CHI SIAMO
L’Associazione Culturale Zenit nasce come comunità militante già nel 2003 costituendosi poi ufficialmente nel dicembre del 2005. Le nostre posizioni
non possono essere etichettate nelle classiche categorie
di destra o sinistra. Abbiamo radici culturali che si
rifanno al fascismo ma non per questo possiamo accettare di essere storicizzati o emarginati dalla storia.
Noi vogliamo confrontarci con il presente, analizzare i fatti e trarne da esse le indicazioni valide e necessarie per costruire il futuro. Il nostro motto è sempre
stato Filtra la Verità e il nostro simbolo è una maschera antigas perchè crediamo che attraverso queste categorie create ad arte e attraverso il caos creato
dalla modernità il sistema allontani l’uomo dal vero
e dal reale. Quindi il motto Filtra la Verità vuole
esprimere in modo diretto e provocatorio il nostro
approccio critico verso i mass media ma il nostro
pensiero politico non si ferma qui, ovviamente noi di
Zenit non siamo solo una Associazione Culturale che
si occupa di controinformazione ma siamo soprattutto una comunità militante e cioè un nucleo di persone che persegue la formazione umana dei propri
membri attraverso appunto l’impegno comunitario
e militante che mostrando uno spiccato interesse verso i temi dell’approfondimento culturale e dell’informazione determina il proprio agire politico.
I nostri punti cardini sono i seguenti:
-noi crediamo che l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Patria debbano risultare l’obiettivo essenziale della politica estera del nostro paese;
-crediamo nella Tradizione, nella concreata realizzazione di una comunità europea e rifiutiamo la
subordinazione di quest’ultima alle subculture disumanizzanti quali mondialismo, plutocrazia e nichilismo;
-crediamo nella solidarietà, ogni qual volta si pre-
senti il bisogno di un tangibile aiuto alla comunità e
verso tutti quei popoli che vedono stringersi intorno a
sè la morsa livellante dell’imperialismo e che lottano
per la propria sovranità.
La nostra caratteristica principale è sicuramente
quella di non voler essere il solito gruppo politico che
abbia obiettivi di egemonia o che abbia come scopo
la sola mera aggregazione fine a se stessa. Noi vogliamo formare ragazzi e renderli liberi dalle logiche
della democrazia occidentalista, noi vogliamo che i
ragazzi possano aspirare a trasformare la propria
rabbia, la propria suggestione nei confronti di simboli e tradizioni in sentimenti costruttivi, perchè a noi
piace la sostanza e della superficialità non sappiamo
che farne. Noi vogliamo che i ragazzi e gli uomini
che si avvicinano abbiano voglia di sapere, approfondire perchè solo respirando liberamente si può
diventare soldati addestrati, perchè per noi non esiste
l’agire senza il pensiero. Il nostro operato di militanti politici è quindi riscoprire la gioia di donarsi e
di metterci a disposizione di tutti coloro che sono stufi
di accettare la realtà che ci viene preconfezionata dal
sistema attraverso la manipolazione delle informazioni e della cultura. Per questo motivo quindi il nostro motto è FILTRA LA VERITA’ e invitiamo
anche voi ad indossare come noi le maschere antigas
per resistere ai gas omologanti di questa coatica società moderna che sta allontanando sempre più l’uomo dal vero e dal reale.
IL MARTELLO
Dopo una breve pausa di riflessione abbiamo deciso
di riprendere a martellare perchè Zenit senza il suo
Martello non poteva continuare la sua opera di controinformazione, perchè Zenit senza il suo Martello
era orfano di una parte importante del suo operato
che in passato lo aveva caratterizzato per la serietà e
dedizione con cui chi prima di noi lo aveva ideato e
curato rendendoci orgogliosi del nostro disinteressato
approccio alla militanza politica. Il Martello allora
ritorna per fare da megafono alle nostre ambizioni e
al nostro sano modo di fare politica e allora ecco che
ritorna forte in noi quel monito che abbiamo fatto
nostro attraverso la locuzione latina Gutta cavat lapidem. Questa frase latina resta sempre la più adatta per descrivere il nostro pensiero e agire politico,
la paternità è da ricercare nel poeta Ovidio, sebbene
ripresa e riadattata anche in prosa da diversi autori
fino in età medievale, è la formula dialettica che abbiamo designato ad emblema del nostro organo di
diffusione.
Tre parole che, nella loro inflessibile semplicità, possiedono una forza intrinseca che può essere sprigionata solo attraverso la perseveranza della lotta, così
rendendo fede alla cultura delle idee che diventano
azione. Lapidem, la pietra, dall’aspetto fermo, incrollabile, apparentemente insormontabile da ogni
agente esterno, sempre avrà ragione di chi, soggetto al richiamo dell’istintività, tenterà di scalfirne
la massiccia fermezza con un gesto estemporaneo,
violento e chiassoso. Gutta, la goccia, trova la sua
forza nella volontà di dominare ogni vezzo ad abbandonarsi in un disordinato ed inconcludente getto.
Al contrario, a renderla efficace è la sua capacità di
riconoscere la ponderatezza e la costanza quali virtù.
Il gesto ritmico, scandito dal suono basso e ripetitivo che ne sancisce la monotona caduta, è il simbolo
della sua vittoria su di un nemico che non può vincere in altro modo, se non col suo continuo stillicidio.
E’ dunque solo attraverso questa azione costante e
perfettamente coerente che la goccia potrà perforare la pietra (gutta cavat lapidem, appunto). Il
tempo sarà garante della bontà della sua meticolosa
azione, inosservata dallo sguardo distratto dei suoi
contemporanei, eppure fieramente implacabile nel
perseguire il proprio obiettivo. Nella sensibilità dei
nostri avi, la dimostrazione che la natura custodisce
ancestrali riferimenti dai quali poter trarre ispirazione. Le coscienze, oggi sopite dall’intossicazione e
dall’alienazione dei media di massa e della società dei
consumi, potranno essere scavate per mezzo del lavoro durevole dell’informazione libera e dall’esempio
del sacrificio e della militanza.
Da Tripoli a Tobruk, lo Stato che non c’è
di Mattia de Persio
lo scoppio della rivolta contro Gheddafi. Nel febbraio
2014, Haftar annunciò in un discorso televisivo che il
Governo Libico era stato sospeso ma il suo proclama
fu subito smentito dall’ex Primo ministro Alì Zaydan.
Destinato a un evitabile declino, il generale libico torna ben presto agli onori delle cronache internazionali
lanciando una vasta offensiva contro le milizie fondamentaliste a Bengasi.
La nuova avanzata militare da parte delle forze governative di Tobruk sta mettendo a dura prova i negoziati
ancora in corso tra le due fazioni libiche in Marocco.
L’ONU ha condannato la violazione del cessate il fuoco che era in vigore tra le due parti ma il governo di
Tripoli è sempre più messo alle strette, non soltanto
militarmente dinanzi al più efficiente ed organizzato
esercito governativo ma anche per la forte interferenza internazionale.
