Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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Prostituzione. Lotta al traffico, riduzione del danno e
autodeterminazione: dalla posizione dell’UE alla riforma della legge
Merlin.
Ufficio Nuovi Diritti
Roma, 22 Maggio 1997
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Maria Gigliola Toniollo
CGIL Nazionale - Ufficio Nuovi Diritti
Le ragioni di questa giornata di lavoro non sono una volta tanto da ricercare in una
sollecitazione dovuta alla cronaca, case chiuse-case aperte, per esempio, fasi critiche che peraltro
ricorrono tradizionalmente in modo endemico più volte nel corso dell’anno, i cosi’ detti “tormentoni”.
Questa iniziativa è stata pensata e costruita sulla base di altre importanti motivazioni. La
prima è che ci siamo resi conto -collaborando con il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, il
Gruppo Abele, la LILA e altre associazioni già da diversi anni - che molte delle nostre Camere del
Lavoro, per esempio Torino, Bologna, Milano e altre, già da tempo operano sul loro territorio in
materia di prostituzione, Torino per esempio ci aveva addirittura preceduto già ai tempi del nostro
primo incontro, mentre troppe altre sedi territoriali risultano invece totalmente assenti su questo
argomento. In particolare il sud appare molto difficile da coinvolgere.
Il motivo principale di questo incontro che è quindi essenzialmente quello di provocare una
sorta di punto di intersezione tra “domanda” di operatività e “offerta”, un’offerta che si deve
avvicinare sempre di più all’enorme potenzialità di intervento della CGIL su tutto il territorio.
Una soluzione classica e’ rappresentata dalla costituzione di un gruppo di lavoro
organizzato, sistematico, non formale, che possa lavorare in modo coordinato, istituzionalmente,
non vincolato cioè ad arbitrarietà di nessun tipo tanto meno alle cosi’ dette sensibilità dei vari
dirigenti sindacali.
A rafforzare la necessita’ di “istituzionalizzare”, sistematizzare e organizzare il lavoro
sindacale sul tema “prostituzione” si sono inoltre verificati due fatti, legati tra loro, di grande rilievo
sul piano internazionale, vale a dire la “Conferenza Interministeriale Europea sulla Tratta e il
Traffico delle Donne”, preceduta dalla “Conferenza delle Organizzazioni non Governative” alla
quale abbiamo direttamente partecipato.
Dopo tante premesse e’ chiaro quindi che questa non è un’iniziativa di discussione nel
merito della prostituzione, anche se il sindacato non si sottrae certo a compiti di approfondimento
culturale, termine forse alquanto improprio.
Vorremmo questa volta una giornata “d’azione”, persone si mettono d’accordo su come
lavorare meglio assieme.
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Vittoria Tola
Ministero Pari Opportunità
Per parlare di quello che è successo all’Aia il 23 e 24 marzo, voglio partire da una
considerazione: questo è un paese dove abbastanza frequentemente esplode sui giornali una
discussione a proposito della riapertura delle case chiuse, da diversi fronti ma, sostanzialmente,
con le medesime intenzioni e non si riesce mai a trovare né delle sedi che affrontino il doppio
problema della prostituzione e delle donne prostituite perché io credo che sul traffico sessuale a
scopo di lucro dovremmo cominciare anche a cambiare la definizione e, oltre a non trovare delle
sedi dove questa cosa si possa discutere con un minimo di serietà, anche con una conoscenza
della storia che è dietro, evidentemente, tutta la vicenda della prostituzione e della prostituzione di
Stato esiste, che ha portato fino alla legge Merlin, non c'è poi neanche una informazione
abbastanza seria, io devo dire che non conoscevo quest'articolo di Adele Cambria, la ringrazio
perché in realtà non c'è mai neanche una informazione per quanto riguarda invece luoghi e sedi di
discussione molto seri e molto approfonditi in ambito internazionale, sia di tipo istituzionale, sia di
tipo delle organizzazioni non governative, come è stato quello prima di l’Aia. I giornali italiani che
hanno tanto interesse sul problema delle case chiuse, ogni volta che invece si parla di cose a un
altro livello e anche distinguendo alcuni fenomeni, non hanno interesse evidentemente a seguire
con serietà e a riportare questi fatti. Parlo in particolare della conferenza interministeriale
organizzata dalla presidenza olandese dell'Unione Europea il 23 e il 24 marzo perché, in realtà, la
conferenza europea è stato un momento estremamente serio e estremamente importante, forse
perfino eccessivamente ambizioso che la presidenza olandese ha tentato di organizzare e poi di
governare, per far approvare da parte di tutti i governi aderenti alla Unione Europea un codice di
autoregolamentazione. Codice di autoregolamentazione che nella definizione dei trattati
internazionali è sicuramente un atto molto impegnativo che i governi sottoscrivono, oppure non
sottoscrivono, perché poi questo codice di autoregolamentazione propone e impone ai governi che
lo sottoscrivono una serie di atti e di interventi non solo di tipo amministrativo e di coordinamento
internazionale, ma anche di modifica legislativa, qualora questa venga prevista. La presidenza
olandese ha lavorato a questo appuntamento per molti mesi, voleva chiudere il semestre di
presidenza all’UE con un atto impegnativo; e nella bozza di proposta del codice di
autoregolamentazione ai paesi membri, affronta per la prima volta in modo sistematico tale
problema, andando quindi oltre quelle che erano le risoluzioni del Parlamento Europeo fatte alla
fine del '96 e poi all'inizio del '97. In tali risoluzioni il Parlamento Europeo si impegnava in una serie
di momenti estremamente significativi di cui anche qui, non so se mai qualcuno ne ha parlato nel
nostro Paese, ma insomma ci sono queste risoluzioni e queste risoluzioni affrontano tutte il
problema della tratta, cioè del traffico di donne e minori, prevalentemente del traffico di donne dai
paesi dell'est e del sud del mondo a scopi di sfruttamento sessuale. Lanciando da un lato un
grande allarme per questa nuova forma di schiavismo e di mancanza di diritti anche minimi che
questo fenomeno presuppone e dall'altro lanciando un allarme per quanto riguarda un problema di
coordinamento anche delle polizie e degli stati riguardo il problema della malavita organizzata che
evidentemente questo traffico presuppone. Perché oramai, credo che lo sappiamo tutti, il reddito
che viene ricavato dal traffico delle donne, così come dal traffico dei bambini, in realtà rappresenta
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la terza voce di finanziaria della criminalità organizzata insieme al traffico delle armi e della droga.
Quindi, indubbiamente un problema molto serio e molto grave per il quale negli ultimi mesi si sono
resi indispensabili incontri di coordinamento tra i ministeri degli interni dei vari paesi; penso a
quello dell'autunno scorso a Dublino e che, pur essendo così serio e impegnativo, non riesce poi a
diventare conoscenza e senso comune. Per tornare al codice proposto dalla presidenza olandese,
in questo codice europeo l'impegno era di arrivare a una serie di definizioni che con molta nettezza
distinguessero il problema dei responsabili della tratta dalle vittime, cioè dalle donne prostituite.
Userò sempre d'ora in poi il termine donne prostituite vorrei con questo termine far notare che il
problema della prostituzione coatta impone anche una modifica del linguaggio. Si proponeva
dunque, con una serie di misure rivolte ai paesi membri, sia di prevenire un fenomeno di questo
genere, sia di intervenire nel caso, invece, lo sfruttamento fosse già avvenuto. Misure, quindi, di
tipo legislativo, misure di tipo penale, misure di tipo sociale e misure di tipo economico. Negli
intenti della presidenza olandese, e poi dei paesi membri che l'hanno discusso c’è la necessità
della netta separazione tra la responsabilità degli autori della tratta e le donne e le vittime. Tale
necessità di separazione aveva ragioni molto serie e molto forti, sia per impedire che la questione
della tratta ricadesse in qualche misura nel dibattito sul problema di quali forme legislative o penali
nei vari stati si stanno discutendo riguardo la prostituzione, sia perché non effettuare tale
separazione ha sempre come effetto pericolosissimo quello di indurre a considerare il problema
della prostituzione come reato. La mancanza di tale separazione genera la tendenza ad introdurre,
anche nelle situazioni come la nostra dove secondo la legge Merlin la prostituzione non è reato,
una fattispecie che in qualche misura poi trova una forma di penalizzazione. Allora, la discussione
in realtà si è sostanzialmente incentrata su questo punto e si è incentrata sul fatto se era giusto e
corretto che i governi prevedessero, anche nella definizione molto netta delle responsabilità e delle
differenze del fenomeno, delle forme di aiuto, la cosiddetta giustizia premiale, alle donne che
riuscivano ad uscire dal traffico e addirittura aiutavano nella lotta contro il traffico e i gestori della
tratta. Da parte di molti stati, in particolare da parte dei Ministeri Di Grazia e Giustizia dei vari stati,
è stato osservato che in realtà introdurre una misura in qualche modo "premiale" significa quindi
concedere alle donne che riescono a uscire dalla tratta delle condizioni di particolare favore, sia
nel senso della protezione, sia nel senso del processo, sia nel senso di aiuti anche economici o
sociali, prevedendo quindi una serie di misure che la Presidenza olandese propone in modo molto
preciso e molto dettagliato quali: l'anonimato, naturalmente il permesso di soggiorno qualora
questo non ci fosse per i problemi legati alla immigrazione clandestina o, addirittura, alla
sottrazione di documenti e passaporti che, come sappiamo, spesso avviene nel traffico delle
ragazze albanesi ma anche delle altre donne e giovani e meno giovani che vengono dai vari paesi
dell'est e del sud del mondo Il problema è, appunto, assicurare l'anonimato, dare nuovi documenti,
fornire una nuova identità, assicurare un permesso di soggiorno di una durata ragionevole, creare
una serie di condizioni per cui queste donne godano sia di protezione, qualora questa si rendesse
necessaria, ma anche di aiuti di tipo economico e abitativo. In qualche misura veniva introdotto un
principio che, in misura molto più attenuata, esiste anche nella attuale legge in discussione al
Parlamento Italiano, per quanto riguarda l'immigrazione italiana, che prevede una sorta di aiuto e
quasi di risarcimento per le donne che sono state ingannate e costrette alla prostituzione, un
risarcimento di danno morale per ripristinare condizioni minime di salute psicofisiche (riduzione del
danno), e anche un minimo di risarcimento con una condizione di particolare favore nel trovare
abitazione e lavoro. E’ chiaro e non va mai dimenticato che questa proposta è una proposta che
viene dalla presidenza olandese, quindi all'interno di uno Stato e di una situazione sociale che
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pensa di poter sostenere una situazione di questa natura e di poterla anche governare, cioè di non
proporla in termini demagogici ma di poter concretamente operare in questo senso. A questa
proposta c'è stata immediatamente una contrapposizione molto forte da parte di una serie di
Ministeri di Grazia e Giustizia e di molti Ministeri degli Interni. E' stato obiettato che in realtà
introdurre criteri di questo genere in un codice di autoregolamentazione per gli stati a livello
europeo, significava condizionare pesantemente delle legislazioni già esistenti, come per esempio
la nostra, e significava inoltre condizionare il Governo e il Parlamento ad approvare o a modificare
delle leggi senza avere la garanzia che questo fosse possibile nelle condizioni culturali e politiche
e anche per i rapporti di forza che nell'ambito di ogni paese esistono. Ed inoltre questa cosa
avrebbe introdotto, è stato detto a chiare note, una disparità di trattamento molto ineguale e anche
discutibile, per lo meno da molte parti, rispetto ad altre situazioni sociali che avrebbero avuto
bisogno anch’esse di attenzione e di politiche di sostengo. Per esempio viene fatto l'esempio degli
spacciatori che vogliono uscire dal traffico della droga, dei tossicodipendenti che vorrebbero
sottrarsi e che però anche loro avrebbero bisogno di una serie di condizioni e di aiuti per farlo.
Quindi l'idea di costruire delle misure particolari a favore delle donne prostituite che cercavano o
che erano in grado di uscire dalla tratta e non operare proposte dello stesso tipo per altre figure
sociali in difficoltà anche se naturalmente diverse, appariva come un problema che la legislazione
attuale e anche la legislazione successiva non avrebbe potuto reggere. In realtà, queste obiezioni,
in qualche misura comprensibili, si sono poi legate al fatto che questo tipo di persone non
potevano essere trattate nelle forme previste dalla bozza olandese, per esempio il fatto che
comunque nel corso del dibattimento dovessero essere informate di tutto e di tutte le cose che le
riguardavano e dell'andamento del processo nella loro lingua madre, non in una lingua conosciuta
ma nella loro lingua madre, come obiettato da molti, poneva dei problemi per certi versi
insormontabili perché appunto non sempre è possibile conoscere esattamente la lingua madre con
tutte le sfumature che magari in una particolare realtà comporta. Inoltre il problema del
risarcimento e del finanziamento delle spese del giudizio civile o del processo penale, creava
anche qui un aggravamento della situazione attualmente esistente nella legislazione e inoltre non
era assolutamente pensabile, con la legislazione vigente, informare queste donne riguardo i
problemi di sicurezza per esempio qualora le persone coinvolte nella tratta che sono state
arrestate e messe in galera fossero per qualche ragione uscite di prigione. Quindi i problemi di
merito, come vedete, sono più di uno. Da tutto questo è nata una discussione molto forte e anche
molto vivace e che ha avuto anche delle ripercussioni nell'ambito della settimana dell’ONU sulla
condizione femminile, perché contemporaneamente alla preparazione della conferenza dell’Aia,
c'è stata la sessione dell’ONU sulla condizione femminile nel mondo e nella sessione dell’ONU
sulla condizione femminile nel mondo il problema della tratta e del traffico delle donne a scopo di
lucro, posto da molte realtà del nord e del sud del mondo, è riemerso in una forma molto forte. In
quella occasione si sono affrontati anche alcuni dei temi che nel documento della presidenza
olandese venivano posti in modo particolare per l'Europa. Nell’ONU, nonostante ci fosse tra l'altro
una convinzione molto forte della necessità di combattere questo fenomeno con tutti gli strumenti
sociali, culturali, politici e istituzionali a disposizione, quando però le donne filippine hanno
presentato un documento in questo senso, secondo le "buone leggi della diplomazia
internazionale", nessuno si sentiva di votare questo documento perché prima avrebbe dovuto
essere condiviso dagli stati e dai governi di appartenenza questo perché la rappresentanza
all’ONU non è una rappresentanza di ONG ma è una rappresentanza istituzionale degli stati. Lì c'è
stata una discussione piuttosto vivace, e quello che ha in qualche modo rotto il meccanismo di tutti
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gli stati europei che tentavano di defilarsi da questa discussione è stato il fatto che le
rappresentanti, il Ministero delle Pari Opportunità che erano presenti alla conferenza hanno deciso,
contro le regole della "buona educazione diplomatica", di votare il documento delle donne filippine,
e questo ha rotto l'incantesimo perché a quel punto molte altre donne hanno deciso di votare il
documento e di firmare il documento delle filippine che poi, se volete, vi fornirò. Questo
documento e tutta la discussione poi è tornata all’Aia ma intanto sull’Aia si erano addensati altri
problemi, al di là delle obiezioni di merito sul codice di autoregolamentazione e delle posizioni che
riguardavano i problemi che vi ho detto prima, e nonostante ci fosse una condivisione molto forte
della necessità di una definizione più puntuale del fenomeno della tratta, di trafficking, come viene
chiamata nei documenti e della cooperazione internazionale e di una legislazione anche
internazionale più puntuale e più precisa di una collaborazione tra stati, in realtà, nonostante questi
fatti e nonostante l'assoluta vertenza della gravità del fenomeno e di quello che appunto
comportava anche a livello di delinquenza organizzata, alla fine è emerso che almeno tre stati, non
tre Ministeri ma tre stati, erano assolutamente contrari al codice di autoregolamentazione: era
contraria l'Inghilterra, era contraria l'Irlanda ed era contraria la Francia. Apparentemente per motivi
molto diversi, in sostanza però tutti preoccupati dal fatto che si affrontasse il problema della tratta
prima di affrontare una regolamentazione interna a questi stati riguardo la prostituzione in quanto
tale e quindi proponendo una confusione molto forte dei due terreni, secondo noi non occasionale,
e invocando il fatto di una ridefinizione, una regolamentazione di quella che io chiamo la
prostituzione di Stato, non mi viene altro termine, cioè di come lo Stato deve intervenire sulla
prostituzione sia in termini di case chiuse, tipo italiano, sia in termini di eros center di altri paesi, sia
in termini di quartieri a luci rosse. Tutto questo perchè tali ministri erano fortemente preoccupati
delle condizioni imposte dal partito dell'ordine e della sensibilità alla sicurezza e al buon costume
che evidentemente in questi paesi si stavano particolarmente agitando da diverse parti politiche e
che, guarda caso, coincideva con momenti elettorali molto delicati. Si è creata, quindi, una
situazione all’Aia nell'ultima riunione preparatoria e poi nel momento vero e proprio della
conferenza, di grandissima conflittualità perché in realtà questi paesi poi volevano non solo che
non si arrivasse a un codice di autoregolamentazione, ma che la conferenza non avesse luogo e
quindi non approdasse ad alcun tipo di soluzione. La richiesta abbastanza esplicita è stata di
fermare tutto e di rimandare a data successiva. Abbiamo così poche occasioni di vantarci delle
cose che facciamo che credo sia giusto dire che l'intervento del governo italiano e in particolare
della Ministra Finocchiaro, invece è stato determinante primo per mantenere la conferenza;
secondo, per mantenere un asse estremamente fermo sul problema del traffico e quindi lavorare
perché non si confondessero e si sovrapponessero il problema della regolamentazione
internazionale e nazionale sulla tratta ed i problemi che ogni singolo paese ha riguardo la
prostituzione, tale intervento poi è stato fondamentale affinché si riuscisse a trovare una
mediazione onorevole che comunque portasse avanti il dibattito e non solo salvasse le risoluzioni
precedenti del Parlamento Europeo ma comunque condizionasse i vari governi nazionali alla
cooperazione, alle misure sociali, all'aiuto in tutti i casi possibili e a misure evidentemente anche di
tipo penale che sono questioni assolutamente fondamentali nell’ambito della tratta. Questo ha
consentito che si facesse la conferenza e alla fine la mediazione è stata non nel fatto di fare un
documento che fosse un codice di autocomportamento, ma in una dichiarazione di tutti gli stati
dell'Unione Europea che è uno strumento indubbiamente più leggero, cioè meno vincolante, che
lascia evidentemente maggiori spazi alle legislazioni nazionali anche se rimane molto fermo il
problema della cooperazione per quanto riguarda la parte della delinquenza organizzata e del
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traffico come racket e di alcune misure premiali per le donne che vogliono uscire, che si trovano in
condizione di uscire o di denunciare i loro sfruttatori, non esattamente nella misura in cui era stato
previsto con molte attenuazioni: si parla per esempio riguardo il processo di un'interprete che
conosca una lingua comprensibile alla donna, si parla naturalmente del fatto del permesso di
soggiorno però non si parla più del fatto che la donna deve essere informata tempestivamente
qualora il suo sfruttatore uscisse di galera. Ci sono dunque alcune norme che sono diventate più
blande nelle misure: si parla per esempio di un permesso evidentemente rinnovabile, si parla di
una serie di cose ma non è quel pacchetto così organico e così preciso e, secondo me,
decisamente più efficace che era stato previsto inizialmente. Questo però ha consentito che la
conferenza si facesse, che la dichiarazione fosse firmata da tutti gli stati membri e quindi ha
consentito di avere uno strumento che indubbiamente oggi è a disposizione anche per le azioni di
tipo politico-istituzionale che si vogliono fare nell'ambito delle varie realtà nazionali, senza
considerare che anche il documento delle filippine che poi è diventato il documento della sessione
dell’ONU, aiuta in questo senso. Di questo i giornali italiani non hanno parlato; c'è stato un grande
riconoscimento europeo per la posizione italiana, c'è una posizione molto forte del governo
olandese a aiutare in tutti i modi qualunque progetto, anche economico, che vada nella direzione di
aiutare delle donne a uscire dal racket della tratta, a cominciare evidentemente dalla questione
dell'Albania, le albanesi infatti in alcuni paesi rappresentano la maggioranza delle donne
prostituite. Lo sono nel nostro perché, anche se i dati non sono sempre perfettamente aggiornati
però sia il lavoro fatto da Parsec, sia il lavoro fatto da molti gruppi in varie parti d'Italia,
prevalentemente cattolici ma non solo, penso al gruppo Abele, alle Caritas, al gruppo Migrantes, al
rapporto tra Caritas e centro antiviolenza del Comune di Bologna e ad altre cose del genere,
dimostrano che in realtà il fenomeno della prostituzione coatta nel nostro Paese ha come
prevalenza le figure delle donne albanesi e dell'est europeo; in particolare delle donne albanesi
anche con un decremento di età molto forte, man mano che si va avanti, e di donne africane che
sono le Zairesi e le nigeriane, con entità ma anche con caratteristiche di organizzazione della tratta
che sono diverse per i diversi paesi, gli effetti sono uguali ma il meccanismo con cui si organizza,
per esempio, la tratta delle nigeriane è sicuramente cosa molto diversa dal meccanismo con cui si
organizza la tratta delle albanesi. Questo fenomeno che appare di entità pazzesche, a sentire
alcuni quando vogliono invocare legge e ordine, in realtà a guardare le cifre, è sempre un fatto
assolutamente rilevante, non voglio essere equivocata su questo dato, è però un dato che, a
fronte dell'intero campo della prostituzione, riguarda alcune migliaia di donne, con un'aggravante
che dicevo prima che è quella che, per esempio, per le albanesi l'età è sempre decrescente e le
forme di sfruttamento di queste donne sono sempre più violente perché non c'è solo l'inganno,
l'ambiguità, il ritiro dei documenti ma le forme del rapimento, della violenza fisica, dello stupro,
sono uno degli elementi di condizionamento e di uso normale per mantenere queste ragazze e
queste donne sulla strada. Sono sulle 3.000, che sono comunque una cifra in assoluto terribile, ma
che a fronte delle 35.000 che si considerano nell'ambito della prostituzione dovrebbero
apparentemente far gridare meno molte persone, sono in realtà un fenomeno terribile se le si
considera nella loro caratteristica, nella loro specificità umana, nelle forme di violenze terribili che
vengono esercitate nei loro confronti. Da questo punto di vista, io dico che all’Aia è stato
assolutamente importante e determinante il lavoro fatto dalle ONG e il documento finale delle ONG
che si sono riunite in quella città dal nome impronunziabile, perché quel documento porta con una
nettezza assolutamente solare il fatto che nell'analisi, e quindi nelle politiche e nelle misure che
sulla tratta bisogna adottare, il problema non è la prostituzione in quanto tale e che la questione
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non è quella dell'immigrazione, molti dei governi si rifiutano di pensare a misure particolari perché
dicono che questo in qualche misura significherebbe agevolare o comunque incrementare o dare
condizioni migliori a chi vuole fare immigrazione clandestina perché può essere una forma che può
essere usata anche per ottenere il permesso di soggiorno, quando invece non se ne avrebbe
diritto secondo le norme vigenti, ma il problema è quello della tratta. Il documento delle ONG,
appunto, dice con assoluta chiarezza che il fenomeno della tratta e dello sfruttamento delle donne
appartiene alla dimensione della violenza e non alla dimensione della sessualità e
dell'immigrazione e che quindi, esattamente nei termini della violenza e della eliminazione di
qualunque diritto umano primario, questo fenomeno va visto e va considerato di conseguenza.
Questo documento, che inizialmente non si voleva prendere neanche in considerazione e che
addirittura aveva suscitato anche l’allarme di alcuni parlamentari europei italiani che affermano che
ciò aprirebbe la porta al problema dell'autodeterminazione, del self control, dell'autogestione del
proprio corpo e quant'altro; in realtà sul problema della tratta è stato determinante a far ragionare e
a convincere molti rappresentanti dei vari governi europei che forse il cambiamento di ottica e una
dimensione critica diversa era assolutamente necessario perché altrimenti si sarebbe piombati in
una situazione inaccettabile con delle proposte che non avrebbero avuto sostanzialmente nessuna
efficacia per combattere il racket. L'ultima cosa che voglio dire sul racket è questa: da tutte le
segnalazioni, e soprattutto da chi lavora in relazione diretta con i gruppi che si occupano delle
donne prostituite, appare abbastanza evidente che i fenomeni del controllo di queste donne negli
anni è cambiato: non esistono più i protettori, i "magnaccia" legati alla delinquenza organizzata ma
ci sono apparentemente una serie di figure o di "balordi" che si organizzano in proprio per trarre da
donne - le cosiddette proprie donne, da donne della propria famiglia, o conosciute, le ragazzine
albanesi amiche o quant'altro, o conosciute attraverso le varie figure dell'intermediazione nigeriana
- un profitto. Il mutamento avviene nell'87; in questo anno viene lanciato l'allarme del fatto che
l’AIDS si propaga anche per via eterosessuale, non è più problema che riguarda le categorie a
rischio. Il fatto che si propaghi per via eterosessuale, in realtà tradotto significa semplicemente una
cosa: che di solito viene trasmesso da maschi che hanno avuto rapporti con ragazze
tossicodipendenti a donne con cui hanno rapporti di matrimonio, di convivenza, sessuali e
quant'altro. Questo fa scattare un allarme in chi controlla la prostituzione e cioè il fatto che
evidentemente l'allarme creato negli uomini italiani, non rende più appetibile il problema delle
ragazze tossicodipendenti e quindi c'è una contrazione del mercato. Questa contrazione del
mercato porta alla necessità di buttare sul mercato altre figure: si organizzano prima le nigeriane a
Torino, poi via via il resto d'Italia, poi si organizzano le albanesi, quindi carne sana, carne più
giovane e carne più sana per restare in una dimensione di "bassa macelleria". Questo fatto oggi
per le albanesi viene controllato dai "balordi" che più o meno tutti coloro che si occupano di
prostituzione apparentemente conoscono e tutti denunciano il fatto che poi i soldi raccolti con lo
sfruttamento di queste donne e di queste ragazze viene in parte rimandato in patria alle famose
rimesse, e in parte riciclato attraverso vari canali sia sull'eroina o sulle droghe più pesanti, sia per
entrare in affari con pezzi della malavita organizzata in Italia. Sta cominciando però a emergere
un'altra idea e cioè che questa delinquenza apparentemente così minima e così sbandata e così
fatta di "balordi" che, per altro verso, sono anche più feroci e più cattivi nel controllo di queste
donne, non sia poi così spontanea come appare; che in realtà sia in qualche modo funzionale al
fatto che nella modifica delle grandi organizzazioni criminali - penso a mafia e camorra, in
particolare - ci sia invece un'idea che non è più solo basata sul controllo del proprio territorio
tradizionale, ma che ha bisogno di uscire dai confini tradizionali e di espandersi, e che il primo
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modo di espansione sia nel non apparire come una grande organizzazione ma apparire attraverso
la capacità, intanto di raccolta di danaro e poi di controllo di piccole porzioni sparse del territorio
attraverso, appunto, la prostituzione coatta. Questa è una mia ipotesi, non c'è ancora un lavoro in
questo senso; viene come ipotesi dopo il primo momento di riflessione su queste cose da parte di
molti gruppi e di molte associazioni che lavorano nel campo creando anche tra l'altro una
grandissima preoccupazione perché se è già preoccupante il fenomeno in sé, è tanto più
preoccupante se si pensa che fa parte di una strategia che ha poi funzioni e scopi multipli e
assolutamente tutti pessimi. Ecco, questo è sostanzialmente il quadro che emerge dalla
conferenza dell’Aia e che riconsegna poi a noi il che cosa fare evidentemente nel nostro Paese,
senza abbandonare la dimensione internazionale che evidentemente è una dimensione in cui
bisogna continuare fortissimamente ad agire. Non è un caso che per esempio abbiamo proposto
che gli aiuti per quanto riguarda l'Albania e il lavoro delle ONG scelgano in modo prioritario e
privilegiato il rapporto, il finanziamento di quei programmi che sono gestiti da donne, non che si
rivolgono alle donne ma che sono gestiti dalle donne, che ridia in qualche modo potere di
decisione e valorizzazione della loro capacità di gestire non l'emergenza ma di radicarsi con
progetti che le fanno padrone della loro vita e, in qualche modo, determinanti nelle scelte anche
delle politiche delle più giovani e del loro territorio. Questo è un primo problema ed è già un lavoro
in atto; non è un caso che su questo per la prima volta si è stabilito a priori un rapporto con le
donne del forum delle donne albanesi chiedendo a loro di decidere in che termini e in che modi si
può lavorare a questo, non pensando che sono le donne degli altri paesi che possono risolvere il
problema della tratta delle ragazze albanesi se le donne albanesi, in prima persona, non
intervengono e non controllano quel tipo di situazione, quindi anche uscendo da questa idea che
bastano le nostre...
