Obbligazioni a basso rischio? Sì all'obbligo informativo dell'intermediario Corte di Appello di Lecce, sezione I civile, sentenza 9 ottobre 2013, n. 787 (Antonio Tanza) Torna la giurisprudenza di merito sulla discussa questione relativa alle obbligazioni Lehman Brothers e sulla valenza degli impegni assunti dalle banche con l’iniziativa “Obbligazioni a basso rischio/rendimento Patti Chiari”, questione che attiene anche ad altri titoli in default e già contenuti nel tristemente noto elenco (ad esempio, le obbligazioni emesse dalle banche islandesi in decozione), ma che, per il voluminoso giro di risparmi bruciati e per il clamore internazionale, impegna giuristi e magistratura soprattutto per il caso della banca americana fallita nel 2008. La decisione della Corte di Appello Leccese - la prima per quel distretto - scaturisce da una sentenza di “rigetto senza merito” di una sezione distaccata del Tribunale di Lecce, interamente vertente sull’individuazione dell’oggetto di un contratto di transazione intervenuto fra le parti prima del giudizio. Il primo giudice infatti aveva rigettato le domande restitutorie e risarcitorie dell’investitore sull’assunto che con l’intercorso accordo transattivo egli avesse rinunciato all’azione per ogni controversia insorta o insorgenda in relazione ai titoli in lite. La sentenza di secondo grado, prima ancora di entrare nel merito dell’accesissima questione squisitamente finanziaria, ha il pregio di risolvere, peraltro richiamando giurisprudenza di Legittimità oramai pacifica, le problematiche inerenti all’interpretazione del contratto di transazione, con particolare riferimento a quelle locuzioni che sembrano introdurre una sorta di valenza “omnibus”, nel senso di disconoscere ed anzi disapprovare le rinunce ad ogni lite futura dipendente da qualsiasi titolo o ragione. Sovente le banche - più in generale, i contraenti forti - inseriscono nei contratti transattivi (peraltro non sempre a contenuto standard, ma la maggior parte delle volte a contenuto “imposto”) delle dichiarazioni di rinuncia reciproca a qualsivoglia lite futura dipendente da qualsiasi titolo, in tal modo procacciandosi una sorta di immunità che può risultare, come nel caso di specie, preziosa in un futuro contenzioso che venga acceso dal cliente insoddisfatto. La Corte ha risolto la questione applicando correttamente le regole generali sull’interpretazione del contratto e della volontà delle parti, ma soprattutto in ossequio ai canoni di correttezza e buona fede, nel senso che giammai una transazione può comportare rinuncia all’azione per una lite futura, della quale al momento della stipula della transazione le parti non abbiano contezza neanche in via astratta o potenziale. Ciò poiché, in base a pacifica giurisprudenza (da ultimo, Cass. nn. 7999/2010 e 82/2011), una transazione, per essere valida, deve avere ad oggetto un rapporto giuridico che abbia, almeno nell’opinione delle parti, carattere di incertezza (la c.d. res dubia). La rinuncia deve dunque avere ad oggetto una lite già sorta o che può ragionevolmente sorgere tra le parti sulla base della situazione di fatto esistente al tempo della transazione. La lite futura, cioè, al fine di costituire oggetto di una transazione valida e non nulla per indeterminatezza, deve essere quanto meno prevedibile, così come prevedibili devono essere i danni che con tale lite si contestano (Cass. sez. III, 10 giugno 2005, n. 12320; Cass. sez. III, 17 gennaio 2003, n. 615). E’ necessaria comunque l'esistenza di un dissenso potenziale, anche se ancora da definire nei più precisi termini di una lite e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione (Cass. sez. III, 16 luglio 2003, n. 11142). Diversamente argomentando, si “finirebbe per rendere legittimo ogni inadempimento successivo alla transazione in permanenza del rapporto e degli obblighi da questo scaturenti”; così testualmente la Corte di Appello. Superata l’eccezione della banca intermediaria, il Giudice del Gravame riforma sul punto la prima decisione e – finalmente – entra nel merito. Il merito è a tutti noto: il 15 settembre 2008 la Lehman