2 Sabato, 4 febbraio 2012 Idee e opinioni L’ ✎ L’opinione | uomo religioso è colui che è sempre in ascolto; l’uomo irreligioso è colui che non ascolta o che, avendo una volta ascoltato qualcuno, non intende ascoltare più nessun altro. La scelta perenne è tra la chiusura e l’apertura: e chi veramente si apre ad altri, non ha paura di deserti, né di lunghi tempi in cui le risposte non paiono venire. In qualunque luogo e qualunque tempo, egli attende parole altrui, sapendo che ha sempre il dovere di intenderle, e sempre la libertà di attenderne altre. Comprendiamo allora perché la caratteristica dell’uomo biblico sia appunto l’ascolto. Dio incontra l’uomo, gli si manifesta nella parola: il Dio del PrimoTestamento è certamente il Dio invisibile ma non è il Dio inudibile. Il Dio di Israele si rivela al suo popolo non facendogli vedere il suo volto, ma facendogli udire la sua voce. L’uomo biblico è l’uomo che è in ascolto. Gesù si rivolge ai suoi ascoltatori di Arcangelo Bagni Riscoprire il primato dell’ascolto per non correre ovunque e invano dicendo: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti”. Nell’esperienza della trasfigurazione, ai discepoli è rivolto un comando preciso: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!”. C’è dunque una parola da ascoltare e una vita -quella di Gesù- che occorre prima di tutto e innanzitutto ascoltare. Ascoltare significa decentrarsi, mettere non se stessi al centro delle scelte e delle valutazioni, ma l’altro -la persona o l’avvenimento- che interpella. Ascoltare è uscire da se stessi per riscoprire se stessi avendo ascoltato l’Altro. Per questo c’è ascolto e ascolto. C’è un ascolto pieno ed un vuoto, un ascolto luminoso ed uno opaco, uno attento ed uno sotto il segno della distrazione. C’è una sottolineatura che merita attenzione, oggi più che mai: il rapporto tra ascolto e azione. Nella riflessione biblica essi sono strettamente uniti: “Faremo e ascolteremo tutto quello che il Signore ha detto”. L’affermazione va compresa: essa vuole affermare che la verifica dell’autentico ascolto è data dalla corretta pratica. Allora, se da una parte l’ascolto determina l’uomo nella sua struttura profonda, dall’altra è pur vero che l’agire caratterizza l’uomo che ha “ascoltato correttamente” la parola di Dio. La pratica della Parola è l’attuazione piena dell’ascolto. L’agire non elimina la necessità dell’ascolto e l’ascolto si fa necessariamente pratica, azione. Siamo in grado di comprendere la parola di Gesù: “Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica, può essere paragonato a un uomo saggio che costruì la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, inondarono i fiumi e soffiarono i venti: si abbatterono quella casa ma essa non cadde. Era fondata, infatti, sulla roccia. E chi ascolta queste mie parole, ma non le mette in pratica, può essere paragonato a un uomo stolto che costruì la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, inondarono i fiumi e soffiarono i venti: si abbatterono su quella casa; e cadde, e la sua rovina fu grande”. C’è una provocazione da non lasciare cadere. Da più parti si sente dire che, sul versante religioso, sono tempi difficili: ed è vero; si nota anche che ormai la comunicazione, nella prospettiva religiosa, sembra diventare sempre più problematica: ed è altrettanto vero; non manca, poi, chi puntualmente sottolinea la necessità di scelte coraggiose, radicali, capaci di interpellare un contesto religioso che, a volte, sembra un po’ ammuffito: ancora vero; c’è anche chi ricorda, a tempo e fuori tempo, la necessità di riprendere in mano la Parola di Dio, di creare luoghi di ascolto, contesti nei quali lo spazio dato alla Parola –e alla sua gratuitàabbia il primo posto e sia in grado di ri-generare credenti e di provocare chi è in ricerca: verissimo anche ciò. Ma, dove sono questi luoghi? Dove andare per ascoltare? COLPO D’OCCHIO | di Piero Isola Radio Rai: ridateci l’italiano! P arliamo di radio. In programmi di Radio Rai debbano Se la radio italiana canta confronto alla tv se ne avere il timore, anzi l’ossessione, inglese e brasiliano parla poco o niente. La di esser presi per burini e ragione, spiegava un provinciali qualora mandassero e “dimentica” umorista americano, è che la in onda canzoni nostrane e della il nostro Paese... radio sconta il fatto di essere tradizione italiana - a meno nata prima della tv. Fosse nata che non esistano interessi di dopo, tutti a parlare di quella straordinaria “novità” che altra natura a noi sconosciuti -, ed ecco allora ti fa ascoltare la voce senza farti vedere le immagini. sciorinare quotidianamente questa gran massa A proposito di radio sia consentita una domanda. (spesso paccottiglia) di canzonette in lingua Ma la Rai che cosa ne guadagna per ogni canzone in inglese. Anche a Natale, esempio recente: è stata lingua inglese che trasmette? La domanda è legittima la solita solfa di “Christmas” in tutte le salse, perché, se ne