***
...è come informare l'intero governo italiano e l'intero Parlamento Italiano di quello che
all’Aia è scaturito e degli impegni che evidentemente questo pone. Dopo l’Aia, poiché nessuno ne
aveva parlato, il Ministro Finocchiaro ha chiesto a Prodi di convocare, finalmente, quella
commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio che dovrebbe trattare di questo
argomento e dovrebbe definire delle proposte e delle scelte e di farlo al più presto, sta inoltre
valutando, anche con i responsabili dei due rami del Parlamento, se fare una commissione, una
seduta congiunta delle due commissioni, Giustizia e Affari Sociali, di Camera e Senato dove
riproporre quanto dall’Aia è scaturito. Anche per informare i nostri parlamentari di quelle che sono
le caratteristiche del fenomeno italiano per far sì che, prima di ogni altra discussione, si affronti
esattamente il problema del racket e delle donne prostituite, affrontando quindi anche con maggior
conoscenza di causa quello che è il problema della prostituzione e della modifica della Merlin da
più parti invocata, a volte positivamente invece a volte assolutamente malamente. A noi sembra
che solo col ragionamento sulla tratta si riesca a fare chiarezza su una serie di punti che rischiano
invece di essere molto confusi e molto ambigui. Sulla prostituzione l'ultima cosa che voglio dire,
perché penso che interverranno persone che hanno molto più da dire di me su questo terreno,
voglio ricordare, visto che siamo in una sede della CGIL, che nella sinistra italiana nessuno, ma
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dico nessuno, più sa che cosa è stata la battaglia per arrivare alla legge Merlin, perché si è arrivati
alla legge Merlin e come la battaglia della sinistra, non solo della sinistra di classe ma della sinistra
liberale, della sinistra storica, a cominciare da Morelli nel primo parlamento italiano, e quindi sto
parlando del 1860, non sto parlando del 1997, di che cosa Morelli ha rappresentato nel primo
Parlamento Italiano. E quindi, il fatto che nessuno sappia più che cos'è la Merlin crea un equivoco
drammatico rispetto invece alla differenza sostanziale delle varie proposte. Il fatto che questa
storia sia assolutamente cancellata e dimenticata, non permette neanche a molte donne di
ricordare che tutto il movimento suffragista e tutto il movimento di libertà femminile che comincia
alla fine del '700 fino alla conquista del diritto di voto, si intreccia fortissimamente con la battaglia
per l'abolizione delle leggi sulla prostituzione di Stato, le cosiddette leggi sanitarie. E questo è un
grandissimo problema perché poi sembrano fatti assolutamente nuovi e particolarmente intelligenti
cose che sono delle idiozie assolute, come la proposta della regione Veneto di ristabilire le visite
sanitarie obbligatorie sulle prostitute o cose dello stesso tipo perché, a parte l'assoluta impossibilità
di tali visite, le leggi sanitarie nascono all'interno di un certo contesto e di un certo meccanismo di
controllo delle donne da parte dello Stato prima ancora che della prostituzione e di garanzia agli
uomini che ricorrono alle prostitute della loro salute invece che della salute delle donne che, per
necessità o per scelta, si prostituiscono. Questo rappresenta un grandissimo problema. Noi,
quando abbiamo cominciato a ragionare con Gigliola su questo incontro, avevamo pensato all'idea
di fare una relazione che raccontasse questa storia perché, secondo noi, varrebbe la pena
conoscere e il fatto che non ci siano luoghi di discussione seria impedisce che questa storia venga
tramandata e quindi utilizzata nel modo migliore.
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Vittorio Agnoletto
LILA - Lega Italiana Lotta AIDS
Mi pare che a me spetti il compito di illustrare alcune delle iniziative concrete che la LILA,
insieme al comitato per i diritti civili delle prostituzione e alcune realtà locali, sta realizzando. Mi
permetterò, prima di illustrare questo, di fare solo tre osservazioni su alcuni temi estremamente
interessanti che sono stati posti. Il primo, e riparto proprio dall'ultima frase di Vittoria Tola, è la
vicenda della regione Veneto che però trova un paragone in Europa ad esempio nella Grecia: uno
dei problemi che noi abbiamo nei progetti europei, che poi illustrerò, è che la Grecia ha dei registri
dentro cui si devono iscrivere le prostitute, queste prostitute sono sottoposte periodicamente a
degli esami che le autorizzano a svolgere il lavoro più o meno in veste ufficiale. Ovviamente sono
una estrema minoranza quelle che poi si iscrivono a questi registri e questo non ha risolto
assolutamente il discorso della prostituzione clandestina. Io volevo fare una precisazione: non solo
test obbligatori non risolvono il problema, ma in termini - lo dico come medico - di sanità pubblica,
sono assolutamente controproducenti e sono una oggettiva spinta alla diffusione delle infezioni di
tutte le patologie di trasmissione sessuale. Perché nel momento in cui il mostrare un tesserino di
negatività spinge oggettivamente a un rapporto non protetto, non si considera tutta la questione del
periodo finestra, non parlo di falsificazioni, di tesserini e via dicendo ma non si considera il fatto
che quella certificazione di negatività risale al giorno x e non all'oggi, uno può avere contratto il
virus il giorno dopo, la sera stessa in cui è stato sottoposto all'esame ma non solo: può anche
capitare che quando già si sottoponeva all'esame era nel periodo finestra cioè aveva contratto
un'infezione ma che non si manifestava. Faccio questa osservazione perché il dibattito su questo
punto deve uscire da confronti ideologici ma porsi su strette basi scientifiche, per cui il test
obbligatorio è contro producente e in termini medici e sociali facilita fortemente la diffusione del
virus. Seconda considerazione preliminare: contrariamente a quanto viene molte volte enfatizzato
dei cosiddetti comitati dei cittadini organizzati e anche dai mass media, in gran parte se il mondo
della prostituzione ha un ruolo ridotto nella diffusione dello Hiv, è nel senso molte volte opposto di
quello che si ritiene. Cioè tutto l'allarmismo sulla questione degli albanesi e via dicendo, l'Albania è
veramente la nazione che a livello europeo ha la minore prevalenza e incidenza di infezione da
Hiv, il problema è l'uomo italiano che infetta queste donne che poi eventualmente lo possono
trasmettere ad altri. Ma questo non riguarda solo - poi vedremo alcuni dati - chi proviene
dall'Albania: riguarda l'insieme delle donne che provengono, ad esempio, dall'Europa dell'est dove
in maggioranza provengono da paesi dove l'incidenza della infezione da Hiv è assolutamente
minore a quella italiana. Quindi queste sono, e questo è un dato che tra l'altro accomuna questo
discorso con il discorso della salute nelle popolazioni immigrate, persone che arrivano qua sane e
che qua si infettano e si ammalano, le immigrate per condizioni ambientali di tipo di vita che fanno,
scarsa sicurezza sociale eccetera, chi svolge il lavoro della prostituzione si infetta tramite l'uomo
italiano e questo è un altro elemento importante da porre anche qui con dei dati puramente tecnici
e scientifici.
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...Non si infettano...
...In parte non si infettano, comunque possiamo anche discuterne, nel senso che ci sono
dei dati che non spiegano come la frequenza dei rapporti sessuali non coincide automaticamente
con una trasmissione del virus. Su questo ci sono una serie di ricerche, alcune pubblicate proprio
l'altro ieri su come si sviluppa soprattutto in alcune donne del centro Africa una resistenza a dei
ceppi virali, ma questa è una situazione più clinica che non so a quanti interessa adesso. Terza
questione: a me pare che dobbiamo un po' insistere su questi orientamenti delineati a livello
europeo perché poi l'operatività quotidiana dei nostri interventi delle unità mobili, rendono
drammatiche queste questioni. Quando lavoriamo con unità mobili sulla circonvallazione esterna di
Milano contattando chi si prostituisce e in viale Abruzzo un giorno vediamo una ragazza che sta
bene, il giorno dopo quella stessa ragazza vediamo che porta segni e lividi di pestaggi e
proponiamo di accompagnarla dalle Forze dell'Ordine per fare la denuncia, e questa ragazza si
rifiuta totalmente perché fare la denuncia equivale ad essere espulsa, da una parte, dell'Italia e,
dall'altra parte, nei fatti ad essere lasciata alla mercé degli sfruttatori, queste sono condizioni
assolutamente reali e documentate. Per esempio, quando per contattare, in questo caso parlo
specificatamente per quello che riguarda la nostra esperienza delle ragazze albanesi, noi
dobbiamo trattare con i loro sfruttatori come ci possiamo avvicinare a quel pezzo di marciapiede
dove le ragazze lavorano, quanto ci possiamo fermare e dove dobbiamo nascondere il camper,
cosa che non avviene per esempio per chi si autogestisce, beh, ci sono delle maglie di controllo
fortissime che o passa una legislazione del tipo quella che è stata illustrata, o queste situazioni
diventano impossibili da superare. Io per superare intendo restituire alla persona la libertà della
autodeterminazione, non ci metto nulla di moralismo come impostazione e devo dire che se in
qualche modo noi eravamo stati sentiti dalla Ministra Turco per suggerire l'elaborazione del testo di
legge, io però vorrei anche suggerire che non si faccia confusione. Qui non siamo di fronte a
logiche premiali per chi si pente di reati o di comportamenti perché alcune volte c'è confusione su
questo, cioè queste donne non hanno da pentirsi di nessun reato: hanno da uscire da una
situazione di schiavitù e quindi non devono esserci relazioni con la legge sul pentitismo e tanto
meno non c'entra assolutamente nulla rispetto a chi vuole uscire da una situazione di spaccio di
droga. Se qua invece parliamo di chi usa le sostanze, ma lì esistono già delle legislazioni
specifiche, alcune volte attuate altre volte non attuate, possiamo discutere per ora, ma è una
situazione diversa ma che non si faccia il paragone con il pentitismo o con chi spaccia perché non
siamo di fronte a situazioni, a persone che commettono reati; altrimenti attribuiamo la
responsabilità di reato a chi invece sostanzialmente è vittima di questo tipo di situazione. Quarto
punto, e qui io vedo uno dei ruoli centrali di una possibile attività del sindacato, e mi rendo conto
che sono assolutamente condizionato dalla mia città ufficiale di residenza e cioè da Milano, qui ci
vuole una politica che spieghi che anche la sinistra si confronta con le tematiche della sicurezza,
intesa come sicurezza sociale per tutti e non come contrapposizione di diverse fasce sociali
cittadine, ma ci vuole anche una politica della trasparenza. Adesso vediamo che cosa succede a
Milano ma per quattro anni nei dibattiti sulla prostituzione nella amministrazione leghista, ci siamo
sentiti dire, e non sto parafrasando o abbreviando: "ma i cittadini che vanno a prostitute a Milano
non sono cittadini milanesi, è un problema che riguarda chi viene da fuori" ed eravamo con Pia ad
un dibattito dove ci siamo sentiti dire questo. Cosa voglio dire? Che non possiamo seguire a ruota
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solo puntando i piedi, e quindi pensando di frenare in qualche modo le proposte sulle fotografie
delle targhe e via dicendo perché non risolvono assolutamente nulla. Io credo che ci sia il
problema di garantire la sicurezza a chi si prostituisce, di garantire lo spazio assoluto di
autodeterminazione, e quindi anche condizioni decenti per chi decide di svolgere questo lavoro,
ma deve deciderlo in assoluta e totale autonomia come scelta, e poi tale problema non lo si
affronta solamente in questo modo, ma forse le amministrazioni, le istituzioni farebbero anche
bene a chiedersi perché da parte degli uomini, dei maschi, questa richiesta sale vertiginosamente,
perché la nostra sessualità la sviluppiamo in gran parte in modo frustrato in questo tipo si
situazione. Queste sono le domande di fondo che stanno dietro se non ci confrontiamo con questo,
secondo me rincorrere semplicemente il gradino inferiore, politiche tutte di ordine pubblico non
serve assolutamente a nulla: liberare un quartiere per spostare le persone in un altro quartiere non
serve a nulla e io rimango scioccato quando, per esempio, l'altro ieri i giornali di sinistra ad ampia
tiratura inneggiano a un comitato che ha liberato due vie di Milano. Il problema è che sappiamo,
noi cittadini di Milano che le due vie occupate sono quelle a 500 metri da lì, quindi è una politica
diversa che deve essere realizzata. Detto questo, in Italia gli interventi sul mondo della
prostituzione in termini istituzionali - e qui hai ragione - partono non per iniziativa delle istituzioni
nazionali anni fa, ma partono per iniziativa della Comunità Europea i progetti attualmente attivi
sono due: Europap e Tampep, che sono gestiti dal comitato per i diritti civili delle prostituzione,
Europap in collaborazione con la LILA, Tampep in collaborazione con diverse municipalità tra cui
quella di Venezia, che poi interverrà, e sono due progetti che si sovrappongono e in parte si
diversificano: Europap è prevenzione alle patologie a trasmissione sessuale nel mondo della
prostituzione in particolare rispetto allo Hiv, Tampep più specificatamente si vuole riferire alla
prostituzione immigrata, quindi alla prostituzione più scoperta anche in termini di diritti e di
assistenza sanitaria. Dopo il primo anno - oggi siamo al terzo - di realizzazione di questo progetto,
parte finalmente un progetto finanziato dall'Istituto Superiore di Sanità, mi risulta sostanzialmente
l'unico progetto nazionale italiano, gestito insieme dalle realtà citate prima, che comincia a
costruire una rete di interventi in alcune città e incomincia a confrontare le diverse modalità di
intervento, anche qui però parliamo purtroppo di città del centro nord. Quello che è interessante, è
che questi progetti che si muovono nella logica che ho spiegato prima, si muovono sulla strada, al
di fuori di una logica di moralismo ma per istituzione di dignità e di libertà di scelta, poi si incrociano
con quel tipo di interventi presenti da tempo di ampia area del mondo cattolico, perché molte volte
poi l'autodeterminazione porta alla ricerca di vie di uscita per l'inserimento sociale diversificato, lì
trovano allora dei canali di collaborazione e su questo i terreni sono molto meno separati da quello
che può parere dalla saggistica e dalla pubblicistica generale. In particolare i progetti Europap e
Tampep lavorano soprattutto su Milano, Genova e Venezia, non illustro l'esperienza di Venezia;
quali sono gli obiettivi? Sono la modificazione dei comportamenti a rischio - questo forse è più
interessante - uno degli obiettivi è aumentare il potere di negoziazione con il cliente da parte di chi
attiva e sceglie il lavoro della prostituzione. E ancora, aumentare l'accessibilità ai servizi sanitari in
termini terapeutici e diagnostici, soprattutto per la prostituzione immigrata e, quarto obiettivo,
ridurre come possiamo il conflitto tra la popolazione generale e il mondo della prostituzione. Come
lavoriamo? Lavoriamo innanzitutto e soprattutto con delle unità mobili che si spostano nelle città di
giorno e soprattutto di notte, contattando chi svolge la prostituzione e cercando sempre più di
contattare anche i clienti - poi vediamo alcune cose molto tecniche, molto banali. Oltre al veicolo,
che cosa serve? Serve del materiale specificatamente rivolto a chi incontriamo, e deve essere
però materiale con alcune caratteristiche, scusate se banalizzo ma se a chi si prostituisce si può
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dare anche un aggeggio di questo tipo, al cliente, che diventa fondamentale contattarlo, questo
non lo si dà perché lo lascia cadere immediatamente mica se lo mette in tasca e arriva a casa e la
moglie gli trova... no! Sono banalità ma gli si danno materiali estremamente piccoli, ridotti, che uno
può leggere, può tenersi in tasca se vuole, non viene immediatamente individuato, ma dove gli si
spiega perlomeno senza moralismi di utilizzare il profilattico. Ancora, qui il problema posto che
dicevi tu prima è centrale: materiali nelle lingue delle persone a cui ci si rivolge, materiale
diversificato per uomini, donne, per travestiti e transessuali, perché ci sono delle specificità e oltre
a questo, ovviamente, si distribuiscono profilattici, lubrificanti a base d'acqua, siringhe e aghi puliti,
acqua distillata e poi si va con caffè, tè e qualcosa da mangiare, che è anche un modo di costruire
un relazione che fa sì che le persone non siano semplici distributori di materiale. Che metodologia
utilizziamo? Intanto l'équipe, dove è possibile, sono sempre équipe miste di operatori, definiamoli
professionali, che hanno avuto una selezione e un corso di formazione, ma anche di street
operator, cioè è banale ormai per noi dirlo ma sulle unità mobili ci sono anche ragazze che il
martedì e giovedì lavorano sulle nostre unità mobili e poi magari il mercoledì e venerdì invece
praticano la prostituzione. Non è semplice poi questo, non solo per la donna vivere queste diverse
realtà, ma anche nelle équipe miste non è un problema: noi abbiamo avuto diverse difficoltà
perché il linguaggio dell'operatore e il linguaggio di chi invece viene da quella esperienza e il modo
di viverlo e lo scontro forte che si ha è pesante: uno degli elementi che ci ha creato problemi
équipe milanese quando la donna che si prostituisce e lavora sull'unità mobile incontra una sua
collega che non si autodetermina e che quindi deve trattare con chi la sfrutta, lì il livello di
"incazzatura" e di rabbia che scatta è molto forte, al di là di chi invece lo può più razionalizzare
come operatore. Si costruiscono le mappe di intervento, si fa un'analisi quantitativa e qualitativa di
cosa c'è sa fare e prima di tutto si fanno due cose importanti: si cerca di costruire un minimo di
consenso tra la popolazione, si avvisa la popolazione residente di che cosa si fa, del perché lo si fa
e che non è contro di loro e si cerca di parlare con i mezzi di comunicazione. I mediatori culturali e
i mediatori linguistici sono fondamentali, esempio: se noi contattiamo la persona in strada e deve
essere poi accompagnata al servizio sanitario pubblico, ma non c'è nessuno che è in grado di
parlare la sua lingua, o non c'è nessuno che sa fare da mediatore tra questa donna e il medico,
magari maschio, con i problemi culturali che comporta ma fa da mediatore perché la donna sente
che quell'altra persona appartiene alla sua cultura, gli accompagnamenti non portano ovviamente
assolutamente a nulla. Ovvio che bisogna fare anche un training, ne stiamo organizzando insieme,
un incontro a maggio e uno a settembre anche per gli operatori c'è un bel meccanismo di empatia.
Nel '96, io mi limito a Milano e a Genova, ci sono stati a Genova quasi 1.700 contatti, a Milano 600
contatti; per contatti parliamo di contatti avvenuti almeno tre volte continuamente nel circolo di un
mese, non parliamo di contatti saltuari: tre volte almeno nell'arco di un mese. Abbiamo trovato una
diversificazione anche tra le nazioni di provenienza delle donne incontrate per strada, e qua c'è da
dire che le italiane che si incontrano per strada sono in maggioranza persone tossicodipendenti, le
altre donne invece provengono da altre nazioni, noi abbiamo incontrato albanesi, nigeriane, latinoamericane e dell'est Europa, soprattutto, con una diversificazione. Per esempio, a Genova sono
tantissime le nigeriane mentre invece, per esempio, in Milano abbiamo una prostituzione in gran
parte albanese, in gran parte dell'est europeo. Siamo riusciti quasi solo a Milano a contattare la
prostituzione maschile, per esempio; abbiamo individuato dei dati, leggo quelli di Milano e di
Genova: a Milano abbiamo contattato 56 uomini che si prostituiscono, 348 donne, 36 travestiti, 64
transessuali e 55 tossicodipendenti. Genova cambia completamente: gli uomini contattati sono
stati 1 e 1.557 donne, 15 travestiti, 15 transessuali e 90 tossicodipendenti, quindi si modifica
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fortemente la situazione. Quali sono le richieste che avvengono? In parte sono richieste su AIDS e
patologie a trasmissione sessuale. In gran parte sono domande su aspetti legali perché per le
donne immigrate, questo contatto da strada è uno dei pochissimi contatti che c'è con il mondo
italiano al di fuori dell'esercizio delle professione e quindi anche informazioni legali sono gli unici
ambiti dove possono essere date. E ancora, informazioni sulla salute e richiesta di
accompagnamento ai servizi pubblici. Quando parliamo di informazione sulla salute, di che cosa
parliamo? Innanzitutto di accompagnamento a consultori e di intervento di diagnosi di gravidanza e
di interruzione di gravidanza e questo è un problema enorme perché molte volte queste donne
finiscono nel mercato nero e clandestino dell'interruzione di gravidanza come avveniva tempo
addietro per le donne italiane. Seconda questione, che è un'altra cosa, visite ginecologiche, visite
dermatologiche; c'è un problema che riguarda le epatiti, non solo l’AIDS, epatite B ed epatite C; ci
sono degli aspetti complessi che riguardano la TBC, in minima parte, ma perché io dico che sono
complesse? Perché con l'attuale legislazione sanitaria non si riesce a farle seguire nel tempo e per
cui dove c'è una TBC silente, anche se riguarda pochissime persone, poi questa se diventa attiva,
una persona non è seguita perché non ci sono le condizioni di legge ed economiche che tutelano
queste donne. Vi è una richiesta, alcune volte, di trattamento di donne, queste poche, però c'è,
tossicodipendenti immigrate e non è così semplice l'accesso al metadone, con la
aziendalizzazione delle USL, in donne che ovviamente non hanno la residenza sul territorio; per
alcune c'è anche un problema legato all'alcoolismo. Ho già detto che cosa distribuiamo, e qui si
capisce anche il perché c'è un bisogno di sostegno pubblico a questi progetti, perché quando si
cominciano a distribuire decine di migliaia di profilattici, di materiale informativo curato, a colori,
appropriato, perché molte volte contano più le vignette che il testo scritto, ovviamente questo ha un
costo. Vi do ancora qualche dato che forse ci permette anche di vedere questo mondo forse un po'
capovolto da come viene rappresentato: più dell'80% delle donne che sono state contattate sulla
strada in questi progetti avevano con loro il profilattico, attenzione! Non vuol dire usavano il
profilattico, però allora questo ci dice che non c'è una deresponsabilizzazione di queste donne: c'è
un'assunzione di responsabilità in termini della salute propria e della salute altrui, soprattutto se
invece la percentuale che noi abbiamo verificato tra i clienti che avevano il profilattico, qui l'errore
può essere maggiore, però ci dà la tendenza, è del 2,8%, quindi il profilattico lo porta
sostanzialmente... I dati che noi abbiamo da queste città, ripeto non sono dati precisi, lavoriamo
con un campione nel sommerso, quindi non una corte definita, però ci dà delle linee di tendenze, ci
dice che il 43% dei clienti chiedono un rapporto non protetto e offrono fino a tre volte il prezzo che
invece viene pagato normalmente. Il numero dei clienti per settimana in media è di 26,2 con un
range che va da 1 a 71, anche qui sono dati indicativi e i prezzi ampiamente indicativi vanno da 20
a 40 dollari. Meno dell'1% dei contatti complessivi per strada in questi progetti riguardavano
tossicodipendenti; è un dato che fa molto riflettere rispetto alla rappresentanza sociale che
abbiamo del mondo della prostituzione è che, ripeto, prendete con le pinze questi numeri, quasi
2/3 dei contatti riferivano di aver terminato o comunque almeno frequentato la scuola secondaria,
addirittura con un 3% che risultavano laureati; quindi, anche questo fa anche capire quali sono le
motivazioni sociali più complessive che portano poi a scelte o non a scelte di questo tipo. Un
ultimo dato che mi pare interessante è questo: il 55% delle donne contattate in strada, e qui
parliamo di strada, non parliamo di locali, non aveva mai avuto contatti con centri USL
relativamente a queste problematiche; per le straniere che esercitavano questa professione da un
anno, il 90% non aveva mai avuto contatti con le strutture sanitarie italiane e questa percentuale
per chi lo esercitava da più un anno calava e circa 1/4 non aveva mai avuto contatti, cioè circa il
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25% non aveva mai avuto contatti. Il problema principale su questi contatti, lo ripeto, è garantire la
continuità e trovare anche dei servizi che siano disponibili nei tempi, oltre che nelle modalità, negli
orari in cui questo tipo di lavoro viene svolto. Qual è il futuro che abbiamo di fronte? Il futuro è la
continuazione dei progetti Europap e Tampep a livello italiano costruendo soprattutto un network e
quindi mettendo in contatto le realtà tra di loro e mettendo in contatto gli interventi da strada con
quegli interventi che possano portare a una via d'uscita per le ragazze contattate che lo
desiderano; a livello europeo si cerca anche di costruire una guida, un manuale rivolto anche non
solo a che pratica la prostituzione ma alle istituzioni, e l'altra attività che cerchiamo di fare in Italia e
di organizzare dei training anche perché la formazione degli operatori non è una cosa che si
costruisce da un giorno all'altro. Ovviamente, è inutile dirlo, chi fa l'operatore da strada, lo dico per
pasticci che sono stati creati su altre legislazioni, non può minimamente svolgere ruolo di
informatore della Polizia, è evidente perché altrimenti non avrà nessuno spazio di intervento, beh
per noi sembra semplice per le richieste che ci vengono da alcune prefetture non è assolutamente
così scontato.
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Porpora Marcasciano
MIT - Movimento Italiano Transessuali
Io leggerò una relazione scritta. Molti dati li ha già anticipati il dottor Agnoletto. Siamo
contenti che la CGIL abbia organizzato questa giornata di studio sulla prostituzione e su tutta la
problematica ad essa legata. É importante che la più grande organizzazione sindacale italiana
faccia sua una campagna di sensibilizzazione e di informazione, riteniamo che sia ancora più
importante che questa non resti confinata all'interno di convegni e dibattiti tra esperti, ma si allarghi
e raggiunga tutto il territorio e realtà locali. Queste, principalmente, possono dare risposte concrete
che confermeranno realmente l'efficacia di questa campagna e ci daranno dei risultati. Oggi nel
nostro Paese c'è un elevato allarme sociale nei confronti della prostituzione, dovuto al fatto che
nuove figure, travestiti tossicodipendenti e soprattutto straniere, meno rassicuranti della classica
prostituta, creano a volte ingorghi stradali, disturbano la quiete pubblica ma soprattutto la loro
diversità inquieta i benpensanti. In Italia la prostituzione ha smesso di essere quella realtà
nascosta poco visibile, confinata tra le mura di un appartamento o in certe zone delle grandi città,
secondo tempi e modi dettati da una tradizione antica. Le sex workers sono presenti in gran
numero a tutte le ore e in tutte le strade delle grandi come delle piccole città ed anche dei paesini
della provincia italiana. La prostituzione non è più quel fenomeno popolare e folkloristico
rappresentato al cinema dove le varie Cabiria, Elide e casco d'oro erano le regine di quel mondo
tanto inquietante quanto affascinante, le visioni felliniane hanno lasciato spazio a meno distensivi
documentari di cronaca che descrivono questa realtà con tinte fosche. Le prostitute nostrane sono
state sostituite da centinaia, anzi migliaia di donne che sfuggono a situazioni di crisi e di miseria.
Vorremmo qui tracciare, per quanto è possibile, i contorni del fenomeno, descriverlo con dati più o
meno attendibili e valutarne le proporzioni, capirne i problemi che sono fondamentalmente umani e
cercare, per quanto possibile, di risolverli. Premesso, ed è importante questo, che la prostituzione
in quanto tale non è un crimine e che il solo aspetto criminale è lo sfruttamento che l'accompagna.
