Parole dal fronte Per i cento anni della Grande Guerra 1915-2015 L'esposizione in occasione dei cento anni dall'entrata dell'Italia nella Grande Guerra è stata realizzata utilizzando il patrimonio documentario posseduto dalla Sezione di Conservazione e Storia locale della Biblioteca delle Oblate, dall'Archivio del Risorgimento e dall'Archivio Storico del Comune di Firenze. Una serie di immagini e di testi coevi di diversa natura (articoli di giornale, bollettini ufficiali, vignette, cartoline) ricostruiscono il contesto storico-culturale italiano durante la prima guerra mondiale, descrivendo il clima che si respirava in quegli anni in Italia e a Firenze. L'intento è evidenziare il modo in cui i molteplici canali di informazione, esaltando la guerra come momento di unità nazionale, abbiano segnato una società e la sua epoca. Dopo lunghi e accesi scontri tra “neutralisti” e “interventisti”, il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò ufficialmente guerra all'Austria. Sembrò realizzarsi il sogno dei movimenti nazionalisti, che esaltavano il progresso della modernità e vedevano nell'intervento armato l'unica via di riscatto per la patria irredenta. Altrettanto entusiasta si dimostrava quella parte di pubblico che vedeva nella guerra l'unica via per innescare la miccia della rivoluzione sociale. Il conflitto che cominciava fu davvero il punto di frattura cruciale che segnò inesorabilmente l'inizio di un'epoca nuova. Ebbe infatti estensioni prima mai raggiunte e si svolse secondo modalità del tutto differenti rispetto al passato. L'impatto sulla società europea, che si andava allora configurando sempre più come una società di massa, fu enorme. Anche la guerra si configurò come un fenomeno di massa penetrando per la prima volta in ogni ambito della sfera pubblica e in ogni singolo aspetto della vita umana. Fu una “guerra totale” che provocò trasformazioni profonde anche negli assetti della compagine civile. Si realizzava un processo di "brutalizzazione" della vita, caratterizzato dalla concezione dell'inevitabilità della guerra: lo scontro armato era concepito come cosa giusta, necessaria per sconfiggere il nemico e difendere così la patria in nome dei valori nazionali. Parallelamente cresceva un fenomeno collettivo di banalizzazione della violenza e della sua percezione, che si manifestava in una forma di indurimento generalizzato degli spiriti. In questo contesto diventava fondamentale il mantenimento del consenso ed un ruolo centrale a proposito fu giocato dai mezzi di propaganda. La rivoluzione nella strategia bellica (non più ottocentesche battaglie frontali ma estenuante guerra di posizione), e la conseguente sperimentazione di nuovi armamenti, accelerò di gran lunga il progresso tecnologico già in atto e provocò trasformazioni profonde sul piano militare e organizzativo. Si svilupparono moderni metodi di comunicazione che, se da una parte filtravano le notizie ad uso e consumo dell'opinione pubblica, dall'altra rendevano accettabili agli occhi dei soldati alcune scelte di ordine politico e militare altrimenti ingiustificabili. Furono creati altresì uffici per la diffusione e il controllo dell'informazione, e, soprattutto, per la censura. Fecero la loro comparsa in Italia, e anche nel resto del mondo, un numero inimmaginabile di periodici, riviste, opuscoli, raccolte di immagini, volantini, illustrazioni e supplementi incentrati sull'apologia della guerra. Proprio queste sono prevalentemente le tipologie di documenti che abbiamo voluto selezionare e presentare al pubblico in questa prima mostra, che si focalizza in particolare sul contesto italiano, soprattutto sull'anno 1915 e sul periodo iniziale del conflitto. Tra i frammenti esposti, una posizione di rilievo è occupata dai cosiddetti "periodici di trincea". Con questo termine sono caratterizzate quelle riviste pensate e organizzate proprio nelle trincee, scritte da combattenti, spesso non stampate e talvolta litografate. Questi "foglietti", prevalentemente di tipo umoristico e satirico, ricchi di caricature e vignette, solitamente avevano una cadenza quindicinale o mensile. Dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917) il Comando dell'esercito e il governo italiano, che fino a quel momento si era più o meno disinteressato ad una vera e propria organizzazione e gestione dei giornali di guerra, sentirono la necessità di intervenire con azioni di propaganda diretta, che garantissero il controllo dell'informazione, soprattutto tra le file dei soldati, ormai stanchi e demoralizzati. Fu costituito allora un apposito Ufficio di propaganda presso il Comando Supremo (il servizio "P"), con