Nel grande disegno di Haftar volto alla “liberazione
di Tripoli” non si può trascurare il ruolo sempre più
l’egida delle Nazioni Unite, gli incontri tra governo decisivo di Egitto e Arabia Saudita nel delicato scacufficiale libico, con sede a Tobruk, riconosciuto dal- chiere libico.
la comunità internazionale e quello auto-proclamato
guidato dai Fratelli Musulmani, con sede a Tripoli. L’o- Il generale-presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi
biettivo? Arrivare alla proclamazione di un governo di non ha fatto mancare il proprio sostegno militare e
unità nazionale nel “non Stato” libico che riesca a fare logistico al governo di Tobruk con numerosi raid aefronte all’avanzata dello Stato Islamico. Siamo quindi rei sulle postazioni islamiste, ma ora può contare a
di fronte a uno Stato che non c’è, o per semplificare, sua volta anche dell’appoggio politico ed economico
uno Stato nello Stato, dove il vuoto politico lasciato dell’Arabia Saudita che attualmente guida la coaliziodalla caduta di Gheddafi ha lasciato spazio a traffican- ne anti- Isis impegnata tra Iraq e Siria.
ti di uomini, gruppi armati filiali di al Qaeda e allo
Stato Islamico, salafiti, mercenari ed ex generali pronti In conseguenza di ciò, l’Egitto potrebbe guidare una
a vendersi al miglior offerente. E’ questo il più grande coalizione parallela anti-Isis ed estenderla alle aree
fallimento democratico in salsa occidentale a poche del Maghreb dove i jihadisti stanno intensificando i
miglia dalle nostre coste.
loro attacchi con l’intento di destabilizzare i precari
governi tunisini e algerini. In questo scenario il goTuttavia, dove la diplomazia si arrende alla logica della verno illegittimo di Tripoli guidato da Omar al-Hassi
forza e a una resa dei conti che non prevede compro- potrebbe essere la vittima sacrificale in una prossima
messi ma accetta solo vincitori e vinti, l’ago della bi- Libia stabilizzata e saldamente in mano a forze laiche.
lancia sembra pendere dalla parte del governo di Tobruk soprattutto grazie alla rapida ascesa del generale
Haftar, nominato lo scorso 25 febbraio ministro della
Difesa e Capo di Stato Maggiore del legittimo governo cirenaico. A detta di noti analisti, Haftar un personaggio dal passato poco trasparente ma che riveste ad
oggi un ruolo non di poco conto. Il generale, 71 anni,
ha partecipato al colpo di Stato del 1969 che portò
al potere Muammar Gheddafi. Durante la guerra fra
Libia e Ciad Haftar viene sconfessato dal Colonnello.
Liberato dagli Stati Uniti i quali gli concedono asilo
politico rientra in Libia nel marzo 2011, poco dopo
Lo scorso 5 marzo sono iniziati in Marocco, sotto
Yemen, crocevia di ambizioni espansionistiche
e Jihad
ti, che hanno preso il controllo del palazzi governativi
nella capitale Sana’a.
Tuttavia, non c’è stato alcun vero e proprio colpo di
stato poiché si sono limitati a pretendere un radicale
cambio della Costituzione per dare più diritti agli sciiti nel paese.
E’ indubbio che dietro gli Houti ci sia l’Iran e il recente rovesciamento dell’ex presidente yemenita Mansour Hadi, ha consentito all’Iran di avere il controllo
sull’entrata al Canale di Suez. Per Teheran significherebbe avere uno Stato satellite alle spalle del rivale saudita, nell’epicentro del commercio globale, a ridosso
delle città sante La Mecca e Medina.
Potrebbe essere un risultato di portata storica per l’Iran che però implica uno strenuo sostegno agli alleati
Houti. Uno scenario che però ha messo in allarme i
principali paesi della Lega Araba (Arabia Saudita ed
Emirati Arabi in primis) che non possono tollerare
l’affermazione di un governo sciita e di uno stato sateldi Mattia de Persio
lite dell’Iran nella penisola araba. I piani d’intervento
in Yemen da parte dell’Arabia Saudita erano già pronti
lla luce dei recenti accordi di Losanna sulla que- da tempo. Gli scontri di frontiera tra esercito saudita e
stione del nucleare iraniano è ormai palese che la logi- Houti si susseguono dal 2009, ma la recente e decisiva
ca dello scontro di civiltà tra occidente e islam, tanto offensiva sciita in Yemen ha dato il tanto atteso pretepaventata dallo stesso occidente, se non esisteva pri- sto al governo di Riyad di intervenire.
ma ora non regge più. Bensì, esiste una lotta intestina
religiosa all’interno del mondo islamico contornata da Lo scorso 26 marzo la coalizione araba ha dato il via
interessi globali e dove ognuno degli attori occupa un all’operazione “Decisive Storm”, ma Arabia Saudita
ruolo chiave nello scacchiere. Per capire le delicate lo- ed Emirati Arabi non sono gli unici due protagonisti
giche mediorientali analizzare l’attuale caso yemenita della coalizione. Anche il governo de Il Cairo guidato
può risultare importante.
dal generale-presidente al-Sisi ha offerto il sostegno
militare dell’Egitto alla coalizione. L’intento è duplice:
La posizione strategica dello Yemen sul Golfo di Aden il rischio di compromettere la navigazione verso Suez
e a ridosso del Corno d’Africa è sempre stata di non e il controllo del Golfo di Aden è troppo grosso. Se l’Epoco conto per le potenze straniere. Prima i turchi e gitto non è rimasto a guardare, la Turchia di Erdogan
poi gli inglesi hanno sempre attribuito estrema impor- ha prontamente garantito sostegno logistico alla cotanza al piccolo paese posto all’estremità meridionale alizione puntando ad assumere un ruolo importante
della Penisola araba. Paese povero e arcaico (il più po- nello schieramento sunnita anti-Teheran ed estendere
vero di tutta l’area), poco sviluppato a livello sociale la propria influenza in Medio Oriente. L’obiettivo della
e rigidamente chiuso politicamente, dai primi anni coalizione araba da qui in poi sarà di re-insediare il
2000 è continuamente posto sotto attacco da cellule vecchio governo sunnita e filo-saudita ad Aden, nel
jihadiste legate ad Al-Qaeda, e dal 2011 allo scoppio sud del paese, ma ciò non esclude che nel nord possa
della rivoluzione anti-governativa hanno intensificato formarsi un governo sciita e filo-iraniano.
gli attacchi. Oltre alla forte presenza jihadista, il governo yemenita ha dovuto far fronte alle insurrezioni
sciite nel nord e a gruppi separatisti nel sud.
A
Il Paese, a maggioranza sunnita, lo scorso 19 gennaio
è stato oggetto di un golpe da parte degli Houthi scii-
Le Pen, Sarkozy, Salvini, Berlusconi, il derby
si gioca a destra
di Johannes Balzano
C
i si avvicina a colpi di Round al grande appuntamento delle Presidenziali Francesi nel 2017 e dopo
il turno delle Europee nelle ultime due settimane si
è giocato quello delle amministrative, che ha sancito
il tramonto del bipolarismo classico francese e l’affermazione, almeno in percentuale, del Front National. I
numeri la Marine Le Pen ce li ha tutti dalla sua parte,
ma il sistema politico-elettorale le è avverso, plasmato
e costruito sulle esigenze dell’UMP e dei Socialisti. Ed
è per questo, che nonostante ancora una volta diventi
primo partito confermando su per giù le percentuali
di un anno fa, la dama della destra europea non ottiene neanche il governo di uno dei dipartimenti francesi, neanche quello di Avignone in cui era candidata la
nipote Marion Marechal.
La Le Pen intanto, che ha affossato la sinistra storica
francese, si trova un nemico più duro da battere davanti. Infatti dopo aver liquidato Hollande, incapace
di dare risposte sulla problematica sociale, tematica ormai di prima importanza a Parigi e dintorni, il
Front National ha visto una fase di stallo nei consensi,
dovuto al ritorno in politica di Nicolas Sarkozy, abile
a trovare un accordo con i moderati dell’UDI, piccola
forza politica di centro-destra, grazie alla quale da una
parte ha battuto quasi ovunque la gauche, e dall’altra
blocca i frontisti che comunque passano a cento rappresentanti, mentre prima erano praticamente a zero.
