei si rischia di più malattie o l’infortunio sul lavoro?
7) Quali sono secondo Lei i mestieri nei quali si rischia di più malattie o l’infortunio sul lavoro?
8) Secondo Lei quando si rischia di più malattie o l’infortunio sul lavoro?
9) Secondo Lei di chi è la colpa dell’infortunio sul lavoro?
10) Cosa ha fatto per far rispettare nella sua impresa le norme della sicurezza sul lavoro?
(farsi raccontare)
11) Lei conosce i diritti e i doveri dei datori di lavoro e dei lavoratori riguardanti la sicurezza nel
lavoro? (cercare di capire se si rende conto dei rischi come datore di lavoro rispetto alla sua stessa attività e a lui stesso non solo per le sanzioni ... se conosce gli eventuali aiuti e vantaggi che
potrebbe avere migliorando la sicurezza nella sua impresa, se si è fatto consigliare e da chi e a
quale “prezzo”)
12) Se per disgrazia (“facciamo scongiuri” !) succede un infortunio a qualcuno nella sua impresa
cosa farebbe?
13) Se per disgrazia (“facciamo scongiuri” !) succede un infortunio sul lavoro sa a chi deve rivolgersi?
14) Quali sono le sue responsabilità e i suoi rischi in quanto datore di lavoro ? (domanda da ripetere se necessario)
118
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:44
Pagina 119
15) Secondo Lei cos’è che funzionano meglio per la prevenzione? I controlli asl, ispettori del lavoro e delle polizie? Oppure ci vuole altro? Se si cosa? (farsi raccontare sue esperienze dei controlli e quindi sua percezione di questi ....)
16) Cosa si dovrebbe fare secondo lei per migliorare la sicurezza sul lavoro?
17) Ha avuto mai a che fare con incidenti domestici? (se si, come prima farsi raccontare tutto)
18) Ha avuto mai a che fare con incidenti stradali?
(se si, come prima farsi raccontare tutto e chiedere se sa eventualmente come si fa a soccorrere
i feriti)
19) Lei conosce le norme per la sicurezza sul lavoro come il codice della strada?
20) I suoi familiari conoscono le norme e le regole per evitare incidenti domestici?
21) Vuole aggiungere altro?
Interviste
Prima dell’intervista l’intervistatore cerca di creare empatia con l’intervistato, ossia rapporto fiduciario/amichevole, di “complicità”, garantendo l’assoluto ANONIMATO. Spiegare quindi che stiamo facendo uno studio sul problema degli infortuni per capire meglio cosa si può fare per evitarli o quantomeno ridurli e che il suo contributo può essere prezioso perché è un problema di tutti!
Se l’intervistato si lascia andare e “gli viene di raccontare la sua vita”, lasciarlo parlare ma solo se
non divaga su aspetti del tutto insignificanti (e poi ricordarsi di annotare tutto nella scheda da allegare!). L’intervista può essere realizzata a più riprese anche in forma di raccolta di testimonianza
o breve storia di vita o di azienda o di cerchia amicale.
Solo alla fine fare domande più dirette e personali come : età, stato civile, scolarità, dove lavora,
da quanto tempo, che qualifica ha, che altre esperienze lavorative ha fatto, come si chiama la sua
ditta o impresa o datore di lavoro, è in regola o no o parzialmente, è stato sempre in regola, ci
sono persone non in regola dove lavora, conosce i sindacati, ecc.
Interviste “sotto copertura”
In qualche caso è inopportuno chiedere l’intervista ma si può realizzarla sotto forma di “chiacchierata” informale che l’intervistatore cercherà poi di trascrivere il più possibile fedelmente: si tratta
di casi in cui l’intervistato per diverse ragioni ha paura di esporsi o ha particolari ritrosie.
Luoghi e momenti delle interviste e della somministrazione questionari
Prima o dopo il lavoro nei pressi dei luoghi di lavoro, nei bar o luoghi di incontro fra lavoratori la
sera, i giorni non lavorativi
Ai lavoratori lontano e senza essere visti dal datore di lavoro (ovviamente!)
Agli imprenditori lontano dai lavoratori
Per i testimoni privilegiati
cercare fra: qualche ex-sindacalista o ex-leader operaio o ex-caporale, o medico di famiglia, o
personaggio locale “che sa tutto”, ecc.
119
LIBRO 24-2-09
26-02-2009
14:44
Pagina 120
Finito di stampare Febbraio 2009
Colombo Grafiche - Genova
COPERTINA 19/02/2009
26-02-2009
15:47
Pagina 2
Durata: 41’02”
Supporto: DVD Video
Formato: PAL, 4/3
Lingua: Italiano
DVD authoring: Michele Ruvioli e Lorenzo Navone
Videoricerca realizzata nell’ambito dello studio:
“Infortuni e malattie professionali: cosa ne pensano i
lavoratori?” - 2008
Scarica

Infortuni e malattie professionali Cosa ne pensano i lavoratori