CHI SIAMO L’Associazione Culturale Zenit nasce come comunità militante già nel 2003 costituendosi poi ufficialmente nel dicembre del 2005. Le nostre posizioni non possono essere etichettate nelle classiche categorie di destra o sinistra. Abbiamo radici culturali che si rifanno al fascismo ma non per questo possiamo accettare di essere storicizzati o emarginati dalla storia. Noi vogliamo confrontarci con il presente, analizzare i fatti e trarne da esse le indicazioni valide e necessarie per costruire il futuro. Il nostro motto è sempre stato Filtra la Verità e il nostro simbolo è una maschera antigas perchè crediamo che attraverso queste categorie create ad arte e attraverso il caos creato dalla modernità il sistema allontani l’uomo dal vero e dal reale. Quindi il motto Filtra la Verità vuole esprimere in modo diretto e provocatorio il nostro approccio critico verso i mass media ma il nostro pensiero politico non si ferma qui, ovviamente noi di Zenit non siamo solo una Associazione Culturale che si occupa di controinformazione ma siamo soprattutto una comunità militante e cioè un nucleo di persone che persegue la formazione umana dei propri membri attraverso appunto l’impegno comunitario e militante che mostrando uno spiccato interesse verso i temi dell’approfondimento culturale e dell’informazione determina il proprio agire politico. I nostri punti cardini sono i seguenti: -noi crediamo che l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Patria debbano risultare l’obiettivo essenziale della politica estera del nostro paese; -crediamo nella Tradizione, nella concreata realizzazione di una comunità europea e rifiutiamo la subordinazione di quest’ultima alle subculture disumanizzanti quali mondialismo, plutocrazia e nichilismo; -crediamo nella solidarietà, ogni qual volta si pre- senti il bisogno di un tangibile aiuto alla comunità e verso tutti quei popoli che vedono stringersi intorno a sè la morsa livellante dell’imperialismo e che lottano per la propria sovranità. La nostra caratteristica principale è sicuramente quella di non voler essere il solito gruppo politico che abbia obiettivi di egemonia o che abbia come scopo la sola mera aggregazione fine a se stessa. Noi vogliamo formare ragazzi e renderli liberi dalle logiche della democrazia occidentalista, noi vogliamo che i ragazzi possano aspirare a trasformare la propria rabbia, la propria suggestione nei confronti di simboli e tradizioni in sentimenti costruttivi, perchè a noi piace la sostanza e della superficialità non sappiamo che farne. Noi vogliamo che i ragazzi e gli uomini che si avvicinano abbiano voglia di sapere, approfondire perchè solo respirando liberamente si può diventare soldati addestrati, perchè per noi non esiste l’agire senza il pensiero. Il nostro operato di militanti politici è quindi riscoprire la gioia di donarsi e di metterci a disposizione di tutti coloro che sono stufi di accettare la realtà che ci viene preconfezionata dal sistema attraverso la manipolazione delle informazioni e della cultura. Per questo motivo quindi il nostro motto è FILTRA LA VERITA’ e invitiamo anche voi ad indossare come noi le maschere antigas per resistere ai gas omologanti di questa coatica società moderna che sta allontanando sempre più l’uomo dal vero e dal reale. IL MARTELLO Dopo una breve pausa di riflessione abbiamo deciso di riprendere a martellare perchè Zenit senza il suo Martello non poteva continuare la sua opera di controinformazione, perchè Zenit senza il suo Martello era orfano di una parte importante del suo operato che in passato lo aveva caratterizzato per la serietà e dedizione con cui chi prima di noi lo aveva ideato e curato rendendoci orgogliosi del nostro disinteressato approccio alla militanza politica. Il Martello allora ritorna per fare da megafono alle nostre ambizioni e al nostro sano modo di fare politica e allora ecco che ritorna forte in noi quel monito che abbiamo fatto nostro attraverso la locuzione latina Gutta cavat lapidem. Questa frase latina resta sempre la più adatta per descrivere il nostro pensiero e agire politico, la paternità è da ricercare nel poeta Ovidio, sebbene ripresa e riadattata anche in prosa da diversi autori fino in età medievale, è la formula dialettica che abbiamo designato ad emblema del nostro organo di diffusione. Tre parole che, nella loro inflessibile semplicità, possiedono una forza intrinseca che può essere sprigionata solo attraverso la perseveranza della lotta, così rendendo fede alla cultura delle idee che diventano azione. Lapidem, la pietra, dall’aspetto fermo, incrollabile, apparentemente insormontabile da ogni agente esterno, sempre avrà ragione di chi, soggetto al richiamo dell’istintività, tenterà di scalfirne la massiccia fermezza con un gesto estemporaneo, violento e chiassoso. Gutta, la goccia, trova la sua forza nella volontà di dominare ogni vezzo ad abbandonarsi in un disordinato ed inconcludente getto. Al contrario, a renderla efficace è la sua capacità di riconoscere la ponderatezza e la costanza quali virtù. Il gesto ritmico, scandito dal suono basso e ripetitivo che ne sancisce la monotona caduta, è il simbolo della sua vittoria su di un nemico che non può vincere in altro modo, se non col suo continuo stillicidio. E’ dunque solo attraverso questa azione costante e perfettamente coerente che la goccia potrà perforare la pietra (gutta cavat lapidem, appunto). Il tempo sarà garante della bontà della sua meticolosa azione, inosservata dallo sguardo distratto dei suoi contemporanei, eppure fieramente implacabile nel perseguire il proprio obiettivo. Nella sensibilità dei nostri avi, la dimostrazione che la natura custodisce ancestrali riferimenti dai quali poter trarre ispirazione. Le coscienze, oggi sopite dall’intossicazione e dall’alienazione dei media di massa e della società dei consumi, potranno essere scavate per mezzo del lavoro durevole dell’informazione libera e dall’esempio del sacrificio e della militanza. Da Tripoli a Tobruk, lo Stato che non c’è di Mattia de Persio lo scoppio della rivolta contro Gheddafi. Nel febbraio 2014, Haftar annunciò in un discorso televisivo che il Governo Libico era stato sospeso ma il suo proclama fu subito smentito dall’ex Primo ministro Alì Zaydan. Destinato a un evitabile declino, il generale libico torna ben presto agli onori delle cronache internazionali lanciando una vasta offensiva contro le milizie fondamentaliste a Bengasi. La nuova avanzata militare da parte delle forze governative di Tobruk sta mettendo a dura prova i negoziati ancora in corso tra le due fazioni libiche in Marocco. L’ONU ha condannato la violazione del cessate il fuoco che era in vigore tra le due parti ma il governo di Tripoli è sempre più messo alle strette, non soltanto militarmente dinanzi al più efficiente ed organizzato esercito governativo ma anche per la forte interferenza internazionale. Nel grande disegno di Haftar volto alla “liberazione di Tripoli” non si può trascurare il ruolo sempre più l’egida delle Nazioni Unite, gli incontri tra governo decisivo di Egitto e Arabia Saudita nel delicato scacufficiale libico, con sede a Tobruk, riconosciuto dal- chiere libico. la