Una vittoria a metà, una conferma senza rilancio, ma
un tesoro di voti che sembra ormai saldato e bloccato,
dal quale ripartire per sfondare nell’area dei moderati, che al contrario dell’Italia, è forte e sa difendersi,
potendo puntare sul ritorno di “Super Sarko”. Non un
compito facile ma forse in Francia più fattibile che in
Italia, nonostante un rapporto di forze diverso, dove
Marine Le Pen può contare sulla sua forte personalità
e sulla stima che riscuote tra tutti i francesi.
In Italia il ciclone Salviniano che aspira ad arrivare alle
percentuali del Fronte francese, ha altre gatte da pelare, in particolare due. Prima su tutte quella della transizione di un partito autonomista, federalista e a tratti
indipendentista, ad un soggetto nazionale forte e riconosciuto, magari non ad personam. Secondo la situazione politica italiana è totalmente diversa da quella
francese: la sinistra ha percentuali che sfiorano il 40%,
mentre la destra moderata rischia di sparire nel nulla,
causa un declino inesorabile da quando Renzi è Primo
Ministro. L’obiettivo di Salvini è quindi chiaro, prendersi il l’elettorato moderato, auspicando il tramonto
definitivo di Silvio Berlusconi. Ma proprio questo tramonto ancora non sembra arrivato, in molti invocano
il ritorno di Silvio sulle scene politiche, a partire dalla
A sorridere quindi è Sarkozy che strappa 28 diparti- Sinistra, che vede in lui un argine al fenomeno Salvini,
menti al sempre più cupo Holland che sembra aver argine che può rompersi nel caso Salvini stesso rimadelegato le sue sconfitte elettorali al povero Valls, an- nesse come unico punto di riferimento per la destra
cora una volta costretto ad una conferenza stampa da italiana. Tale pressione che potrebbe arrivare da Forperdente dopo quella delle Europee e ancora una volta za Italia si percepisce già in quelle regioni dove si sta
costretto a giocare la parte del perdente felice, congra- formando il cartello Lega-FI per le elezioni. Quanto
tulandosi con Sarkozy e con tutto il fronte Repubbli- pesa Forza Italia nelle coalizioni elettorali? Quanto è
cano per aver impedito alla Marine Le Pen di ottenere indispensabile per giungere al governo delle regioni?
un dipartimento. Anche il meno interessato alla vita
politica della Francia capisce che la tomba dei sociali- Francia e Italia si trovano quindi in una situazione sisti è aperta e aspetta soltanto il funerale politico della mile politicamente, con la forte differenza che la coalisinistra francese, che probabilmente avverrà proprio zione Le Pen-Sarkozy è impossibile e anzi tra di loro si
nel 2017.
giocherà lo scontro per l’Eliseo, mentre in Italia la coalizione di centro-destra sembra obbligata per la Lega
in molti territori, cosa che però, da qui al 2018, può
cambiare bruscamente. Destra contro Destra direbbe
qualcuno, o Moderati contro Estremisti, intanto però
sia in Francia che in Italia soprattutto, la sinistra governerà un altro po’ e le compagini a destra possono
prepararsi allo scontro elettorale.
Nicola Bombacci: il Socialista intransigente
di Cristiano Ruzzi
Nato a Civitella di Romagna il 24 ottobre 1879, ro-
magnolo come Mussolini, all’età di sette anni Nicola
Bombacci si trasferisce con la famiglia a Meldola dove
entra in seminario ma ne esce nel 1900 per motivi di
salute. Nel 1904 acquisisce la licenza per l’insegnamento elementare, ottenendo l’incarico di maestro prima
in provincia di Udine, poi a Baricella di Bologna ed
infine in provincia di Reggio Emilia. Il fatto di essere
nato in una terra, la Romagna, dove molte famiglie vivevano in povertà, un tasso di criminalità molto alto,
ed il fatto che i ceti popolari venissero difesi da esponenti di spicco del Socialismo fece sicché nel 1903, ancora studente, Bombacci si iscrivesse al Partito Socialista. Nonostante la sua intenzione di educare le masse
di lavoratori e di contadini attraverso l’insegnamento,
nel 1909 abbandona il mestiere d’insegnante, avviando così la sua carriera politica all’interno del PSI. Prima a Piacenza a capo della locale Camera del lavoro,
fra il 1909 ed il 1910, poi l’incarico di segretario della
Camera del lavoro di Crema. Il contatto in tale città
con la realtà sociale Lombarda, più arretrata rispetto
ad altre zone romagnole, gli fece assumere posizioni
di critica nei confronti dell’operato degli allora leader
riformisti Bissolati e Bonomi. Nel maggio del 1910, al
suo ritorno in Romagna, cominciò a dirigere la Camera del lavoro di Cesena ed il periodico “Il Cuneo”. Nei
suoi articoli emerse una linea intransigente analoga
a quella dell’allora Mussolini socialista. Nel 1911 viene eletto nel consiglio nazionale della CGDL ma solo
l’anno dopo egli comincerà ad avere un ruolo di prima piano nella scena politica e nazionale: occupando
un ruolo di primo piano nella Federazione socialista
provinciale modenese e direttore del periodico socialista “Il Domani”, Bombacci si contraddistinse per la
fermezza e la tenacia con cui porta avanti le sue lotte politiche e sociali facendo in modo che gli venisse
attribuito il soprannome di “Kaiser di Modena”. Dal
giornale “Il Domani” criticò apertamente la vecchia
guardia riformista del Partito, portando avanti la sua
linea politica che aveva sviluppato quando dirigeva il
giornale di Cesena, tant’è vero che il 29 Agosto scrisse chiaramente sul “Domani”: “Meglio la solitudine
ideale che fortifica, piuttosto che i connubi degenerati
che sfibrano”.
L’espulsione dei riformisti Bissolati e Bonomi segnò il
successo delle forze estreme della sinistra, di cui Bombacci diventava lentamente una delle voci più autorevoli. Allo scoppio della Grande Guerra Bombacci si
allineò con quella del Partito Socialista riassunta dallo
slogan “né aderire, né sabotare” mantenendo tuttavia,
anche nel neutralismo, posizioni estremiste (venne
denunciato dai Carabinieri di Camposanto (Modena)
per aver insultato, in un discorso privato ma a voce
alta, il governo ed il Re). All’espulsione di Mussolini
dal partito socialista e da direttore de “L’Avanti”, nonostante le posizioni divergenti, solidarizzò con il suo
corregionale di Predappio mostrandosi contrario alla
decisione di rimuoverlo dal giornale socialista. L’entrata in guerra dell’Italia, la crisi dei Partiti Socialisti
Europei che, ad eccezione di quello Italiano, votarono
per la guerra provocando così la fine della II Internazionale fa chiudere Bombacci in un lungo silenzio che
farà sentire di nuovo la sua voce attraverso gli auguri
di guarigione ad un Mussolini ferito da una scheggia
di bomba a mano sul fronte, attraverso le pagine del
“Domani”. Il 1917 è l’anno cruciale non solo perché
nello scacchiere della guerra entrano in campo gli Stati Uniti ma perché, dall’altra parte d’Europa, avviene
la rivoluzione d’Ottobre di cui Bombacci ben presto
se ne farà difensore. Allo stesso tempo, dopo aver partecipato al convegno nazionale del PSI, aderisce alla
corrente “massimalista” divenne ben presto uno de-
gli interpreti più agguerriti. Nel luglio di quell’anno,
a Firenze, Bombacci convocò una riunione segreta di
pochi massimalisti (fra i quali Armando Bordiga, Egidio Gennari ed Antonio Gramsci) nel corso della quale, oltre a prendere decisioni che avrebbero portato
Bombacci a passare da posizioni socialiste a leniniste
– rivoluzionarie, venne formato il gruppo che avrebbe
dato vita, a Livorno, al Partito Comunista d’Italia. Durante gli anni che intercorrono tra il 1918 ed il 1919
Bombacci si fece sempre più agguerrito difensore della rivoluzione d’Ottobre, cercando allo stesso di tempo di presentare tale visione al Partito e, addirittura,
proponendo al Congresso di Bologna l’importazione
del simbolo della falce e martello sulla sua bandiera.