Brothers Holding Inc., atteso lo stato di insolvenza in cui versava e dopo essersi trascinata per almeno un anno una rumorosa crisi finanziaria, richiedeva alla US Bankruptcy Court del Distretto Sud di New York l’ammissione al Chapter 11 del bankruptcy code, la procedura di fallimento pilotato prevista dalla normativa statunitense. A discapito di tanto, le obbligazioni emesse dalla holding fino a quel momento facevano ancora parte dell’ “Elenco delle obbligazioni a basso rischio/rendimento” messo a disposizione da un consorzio di banche italiane (la quasi totalità) nell’ambito dell’iniziativa c.d. “Patti Chiari”. L’elenco, che comprendeva titoli ritenuti “semplici e poco rischiosi” (cfr. pag. 12 Guida Pratica), nelle intenzioni proclamate (pag. 14) doveva servire ad illustrare ai risparmiatori in modo semplice e gratuito che i titoli ivi inseriti erano emessi da soggetti affidabili ed avevano un basso rischio di perdita. Detto basso rischio di perdita dipendeva dalle peculiarità dei titoli selezionati, che dovevano tutti essere espressi in euro, emessi nei Paesi più sviluppati e quotati nei loro mercati ufficiali, dovevano avere una bassa variabilità del proprio prezzo di mercato (cioè il rischio di una riduzione di valore inferiore all’1% su base settimanale) e un rating elevato. In relazione a questi titoli le banche aderenti al Consorzio “Patti Chiari” si obbligavano (pag. 23 e ss. Guida) a fornire ai propri clienti “una chiara informativa prima, durante e dopo le scelte di investimento: prima, perché gli operatori spiegano l’iniziativa allo sportello a tutti i clienti; durante, perché negli ordini di acquisto di titoli obbligazionari è indicato esplicitamente se il titolo fa parte dell’Elenco; dopo, perché verrai informato su eventuali variazioni”. Sempre nella Guida pratica le banche si impegnavano a tenere aggiornato quotidianamente l’elenco per verificare se un titolo avesse perso anche uno solo dei requisiti fondamentali, nonché ad informare l’investitore entro due giorni se l’aumento del rischio del titolo fosse stato rilevante, cioè nel caso in cui il titolo fosse passato direttamente dall’area del basso rischio ad un livello di rischio significativo (pag. 25 Guida). Sin dall’avvio dell’iniziativa, sulla modulistica sottoscritta dagli investitori in occasione della negoziazione di obbligazioni Lehman Brothers (ma anche di altre obbligazioni dell’Elenco, come le islandesi Glitnir, Kaupting e Lansbanki) è comparso un richiamo, più o meno esplicito, alle finalità informative dell’iniziativa Patti Chiari, a riprova che le obbligazioni dell’elenco dovevano costituire oggetto delle informazioni promesse nella Guida Pratica. Orbene, la giurisprudenza di merito è sempre più convinta che tale richiamo costituisca fonte di natura negoziale di un obbligo informativo, ulteriore rispetto a quelli normativi, di carattere continuativo, cioè che esuli dal momento della stipula e si dipani nel corso del rapporto fino a concretarsi nell’obbligo di avviso tempestivo (“entro due giorni” secondo la Guida pratica, “tempestivamente” nelle formule adottate sugli ordini di acquisto) in occasione di una significativa variazione del livello di rischio del titolo (cfr. Tribunale di Ariano Irpino, sentenza n. 465 del 18/11/2011; Tribunale di Milano, sentenza n. 3822 del 22/03/2011; Corte di Appello di Trieste, sentenza n. 275 dell’11/05/2012; Tribunale di Torino, sentenza n. 7674 del 21/12/2010) In favore di questa interpretazione depongono plurimi motivi: anzitutto, per ermeneutica, laddove la locuzione “se l’aumento del rischio è rilevante, cioè il titolo passa direttamente dall’area del basso rischio a un livello di rischio significativo, verrai informato entro due giorni” (cfr. Guida pratica, pag. 25) non lascia dubbi circa il dies a quo del decorso del termine dei due giorni, nulla dicendo riguardo alla cancellazione del titolo dall’elenco bensì menzionando il solo episodio del passaggio di livello di rischio, individuando così in questo evento il termine di partenza per il computo dei due giorni utili per la comunicazione; inoltre, per palese logica, posto