comunità internazionale e quello auto-proclamato guidato dai Fratelli Musulmani, con sede a Tripoli. L’o- Il generale-presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi biettivo? Arrivare alla proclamazione di un governo di non ha fatto mancare il proprio sostegno militare e unità nazionale nel “non Stato” libico che riesca a fare logistico al governo di Tobruk con numerosi raid aefronte all’avanzata dello Stato Islamico. Siamo quindi rei sulle postazioni islamiste, ma ora può contare a di fronte a uno Stato che non c’è, o per semplificare, sua volta anche dell’appoggio politico ed economico uno Stato nello Stato, dove il vuoto politico lasciato dell’Arabia Saudita che attualmente guida la coaliziodalla caduta di Gheddafi ha lasciato spazio a traffican- ne anti- Isis impegnata tra Iraq e Siria. ti di uomini, gruppi armati filiali di al Qaeda e allo Stato Islamico, salafiti, mercenari ed ex generali pronti In conseguenza di ciò, l’Egitto potrebbe guidare una a vendersi al miglior offerente. E’ questo il più grande coalizione parallela anti-Isis ed estenderla alle aree fallimento democratico in salsa occidentale a poche del Maghreb dove i jihadisti stanno intensificando i miglia dalle nostre coste. loro attacchi con l’intento di destabilizzare i precari governi tunisini e algerini. In questo scenario il goTuttavia, dove la diplomazia si arrende alla logica della verno illegittimo di Tripoli guidato da Omar al-Hassi forza e a una resa dei conti che non prevede compro- potrebbe essere la vittima sacrificale in una prossima messi ma accetta solo vincitori e vinti, l’ago della bi- Libia stabilizzata e saldamente in mano a forze laiche. lancia sembra pendere dalla parte del governo di Tobruk soprattutto grazie alla rapida ascesa del generale Haftar, nominato lo scorso 25 febbraio ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore del legittimo governo cirenaico. A detta di noti analisti, Haftar un personaggio dal passato poco trasparente ma che riveste ad oggi un ruolo non di poco conto. Il generale, 71 anni, ha partecipato al colpo di Stato del 1969 che portò al potere Muammar Gheddafi. Durante la guerra fra Libia e Ciad Haftar viene sconfessato dal Colonnello. Liberato dagli Stati Uniti i quali gli concedono asilo politico rientra in Libia nel marzo 2011, poco dopo Lo scorso 5 marzo sono iniziati in Marocco, sotto Yemen, crocevia di ambizioni espansionistiche e Jihad ti, che hanno preso il controllo del palazzi governativi nella capitale Sana’a. Tuttavia, non c’è stato alcun vero e proprio colpo di stato poiché si sono limitati a pretendere un radicale cambio della Costituzione per dare più diritti agli sciiti nel paese. E’ indubbio che dietro gli Houti ci sia l’Iran e il recente rovesciamento dell’ex presidente yemenita Mansour Hadi, ha consentito all’Iran di avere il controllo sull’entrata al Canale di Suez. Per Teheran significherebbe avere uno Stato satellite alle spalle del rivale saudita, nell’epicentro del commercio globale, a ridosso delle città sante La Mecca e Medina. Potrebbe essere un risultato di portata storica per l’Iran che però implica uno strenuo sostegno agli alleati Houti. Uno scenario che però ha messo in allarme i principali paesi della Lega Araba (Arabia Saudita ed Emirati Arabi in primis) che non possono tollerare l’affermazione di un governo sciita e di uno stato sateldi Mattia de Persio lite dell’Iran nella penisola araba. I piani d’intervento in Yemen da parte dell’Arabia Saudita erano già pronti lla luce dei recenti accordi di Losanna sulla que- da tempo. Gli scontri di frontiera tra esercito saudita e stione del nucleare iraniano è ormai palese che la logi- Houti si susseguono dal 2009, ma la recente e decisiva ca dello scontro di civiltà tra occidente e islam, tanto offensiva sciita in Yemen ha dato il tanto atteso pretepaventata dallo stesso occidente, se non esisteva pri- sto al governo di Riyad di intervenire. ma ora non regge più. Bensì, esiste una lotta intestina religiosa all’interno del mondo islamico contornata da Lo scorso 26 marzo la coalizione araba ha dato il via interessi globali e dove ognuno degli attori occupa un all’operazione “Decisive Storm”, ma Arabia Saudita ruolo chiave nello scacchiere. Per capire le delicate lo- ed Emirati Arabi non sono gli unici due protagonisti giche mediorientali analizzare l’attuale caso yemenita della coalizione. Anche il governo de Il Cairo guidato può risultare importante. dal generale-presidente al-Sisi ha offerto il sostegno militare dell’Egitto alla coalizione. L’intento è duplice: La posizione strategica dello Yemen sul Golfo di Aden il rischio di compromettere la navigazione verso Suez e a ridosso del Corno d’Africa è sempre stata di non e il controllo del Golfo di Aden è troppo grosso. Se l’Epoco conto per le potenze straniere. Prima i turchi e gitto non è rimasto a guardare, la Turchia di Erdogan poi gli inglesi hanno sempre attribuito estrema impor- ha prontamente garantito sostegno logistico alla cotanza al piccolo paese posto all’estremità meridionale alizione puntando ad assumere un ruolo importante della Penisola araba. Paese povero e arcaico (il più po- nello schieramento sunnita anti-Teheran ed estendere vero di tutta l’area), poco sviluppato a livello sociale la propria influenza in Medio Oriente. L’obiettivo della e rigidamente chiuso politicamente, dai primi anni coalizione araba da qui in poi sarà di re-insediare il 2000 è continuamente posto sotto attacco da cellule vecchio governo sunnita e filo-saudita ad Aden, nel jihadiste legate ad Al-Qaeda, e dal 2011 allo scoppio sud del paese, ma ciò non esclude che nel nord possa della rivoluzione anti-governativa hanno intensificato formarsi un governo sciita e filo-iraniano. gli attacchi. Oltre alla forte presenza jihadista, il governo yemenita ha dovuto far fronte alle insurrezioni sciite nel nord e a gruppi separatisti nel sud. A Il Paese, a maggioranza sunnita, lo scorso 19 gennaio è stato oggetto di un golpe da parte degli Houthi scii- Le Pen, Sarkozy, Salvini, Berlusconi, il derby si gioca a destra di Johannes Balzano C i si avvicina a colpi di Round al grande appuntamento delle Presidenziali Francesi nel 2017 e dopo il turno delle Europee nelle ultime due settimane si è giocato quello delle amministrative, che ha sancito il tramonto del bipolarismo classico francese e l’affermazione, almeno in percentuale, del Front National. I numeri la Marine Le Pen ce li ha tutti dalla sua parte, ma il sistema politico-elettorale le è avverso, plasmato e costruito sulle esigenze dell’UMP e dei Socialisti. Ed è per questo, che nonostante ancora una volta diventi primo partito confermando su per giù le percentuali di un anno fa, la dama della destra europea non ottiene neanche il governo di uno dei dipartimenti francesi, neanche quello di Avignone in cui era candidata la nipote Marion Marechal. La Le Pen intanto, che ha affossato la sinistra storica francese, si trova un nemico più duro da battere davanti. Infatti dopo aver liquidato Hollande, incapace di dare risposte sulla problematica sociale, tematica ormai di prima importanza a Parigi e dintorni, il Front National ha visto una fase di stallo nei