diramazione presso tutti i Comandi di truppe. Lo scopo principale era diramare le linee guida di un’azione di propaganda diretta al soldato con l’intento, tra gli altri, di risollevarne lo spirito dopo la grande débacle subita sul fronte. Da questo momento aumentò il numero di giornali stampati e si incrementò il bacino di utenza tra la popolazione civile. I giornali, che venivano recapitati sul fronte insieme alla corrispondenza, spesso con mezzi di fortuna, erano graditi agli uomini per ingannare il tempo durante le logoranti attese nelle trincee. Inoltre, con poche righe ed illustrazioni efficaci, ricordavano al soldato che la guerra era necessaria, che il nemico doveva essere annientato a costo della vita in nome dei valori patriottici. Tra i periodici di trincea più celebri ricordiamo, tra quelli esposti, "La Tradotta", stampato a Mogliano Veneto e tirato in circa 52.000 copie, popolare per le irriverenti caricature che davano vita a personaggi stereotipati e idealizzati come il soldato Baldoria, il fante Mattia Muscolo e il nemico Max Pataten sempre ubriaco giorno e notte; "La Trincea", settimanale della IV Armata dei soldati del Grappa; "La Voce del Piave", settimanale dell'XI Corpo d'Armata edito dalla zona di guerra; "Bianco, Rosso e Verde", quindicinale illustrato diretto dal noto autore teatrale Giannino Antona Traversi (1860-1939) e stampato a Milano; “SignorSì” giornale dell'Armata degli Altipiani (giugno-novembre 1918) che pubblicava soprattutto racconti, novelle, poesie, e si caratterizzava per il fatto di pubblicare testi nelle tre lingue inglese, francese e cecoslovacca poiché l'armata era composta da militari interalleati. Generalmente questi giornali di trincea andavano a costituire una sorta di “lente deformante” della realtà bellica, una specie di “fabbrica dei sogni” illustrata a colori e verseggiata che portava i soldati ad immedesimarsi con gli eroi del giornale, un'identificazione tra attori principali reali e personaggi idealizzati e disegnati. Oltre ai periodici di trincea, sono presentate al pubblico alcune pagine e titoli suggestivi estratti dalle riviste e dai quotidiani nazionali del periodo iniziale della Grande Guerra. In base alla disponibilità del materiale posseduto, sono stati selezionati spezzoni tratti da “Il Giornale d'Italia", quotidiano liberale fondato a Roma nel 1901 da Sidney Sonnino (1847-1922) e Antonio Salandra (1853-1931). Altre parti di testo sono state riprese dall'"Avanti!", quotidiano fondato da Leonida Bissolati (1857-1920) nel 1896. Questo giornale rappresentò la voce storica del Partito Socialista Italiano, neutralista e antimilitarista. L'"Avanti!" si avvalse, tra gli altri, della collaborazione di Giuseppe Scalarini (1873-1948), celebre per le sue caricature di satira politica che, successivamente, gli valsero la fama di noto oppositore al regime fascista. Anche la città di Firenze, vivacissimo centro culturale e punto di riferimento per letterati e artisti, partecipava attivamente al dibattito e agli scontri tra neutralisti e interventisti. Anima del fermento intellettuale fiorentino era la redazione de "La Voce" (1908-1916), rivista politico-culturale tra le maggiori e più innovative a livello nazionale, poiché si proponeva di dare voce, appunto, alla generazione di quei giovani che identificavano sé stessi come intellettuali e che intendevano, proprio in quanto tali, assumere un ruolo definito e riconosciuto agli occhi della società moderna. Fondata da Giuseppe Prezzolini (1882-1982) e da Giovanni Papini (1881-1956), la testata si avvalse inizialmente della collaborazione di grandi personalità quali Ardengo Soffici (1879-1964), Gaetano Salvemini (1873-1957), Benedetto Croce (1866-1952), Giovanni Amendola (1882-1926), Luigi Einaudi (1874-1961). Papini e Soffici, in disaccordo con la linea prezzoliniana, si scissero in seguito da questa per dare vita al quindicinale "Lacerba" (1913-1915). Quando ad essi si unì anche Aldo Palazzeschi (1885 1974), i tre divennero gli esponenti del movimento futurista fiorentino. "Lacerba", che si dichiarava una rivista d'avanguardia letteraria, assunse ben presto una posizione dichiaratamente politica e interventista. L'ultimo editoriale di Papini è datato 22 maggio 1915 e porta il titolo "Abbiamo vinto!". Tra le riviste cosiddette "fiorentine" oltre ai già citati "La Voce" e "Lacerba" occorre menzionare anche "L'Italia Futurista" (1916-1918) ideata da Emilio Settimelli (1891-1954) e Bruno Corra (1892-1976) in opposizione proprio al gruppo dei “lacerbiani”. A cura di Alessandro Chiavistelli e Martina Verna Servizio Civile Regionale, Progetto L'immagine di Firenze dalle carte al web