che, se è vero che l’informativa deve pervenire all’investitore in tempo utile per porre in essere manovre di salvataggio (eventuale disinvestimento), è evidente che l’informativa intervenuta due giorni dopo la fuoriuscita del titolo dall’elenco potrebbe essere vana (come difatti lo è stato per il caso Lehman Brothers, essendo il titolo uscito dall’elenco solo contestualmente al suo default), mentre se pervenuta entro due giorni dalla sensibile variazione del livello di rischio potrebbe consentire all’investitore un maggiore margine di tempo per agire. Dall’inerzia della banca – rectius, dalla soccombenza nell’onere di provare l’adempimento dell’obbligo di tempestiva informazione – la Corte Leccese ha fatto derivare l’inadempimento, con condanna al risarcimento del danno patrimoniale in favore dell’investitore, da liquidarsi in base al valore delle obbligazioni al tempo in cui il loro deprezzamento fosse percepibile dall’intermediario e dunque al tempo dell’inadempiuto avviso. Per approfondimenti: • I gestori del risparmio non bancari ed i canali di distribuzione, a cura di Prosperetti Marco, Colavolpe Alessandro, Ipsoa, 2012. (Altalex, 21 gennaio 2014. Nota di Maria Serena Camboa e Antonio Tanza) / obbligazioni a basso rischio / rendimento patti chiari / buona fede / obbligo i nformativo / Antonio Tanza / Maria Serena Camboa / Corte di Appello di Lecce Sezione I Civile Sentenza 9 ottobre 2013, n. 787 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Lecce Sezione I civile–composta dai Signori: 1) Dott. Martello DELL'ANNA 2) Dott. Riccardo MELE 3) Dott. Anna Rita PASCA - Presidente est - Consigliere - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA N. D. nella causa civile in grado di appello iscritta al N. 924 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 2011 trattata e passata in decisione all’udienza collegiale del 22 maggio 2013 TRA ____________________ elettivamente domiciliato in Lecce alla Via Martiri d'Otranto n. 4, presso lo studio dell'avv. Antonio TANZA, dal quale è rappresentato difeso, unitamente e disgiuntamente con gli avv.ti Maria Serena CAMBOA e Pierfilippo CENTONZE, in virtù di procura a margine dell'originale dell'atto di appello. APPELLANTE E _____________________ con sede legale in Roma alla Via Alessandro Specchi n. 16, capogruppo del Gruppo Bancario ___________ società incorporante tra le altre, di ______________ S.p.A., per atto pubblico di fusione notaio Andrea Ganelli di Torino (rep. 19430/12674) • APPELLATA e APPELLANTE incid. All'udienza di precisazione delle conclusioni i Procuratori delle parti hanno cosi concluso: IL PROCURATORE DELL'APPELLANTE Voglia la Ecc.ma Corte: 1) in via principale accertare e dichiarare la nullità del contratto di negoziazione e dell'investimento in obbligazioni "Lehman" per complessivi nominali € 206.000,00 per violazione di norme imperative, ex artt. 21 e ss. D. Lgs. n. 58/98, artt. 26 e 28 Reg. Consob n. 11522 e 1418 c.c.; 2) in via subordinata accertare e dichiarare il grave inadempimento contrattuale da parte della banca per le omissioni informative perpetrate in violazione degli artt. 21 e ss. D. Lgs. N. 58/98, artt. 26 e 28 Reg. Consob n. 11522 e degli impegni assunti, e risolvere il contratto di negoziazione e tutti gli ordini di acquisto in lite; 3) conseguentemente ed in ogni caso, condannare Unicredit Banca di Roma S.p.A. alla restituzione delle somme perdute nell'investimento, per complessivi € 206.000,00 ovvero al risarcimento del danno subito, quantificato nel medesimo importo, ovvero in via subordinata al prezzo che l'investitore . avrebbe potuto ricavare vendendo titoli in suo possesso il giorno 13 settembre 2008 al-prezzo di 87,5257, pari ad €180.302,94, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del default (15.9.2008) al soddisfo; 4) condannare _______________ S.p.A. al risarcimento del danno esistenziale subito dall'attore, nell'ammontare che sarà determinato dal Tribunale secondo il suo equo apprezzamento; 5) infine condannare la convenuta ai pagamento di spese, diritti ed onorari di causa. Chiede C.T.U. finanziaria IL PROCURATORE DELL'APPELLATA