consensi, dovuto al ritorno in politica di Nicolas Sarkozy, abile a trovare un accordo con i moderati dell’UDI, piccola forza politica di centro-destra, grazie alla quale da una parte ha battuto quasi ovunque la gauche, e dall’altra blocca i frontisti che comunque passano a cento rappresentanti, mentre prima erano praticamente a zero. Una vittoria a metà, una conferma senza rilancio, ma un tesoro di voti che sembra ormai saldato e bloccato, dal quale ripartire per sfondare nell’area dei moderati, che al contrario dell’Italia, è forte e sa difendersi, potendo puntare sul ritorno di “Super Sarko”. Non un compito facile ma forse in Francia più fattibile che in Italia, nonostante un rapporto di forze diverso, dove Marine Le Pen può contare sulla sua forte personalità e sulla stima che riscuote tra tutti i francesi. In Italia il ciclone Salviniano che aspira ad arrivare alle percentuali del Fronte francese, ha altre gatte da pelare, in particolare due. Prima su tutte quella della transizione di un partito autonomista, federalista e a tratti indipendentista, ad un soggetto nazionale forte e riconosciuto, magari non ad personam. Secondo la situazione politica italiana è totalmente diversa da quella francese: la sinistra ha percentuali che sfiorano il 40%, mentre la destra moderata rischia di sparire nel nulla, causa un declino inesorabile da quando Renzi è Primo Ministro. L’obiettivo di Salvini è quindi chiaro, prendersi il l’elettorato moderato, auspicando il tramonto definitivo di Silvio Berlusconi. Ma proprio questo tramonto ancora non sembra arrivato, in molti invocano il ritorno di Silvio sulle scene politiche, a partire dalla A sorridere quindi è Sarkozy che strappa 28 diparti- Sinistra, che vede in lui un argine al fenomeno Salvini, menti al sempre più cupo Holland che sembra aver argine che può rompersi nel caso Salvini stesso rimadelegato le sue sconfitte elettorali al povero Valls, an- nesse come unico punto di riferimento per la destra cora una volta costretto ad una conferenza stampa da italiana. Tale pressione che potrebbe arrivare da Forperdente dopo quella delle Europee e ancora una volta za Italia si percepisce già in quelle regioni dove si sta costretto a giocare la parte del perdente felice, congra- formando il cartello Lega-FI per le elezioni. Quanto tulandosi con Sarkozy e con tutto il fronte Repubbli- pesa Forza Italia nelle coalizioni elettorali? Quanto è cano per aver impedito alla Marine Le Pen di ottenere indispensabile per giungere al governo delle regioni? un dipartimento. Anche il meno interessato alla vita politica della Francia capisce che la tomba dei sociali- Francia e Italia si trovano quindi in una situazione sisti è aperta e aspetta soltanto il funerale politico della mile politicamente, con la forte differenza che la coalisinistra francese, che probabilmente avverrà proprio zione Le Pen-Sarkozy è impossibile e anzi tra di loro si nel 2017. giocherà lo scontro per l’Eliseo, mentre in Italia la coalizione di centro-destra sembra obbligata per la Lega in molti territori, cosa che però, da qui al 2018, può cambiare bruscamente. Destra contro Destra direbbe qualcuno, o Moderati contro Estremisti, intanto però sia in Francia che in Italia soprattutto, la sinistra governerà un altro po’ e le compagini a destra possono prepararsi allo scontro elettorale. Nicola Bombacci: il Socialista intransigente di Cristiano Ruzzi Nato a Civitella di Romagna il 24 ottobre 1879, ro- magnolo come Mussolini, all’età di sette anni Nicola Bombacci si trasferisce con la famiglia a Meldola dove entra in seminario ma ne esce nel 1900 per motivi di salute. Nel 1904 acquisisce la licenza per l’insegnamento elementare, ottenendo l’incarico di maestro prima in provincia di Udine, poi a Baricella di Bologna ed infine in provincia di Reggio Emilia. Il fatto di essere nato in una terra, la Romagna, dove molte famiglie vivevano in povertà, un tasso di criminalità molto alto, ed il fatto che i ceti popolari venissero difesi da esponenti di spicco del Socialismo fece sicché nel 1903, ancora studente, Bombacci si iscrivesse al Partito Socialista. Nonostante la sua intenzione di educare le masse di lavoratori e di contadini attraverso l’insegnamento, nel 1909 abbandona il mestiere d’insegnante, avviando così la sua carriera politica all’interno del PSI. Prima a Piacenza a capo della locale Camera del lavoro, fra il 1909 ed il 1910, poi l’incarico di segretario della Camera del lavoro di Crema. Il contatto in tale città con la realtà sociale Lombarda, più arretrata rispetto ad altre zone romagnole, gli fece assumere posizioni di critica nei confronti dell’operato degli allora leader riformisti Bissolati e Bonomi. Nel maggio del 1910, al suo ritorno in Romagna, cominciò a dirigere la Camera del lavoro di Cesena ed il periodico “Il Cuneo”. Nei suoi articoli emerse una linea intransigente analoga a quella dell’allora Mussolini socialista. Nel 1911 viene eletto nel consiglio nazionale della CGDL ma solo l’anno dopo egli comincerà ad avere un ruolo di prima piano nella scena politica e nazionale: occupando un ruolo di primo piano nella Federazione socialista provinciale modenese e direttore del periodico socialista “Il Domani”, Bombacci si contraddistinse per la fermezza e la tenacia con cui porta avanti le sue lotte politiche e sociali facendo in modo che gli venisse attribuito il soprannome di “Kaiser di Modena”. Dal giornale “Il Domani” criticò apertamente la vecchia guardia riformista del Partito, portando avanti la sua linea politica che aveva sviluppato quando dirigeva il giornale di Cesena, tant’è vero che il 29 Agosto scrisse chiaramente sul “Domani”: “Meglio la solitudine ideale che fortifica, piuttosto che i connubi degenerati che sfibrano”. L’espulsione dei riformisti Bissolati e Bonomi segnò il successo delle forze estreme della sinistra, di cui Bombacci diventava lentamente una delle voci più autorevoli. Allo scoppio della Grande Guerra Bombacci si allineò con quella del Partito Socialista riassunta dallo slogan “né aderire, né sabotare” mantenendo tuttavia, anche nel neutralismo, posizioni estremiste (venne denunciato dai Carabinieri di Camposanto (Modena) per aver insultato, in un discorso privato ma a voce alta, il governo ed il Re). All’espulsione di Mussolini dal partito socialista e da direttore de “L’Avanti”, nonostante le posizioni divergenti, solidarizzò con il suo corregionale di Predappio mostrandosi contrario alla decisione di rimuoverlo dal giornale socialista. L’entrata in guerra dell’Italia, la crisi dei Partiti Socialisti Europei che, ad eccezione di quello Italiano, votarono per la guerra provocando così la fine della II Internazionale fa chiudere Bombacci in un lungo silenzio che farà sentire di nuovo la sua voce attraverso gli auguri di guarigione ad un Mussolini ferito da una scheggia di bomba a mano sul fronte, attraverso le pagine del “Domani”. Il 1917 è l’anno cruciale non solo perché nello scacchiere della guerra entrano in campo gli Stati Uniti ma perché, dall’altra parte d’Europa, avviene la rivoluzione d’Ottobre di cui Bombacci ben presto se ne farà difensore. Allo stesso tempo, dopo aver partecipato al convegno