Cosa è oggi la prostituzione? Secondo stime molto approssimative, sono circa 50.000 le persone
che si prostituiscono il Italia di cui si pensa che 30.000 sono le straniere immigrate, 20.000 italiane
e circa 10.000 tra transessuali, travestiti e ragazzi. I dati che qui presentiamo sono raccolti dai
centri di documentazione del MIT e dal comitato dei diritti civili delle prostitute e ci sono forniti dai
gruppi del volontariato che lavorano tra le sex workers. Il fenomeno, essendo in continua crescita,
non può essere quantificato con esattezza, quindi le stime sono molto approssimative. Si pensa
che tra le prostitute italiane, quasi la metà sono tossicodipendenti, quindi soggetti molto deboli
psicologicamente e fisicamente, facilmente ricattabili da clienti rampanti e da spacciatori senza
scrupoli. L'altra metà possiamo asserire, si prostituisce per libera scelta. Per quanto riguarda le
30.000 straniere, un terzo proviene dai paesi africani e in gran parte dalla Nigeria; quasi 2/3 dai
paesi dell'est e per lo più dall'Albania, molte dall'ex Unione Sovietica, dalla Romania e dall'ex
Yugoslavia, poche cecoslovacche ed ungheresi, quasi assenti le polacche. In minoranza sono
presenti le donne del sud America, da dove invece arriva la maggioranza delle transessuali che si
prostituiscono in Italia, Brasile, Bolivia, Argentina, Venezuela e Colombia. Date le qui le stime
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approssimative, vorremmo focalizzare l'attenzione del nostro intervento non sullo sfruttamento
delle mafie, sul traffico e le sue vittime poiché c'è già chi lo affronta più dettagliatamente, bensì sui
problemi della persona che può aver scelto di prostituirsi anche se non libera da contingenze e
problemi reali. Quando si parla di prostitute, pensiamo a persone immigrate da paesi poveri, senza
permesso di soggiorno e quindi senza diritti: sanità, istruzione, lavoro; pensiamo a donne che, pur
di sfuggire alla miseria e alla guerra, possono accettare contratti con trafficanti e mafia e da questi
essere ricattate ma anche a donne che, togliendosi questi parassiti di dosso, trovano comunque
dalla prostituzione la loro sussistenza. La prostituzione è l'unica alternativa alle difficoltà create da
tutti quei cavilli, contratti, regole e ricatti che caratterizzano la ricerca di un lavoro senza il
permesso di soggiorno. Se vogliamo poi considerare un altro aspetto della prostituzione che è
quella transessuale, i problemi sono simili: se a una donna immigrata manca il permesso di
soggiorno, ad una transessuale in quanto tale, anche se italiana, manca il diritto di cittadinanza,
cioè il diritto alla dignità della persona, al suo rispetto, al suo inserimento sociale. Il centro diritti
della CGIL di Bologna ci ha commissionato una ricerca dal titolo: "Transessualità e lavoro" da cui
si ricavano dei dati che mettono in chiaro qual è la condizione delle transessuali in Italia. I dati
sono reperibili nella banca dati della CGIL; il questionario distribuito a 75 transessuali maschi e
femmine a Bologna fa trapelare esattamente quali sono i problemi legati al lavoro per la
transessuale, quanto sia rispettato il diritto adesso e quanto incide questo sulla scelta di
prostituirsi. Io ho dei dati, vorrei leggerli perché forse possono essere indicativi. Le interviste sono
75, di cui 60 transessuali M. T. F. cioè maschi transizionati al femminile, 10 transessuali che hanno
cambiato sesso diventando donne, 4 transessuali F.T.M. 39 delle intervistate provengono dal sud,
21 dalla regione, 14 dalla provincia del nord. 10 con licenza elementare, 35 con licenza media, 27
con licenza di media superiore, 2 con laurea. 44 sono in affitto, per quasi tutte è stato difficile avere
una casa, 30 sono proprietarie, tra queste una decina vivono con i genitori, quasi tutte si
sottopongono a cure molto costose. 64 hanno rapporto con la propria famiglia, 10 no. 66 hanno
avuto esperienze lavorative, 8 no; 46 si prostituiscono, 28 lavorano. Ad essere soddisfatte del
proprio lavoro, tra chi si prostituisce 20 sono soddisfatte e 26 insoddisfatte. Tra chi lavora, 18 sono
soddisfatte, 10 insoddisfatte. Se è stata una scelta o un ripiego, tra chi lavora per 18 è stata una
scelta e per 10 un ripiego. Tra chi si prostituisce per 20 è stata una scelta, per 26 un ripiego. Ad
avere problemi nell'ambiente di lavoro in quanto transessuali sono in 30, 38 dicono di non averne,
6 non rispondono. In quanto transessuali, quasi tutte hanno preferito lasciare il lavoro perché
costrette direttamente o indirettamente, 4 sono state obbligate. Per una lettura più attenta dei dati
e per una lettura incrociata, si fa una nuova relazione, oppure può essere richiesta. Considerando
che la ricerca è stata svolta in una città come Bologna, particolarmente attenta al tema dei diritti,
possiamo immaginare cosa succede nel resto dell'Italia. Sono dati questi da tenere in
considerazione quando si affronta il problema. Bisogna altresì decriminalizzare la prostituzione,
affrontare la questione con metodi nuovi, non repressivi che riconoscano la libertà di usare il
proprio corpo, il diritto di autodeterminazione sessuale, il rispetto dei diritti umani e civili e il diritto
alla libertà di movimento. Il problema, visto da un'angolazione culturale e politico di un certo tipo,
viene rimosso, nascosto, represso e non risolto. Nascondere gli effetti più che risolvere le cause.
L'altra angolazione che è quella a cui ci riferiamo e in cui confidiamo, cerca di trovare le risposte,
non le soluzioni a tutto ma quantomeno cercare dialogando una possibile strada da seguire per far
sì che migliaia di persone vivano meglio e abbiano diritti e dignità. Crediamo che la CGIL sappia e
possa dare delle risposte giuste, essendo esso un grande sindacato al cui interno il problema dei
diritti e del lavoro è stato sempre materia di dibattito politico. Pensiamo che queste risposte
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debbano essere date, più che nelle sedi centrali, nelle Camere del Lavoro e negli Enti sparsi sul
territorio: è lì che il sindacato può e deve portare avanti una battaglia sui diritti, agendo nella realtà
e sulla realtà della prostituzione fornendo informazioni, assistenza e perché no? alternative di
lavoro lì dove ci sono richieste. Le regole e le leggi contro lo sfruttamento vigenti in Italia
colpiscono esclusivamente le vittime e non i carnefici: se una donna decide di scrollarsi di dosso i
suoi sfruttatori, non ha assolutamente nessuna alternativa. Quando una donna veramente
esasperata denuncia i suoi sfruttatori, secondo il vecchio articolo 5 del decreto legge ormai
decaduto ed il nuovo articolo 16 proposto e non ancora emendato, essa ha diritto a uno speciale
permesso di soggiorno che le consenta di partecipare ad un programma di assistenza e di
integrazione sociale. Questo può essere revocato quando vengono meno le circostanze di cui al
comma 8 ter. , o sono cessate le esigenze processuali e di sicurezza, ovvero la persona
interessata osserva una condotta incompatibile con la sua permanenza in Italia. Questi decreti
dovrebbero aiutare chi vuole uscire dalla prostituzione. Nella pratica non è rispettato poiché ad
esso non corrisponde un reale diritto al lavoro. I poteri locali e i cavilli burocratici, fanno sì che il
rilascio del nullaosta richiesto per il lavoro, venga palleggiato tra le questure e gli uffici provinciali
del lavoro, dilatando i tempi del circolo vizioso della burocrazia. Inoltre, molto spesso, è a
discrezione solamente delle questure decidere se rilasciare il permesso e per quanto tempo.
Queste lungaggini fanno sì che le donne ritrovano nella prostituzione l'unico mezzo immediato e
semplice di sussistenza. Ma questo, essendo considerato condotta incompatibile con la
permanenza in Italia, crea problemi senza soluzioni. Noi chiediamo vivamente alla CGIL di farsi
carico di questa situazione intervenendo a livello locale attraverso appositi servizi; di far pressione
sulle questure e gli uffici del lavoro per quanto le compete. Ci sembra assurdo che una persona
avviata ai servizi, perché richiesti da situazioni specifiche e trovata idonea per questi, si veda
rifiutata dalle questure il nullaosta valido per la durata del servizio stesso; questo significa
perpetuare la situazione di sfruttamento da cui si vorrebbe che la persona uscisse. In molte città
italiane sono nati progetti rivolti fondamentalmente alla prevenzione, all'assistenza e all'aiuto tra i
sex workers e il loro inserimento - mi riferisco al progetto prostituzione sicura, ai progetti di
Europap...
***
...di cui ha parlato molto bene il dottor Agnoletto, quindi sorvolo perché sarebbe ripeterlo.
Volevo solo aggiungere che a Bologna e in Emilia Romagna sono stati avviati e a Bologna
funzionano circa da cinque mesi, a Rimini da quasi un anno, a Modena lo stesso, a Imola ed ora
sta diventando un progetto regionale. Il lavoro è all'inizio e ancora ci mancano dei mezzi e delle
strutture che sono importanti, cioè giriamo con un furgone fatiscente e ancora non abbiamo una
sede nostra che è importantissima. Comunque il lavoro sta già dando molti effetti. Il lavoro svolto
ha dato e continua a dare ottimi risultati nell'obiettivo della riduzione del danno, nel ridare dignità e
diritti a persone che ne sono prive. Questi progetti per funzionare meglio hanno bisogno di una rete
di referenti che assistono, aiutano ed affiancano nel lavoro. La nostra richiesta al sindacato è di
promuovere un dibattito nazionale affinché siano attivi sul territorio uffici o persone a cui potersi
rivolgere. Mettere a disposizione appositi sportelli che si interessino di immigrazione, dello
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sfruttamento e nello specifico dei problemi legati alla prostituzione. Abbiamo bisogno, affinché i
progetti funzionino bene, oltre che di consultori e centri medici, case di accoglienza, di un
aggancio, di un riferimento allo specifico del lavoro. La CGIL in questo dovrebbe e potrebbe
prendersi le sue responsabilità attuando al più presto i servizi necessari.
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Pia Covre
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute
Innanzitutto voglio ringraziare la CGIL per averci dato questa opportunità e per aver tentato
almeno di coinvolgere il Paese su questo problema, su questa tematica. Mi sono preparata un
intervento che forse è un po' inconsueto ma ci siamo, con il MIT, Movimento Italiano Transessuali,
suddivisi i compiti e quindi, oltre tutte le rivendicazioni che facciamo, ho tentato di riflettere in questi
giorni insieme al nostro direttivo, devo dire la verità leggerò quindi questo intervento perché non è
tutto frutto di una mia riflessione ma di una riflessione comune, perché tenteremo, se vogliamo
definire un titolo, di andare oltre il diritto, cioè noi vorremmo fare ancora un passo più avanti, non ci
accontentiamo mai di dove stiamo per cui lo leggerò con una certa attenzione anche e spero che
questo intervento produrrà qualcosa di più e di nuovo, non oggi sicuramente ma nel futuro e nel
tempo. Quindi, per comodità di espressione e per chiarire alcuni passaggi teorici, dividerei il mio
intervento in due parti. Nella prima parte mi soffermerò brevemente sul tema del diritto, se
istituzionalizzare la prostituzione riconducendola come fenomeno in realtà alla forza e alla violenza
della norma giuridica. Nella seconda parte, tenterò una riflessione su questo stesso fenomeno e
realtà utilizzando alcune categorie tratte dalla biopolitica di Benjamin, Focault e Agamben. La
seconda parte costituirà il nostro tentativo di dislocare il problema della prostituzione, oltre una
politica di pura rivendicazione. Sappiamo che i settori determinati della cosiddetta opinione
pubblica premono da tempo per una regolamentazione della prostituzione. E questo perché
sedicenti comitati di quartiere, opinionisti vari, taluni partiti, professionisti della morale sono riusciti
a imporre questa ennesima emergenza combinata con il fenomeno dell'immigrazione, della tratta,
del narcotraffico e AIDS. Noi ignoriamo, per esperienza, che il potere non ha oggi altra forma di
legittimazione che l'emergenza e per questo motivo che si richiama costantemente ad essa. Alle
nostre antiche ragioni di rifiuto di ogni forma di istituzionalizzazione della prostituzione (voi sapete
abbiamo sempre parlato di depenalizzazione), l'ha ricordato anche Porpora, aggiungiamo oggi
questi altri motivi. Il peso della contrattazione individuale è cresciuto ed è segno di potere sul
cliente e di potenza emancipatrice delle donne che si prostituiscono. Questa è ovviamente la
situazione delle donne che hanno un'alta professionalità, una elevata capacità professionale,
riguarda molto meno i nuovi soggetti deboli ma non ne sono completamente esenti, le immigrate,
le clandestine e le tossicodipendenti. Una legalizzazione del fenomeno riporterebbe in vita forme
contrattuali ormai desuete, senza che queste siano in grado di alleviare le condizioni dei soggetti.
Ci sembra quindi fondamentale cogliere il senso della trasformazione in atto: se il passaggio è oggi
dal fordismo al postfordismo, dalla società del lavoro a quella del non lavoro, con il conseguente
esaurimento, tra le tantissime altre cose, di un determinato modello di contrattazione, beh, la
prostituzione ha anticipato la tendenza in atto. Lavoratrici in proprio in una realtà postfordista e
postlavorista, dunque. Ma ciò mette in discussione lo spazio normato del diritto e della
cittadinanza, o meglio di un certo diritto e di una certa cittadinanza. Nell'ultima conferenza sulla
prostituzione che si è tenuta a Los Angeles a cui il comitato e il movimento dei transessuali hanno
partecipato, un ricercatore spagnolo, Ignazi Ponse, ha avanzato una tesi inquietante: che, a
proposito della prostituzione femminile, non si può parlare di criminali e di vittime. Secondo lo
studioso spagnolo, queste categorie sono l'invenzione del sociologo e del giureconsulto, alleati
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nella costruzione di uno spazio di devianza e di marginalizzazione entro cui chiudere le prostitute.
Alla vittimizzazione della prostituta seguono di necessità la sua condanna morale, il bisogno di
ordine e l'imperativo a rimuovere il fenomeno. Questo compito è assolto dal sociologo della
devianza e della marginalizzazione. Poi, a chiudere il cerchio, interviene il giureconsulto con la
legislazione punitiva. Si inventa il reato di prostituzione o si legalizza la prostituzione in quanto è la
legge, in questo come in mille altri casi, a creare il delitto assieme al criminale. Depenalizzare e
decriminalizzare la prostituzione non significa non soltanto riconoscere la libertà di usare il proprio
corpo e il diritto di autodeterminazione sessuale, ma significano più concretamente impostare
diversamente i termini della questione, concentrando l'attenzione sul cliente in termini di economia
politica sulla domanda. Il problema è di differenza. Da una parte le donne con il loro percorso di
lotte e di determinazione di sé, fino al sedimentare un sapere del corpo; dall'altra parte l'uomo al
quale manca questo viatico di conoscenza. È su questa differenza che si impone il contratto
volontario tra persone libere e adulte, tra la puttana e il suo cliente. Per dirla con la Presidente
della nostra associazione, la compagna Carla Corso, l'oltraggio perpetrato ai danni delle prostitute,
oltraggio questo sì immedicabile, non sono tanto gli effetti di esclusione, ma il fatto che, al pari di
ogni escluso, anche la prostituta entra in primo piano nella struttura dello Stato e diventa anzi il
fondamento terreno della sua sovranità. Cercherò di pensare a questo paradosso perché
paradossale è la condizione della prostituta: inclusa perché esclusa, fagocitata perché messa al
bando. Lo ripetiamo per l'ennesima volta: legalizzarla in un qualche modo, assegnandole un
qualche diritto di cittadinanza non significa liberarla, significa semmai tradire l'intima complicità che
la lega al potere sovrano. Ed è per questo motivo che il potere sovrano esita a riconoscerle i diritti,
il che non può essere un buon motivo per noi esigerne di nuovi. Permettetemi allora di chiamare
con un altro nome la prostituta, alias puttana, alias lavoratrice sessuale, il nome a cui penso è
quello di nuda vita che in verità è più di un nome, alludendo a una realtà complessa, ad una
categoria filosofico-politica con valore addirittura universale. Nuda vita (Agamben riprende
l'espressione da Benjamin) traduce bene "l'uomo senz'altro nome" di Marx. Rispetto al tempo di
Marx, oggi la situazione è cambiata. Allora, agli albori del capitalismo, l'uomo senz'altro nome o
nuda vita, rappresentavano una parte residuale a fronte delle "molteplici forme di vita
astrattamente decodificate in identità giuridico-sociale", sono parole di Agamben. Essere moglie e
madre, ballerina o prostituta, in pratica, significava vivere determinazioni esistenziali ineludibili,
ferree identità difficilmente aggirabili. Oggi è la nuda vita a prevalere su identità divenute
evanescenti, troppo fragili per raccogliersi in solide forme di vita. Per questo l'uomo senz'altro
nome è la realtà che merita di essere pensata. Non più residuale, si identifica con la donna e
l'uomo che noi siamo, né più né meno. Il che significa, sul lato della potenzialità, molto, ma su
quello dei modi effettivi di esistenza significa deiazione ed abbandono. Lo abbiamo ricordato
prima: potere e potenza sul lato delle prostitute con elevata capacità professionale; sfruttamento o
servitù sul lato dei nuovi soggetti deboli. La scelta del nome non è casuale né arbitraria, mi
riferisco a nuda vita. La condizione di nuda vita è nell'etimologia della parola "prostituta" che prima
di significare la vendita del proprio corpo, dice l'atto di esporre il corpo che noi siamo. Il pensiero
comune coglie l'atto plebeo mercantile di una siffatta esposizione fino ad intravedere nel corpo
quella particolare merce disponibile ad ogni offerta. Invece in latino "pro-statuere", il porre davanti
è più simile alla condizione, (lo "status") di chi è abbandonato, rimesso a se stesso. L'origine di
questo abbandono è nella messa da parte o in disparte, più esattamente nella messa al bando che
è a appannaggio esclusivo della legge. Una prima relazione, perciò, si intravede tra la prostituta,
l'abbandonata, l'esposta nel suo abbandono e il potere sovrano. Da qui discende una doppia
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disponibilità. Innanzitutto la cura dello Stato, la sua premura: Ciò di cui esso si occupa e si
preoccupa è questa nuda vita. Come aveva ben indicato Focault, la sua politica è bio-politica In
secondo luogo c'è la disponibilità di chi vive la condizione dell'abbandono. Come ha svelato il
filosofo francese Jean Luc Nancy, questa disponibilità da parte dell'abbandonato significa
rimettersi, consegnarsi al potere sovrano, alla sua convocazione e alla sua sentenza, più
precisamente significa l'obbligo di comparire davanti ala legge come tale, spoglio di ogni diritto. La
relazione diventa vincolo, rapporto di forza, complicità. Questo e non altro è la condizione della
prostituta, concederle un qualche riconoscimento giuridico significa "ripetere la struttura ontologica
della sovranità" come dice Agamben, pensare all'interno della forza della legge, del suo
paradigma. Che fare allora? Come sciogliere questo nodo gordiano di nuda vita e sovranità?
Come liberare la prostituta o almeno aprirle una qualche via al suo abbandono alla legge? A quale
pensiero politico possiamo fare appello per cercare ed eventualmente trovare una risposta che sia
all'altezza della situazione nella quale noi prostitute, noi nuda vita siamo immerse? La grande
costellazione concettuale che da Aristotele arriva fino a Marx non è granché utile al nostro scopo
perché è da sempre finalizzata a teorizzare un potere sovrano che decide del bando. Per questo
motivo le teorie politiche classiche sono teorie della relazione, quindi suddito e Stato, società civile
e Stato, classe e Stato e la pratica politica è la sua verifica. Noi abbiamo bisogno invece di un
pensiero impolitico, non politico quindi che pensi una politica, sciolta direbbe Agamben, da ogni
bando e di una pratica politica di rottura della relazione di fine del rapporto. All'abbandono alla
legge che, come chiarisce il racconto di Kafka, è sempre un esporsi davanti alla legge, dovremo
opporre un diverso e un più salutare contegno: il suo abbandono.
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Stefano Oriano
Ufficio Giuridico CGIL Nazionale
Io cercherò di dare un po' una idea di quello che è il quadro legislativo della
regolamentazione della prostituzione in Italia, tenendo conto che dovrò procedere per sommi capi,
soprattutto sui progetti di riforma. Ho diviso questa relazione in tre parti: una molto breve che
riguarda la regolamentazione della prostituzione prima della legge Merlin; una seconda che illustra
brevemente la legge Merlin; una terza che illustra le proposte di modifica dell'attuale legislatura. La
regolamentazione antecedente alla legge Merlin, il periodo immediatamente successivo alla unità
d'Italia e fino al ventennio fascista e durante il ventennio fascista, è stata sostanzialmente
improntata ai medesimi criteri. Confermando la impostazione presa dal codice napoleonico e
introdotta in Italia da Cavour, la prima grossa legge di regolamentazione fu il testo unico sulle leggi
sanitarie del 1907, intitolato: "Disposizioni per la profilassi delle malattie celtiche", le malattie
celtiche sono quelle di origine venerea, variamente chiamate mal napoletano, ma francese o mal
celtico, a seconda dei punti di partenza. Non è un caso che questo tipo di regolamentazione nasca
proprio da una regolamentazione di natura sanitaria ed è quello che ha un po' improntato tutta la
regolamentazione successiva. Anche allora la prostituzione non era considerata reato, mentre
erano considerati reati e puniti alcuni comportamenti a latere: il favoreggiamento, l'induzione, lo
sfruttamento dei minori eccetera. Il testo unico del 1926 ribadisce le medesime disposizioni, però
regolamenta in modo più dettagliato quelle che poi sono state chiamate le case chiuse e introduce
il concetto vero e proprio di casa chiusa stabilendo che sono quelle aree ove si esercita il
meretricio subordinato alla autorizzazione della autorità di Pubblica Sicurezza. Questo è un
elemento molto importante: l'autorizzazione di una autorità a esercitare la prostituzione in luoghi ad
essa deputati. Questo è quello che caratterizza un po' il concetto di casa chiusa che bisogna
capire per comprendere tutta l'evoluzione successiva. La medesima disciplina viene ribadita nei
vari provvedimenti legislativi successivi, dal codice penale del '30 ai testi unici del '31 e del '44. In
definitiva, in tutte queste disposizioni, la prostituzione era considerata sotto il profilo sanitario: si
trattava di un intervento dello Stato nella sfera privata per eccellenza, quella sessuale, ed era un
intervento dovuto sia ad una obiettiva ed oggettiva scarsissima educazione igienica e sessuale
della gente, sia alla totale assenza di una cultura preventiva del contagio, sia alla scarsissima
quasi inesistente diffusione di elementi preventivi come il preservativo, che erano un fatto
completamente isolato e marginale. Era anche, questo intervento dello Stato - e questo bisogna
dirlo per prendere la situazione - dovuto al fatto che lo Stato in seguito alla diffusione delle malattie
veneree, ne ha un danno, lo Stato inteso come collettività e quindi diventa, e questa è la
motivazione anche più forte di coloro che invocano vari interventi obbligatori di sanità, e questo
danno lo Stato deve combatterlo perché è un danno alla collettività. Quindi la prostituzione non era
illegale, il suo esercizio era tollerato se subordinato al rispetto di certe regole. Le regole erano
quelle di operare nell'ambito di questi locali, le case chiuse, che i suddetti locali gestiti da privati e
non dal pubblico, come qualcuno erroneamente ogni tanto sembra paventare, ma che i soggetti
legali fossero registrati, quindi sottoposti al vaglio, all'autorizzazione pubblica e soprattutto che lo
stato dei locali ,ma più che lo stato dei locali le condizioni fisiche delle prostitute, fossero
sottoposte a una penetrante vigilanza da parte dell'autorità sanitaria. Era un sistema di coercizione
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e di reclusione, reclusione nell'ambito di questi locali, che ledeva gravemente la dignità dei soggetti
sottoposti. Quello che ripugnava alle coscienze laiche e progressiste e al movimento
emancipatorio della donna all'epoca, e che dovrebbe ripugnare ancora adesso, era
l'organizzazione in luoghi deputati allo sfruttamento della prostituzione su licenza dell'autorità
pubblica e anche le condizioni miserabili in cui dovevano operare le prostitute che, molto più
raramente di oggi, compivano questa scelta volontariamente. Questo intendeva abolire, a questo
intendeva porre rimedio la coraggiosa senatrice socialista Merlin, dovendo però, in questo suo
tentativo, fare i conti con una realtà culturale, morale, sociale e politica del Paese ci auguriamo
assai più arretrata di adesso, infatti si parlava del '48. I tentativi di abolire questa regolamentazione
coattiva, la senatrice Merlin li intraprese nel 1948 e durarono dieci anni. Solo dopo dieci anni la
legge fu approvata, nel '58. Il risultato però fu un compromesso tra un indirizzo sostanzialmente
abolizionista, non della prostituzione ma abolizionista delle regole di regolamentazione della
prostituzione, e un indirizzo proibizionista. Questo compromesso fu una terza via, una via di
regolamentazione, non regolamentazione come la precedente; regolamentazione molto diversa,
molto più permissiva ma sempre regolamentazione. Passo in rassegna molto sinteticamente alcuni
punti fondamentali della legge. Il capo primo prevedeva la chiusura di quelle case registrate;
venivano sanzionate con sei anni di carcere e pene peculiari e tutta una serie di reati connessi alla
prostituzione compreso la locazione dei locali, l'utilizzo di camere di albergo, per le quali viene
prevista anche come misura accessoria la revoca della licenza. Venivano stabilite aggravanti
presenti, peraltro, in precedenza come l'induzione di minori alla prostituzione, l'induzione con
violenza, minacce eccetera; viene, perché questa legge è ancora in vigore, punito in modo
piuttosto soft ma comunque punito l'adescamento e, soprattutto, si prevedono, per chi esercita la
prostituzione al di fuori di queste case registrate, il divieto di registrazione e di altre forme
discriminatorie. Tutto il capo secondo si occupa della cosiddetta educazione o rieducazione di tutte
coloro che avevano fino ad allora esercitato l'attività nelle case chiuse e il senso di questa
normativa... tra l'altro questa normativa è stata poi peggiorata, cioè i reati sono stati aggravati sia
con la legge 689 del '91, sia con la legge per la tutela dell'handicap che inasprisce le pene per chi
induca a prostituirsi soggetti portatori di handicap, sia per quanto riguarda i tossicodipendenti con
la legge del 1990, la 162. In definitiva, la legge non considera illegale l'esercizio della prostituzione
e non lo sottopone nemmeno ai controlli e ai limiti precedentemente previsti. Tuttavia, e questo è il
compromesso raggiunto, l'attività è circondata da una fitta rete di proibizioni, sanzionate
penalmente. La tendenza è quella di creare un cordone di sanità intorno all'attività ai fini di inibirla.