Voglia l'Ecc.ma Corte: - dichiarare inammissibili e gradamente rigettare le domande proposte da ____________ con la citazione 17.7.2009, condannando l’attore al pagamento di spese e compensi del doppio grado. - in subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale dell'atto di appello, voglia determinare il dovuto tenendo conto delle cedole incassate dall'attore e contenendo il danno secondo quanto in narrativa, comunque dichiarando la responsabilità dell'attore nella causazione del danno e previa determinazione della percentuale di concorso ad essa riferibile in misura non inferiore al 50%, contenere conseguentemente la domanda risarcitoria secondo le rispettive sfere di responsabilità; - in caso di accoglimento anche parziale della domanda di nullità e/o risoluzione dei contratti e quindi di condanna della Banca alla restituzione anche parziale delle somme investite, ordinare all'appellante la restituzione dei titoli Lehman in favore della Banca con sua piena facoltà di disporre degli stessi e regolare le spese come di giustizia. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto 19. luglio 2009,____________ premesso di avere acquistato nel periodo 10 gennaio - 8 luglio 2005 presso la filiale di Lecce della __________ ( ora ____________S.p.A.) obbligazione "Lehman Brother” Holding Inc., espose che sin dal febbraio 2008 erano stati espressi “timori” per la sorte del titolo, poi ripresi dalla stampa italiana (“La repubblica”, articoli del 4 e 9 giugno 2008) e straniera nonché dai siti Internet, che avevano segnalato il downgrounding delle obbligazioni: segnalazione rivelatasi corretta, atteso che il 15 settembre 2008 fu dichiarato il fallimento della banca. Nel sottolineare che in violazione della "guida pratica Patti chiari" — promossa dall'ABI e diffusa (tra gli altri istituti di credito) anche da st~ — ancora nel luglio 2008 tale banca aveva attribuito alle obbligazioni in discorso un rating "investment grade" e fornito informazioni fuorvianti, soggiunse che solo con lettera 16 gennaio 2009 la banca lo aveva avvertito dell'ammissione nelle società del gruppo Lehman alle procedure concorsuali: informazioni queste che, attesa la tardività, gli aveva impedito ogni iniziativa per la rivendita delle obbligazioni di fatto, oramai "carta straccia". Riportata la normativa, che disciplinava gli obblighi dell'intermediario – segnatamente gli articoli 21, in tema di condotta, cui quegli era tenuto nei confronti del cliente-investitore e 23, in tema di onere probatorio, del T.U.F., e gli articoli 26 e 28 del Reg. Consob n.11522 del 1998, in tema di informazioni da acquisire da parte dell'intermediario e da fornire all'investitore - dedusse: A) la nullità del contratto per contrarietà alle citate norme imperative; B) l’inadempimento - con conseguente risoluzione del contratto - degli obblighi informativi da parte della banca, comprensivi di quello di rendere edotto l’investitore dell’andamento del titolo. Convenne, pertanto, ___________ Banca ___________ innanzi al Tribunal di Lecce sezione distaccata Campi Salentina – per sentire dichiarare la nullità ed in subordine la risoluzione del contratto per grave inadempimento con condanna della banca alla restituzione delle somma oltre appesami ed al risarcimento del danno "esistenziale". Ritualmente costituitosi, la convenuta: A), eccepì l’inammissibilità della domanda sul rilievo che tra le parti con scrittura 11 dicembre 2006, riferita espressamente al dossier titoli indicato dall'attore, era stata conclusa transazione avente ad oggetto "ogni controversia insorta, o insorgente", relative alle obbligazioni Lehman; B) dedusse l'inconfigurabilità della nullità per le ragioni esplicitate dalla S.C. nella pronuncia n. 26724 del 2007; C) asserì l'infondatezza dell'azione di risoluzione sul rilievo di avere adempiuto gli obblighi informativi, dell'assenza del nesso di causalità tra condotta da essa tenuta e danno e della imprevedibilità della "bancarotta" della banca emittente, inaspettatamente intervenuta a metà settembre del 2008; D) la limitazione dell'eventuale risarcimento ai sensi degli