nazionale del PSI, aderisce alla corrente “massimalista” divenne ben presto uno de- gli interpreti più agguerriti. Nel luglio di quell’anno, a Firenze, Bombacci convocò una riunione segreta di pochi massimalisti (fra i quali Armando Bordiga, Egidio Gennari ed Antonio Gramsci) nel corso della quale, oltre a prendere decisioni che avrebbero portato Bombacci a passare da posizioni socialiste a leniniste – rivoluzionarie, venne formato il gruppo che avrebbe dato vita, a Livorno, al Partito Comunista d’Italia. Durante gli anni che intercorrono tra il 1918 ed il 1919 Bombacci si fece sempre più agguerrito difensore della rivoluzione d’Ottobre, cercando allo stesso di tempo di presentare tale visione al Partito e, addirittura, proponendo al Congresso di Bologna l’importazione del simbolo della falce e martello sulla sua bandiera. mosso in maniera più avanzata rispetto agli altri Paesi per ristabilire i rapporti diplomatici – commerciali con la Russia, ma che si riconoscesse lo Stato Sovietico da parte Italiana. Il suo discorso, sebbene puramente economico, provocò dure critiche non solo dai fascisti ma anche dai suoi compagni di partito che, pur non espellendolo dal Partito, esclusero il suo nome dalle liste elettorali per l’elezione del 1924. Bombacci, che era uno dei pochi a non aver una propria corrente politica, rimase così sempre più isolato e ciò si esprime chiaramente in una lettera indirizzata a Zinov’ev, uno dei principali dirigenti bolscevichi: “Ancora oggi il partito mi fa apparire agli occhi dell’opinione pubblica come uno dei massimi dirigenti mentre in realtà mi tiene all’oscuro di ogni decisione … E’ un tentativo Il Biennio Rosso dovuto agli scioperi ed alle occupa- di assassinio politico”. La diffidenza crescente nei conzioni delle fabbriche che imperversavano in tutta Italia fronti dei dirigenti comunisti si tradusse, alla fine, con sembrava che dessero ragione al romagnolo di Civitel- l’espulsione dal Partito Comunista, quando ormai la la tant’è vero che redasse i principi generali della co- maggior parte dei dirigenti si trovava in prigione, al stituzione dei Soviet, al congresso di Firenze del 1920. confino, od in esilio. Tali principi provocarono reazioni in maggior parte scettiche e negative dagli esponenti di spicco del Par- L’AVVICINAMENTO INESORABILE VERSO IL tito. I tentativi di avvicinamento alla Russia Sovietica FASCISMO – ALLA RICERCA DI UNA TERZA fatti da Bombacci non si placarono: a luglio partecipò VIA aI II Congresso della Terza Internazionale fondata a Mosca un anno prima. Le decisioni prese durante i la- L’ascesa di Stalin alla morte di Lenin da un lato ed i vori (la modifica dei nomi dei partiti in quello comu- problemi di salute del figlio Vladimiro dall’altro funista, la difesa in tutte le sedi possibili della causa della rono i due presupposti che fecero avvicinare gradualRussia Sovietica, l’ispirazione agli ideali bolscevichi) mente Bombacci al fascismo. Dopo aver chiesto aiuto provocò una frattura all’interno del Partito Socialista ai suoi ex compagni di lotta (dai quali ottenne soltanto Italiano che culminò con il congresso di Livorno che un secco rifiuto) la moglie Erissene, al contrario, cersi tenne dal 14 al 21 Gennaio del 1921 quando tutta cò l’aiuto attraverso l’ex compagno di lotta Mussolini l’ala comunista si scisse e fondò il Partito Comunista il quale, prima attraverso il suo segretario personale d’Italia. La creazione del PdCI fu però il finale di una Di Feo e poi agendo direttamente di persona, permiscena teatrale che si stava concludendo, con la fine se che Vladimiro potesse essere curato all’ospedale di del Biennio Rosso e dell’impresa Fiumana operata da Rizzoli e poi a Cortina a sue spese. Inoltre a ciò nel d’Annunzio alla quale i comunisti non riuscirono ad corso degli anni Mussolini ed altri gerarchi che, come inglobare i legionari fiumani che guardarono invece Bombacci, era originari dell’Emilia Romagna, aiutacon simpatia al nascente fascismo. L’immobilismo rono il “comunista intransigente” non solo quando, dei dirigenti, le lacune, la mancanza di leadership e nel 1931, egli si ammalò di Tisi, ma anche dal punto di di carisma provocò l’uscita di Bombacci dal Comitato vista economico facendo in modo che la sua famiglia Centrale di cui criticò l’astrattezza teorica che non te- uscisse dalla triste condizione economica in cui si era neva conto della realtà. Tuttavia non smise di adope- ritrovato da quando era caduto in disgrazia. L’eliminararsi per fare in modo che il governo Italiano avviasse zione politica e fisica della vecchia guardia Leninista relazioni commerciali con la Russia, ed i suoi atti di e dei dirigenti Trozkisti, la trasformazione economica mediazione tra i due Stati culminarono con il discorso dell’URSS in una base capitalista tramite l’istituzione tenuto il 7 giugno 1922, direttamente al Ministro degli dei NEPA prima, e la collettivizzazione forzata con Esteri. Fu proprio allora che le posizioni di Bombacci l’uccisione dei Kulaki poi convinse Bombacci che gli e di Mussolini, divenuto nel frattempo Capo del Go- obiettivi che si era voluta prefiggere la rivoluzione verno, conversero per la prima volta dopo tanti anni in d’Ottobre erano ormai stati stravolti e che l’Unione un discorso che tenne il 30 Novembre 1923 in cui non Sovietica era diventata una brutta copia economica di solo riconobbe al governo Fascista il merito di essersi Paesi come la Francia e l’Inghilterra. Il Fascismo inve- ce, che aveva tanto ostracizzato, attraverso l’Autarchia, il Corporativismo e la Carta del Lavoro aveva migliorato la condizione dei lavoratori. Il cambio di prospettiva di Bombacci, sebbene graduale, era allo stesso modo chiaro e conciso: l’Italia Fascista avrebbe portato a compimento quegli obiettivi di giustizia, socialità e difesa dei lavoratori che egli aveva tanto aspirato. Fin da subito, attraverso delle lettere indirizzate al Duce, Bombacci esprimete la sua collaborazione a favore del Fascismo e alla fine l’occasione venne quando, nel 1936, gli venne concesso di dirigere la rivista “Verità”, titolo analogo a quello del giornale russo “Pravda”. Il giornale, la cui direzione era formata da ex – socialisti come lui, dopo il primo numero del 6 Aprile uscì a cadenza non regolare soprattutto a causa dell’ostracismo di alcuni gerarchi (come Starace) che malvedevano il cambio di direzione del non più acerrimo nemico, tant’è vero che il secondo numero apparve l’anno successivo. La rivista, che rispecchiava il pensiero politico di Bombacci, si prefiggeva di difendere le conquiste politiche e sociali del Fascismo soprattutto mettendole in confronto tra quelle dei Paesi democratici e di quelle dell’URSS, che ormai Bombacci criticava apertamente attraverso un aperto anti – bolscevismo. Non solo: la rivista salutava in maniera positiva ogni azione intrapresa in politica estera dal Fascismo, a partire dalla Guerra di Spagna, l’avvicinamento sempre più crescente con la Germania ed, infine, la dichiarazione di guerra del 10 Giugno 1940, in cui l’Italia scendeva a fianco del Reich Tedesco contro Gran Bretagna e Francia. Per Bombacci, ormai diventato sempre più collaboratore della politica del