guadagnasse qualcosa, potrebbe pure Jingle Bells e Happy Day. essere comprensibile quel continuo propinarci giorno Un messaggio autopromozionale ripetuto fino e notte di brani musicali angloamericani o comunque alla noia recita testualmente: “Rai Radio Uno, nella lingua dei sudditi di Sua Maestà. Ma non siamo in pochi secondi per riconoscerla, ventiquattro Italia? La Rai non è più la Radio audizioni italiane o la ore per ascoltarla”. Bugia, almeno la prima sigla si è aggiornata in Radio audizioni inglesi? Ormai affermazione. Di grazia, come si fa a “riconoscere”, non c’e programma delle due reti più ascoltate, Radio ossia a sintonizzarsi su una radio, per giunta italiana 1 e Radio 2, che non sia inframmezzato di canzonette e pubblica, che giorno e notte trasmette quasi inglesi, a danno delle canzoni italiane sempre in esclusivamente canzoni in lingua inglese? A parte netta minoranza, se non assenti del tutto. Da questa che in alcune zone il segnale Rai si riceve peggio di invadenza della musica angloamericana si salvano, e quello delle varie emittenti private, le quali anche loro vorrei vedere!, i giornali radio e la messa domenicale. trasmettono prevalentemente brani in lingua inglese. Poi è tutta una gara tra annunciatori, intrattenitori, Che almeno la radio di Stato si potesse distinguere, e giornalisti, disc-jockey e altri esegeti della materia a “riconoscere” in pochi secondi, per il fatto di cantare fare sfoggio della loro pronuncia inglese, una pronuncia italiano! A quando in Italia una legge come quella più perfetta (si potrà dire?) dell’originale, insomma “più francese che impone alle radio pubbliche e private inglese” degli inglesi. Quando costoro annunciano il almeno il 50 per cento di brani musicali in lingua titolo di una canzone inglese sembrano raggiungere le nazionale? Possibile che nessun esponente politico vette del piacere, della voluttà, come i bambini golosi (di quelli che tengono a difendere il “prodotto” quando si riempiono la bocca di pop-corn o di nutella. italiano) senta la radio e presenti un’interrogazione Abbiamo l’impressione che i responsabili dei parlamentare per chiedere conto di questa ormai ◆ Editoriale Viva la libertà... o forse no segue da pagina1 consensi con maggioranze bulgare (anche fra i cattolici), ma forse c’è un punto sul quale vacilla. La sloganistica dell’individualismo libertario (“se tu non puoi per te, perché anche vuoi che io non possa?”) fa il pieno di apprezzamenti (anche fra i cattolici), ma forse c’è un argomento che può farla scricchiolare. Quel punto, quell’argomento si chiama educazione. Finchè c’è da far discorsi general generici sulla libertà delle scelte cosiddette “private” (?), quasi tutti si professano pannelliani; ma non appena si scende sul terreno dell’educare – dove c’è da trasmettere a un figlio pane fresco, aria pulita, terreno stabile, cioè valori solidi sui quali edificare la vita –, ecco che la falange dei libertari si spacchetta, cominciano vistose le defezioni, e salutiferi dubbi cominciano a coagularsi nella coscienza dei più pensosi. Oh, mica avremo scoperto il tallone d’Achille del relativismo contemporaneo? Forse mi illudo. Però quanti giovanotti scavezzacolli conosciamo che, dopo una giovinezza diciamo così un po’ “movimentata” proprio diventando genitori e padri hanno finito - come si dice - per mettere giudizio? Ci sono mamme che per anni hanno perorato (e un po’ anche vissuto) la causa della liberazione sessuale, e che poi, quando di mezzo comincia ad esserci la loro (ex) bambina, si scoprono controllore peggio della Gestapo. E si ritrovano a ringhiare in cucina, masticando angosce, mentre la “piccola” se ne sta là fuori – chissà dove, chissà a far cosa – con quello sciupafemmine del suo ragazzo. E’ vero: educare fa saltare tanti luoghi comuni. Sarà per questo che i Vescovi ci hanno dato come programma del decennio l’educazione? Sarà per questo che i messaggi per la giornata della Pace e della Vita iniziano con un “educhiamo i giovani a…”. E allora caro lettore, non ti passi inosservato l’opuscolo che trovi allegato a questo numero del Settimanale. Sentirai parlare di giovani, oratorio, educazione. patologica esteromania della Rai in fatto di brani musicali? Abbiamo detto “esteromania” non a caso, invece del termine più specifico “anglomania”. Sì, perché non bastassero le canzoni inglesi, ecco imperversare da anni, in ore notturne, su Radio 1 Rai, dalla domenica al venerdì. il programma “Brasil”, con tutta una tiritera di canzoni brasiliane, dunque in lingua portoghese. Sottotitolo della trasmissione: “Canzoni, cultura e altro dal Brasile contemporaneo”. Boa noite! Così, mentre il Brasile ci fa lo sgarbo di negare l’estradizione di un pluriassassino, riconosciuto tale a tutti i livelli di giudizio dalla giustizia del nostro Paese, noi, per dire la radio pubblica italiana, omaggiamo puntualmente il Paese sudamericano di un servizio di pubblicità canzonettistica turistico-culturale.