artt. 1225 e 1227 c.c.. Chiese in caso di accoglimento della domanda, la restituzione dei titoli. La causa, istruita con produzione documentale, fu decisa con sentenza 1l luglio 2011 n. 152, con la quale il giudice adito rigettò la domanda e compensò le spese processuali. Ritenne il primo giudice — aderendo all'eccezione sub A della convenuta — l’operatività della transazione. Avverso la pronuncia il _________ con atto 20-21 ottobre 2011 propose appello, resistito da _____________ S.p.A., che formulò, a sua volta, appello incidentale con comparsa di risposta 20 gennaio 2012. Precisate le conclusioni, la causa, all'udienza collegiale del 22 maggio 2013, fu riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle difese scritte. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di gravame, l'appellante principale assume che il Tribunale ha erroneamente "inquadrato" le domande proposte di nullità e di risoluzione del contratto, entrambe riguardanti — secondo i rispettivi profili dedotti – l'omissione di informazioni da parte dell'intermediario, successive alla transazione e concernenti l'aggravamento del, rischio, già percepibile nel febbraio del 2008 ma divenuto del tutto consistente nel settembre successivo, in violazione degli accordi contrattuali e della normativa in materia. Ne conseguiva che l'inadempimento fatto valere non poteva ritenersi "coperto" dalle reciproche rinunce, oggetto della transazione del 2006. Con il secondo motivo sostiene che il Tribunale ha mal governato l'art. 1965 c.c., giacché la transazione era intervenuta sui "danni derivanti da fatti già occorsi" in relazione ad un rapporto giuridico avente carattere di incertezza nell'opinione delle parti allorché la transazione stata conclusa: nella specie con il reclamo presentato - soggiunge - si era doluto "della minusvalenza a causa della negligenza della Banca nella negoziazione dei titoli" e non anche per omissione di informazioni sui titoli Lehman, peraltro neppure potenzialmente prevedibili. La censura, risultante dai due connessi motivi, fondata. Nell'atto transattivo dell'1l dicembre 2906 le parti "premettono" che con riguardo al dossier titoli era insorta tra loro "contestazione" circa "operazioni compiute" nella gestione di esso non condivisa dal ___________ nel reclamo presentato il precedente 14 marzo con richiesta di restituzione delle somme ivi indicate; l'atto - nel segnalare che nessuna delle parti intendeva riconoscere le ragioni dell'altra - prosegue nei senso della reciproca volontà "di chiudere bonariamente il contenzioso insorto". Viene, quindi, riportato il tenore dell'accordo: la banca "a saldo e stralcio" della pretesa del cliente versa a costui la somma di € 2.000,00; a sua volta il _________ "dichiara di rinunciare ad ogni pretesa ed azione comunque connessa ai rapporti citati in premessa... dovendosi ritenere ogni questione insorta o insorgenda risolta con la presente transazione". Com'è noto, per costante giurisprudenza operano per l'interpretazione del contratto di transazione le comuni regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., alla stregua delle quali non è seriamente contestabile che la transazione abbia definito il contenzioso insorto tra le parti sul reclamo presentato dal_________ che — non è contestato — aveva dato l'oggetto da lui indicato nel secondo motivo. In tal senso depongono: 1) la conferenza del contenzioso insorto alle lamentele formulate con il reclamo; 2) le posizioni assunte dalle parti quanto a dette lamentele, rispetto alle quali ciascuna escludeva di ammettere la fondatezza delle contrapposte ragioni; 3) la definizione — appunto in via transattiva — delle pretese sul rapporto "oggetto di contestazione"; 4) la rinuncia da parte del _________ ad ogni pretesa od azione connessa con il rapporto, definito con la transazione, risolutiva di "ogni questione insorta o insorgenda". La volontà delle parti, quale risultante dai rilievi testé svolti, si presenta chiaramente orientata a risolvere definitivamente una lite insorgenda, rispetto alla quale avevano opinioni difformi, sul "reclamo" avanzato dal in ordine ad