regime, chiedendo addirittura nel 1939 la tessera del Partito Nazionale Fascista, la guerra rappresentava il confronto tra due civiltà: da un lato l’Italia proletaria e fascista che si ergeva a difesa dei lavoratori, dall’altro le potenze definite da Mussolini, quel giorno a Piazza Venezia, “demoplutocratiche e reazionarie” che si rivelavano acerrimi nemici dell’Italia. Fu anche una resa dei conti con l’Unione Sovietica: quando il 22 giugno 1941 Hitler diede avvio all’operazione Barbarossa Bombacci accusò direttamente, attraverso le pagine della “Verità”, lo Stato Russo di aver infranto il patto di non aggressione con la Germania da cui ormai vedeva solo “una montagna di cadaveri e una rete di interessi capitalistici sviluppatasi in direzione di Londra e di New York”. ULTIMO ATTO: LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA La seduta del 25 Luglio 1943, l’arresto del Duce, l’armistizio dell’8 Settembre proclamato via radio da Badoglio, la liberazione di Mussolini da parte dei parà tedeschi al Gran Sasso capitanati da Otto Skorzeny e il compito datogli dai tedeschi di ricostruire uno Stato che riprendesse le armi a fianco dell’alleato, con l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana, permise l’azzeramento di un certo ostracismo da parte della borghesia e della classe industriale che avevano ostacolato un’ampia socializzazione durante il ventennio e che meglio si può esprimere nelle parole di Pavolini: “Camerati si ricomincia. Siamo gli stessi del Ventuno”. Fu proprio attraverso quest’ottica che Bombacci si diresse a nord partecipando, attraverso il congresso di Verona, alla creazione dell’omonimo Manifesto che diede alla neonata repubblica una costituzione e contribuendo alla stesura della parte dedicata alla “socializzazione delle imprese”. Tale progetto aveva lo scopo di far entrare il lavoratore, attraverso la partecipazione attiva, nella produzione dell’impresa facendo in modo che la proprietà fosse collettiva e che tutti coloro al suo interno partecipassero alla gestione e distribuzione del reddito. Sebbene la socializzazione delle imprese venne studiata nei minimi particolari dal punto di vista teorico, sul piano pratico ottenne l’ostilità dei tedeschi che boicottarono il progetto, e dei comunisti che all’indomani della promulgazione della legge indissero uno sciopero per i primi di marzo del 1944. Tuttavia Bombacci continuò la sua attività di proselitismo della socializzazione tra i lavoratori con dei discorsi nelle varie città del Nord Italia, ottenendo vasti consensi tra le folle che si erano radunate per ascoltarlo tant’è vero che a Genova, di fronte a piazza de Ferrari, il 15 Marzo 1945, in uno dei suoi ultimi comizi esprimete che: “Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno. Il Socialismo non lo realizzerà Stalin ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dallo borghesia che poi lo ha tradito; ma ora Mussolini si è liberato da tutti i traditori ed ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…”. Si arriva così agli ultimi atti: con la ripresa delle operazioni alleate sulla linea Gotica viene proclamata l’insurrezione da parte del Comitato di Liberazione nazionale. Mussolini, dopo aver cercato invano di parlare con alcuni rappresentati antifascisti, decide di partire via da Milano al seguito dei tedeschi e degli ultimi che gli sono rimasti fedeli, tra cui Nicola Bombacci. A Musso la colonna venne fermata dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi che catturarono tutti gli italiani. Mussolini, invece, si travestì da militare tedesco e ripartì assieme alla colonna, che ottenne il lasciapassare, ma la sua fuga si concluse a Dongo, dove venne riconosciuto dal partigiano Giuseppe Negri. Trasferito, assieme agli altri catturati, a Germasino, Bombacci venne fucilato sul lungolago di Dongo assieme ad altri gerarchi come Pavolini, Mezzasoma, Liverani. Secondo le testimonianze dei presenti, prima di essere fucilato si tolse le scarpe poiché, in questo modo, la sua anima sarebbe più facilmente salita in cielo secondo il rito dei nativi americani. Poco prima che il plotone d’esecuzione aprisse il fuoco, gridò “Viva Mussolini! Viva il Socialismo!”. Il suo corpo, assieme a quello degli altri fucilati, venne caricato su un autoblindo dove si trovavano già quello della Mussolini e della Petacci e da lì, trasportati a Milano, vennero esposti al pubblico a Piazzale Loreto dove il partigiano e poi segretario del PCI Luigi Longo lo riconobbe, attribuendogli l’infamante soprannome di “super – traditore”. Storia fantastica della mistica di un altro mondo (II° parte) di Sebastiano Maturi Si nota facilmente come tale dottrina, associandosi direttamente al pensiero del socialismo magico ed alle tendenze mistiche del gruppo Thule, trovava inoltre corrispondenze con le visioni di Nietzsche e con la mitologia wagneriana: le origini favolose della razza ariana, discesa dalle montagne abitate dai superuomini di un’altra epoca erano stabilite. Le affinità del pensiero di Horbiger con i temi orientali delle epoche antidiluviane, dei periodi di salvezza della specie e dei periodi di punizione, affascinarono Himmler; la storia dell’umanità con i grandi diluvi e le successive migrazioni, con i suoi giganti ed i suoi schiavi, i sacrifici e le epopee, rispondeva alla teoria della razza elaborata da Hitler il quale ascoltava con deferenza lo scienziato visionario. Anche perché egli confermava la convinzione del Fuhrer che il popolo tedesco fosse avvelenato dalla scienza occidentale, vista come angusta, debilitante e staccata dalla carne e dall’anima; creazioni recenti come la psicanalisi, la sierologia e la relatività erano armi da guerra puntate contro lo spirito di Parsifal. Infine, questa dottrina distruggeva l’astronomia ammessa: il resto dell’edificio sarebbe crollato da solo e doveva crollare perché rinascesse la magia, solo valore dinamico. Alla luce di quanto detto, appare chiaro come la visone di Hitler fosse quella di una missione che oltrepassasse infinitamente il campo della politica e del patriottismo, la stessa idea di nazione diviene solo un mezzo utilizzato per ragioni di opportunità ma che avrebbe avuto unicamente valore provvisorio; sono da consi- derarsi manifestazioni esterne, applicazioni pratiche e momentanee di una visione religiosa delle leggi della vita sulla terra e nel cosmo. Per l’umanità vi é un destino che gli uomini comuni non potrebbero concepire e di cui non potrebbero sopportare la visione, la quale é invece riservata unicamente ad alcuni iniziati che si servono della “politica” come forma pratica e frammentaria di quel destino: é l’aspetto esterno della dottrina, con i suoi slogans, i suoi fatti sociali, le sue guerre. Si tratta di uno straordinario tentativo di ricostruire, partendo dalla scienza o da una pseudoscienza, lo spirito dei tempi antichi secondo cui l’uomo, la società e l’universo ubbidiscono alle stesse leggi, secondo cui il movimento delle anime e quello delle stelle corrispondono. Rileva giustamente a guerra finita lo scrittore tedesco Elmar Brugg: “L’Universo, per Horbiger, non é un meccanismo morto di cui una sola parte si deteriora a poco a poco