Illegale lo sfruttamento ma anche l'agevolazione, l'adescamento e in definitiva quasi tutti i rapporti
sociali con le prostitute, affittuari, accompagnatori, conviventi, perfino personale di pulizia, come
sappiamo albergatori, gestori di servizi pubblici che anche il gestore che tollera la presenza di
persone che si prostituiscono nel proprio locale è soggetto a sanzioni. Una simile impostazione
che, va ribadito, era un compromesso tra gli intendimenti di riscatto dei fautori della legge e le
forze cattoliche e conservatrici, portava necessariamente in sé alcune condizioni negative che non
erano volute. La prima tra tutte era il costringere la prostituzione all'aperto, non era un
intendimento costringere la prostituzione all'aperto: intendimento era impedire la regolamentazione
e la autorizzazione in queste modalità. Un altro aspetto negativo è quello di lasciare uno spazio
sicuramente eccessivo alla discrezionalità delle autorità di pubblica sicurezza giudiziarie che
purtroppo consente la violazione del principio fondamentale di uguaglianza del cittadino di fronte
alla legge. Reati come quelli di atti osceni in luogo pubblico, generalmente impuniti, diventano
oggetto di particolare severità repressive se compiuti in relazione alla prostituzione. Si pensi agli
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escamotage da parte della polizia per colpire la prostituzione confiscando l'automobile del cliente
intesa come corpo del reato. In questo solco ci sono stati anche altri provvedimenti, qualcuno
potrebbe definire folkloristici ma non lo sono stati, come quella delibera del Consiglio Comunale di
Milano che prevedeva di colpire i clienti di prostitute e viados con una applicazione elastica del
codice della strada, mediante fotografie da spedire a casa allegate alla contravvenzione, nella
speranza che fosse intercettata dalla moglie del cliente. Al di là dei risvolti di ordine morale della
vicenda, una simile proposta e una simile tendenza crea apprensioni sia perché è sintomatica e
indicativa di un modo di operare delle autorità che, tra l'altro, viola la privacy e altre norme di legge
che è deprecabile, sia perché sembra appunto essere tendenza in sviluppo, tendenza che. se
prende piede, rischia di fare danni assai più gravi che i pochi vantaggi che possono portare e che
consistono nell'impedire i fenomeni più gravi di disordine, di confusione o di reati che vengono
praticati a latere, attorno all'esercizio della prostituzione. Veniamo alle proposte di modifica. Le
proposte di modifica nascono, purtroppo, sotto cattivi auspici, cioè nascono sotto la pressione di
una opinione pubblica disturbata dai disordini, disturbata dalla presenza in molti quartieri di grande
numero di prostitute o di transessuali; nasce sotto la presenza di una opinione pubblica eccitata
dalla presenza sempre più massiccia di prostitute immigrate; nasce anche certamente dagli aspetti
assai negativi che sono stati ricordati della tratta delle donne e altri fenomeni, però l'auspicio è
negativo: infatti i primi che hanno incominciato a maturare proposte sono stati coloro che hanno
sempre rimpianto il momento e la condizione in cui la prostituzione era regolata dalle norme
fasciste e dalle norme precedenti. Per fortuna, malgrado questo cattivo auspicio, sono state
presentate anche proposte di segno diverso che tendano ad abolire le norme di regolamentazione
o a alleggerire certe norme di regolamentazione. Però è importante ricordare che tutte queste
proposte nascono sotto un auspicio che non è certamente libertario o non è certamente
progressista perché questo ne ha un po' condizionato anche lo sviluppo e la presentazione.
C'erano già nella precedente legislatura alcune proposte sulle quali sorvolo, alcune di queste sono
state riproposte in questa attuale, la XII legislatura. A noi ne risultano cinque, quattro alla Camera
e una al Senato; quella alla Camera sono del deputato Scalia del gruppo misto, del deputato
Buontempo di Alleanza Nazionale, dei deputati Soda e Melandri dell'Ulivo e dei deputati Bosco e
Fontanini della Lega; quella al Senato di Siquilini, Viasco eccetera del CCD. Anche in questo caso,
analogamente a quanto abbiamo convenuto nel precedente incontro in cui si sono esaminate le
vecchie proposte, quelle della XI legislatura, non risulta opportuno o fattibile un esame comparato
dei progetti a causa della sostanziale disomogeneità della loro impostazione e della tecnica
legislativa usata. Non è neppure utile una rappresentazione in riferimento al rapporto tra i progetti
e la legge Merlin. Abrogano la legge del '58 e la sostituiscono completamente con una nuova
regolamentazione i progetti di AN, CCD, Scalia, completamente differenti tra di loro; si limitano a
modifiche, seppur sostanziali, i progetti di Lega ed Ulivo, anch'essi totalmente diversi. È quindi
opportuna una descrizione sintetica, cercando di avere in mente, di avere sotto l'occhio alcuni
punti fondamentali che sono: la definizione della prostituzione, il suo rapporto con le norme penali
e civili, la sua regolamentazione più o meno soft (controlli sanitari, registrazione eccetera),
l'inquadramento e la definizione giuridica delle attività connesse. Passiamo allora all'esame di
questi progetti. Di sostanziale deregolamentazione e depenalizzazione definirei il progetto Scalia
che prevede la non perseguibilità della prostituzione. Questo fatto è un atto importante non di per
sé ma quanto perché, affermando un principio, libera anche tutta una serie di comportamenti
connessi che sono l'adescamento, che sono il reciproco favoreggiamento, che sono adesso
sanzionabili e colpiti. Viene sancito il divieto di discriminazione nei confronti di chi esercita la
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prostituzione; viene sancito l'obbligo di maggiore età per chi esercita la prostituzione; viene
prevista, è una possibilità e non un obbligo, la possibilità di esercitare la prostituzione presso la
propria abitazione. È importante dire che non è un obbligo, cioè non c'è un tentativo di rinchiudere
è una facoltà, qualora questa attività venga svolta in forma cooperativa anche per gli stranieri
anche se non residenti, purché abbiano un regolare permesso di soggiorno. Viene sancita la
possibilità di pubblicità, viene prevista la sottoposizione agli obblighi di imposta per i ricavati
dell'attività. Forti inasprimenti alle sanzioni per sfruttamento vengono previsti e vengono aggravati
ulteriormente in tutte quelle condizioni che abbiamo visto in precedenza: quando si tratta di minori,
soggetti portatori di handicap eccetera, viene prevista l'esplicita abrogazione della legge Merlin. Di
ritorno alla situazione invece ante legge Merlin, quindi di ritorno tout court alla regolamentazione
prevista nel ventennio fascista, la proposta Buontempo che prevede il divieto di esercizio della
prostituzione in luogo aperto e aperto al pubblico, che prevede reati per coloro che sfruttano la
prostituzione al di fuori delle ipotesi previste, quindi la prostituzione può essere sfruttata se fatta in
luoghi registrati eccetera, anche se vedremo c'è un tetto di percentuale di sfruttamento sul quale lo
sfruttatore non può andare oltre, è un tetto del 10% però vorrei capire come viene sanzionato chi
supera il tetto, se per evasione fiscale oppure per sfruttamento, questo non è chiaro. Quindi la
prostituzione è consentita il luoghi privati non aperti al pubblico, senza pubblicità e questi luoghi
sono i famosi luoghi registrati di una volta, cioè le famose case chiuse. Sono previste norme per
favorire il reinserimento di chi abbandona l'attività, è prevista la tassazione solo per i gestori; la
legge Merlin è espressamente abrogata. Veniamo al progetto Soda e Melandri, che è un progetto
di regolamentazione; una regolamentazione soft ma è una regolamentazione, e oltre che sulla
prostituzione interviene anche su tratta sfruttamento e dissociazione. Ora, per fare una breve
parentesi, io sono molto convinto di quanto diceva la Tola all'inizio, cioè occorrerebbe fare una
profonda divisione anche nelle tecniche legislative, negli interventi, in tutto, tra il fenomeno della
prostituzione, chiamiamolo fenomeno, esercitato senza coercizione tra adulti consenzienti e altre
cose che hanno come minimo comune denominatore con la prostituzione il fatto di attenere alla
sfera sessuale, ma allora anche il matrimonio attiene alla sfera sessuale ma nessuno si sogna di
inserirlo in certe cose...
...
...Si, ma non nella legge sulla prostituzione. Io non discuto sulla necessità di regolamentare
qualsiasi aspetto che ha attinenza con aspetti economici, con altre cose ma il fatto che venga
regolamentato nella prostituzione. Quindi, una tecnica legislativa, secondo me è opportuna è
quella di trattare differentemente in altri progetti, in altri atti legislativi la prostituzione tra adulti
consenzienti e forme di sfruttamento dei minori, di turismo sessuale, di tratta delle bianche, delle
nere eccetera che possono sbucare, possono avere una uscita nella prostituzione ma che non
sono fenomeni necessariamente legati alla prostituzione. Tutto il capo primo del progetto Soda e
Melandri si propone di rimuovere le cause. È piuttosto una premessa di valore; una premessa di
valore che parte da un presupposto piuttosto retrò, forse, come concetto mentale, cioè che la
prostituzione è sempre e comunque una scelta non volontaria. Questa è una valutazione, legittima,
ma è una valutazione che prescinde da alcuni elaborazioni più recenti che sostengono che la
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prostituzione può essere anche una scelta volontaria. Quindi vengono previste tutta una serie di
iniziative atte a rimuovere le cause; vengono previste iniziative per la riqualificazione professionale,
l'avviamento al lavoro per chi ha deciso di abbandonare la prostituzione e viene affidata a una
legge regionale ,in questo ambito all'Unità Sanitaria Locale, il controllo sanitario, l'assistenza
sanitaria con garanzia di anonimato. Sono previsti anche trattamenti sanitari obbligatori dei quali,
tuttavia, non sono chiaramente specificate le modalità. Questi ultimi sono infatti indicati in
riferimento alla legge 833 del '78, però è un riferimento relativo alla previsione di una garanzia
giurisdizionale per chi si vuole opporre ai trattamenti obbligatori. Quindi non è una
regolamentazione che a una lettura, anche approfondita, può uscire ben definita e può uscire
chiara. Il capo secondo del progetto è quello di cui si è parlato, dedicato alle misure di contrasto
alla criminalità organizzata; col capo terzo si interviene molto opportunamente sulla legge Merlin,
riducendo quei limiti esterni all'attività imposta rendendo quindi depenalizzati comportamenti come
il favoreggiamento reciproco o la tolleranza abituale. Nulla si dice espressamente in materia di
imposizione fiscale e quindi bisogna dedurre, ma si deduce molto facilmente anche perché è
spiegato nella presentazione della legge, che i proventi dell'attività vengano comunque
assoggettati al tributo, ma si tratta di un tributo generico previsto per tutti i fatti illeciti da una legge
finanziaria, mi pare di un paio di anni fa. La proposta della Lega è di modificazione e non di
sostituzione della legge Merlin; afferma il principio che la prostituzione vada intesa come
un'attività di esplicazione delle proprie capacità fisiche, intellettuali e pratiche; infatti si fa un
esplicito riferimento alle norme in materia di piccole imprese, artigianato eccetera ed è
un'affermazione di principio che richiederebbe grandi approfondimenti, è importante ma è
discutibile. Cioè, il fatto che un'attività che coinvolga così intimamente la persona sia considerata
attività di lavoro artigianale, potrebbe essere una novità ma può essere anche considerata un po'
una forzatura. Diviene una forzatura se si vede il resto della legge perché si capisce che questa
configurazione giuridica è fatta per consentire controlli sanitari, controlli fiscali, controlli sull'attività
molto penetranti, perché se una ha un'attività di lavoro è sottoposta a tutta una serie di normative
che sono assai più incisive. Le modifiche alla legge Merlin riguardano il divieto di esercizio
all'aperto che è sanzionato pesantemente, in questo caso la Lega tenta di rispondere a quella
opinione pubblica disturbata dalla presenza dell'attività di prostituzione per strada e negli esercizi
pubblici. Per contro, è prevista la possibilità di esercitare in dimore private ma senza la
registrazione, cioè non è un ripristino della normativa stile Buontempo ma è un chiudere in casa
l'attività ma senza tutta una serie di misure particolarmente odiose. Vengono anche qui aggravate
le sanzioni contro lo sfruttamento ed è espressamente previsto il pagamento delle imposte sul
reddito. Ultima proposta è quella del Senato, dei CCD, che prevede il divieto della prostituzione in
luogo pubblico, anche qui per i motivi che abbiamo detto prima, sanzionato con ammenda mentre
è permesso il luogo privato e in forma autogestita, anche qui senza le registrazioni dell'autorità.
Sono previste sanzioni per l'attività di reclutamento, induzione e sfruttamento e non per
agevolazione, quindi sono un po' alleggerite quelle misure che tendono a fare terra bruciata intorno
all'attività di prostituzione. Vengono altresì previste rigide misure di controllo del territorio e una
regolamentazione dell'attività nel territorio, non dell'attività nelle case da parte delle autorità di P.S.
. Vengono previste iniziative di recupero, si sancisce il prelievo fiscale, si abroga espressamente la
legge
Merlin.
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Ersilia Salvato
Vice presidente del Senato
Io parto dalla suggestione del ragionamento di Pia perché mi sembra che, anche per poter
delineare un percorso legislativo quale quello che toccherebbe a me, abbiamo la necessità, io
almeno avverto fortemente la necessità, di una riflessione a tutto campo, che da troppo tempo
manca, tra una esplosione inedita di ricerca di autonomia da parte dei soggetti e il rapporto che c'è
tra questa coscienza di sé, tra questo bisogno di autonomia e la costruzione sociale, da una parte,
ma soprattutto la costruzione giuridica. Ho trovato suggestive le parole di Pia anche perché mentre
lei le pronunciava, immediatamente con la mente sono andata ad altri luoghi nei quali sento la
mancanza di una riflessione che abbia questo spessore, non sembri un paragone indebito ma
anche ad esempio in uno dei luoghi nei quali più sto lavorando, la commissione Bicamerale,
questo rapporto così forte che oggi c'è e che è poi al centro della crisi di sovranità, l'autonomia del
singolo e della singola, la costrizione sociale, il potere dal basso e quindi realmente una
ridefinizione anche del modo stesso di stare assieme, o manca del tutto, o in parte sicuramente è
inadeguata, tant'è che risposte non riescono mai ad essere forti su questo terreno, tali da cogliere
assieme non il bisogno ma il diritto all'autonomia e la costruzione delle relazioni tra persone,
individui, società e Stato in un modo completamente diverso da quello che finora abbiamo
registrato. Ho colto la suggestione anche perché da troppo tempo sento, anche su altri terreni, che
non solo non c'è questa riflessione e si stenta a mettere in campo questo rapporto ma, anzi, la
tendenza va in tutt'altra direzione, è antitetica rispetto non solo alla riflessione ma soprattutto a una
domanda di cambiamento che io avverto molto forte e molto preponderante. Ho detto qualche altra
volta e mi scuso se lo ripeto qui, soprattutto per chi ha già ascoltato questa mia inquietudine, che
veramente c'è questo
***
paradosso: da una parte un liberismo ultra accentuato sul terreno dell'economia, per cui
veramente tutto viene demandato non ad una libertà, ma a una assenza di regole e di leggi; un
liberalismo che qualcuno adesso vorrebbe anche porre anche sul terreno del federalismo che
viene tradotto in questo modo: ognuno in casa propria è libero di fare quello che vuole e poi invece
sul terreno dell'affermazione dei diritti delle persone una pubblicazione estrema della persona
stessa, tant'è che viene negato proprio dall'origine quello che invece dovrebbe essere, a mio
avviso, il terreno dal quale partire su cui costruire anche le relazioni. In qualche altro paese di
democrazia occidentale si chiama abeas corpus, io credo che forse su questo dovremmo riflettere
anche qui nel nostro Paese, cioè da un abeas corpus tale per cui non solo ci si sottrae ad una
logica di pubblicizzazione spinta, per cui tutto viene demandato a una norma, a una legge, ad uno
Stato che diventa addirittura invasivo dei rapporti e delle relazioni tra persone, ma viene cancellata
proprio la possibilità di autodeterminarsi e come donne questo lo stiamo vedendo su altri terreni.
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Ne parlavamo l'altro giorno rispetto ad un dibattito sulla bioetica, lo vediamo rispetto all'invasività
dello statuto sugli embrioni ma potrei continuare nell'elenco che purtroppo comincia a diventare
lungo e soprattutto, a mio avviso, è inquietante perché sta diventando la misura con cui anche a
sinistra si costruiscono risposte e normative ma soprattutto si delinea la cultura, le culture della
sinistra. Perché ho fatto questa premessa? Per arrivare immediatamente a una conclusione che mi
sforzerò poi di argomentare, seppur brevemente, e la conclusione mia su cui ormai ho maturato
una convinzione lunga è che dovremmo tentare in tutti i modi di opporci a qualunque legge sulla
prostituzione e dovremmo decidere in modo serio di non normare, perché lo scenario è questo ed
è uno scenario inquietante. Ascoltavo adesso da ultimo la disamina delle proposte che sono state
presentate, quelle che abbiamo anche guardato insieme con Stefano Anastasia, ed è una
disamina, appunto, che crea allarmi perché non ci sono soltanto le proposte che una volta, con
termini antichi, avremmo chiamato reazionarie, di quelle che rispondono a una domanda di
sicurezza sociale con una scelta molto forte che, da una parte, diventa repressione e dall'altra, nei
fatti, costruisce l'impossibilità di questi soggetti di costruire le condizioni della loro cittadinanza,
progetti che sono quelli del Polo, in parte anche quelli della Lega di cui adesso ho ascoltato anche
le norme fondamentali. Insomma, i progetti della destra, chiamiamoli così, in realtà vanno a negare
alcuni diritti fondamentali. Ad esempio l'obbligo della visita sanitaria, il fatto di esser portati in
questura immediatamente, lì visitati eccetera, vanno in una direzione che è molto determinata: da
una parte una sorta di risposta falsamente rassicurante rispetto a una opinione pubblica che vive
disagi dei quali pure dobbiamo farci carico, su cui pure dobbiamo ragionare e, dall'altra, appunto
ingabbiare, perché di questo si tratta, le gabbie che ormai tentano di costruire su tutto e
dappertutto. Io però resto allarmata quando lo stesso tipo di sostrato culturale trovo anche in altre
proposte perché, al di là della proposta Scalia che sul terreno dei diritti della libertà sembra quella
chiaramente più vicina anche a una nostra sensibilità ma che, a mio avviso, è innocua perché priva
di efficacia, così come è scritta, quindi leggi innocue lasciano il tempo che trovano e poi non ha
nessuna possibilità di passare una legge siffatta, ma la stessa proposta di legge Soda-Melandri,
certo, c'è una parte che è interessante (il capo terzo eccetera) ma le altre parti di quella proposta
vanno esattamente nella stessa direzione, innanzitutto culturale delle proposte presentate dalla
destra, esattamente la stessa direzione. Allora io resto veramente molto inquieta poiché mi trovo di
fronte ad una idea dalla quale si prende le mosse, che è la regolamentazione, e mi trovo di fronte
anche poi a delle indicazioni molto concrete che vanno nella direzione di un pronunciamento di
disvalore. Certo, non si dice reato ma c'è un pronunciamento di disvalore e c'è poi una serie di
obblighi ai quali si cerca concretamente di dar luogo che trovo lesivi della dignità e di una libertà
che invece deve essere, o dovrebbe essere, garantita. Allora, di fronte a questo scenario mi viene
da dire, con grande convinzione, che è meglio non normare. L'unica norma alla quale noi
potremmo pensare, alla quale avevamo anche pensato in altri momenti in cui sembrava più facile
anche costruire delle norme non in difensiva erano da una parte quelle che restituivano diritti di
cittadinanza, che l'ambiguità della proposta delle legge Merlin, nel dir questo sono d'accordo con
chi mi ha preceduto, segnava un compromesso tra abolizionisti e antiabolizionisti, l'ambiguità
sull'adescamento ha consentito e consente ancora una diminuzione dei diritti di cittadinanza e
quindi si poteva o si dovrebbe intervenire su questo proprio perché nel nostro Paese non possono
esserci cittadini o cittadine di serie A o di serie B rispetto a scelte di vita che fanno. L'altra cosa
forse era quella di pene più severe, soprattutto rispetto alla prostituzione minorile, anche se questo
è un capitolo a parte, che dovrebbe essere trattato a parte, non ho ascoltato Vittoria Tola dall'inizio
ma sono d'accordo con lei, dividiamo e separiamo le questioni. Però io sono convinta e resto
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convinta che non ci sono proprio le condizioni politiche e culturali per affrontare la questione in
questo modo, ma soprattutto sempre più mi vado convincendo della necessità di sottrarre al diritto
e alla legge scelte che attengono a libertà fondamentali, a partire dal proprio comportamento, dal
proprio sentire di sé. Lasciatemi anche qui fare una forzatura, e forse di forzatura si tratta, ma
anche chi ragiona sulla prostituzione volendo assolutamente allontanare da sé l'idea che dalla
cittadina che sceglie di prostituirsi questo può essere vissuto come un lavoro, anche questo mi
sembra un arbitrario giudizio di disvalore e un arbitrario modello comportamentale che si vuole
porre che mi trova assolutamente in disaccordo. Certo, poi ognuno di noi rispetto a se stesso,
rispetto alla concezione del lavoro ha le proprie idee, la propria cultura ma non per questo può
pensare di imporre agli altri e alle altre proprie idee e proprie culture. Invece io sento che
prepotentemente avanza questa voglia di normare tutto e di imporre comportamenti attraverso la
norma. Molti anni fa, io ebbi quello che allora fu considerato una sorta di coraggio temerario
perché allora militavo in un partito che era il Partito Comunista che dentro aveva un po' di morale o
di moralismo, di scrivere una relazione che accompagnava un disegno di legge nel quale ognuno è
libero per se stesso di vivere la propria sessualità, ognuno è libero di poter, rispetto al proprio
corpo, autodeterminarsi, anche in tema di prostituzione. Io sono perché questo oggi vada
riaffermato, con grande forza, certamente non in una legge perché non ci sono le condizioni
politiche e culturali per fare una legge, ma nei comportamenti che noi dobbiamo mettere in atto. E
se si tratta di lavorare, un primo lavoro da fare è di impedire che vengano messi all'ordine del
giorno questi disegni di legge, anche qui mi scuso con Vittoria se non ho ascoltato, questa idea
della Ministra Finocchiaro di chiedere la convocazione delle due commissioni congiunte, Camera e
Senato, Giustizia e Sanità per discutere il documento europeo è una richiesta che mi sembra
giusta, molto suggestiva; dobbiamo tentare però di capire che rimanga questo e che non diventi
quella la sede solenne perché questo rischio c'è e dobbiamo saperlo. Quindi dobbiamo tentare di
capire bene che cosa facciamo e dove vogliamo andare a parare perché anche sulla procreazione,
sull'inseminazione si era partiti in un modo e adesso c'è qualcuno che pensa già di andare a
rileggersi la 194, quindi tentiamo di capire bene come ci muoviamo. Quindi, al di là della legge, io
sono per accogliere molto positivamente le suggestioni che sono venute nell'intervento di
Agnoletto e nelle altre cose che conosciamo che quella scelta molto concreta di stare insieme ai
soggetti, di stare in percorsi di autodeterminazione e, soprattutto, rispetto a disagi che realmente
sono in campo nelle città, nei luoghi del quotidiano, tentare quella composizione difficile che può e
deve essere tentata nei luoghi del quotidiano. Ultimissima cosa che vorrei dire ma anche qui non
so se si deve affrontare con leggi ma io rifuggirei da una legge, c'è l'altro problema che viene
spesso avanti e su cui so che ci sono delle differenze, la costituzione di cooperative: sì, no, come,
perché, il fatto che se si sta insieme due o tre in una casa, questo non può essere oggetto di
repressione eccetera. Sulla scelta delle cooperative, io non ho idee certe, questo è un terreno
rispetto al quale realmente c'è da ascoltare, da capire, da riflettere, e non ho un'idea già
determinata. Dico soltanto, per il mio modo di guardare alle questioni, che non ho alcune remora
rispetto a scelte che possono essere fatte liberamente da soggetti che decidono per sé di costituire
anche queste forme di relazioni, se possono realmente nel quotidiano aiutare se stesse attraverso
queste forme. Perché dobbiamo saperlo, lo dico a Pia che con onestà intellettuale ha fatto una
distinzione che è vera, il peso della contrattazione individuale tra chi ha un'alta coscienza di sé, io
parlerei di questo prima ancora che di professionalità e invece altri soggetti che, pur avendo nei
fatti una possibilità anche di incidere, certamente hanno delle condizioni materiali
complessivamente diverse che sono ad esempio le albanesi e tante altre, lo sappiamo bene.
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Quindi forse tentare strade per unire insieme esperienze e scambiarsi, in questa pratica nostra
molto femminile anche di donne, questa possibilità di crescita nella cultura di sé e quindi possibilità
anche di autodeterminarsi anche sul terreno della contrattazione individuale anche attraverso
forme che sono quelle della cooperativa, mi sembra una strada da sperimentare. Lo dico senza
alcuna certezza ma con grande apertura.
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Carlo Donadel
Comune di Venezia
Prima di esporre le scelte dell'Amministrazione Comunale rispetto al fenomeno sociale
della prostituzione e, in particolar modo, della prostituzione di strada, volevo solamente dire una
cosa riguardo alle sollecitazioni fatte rispetto agli interventi fatti soprattutto da Pia sul discorso di
legiferare rispetto alla prostituzione. Io sono d'accordo che è meglio non legiferare per un semplice
motivo anche dalla mia esperienza pratica. Cioè, noi ci troviamo di fronte ad un fenomeno che è in
continua mutazione, in forte mutazione per cui una legislazione anche rigida che tenta di mettere
delle regole, sarebbe praticamente scavalcata nel giro di pochissimo tempo per le fortissime
mutazioni che questo fenomeno sociale comporta. Quindi, questo è un elemento da tenere
presente per chi si vuole porre questo problema, per non cercare poi di essere sfasato proprio con
quella che è la realtà concreta, con quello che sta veramente succedendo, non dico sotto gli occhi
nostri ma voglio dire anche come conflittualità, come modificazione delle soggettività e via dicendo.