operazioni effettuate dalla banca fino al 14 marzo 2006. Peraltro è pacifico in giurisprudenza che l'accordo transattivo ricomprenda l'oggetto del contendere, sul quale le parti si sono riproposta di negoziare, quindi la situazione giuridica esistente o presupposta da essi nel momento in cui la-transazione venne conclusa. Siffatto orientamento - dal quale non vi è ragione di discostarsi - è stato di recente confermato dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 82 del 2011, nella quale richiamata quella precedente n. 7999, del 2010, così si esprime: "del resto, sul piano generale, è risaputo che, affinché una transazione sia validamente compiuta, è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una res dubia, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza e, dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro (o anche meramente potenziale, nella prospettiva della possibile insorgenza di una controversia futura), i contraenti di facciano reciproche concessioni; peraltro, l'oggetto della transazione non è i1 rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendano eliminare mediante reciproche concessioni". Nella specie, l'unica lite insorta o insorgenda è quella originata dal reclamo: in disparte il rilievo che la soluzione proposta dall’appellata si appalesa totalmente incoerente e contraria ai canoni di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto, in quanto per rendere legittimo ogni inadempimento successivo alla transazione in permanenza del rapporto e degli obblighi da questo scaturenti. Con il terzo motivo (l^ parte) di gravame, deduce il mancato assolvimento da parte della banca degli obblighi informativi. In proposito rileva che già nel febbraio del 2008 si era registrato il deprezzamento delle obbligazioni Lehman, poi accentuatasi progressivamente fino al fallimento della banca emittente, avvenuto il 15 settembre 2008. Nel ribadire la ricostruzione della vicenda effettuata in prime cure (e non valutata dal Tribunale) segnala che la stampa (il quotidiano "La Repubblica") aveva evidenziato in due occasioni nel giugno del 2008 la retrocessione del rating da parte di Standars e Poor's, il dimezzamento di capitalizzazioni di borsa nel giro di un anno, le perdite in circa 23 miliardi di dollari, il precipitare delle obbligazione del 19%: in quel periodo i mass media – italiani e stranieri – parlarono del rischio di insolvenza della Lehman Brothers e paventarono che neppure il governo avrebbe potuto salvarla. Sottolinea, quindi, l'inadempimento della banca intermediaria che, in violazione della normativa in materia (T.U.F. e Reg. Consob), non lo aveva informato dell'aggravamento del rischio, come inoltre previsto dal regolamento negoziale, che le imponeva (guida pratica "Patti Chiari", elaborata dall'ABI, cui aveva aderito circa 1'84% del sistema creditizio italiano) di segnalare all'investitore "prima, durante e dopo le scelte di investimento" l'aumento di rischio “significativo": tanto, più che su tutti gli ordini di acquisto compariva la dicitura "sono stato informato dell'esistenza dell'Elenco delle obbligazioni a basso rischio – rendimento “Patti Chiari” e delle sue finalità". Ne conseguiva – ad avviso dell'appellante – che. a fronte delle oscillazioni di quotazione delle obbligazioni . e della condizione dell'emittente, l'intermediario avrebbe dovuto dargli le prescritte informazioni sul loro andamento, laddove nella specie solo in data 16 gennaio 2009 era stato reso edotto del dissesto intervenuto. Sulla base del ragionamento svolto, l'appellante insiste, nella declaratoria invocata in prime cure: nullità del contratto; in subordine risoluzione per inadempimento; restituzione delle somme o – in ulteriore subordine - risarcimento del danno in € 180.302, 94 (pari al ricavo ottenibile dalla vendita delle obbligazioni) oltre - in tutti i casi - accessori e risarcimento del danno esistenziale. La domanda, quanto alla declaratoria di nullità del contratto, è infondata. Come già dà questa Corte ritenuto in altre pronunce, va osservato che la S.C. con la sentenza n. 26724 e n. 26725 del 2007, entrambe