per infine soccombere, ma un organismo vivo nel senso più prodigioso della parola, un essere vivente in cui tutto si ripercuote su tutto e che perpetua, di generazione in generazione, la sua forza ardente. Il silenzio della scienza classica nei suoi riguardi non si spiega se non con la cospirazione dei mediocri.” ed in tutti i paesi occupati. Le si leggevano nei gruppi di intellettuali mistici filotedeschi, durante la guerra, come si leggevano gli indiani, i tibetani e Nietzsche; sotto ogni riga di Plotino, ad esempio nella sua definizione dell’astrologia, si potrebbe collocare una frase di Horbiger. Inoltre, dal punto di vista religioso, ciò che noi vagamente chiamiamo anima sarebbe solamente un ricordo degenerato presente in tutte le nostre religioni di quella che invece era la sua funzione primordiale: partecipare all’equlibrio delle energie cosmiche. Gli uomini sarebbero dunque dotati di uno speciale organo che emette forze psichiche destinate a conservare tale equilibrio ed il re-gigante di Horbiger derivava la sua regalità dal governare questa specie di centrale di energia psichica prodotta dalle civiltà degli uomini, delle quali l’attività principale, se non l’unica, era appunto quella di sviluppare e concentrare tale energia allo scopo di preservare l’armonia delle cose terrestri e celesti; essi quindi non registravano il tempo ed i movimenti degli astri ma li creavano e ne partecipavano direttamente. L’uomo, e più paricolarmente il gigante, é responsabile dell’intero cosmo. C’é una singolare somiglianza tra questa visione e quella di Gurdjiev: l’origine delle religioni più antiche sarebbe la necessità di cui gli uomini di tali epoche erano coscienti, conservare quello che egli chiama “il movimento cosmico generale”. Esempi di quella funzione primordiale persi in leggende e superstizioni possono essere i faraoni che facevano alzare il livello del Nilo, le preghiere dell’Occidente pagano per cambiare direzione ai venti o far cessare la grandine, le pratiche magiche degli stregoni polinesiani affinché cada la pioggia. Va da sé che, anche molto dopo il termine del conflitto bellico, molti cervelli restano sensibili ad una concezione magica del mondo: lo dimostra il successo mondiale dell’opera di Velikovski Mondi in collisione ma anche il forte collegamento ideologico che facilmente si riscontra tra gli intellettuali influenzati da René Guénon, i discepoli di Gurdjiev ed i seguaci di Horbiger. La stessa dottrina razziale nazionalsocialista sarebbe strettamente collegata alle teorie di Horbiger. C’era un In certa misura Horbiger e gli esoteristi nazisti cam- razzismo di propaganda, quello di cui hanno parlato biano i metodi e gli indirizzi stessi della scienza: essi gli storici, i tribunali e la coscienza popolare; ma c’era la riconciliano a forza con l’astrologia tradizionale. un altro razzismo, più profondo, che é rimasto fuori Tutto ciò che si farà in seguito, sul piano delle tecni- dalla portata della comprensione dei giudici e dei poche, nell’immenso sforzo di consolidamento del Reich poli perché non vi poteva essere linguaggio comune potrà sì apparire fuori da quello spirito, ma l’impul- con essi. Come abbiamo visto, con la concezione cicliso é stato dato, vi é una scienza segreta, una magia, ca del mondo, coesistono specie provenienti da diveralla base di tutte le scienze: una scienza nordica e na- se fasi dovute alla vicinanza della Luna alla superficie zionalsocialista che si contrappone alla scienza giu- terrestre, fasi di ascesa e di caduta: certe segnate dalla deo-liberale. decadenza, altre annunciatrici di futuro. Esiste quindi un’umanità vera, chiamata a conoscere il prossimo ciQuesta “scienza nordica” é esoterismo, o meglio ha le clo e dotata degli organi psichici necessari ad avere un sue radici in ciò che costituisce il fondo stesso di ogni ruolo nell’equilibrio delle forze cosmiche; esiste anche esoterismo; non é un caso che le Enneadi di Plotino un’altra umanità che non é che un’apparenza, che non siano state accuratamente ripubblicate in Germania merita questo nome e che senza dubbio é nata in epo- che basse ed oscure quando, appena caduto il satellite, immense parti del globo non erano che pantano deserto. Queste razze, non sono uomini nel senso reale del termine: nati appena dopo la caduta della luna terziaria, per brusca mutazione e come per un disgraziato balbettio della forza vitale mortificata, sono creature “recenti” che imitano e invidiano l’uomo ma non ne appartengono alla stessa specie, estranei all’ordine naturale delle cose. Ecco perché certe sedute del processo di Norimberga erano prive di senso, i giudici non potevano stabilire nessuna specie di dialogo con gli accusati; erano di fronte due mondi ma non potevao comunicare, era come pretendere di giudicare dei marziani sul piano della civiltà degli uomini. Appartenevano ad un mondo separato dal nostro, da quello che noi conosciamo da sei o sette secoli, ovvero dall’ultima avanzata del fuoco coincidente all’apparizione dei cavalieri teutonici; una civiltà totalmente diversa da quella che s’é convenuto di chiamare civiltà si era stabilita in Germania nel giro di alcuni anni e nessuno se ne era reso chiaramente conto. I suoi iniziatori non avevano più in fondo alcuna similitudine di comunicazione intellettuale, morale o spirituale con i loro giudici, che si sforzavano però di agire come se non urtassero contro questa sconcertante realtà. Perché questo? Entro certi limiti si trattava proprio di gettarvi sopra un velo per nasconderla, per conservare l’idea della permanenza della civiltà umanistica e cartesiana e bisognava che gli accusati fossero, di buon grado o di forza, integrati nel sitema. Era necessario. Ci andava di mezzo l’equilibrio della coscienza occidentale e con il processo di Norimberga il fantastico è stato sepolto, affinché decine di milioni di anime non fossero risvegliate. Si deve quindi vedere in quest’ottica anche la disfatta nella campagna di Russia e quindi nell’intera guerra: Hitler era persuaso che chi porta questa energia porta il fuoco, di conseguenza il freddo sarebbe indietreggiato dove egli fosse avanzato; era intimamente persuaso, come i discepoli della teoria del ghiaccio, di aver fatto alleanza con il freddo e che quindi la neve delle pianure russe non avrebbe rallentato la sua marcia. La vera umanità, sotto la sua guida, stava per entrare nel nuovo ciclo del fuoco. Ma le previsioni si rivelarono false, le profezie non si realizzarono, gli elementi insorgevano e le stelle, nel loro corso, cessavano bruscamente di lavorare per l’uomo giusto: era il ghiaccio che trionfava sul fuoco. Così le truppe blindate che avevano vinto la Polonia in diciotto giorni e la Francia in un mese, le armate di Guderian, Reinhardt e Hoeppner, questa formidabile legione di conquistatori spariva nel deserto del freddo perché la mistica fosse più vera della terra. I resti di quella grande armata dovettero infine cedere e piegare verso sud. Quando, nella primavera seguente, le truppe invasero il Caucaso, si svolse una singolare cerimonia: tre alpinisti SS si arrampicarono sulla cima dell’Elbruz, montagna sacra degli ariani ed alta sede di antiche