mosso in maniera più avanzata rispetto agli altri Paesi per ristabilire i rapporti diplomatici – commerciali
con la Russia, ma che si riconoscesse lo Stato Sovietico
da parte Italiana. Il suo discorso, sebbene puramente
economico, provocò dure critiche non solo dai fascisti
ma anche dai suoi compagni di partito che, pur non
espellendolo dal Partito, esclusero il suo nome dalle
liste elettorali per l’elezione del 1924. Bombacci, che
era uno dei pochi a non aver una propria corrente
politica, rimase così sempre più isolato e ciò si esprime chiaramente in una lettera indirizzata a Zinov’ev,
uno dei principali dirigenti bolscevichi: “Ancora oggi
il partito mi fa apparire agli occhi dell’opinione pubblica come uno dei massimi dirigenti mentre in realtà
mi tiene all’oscuro di ogni decisione … E’ un tentativo
Il Biennio Rosso dovuto agli scioperi ed alle occupa- di assassinio politico”. La diffidenza crescente nei conzioni delle fabbriche che imperversavano in tutta Italia fronti dei dirigenti comunisti si tradusse, alla fine, con
sembrava che dessero ragione al romagnolo di Civitel- l’espulsione dal Partito Comunista, quando ormai la
la tant’è vero che redasse i principi generali della co- maggior parte dei dirigenti si trovava in prigione, al
stituzione dei Soviet, al congresso di Firenze del 1920. confino, od in esilio.
Tali principi provocarono reazioni in maggior parte
scettiche e negative dagli esponenti di spicco del Par- L’AVVICINAMENTO INESORABILE VERSO IL
tito. I tentativi di avvicinamento alla Russia Sovietica FASCISMO – ALLA RICERCA DI UNA TERZA
fatti da Bombacci non si placarono: a luglio partecipò VIA
aI II Congresso della Terza Internazionale fondata a
Mosca un anno prima. Le decisioni prese durante i la- L’ascesa di Stalin alla morte di Lenin da un lato ed i
vori (la modifica dei nomi dei partiti in quello comu- problemi di salute del figlio Vladimiro dall’altro funista, la difesa in tutte le sedi possibili della causa della rono i due presupposti che fecero avvicinare gradualRussia Sovietica, l’ispirazione agli ideali bolscevichi) mente Bombacci al fascismo. Dopo aver chiesto aiuto
provocò una frattura all’interno del Partito Socialista ai suoi ex compagni di lotta (dai quali ottenne soltanto
Italiano che culminò con il congresso di Livorno che un secco rifiuto) la moglie Erissene, al contrario, cersi tenne dal 14 al 21 Gennaio del 1921 quando tutta cò l’aiuto attraverso l’ex compagno di lotta Mussolini
l’ala comunista si scisse e fondò il Partito Comunista il quale, prima attraverso il suo segretario personale
d’Italia. La creazione del PdCI fu però il finale di una Di Feo e poi agendo direttamente di persona, permiscena teatrale che si stava concludendo, con la fine se che Vladimiro potesse essere curato all’ospedale di
del Biennio Rosso e dell’impresa Fiumana operata da Rizzoli e poi a Cortina a sue spese. Inoltre a ciò nel
d’Annunzio alla quale i comunisti non riuscirono ad corso degli anni Mussolini ed altri gerarchi che, come
inglobare i legionari fiumani che guardarono invece Bombacci, era originari dell’Emilia Romagna, aiutacon simpatia al nascente fascismo. L’immobilismo rono il “comunista intransigente” non solo quando,
dei dirigenti, le lacune, la mancanza di leadership e nel 1931, egli si ammalò di Tisi, ma anche dal punto di
di carisma provocò l’uscita di Bombacci dal Comitato vista economico facendo in modo che la sua famiglia
Centrale di cui criticò l’astrattezza teorica che non te- uscisse dalla triste condizione economica in cui si era
neva conto della realtà. Tuttavia non smise di adope- ritrovato da quando era caduto in disgrazia. L’eliminararsi per fare in modo che il governo Italiano avviasse zione politica e fisica della vecchia guardia Leninista
relazioni commerciali con la Russia, ed i suoi atti di e dei dirigenti Trozkisti, la trasformazione economica
mediazione tra i due Stati culminarono con il discorso dell’URSS in una base capitalista tramite l’istituzione
tenuto il 7 giugno 1922, direttamente al Ministro degli dei NEPA prima, e la collettivizzazione forzata con
Esteri. Fu proprio allora che le posizioni di Bombacci l’uccisione dei Kulaki poi convinse Bombacci che gli
e di Mussolini, divenuto nel frattempo Capo del Go- obiettivi che si era voluta prefiggere la rivoluzione
verno, conversero per la prima volta dopo tanti anni in d’Ottobre erano ormai stati stravolti e che l’Unione
un discorso che tenne il 30 Novembre 1923 in cui non Sovietica era diventata una brutta copia economica di
solo riconobbe al governo Fascista il merito di essersi Paesi come la Francia e l’Inghilterra. Il Fascismo inve-
ce, che aveva tanto ostracizzato, attraverso l’Autarchia,
il Corporativismo e la Carta del Lavoro aveva migliorato la condizione dei lavoratori.
Il cambio di prospettiva di Bombacci, sebbene graduale, era allo stesso modo chiaro e conciso: l’Italia
Fascista avrebbe portato a compimento quegli obiettivi di giustizia, socialità e difesa dei lavoratori che egli
aveva tanto aspirato. Fin da subito, attraverso delle
lettere indirizzate al Duce, Bombacci esprimete la sua
collaborazione a favore del Fascismo e alla fine l’occasione venne quando, nel 1936, gli venne concesso di
dirigere la rivista “Verità”, titolo analogo a quello del
giornale russo “Pravda”. Il giornale, la cui direzione
era formata da ex – socialisti come lui, dopo il primo numero del 6 Aprile uscì a cadenza non regolare
soprattutto a causa dell’ostracismo di alcuni gerarchi
(come Starace) che malvedevano il cambio di direzione del non più acerrimo nemico, tant’è vero che il
secondo numero apparve l’anno successivo. La rivista,
che rispecchiava il pensiero politico di Bombacci, si
prefiggeva di difendere le conquiste politiche e sociali
del Fascismo soprattutto mettendole in confronto tra
quelle dei Paesi democratici e di quelle dell’URSS, che
ormai Bombacci criticava apertamente attraverso un
aperto anti – bolscevismo.