Allora, tornando invece all'esperienza specifica del comune di Venezia, noi, lo ha già citato prima
Pia, siamo all'interno di una collaborazione con il progetto Tampep e quindi all'interno di questa
rete che si sta creando nella realtà italiana, anche se mi sembra che sia più concentrata al nord e
al centro Italia e al sud resta abbastanza scoperta. Il progetto, in questo momento è diventato
servizio, questo rappresenta una chiara volontà politica da parte dell'amministrazione, noi
sappiamo che i progetti hanno un inizio e una fine; un servizio, in teoria, dovrebbe rappresentare e
costituire maggiore stabilità per chi decide di lavorarci o tener presente che questa è una
problematica sulla quale porre costantemente attenzione. Il progetto è nato nel 1995 sull'onda di
una forte protesta da parte dei cittadini, quello che ormai succede episodicamente nelle varie parti
d'Italia, nei confronti della prostituzione di strada e, da parte dell'amministrazione, rappresenta una
assunzione di responsabilità verso il fenomeno sociale della prostituzione, quindi c'è un
riconoscimento di un fenomeno sociale, non tanto prostituta, cliente ecc ma della complessità di un
fenomeno sociale. Quindi, di fronte ai problemi sociali che nascono dalla contrapposizione tra
l'esistenza della prostituzione di strada - perché questa è la realtà, perché esiste al di là di quello
che soggetti sociali, politici, oppure di cittadini vorrebbero o non vorrebbero, cioè questa è la realtà
- tra questa contrapposizione e la percezione sociale del disturbo perché c'è una realtà, non è che
questo nasce da situazioni inventate, esiste, cioè c'è una parte di cittadinanza o la cittadinanza
che, interagendo con la prostituzione di strada, è in conflitto con determinati interessi e bisogni che
la prostituzione di strada presenta. Però di fronte a questo problema, c'è anche la percezione
sociale del disturbo e soprattutto anche del possibile veicolamento di malattie che solitamente si
assegna a una popolazione multietnica, questo é uno dei cavalli di battaglia, quando si affronta o,
perlomeno, si vuole affrontare questa problematica, ovvero il discorso che le prostitute sono
portatrici di malattie e via dicendo. Noi abbiamo sentito prima Agnoletto che ci diceva che invece è
esattamente il contrario, io sono su questa posizione non mia ma voglio parlare
dell'amministrazione comunale. Allora l'ente pubblico aveva due alternative: o scegliere la strada
repressiva, cioè chiudere gli occhi, delegare la soluzione dei problemi alle Forze dell'Ordine, nel
senso che l'amministrazione comunale risponde ai cittadini dicendo: "Questo è un problema di
ordine pubblico, queste non sono competenze nostre, debbono essere risolte da parte delle forze
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dell'ordine". E qui rientra anche il discorso che aveva accennato lo stesso Vittorio Agnoletto
quando invece c'è l'esigenza che anche enti pubblici e amministrazioni si pongano il problema
della sicurezza delle città che non sia solamente una questione da delegare alle forze dell'ordine
ma anche una amministrazione comunale, attraverso i propri strumenti, può pensare e ragionare e
porre in essere degli interventi sulla cosiddetta città sicura. La seconda strada possiamo chiamarla
la strada sociale, cioè collocare i problemi all'interno di un fenomeno sociale, conoscerlo prima di
tutto, perché una delle cose importanti è quello di conoscerlo, molto spesso si parla solo ed
esclusivamente per stereotipi ma non si hanno degli elementi perché non ci sono né osservatori e
non c'è contatto diretto per capire le modificazioni, quello che sta veramente succedendo e quindi
tentare di riequilibrarlo, oppure limitarne gli eccessi rispetto alle sue problematiche. L'assunzione è
questa: se il fenomeno della prostituzione di strada viene visto come un fenomeno sociale,
all'interno di un sistema composto da più attori, quindi prostitute, clienti, cittadini, istituzioni
eccetera, direttamente o indirettamente legati tra di loro da interessi comuni, perché questo esiste,
e non viene visto invece come un cancro da sradicare perché molto spesso è questa l'accezione
oppure da espellere da una società sana, allora inevitabilmente vuol dire che si cercano degli
strumenti di normalizzazione e di integrazione adatti a capire e guidare il fenomeno. Questa è stata
la strada percorsa dal comune di Venezia attraverso l'assessorato alle politiche sociali. Quindi, il
servizio è una risposta ad un fenomeno sociale e non a chi ci vuole schierati da una parte o
dall'altra, contro o a favore della prostituzione, diciamo che questo progetto, come la riduzione del
danno, vuole uscire dalla contrapposizione ideologica del pro o contro qualcosa o qualcuno, sulla
base della conoscenza concreta del fenomeno e non della sua percezione. Quindi possiamo dire
che il servizio sviluppa i suoi interventi lungo tre direttrici: la prima direttrice è il lavoro sui diritti, la
seconda è la mediazione dei conflitti, la terza riguarda le politiche di integrazione e di accoglienza;
questo perché siamo, soprattutto se parliamo della prostituzione di strada, all'interno di un
fenomeno sociale che è un fenomeno sociale all'interno di un fenomeno sociale che è ancora più
complesso: quello dell'immigrazione. Partendo dalla nostra piccola realtà, cioè il territorio, perché
questo è l'ambito di azione anche se non è ininfluente il fatto che alcuni comuni limitrofi, soprattutto
del trevigiano che pur comunque a guida dell'Ulivo, che è abbastanza anomala per il territorio
trevigiano che è quasi tutto guidato dalla Lega, comunque questi due comuni che sono interessati
dal fenomeno della prostituzione di strada perché sono quelli che vanno da Venezia, da Mestre
verso Treviso e i comuni di Mogliano Veneto e i comuni di Preganziol, hanno chiesto al comune di
Venezia di estendere il nostro intervento anche nel loro territorio in quanto riconoscono la filosofia
e la politica di intervento che in questo momento il comune di Venezia porta avanti. Questa è una
cosa importante perché se noi pensiamo al fatto della mobilità, fortissima mobilità di queste
ragazze, è difficile pensare a un intervento chiuso su un territorio ma per esempio bisognerebbe
pensarlo a livello magari regionale, vedendo quali sono le direttrici nelle quali il fenomeno della
prostituzione si muove per poter pensare proprio a degli interventi importanti. Nel nostro territorio, il
monitoraggio che abbiamo fatto in questi due anni e mezzo di attività, praticamente ci dice questo:
nel tessuto urbano si è sviluppato un mercato capace di far lavorare un centinaio di prostitute. È
importante ragionare in questi termini perché con la mobilità, la flessibilità uno dei parametri di
riferimento è quello che si costituisce attraverso l'offerta e la domanda che può restringersi o
allargarsi, però diciamo in questi due anni e mezzo, noi abbiamo osservato questo tipo di...
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...che può contenere e dare "lavoro" o comunque riesce a creare una domanda e un'offerta
per un centinaio di ragazze. Il secondo punto è che il 95% di esse sono straniere e nel nostro
territorio sono, per la quasi totalità, provenienti da due paesi, l'Albania e la Nigeria e sono
accomunate da alcune caratteristiche che possiamo definire percorsi: uno che è un percorso di
clandestinità; queste ragazze hanno iniziato clandestinamente quasi tutte; poi sono caratterizzate
dalla giovane età, dalla forte mobilità sul territorio e poi la maggior parte di loro sono assoggettate
a sistemi di coercizione e di sfruttamento. Sono diverse non è che vengono portati avanti sistemi di
sfruttamento uguali, cioè sono uguali sia per le nigeriane che per il target albanese, ma hanno
delle caratteristiche, delle modalità diverse però comunque esiste questo elemento. Poi abbiamo la
domanda, cioè i clienti, che - questo lo aveva già citato anche Agnoletto - quasi il 50% richiede
prestazioni non protette e il quarto e non ultimo punto che è una cosa che dovrebbe far pensare,
che tra il 15 e il 20% della popolazione delle prostitute può essere composto da minorenni.
Diciamo così perché molto spesso sappiamo che, essendo clandestine, loro tendono a dichiarare
un età non vera, ad alzare la loro età comunque una parte abbastanza consistente è rappresentata
da ragazze minorenni. Questo è anche un indicatore di come sia strutturata e come è sempre in
continua mutazione il fenomeno sociale perché questo potrebbe essere letto come il cosiddetto
turismo sessuale alla rovescia: non occorre più per il cliente italiano andare a fare il giro della
Tailandia o dei paesi dell'est ma può trovare la ragazza minorenne anche sotto casa con tutti gli
stereotipi che ci sono perché una ragazza giovane si pensa che non sia malata, come
effettivamente è, e tutta una serie di cose, però non voglio fare queste analisi. Quindi, rispetto al
passato, i cambiamenti più evidenti sono che c'è stata la sostituzione delle prostitute italiane con
prostitute straniere di giovane età; una forte espansione del mercato perché comunque nel
mercato è aumentata la presenza delle ragazze straniere, delle prostitute straniere, è aumentato il
numero delle prostitute, perlomeno nella nostra realtà, rispetto a quando c'era un mercato sulla
strada quasi completamente costituito da prostitute italiane, e poi quello che si può constatare che
molto spesso c'è una figura debole della prostituta nel senso che può essere poco contrattuale nei
confronti del cliente. Questo deriva dalla combinazione di più elementi, però il fatto che ci sia
un'offerta maggiore della domanda, il fatto che molte di loro sono soggette a sistemi di coercizione,
il fatto che molte di loro si prostituiscono per la prima volta in Italia, questi sono degli elementi che
indicano la professionalità, comunque sono elementi di debolezza rispetto ad una contrattazione
con il cliente. Per cui, come sintesi di tutto questo si può dire che siamo di fronte a una
popolazione multietnica, socialmente marginalizzata e stigmatizzata in quanto formata da
prostitute immigrate e clandestine, una somma di stigmatizzazioni e di marginalizzazioni in forte
conflitto con parte della cittadinanza sia per il significativo aumento delle presenze che per
l'incapacità, in quanto donne provenienti da contesti culturali socialmente diversi dal nostro, di
mettere in atto comportamenti "professionali" funzionali ad una sufficiente convenienza. Gli esempi
sono molto semplici: i luoghi di lavoro, il fatto di lavorare in gruppi, questo magari sotto il portone di
casa, cioè questi sono tutti elementi che aumentano le conflittualità con la cittadinanza, condom
gettati per terra, poi dopo le cose concrete se vogliamo sono anche molto banali, però questi
contengono tutta una serie di potenzialità chiamiamole scatenanti la conflittualità. Inoltre, è esposta
a forti rischi per la salute in quanto poco contrattuale con i clienti. Questa è un po' la situazione che
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noi riscontriamo nel nostro territorio attraverso l'osservatorio che è un osservatorio fatto con le
unità di strada, perché noi operiamo con le unità di strada, andiamo a contattare direttamente le
ragazze ormai da due anni e mezzo e quindi ci dà anche la possibilità di verificare tutta una serie
di cose. Entriamo invece adesso più specificamente nel progetto che da noi purtroppo ha un brutto
nome, da noi viene chiamato "Città e prostituzione", a me non piace, avrei preferito un altro nome.
Noi partiamo appunto dall'assunto che ho già detto prima, che questo è un fenomeno sociale e per
la prostituzione di strada va inserito all'interno di un fenomeno ancora più complesso che è quello
dell'immigrazione. Quindi è evidente che bisogna intervenire in più settori e con professionalità,
metodologie, strumentazioni diverse. Io credo che un fenomeno sociale non può essere affrontato
solamente da un unico punto di vista perché coinvolge più settori e coinvolge più attori e anche
quindi se si vuole intervenire bisogna intervenire con strumentazioni e anche metodologie diverse.
L'immagine che si può dare è quella di un sistema, il nostro progetto, nel quale ci sono dei
sottosistemi o aree di intervento autonome tra loro per obiettivi, ma interagenti in quanto sono
parte di un unico ambiente. Le aree che noi abbiamo individuato nel progetto sono: uno, l'area
della prevenzione sanitaria; due, l’area del sostegno e della promozione sociale; tre, l'area civica;
ed infine quattro l'area legale. E’ fondamentale secondo noi aver sviluppato tutte le problematiche
che sono annesse, o non annesse, al fenomeno. Il nostro lavoro è un lavoro per progetto ed è
caratterizzato dalla flessibilità; questo perché molto spesso ci troviamo a dover modificare
strategie, obiettivi specifici in itinere proprio perché questo fenomeno sociale è soggetto a
modificazioni così veloci e repentine da dover sempre verificare se ciò che si sta facendo sia
adeguato a ciò che ci si prefigge. Il servizio opera con una unità di strada composta da: mediatrici
culturali, da educatori; le mediatrici sono una mediatrice albanese, una mediatrice nigeriana
perché questo è il target che troviamo nel nostro territorio, e all'unità di strada spetta la
progettazione e la realizzazione degli interventi. Poi c'è la consulenza operativa del comitato e la
consulenza anche metodologica di Licia Brussa in quanto coordinatrice del progetto europeo
Tampep. L'obiettivo generale del progetto è questo: determinare cambiamenti di comportamento in
chi esercita la prostituzione sia in campo sanitario, al fine di ridurre il rischio per la diffusione
dell’AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili che in campo sociale, al fine di aumentare la
possibilità di scelta e di autodeterminazione delle fasce più deboli e ricattabili delle prostitute e
offrire aiuto a chi cerca di uscire dallo sfruttamento ed infine in campo civico per ridurre il disturbo
della quiete pubblica e i conflitti sociali con i cittadini. Questi obiettivi chiaramente possono trovare
soluzioni in un'unica ipotesi: un lavoro diretto e un modo interdisciplinare con la popolazione
marginalizzata e stigmatizzata delle prostitute, finalizzato a creare un ponte con il tessuto sociale,
perché il compito dell'unità di strada è proprio questo: quello di creare un ponte tra la comunità
delle prostitute con i servizi del territorio, quelli sociali, quelli socio-assistenziali, educativi,
istituzioni con unità locale soprattutto, e con comunità locale io intendo tutte quelle espressioni che
fioriscono nel territorio, che possono essere le associazioni o anche comunque singoli cittadini, per
esempio il discorso delle famiglie eccetera, che direttamente o indirettamente interagiscono, può
ottenere un effetto di normalizzazione e un'armonizzazione del fenomeno di contenimento e di
prevenzione delle tensioni sociali. Questo per dire che, per esempio, nel nostro territorio ormai da
due anni, non c'è servizio sanitario assistenziale sociale che non sia stato coinvolto, voglio dire che
ha dovuto ragionare e ha dovuto pensare che esiste nel nostro territorio una comunità che prima
loro non conoscevano, e perché non accedeva ai servizi, ma anche perché non era presente nella
loro mente. Quindi questo vuol dire anche pensare a tutta una serie di problemi: il problema
dell'accoglienza, di come è possibile accedere al servizio, il problema del cancelling, tutta una
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serie di problemi che prima la nostra comunità, la comunità locale, non si poneva assolutamente.
L'unità di strada ha rappresentato il raccordo tra queste questioni, in modo da coinvolgere tutto il
tessuto sociale. Per esempio, sui progetti di integrazione che noi chiamiamo di integrazione sociale
e lavorativa per chi ha deciso di uscire dalla prostituzione, noi non abbiamo fatto la scelta
dell'inserimento nelle comunità perché riteniamo, dalle esperienze fatte, che l'inserimento in una
comunità è tra le esperienze più negative, perché le comunità non sono preparate ad accogliere
queste ragazze. Ogni comunità esprime una propria cultura, non ci sono comunità che sono state
adeguate, tarate per questo tipo di soggetti, e quindi cosa accade? Molto spesso una ragazza
messa in comunità o resta lì parcheggiata perché ha un atteggiamento passivo, in questo modo
non c'è nessuna promozione sociale e quindi integrazione nel tessuto sociale, oppure dopo due
giorni scappa perché non trova elementi comuni tra i suoi bisogni e quelli della comunità.
Facciamo una sintesi: c'è un'attività dell'unità mobile di strada che ha il compito di contatto, quello
che è importante, lo citava anche prima Agnoletto, è costruire un rapporto di fiducia con il target.
Molto spesso noi diciamo: la distribuzione del condom non è profilassi, secondo il mio punto di
vista, non si fa profilassi distribuendo il condom: tutte le ragazze o quasi tutte hanno il condom
nella borsetta, non è detto che perché io le do il condom che lei lo usi, il condom è uno strumento
per creare un contatto; è uno strumento e su questa cosa bisogna ragionare. Lo stesso gli opuscoli
informativi, è importante costruire un rapporto di fiducia e noi il rapporto di fiducia cerchiamo di
costruirlo attraverso le tutela e il diritto alla salute. Noi con l'unità di strada lavoriamo solo
esclusivamente su questo. Per esempio, diceva prima Agnoletto che molto spesso può capitare
che agli educatori sull'unità di strada venga chiesto di collaborare con le forze dell'ordine, noi
collaboriamo con le forze dell'ordine, però quando lavoriamo con le ragazze lavoriamo
esclusivamente sulla tutela e il diritto della salute, non abbiamo mai fornito nessuna informazione.
Con le forze dell'ordine e la magistratura lavoriamo solamente per la gestione dei casi delle
ragazze con i permessi di soggiorno per giustizia. Questo è il nostro potere contrattuale con le
forze dell'ordine. Sul lavoro di strada sviluppiamo quegli interventi a bassissima soglia, bassa
soglia, che sono finalizzati alla prevenzione dell’AIDS, delle malattie sessualmente trasmissibili e
delle interruzioni volontarie di gravidanza effettuate con mezzi impropri: anche questo è un
elemento molto preoccupante che sta emergendo dai dati e anche dalle richieste che ci vengono
fatte. Con le ragazze nigeriane, noi abbiamo creato tutta una serie di percorsi, però in questo
momento ai nostri servizi non stanno arrivando solamente le prostitute, questo è importante: sta
arrivando tutta la comunità nigeriana. In questo momento sul problema dell'interruzione di
gravidanza stiamo lavorando con tutta la comunità nigeriana. Il nostro lavoro è a bassissima
soglia, stiamo solamente cercando, perché non abbiamo ancora trovato delle strumentazioni
diverse per arrivare alla prevenzione, di creare dei canali alternativi agli aborti clandestini. Su
questo argomento abbiamo interessato le tre USL del nostro territorio, le due di Venezia e quella di
Padova dove ora le ragazze possono fare l'interruzione volontaria di gravidanza gratuitamente.
Tutto ciò è stato possibile grazie ad un escamotage: tutti i costi sono a carico delle aziende
sanitarie locali, ma le ragazze dichiarano di essere nullatenenti, e l'azienda ospedaliera si "rivale"
sull'ambasciata di origine. Riguardo il lavoro dell'attività di strada, lavoriamo appunto sulla
riduzione degli elementi di conflitto con la cittadinanza, contattando direttamente il target e
essendo anche le persone che ricevono tutte le proteste da parte dei cittadini, abbiamo la
possibilità di portare da...
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...lavorare per i problemi specifici delle ragazze ma, dall'altra parte, creare una cultura
all'interno della nostra comunità che sia in grado di contrapporsi a chi mette in atto degli interventi
o delle politiche che vogliono eliminare la prostituzione o far finta che essa non esiste.
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Ziu Ana
Mediatrice Culturale
Parlerò del lato pratico della questione perché a Genova ho avuto un'esperienza molto
diretta con delle ragazze prostitute. Prima di tutto vorrei dire che, poiché la prostituzione è un
fenomeno sociale, va trattato come tale. La cosa che mi fa impressione quando una ragazzina va
in una comunità, e aveva ragione l'altro collega, è il suo atteggiamento molto passivo. Quando inizi
a parlare con quella ragazzina, con una prostituta, non devi avere pregiudizi nei suoi confronti: lei è
una prostituta, è una diversa, ma devi essere molto sincero nel sentimento che le trasmetti. Si
parlava della sicurezza che si può dare a una prostituta, a una ragazzina soprattutto, perché una
prostituta è legata con molte catene. Prima di tutto la mancanza della libertà perché c'è la
malavita; un'altra catena è la vergogna perché lei si chiede: "se lo sa la famiglia cosa mi
succederà?"; un'altra catena è la mancanza di informazione, la mancanza di informazione riguardo
i diritti che spettano a una ragazzina, a una minorenne. Mi è capitato con una prostituta di circa
ventidue anni che aveva anche un bambino e non chiedeva l'analisi per Hiv perché si vergognava
a chiederlo, forse pensava che era qualcosa di troppo che chiedeva lei alla società qui in Italia. Per
quanto riguarda le prostitute, da una parte c'è l'organizzazione, che è illegale, e dall'altra parte
siamo noi che siamo legali. Il ritratto di una ragazza albanese in Italia è questo: la ragazza
albanese è una prostituta, è successo anche a me quando dico che sono albanese, tutti mi
pongono la domanda: "ma hai avuto a che fare con le autorità italiane?". In Italia molti pensano
che le ragazze albanesi siano nate per fare questo lavoro, forse è colpa un po' della TV che è stata
eccessiva su questo argomento. Il discorso delle prostitute è un'emergenza per quanto riguarda le
donne albanesi perché la violenza che subiscono è spaventosa, però non è irresolubile; è
un'emergenza perché siamo molto vicino ma il problema è trattato sempre da un punto di vista
lontano. Per quanto riguarda ridurre almeno un po' la prostituzione, per quanto ho constatato nei
contatti con gli albanesi in generale e per quanto riguarda le donne, manca un punto di riferimento.
Ho sempre ribadito che la presenza di una comunità albanese potrebbe aiutare nel ridurre questo
fenomeno. Ho avuto a che fare con quattro ragazze e sono riuscita a levarle dalla prostituzione. Il
modo con cui comunico con le ragazze è molto semplice e molto complicato nello stesso tempo.
Perciò dico che c'è bisogno di un punto di riferimento, di una comunità albanese gestita, ed in
questo aveva ragione anche l'altro collega che ha parlato, da donne albanesi. Ribadisco con molta
forza, per la mia esperienza ed i contatti che ho avuto con gli albanesi che vivono a Genova e con
le famiglie albanesi che conosco, che il ritratto che classifica i ragazzi albanesi come maniaci
sessuali è del tutto infondato. Però quando ho ribadito, anche tra albanesi, che c'è bisogno di una
comunità albanese sono rimasta sempre da sola. Voglio sottolineare che ci sono ragazze albanesi
che studiano e che hanno il diritto di essere rispettate e di non dover rispondere alla domanda: hai
avuto a che fare con l'autorità italiana? Quando dico che sono albanese dicono sempre: "ahi ahi".
Io non voglio che questo accada, il mio impegno principale è questo, per questo motivo spero nella
creazione di una comunità albanese. Però in questo la CGIL mi dovrebbe dare aiuto. Io ho parlato
con degli studenti albanesi, con delle famiglie; gli albanesi tendono ad essere individualisti; è stato
il sistema che ha prodotto un tale ritratto di persona ed anche quei valori che c'erano sono sepolti
perché bisogna essere moderni. Però moderno non vuol dire che devi prostituirti tanto ormai si
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vede nei film. Il linguaggio da usare con le prostitute albanesi deve essere molto semplice, però
deve essere anche molto sottile, bisogna spiegarle cose molto elementari. Io cominciavo,
spiegando a una prostituta che mi diceva: io lavoro qua, dicendo che non è un lavoro quello che fa
in modo non obbligatorio, quando hai spiegato che non è un lavoro e hai dato la possibilità di
scegliere tra una professione o no, hai fatto molto, hai realizzato qualche cosa, ciò non vuol dire
che così si elimina la prostituzione, però si riduce un po. Poi anche nel modo di essere degli
albanesi è presente una forte componente di onore, tante prostitute che ho contattato hanno molta
vergogna che la famiglia venga a sapere qualche cosa. Questo è un punto che possiamo sfruttare
perché metterle in contatto con la famiglia, fare in modo che la famiglia sappia qualche cosa, che
la ragazza abbia... sono tante cose molto semplici per una comunità albanese. Per tale motivo
sarebbe veramente importante avere una comunità albanese. Quando io dico a tutti gli albanesi
che contatto: venite in CGIL perché per questo vi possono aiutare, vengono e io gli dico: la legge è
questa, il diritto è questo, poi ti rispettano. Ho avuto a che fare anche con detenuti per droga e
quando parli con loro, devi dare fiducia, devi mettere sulla bilancia i valori che hai; un detenuto mi
ha chiesto: "sì, io pagherò il prezzo per lo sbaglio che ho fatto però mi prometti che mi porti i libri di
giurisprudenza per studiare". Per me è stata una soddisfazione perché è una persona in più che
non è più un assassino, io gli spacciatori li chiamo gli assassini a sangue freddo. Il lavoro si fa in
questo modo, semplicemente. La mancanza di informazione e la mancanza di un punto di
riferimento comunque si sente molto, la presenza di una comunità albanese in questo lavoro di
informazione aiuterebbe molto, ma la nascita di tale comunità è difficile, gli albanesi non ce la
fanno da soli, sono molto individualisti, hanno paura. Ma questa comunità si può fare.
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Leopoldo Grosso
Gruppo Abele
Io riduco in quattro punti le questioni che volevo trattare. La prima è che, su questioni ad
alta sovrapposizione nevralgica, cioè prostituzione, tossicodipendenza, AIDS e immigrazione
clandestina che sono le quattro questioni con cui noi nel lavoro quotidiano abbiamo a che fare, si è
costretti nel nostro lavoro a pagare una tangente non alle organizzazioni criminali ma al pregiudizio
culturale: una buona parte del tempo del nostro lavoro, che potrebbe essere utilmente dedicato al
tentativo di soluzione di alcuni problemi, in realtà lo dobbiamo devolvere nei confronti della
cosiddetta normalità e alla creazione di condizioni di lavoro. Questo mi sembra un fatto da tenere
presente e potrei fare due esempi molto chiari, mi vengono dalla tossicodipendenza che è più
l'ambito a cui dedico le mie energie. Il primo è l'unità mobile: noi abbiamo un'unità mobile per
contattare il sommerso della tossicodipendenza, abbiamo trovato un punto strategico in cui
riusciamo sostanzialmente a contattare sia i tossicodipendenti di strada, sia quelli compatibili che
vanno a lavorare, questo punto è di grande disturbo ad alcuni commercianti della zona che sono
riusciti a portarci davanti al Prefetto il quale ha detto: o l'unità mobile si muove da quel punto o
altrimenti ve la facciamo chiudere. Questo per dire quanto è alto il cosiddetto tributo di tempo, di
lavoro e di energie nei confronti del pregiudizio culturale. L'altro esempio è rispetto invece a una
questione tragicomica che riguarda l'installazione di uno scambia siringhe su una città alla periferia
di Torino. Il dottor Altei che le fabbrica è riuscita a venderle al comune che aveva intenzione di fare
questa politica di prevenzione dell’AIDS, lo scambia siringhe alla città, è passato un anno e mezzo
e la città non aveva ancora piazzato lo scambia siringhe, nel senso che tutte le volte in cui
individuava una postazione, c'era la protesta dei cittadini sennonché, invece di svolgere un ruolo
educativo era sempre in coda al consenso in negativo dei cittadini. Alla fine la proposta della città è
stata di mettere lo scambia siringhe dietro il muro del cimitero, al che il dottor Altei ha detto: "Non è
che ci campo sulla vendita di questo scambia siringhe, ve la ricompro e non se ne fa nulla".
Questo per dire che sul mercato morale esistono morali di facili costumi che sono i moralismi. Se
dobbiamo tracciare una linea tra morali e moralismo è che possiamo definire il secondo come una
morale senza conoscenza, cioè una morale che non vuole approfondire i dati del problema, che
non vuole sapere e che fa scattare automaticamente un giudizio di valore in astratto. Il problema
che sui moralismi, e quindi sulle morali senza conoscenza, si costruiscono rendite politiche e con
queste noi dobbiamo fare i conti. Dove va il fenomeno? Nella nostra angolatura di città, a Torino, e
guardate che ogni città rispetto a questi problemi fa caso a sé perché diverse solo le possibilità di
lavoro che ogni città può offrire: se voi andate ad Arzignano, una città del vicentino, scoprite che il
90% delle persone immigrate hanno un permesso di soggiorno, hanno un lavoro, hanno una casa;
se andate a Torino, purtroppo non è così perché c'è possibilità di lavoro in quei posti là, ad
esempio c'è una pelletteria che offre lavoro. Ci sono comunità, prima con sfiducia mi sembrava di
capire dalla testimonianza della ragazza albanese, ci sono comunità di immigrati locali che a volte
aiutano e che a volte non aiutano e queste possono fare la differenza rispetto a possibilità di
reintegrazione. C'è la configurazione dei flussi, ci sono le organizzazioni che chiamano alcuni in
una città, altri in un'altra città. A Torino, ad esempio, rispetto alla realtà magrebina, noi abbiamo
notato un evolversi del fenomeno rispetto a quattro questioni. La prima è stata l'alcol dipendenza,
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sarà per la lontananza geografica della cultura di appartenenza dove l'alcol era una questione
vietata, c'è stato un fenomeno di disgregazione; la seconda è stata la vendita dell'hascisc, la terza
la vendita dell'eroina, la quarta la dipendenza da eroina. Ed è un fenomeno che è stato sia
individuale, sia in espansione come gruppo sociale. Per quanto riguarda la grande presenza di
ragazze nigeriane che ci sono a Torino, beh, attualmente stanno subendo la concorrenza forte
delle ragazze slave e c'è un tentativo da parte loro di organizzarsi per uscire dalla strada. A me è
capitato su una linea ferroviaria, che è la Milano-Torino, che nelle ore preserali è sempre piena di
ragazze che vengono a Torino e scendono alle varie stazioni intermedie, che sul lavoro di strada la
ragazza mi diceva: "tre sono le cose di cui io ho paura: la prima è che mi fermino perché sono
clandestina, la seconda è di incontrare dei clienti molto bizzarri, la terza è il freddo", e questa
sembrava la cosa più inquietante, "Io ho freddo, io ho sempre freddo, io ho freddo anche d'estate",
da quello che mi diceva. L'altra cosa che mi ha colpito è che ogni tanto le squillava il telefonino
dove la risposta era: "ho un amico" che le telefonavano nel tentativo di riuscire a rientrare in un
circuito più protetto che non le esponga alla realtà della strada. Quindi, in un modo o nell'altro, le
vie sono: o una maggiore professionalizzazione, o la possibilità dell'offerta alternativa. Mi sembra
che rispetto anche alle quantità che oggi si è cercato di capire che esistono qui in Italia rispetto al
fenomeno, l'Italia ce la possa fare utilizzando le due strade in entrambe le direzioni, da questo
punto di vista. La terza mutazione riguarda le tossicodipendenti che praticano la prostituzione sulla
strada. Beh, qui abbiamo una netta diminuzione della percezione del rischio, sia quando sono fatte
o sia quando sono in carenza. Il problema anche qui è per chi si è fortemente infognata le
alternative alla dipendenza ci sono, e infatti il ragionamento che veniva portato stamattina dalla
Tola, il contro ragionamento non per opporsi a quelle che sono le politiche dell'Unione Europea, in
realtà non tiene perché rispetto alla tossicodipendenza mi sembra che le opportunità oggi in Italia
ci siano, ve lo dice un'organizzazione come il gruppo Abele che ci lavora circa da trent'anni
fondamentalmente e anzi gli stessi tossicodipendenti di volta in volta vengono usati in opposizione
ad altre categorie. Quindi, sicuramente non possiamo rischiare di cadere in questo trabocchetto di
mettere un problema contro l'altro in questa guerra tra poveri che in qualche modo si cerca di
incentivare. Un dato che è in crescita, e che un po' ottimisticamente il comune di Torino
valorizzava come un dato positivo, sono i matrimoni misti che non sempre rappresentano il
successo di una politica di integrazione culturale. Dalla nostra angolatura, ad esempio, sono in
fortissimo aumento i matrimoni tra ragazze tossicodipendenti e spacciatori magrebini, con tutto ciò
che ne consegue. Che cosa facciamo? Noi abbiamo in piedi il progetto Tampep, che non vi sto a
descrivere perché bene o male nelle due descrizioni precedenti, sia quella di Agnoletto e quella di
Venezia, c'è tutta una serie di analogie; un progetto Udna che in arabo vuol dire tregua, in
collaborazione con il comune di Torino in cui fondamentalmente rispetto ai ragazzi in questo caso
tossicodipendenti, extracomunitari e clandestini, offriamo una possibilità di disintossicazione che
adesso non è data, è una possibilità di formulare in progetto ospitandoli in alloggi per due mesi.