rese a Sezioni Unite, confermando il precedente orientamento, qui condiviso, ha affermato il principio secondo cui in tema di nullità del contratto per contrarietà 'a norme imperative in difetto di espresse previsioni in tal senso (c.d. nullità virtuale) – deve trovare conferma la tradizionale impostazione, in base alla quale, ove non altrimenti stabilito, dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, mentre la violazione di norme anch'esse imperative riguardanti il comportamento dei contraenti può essere fonte di responsabilità diverse da far valere con altri rimedi. Da qui l'affermazione del principio di diritto in subiecta materia: "dalla violazione dei doveri di comportamento che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento discende — la responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, per le violazioni in sede di formazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero la responsabilità contrattuale, con relativo obbligo risarcitorio ed eventuale risoluzione del precedente contratto, per le violazioni riguardanti le operazioni di investimento e disinvestimento compiute in esecuzione del contratto di intermediazione finanziaria in questione, ma non la nullità di quest'ultimo o dei singoli atti negoziali conseguenti, in difetto di previsione normativa in tal senso". Deve, dunque, concludersi sul punto che l'eventuale violazione dei doveri imposti dalle norme richiamate non può dar luogo — come ritenuto nella sentenza impugnata — a nullità del contratto; ma a responsabilità precontrattuale o alla risoluzione del contratto per violazione degli obblighi informativi. Passando alla seconda domanda, ritiene la Corte di precisare, innanzi tutto, il regime dell'onere probatorio in subiecta materia e nei contratti in genere, in linea con il proprio orientamento seguito in vicende simili. Com'è noto, "in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della • controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento... Anche nel caso 'in cui sia dedotto non l’inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza, dell'adempimento (per violazione dei doveri accessori, come quello di informazione ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza...), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento”: il principio affermato , dalle S.U. nella sentenza n. 13533 del 2001 e di poi seguito dalle sezioni semplici e dalla giurisprudenza di merito, opera sul piano generale e – per quel che qui interessa –in materia di intermediazione finanziaria, nella quale è positivizzato dall'art. 23 3'.1.1.E., in base al quale – va sottolineato – l'obbligo di adempiere gli obblighi informativi discende direttamente alla norma, quindi è di fonte legale. E', pertanto, indiscutibile che l'onere probatorio di avere adempiuto gli obblighi informativi e di avere tenuto una condotta ineccepibile grava – in relazione all'azione, esperita dall'attrice (risoluzione del contratto e risarcimento del danno sull'intermediario) La normativa di settore – ampiamente richiamata dall'appellante – disciplina in modo puntuale gli obblighi, cui l'intermediario è tenuto nei confronti dell'investitore. L'art. 21 T.U.F. prevede che nelle attività di investimento poste in essere in esecuzione del contratto quadro i soggetti abilitati devono comportarsi con "diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse del cliente e per l'integrità dei mercati" e devono sempre "acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati". Tali obblighi sono ulteriormente ribaditi nel reg. CONSOB n. 11522/98 che distingue tra le informazioni che la banca deve acquisire dall'investitore (per lo più nella fase preliminare alla conclusione del contratto quadro), dalle informazioni che la banca deve fornire al cliente nella fase di esecuzione del contratto quadro, informazioni che sono funzionali a mettere il cliente in condizioni di compiere un investimento consapevole. L’art. 28 lett. a) del predetto regolamento dispone infatti che devono essere richieste all'investitore notizie circa la sua esperienza nel mercato degli strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, gli obiettivi che è interessato a raggiungere con l'investimento, il grado di rischio che è disposto a correre e se dunque sia interessato ad un investimento a basso rischio con ridotti margini di guadagno, ovvero sia disposto all'acquisto di prodotti finanziari rispettò ai quali si prospetti un utile maggiore a fronte di una minore certezza che tale utile si realizzi. Il comma 2 dello stesso articolo si preoccupa di garantire la corretta esecuzione del contratto quadro e vieta agli operatori di effettuare operazioni o prestare il servizio senza avere prima informato l'investitore in modo adeguato "sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio". Il livello di adeguatezza preteso è fissato dal parametro indicato nella stessa norma: le informazioni fornite devono essere tali da consentire di "effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento". La disciplina richiamata crea una evidente asimmetria tra le parti del rapporto che si giustifica in ragione del particolare oggetto del rapporto contrattuale. Chi infatti propone l'investimento o è destinatario di richieste di investimento è un soggetto che ha una specifica competenza e professionalità nella materia dei servizi finanziari, competenza che nella quasi totalità dei casi non ha chi si affida all'operatore per far fruttare i propri risparmi. Inoltre l'oggetto del contratto — i prodotti finanziari — presenta per la sua stessa natura, in ogni caso, aspetti di rischio che possono essere diversamente grad che costituiscono una prospettiva costante, ben potendo anche un prodotto finanziario considerato a basso livello di rischio, rivelarsi improduttivo degli effetti desiderati e sperati. Se, dunque, l'aleatorietà dell'operazione di investimento non può essere eliminata, il legislatore ha voluto che, chi acquista prodotti finanziari abbia il maggior numero di informazioni possibili in modo da poter valutare in modo del tutto trasparente la convenienza dell'acquisto rispetto alle sue personali prospettive. Nella specie, come anche sotto questo profilo, osservato dall'appellante, l'adempimento degli obblighi informativi in ordine all'andamento delle obbligazioni, oltre ad essere sancito in via generale dalla normativa citata e trovare riscontro nel canone di buona fede nella esecuzione del contratto, ha, anche, una base negoziale. In tutti gli ordini di acquisto vi è il rinvio in ordine ai titoli in discorso - considerati a basso rischio e che, come tali, valevano a caratterizzare un particolare tipo di investitore, non incline a correre l'alea dell'elevato rendimento, insito in un prodotto rischioso - ai c.d. "patti chiari": opuscolo questo (allegato dall'attore) che a fronte del prodotto "a basso rischio" e, correlativamente, "a basso rendimento" enuclea tutta una serie di obblighi , che attingono le banche - tra le quali __________- in ordine alla qualità di informazioni da fornire ai clienti. In particolare per quel che interessa, __________ si era impegnato a fornire notizie sui titoli prima dell’investimento e sul loro andamento “durante e dopo” nonché a segnalare variazioni con riguardo sia ad un aumento modesto del rischio (“al primo estratto conto”) sia ad un aumento "significativo" (entro due giorni) qualora il titolo fosse passato a quel livello "dall'area del basso rischio". Nella vicenda in esame l'intermediaria ha informato il _________ della situazione di dissesto della banca emittente solo con nota 16 gennaio 2009 dopo il dichiarato fallimento. Reputa, pertanto, la Corte, provato l'inadempimento dell'obbligo di informazione continuativa assunto da _______________ verso __________. Peraltro, la causa va istruita come da separata ordinanza. P.T.M. LA CORTE Non definitivamente pronunciando, cosi provvede: A) accoglie i primi due motivi dell'appello principale, proposto da ________________. B) in relazione al terzo motivo: 1) rigetta le domande di nullità del contratto; 2) dichiara l'inadempimento di _________________S.p.A. Spese al definitivo. Lecce, 9 ottobre 2013 IL PRESIDENTE EST. Dr. Marcello Dell’Anna ( da www.altalex.it )