Non solo: la rivista salutava in maniera positiva ogni
azione intrapresa in politica estera dal Fascismo, a
partire dalla Guerra di Spagna, l’avvicinamento sempre più crescente con la Germania ed, infine, la dichiarazione di guerra del 10 Giugno 1940, in cui l’Italia scendeva a fianco del Reich Tedesco contro Gran
Bretagna e Francia. Per Bombacci, ormai diventato
sempre più collaboratore della politica del regime,
chiedendo addirittura nel 1939 la tessera del Partito
Nazionale Fascista, la guerra rappresentava il confronto tra due civiltà: da un lato l’Italia proletaria e
fascista che si ergeva a difesa dei lavoratori, dall’altro
le potenze definite da Mussolini, quel giorno a Piazza Venezia, “demoplutocratiche e reazionarie” che si
rivelavano acerrimi nemici dell’Italia. Fu anche una
resa dei conti con l’Unione Sovietica: quando il 22
giugno 1941 Hitler diede avvio all’operazione Barbarossa Bombacci accusò direttamente, attraverso le
pagine della “Verità”, lo Stato Russo di aver infranto
il patto di non aggressione con la Germania da cui
ormai vedeva solo “una montagna di cadaveri e una
rete di interessi capitalistici sviluppatasi in direzione
di Londra e di New York”.
ULTIMO ATTO: LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
La seduta del 25 Luglio 1943, l’arresto del Duce, l’armistizio dell’8 Settembre proclamato via radio da Badoglio, la liberazione di Mussolini da parte dei parà
tedeschi al Gran Sasso capitanati da Otto Skorzeny e
il compito datogli dai tedeschi di ricostruire uno Stato che riprendesse le armi a fianco dell’alleato, con l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana, permise
l’azzeramento di un certo ostracismo da parte della
borghesia e della classe industriale che avevano ostacolato un’ampia socializzazione durante il ventennio e
che meglio si può esprimere nelle parole di Pavolini:
“Camerati si ricomincia. Siamo gli stessi del Ventuno”.
Fu proprio attraverso quest’ottica che Bombacci si diresse a nord partecipando, attraverso il congresso di
Verona, alla creazione dell’omonimo Manifesto che
diede alla neonata repubblica una costituzione e contribuendo alla stesura della parte dedicata alla “socializzazione delle imprese”. Tale progetto aveva lo scopo
di far entrare il lavoratore, attraverso la partecipazione
attiva, nella produzione dell’impresa facendo in modo
che la proprietà fosse collettiva e che tutti coloro al suo
interno partecipassero alla gestione e distribuzione
del reddito. Sebbene la socializzazione delle imprese
venne studiata nei minimi particolari dal punto di vista teorico, sul piano pratico ottenne l’ostilità dei tedeschi che boicottarono il progetto, e dei comunisti che
all’indomani della promulgazione della legge indissero uno sciopero per i primi di marzo del 1944. Tuttavia Bombacci continuò la sua attività di proselitismo
della socializzazione tra i lavoratori con dei discorsi
nelle varie città del Nord Italia, ottenendo vasti consensi tra le folle che si erano radunate per ascoltarlo
tant’è vero che a Genova, di fronte a piazza de Ferrari,
il 15 Marzo 1945, in uno dei suoi ultimi comizi esprimete che:
“Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora
vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il
fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che
sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho
lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il
bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio,
ma poi mi sono accorto dell’inganno. Il Socialismo
non lo realizzerà Stalin ma Mussolini che è socialista
anche se per vent’anni è stato ostacolato dallo borghesia che poi lo ha tradito; ma ora Mussolini si è liberato
da tutti i traditori ed ha bisogno di voi lavoratori per
creare il nuovo Stato proletario…”.
Si arriva così agli ultimi atti: con la ripresa delle operazioni alleate sulla linea Gotica viene proclamata
l’insurrezione da parte del Comitato di Liberazione
nazionale. Mussolini, dopo aver cercato invano di
parlare con alcuni rappresentati antifascisti, decide di
partire via da Milano al seguito dei tedeschi e degli
ultimi che gli sono rimasti fedeli, tra cui Nicola Bombacci. A Musso la colonna venne fermata dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi che catturarono
tutti gli italiani. Mussolini, invece, si travestì da militare tedesco e ripartì assieme alla colonna, che ottenne
il lasciapassare, ma la sua fuga si concluse a Dongo,
dove venne riconosciuto dal partigiano Giuseppe Negri. Trasferito, assieme agli altri catturati, a Germasino, Bombacci venne fucilato sul lungolago di Dongo
assieme ad altri gerarchi come Pavolini, Mezzasoma,
Liverani. Secondo le testimonianze dei presenti, prima di essere fucilato si tolse le scarpe poiché, in questo modo, la sua anima sarebbe più facilmente salita
in cielo secondo il rito dei nativi americani. Poco prima che il plotone d’esecuzione aprisse il fuoco, gridò
“Viva Mussolini! Viva il Socialismo!”.
Il suo corpo, assieme a quello degli altri fucilati, venne
caricato su un autoblindo dove si trovavano già quello della Mussolini e della Petacci e da lì, trasportati a
Milano, vennero esposti al pubblico a Piazzale Loreto
dove il partigiano e poi segretario del PCI Luigi Longo
lo riconobbe, attribuendogli l’infamante soprannome
di “super – traditore”.
Storia fantastica della mistica di un altro
mondo (II° parte)
di Sebastiano Maturi
Si nota facilmente come tale dottrina, associandosi
direttamente al pensiero del socialismo magico ed alle
tendenze mistiche del gruppo Thule, trovava inoltre
corrispondenze con le visioni di Nietzsche e con la
mitologia wagneriana: le origini favolose della razza
ariana, discesa dalle montagne abitate dai superuomini di un’altra epoca erano stabilite. Le affinità del
pensiero di Horbiger con i temi orientali delle epoche
antidiluviane, dei periodi di salvezza della specie e dei
periodi di punizione, affascinarono Himmler; la storia dell’umanità con i grandi diluvi e le successive migrazioni, con i suoi giganti ed i suoi schiavi, i sacrifici e
le epopee, rispondeva alla teoria della razza elaborata
da Hitler il quale ascoltava con deferenza lo scienziato
visionario. Anche perché egli confermava la convinzione del Fuhrer che il popolo tedesco fosse avvelenato dalla scienza occidentale, vista come angusta, debilitante e staccata dalla carne e dall’anima; creazioni
recenti come la psicanalisi, la sierologia e la relatività
erano armi da guerra puntate contro lo spirito di Parsifal. Infine, questa dottrina distruggeva l’astronomia
ammessa: il resto dell’edificio sarebbe crollato da solo
e doveva crollare perché rinascesse la magia, solo valore dinamico.
Alla luce di quanto detto, appare chiaro come la visone
di Hitler fosse quella di una missione che oltrepassasse infinitamente il campo della politica e del patriottismo, la stessa idea di nazione diviene solo un mezzo
utilizzato per ragioni di opportunità ma che avrebbe
avuto unicamente valore provvisorio; sono da consi-
derarsi manifestazioni esterne, applicazioni pratiche e
momentanee di una visione religiosa delle leggi della
vita sulla terra e nel cosmo. Per l’umanità vi é un destino che gli uomini comuni non potrebbero concepire e di cui non potrebbero sopportare la visione, la
quale é invece riservata unicamente ad alcuni iniziati
che si servono della “politica” come forma pratica e
frammentaria di quel destino: é l’aspetto esterno della
dottrina, con i suoi slogans, i suoi fatti sociali, le sue
guerre.
Si tratta di uno straordinario tentativo di ricostruire,
partendo dalla scienza o da una pseudoscienza, lo spirito dei tempi antichi secondo cui l’uomo, la società e
l’universo ubbidiscono alle stesse leggi, secondo cui il
movimento delle anime e quello delle stelle corrispondono.