Che cosa viene dopo, questa è la grande scommessa perché ci sono alcune strozzature. La prima
strozzatura è il rimpatrio, benché ci sia una legge che in qualche modo lo favorisce, anche dei
fondi, il rimpatrio molto spesso non è desiderato. Non è desiderato in quanto il ritorno nel proprio
paese, come si era partiti, viene vissuto come una grave sconfitta e un grave fallimento. Un
ragazzo che è stato da noi in comunità rispetto al dopo dice: sì, io torno in Marocco però ci torno
solo se voi mi date quattro o cinque milioni perché io non posso assolutamente tornare a mani
vuote. Quindi ci sono resistenze soggettive culturali e ci sono resistenze ovviamente di tipo
oggettivo. Anche se per chi ha problemi di dipendenza, questa, se vogliamo, può essere la
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soluzione più facile, dal punto di vista dell'evitare una ricaduta successiva. Quando, a stento e a
fatica, si riesce a trovare un datore di lavoro che consenta la regolarizzazione del permesso di
soggiorno e quindi tramite un lavoro regolare un lavoro anche più normale sulla non ricaduta, la
legge oggi prevede che se tu trovi un lavoro a un clandestino questo debba ritornare in Patria,
aspettare il permesso di soggiorno e poi essere chiamato e venire qui a praticarlo. Questa è una
strozzatura...
...
... c'è solo un parlarsi con le forze dell'ordine che non ti vengono in pratica a mettere il naso
dentro, per cui è tutto giocato sull'ambiguità, fondamentalmente, sulla tolleranza reciproca perché
sanno che comunque noi facciamo un servizio indirettamente alla città. La terza questione è
continuare a lavorare come sempre sul tentativo di trovare un lavoro nero, e quindi di riuscire a
lavorare su queste dimensioni. Il terzo tipo di intervento che facciamo è sulle accoglienze per
quanto riguarda coloro che decidono di denunciare le proprie organizzazioni e quindi su quella che
è stata definita prima la giustizia premiale. Allora, qui ci sono altre strozzature. Intanto voi sapete
che la legge definisce un tetto massimo di 400 accoglienze, che sia alto o basso non lo sappiamo.
A me sembra che sia basso se noi lavoriamo, se non lavoriamo rimane alto, nel senso che se ci
diamo da fare con tutta una serie di progetti di unità di strada, il tetto delle 400 è sicuramente
basso, 400 in tutto, cioè ogni anno la legge funziona ed ha sostanzialmente degli incentivi alle
organizzazioni che si rendono disponibili alle stesse persone per un tetto di 400 persone e per un
anno, sapendo che, la seconda strozzatura, un anno di tempo è molto poco, ad esempio per
riuscire a trovare lavoro alle persone e renderle autonome. Quindi cosa succede? Che sono le
stesse organizzazioni che in pratica assumono e allora anche la cifra devoluta, che sono 25 milioni
annui diventa insufficiente perché tra assistenza, anche sanitaria, tra l'altro, creare un lavoro, i
contributi eccetera diventa una cifra. Quindi qui si tratta di allargare di più il network e il sindacato
potrebbe avere un ruolo in questo nell'aiutare ad allargare anche il network delle ONG, per una
organizzazione che rimane in parte necessariamente semi clandestina ed è una organizzazione di
aiuto, e per vedere di rilanciare le possibilità che questa legge comunque pur dà. Infine, ultima
cosa le proposte. La prima è garantire i diritti di cittadinanza dove potrebbero già essere garantiti.
Dove, ad esempio, c'è il permesso di soggiorno ma non c'è un'abitazione, ci troviamo di fronte a
situazioni di senza fissa dimora. Essere senza fissa dimora, se tu hai il permesso di soggiorno,
vuol dire non avere accesso né a una residenza, quindi non avere una residenza vuol dire né
avere carta d'identità, né sostanzialmente il libretto sanitario. I comuni possono - c'è una legge del
'54 molto precisa, il comune di Torino lo sta facendo - attribuire una residenza anche formale o al
dormitorio o in via del Municipio numero 1 in modo da abilitare le persone ad avere comunque una
residenza che è la carta di accesso per gli altri diritti. La seconda questione è migliorare alcuni
aspetti legislativi: uno, l'abbiamo detto, questo della giustizia premiale; la seconda questione è ad
esempio garantire il trattamento di disassuefazione per gli immigrati tossicodipendenti. Rispetto
alle nigeriane, noi paventiamo un grosso rischio: che messe un po' alle strette - ad esempio a
Torino dalla recrudescenza di tipo repressivo - si sparpaglino nelle altre varie zone della città,
strette dalla concorrenza slava ed il grande pericolo è che vengano usate come cavallo di Troia
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nello spaccio. E come abbiamo già visto per la comunità magrebina, il passaggio dallo spaccio del
fumo allo spaccio dell'eroina crea persone dipendenti: se voi entrate in un qualsiasi carcere di una
media o grande città, scoprite che il 30% delle persone extracomunitarie che ci sono dentro hanno
una dipendenza, tendenzialmente all'eroina, forse a volte da alcool. C'è il decreto che prevede i
trattamenti sanitari d'urgenza anche per i clandestini; quello che non è pacifico è che per
trattamento sanitario d'urgenza si intenda anche la possibilità di disassuefazione, la
disintossicazione non è contemplata, se non in alcune regioni dove si è creato qualche servizio,
però sono una minoranza, come possibilità di trattamento sanitario d'urgenza. Terzo: non bisogna
mollare nella lotta all’AIDS, quindi nei servizi che abbiamo messo in piedi perché ci sono due forti
ricadute di ritorno, non solo sull'effetto salute ma sulla possibilità comunque del contatto con
questa popolazione e sulla possibilità di aumentare le loro possibilità di negoziazione. Quarto: non
mettere in contraddizione interventi di riduzione del danno e interventi relativi alle modificazioni
delle scelte, purtroppo alcuni gruppi cattolici lo fanno, ce n'è uno particolarmente attivo che ha
fondato la propria politica sulla contrapposizione tra interventi di riduzione del danno e interventi,
invece, di modificazione delle scelte. Allora, questa è una cultura che purtroppo alla lunga non
paga e allora qui bisognerebbe in qualche modo riuscire. Quinto punto: bisogna lavorare molto di
più sulle comunità locali di stranieri, laddove ci sono, a volte sono deboli e a volte sono respingenti.
Beh, noi però nelle ultime elezioni tornata amministrativa abbiamo avuto, sia a Torino che a
Milano, due persone extracomunitarie elette nel consiglio comunale delle città. Ecco, sicuramente
è anche da lì che bisogna partire come collegamento rispetto alle comunità locali o come
possibilità comunque di costruire una terza forza intermedia tra gli operatori che si occupano di
questi problemi e le persone sensibili delle comunità locali perché possano offrire un'ottima sponda
non solo come mediazione culturale ma anche come veicolo di reintegrazione laddove è possibile.
Ultima questione è la legge. Stamattina sono state portate avanti in maniera forte la proposta, in
realtà, di non fare proposte legislative. Allora, questa può essere un'opportunità politica se
vediamo che il contesto, l'aria che tira non tira bene. Io rimango dell'idea che poca legislazione
fatta bene sia meglio perché laddove non c'è legislazione, in genere è la legge della giungla.
Allora, la prima questione è recepire le norme delle deliberazioni della conferenza interministeriale.
Sono molto chiare, come è stato detto stamattina, nel distinguere lo sfruttamento sessuale dalla
questione della prostituzione, quelle vanno recepite e va comunque fatto uno sforzo grande di
modificazione legislativa perché queste ci permettono di combattere meglio lo sfruttamento
sessuale. Se poi si aprono spazi per arrivare ad una ulteriore decriminalizzazione e
depenalizzazione della prostituzione, ben vengano e qui in alternativa sapendo, e con questo
chiudo, che la vera battaglia che noi dobbiamo fare rimane comunque una battaglia culturale e
sociale. Allora riprenderei quanto è stato detto in apertura da Gigliola, perché non ripartire dalla
lotta per la legge Merlin, in qualche modo rivisitarne le buone ragioni di allora, coniugarle con le
buone ragioni di adesso e arrivare a una pubblicazione che vada anche un pochino oltre quelle
che sono le immediate proposte di legge perché abbiamo visto che questo forse non è il terreno
più adeguato, ma che in qualche modo cerchi di rifare cultura anche all'interno della sinistra. Noi,
per un lavoro di questo genere, ovviamente siamo disponibili.
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Carolina Cardenas
Coordinamento Immigrati - CGIL Nazionale
Vorrei ringraziare Gigliola, lei sa che io sono una osservatrice indiretta di quella che è la
prostituzione, soprattutto la prostituzione immigrata, ed ho seguito tutto questo dibattito; penso
che i lavori che si fanno per un interesse personale, come donna, donna immigrata, e come
cittadina che in qualche modo vuole costruire e aiutare a costruire questa società. Però in questo
momento rappresento un po' la voce di quello che è il coordinamento immigrati nazionale che non
c'è più perché l'ultimo direttivo nazionale cambia e modifica di struttura, per cui in verità parlo come
donna immigrata più che come coordinamento immigrati nazionale CGIL. Sicuramente la
prostituzione è una cosa molto conflittuale, è un luogo di conflitto, è un luogo di frontiera, è un
luogo di confine tra donne e uomini, fra donne italiane, fra donne immigrate, è un luogo dove se
non ci cuce bene, la società si spacca. Sicuramente aveva ragione Pia allora quando aveva detto
in un seminario che è stato fatto a Venezia, luogo di frontiera come luogo di prostituzione perché è
così, ed è così perché attraverso la discussione che si fa sulla prostituzione, si toccano molte
sensibilità dalle diverse etnie, dalle diverse morali, perché non pretendiamo che sia unica, delle
diverse esperienze che portiamo sia da lontano che qua in Italia, ai diritti, diritti che sono soggettivi
di ognuna di noi che pretendono in qualche modo rappresentare i diritti comuni, diritti di donne, di
uomini, immigrati e questo comunque è un luogo di conflitto che io pretendo sia conflitto
propositivo che però ha bisogno di una mediazione. Ha bisogno di una mediazione specifica, di
una mediazione che non è più una mediazione interculturale ma una mediazione dei conflitti. La
mediazione interculturale che è un lavoro che io svolgo nell'ufficio stranieri per la comunità latinoamericana, sicuramente è uno strumento in più in questa mediazione dei conflitti, in cui è
necessario uno studio multidisciplinare del fenomeno soprattutto quando parliamo di traffico e
riduzione del danno, e non sto parlando della prostituzione come autodeterminazione a cui tutte le
donne hanno diritto. Per affrontare questi problemi ci vuole una assoluta conoscenza del
fenomeno e una formazione specifica multidisciplinaria: sanitaria, degli psicologi, mediatori culturali
o interculturali, educatori di strada e tutte queste altre professionalità che hanno a che vedere con
il sociale. Questa mediazione sicuramente ci vorrà del tempo perché venga fatta, soprattutto
perché noi siamo in questo momento testimoni della caduta del Welfare, per cui la mediazione può
passare solo attraverso i servizi nel senso che gran parte di quello che si fa come mediazione,
come mediazione dei conflitti, in verità poi è un servizio che si può fare attraverso gli enti locali o
una delega degli enti locali a dei gruppi di esperti. Però in questo momento, come una che
appartiene al coordinamento immigrati CGIL, per cui come una della CGIL, ho paura che tutto
quello che è servizio alle fasce più deboli, più svantaggiate venga eliminato e per questo bisogna
tenere duro. Credo che sia uno degli impegni fondamentali che avrà il sindacato, tenere duro su
questi servizi perché ognuno di noi nella prostituzione è poi un luogo diverso dall'altro. Sabato
scorso in una definizione che l'Alma teatro dava sulla mediazione diceva: "ago che cuce" ed è
vero, cioè la mediazione è un ago che cuce, però ha bisogno degli strumenti e purtroppo sono gli
strumenti di ordine giuridico perché un ago che cuce, cuce bene con un filo duro, passa attraverso
le istituzioni, non può passare attraverso la buona fede dei volontari. Per cui la prima cosa che
credo come sindacato noi dovremmo fare è tentare di tener duro e anzi allargare questa sfera dei
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servizi. Servizi che passano attraverso legge regionale, l'interesse delle province attraverso gli enti
locali per un rispetto della diversità perché dobbiamo cucire queste diversità. È difficilissimo per
delle donne accettare che esistano delle persone che si prostituiscono perché hanno scelto di
farlo, come è difficile accettare che ci siano altre che lo neghino. Cioè, è un conflitto permanente in
cui ci vuole una mediazione che davvero sia una mediazione altamente specializzata, non so se è
esagerato parlare in questi termini, perché la prostituzione per me, come immigrata, non è un'altra
cosa che questo iniquo rapporto nord-sud, cioè lo sfruttamento del nord al sud, Il traffico della
prostituzione non è altro che la ufficializzazione di questo, la visibilità di quello che ci raccontano e
che comunque, la parte visibile di tale traffico è solo l’ultimo anello della catena, i magrebini che
spacciano per esempio, in questo traffico dove ci sono interessi statali, interessi pecuniari e di una
grossa mafia di cui sicuramente, già ci hanno detto questa mattina. C'è una grossa discussione
nell'unione europea, c'è stata una grossa discussione a Pechino, noi siamo poi alla fine quella fetta
visibile, quel finale visibile, così come il turismo sessuale, così come lo sfruttamento sessuale dei
bambini e sicuramente questa lotta deve essere fatta, però noi siamo troppo piccoli perché questa
lotta venga fatta partire da noi. Noi possiamo condividere dei principi, però penso che ci sono altre
sfere dove questa lotta dovrà essere fatta. Abbiamo delle rappresentanti che sicuramente in
questa cosa dovranno lavorare tanto, però, nel frattempo, queste persone sono qua, il sud è qua e
viene sfruttato. Viene sfruttato con dei pregiudizi, con degli stereotipi che lo fanno ancora più
debole per cui il fatto di essere donna, il fatto di essere immigrata e il fatto di essere donna che si
prostituisce, o che la prostituiscono, diventa una tripla emarginazione che questa mattina qualcuno
diceva. Però questa cosa dobbiamo affrontarla, accettare che ci sono ormai queste persone che
continuano ad arrivare e che noi dobbiamo in qualche modo impegnarci nella riduzione del danno,
nella lotta al traffico per quanto possiamo perché purtroppo non è nelle nostre mani, però
sicuramente dobbiamo in qualche modo aiutare a che questo accada. Nel frattempo parlare della
prostituzione accettando che comunque tra le immigrate ci sono donne musulmane, ci sono donne
cattoliche, ci sono donne atee, ci sono donne rifugiate politiche. Per cui è necessario accettare
l’esistenza di questa diversità, per cui questa diversa sensibilità di fronte a un problema sono
sicura che comunque è bene accettare le che pensano, le sensazioni che hanno loro perché ci
vuole una mediazione. Io mi sono sentita dire quando ho difeso i diritti delle donne che si
prostituiscono, che le fanno prostituire, nel coordinamento immigrate CGIL: te li mando tutti a
Torino, non si vede tutto quello che c'è dietro, la loro storia e quello che è la loro prostituzione e
solo si vede questo aspetto visibile che è il fatto di prostituirsi. Allora, quando qualche volta ho
preteso solo nel coordinamento immigrati parlare della prostituzione attraverso lo sfruttamento e
cercare di vedere se si potevano dare delle risposte, la risposta che mi è stata data dai compagni
del coordinamento immigrati con cui lavoro è stata: "io te le mando tutte a Torino, se tu hai questo
modo di pensare e di ragionare". Per cui credo che noi dobbiamo tenere conto di chi parliamo
quando parliamo di prostitute immigrate e di tutte le sensibilità che tocchiamo quando parliamo di
questa tematica. Purtroppo, a differenza di quello che è la prostituzione in generale che, sono
d'accordo, non può essere regolamentata, la prostituta immigrata ha questo cosino in più che la fa
essere regolamentata per forza che è il permesso di soggiorno. Da lì non ci scampa perché il
permesso di soggiorno purtroppo è quello che fa accedere ai diritti di cittadinanza e a dei percorsi
di diritti di cittadinanza in questo Paese. Noi abbiamo visto che adesso c'è in discussione il nuovo
disegno di legge dei Ministri Turco e Napolitano, sicuramente questa legge pretende di fare
un'analisi di quello che è il fenomeno dell'immigrazione e penso anche della prostituzione
immigrata. Però comunque quando parla di disposizioni del carattere umanitario, è solo attraverso
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le disposizioni del carattere umanitario che cerca di dare una risposta alla prostituzione immigrata
per cui dice: chi aiuta, collabora o vuole uscire dal giro ha diritto a sei mesi di permesso di
soggiorno, però si deve valutare la gravità di quello che lei denuncia, di quello a cui è sottomessa e
anche il contributo offerto, la rilevanza del contributo offerto. Per cui le donne prostitute immigrate
che vogliono prostituirsi perché lo vogliono fare perché per le immigrate è difficile accedere anche
al lavoro delle colf perché è lì che passa il pregiudizio, lo stereotipo. La massima ambizione di una
prostituta immigrata è quella di fare la collaboratrice domestica, oppure la massima offerta che
viene data è quella, e penso che, con tutto il diritto, si possono rifiutare di uscire dal giro per fare le
collaboratrici domestiche, comunque per loro non ci sarà una possibilità perché il permesso di
soggiorno sarà per sei mesi e poi se loro non accettano quel tipo di lavoro non potranno avere
neanche un permesso di soggiorno di nessun tipo. Questa mi sembra una cosa che forse è
positiva perché la Ministra in qualche modo cerca di rispondere a una situazione, però non
risponde a un percorso di cittadinanza come quello che le donne avevano pensato a Pechino.
Cioè, l'autodeterminazione per le donne immigrate non c'è perché non c'è la possibilità di
scegliere: o tu aiuti la polizia in un modo per cui ne esci...
***
...però se tu vuoi solo denunciare il tuo sfruttatore però continuare a prostituirti per cavoli
tuoi, non hai la possibilità. Questo per me è un grosso problema perché io penso che il filo non è
duro, non cuce, se vogliamo fare la mediazione. Siccome questo è uno strumento per mediare i
conflitti soprattutto su questo tipo di fenomeno, mi sembra che non tenga perché avremo risolto
una minima percentuale di tutta la problematica e di tutte le donne immigrate che sono contente di
prostituirsi perché non ci sono molte famiglie che vogliono assumerle come colf anche se le donne
immigrate vogliono perché basta dire: vuole una donna nigeriana a lavorare a casa sua? Per
carità, non sanno fare niente o per carità mio marito, comunque, per qualunque motivo sia, non
vengono assunte per cui mi sembra che sia una norma che pretenda di risolvere un problema che
però sarà poco applicabile, soprattutto le disposizioni di carattere umanitario del nuovo disegno di
legge. Però in questa cosa mi piace essere anche positiva. Io sono una pendolare, viaggio tutti i
giorni da Torino a Novara e prendo il treno e viaggio con le ragazze nigeriane che vanno a
prostituirsi per tutte le strade del lago maggiore, vanno fino a Milano, si spostano. Io ho notato una
cosa sul treno, che comunque le ragazze sono persone che vogliono provocare e lo fanno
veramente: fanno un baccano incredibile, utilizzano più posti di quelli dovuti e la tolleranza degli
italiani è molto alta. Io mi domando: questa tolleranza nasce dal pregiudizio per la vita che fanno?
per cui una morale cattolica: non le facciamo stare più male di quello che forse stanno o c'è
qualche cosa in più? Non vogliono vedere che il problema loro non è il baccano, e allora per non
sentirsi complici di ciò di cui sono testimoni, stanno lontano e guardano da lontano perché io che
viaggio tutti i giorni vedo che mentre contro gli studenti c'è veramente una risposta subito, con le
ragazze nigeriane questo non succede. Questa è una grande ipocrisia per cui io, cattolico o
grande moralista, preferisco non immischiarmi per non peggiorare la loro vita. Io non vorrei che
succedesse questo con le prostitute. Questa stessa morale è quella che passa attraverso una
legge, cerchiamo di risolvere il problema, si denunciano le prostitute però non ammettiamo che le
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donne hanno diritto se si autodeterminano, a prostituirsi. Io non vorrei che questa morale passi
anche attraverso un disegno legge.
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Margherita Gionni
Camera del Lavoro di Novara
Ho tentato di aiutare Gigliola, anche perché credo sia importante per la CGIL partire da
documenti che comunque la CGIL ha prodotto in questo periodo, dal documento sindacato
prostituzione che negli anni è stato messo tranquillamente nei cassetti tranne che in alcune realtà,
ad altri documenti che poi sono stati portati al congresso. In questo mio giro in alcune Camere del
Lavoro, io credo che ci siano anche delle scoperte, nel senso che mi è stato detto da molte
Camere del Lavoro piccole, e questo credo sia un problema di investimenti e di scelta su quali
progetti investire, che certamente molte Camere del Lavoro avevano questo problema, ne erano a
conoscenza, sapevano che ci lavoravano delle associazioni di volontariato, ma che però le
segreterie decidevano di non spendere i soldi per mandare una persona alla riunione nazionale.
Questo è un problema, e lo dico visto che sono della Camera del Lavoro di Novara, è un problema
anche per me, pur essendo una detentrice di distacco, è un problema nel senso che io credo che
la CGIL in molti punti dell'Italia... Scusate volevo aggiungere riguardo le considerazioni nord, sud e
centro, per esempio da parte del sud, soprattutto da regioni come Puglia, Calabria e quant'altro,
sono disponibilissimi ad iniziare un lavoro se si fanno dei convegni a partire da quello e poi anche
altre Camere del Lavoro, i cui nomi fornirò Gigliola, chiedono un intervento dal nazionale per
iniziare a capire come intervenire, come CGIL, anche perché per molti - io parlo sempre di uomini
perché sempre uomini mi hanno risposto, sarà un caso? non credo, perché forse il conflitto a cui si
riferiva Carolina vale anche per tutte le altre questioni - in molti casi io parto dalle segreterie di
Camere del Lavoro anche regionali, viene visto come un problema che non appartiene al
sindacato, e che quindi il sindacato deve occuparsi di cose più importanti. Il mio tentativo era di
spiegare che è vero che il sindacato sta facendo tante cose più importanti, siccome il sindacato
CGIL, CISL e UIL, poi magari per ora soltanto CGIL, discute di stato sociale e di assistenza in
nome e per conto di tutti e tentando anche di riportare al fatto, se ne parlava anche stamattina, che
la CGIL comunque è il sindacato dei diritti. Devo dire che poi l'elenco ci sarà, non era per fare
buoni o cattivi ma era per significare la difficoltà che c'è e visto che c'è la segretaria confederale,
credo che lo sappia benissimo, però era un elenco proprio di grandi difficoltà. Credo che, visto che
abbiamo sentito tante esperienze, e mi rifaccio alle cose chieste stamattina, perché il MIT e poi Pia
chiedevano delle cose alla CGIL, credo che bisognerebbe darsi molto da fare. Parlo per esempio
della mia realtà. Siamo riusciti ad avere, dopo ben due anni un accordo, perché io credo che il
sindacato, visto che si chiama sindacato debba contrattare queste cose. Noi lavoriamo con il
comitato dei diritti civili delle prostitute, col MIT, col gruppo Abele e con la LILA e quindi, quando
andiamo in giro a contrattare, si contratta sul territorio, si contrattano pezzi di stato sociale, si
contrattano le cose per gli anziani, le cose per i bambini e quant'altro e io credo che queste
discussioni debbano essere fatte nei direttivi, negli organismi dirigenti per forza, altrimenti poi
nessuno è mai tutelato né a fare degli accordi unitari prima di presentare una piattaforma, perché
così si lavora. Allora, io dicevo è certo che è diverso. Pia nella sua relazione, non do giudizi perché
lei lo sa già, ma noi come sindacato lo sappiamo che sono cambiati i lavori e non siamo pronti
neanche ad affrontare i nuovi lavori, lo so che è difficile con tutti i nuovi lavori che ci sono. Però se
noi dobbiamo e decidiamo che affrontiamo questo e contrattiamo con le varie amministrazioni
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pubbliche: provincia, comune, regione e quant'altro, credo che dobbiamo contrattare noi visto che
contrattiamo di tutto, per nome e per conto. Credo che intanto bisogna avere la conoscenza di
quello che esiste, di come è il fenomeno quindi bisogna essere preparati; bisogna sapere quale
arco di associazioni c'è sul territorio, quindi fare degli accordi, far fare delle convenzioni. Insomma,
lavorare assieme altrimenti accade che in alcuni luoghi si interviene poco e male mentre il
sindacato interviene magari tre volte su una situazione e poi magari c'è il gruppo Abele, la Caritas.
Credo che su tutto questo bisogna fare delle piattaforme normali come è il nostro mestiere. Dicevo
però che su questa questione, a me è capitato, prima di arrivare a un accordo con la provincia di
Novara e con tutti i comuni che affacciano sui laghi dove arrivano le ragazze per esempio da
Torino, quelle a cui si riferiva Carolina, e per ogni amministrazione si è dovuto fare queste famose
riunioni, assemblee con i cittadini e io le ho fatte come CGIL. E non è che poi è successo così
tanto di straordinario, cioè è duro, è pesante ho chiesto sempre sia a Gigliola sia a Pia come fare
perché non era il mio mestiere, me lo sono inventato e devo dire che all'interno della mia CGIL, io
sono molto orgogliosa che queste persone, sia queste sia altri soggetti vengano in CGIL, devo dire
che all'interno della CGIL, nel corpo della CGIL, questa cosa è vista come una cosa un po'
bizzosa, invece secondo me, attorno a questo, come tanti altri temi, c'è una ricchezza incredibile di
persone, di compagni e compagne anche delegati che sarebbero disponibili a questo lavoro, a
lavorare insieme sui diritti generali. Una delle poche e ultime cose che volevo dire, perché molte le
hanno già dette sulla contrattazione dei diritti, io volevo dire questo: è vero che si fa tutta questa
discussione sui diritti umani, sulla lotta al traffico, la schiavitù, tutto quello che ...volevo fare una
battuta sul turismo sessuale, qualcuno ha detto: adesso siccome ci sono le ragazze giovani
albanesi, poi magari non c'è più bisogno di fare turismo sessuale. Anche qua io credo che sia un
problema nostro, di cultura nel senso che vogliamo sempre dimenticare. A me pare che negli anni
c'è sempre stato turismo sessuale qua, in Italia, senza andare a vedere quello in Tailandia, fra
pianerottoli, in casa, anche sotto casa. Fa comodo, un po' come diceva Carolina sui treni, fa
comodo non vedere, però saremmo proprio... Il turismo sessuale è sempre esistito in Italia, non lo
scopriamo adesso che c'è tra regioni, tra paesi e paesi, e via. Però quando volevo parlare dei diritti
delle persone sfruttate, a me pare addirittura strano che come sindacato non ci si indigni quando si
vedono fare per strada, visto che quello è il luogo di lavoro, delle retate delle persone sfruttate.