civiltà, e vi piantarono la bandiera con la svastica, benedetta secondo il rito dell’Ordine Nero. La benedizione della bandiera sulla cima dell’Elbruz doveva segnare l’inizio della nuova era: ormai le stagioni avrebbero ubbidito ed il fuoco avrebbe vinto il ghiaccio per millenni. Così le truppe risalirono verso nord e Stalingrado, per tagliare in due la Russia. Ma furono i discepoli della ragione coi loro visi tenebrosi che vinsero, gli uomini materiali, “senza fuoco”, con la loro scienza “giudeo-liberale” e le loro tecniche senza appendici religiose; furono gli uomini senza la “sacra dismisura” che, aiutati dal freddo e dal ghiaccio, trionfarono. Essi fecero fallire il patto, ebbero la meglio sulla magia. Stalingrado non é soltanto una disfatta militare e politica, l’equilibrio delle forze spirituali ne esce modificato, la ruota gira; a Stalingrado non é il comunismo che trionfa sul fascismo, é la civiltà umanistica che arresta lo slancio formidabile di un’altra civiltà, magica, non fatta per l’uomo ma per “qualche cosa di più che l’uomo”. Non ci sono differenze essenziali tra le azioni civilizzatrici dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti: l’Europa dei secoli XVIII e XIX ha fornito il motore che serve ad entrambe, a New York ed a Mosca non c’é esattamente lo stesso rumore, ecco tutto. In guerra contro la Germania c’era un solo mondo e non una momentanea coalizione di nemici fondamentali; un solo mondo che ha la stessa visione del cosmo, la stessa comprensione delle leggi universali e che assegna all’uomo lo stesso posto nell’universo, né troppo grande né troppo piccolo. Sarà quindi il piccolo uomo del “mondo libero”, il piccolo uomo positivo, razionalista, più moralista che religioso, sprovvisto del senso metafisico, senza sete di fantastico, quello che Zaratustra considera un uomo-apparente, una caricatura, ad annientare la grande armata destinata ad aprire la via al superuomo, all’uomo-dio, signore degli elementi, dei climi e delle stelle. Sarà di nuovo il crepuscolo degli dei. Non sono i nemici della Germania a vincere, sono le forze universali che si mettono in moto per sommergere la Terra, per punire l’umanità, perché l’uma- nità ha permesso che il ghiaccio vincesse il fuoco, le potenze della morte vincessero quelle della vita e della resurrezione. Prima di uccidere la moglie, i figli e se stesso, Goebbles pubblica un ultimo editoriale d’addio che si intitola “E quand’anche ciò fosse” dove scrive che il dramma non si svolge su scala terrestre ma cosmica, la nostra fine sarà la fine di tutto l’universo. La mente moderna rifiuta di ammettere che la Germania nazista incarnasse i concetti di una civiltà senza rapporto con quella attuale e tuttavia é proprio questo, e nient’altro, che spiega quella guerra; una delle sole della storia conosciuta la cui posta sia stata realmente essenziale: bisognava che una delle due visioni dell’uomo, del cielo e della terra trionfasse sull’altra, quella umanistica o quella magica. Non ne era possibile la coesistenza mentre volentieri riusciamo ad ammettere coesistenti il marxismo ed il liberismo, essi poggiano sulla stessa base ed appartengono allo stesso universo. Ciò che ha ostacolato l’ammissione di questa strana visione di una diversa civiltà stabilitasi per breve tempo al di là del Reno é l’idea puerile che la modernità ha della distinzione tra “uomo civile” e chi non lo é; la tecnica tedesca, la scienza tedesca, l’organizzazione tedesca paragonabli se non superiori a quelle del resto del mondo occidentale, nascondevano questo punto di vista: la formidabile novità della Germania nazista fu che il pensiero magico si unì alla scienza ed alla tecnica. Una nazione impegnata in una guerra in cui la tecnica é sovrana chiede alla scienza di sostenere la mistica, alla mistica di arricchire la scienza. A Londra o a Parigi, pensatori eccentrici, aberranti scopritori di cosmogonie e profeti di ogni sorta di bizzarrie scrivono opuscoli, frequentano retrobottega di vecchi librai, tengono conferenze ad Hyde Park o ne La Salle de Geographie; nella Germania hitleriana vediamo uomini di questa specie mobilitare le forze della nazione e l’apparato tecnico di un esercito in guerra, li vediamo influenzare gli alti stati maggiori, i capi politici, gli scienziati. In questa civiltà l’intuizione, la mistica, l’illuminazione poetica sono collocate esattamente sullo stesso piano della ricerca scientifica e della conoscenza razionale. Gli intellettuali detrattori della civiltà moderna e volti verso la mentalità delle epoche antiche, come ad esempio Guénon, Gurdjiev o gli innumerevoli induisti, sono sempre stati nemici del progresso tecnico; il nazismo invece fu il momento in cui lo spirito di magia si impadronì delle leve del progresso materiale. lettricità, si può dire che, in un certo senso, l’hitlerismo fu il guenonismo più le divisioni blindate. CONCLUSIONE Queste teorie, al pieno della loro affermazione, sono state espresse con un imponente apparato politico-scientifico, sono state sul punto di scacciare dalla Germania la scienza moderna quale noi la conosciamo; hanno determinato certe decisioni militari ed influenzato l’andamento della guerra. Non é noto perché teorie tanto potentemente affermate ed a cui hanno aderito decine di uomini e grandi menti, per le quali furono fatti grandi sacrifici umani e materiali, non siano ancora state studiate e siano ai più perfino ignote. Non bisogna certo essere così folli da pretendere di spiegare la storia con le società iniziatiche, ma si vede che il nazismo é “l’altro mondo” che ha regnato su di noi per alcuni anni e che é stato vinto ma non é morto né oltre il Reno né altrove. E questo non é terribile, terribile é la nostra ignoranza. Queste ed altre società, grandi o piccole, ramificate o no, colegate o no, sono le manifestazioni più o meno chiare, più o meno importanti di un mondo diverso da quello in cui viviamo: il nazismo é stato uno di quei rari momenti, nella storia della nostra civiltà, in cui si é aperta una porta su un’altra cosa, in modo clamoroso e visibile. Ed é molto singolare che gli uomini fingano di non aver visto e sentito niente, tranne gli spettacoli ed i rumori ordinari del disordine bellico e politico: questo aspetto non é stato mai ancora veramente studiato poiché né la Chiesa né il Razionalismo, altra chiesa, lo hanno ancora permesso. Ci si é accontentati di mettere l’accento sui soli aspetti esteriori, sulle formulazioni politiche, sulle forme esoteriche; non si é realizzato che gli avvenimenti di quel periodo storico sono comprensibili solo analizzandoli da questo nuovo punto di vista: in questo modo la storia riprende una certa ampiezza e merita di essere vissuta ricollocandosi al livello che le spetta, quello spirituale. Bisogna comprendere come una civiltà completamente diversa dalla nostra attuale é apparsa in Germania ed é durata alcuni anni, a ben guardare non é pensabile che una civiltà così profondamente diversa abbia potuto stabilirvisi in così brevissimo tempo. La civiltà umanistica odierna si basa anch’essa su un mistero: il fatto che tutte le idee coesistano e la conoscenza porLenin diceva che il comunismo é il socialismo