Rileva giustamente a guerra finita lo scrittore tedesco Elmar Brugg: “L’Universo, per Horbiger, non é un
meccanismo morto di cui una sola parte si deteriora a
poco a poco per infine soccombere, ma un organismo
vivo nel senso più prodigioso della parola, un essere
vivente in cui tutto si ripercuote su tutto e che perpetua, di generazione in generazione, la sua forza ardente. Il silenzio della scienza classica nei suoi riguardi
non si spiega se non con la cospirazione dei mediocri.”
ed in tutti i paesi occupati. Le si leggevano nei gruppi
di intellettuali mistici filotedeschi, durante la guerra,
come si leggevano gli indiani, i tibetani e Nietzsche;
sotto ogni riga di Plotino, ad esempio nella sua definizione dell’astrologia, si potrebbe collocare una frase
di Horbiger.
Inoltre, dal punto di vista religioso, ciò che noi vagamente chiamiamo anima sarebbe solamente un ricordo degenerato presente in tutte le nostre religioni
di quella che invece era la sua funzione primordiale:
partecipare all’equlibrio delle energie cosmiche. Gli
uomini sarebbero dunque dotati di uno speciale organo che emette forze psichiche destinate a conservare
tale equilibrio ed il re-gigante di Horbiger derivava la
sua regalità dal governare questa specie di centrale di
energia psichica prodotta dalle civiltà degli uomini,
delle quali l’attività principale, se non l’unica, era appunto quella di sviluppare e concentrare tale energia
allo scopo di preservare l’armonia delle cose terrestri e
celesti; essi quindi non registravano il tempo ed i movimenti degli astri ma li creavano e ne partecipavano
direttamente. L’uomo, e più paricolarmente il gigante,
é responsabile dell’intero cosmo. C’é una singolare somiglianza tra questa visione e quella di Gurdjiev: l’origine delle religioni più antiche sarebbe la necessità
di cui gli uomini di tali epoche erano coscienti, conservare quello che egli chiama “il movimento cosmico
generale”. Esempi di quella funzione primordiale persi in leggende e superstizioni possono essere i faraoni che facevano alzare il livello del Nilo, le preghiere
dell’Occidente pagano per cambiare direzione ai venti o far cessare la grandine, le pratiche magiche degli
stregoni polinesiani affinché cada la pioggia.
Va da sé che, anche molto dopo il termine del conflitto bellico, molti cervelli restano sensibili ad una
concezione magica del mondo: lo dimostra il successo mondiale dell’opera di Velikovski Mondi in collisione ma anche il forte collegamento ideologico che
facilmente si riscontra tra gli intellettuali influenzati
da René Guénon, i discepoli di Gurdjiev ed i seguaci
di Horbiger.
La stessa dottrina razziale nazionalsocialista sarebbe
strettamente collegata alle teorie di Horbiger. C’era un
In certa misura Horbiger e gli esoteristi nazisti cam- razzismo di propaganda, quello di cui hanno parlato
biano i metodi e gli indirizzi stessi della scienza: essi gli storici, i tribunali e la coscienza popolare; ma c’era
la riconciliano a forza con l’astrologia tradizionale. un altro razzismo, più profondo, che é rimasto fuori
Tutto ciò che si farà in seguito, sul piano delle tecni- dalla portata della comprensione dei giudici e dei poche, nell’immenso sforzo di consolidamento del Reich poli perché non vi poteva essere linguaggio comune
potrà sì apparire fuori da quello spirito, ma l’impul- con essi. Come abbiamo visto, con la concezione cicliso é stato dato, vi é una scienza segreta, una magia, ca del mondo, coesistono specie provenienti da diveralla base di tutte le scienze: una scienza nordica e na- se fasi dovute alla vicinanza della Luna alla superficie
zionalsocialista che si contrappone alla scienza giu- terrestre, fasi di ascesa e di caduta: certe segnate dalla
deo-liberale.
decadenza, altre annunciatrici di futuro. Esiste quindi
un’umanità vera, chiamata a conoscere il prossimo ciQuesta “scienza nordica” é esoterismo, o meglio ha le clo e dotata degli organi psichici necessari ad avere un
sue radici in ciò che costituisce il fondo stesso di ogni ruolo nell’equilibrio delle forze cosmiche; esiste anche
esoterismo; non é un caso che le Enneadi di Plotino un’altra umanità che non é che un’apparenza, che non
siano state accuratamente ripubblicate in Germania merita questo nome e che senza dubbio é nata in epo-
che basse ed oscure quando, appena caduto il satellite,
immense parti del globo non erano che pantano deserto. Queste razze, non sono uomini nel senso reale
del termine: nati appena dopo la caduta della luna terziaria, per brusca mutazione e come per un disgraziato balbettio della forza vitale mortificata, sono creature “recenti” che imitano e invidiano l’uomo ma non
ne appartengono alla stessa specie, estranei all’ordine
naturale delle cose.
Ecco perché certe sedute del processo di Norimberga
erano prive di senso, i giudici non potevano stabilire nessuna specie di dialogo con gli accusati; erano di
fronte due mondi ma non potevao comunicare, era
come pretendere di giudicare dei marziani sul piano
della civiltà degli uomini. Appartenevano ad un mondo separato dal nostro, da quello che noi conosciamo
da sei o sette secoli, ovvero dall’ultima avanzata del
fuoco coincidente all’apparizione dei cavalieri teutonici; una civiltà totalmente diversa da quella che s’é
convenuto di chiamare civiltà si era stabilita in Germania nel giro di alcuni anni e nessuno se ne era reso
chiaramente conto. I suoi iniziatori non avevano più
in fondo alcuna similitudine di comunicazione intellettuale, morale o spirituale con i loro giudici, che si
sforzavano però di agire come se non urtassero contro
questa sconcertante realtà. Perché questo? Entro certi
limiti si trattava proprio di gettarvi sopra un velo per
nasconderla, per conservare l’idea della permanenza
della civiltà umanistica e cartesiana e bisognava che
gli accusati fossero, di buon grado o di forza, integrati
nel sitema. Era necessario. Ci andava di mezzo l’equilibrio della coscienza occidentale e con il processo di
Norimberga il fantastico è stato sepolto, affinché decine di milioni di anime non fossero risvegliate.
Si deve quindi vedere in quest’ottica anche la disfatta
nella campagna di Russia e quindi nell’intera guerra:
Hitler era persuaso che chi porta questa energia porta
il fuoco, di conseguenza il freddo sarebbe indietreggiato dove egli fosse avanzato; era intimamente persuaso, come i discepoli della teoria del ghiaccio, di
aver fatto alleanza con il freddo e che quindi la neve
delle pianure russe non avrebbe rallentato la sua marcia. La vera umanità, sotto la sua guida, stava per entrare nel nuovo ciclo del fuoco.
Ma le previsioni si rivelarono false, le profezie non si
realizzarono, gli elementi insorgevano e le stelle, nel
loro corso, cessavano bruscamente di lavorare per
l’uomo giusto: era il ghiaccio che trionfava sul fuoco.
Così le truppe blindate che avevano vinto la Polonia
in diciotto giorni e la Francia in un mese, le armate
di Guderian, Reinhardt e Hoeppner, questa formidabile legione di conquistatori spariva nel deserto del
freddo perché la mistica fosse più vera della terra. I
resti di quella grande armata dovettero infine cedere e
piegare verso sud. Quando, nella primavera seguente,
le truppe invasero il Caucaso, si svolse una singolare
cerimonia: tre alpinisti SS si arrampicarono sulla cima
dell’Elbruz, montagna sacra degli ariani ed alta sede
di antiche civiltà, e vi piantarono la bandiera con la
svastica, benedetta secondo il rito dell’Ordine Nero.