Visto che noi abbiamo davanti, come sindacato, altri problemi di lavoro nero, io non ho mai visto
fare delle retate per chi lavora nei campi in Puglia e che raccoglie pomodori, e quindi ho sempre
visto che il sindacato chiedeva di andare a cercare gli sfruttatori. L'altra questione, parlando di
leggi, le leggi sono sempre premiali e anche noi come sinistra tentiamo di chiedere alla ragazza se
vuole andare a fare un lavoro vediamo come aiutarla. Al raccoglitore di pomodori o all'edile che è
in cima ad un ponteggio senza nessuna protezione, per rivendicare un suo diritto che è quello di
emergere dal lavoro nero, non gli abbiamo mai chiesto niente, né della sua vita privata, né di
quello che fa, non gli abbiamo mai chiesto niente, è un suo diritto quello di emergere dal lavoro
nero. Per quale motivo usiamo due pesi e due misure? Questo è anche un nostro problema, credo,
nella sinistra. Se diciamo emersione dallo sfruttamento, penso che vada fatto così; io vorrei fare
tanto delle belle riunioni in CGIL con le persone sfruttate, siano esse edili o donne della
prostituzione, altrimenti questa nostra mentalità non la cambiamo mai. E poi sul problema del
lavoro di chi poi può andare a lavorare. Visto che la mia è una cittadina piccola, io non sono quasi
mai riuscita a trovare lavoro alle ragazze che non volevano più prostituirsi, se non in delle
situazioni davvero incredibili nel senso che se la colf è l'unico mestiere previsto, uno dei pochi e
anche altri peggiori è nelle cooperative di pulizia, questo però è accettato anche dai sindacalisti il
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fatto che a queste persone diano ben quindicimila lire al giorno: "beh, però è una prostituta, cosa
vuole di più?", è una questione di mercato. Se poi queste ragazze che dovevano magari pagarsi
loro, come se le sono pagate anche gli edili, come se le sono pagate tutti perché se li sono pagati
tutti i permessi di soggiorno, molti piccoli datori di lavoro non li hanno pagati, solo che per gli
uomini magari che lavoravano in un piccolo cantiere edile c'erano le testimonianze, per le colf non
c'era nessuna testimonianza perché come dice sempre Carolina sono invisibili, ma anche le
prostitute, sono invisibili, non hanno nome. Per cui io mi scuso se insisto sempre sul fatto che noi
dovremmo incominciare davvero per essere... ...qui ci sono state poste stamattina davvero delle
domande serie: decentrare, tirare fuori le risorse che ci sono, investire, perché questo pare sia il
problema della CGIL però, secondo me, è impossibile, investire nelle risorse, fare un serio lavoro,
altrimenti io credo che in alcuni posti la CGIL fuori abbia un lustrino: si interessa di questi problemi
e quant'altro. Poi, quando si va a vedere come è difficile lavorarci dentro perché mancano risorse
se ci si interessa del carcere, delle prostitute, delle lavoratrici in nero, dei lavoratori in nero, dei
tossici, insomma mancano sempre risorse, a me ultimamente e stato detto che il mio è un ufficio
che costa troppo perché uso troppo gli uffici legali. Stamattina qualcuno lo diceva, su queste
questioni gli uffici legali devono intervenire molto di più che non per altre vertenze, comunque
sempre di vertenze fatte dal sindacato si tratta. L'ultima che volevo dire riguarda la questione della
legge. Io non dico che bisogna stare senza legge, però a me pare che anche noi come sindacato
un po' di tempo fa avevamo scritto un documento in cui ci schieravamo per la depenalizzazione
della prostituzione, quindi credo che anche da questo non si torni indietro. Ho notato tramite
queste mie telefonate alle Camere del Lavoro in giro per l'Italia che molte persone della CGIL,
molti sindacalisti, molti compagni mi hanno sinceramente detto che sulla questione della riforma
della legge Merlin, molti di loro e di persone iscritte alla CGIL sono perfettamente d'accordo; per
cui neanche tra di noi della CGIL c'è la certezza che le case chiuse siano un’esperienza da non
ripetere. L’argomento della lotta al traffico e dello sfruttamento non interessa molti ma sulla
questione della riapertura delle case chiuse c'è molto silenzio e a volte molto assenso. Questo a
me preoccupa molto e vorrei che fosse fatto un documento anche da qua, in questo convegno
perché il documento che ha proposto la signora Gasparini, io voglio che le si scriva perché se lei fa
questa proposta...
...
..No, nel senso io lo vedo da un altro punto di vista, non come la signora Gasparini
presidentessa della Federcasalinghe perché è una sua associazione e va bene, ma siccome la
signora Gasparini è stata eletta nelle liste dell'Ulivo ed è sottosegretaria al Lavoro, quindi mi
riguarda perché io sono della CGIL, allora io credo che questo non possa permetterselo. E’ vero
che magari ci sono doppi... uno si toglie il cappello poi va a fare la presidentessa delle
Federcasalinghe, però siccome io so che quella persona è Sottosegretario al Lavoro, allora non si
può permettere di chiedere la riapertura delle case chiuse in quel modo, facendole lavorare per lo
Stato, cioè non è nella nostra direzione, nella direzione della CGIL, e spero anche della CGIL,
CISL e UIL. L'ultima cosa, sempre per dire il livello di contrattazione che deve avere il sindacato.
Stamattina sentivo la questione della legge regionale veneta che proponeva le visite obbligatorie
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per le prostitute. Io non voglio insegnare niente a nessuno, però so che le leggi regionali, prima di
farle, bisogna sentire le organizzazioni sindacali, molte regioni non lo fanno però, appunto, lì dov'è
il sindacato? È un nostro compito quello lì, dov'era il sindacato? Certamente la regione poi magari
può comunque emanarle con il suo consiglio regionale, però noi abbiamo diritto di essere
consultati, siccome lo pretendiamo su tutto, io mi chiedo dov'era lì il sindacato, so che invece, per
esempio, in Emilia Romagna dove è il sindacato è abbastanza presente, alcune leggi regionali
sono state prodotte con alcuni comuni tramite una contrattazione. Riguardo l'opinione pubblica
credo che, come diceva Carolina, è giusto dare ascolto quando insorgono comitati di cittadini come
i funghi, però qualora ci si pone con delle soluzioni possibili, qualora si ragiona, credo che alcune
cose si ottengono. So che è difficile, però io credo sia una cosa comune; oramai si creano comitati
di cittadini, di balcone eccetera, le persone sono diventate intolleranti, segnano il territorio come i
cani, hanno una casa non la vogliono vedere toccata né dai bambini, i bambini non possono più
parlare, ci sono bambini che vengono griffati per non farli più... cioè non c'è più rispetto per la
libertà altrui e si considera la propria libertà di proprietà sul marciapiede... Non so, vengono fatte
delle cose su questo io ho visto un'inchiesta interessante: in Italia il 70% delle cause civili sono
dedicate a liti tra balconi e piccoli territori. Per cui io credo che quando si incomincerà a fare, la
CGIL ha grandi possibilità andare nei posti di lavoro e oltre che a farla per strada, a fare scemare
nei posti di lavoro questa intolleranza perché anche nei posti di lavoro è così. Ho fatto qualche
assemblea sulla questione della prostituzione, sulla questione dei tossici ma mi mandano... c'è
un'intolleranza anche nei posti di lavoro, i nostri mitici posti di lavoro, le nostre mitiche fabbriche,
se bisogna inserire con borsa lavoro una ragazza o un ragazzo tossicodipendenti bisogna trovare
la persona sensibile. Se si va a dire che una persona che è magari transessuale ha diritto anche
lei di rimanere in quel posto di lavoro, qui scappano anche le tessere! Cioè dice: "Ah, va bene, se
fate queste cose allora noi diamo indietro le tessere". Io non lo faccio per negatività, perché poi ci
sono molte altre cose positive, però secondo me il lavoro va cominciato bene e disperdendolo sul
territorio, altrimenti rimangono le poche isole felici e basta.
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Elvira Banotti
Scrittrice
Durante il dibattito ci sono stati momenti molto alti e momenti di appiattimento.
L'impressione è che il tema non sia stato mai aperto a una reale discussione fuori dai luoghi delle
donne, dove invece il processo analitico ha subito grandi sviluppi. Allora, le definizioni stesse, per
esempio Vittoria Tola stamattina ha insistito perché si dicesse prostituite e non prostitute che è un
insulto, è proprio già un aggettivo che indica un confine, allora lei ha insistito dicendo che da quel
momento lei avrebbe utilizzato questo linguaggio per indicare un tema enorme, come quello del
traffico delle donne, che è discusso in tutto il mondo. Noi deriviamo da una civiltà che ha fatto del
corpo femminile un servizio ed è di questo che bisogna parlare per riuscire a capire che cosa
significa prostituire l'altro. Io ho trovato interessante l'analisi di Pia Covre sull'abbandono, sul
cosiddetto termine dell'abbandono; di fatto, nell'impero romano veniva data una licenza stupri che
era una etichetta che toglieva alla persona così prostituita i diritti alla cittadinanza, alla difesa, alla
tutela e all'appartenenza. Quindi, è un vecchio pensiero che viene avanti nella legislazione che
veniva analizzata da Pia questa mattina. Allora, il depenalizzare deve aprire un grande confronto
su che cosa significa prostituire un altro corpo, su che cosa significa vedere in fila un uomo dietro
l'altro che abusa di una persona. Quando si parla dello stupro di gruppo, si dimentica che ha una
lunga storia: nella casa chiusa lo stupro di gruppo era la prassi ed era quella cultura che
alimentava nella mente dell'uomo l'esaltazione che noi vediamo ancora oggi conservata quando
alcuni giornalisti o alcuni attori o uomini di rilievo dicono: "Ah, io ho frequentato la casa chiusa, che
meraviglia" eccetera. Era il luogo dove si esaltava questa maniacalità maschile e questa
negazione del corpo femminile. Non si può dire turismo sessuale perché è sessuofobico, come
non si può usare la parola omofilia perché è omofobia, cioè un uomo non ama i bambini quando li
tortura, ma li odia, li disprezza. Attenzione al linguaggio, è importantissimo perché ci aiuta ad
elevare le nostre emozioni e la nostra sensibilità nell'orientamento del pensiero e nell'individuare il
terreno. Allora vedo questo grande lavoro di persone che inciampano continuamente nella persona
prostituita e nel tossicodipendente, si inciampa su quelli, non si inciampa sul cosiddetto cliente. Io
metto una sottolineatura su questo mascalzone che viaggia per il mondo violentando bambini;
nella conferenza di Pechino è stata posta una grande attenzione a questo problema di questa
violenza che si è alimentata proprio in questa idea che nella prostituzione si giochi qualcosa di
trasgressivo. Non è così, si giocano gli ultimi residui della coscienza schiavista perché nella
sessualità non si può prescindere dall'altro, l'altro ha il significato di mobilitare le nostre emozioni
che si mobilitano proprio in questo scambio. L'abuso che si fa di un corpo, indica che non si vuol
parlare di sessualità, quindi c'è un continuo elevare il discorso e abbatterlo. Allora, vi vedo lavorare
tutti come infermieri, cioè siamo tutti lì che lavorano sui campi dove ci sono i feriti, i moribondi e i
morti e nessuno sta sulla lotta di confine per combattere. E quindi, mentre la linea di
combattimento è scoperta, la linea della lotta del chiarimento eccetera rimane coperta con dei
progetti che in fondo appiattiscono questo problema e non permettono un dibattito sulla sessualità.
Come mai non c'è un progetto sul cliente? La considerazione più interessante l'ha fatta un
ragazzino durante un'inchiesta delle Nazioni Unite sullo sfruttamento dei minori in Tailandia, lui ha
detto: "voi ci potete aiutare soltanto colpendo le cause". Ecco, allora le cause, come mai non c'è
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qualcuno che lavora sulla mente di questo schiavista che passa in pochi secondi sul corpo di un
altro ignorando? Io ho molta stima per il lavoro che hanno fatto in questi anni, anche se ci siamo
combattute con il comitato guidato da Carla Corso, ma c'è un libro di Carla Corso che è molto
interessante: noi dobbiamo avere il rispetto altissimo di questo dolore che viene provocato alle
persone che vengono sopraffatte su un terreno che è proprio quello della nostra identità. Guardate
che la genitalità è sottovalutata nella nostra cultura perché fa parte di una cosa di cui non si parla e
nel mondo della sessualità può succedere di tutto. Noi vogliamo chiarire cosa sia la sessualità e
quanta importanza abbiano per noi le combinazioni emotive, i processi ormonali, i significati
mentali del nostro corpo. Quindi, in questo lavoro di intensificazione nella modernità di che cosa
significa per noi essere integri ed esprimerci, io vorrei inserire questo e vi prego di finanziare
qualche lavoro per colpire la causa, per studiare la patologia del cliente, per studiare perché con
c'è un'attenzione maschile alla fisicità femminile, perché il 70% delle donne sono anorgasmiche ed
è un fatto di una gravità impressionante. Quest'uomo che usa la prostituzione ritorna a casa ed è
uno stupratore perché è uno che è abituato a scavalcare il corpo dell'altro, le sue sensazioni, i suoi
stati d'animo, tutto. Quindi, noi stiamo andando verso una società che si desessualizza. Vi prego di
tenere presente l'importanza di questo tema, i ragazzi chiedono l'introduzione della coscienza
sessuale che è una conoscenza altissima e nessuno vuole affrontarla, nessuno si sente in
condizione di affrontare che cos'è la sessualità che è l'educazione ai significati emotivi di un corpo.
Perché non si investe in questa direzione? Perché si continua a far sì che invece la cultura
dell'abbattimento dell'altro prenda il posto delle relazioni. E su questo vi invito a riflettere.
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Betty Leone
CGIL Nazionale - Segreteria Confederale
Noi oggi avevamo un'ambizione molto grossa perché abbiamo messo insieme, in questa
riunione, tante cose che sono tra di loro intrecciate e quindi apparentemente certe volte anche
lontane e non districabili: la questione della tratta, la questione della prostituzione ma che hanno
una differenza; la questione dell'immigrazione distinguendola, cioè apparentemente abbiamo
scelto un percorso complicato che è il percorso che normalmente non si fa perché prevale l'idea
che è meglio distinguere per non fare confusione. Noi abbiamo scelto, o meglio, Gigliola ha scelto
e io ho condiviso, che invece si dovesse proprio mettere i piedi nel piatto nella confusione per
chiarirla e per cercare di evidenziare come tanti discorsi, in qualche modo, trovano una specie di
incrocio e che alla fine bisogna trovare le parole chiave per districarsi dentro questo incrocio di
cose differenti che qui sono state, appunto, dette e che io condivido. Cioè, condivido
profondamente che non si può confondere il problema della prostituzione con il problema dello
sfruttamento della prostituzione e della tratta, che sono un'altra cosa; che non si può parlare di
prostituzione come se fosse un reato da cui in qualche modo pentirsi e che quindi va distinta
questa situazione e che non possiamo, anche nel nostro inconscio, continuare a pensare alla
prostituzione come a un reato e che comunque anche dentro la prostituzione va riconosciuto un
diritto di autodeterminazione. Io capisco il discorso che adesso faceva Elvira perché è un po' il
sentire anche più comune, però è vero che in questi anni è venuta avanti una cultura di
autodeterminazione anche dentro la prostituzione. Noi non possiamo non prendere atto di questo,
non possiamo continuare a interpretare con vecchie culture; del resto Pia poi faceva un'analisi,
secondo me giusta, che è quella di dire: naturalmente questo strumento appartiene a chi è forte. E
qui emerge l'altro punto, cioè quello che fa la differenza non è la scelta di prostituirsi, ma è la
libertà che c'è in questa scelta, è gli strumenti che i soggetti hanno, è quello che ti rende possibile
scegliere o no. E che allora le politiche, probabilmente, per ritornare all'idea di Gigliola che non
dobbiamo fare un seminario ma dobbiamo ragionare delle politiche, appartengono a questa
seconda questione, cioè al riconoscimento della debolezza e alle politiche per uscire dalla
debolezza. Allora, ci sono due poli: la tratta è collegata alla debolezza, la debolezza di essere
donna in certi consessi civili, in certi territori, l'essere indifese rispetto a questo ma non sempre
corrispondono, come qui abbiamo visto in alcune testimonianze, a uno standard di comportamenti.
Perché giustamente nelle discussioni che sono state fatte oggi per esempio si sono distinte delle
storie per grandi linee per esempio quando noi dicevamo: le nigeriane prevalentemente hanno una
storia, le albanesi prevalentemente hanno un'altra storia, naturalmente non sono storie assolute
perché naturalmente c'è un'individualità anche dentro questi gruppi e magari ci sono persone che
non stanno nella media della storia, ma ci sono storie che stanno dentro la cultura di queste
donne, di questi popoli e che qualche volta appartiene anche alle donne immigrate l'idea di scelta
della prostituzione, cioè di scegliere una strada per... Certo, forse non prevedono di trovarsi nella
trappola, non prevedono strumenti, non prevedono il contraddittorio che si apre tra loro e le
prostitute più forti, quelle che possono contrattare, quelle italiane che hanno fatto un altro percorso
anche perché hanno un'altra storia, ma questo è altro. Allora, dentro questo groviglio di cose e di
contraddizioni, come ci si deve muovere? Io credo che ci si debba muovere sempre usando le
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parole chiave che noi abbiamo sempre usato quando parliamo di diritti e di solidarietà in generale,
cioè che le parole chiave poi rimangono sempre le stesse che sono: dignità, libertà,
autodeterminazione e cultura della tolleranza, soprattutto è questo. Cioè, è possibile intervenire su
questi fenomeni tentando di riportare tutto a una regolamentazione? Oppure il lavoro che bisogna
fare è proprio il lavoro della cultura della tolleranza, cioè anche dell'accettazione che alcune cose
non possono essere regolate ma che vanno capite, vanno utilizzati gli strumenti per toglierle dalla
marginalità, cioè per toglierle da quel tanto di sofferenza che è dovuto alla situazione sociale? Un
sindacato, un partito deve avere un indirizzo morale, cioè quello di salvare chi sbaglia, o deve
semplicemente creare le condizioni per non aggiungere sofferenze ai percorsi individuali? Qual è il
punto, chiedeva Ersilia e a me sembra la domanda pregnante, di incontro tra l'autonomia
dell'individuo e invece la costruzione sociale e la costruzione giuridica? Io condivido molto quello
che lei diceva che questo è il nodo sul quale si aggroviglia la società moderna, perché la società
moderna è caratterizzata da una forte presa di coscienza degli individui: un aumento della cultura,
un aumento delle possibilità, un aumento della comunicazione. Questo tende, in qualche modo, a
colludere con la cultura classica che era anche della sinistra che ha sempre costruito invece più un
concetto ed un principio di costruzione di regole sociali, dentro le quali si potesse in qualche modo
esprimere l'individuo ma la prevalenza era la regola sociale, l'ordinamento, quella sulla quale io
misuravo anche il progetto. Noi oggi viviamo una certa difficoltà perché, in realtà, non riusciamo a
mettere bene questo bisogno dei soggetti di autodeterminarsi con, però, il problema che
comunque una società senza regole non dà libertà di autodeterminazione perché in realtà
garantisce soltanto i più forti. Questo è il punto, secondo me, sul quale poi cade tutto, è il nodo
della società moderna, è il nodo di tutta la discussione sullo stato sociale e su che cosa significa
riformare lo stato sociale rispetto a nuovi bisogni, a nuove situazioni e anche capendoci tra di noi.
Io, per esempio, nella costruzione del documento sullo stato sociale della CGIL, ho scontato una
difficoltà di comprensione anche con i compagni e le compagne immigrate: ho dovuto togliere un
pezzo di quel documento perché i compagni e le compagne immigrate l'avevano vissuto come
offensivo perché scrivevo che questo stato sociale doveva prendere atto del fatto che esistevano
nuovi soggetti che sono portatori di diritti e di bisogni come gli immigrati. Noi non possiamo non
fare i conti che siamo una società multiculturale e multirazziale, che andiamo verso questo e che si
creerà una... Però questo è stato vissuto e io alla fine non sono riuscita a spiegare perché i
compagni e le compagne immigrate vivevano questa determinazione come se io avessi scritto che
lo stato sociale italiano era messo in crisi dal fatto che c'erano più domande, e che quindi gli
immigrati potevano essere vissuti di nostri come quelli che creavano la crisi dello stato sociale.
Non sono riuscita a farmi capire e alla fine ho preferito toglierlo perché piuttosto che avere una non
chiarezza con noi, ho tolto il pezzo. Ma questo significa che dobbiamo fare molta strada anche tra
di noi in questa fatica del connettere questo rapporto, questa possibilità di rispondere in maniera
certo non semplificata, ma di mettere insieme l'idea che dobbiamo difendere a tutti i costi
l'autodeterminazione dei soggetti. Ma l'autodeterminazione dei soggetti non si difende senza una
regola che garantisca l'accesso alle opportunità. Giustamente nei racconti di tutti si evidenziava
che esiste un percorso di diritti che dà opportunità. Io sono molto d'accordo che esiste un
problema anche di contrattazione individuale dentro anche il percorso della prostituzione, ma come
si fa a contrattare se non si vive se stessi come una forza, come un potere e che cos'è che mi dà
questo? Io credo che innanzitutto è la cultura, l'istruzione, la formazione, quindi il sapere,
chiamiamolo così, forse il sapere è una parola che dice di più. Ecco, il sapere è importante, il
sapere passa attraverso al comunicazione con culture diverse; passa attraverso la strumentazione
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di mettere insieme, di capire la cultura degli altri, come diceva Carolina, ma anche di esplicitare la
nostra perché l'altro capisca qual è l'impatto, qual è il punto in cui non ci comprendiamo, quali sono
le storie culturali diverse. Quindi, il sapere è la prima garanzia e quindi tutte le politiche cosiddette
di accoglienza, dovrebbero avere al proprio centro esattamente questo: il primo elemento
dell'accoglienza è il sapere, cioè la strumentazione per stare dentro a una società che ci è
estranea ma per dare a questa società la possibilità di venirti incontro, sapendo che cosa tu mi
chiedi, qual è l'obiettivo. E poi sono sicuramente la salute e il lavoro, sono garanzie importanti, la
possibilità di scegliere se voglio un lavoro o non lo voglio. Cioè, esistono degli elementi. Allora
esiste una società che comunque si deve strutturare per e io credo che questo sia il compito del
sindacato; cioè, io penso che noi, e sono d'accordo con le cose che diceva Margherita, quando
pensiamo alla contrattazione territoriale dobbiamo tenere presente questo. Questo appartiene
all'idea che noi contrattiamo condizioni per tutti i soggetti che sono in quel territorio e questa e la
politica generale che noi dobbiamo fare ed è la politica dell'inclusione, è la politica del diritto per
tutti. Naturalmente poi esistono politiche specifiche, sono quelle che fanno i nostri sportelli. Sono
pochi è vero: noi dal '94 ad oggi non abbiamo camminato molto nell'estensione degli sportelli. In
realtà, in tutte queste nostre riunioni che riguardano tutta la questione di questa fascia nuova per
noi, per la CGIL, di discussione: dalla prostituzione ad altri problemi, come può essere quello della
tossicodipendenza e altri, noi troviamo sempre le stesse strutture. Cioè, in realtà sono le grandi
città che si sono attrezzate a rispondere ad una domanda che per loro diventava importante anche
dentro ai posti di lavoro per cui la CGIL, alla fine, pur di dare una risposta a delle contraddizioni, si
attrezza. Non siamo riusciti a fare il cammino invece che questo dovrebbe essere una delle
modalità per intervenire e noi veniamo chiamati ad intervenire solo nell'emergenza. Voglio dire, al
comune di Perugia c'è l'emergenza prostituzione, l'anno scorso, allora telefonano al nazionale,
fanno una grande iniziativa dove dentro ci sono tutti, regionali eccetera, e ci sono io che spiego
quali politiche si dovrebbero fare. Dopo di che si chiude perché c'era un problema di emergenza e
tutto torna come prima. C'è questa modalità che io credo dobbiamo rompere. Ora, avendo fatto il
percorso del tentare in questi anni la costruzione di sportelli per i diritti, e avendo visto che questo
percorso è un percorso fecondo ma che funziona solo in alcuni luoghi, probabilmente noi oggi
dobbiamo pensare ad una riorganizzazione...
***
...di questa strategia che significa continuare a sostenere, naturalmente, gli sportelli lì dove
ci sono, ma che significa probabilmente qualificare diversamente i nostri sportelli INCA. L’INCA c'è
dappertutto, cioè l’INCA c'è nei paesini più remoti, probabilmente il nostro problema è di, prima
ancora che della formazione dei delegati di cui pure abbiamo parlato, con molta difficoltà siamo
riusciti a fare pochissimi corsi di formazione che prendessero in considerazione la tutela dei
lavoratori e lavoratrici che avevano problemi speciali, per esempio uno dei problemi che abbiamo
discusso anche in un convegno l'anno scorso era questo del rapporto lavoro-transessualità, però
sono pochi i posti dove siamo riusciti a fare anche formazione ai delegati. Allora forse bisogna un
po' ripiegare, se vogliamo alla fine costruire questa rete di diritti e di tutele, sull'idea di costruire la
formazione dello sportello INCA in maniera diversa, in modo che sia possibile avere un avamposto
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ovunque, con una nuova costruzione. Io credo che questo è uno dei primi elementi, il primo
impegno che ci possiamo prendere da questa riunione, cioè tentare con l’INCA un percorso l’INCA è il nostro patronato, credo lo sappiano tutti, è il patronato che tutela e difende i lavoratori in
tutte le loro forme - e tentare quindi con loro un'operazione di impegno e di campagna su questa
questione dei nuovi diritti e anche di formazione. Questo potrebbe essere un elemento per fare
arrivare, al di là delle questione delle risorse che piccole Camere del Lavoro in parte hanno
oggettivamente, in parte sono una copertura. Cioè, quando ti dicono: "noi non abbiamo i soldi per
mandare uno a Roma alla riunione", siccome poi se si fa un direttivo ne vengono in dieci, quelli del
direttivo e anche quelli no perché è vario e interessante, è ovvio che è una scelta politica pur
dentro la ristrettezza delle risorse, cioè si sceglie quello che sembra il percorso del lavoro
quotidiano e normale del nostro sindacato, le cosiddette "cose più importanti". Siccome io invece
penso che non esistano cose più importanti e cose meno importanti, esistono le risposte che noi
dobbiamo dare alle domande che ci vengono, e siccome sono convinta che le domande vengono
non solo nei posti in cui siamo attrezzati ma molto di più vengono negli altri posti, penso a che
cosa significa oggi anche il rapporto con immigrazione, prostituzione e criminalità che non sono la
stessa cosa ma rischiano di essere intrecciati dentro questa questione dell'Albania e i problemi del
Mezzogiorno, che sicuramente è il meno attrezzato a rispondere con una sua struttura a questa
situazione. Quindi io credo che questo è uno dei primi impegni che noi dobbiamo prendere. L'altro
sicuramente è un impegno più culturale e quindi più difficile sul quale io credo che un lavoro
abbiamo fatto in questi anni, e penso che il fatto che abbiamo portato un documento al congresso
e che questo documento è stato votato, più o meno coscientemente, però era un documento
congressuale, era un documento a parte che la gente riceveva, che abbiamo discusso di questo e
abbiamo fatto discutere di questo il congresso, non è indifferente per la discussione culturale
dentro l'organizzazione. Il fatto che noi non consideriamo questo appunto un impegno sporadico
ma che dimostriamo nelle riunioni che facciamo periodicamente, certo non molto spesso ma
periodicamente perché noi abbiamo una continuità di lavoro su questi temi al centro confederale
ormai da anni, costruisce comunque una cultura. Il fatto che questa locandina sia andata in tutte le
strutture, comunque è un messaggio che va alle nostre strutture, cioè il messaggio è che un centro
si organizza. Poi non è tutto perché naturalmente il messaggio si può anche esorcizzare dicendo:
"va beh, sono quei soliti pazzi sempre gli stessi" però comunque è un messaggio...