più l’e- tata da un’idea finisce per giovare all’idea contraria; inoltre, nella nostra civiltà tutto contribuisce a far capire allo spirito che esso non é tutto. Un’inconsapevole cospirazione dei poteri materiali riduce i rischi, mantiene l’intelletto in limiti in cui la fierezza non é esclusa ma in cui l’ambizione é fortemente moderata. Come scriveva giustamente Robert Musil, grande romanziere austriaco autore de L’uomo senza qualità, “basterebbe che si prendesse veramente sul serio una qualsiasi delle idee che influenzano la nostra vita, in modo tale che non sussista assolutamente niente al suo contrario, perché la nostra civiltà non fosse più la nostra civiltà”. E questo é avvenuto in Germania, almeno nelle alte sfere del socialismo magico. Zenit intervista Gabriele Adinolfi sul concetto di Evola-Leninismo versi ma sono entrambi di matrice sia guerriera che filosofica e sono al tempo stesso ideali e pratici. Per la valenza spirituale, per le concezioni della storia, della materia, della vita, Evola e Lenin rappresentano due poli opposti, è vero. Entrambi però sono inconciliabili con il trasformismo, con il camaleontismo, con il quieto vivere. Insegnano, su piani diversi, sia l’impersonalità che lo spirito di servizio. Evola lo fa sui piani alti, Lenin su quelli bassi. Personalmente mi rifaccio ad Evola e non al bolscevico; però direi che i suoi insegnamenti operativi e metodologici e la sua formazione di quadri rivoluzionari sono esemplari e che dovremmo capitalizzarli anche noi per colmare il grosso gap che ci caratterizza che è rappresentato da un’improvvisazione continua su tutto. All’estrema sinistra manca spesso la scintilla, lo spirito, l’idea, la vertigine, l’altezza. Negli ambienti nazionalisti c’è però improvvisazione, soggettivismo, rappresentazione superficiale della realtà. Questo va corretto. Che è come dire che a gente che gioca decentemente a pallone bisogna insegnare lo spirito di quadra, fornirla di schemi e di tattiche e dotarla di una buona preparazione fisica al fine di renderla competitiva ai massimi livelli. 2) Secondo te è possibile applicare tale termine per analizzare, spiegare e in qualche maniera prevenire la societa attuale? Perché no? Oltre a essere provocatorio rende l’idea e fornisce anche dei riferimenti concreti e precisi. Anche se non è questione di termini ma di contenuti. Tutte le rivoluzioni nazionali si realizzarono grazie alla psicologia popolare che sicuramente era reazionaria ma fu rettificata da capi rivoluzionari quasi tutti cresciuti a sinistra, a cominciare da Mussolini e Doriot, e comunque mai a destra: neppure Franco proviene di là. Attenzione però: non sto proponendo un innamoramento della sinistra o il recupero di suoi temi, parole, ragionamenti. Niente di tutto ciò: non ho nulla da 1) Gabriele, ultimamente hai scritto una nota sull’e- copiare o da imitare. La mia provocazione che tira in volaleninismo, da dove ti è venuta l’idea di associare ballo Lenin va in rotta di collisione con tutti gli inEvola con Lenin, due personaggi che sono agli anti- namoramenti e con tutti gli estetismi rossobruni, napodi? zionalbolscevichi e via dicendo che non soltanto non sono evoliani ma non sono neppure leninisti: non Lo sono, è vero. Ma io non li ho confrontati tra loro, sono, infatti, mai realisti, oggettivi, intrisi di volontà non li ho colti nella loro opposizione valoriale, mi di potenza ma puri soggettivismi astratti, un neofasono soffermato invece sui loro specifici modi di porsi scismo terminale che volendosi negare e superare si nei confronti della realtà. Sono due modi molto di- consolida e si pietrifica in tutte le sue mancanze e nella Intervista a cura di Livio Basilico sua sterilità. 5) Per finire, è meglio cavalcare la tigre o affrontarla 3) Evola parla di “agire senza desiderio”, la non azione. con spregiudicatezza? e? da intendersi piuttosto come azione disinteressata, nel senso che l’anima guerriera non è mai immobile Non so se si possa realmente cavalcare una tigre, ma anzi egli è sempre attiva, ma non è schiavo delle azioni di sicuro non lo si può fare se non la si affronta spree non si strugge per i risultati, ma agisce per l’amore giudicatamente e se non la si doma. dell’azione. Come possiamo applicare tale filosofia, noi che siamo viziati dalla nostra cultura occidentale Questo non vale solo per la politica ma per l’esistenza. utilitaristica? Politicamente, la tigre che obbedisce al demone di Essendo padroni di se stessi. Un tempo si diceva che si gravità nicciano, quella dell’utilitarismo economicista dovesse fare innanzitutto formazione spirituale e poi e progressista, quella della Grande Madre che divora politica, che ci si dovesse distinguere per stile ed esse- uomini ed eroi, quella della Società che uccide la Lire esemplari sempre. Da qualche decennio non va più bertà, quella dell’informe che uccide la personalità, da di moda e si vedono i risultati. Da qualche tempo in quando esiste non si è mai battuta guardando indiequa io sto però agendo nuovamente in quella direzio- tro e cercando di tornare a come si stava prima. Chi ne e conto di formare persone che superino il pregiu- lo ha fatto l’ha sempre potenziata pur senza volerlo. dizio utilitarista ma andando comunque a realizzare La Restaurazione interruppe la rettifica di Napoleone cose importanti. Senza esserne schiave né ipnotizzate. e instaurò la dinastia dei Rotschild. Le destre che si Si può, basta essere presenti a se stessi. La nostra fibra, opposero ai fascismi settant’anni fa alimentarono sia la nostra tempra, lo hanno permesso per millenni e le banche che il comunismo. Ogni rettifica è possibinon c’è ragione di abdicare proprio ora. le solo cavalcando la tigre e dominandola. Da Cesare fino a Peron è sempre andata così e non potrà mai an4) In un epoca come la nostra di grandi cambiamenti dare altrimenti. e di vuoto spirituale, urge ritrovare lo spirito rivoluzionario sommerso in noi, abbiamo l’impressione che il “nemico” sia ovunque senza mai farsi realmente vedere. Forse perchè il vero nemico siamo per prima noi stessi? Cosa ne pensi? E’ così, senza alcun dubbio. E non basta ritrovare lo spirito ed essere padroni di noi stessi, dobbiamo imparare a continuare la lotta in una società ormai liquida e trans-nazionale che non vedrà mai più nulla di quello cui siamo abituati, né in politica né nei modi di convivere della gente. Dobbiamo capire cosa dev’essere una minoranza qualificata, cosa deve fare e come può diventare protagonista della sua era che altrimenti ci sembrerà sempre e soltanto ostile e a nulla servirà attriburne la colpa a questo o quel responsabile perché non sapremo comunque come comportarci. Tant’è che a questa realtà i nazionalisti oggi oppongono il ritorno al passato o l’intervento salvifico dell’Armageddon: prove evidenti di un disagio e di una non collocazione nel reale. Anche a questo scopo ho scritto un libro breve, di formazione, L’Europa, recentemente tradotto in francese che si ripromette di disegnare qualche direttrice positiva e d’iniziare un confronto per ridisegnare un’Europa rivoluzionaria, per riattivare focolai, per produrre dei veri e propri Euroschocks. 347/0635766 - 392/5534827