La benedizione della bandiera sulla cima dell’Elbruz
doveva segnare l’inizio della nuova era: ormai le stagioni avrebbero ubbidito ed il fuoco avrebbe vinto il
ghiaccio per millenni. Così le truppe risalirono verso
nord e Stalingrado, per tagliare in due la Russia. Ma
furono i discepoli della ragione coi loro visi tenebrosi
che vinsero, gli uomini materiali, “senza fuoco”, con la
loro scienza “giudeo-liberale” e le loro tecniche senza
appendici religiose; furono gli uomini senza la “sacra
dismisura” che, aiutati dal freddo e dal ghiaccio, trionfarono. Essi fecero fallire il patto, ebbero la meglio sulla magia.
Stalingrado non é soltanto una disfatta militare e politica, l’equilibrio delle forze spirituali ne esce modificato, la ruota gira; a Stalingrado non é il comunismo che
trionfa sul fascismo, é la civiltà umanistica che arresta
lo slancio formidabile di un’altra civiltà, magica, non
fatta per l’uomo ma per “qualche cosa di più che l’uomo”.
Non ci sono differenze essenziali tra le azioni civilizzatrici dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti: l’Europa dei secoli XVIII e XIX ha fornito il motore che
serve ad entrambe, a New York ed a Mosca non c’é
esattamente lo stesso rumore, ecco tutto. In guerra
contro la Germania c’era un solo mondo e non una
momentanea coalizione di nemici fondamentali; un
solo mondo che ha la stessa visione del cosmo, la stessa comprensione delle leggi universali e che assegna
all’uomo lo stesso posto nell’universo, né troppo grande né troppo piccolo. Sarà quindi il piccolo uomo del
“mondo libero”, il piccolo uomo positivo, razionalista,
più moralista che religioso, sprovvisto del senso metafisico, senza sete di fantastico, quello che Zaratustra
considera un uomo-apparente, una caricatura, ad annientare la grande armata destinata ad aprire la via al
superuomo, all’uomo-dio, signore degli elementi, dei
climi e delle stelle. Sarà di nuovo il crepuscolo degli
dei. Non sono i nemici della Germania a vincere, sono
le forze universali che si mettono in moto per sommergere la Terra, per punire l’umanità, perché l’uma-
nità ha permesso che il ghiaccio vincesse il fuoco, le
potenze della morte vincessero quelle della vita e della
resurrezione. Prima di uccidere la moglie, i figli e se
stesso, Goebbles pubblica un ultimo editoriale d’addio
che si intitola “E quand’anche ciò fosse” dove scrive
che il dramma non si svolge su scala terrestre ma cosmica, la nostra fine sarà la fine di tutto l’universo.
La mente moderna rifiuta di ammettere che la Germania nazista incarnasse i concetti di una civiltà senza
rapporto con quella attuale e tuttavia é proprio questo, e nient’altro, che spiega quella guerra; una delle
sole della storia conosciuta la cui posta sia stata realmente essenziale: bisognava che una delle due visioni
dell’uomo, del cielo e della terra trionfasse sull’altra,
quella umanistica o quella magica. Non ne era possibile la coesistenza mentre volentieri riusciamo ad
ammettere coesistenti il marxismo ed il liberismo,
essi poggiano sulla stessa base ed appartengono allo
stesso universo. Ciò che ha ostacolato l’ammissione di
questa strana visione di una diversa civiltà stabilitasi
per breve tempo al di là del Reno é l’idea puerile che
la modernità ha della distinzione tra “uomo civile” e
chi non lo é; la tecnica tedesca, la scienza tedesca, l’organizzazione tedesca paragonabli se non superiori a
quelle del resto del mondo occidentale, nascondevano questo punto di vista: la formidabile novità della
Germania nazista fu che il pensiero magico si unì alla
scienza ed alla tecnica. Una nazione impegnata in una
guerra in cui la tecnica é sovrana chiede alla scienza di
sostenere la mistica, alla mistica di arricchire la scienza. A Londra o a Parigi, pensatori eccentrici, aberranti scopritori di cosmogonie e profeti di ogni sorta di
bizzarrie scrivono opuscoli, frequentano retrobottega
di vecchi librai, tengono conferenze ad Hyde Park o
ne La Salle de Geographie; nella Germania hitleriana
vediamo uomini di questa specie mobilitare le forze
della nazione e l’apparato tecnico di un esercito in
guerra, li vediamo influenzare gli alti stati maggiori, i
capi politici, gli scienziati. In questa civiltà l’intuizione, la mistica, l’illuminazione poetica sono collocate
esattamente sullo stesso piano della ricerca scientifica
e della conoscenza razionale.
Gli intellettuali detrattori della civiltà moderna e volti verso la mentalità delle epoche antiche, come ad
esempio Guénon, Gurdjiev o gli innumerevoli induisti, sono sempre stati nemici del progresso tecnico;
il nazismo invece fu il momento in cui lo spirito di
magia si impadronì delle leve del progresso materiale.
lettricità, si può dire che, in un certo senso, l’hitlerismo fu il guenonismo più le divisioni blindate.
CONCLUSIONE
Queste teorie, al pieno della loro affermazione, sono
state espresse con un imponente apparato politico-scientifico, sono state sul punto di scacciare dalla
Germania la scienza moderna quale noi la conosciamo; hanno determinato certe decisioni militari ed influenzato l’andamento della guerra. Non é noto perché
teorie tanto potentemente affermate ed a cui hanno
aderito decine di uomini e grandi menti, per le quali
furono fatti grandi sacrifici umani e materiali, non siano ancora state studiate e siano ai più perfino ignote.
Non bisogna certo essere così folli da pretendere di
spiegare la storia con le società iniziatiche, ma si vede
che il nazismo é “l’altro mondo” che ha regnato su di
noi per alcuni anni e che é stato vinto ma non é morto
né oltre il Reno né altrove. E questo non é terribile,
terribile é la nostra ignoranza. Queste ed altre società,
grandi o piccole, ramificate o no, colegate o no, sono
le manifestazioni più o meno chiare, più o meno importanti di un mondo diverso da quello in cui viviamo: il nazismo é stato uno di quei rari momenti, nella
storia della nostra civiltà, in cui si é aperta una porta
su un’altra cosa, in modo clamoroso e visibile. Ed é
molto singolare che gli uomini fingano di non aver visto e sentito niente, tranne gli spettacoli ed i rumori
ordinari del disordine bellico e politico: questo aspetto non é stato mai ancora veramente studiato poiché
né la Chiesa né il Razionalismo, altra chiesa, lo hanno
ancora permesso.
Ci si é accontentati di mettere l’accento sui soli aspetti
esteriori, sulle formulazioni politiche, sulle forme esoteriche; non si é realizzato che gli avvenimenti di quel
periodo storico sono comprensibili solo analizzandoli da questo nuovo punto di vista: in questo modo la
storia riprende una certa ampiezza e merita di essere
vissuta ricollocandosi al livello che le spetta, quello
spirituale.
Bisogna comprendere come una civiltà completamente diversa dalla nostra attuale é apparsa in Germania
ed é durata alcuni anni, a ben guardare non é pensabile che una civiltà così profondamente diversa abbia
potuto stabilirvisi in così brevissimo tempo. La civiltà
umanistica odierna si basa anch’essa su un mistero: il
fatto che tutte le idee coesistano e la conoscenza porLenin diceva che il comunismo é il socialismo più l’e- tata da un’idea finisce per giovare all’idea contraria;
inoltre, nella nostra civiltà tutto contribuisce a far capire allo spirito che esso non é tutto. Un’inconsapevole cospirazione dei poteri materiali riduce i rischi,
mantiene l’intelletto in limiti in cui la fierezza non é
esclusa ma in cui l’ambizione é fortemente moderata.