...Gigliola...
...Gigliola e Betty che è quella degli sfigati, ormai siamo in due, facciamo delle cose un po'
strane. Io credo che quindi un percorso in ogni caso sia aperto. Qual è adesso il passo avanti che
noi dovremmo fare? Io penso che il percorso era quello che ci indicava Agnoletto: bisognerebbe
spingere la nostra organizzazione, che sta molto ragionando sulle questioni della sicurezza, e la
sinistra anche perché questo è uno dei nodi sui quali si giocherà, tra l'altro, il confronto destra
sinistra, a ragionare su che cosa significa sicurezza sociale per tutti. Questa mi sembra una chiave
importante sulla quale poi può entrare la discussione, appunto, su come recepiamo il fenomeno
anche della prostituzione dentro l'idea della sicurezza delle città. Noi stiamo ragionando anche sul
fare un'iniziativa specifica su questo appunto per allargare l'orizzonte, però credo che questa è la
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chiave dentro la quale si possono ricomprendere sia la cosa che dicevo prima della cultura della
tolleranza contro la cultura della repressione. Cioè, quello che noi dobbiamo decidere come
sinistra che oscilliamo continuamente tra una cosa e l'altra e se noi siamo convinti che la sicurezza
si garantisce creando una rete di cultura tollerante ed una serie di risposte sociali, non solo la
cultura, la cultura ci può portare a dare una serie di risposte sociali, cioè i servizi, cioè
l'accoglienza, cioè la possibilità di, oppure se la sicurezza sociale si costruisce attraverso al
repressione. Questo dibattito nella sinistra non è chiaro e io credo che il sindacato dovrebbe dare
una mano a approfondire questo dibattito e questa chiave di lettura. Perché poi, attraverso questo,
nasce l'accettazione o meno della cultura della riduzione del danno, perché la cultura della
riduzione del danno è esattamente questo ed è in qualche modo io dico il confrontarsi tra la cultura
del limite e la cultura dell'onnipotenza. Perché la cultura del limite è quella che ci fa accettare che
non tutto ha soluzione, come piacerebbe a noi, ma che comunque dobbiamo lavorare per ridurre il
grado di impatto di sofferenza individuale e collettiva che viene dalle situazioni. Dico individuale e
collettiva perché esiste un problema di sofferenza individuale delle persone dentro, appunto,
l'inserimento, e collettiva perché è chiaro che esiste anche una sofferenza di quel territorio che non
riesce ad accettare un fenomeno, che non riesce a capirlo, che lo vive come minaccioso, che si
difende con politiche regressive. Cioè, una società sempre più insicura come la nostra, in fondo è
una società di infelicità anche per chi in qualche modo pensa di reagire facendo le ronde di
quartiere, non è un segno di forza quello ma è anche quello un segno di sofferenza sociale.
Quindi, una riposta alla conferenza individuale e collettiva ci spetta, come forze sociali che vivono
nel mondo del lavoro ma non solo, ma ci spetta un ragionamento un po' più complicato su questo
elemento. Allora, una volta fatta chiarezza su questo, le politiche di stato sociale sono politiche che
servono alla coesione di una società, alla sicurezza di una società? Si può pagare qualche prezzo
per la sicurezza sociale intesa in senso lato? Oppure no, e questa è la spesa da tagliare perché è
la spesa improduttiva? Questa è l'altra grande questione che secondo me non c'è per niente
dentro il dibattito dello stato sociale. Cioè, dentro il dibattito dello stato sociale non esiste l'idea che
stato sociale non è soltanto la protezione dei più deboli: è proprio quel modello in cui si costruisce
il patto tra l'individuo e la collettività, attraverso le risposte che lo stato sociale può dare. E questo è
un elemento che sta molto, secondo me, deviando. Ora, a parte che noi continuiamo a fare queste
discussioni sullo stato sociale sempre sulla base di emergenze economiche, questo di per sé
devia, però anche quando si tenta di dargli un'altra dignità, alla fine finiamo col fare un
ragionamento di contrapposizione tra soggetti: giovani e anziani, garantiti e non garantiti, donne e
uomini, sicuri e insicuri e non affrontiamo mai che cos'è uno stato sociale. E non facciamo mai il
conto con il fatto che lo stato sociale e i servizi che una collettività può dare, creano non solo il
grado di coesione ma il grado di affezione del cittadino ai servizi. E il disagio che si crea anche in
un quartiere, anche in una città, forse si può vincere con una serie di strumenti che non sono
soltanto strumenti di repressione ma che sono risposte. Certo, è un percorso molto difficile, qui tutti
gli esperimenti e le discussioni che si facevano oggi lo dicono, è un discorso molto difficile perché
è in controtendenza rispetto alla cultura dominante, ormai in qualche modo sostenuta appunto
dalla insicurezza che in questa società è data anche dal modello di produzione. Cioè noi siamo
sempre meno sicuri in questa società: non c'è più il lavoro sicuro, non c'è più l'identità nazionale
sicura, siamo minacciati da tanto, appunto, siamo minacciati anche dallo straniero che viene. Cioè,
la nostra società ha molte più insicurezze quindi è chiaro che o noi siamo capaci di intervenire su
questo nodo, oppure è molto complicato trovare delle ricette semplificatorie che diano risposte.
Allora, credo che questo invece è uno degli elementi della nostra iniziativa ed è fortemente
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collegato alla discussione che stiamo facendo sullo stato sociale, mi piacerebbe che il sindacato
riuscisse a mettere all'ordine del giorno di questa discussione anche questa questione: sicurezza
sociale come fonte di coesione, come fonte di opportunità e di democrazia, a base di questa
politica di sicurezza sociale è la cultura della tolleranza e la cultura della tolleranza sostenuta,
però, da una strutturazione sociale di servizi. Credo che questo dovrebbe essere il vero asse sul
quale apriamo una discussione diversa. Detto questo rispetto alle politiche e agli impegni che può
prendere il sindacato, poi non rispondo anche alle domande più circostanziate che sono state fatte,
che sono: come ci impegniamo per difendere i diritti anche dei transessuali nei posti di lavoro, il
percorso di lavoro perché rispetto a questo noi seguiamo il percorso classico. Voi sapete ci siamo
già impegnati, c'è un impegno, tutta la nostra organizzazione sa l'impegno caso mai è, appunto, di
rendere più capillare attraverso il coinvolgimento dell’INCA questo lavoro in modo che tutti
possano trovare una risposta. Poi noi abbiamo tentato anche di costruire anche una rete tra i
servizi, sapete il lavoro che abbiamo fatto col S. Camillo eccetera, perché poi compito nostro è
anche quello di mettere in relazione risposte differenti proprio perché, essendo sempre a un punto
un po' di snodo, un po' di incrocio, noi poi organizziamo i diritti, ma organizziamo anche gli
operatori che lavorano nei servizi che dovrebbero dare le risposte, Questo è un luogo privilegiato
per noi, in qualche modo e quindi noi non possiamo sottrarci alla responsabilità di gestire questo
luogo privilegiato. Ecco perché siamo anche un luogo che può costruire relazioni, utilizzando il
fatto che gli operatori dei servizi sono nostri iscritti, quindi che si crea una relazione anche di
responsabilità, di responsabilità reciproche...
...
...Non è sempre un guaio, certo noi, la CGIL dove vivono donne e uomini nella cultura...
anzi, dirò di più: la CGIL è un sindacato a forte cultura operaia e gli operai non sono mai stati dei
tolleranti, la cultura operaia non è una cultura tollerante, anzi è una cultura fortemente moralista e
intollerante, quindi caso mai dobbiamo fare un grande lavoro se pensiamo alle radici culturali della
nostra organizzazione, non è semplice. Infatti lei diceva: mi dicono te li mando tutti a te a Torino, e
come quando qualcuno discute del fatto che forse si possono scambiare le pensioni di anzianità
con l'età pensionabile delle donne, che forse è impossibile farlo però la cultura è quella. Detto
questo, e mi pare che qui ci si interrogava non soltanto su un impegno specifico ma anche su
come un'organizzazione come la nostra che si spende anche sulla costruzione del senso comune
e quindi sulla costruzione delle culture che vivono nella società perché, appunto, come io ricordo
sempre, siamo pur sempre quelli che organizzano cinque milioni di lavoratori, quindi una
responsabilità ce l'abbiamo anche nella costruzione del senso comune, in qualche modo la
richiesta che veniva era: voi siete disposti a schierarvi di nuovo su questa battaglia, a farne una
battaglia aperta e a rilanciare anche rispetto a questa discussione che si sta rilanciando sulla
revisione della legge Merlin? Io credo che la risposta è sicuramente sì, siamo disposti; credo però
che la frontiera non sia quella di una legge sulla prostituzione. Io sono molto d'accordo con Ersilia
Salvato, credo che sarebbe un errore forte perché noi non riusciremmo, non solo in questo clima
culturale ma io penso anche in un clima culturale meno difficile di quello che abbiamo oggi che
necessita di tutti questi compromessi tra diecimila culture, a districare proprio qui il rapporto tra
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autonomia e regolamentazione collettiva perché è il punto più difficile, è il punto dove dentro c'è
questo grande elemento, questo buco nero della personalità di ciascuno di noi che è la sessualità
dentro il quale precipitano troppe cose, spesso indistinte. È difficile pensare proprio su questo
nodo di riuscire a trovare questo circolo virtuoso che mette insieme autonomia individuale e
regolamentazione, più spesso la regolamentazione diventa controllo. Io poi colgo un'altra cosa che
era anche importante nelle cose che diceva Elvira, cioè noi dobbiamo ragionare che esiste questo
nodo e che alla fine questo tabù che ci portiamo da millenni è quello che costruisce poi tanti
comportamenti, dobbiamo pensare che va fatta un'azione anche per rimuovere e per discutere
apertamente questo groviglio che è il problema della sessualità. E della sessualità maschile
condivido, non perché non sia complicata la sessualità femminile ma perché noi abbiamo avuto
coraggio da più tempo di ragionare di questo e siamo molto più avanti nella discussione e nella
coscienza. Io penso che ci sono una serie di nodi molto più non chiariti ma insomma molto più
evidenti che non dentro, quindi è chiaro che questo è un altro dei punti sui quali bisogna agire ma
sicuramente non si può agire con una legge, proprio per la complessità. Allora io qui condivido la
linea che distingua fortemente traffico da prostituzione. Allora, vogliamo ragionare sullo
sfruttamento, il traffico come ragioniamo e come eliminiamo, cioè la discussione che aveva
introdotto Tola questa mattina? Sì, evitiamo che questo si confonda con la revisione della Merlin, io
metterei questa discriminante. Cioè evitiamo che la discussione su questo sia la revisione della
legge Merlin, sono due cose diverse perché questa confusione porta alla regolamentazione della
prostituzione che io credo non ci aiuterebbe affatto penso che anzi cristallizzerebbe una serie di
contraddizioni che qui sono stati molto evidenti e metterebbe per l'ennesima volta insieme, senza
distinzione, il soggetto debole con il soggetto forte, quello che rivendica una autodeterminazione a
cui io pure debbo rispetto è quello debole che subisce; una normativa le rimette di nuovo insieme
non distinguiamo più né politiche né possibilità differenti. Allora io sono per distinguere. Poi sono
d'accordo con lui che una legislazione invece su tutta questa questione che riguarda appunto lo
sfruttamento, la tratta, che cosa significa questo in relazione anche alle possibilità di sottrarsi allo
sfruttamento, vada tentata e condivido il giudizio di Carolina che l'approccio che è stato fatto nella
legge sull'immigrazione è un approccio molto debole
molto contraddittorio. Penso che
bisognerebbe aprire un ragionamento più serio su questo punto e che forse però potremmo
utilizzare quel punto come l'elemento sul quale cominciamo a fare un ragionamento più ampio per
richiedere, appunto, un approfondimento e una discussione che esca fuori da questo fatto
specifico dell'immigrazione e invece affronti la questione nel suo insieme. Rifiuterei l'altro terreno
che mi sembra un terreno non utile in questo momento. Per cui, per riassumere, il nostro impegno
è quello di in qualche modo estendere dentro l’organizzazione, più di quel che siamo riusciti a fare
in questi anni, la cultura della difesa dei diritti di tutti nel lavoro, ma non solo, come facciamo per
tutti gli altri; la costruzione di una cultura della sicurezza sociale che passi attraverso un'altra idea
di rapporto tra autonomia e regolamentazione collettiva; l'impegno a ragionare perché
l'autodeterminazione diventi una occasione per tutti, cioè che tutte possano decidere di e quindi
una politica anche comunque dia degli strumenti a dei soggetti più deboli, il rifiuto di una
regolamentazione della prostituzione. Mi sembra che questi sono i quattro punti sui quali possiamo
prendere un impegno.
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Anna Piccioni
Casa delle Donne
Quest'incontro, secondo me, è stato carico di stimoli e avrebbe meritato più di una giornata
perché, naturalmente, anche le persone che se ne sono andate hanno dato stimoli e poi non
hanno seguito. È una brutta abitudine quella di intervenire e poi di andarsene, anche perché non si
raccolgono quelli che possono essere gli incontri del pensiero. Intanto l’intervento precedente è
stato importante perché ha dato un quadro limitato però di quella che è la storia della prostituzione
che è una storia molto lontana ma bisogna guardare l'insieme di questo panorama storico e della
memoria storica, e quindi ampliarlo e mettersi in condizioni di capire che quello che sta ritornando
è qualche cosa che assomiglia ai corsi e ricorsi storici. Questo modo di vedere la storia è ormai
superato perché viene da ulteriori riflessioni la nostra possibilità di reinventare la storia, non viene
da un ricorso così dannoso come potrebbe essere quello delle case chiuse. Da questo che
dimostrazione viene? Dimostrazione di paura di che cosa? Allora qui io mi rivolgo a quell’intervento
che ha fatto Elvira Banotti, la paura fondamentale è quella della perdita di una ricchezza come la
sessualità perché la parola tolleranza è una parola, secondo me, molto ambigua. Tolleranza nel
senso di non repressione, ma tolleranza è una parola brutta perché io tollero, come tollero?
Quando l'intervenuta di poco fa ha chiamato la sessualità un buco nero, mi ha fatto venire male a
tutta la persona, come deve essere questo visto come un buco nero? Noi sappiamo che cosa ci fa
la chiesa; noi sappiamo che cosa ci fa una tradizione terribile, ma mica possiamo trattare questo
soprattutto sulla prevenzione sanitaria! Allora ha ragione la Banotti quando ha detto: "Qui abbiamo
sentito un sacco di infermieri, un'infermieristica", ma questo va affrontato nelle radici fondamentali.
E non è noi che dobbiamo andare a curare il cliente, ma vedere socialmente come viviamo e come
possiamo vivere, qui Elvira mi ha ricordato, e l'ho sentito fortemente anch'io, la ragazza che ha
detto: "sento sempre freddo" il freddo della morte. Significa sconfessare, umiliare, mortificare la
sessualità, significa metterla insieme al freddo della morte. E questo non è uscito minimamente,
tutto un insieme che aveva il rimedio le malattie e le malattie sono uno scotto che si paga di
qualunque cosa, si paga anche l'influenza, si paga anche la bronchite, io pago la bronchite, per
esempio. Quindi, se noi mettiamo questo sul punto della massima attenzione alla malattia, questo
significa vergognosamente evadere quello che è una radice fondamentale della nostra vita. È
chiaro che non possiamo legiferare, è chiaro che non possiamo regolamentare, è chiaro che
dobbiamo salvare qualcosa, ma mi sembra che debba diventare più chiaro quali sono le radici
fondamentali del nostro vivere, tra le quali radici fondamentali c'è la sessualità. Per quanto le varie
chiese abbiano lavorato contro per distruggerci, per rovinarci, per caricarci di pregiudizi, non
possono essere arrivate a tanto. Allora la società non può afferrarsi e convalidare le cose di questo
genere, il sesso fa paura, questo è fondamentale. E allora trattando della prostituzione, il discorso
è più largo, però sfugge, anche nei riguardi di quello che Elvira diceva, e lì non sono d'accordo, la
comprensione del cliente il quale cliente non si accorge di sottoporsi alla sua mortificazione
umana, alla sua umiliazione umana e allora in questo ritiene di essere forte perché esercita un
potere che è distruzione, ma non siamo noi che possiamo occuparci di capire il cliente. I clienti se
ne accorgano, si guardino. I clienti sono diventati poi clienti di compra bambini eccetera., e qui
chiudo perché il discorso è lungo. Noi abitiamo il paese delle donne, la casa delle donne al Buon
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Pastore che era la casa delle fanciulle traviate, cioè di quelle che si mettevano in mano alle suore,
in mano alla capacità ecclesiastica di recupero, finendo nella loro distruzione completa, era la casa
delle fanciulle traviate e con questa arrivavano, per salvarsi da una distruzione, alla loro
distruzione completa, Questo è, e noi che noi viviamo là dentro siamo particolarmente impegnate
a scavare in quelle che sono le radici profonde della nostra vita, una radice profonda della nostra
vita è proprio la sessualità.
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Claudio Giardullo
Segretario Nazionale del SIULP
Prima considerazione : il tema della prostituzione in Italia e` estremamente complesso ed il
rischio e` quello di semplificarlo troppo.Dal dibattito culturale e dalle proposte di legge emerge che
in Italia si e` ancora fermi a questo punto: tenere in piedi la legge Merlin o riaprire le case chiuse.
Siamo in estremo ritardo, dobbiamo sgombrare il campo dagli atteggiamenti: ideologici o
moralistici e dobbiamo considerare che, in tema di prostituzione, la situazione è molto cambiata in
questi ultimi anni. Oggi infatti prostituzione vuol dire “business”, mancanza di tutela dei diritti,
organizzazione criminale a livello internazionale; il tema fondamentale, comunque, che resta
spesso in ombra e che non viene affrontato correttamente è quello della tutela dei diritti, diritti della
persona calpestati, persone ridotte in schiavitù, persone-oggetto di affari di immani dimensioni.
Certamente questo tema è molto scomodo perchè attraversa trasversalmente molti ambiti: quello
dell’ordine pubblico, quello sociale, quello dell’organizzazione della città. Perciò, secondo me,
andrebbe affrontato con molta chiarezza, senza mistificazioni e con la consapevolezza che: non ci
sono ricette miracolose o risolutive, l’approccio non deve essere solo di ordine pubblico. Si ha
bisogno di una strategia complessiva che riesca a coniugare i tre diversi aspetti del problema
(sociale, di ordine pubblico, di organizzazione della città`). Certamente in questi ultimi anni alcune
situazioni difficili da gestire a livello di quartieri in certe città (es. manifestazioni di intolleranza a
Torino) hanno fatto rimbalzare il problema ai mass-media. Inoltre qualche volta si scopre che ci
sono minori o donne ridotte in schiavitù, con situazioni inaccettabili alle soglie del 2000; di fronte a
tutto questo c’è spesso la tendenza, da parte degli organi competenti, a rincorrere l’emergenza.
Del resto si ha bisogno di una strategia articolata senza pensare di poter affrontare la prostituzione
dal punto di vista solo del fastidio, ma d’altra parte non si può negare che in alcune realtà il
problema del fastidio esiste e si lega al problema della paura. Questo è un passaggio molto
importante perchè quando si ha paura, non si è sicuri, si fanno richieste allo Stato di ordine
pubblico; l’insicurezza e la paura dei cittadini spingono lo Stato ad adottare misure severe e
repressive : del resto l’insicurezza crea condizioni favorevoli per politiche conservatrici e di
restaurazione. Per cui è molto grave non voler capire che il problema del “fastidio”, evidente in
alcune città, può ingenerare insicurezza e avere dei risvolti molto negativi come, ad esempio,
quello di stabilire continui legami con l’immigrazione. Per esempio, per come si è andata
organizzando la prostituzione in Italia in questi ultimi anni, è molto facile pensare che il dissenso
rispetto al fenomeno prostituzione diventi dissenso rispetto al fenomeno immigrazione. E allora?
Che fare? Approntare strategie articolate. Innanzi tutto non si può affrontare il fenomeno in una
chiave di ordine pubblico perchè sarebbe un’ottica riduttiva, insufficiente, errata; perciò non in
chiave penalizzante. Invece, secondo me, la prostituzione dovrebbe essere lasciata
completamente al campo del “sociale”; perciò domande e offerte di prestazioni non possono
essere ingabbiate o “regolamentate”. Questo non è possibile anche considerando i tipi di rapporti
che abbiamo nella nostra società. Perciò chi immagina un inasprimento di pene o anche più
semplicemente una regolamentazione di tutta l’attività è fuori strada. La prostituzione appartiene al
sociale, pertanto si può intervenire rispetto all’informazione, rispetto alla sessualità e al suo ruolo
nella nostra società, rispetto ai giovani, rispetto ad un’analisi seria della composizione della città.
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Condivido a questo proposito l’analisi di un sociologo romano -Maurizio Fiasco- che individua
quattro tipi di utenti particolarmente interessati al settore prostituzione:1) gli anziani, soli, che non
hanno alcun tipo di comunicazione all’interno del tumulto e della frenesia della città. 2) coloro che
hanno con la città un rapporto di pendolarismo (non è un caso che la maggior parte della
prostituzione si eserciti lungo le strade di grande comunicazione con la città). 3) gli utenti del
mondo degli affari e del mondo finanziario (è un aspetto nuovo per l’Italia ma in continua crescita).
4) coloro che con la città hanno un rapporto predatorio; cioè usano tutto ciò che la città può loro
offrire: beni, servizi, persone, (è indifferente). Perciò nessuna “regolamentazione”, ma piuttosto va
affrontata la questione dello sfruttamento delle donne e dei minori; l’aspetto più allarmante è
proprio la rete mondiale della pedofilia, dello sfruttamento dei minori, del turismo sessuale. Che
Fare? Chi pensa di risolvere tutto con una legge sbaglia di grosso perchè la tratta delle donne e
dei minori viene organizzata a livello internazionale e in modo molto sofisticato e capillare: chi fa la
raccolta nei paesi di origine, chi si occupa del trasporto, chi si occupa del collocamento al lavoro
etc.. Perciò un’organizzazione complessa e articolata: un problema di così vaste dimensioni non
può essere affrontato a livello di intervento è quello della lotta al crimine organizzato ma sempre a
livello internazionale. Il terzo livello è quello della rottura del vincolo tra la vittima e il carnefice;
perciò ogni misura che possa favorire il superamento del terrore connesso allo stato di schiavitù va
adottata. Ad esempio l’articolo di legge, all’interno della legislazione sull’immigrazione, che
prevede la concessione del permesso di soggiorno per quelle/quei straniere/i che denunciano i loro
carnefici è risultato molto proficuo per scoprire organizzazioni e bande criminali, come ultimamente
è accaduto per diversi albanesi.Concludendo: si alla depenalizzazione dei comportamenti legati
all’esercizio della prostituzione, si agli incentivi e alle misure di legge che permettono di spezzare il
rapporto vittima-carnefice, si al rafforzamento degli strumenti investigativi in questo settore (es.
intercettazioni telefoniche a livello internazionale), si alla confisca dei beni degli sfruttatori
Fondamentale è il ruolo delle Associazioni per le informazioni, per l’offerta alternativa, per le
campagne di prevenzione ma ancora più importante, in questo campo, è il ruolo degli Enti locali
perchè loro possono diventare registi degli interventi coordinati a vari livelli. Gli Enti locali, con le
loro azioni, possono fare in modo che si superi l’approccio in termini di ordine pubblico,
adoperandosi invece per una reale difesa dei diritti di tutti all’interno della città
.
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Carla Corso
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute
Le riflessioni della Sig.ra Banotti, per alcuni versi sono anche condivisibili, quando sostiene che le
pulsioni maschili passano sul corpo di bambini inermi, e di donne sopraffatte. Trovo la sua difesa
dei diritti delle donne ammirevole, se lei si limitasse a questo, avrebbe la solidarietà di tutte le
donne impegnate sullo stesso versante, invece lei va avanti stoicamente, e pur di dimostrare che
l’uomo è l’unico nemico dell’altra metà del cielo, cancella, scelte auto determinazione e lotte di un
gruppo di donne prostitute. Le quali lottano e si organizzano in tutto il mondo per attirare
l’attenzione sulla loro emarginazione, ma soprattutto sul diritto innegabile di usare il loro corpo,
senza che nessuno, ne stato, ne chiesa, possa decidere per loro: come, dove, e con chi praticare
al loro attività. Quello che mi infastidisce nelle teorie e nelle azioni della Sig.ra Banotti è che,
appiattendo tutto il dibattito aperto dalle prostitute, ci trasforma in vittime masochiste ed
inconsapevoli impedendoci di esprimere le nostre rivendicazioni, perchè in quanto vittime siamo
solo oggetti da tutelare, e non soggetti protagonisti in grado di autorappresentarci, magari anche
insieme a lei, per analizzare, il mondo maschile, la sessualità e l’incapacità di rapportarsi in modo
paritari con le donne. Delegando al sindacato gli interventi e l’analisi sulla prostituzione la Sig.ra
Banotti nega alle prostitute il ruolo di soggetto politico. Continua a negare il nostro lavoro il nostro
lavoro anche quando attraverso una “Molto Libera” interpretazione del libro; Ritratto a tinte forti,
dove, lei riesce a trovare solo una grande sofferenza. I messaggi che io volevo dare erano ben
altri; Orgoglio di essere prostituta, ironia e soprattutto emancipazione, perchè attraverso la
prostituzione ho potuto viaggiare, emanciparmi, migliorarmi culturalmente, organizzare insieme a
Pia Covre un comitato che difendesse i nostri diritti e quelli delle nostre compagne più sfortunate di
noi. Siamo riuscite attraverso il nostro lavoro politico a farci riconoscere in tutta Europa, e non solo
per protagonismo, come lo definisce la Sig.ra Banotti, ma proprio per aprire un dialogo di scambi
tra noi e chi non è prostituta, consapevoli di essere portatrici di una cultura diversa e sconosciuta
però interessante per poter leggere ed interpretare alcuni comportamenti maschili tuttora
inspiegabili. Tutto questo nella speranza che anche i movimenti femministi più integralisti possano
farne tesoro. Sono convinta che la Sig.ra Banotti abbia perso una grande opportunità rifiutando
questo confronto, ma la cosa più grave è che continuano ad emarginare una parte importante
anche
se
piccola
del
mondo
femminile.
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Coordinato e corretto da: Maria Gigliola Toniollo e Cluadio Tabacco
Nota: Per motivi di tempo non abbiamo potuto consentire ai relatori di correggere i propri interventi,
ce ne scusiamo con loro. Abbiamo comunque rispettato al massimo i contenuti degli interventi
limitando drasticamente qualunque correzione
Indice
MARIA GIGLIOLA TONIOLLO
2
VITTORIA TOLA
3
VITTORIO AGNOLETTO
11
PORPORA MARCASCIANO
17
PIA COVRE
21
STEFANO ORIANO
24
ERSILIA SALVATO
29
CARLO DONADEL
33
ZIU ANA
39
LEOPOLDO GROSSO
41
CAROLINA CARDENAS
45
MARGHERITA GIONNI
49
ELVIRA BANOTTI
53
BETTY LEONE
55
ANNA PICCIONI
62
CLAUDIO GIARDULLO
64
CARLA CORSO
66
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