Come scriveva giustamente Robert Musil, grande romanziere austriaco autore de L’uomo senza qualità,
“basterebbe che si prendesse veramente sul serio una
qualsiasi delle idee che influenzano la nostra vita, in
modo tale che non sussista assolutamente niente al
suo contrario, perché la nostra civiltà non fosse più la
nostra civiltà”.
E questo é avvenuto in Germania, almeno nelle alte
sfere del socialismo magico.
Zenit intervista Gabriele Adinolfi sul concetto di Evola-Leninismo
versi ma sono entrambi di matrice sia guerriera che
filosofica e sono al tempo stesso ideali e pratici.
Per la valenza spirituale, per le concezioni della storia,
della materia, della vita, Evola e Lenin rappresentano
due poli opposti, è vero. Entrambi però sono inconciliabili con il trasformismo, con il camaleontismo,
con il quieto vivere. Insegnano, su piani diversi, sia
l’impersonalità che lo spirito di servizio. Evola lo fa
sui piani alti, Lenin su quelli bassi. Personalmente mi
rifaccio ad Evola e non al bolscevico; però direi che i
suoi insegnamenti operativi e metodologici e la sua
formazione di quadri rivoluzionari sono esemplari e
che dovremmo capitalizzarli anche noi per colmare il
grosso gap che ci caratterizza che è rappresentato da
un’improvvisazione continua su tutto.
All’estrema sinistra manca spesso la scintilla, lo spirito, l’idea, la vertigine, l’altezza. Negli ambienti nazionalisti c’è però improvvisazione, soggettivismo, rappresentazione superficiale della realtà.
Questo va corretto. Che è come dire che a gente che
gioca decentemente a pallone bisogna insegnare lo
spirito di quadra, fornirla di schemi e di tattiche e
dotarla di una buona preparazione fisica al fine di renderla competitiva ai massimi livelli.
2) Secondo te è possibile applicare tale termine per
analizzare, spiegare e in qualche maniera prevenire la
societa attuale?
Perché no? Oltre a essere provocatorio rende l’idea e
fornisce anche dei riferimenti concreti e precisi. Anche
se non è questione di termini ma di contenuti. Tutte
le rivoluzioni nazionali si realizzarono grazie alla psicologia popolare che sicuramente era reazionaria ma
fu rettificata da capi rivoluzionari quasi tutti cresciuti
a sinistra, a cominciare da Mussolini e Doriot, e comunque mai a destra: neppure Franco proviene di là.
Attenzione però: non sto proponendo un innamoramento della sinistra o il recupero di suoi temi, parole, ragionamenti. Niente di tutto ciò: non ho nulla da
1) Gabriele, ultimamente hai scritto una nota sull’e- copiare o da imitare. La mia provocazione che tira in
volaleninismo, da dove ti è venuta l’idea di associare ballo Lenin va in rotta di collisione con tutti gli inEvola con Lenin, due personaggi che sono agli anti- namoramenti e con tutti gli estetismi rossobruni, napodi?
zionalbolscevichi e via dicendo che non soltanto non
sono evoliani ma non sono neppure leninisti: non
Lo sono, è vero. Ma io non li ho confrontati tra loro, sono, infatti, mai realisti, oggettivi, intrisi di volontà
non li ho colti nella loro opposizione valoriale, mi di potenza ma puri soggettivismi astratti, un neofasono soffermato invece sui loro specifici modi di porsi scismo terminale che volendosi negare e superare si
nei confronti della realtà. Sono due modi molto di- consolida e si pietrifica in tutte le sue mancanze e nella
Intervista a cura di Livio Basilico
sua sterilità.
5) Per finire, è meglio cavalcare la tigre o affrontarla
3) Evola parla di “agire senza desiderio”, la non azione. con spregiudicatezza?
e? da intendersi piuttosto come azione disinteressata,
nel senso che l’anima guerriera non è mai immobile Non so se si possa realmente cavalcare una tigre, ma
anzi egli è sempre attiva, ma non è schiavo delle azioni di sicuro non lo si può fare se non la si affronta spree non si strugge per i risultati, ma agisce per l’amore giudicatamente e se non la si doma.
dell’azione. Come possiamo applicare tale filosofia,
noi che siamo viziati dalla nostra cultura occidentale Questo non vale solo per la politica ma per l’esistenza.
utilitaristica?
Politicamente, la tigre che obbedisce al demone di
Essendo padroni di se stessi. Un tempo si diceva che si gravità nicciano, quella dell’utilitarismo economicista
dovesse fare innanzitutto formazione spirituale e poi e progressista, quella della Grande Madre che divora
politica, che ci si dovesse distinguere per stile ed esse- uomini ed eroi, quella della Società che uccide la Lire esemplari sempre. Da qualche decennio non va più bertà, quella dell’informe che uccide la personalità, da
di moda e si vedono i risultati. Da qualche tempo in quando esiste non si è mai battuta guardando indiequa io sto però agendo nuovamente in quella direzio- tro e cercando di tornare a come si stava prima. Chi
ne e conto di formare persone che superino il pregiu- lo ha fatto l’ha sempre potenziata pur senza volerlo.
dizio utilitarista ma andando comunque a realizzare La Restaurazione interruppe la rettifica di Napoleone
cose importanti. Senza esserne schiave né ipnotizzate. e instaurò la dinastia dei Rotschild. Le destre che si
Si può, basta essere presenti a se stessi. La nostra fibra, opposero ai fascismi settant’anni fa alimentarono sia
la nostra tempra, lo hanno permesso per millenni e le banche che il comunismo. Ogni rettifica è possibinon c’è ragione di abdicare proprio ora.
le solo cavalcando la tigre e dominandola. Da Cesare
fino a Peron è sempre andata così e non potrà mai an4) In un epoca come la nostra di grandi cambiamenti dare altrimenti.
e di vuoto spirituale, urge ritrovare lo spirito rivoluzionario sommerso in noi, abbiamo l’impressione che
il “nemico” sia ovunque senza mai farsi realmente vedere. Forse perchè il vero nemico siamo per prima noi
stessi? Cosa ne pensi?
E’ così, senza alcun dubbio. E non basta ritrovare lo
spirito ed essere padroni di noi stessi, dobbiamo imparare a continuare la lotta in una società ormai liquida e trans-nazionale che non vedrà mai più nulla di
quello cui siamo abituati, né in politica né nei modi di
convivere della gente. Dobbiamo capire cosa dev’essere una minoranza qualificata, cosa deve fare e come
può diventare protagonista della sua era che altrimenti ci sembrerà sempre e soltanto ostile e a nulla servirà
attriburne la colpa a questo o quel responsabile perché
non sapremo comunque come comportarci.
Tant’è che a questa realtà i nazionalisti oggi oppongono il ritorno al passato o l’intervento salvifico dell’Armageddon: prove evidenti di un disagio e di una non
collocazione nel reale. Anche a questo scopo ho scritto
un libro breve, di formazione, L’Europa, recentemente tradotto in francese che si ripromette di disegnare
qualche direttrice positiva e d’iniziare un confronto
per ridisegnare un’Europa rivoluzionaria, per riattivare focolai, per produrre dei veri e propri Euroschocks.
347/0635766 - 392/5534827
Scarica

Maggio/Giugno 2015 – N. 14 - Associazione Culturale Zenit