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82
FEDE
tura del sottosuolo paludoso, per
profittare di quelle naturali risorse, che offre il luogo 'stesso in
concorso coll'opera umana.
Che cosa invece si è fatto nelle
paludi di Arneo?
Si sono scavati dei lunghi canali di circonvallazione per raccogliere le acque piovane delle alture e le sorgive dei bassifondi e
scaricarle a mare o nei bacini
delle trombe e vapore.
Vedono anche i profani elio, specialmente nelle annate piovose, le
pompe non potevano prosciugare
bene le paludi entro il periodo dei
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aricoli,
ed impedire i miastili al giungere della stagione calda. 11 livello, poi, dei fondi paludosi è tale in rapporto a quello del
mare, che i canali collettori non
possono avere una penchnza da favorire il pronto smaltimento delle
acque stagnanti.
Si sarebbe invece dovuto profittare di tutte quelle caverne naturali così dette spunn q rate, che tanto abbondano in quei dintorni e
farle funzionare da idrovori. Altre caverne potevano aprirsi colla
dinamite negli stessi bacini paludosi, ed allora le paludi più alte
del mare si sarebbero prosciugate,
e quelle più basse si serebbero
convertite in lagune pis•ose. nuova fonte d'industria. Nè queste opi::
nioni sono infondate, poichè la natura del suolo circostante e la formazione delle, stesse ei dieGno clic, sotto uno strato di sabbia, portato dalla marca, esiste lo
scheletro calcareo, sotto cui per lun■Yo tratto s'addentra il mare. Bastava, quindi, rompere questo fondo
roccioso per giovarsi dalla teoria
dei vasi comunicanti, con una spesa relativamente minima.
Questi miei pensieri, frutto di
osservazioni locali, ho voluto portare a. conoscenza di chi s'inte-
ressa della cosa pubblica, colla
speranza che ciò possa giovare.
Gustavo Perrone
d. R. — Arneo,• S.'t7 tenuta, e he si
slazia a 2n chilometri da Nard3 , /ungo /e
aste orientali del Go/A, di Taranto. ("bertosa vi è la terra, abbondanti le cacce ; ma
l'aria è azroelenala ancora dai miasni diinnumerevo i stazni e paludi, che la fanno
quasi deserta, specialmente nei mesi e.ctivi.
il Cataldi (nella sua Alezio illustrala), sulle
tracce del Fronfino, sostiene che era qtresta
l'agro di Varnus, città di/i-n.11a poco lungi
di Azianduria, e che il suo nome era Varnèo, campo di Etnia. Go§redo Normanno — a quanto afferma e dimoslra G. Bernardino Tafuri nel ed Antichità di Nar•
do. — Libro I. Cap. V) donò questo immenso possesso alla Mensa Vesco:'ile di
Nardo. Nel 5412, vi esisteva ancora un casale
a ppellato S. Ni-olò d'A:-Iù,), con Parrocchia
ed Arciprete; ma distrutto, il sito territorio rimase uno dei 24 feu li nobili nerilini.
LA PRIIVIOGENIA LIRICA PUGLIESE
Se nel regno di Puglia e di Sicilia vedesi
Coltivata la poesia italiana, almeno 300 anni innanzi del secolo XIV., come risulta
dalle Dottrine dello Schiavo di Bari, che,
a parte, illustreremo, e poesia, specialmente
nella Corte di Federico II, questi popoli:possono — a buon diritto — arrogarsi la gloria
di essere stati i primi, che alla poesia si
rivolgessero. Ed il Petrarca afferma che essi
come quelli che primamente poetarono nel
volgare nostro linguaggio. I primi documenti
della lirica italiana sono, oltre i., versi della
dottrina, le poesie di Cielo o Citano d'Alcarno e di Guido delle Colonne, quelle di
Federico II, di Manfredi e Enzo suo figlie,
di Jacopo da Lentino e di Pier Del:e Vigne, il quale ultimo si ritiene pugliese e nato
in Altamura, tanto ciò vero che, in una sua
fossero gli inventori delle rime e strambotti
epistola, ripartata dal cronista Rolandinot egli
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RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA
si app (lesa da sè stesso « Apulus >>-- Un
Delle . Vigne di Altamura fu maestro del
Verdi ed il chiarissimo senatore Ottavio Serena se ne occupa nel suo opuscoli « musica e musicisti in Altamura », I nobili
Firrau di Altamura e Matera si vantano discendenti del grande segretario di Federico II,
Pier Delle Vigne, il primo e più grande statista e poeta dei suoi tempi.'
I primi poeti pugliesi cantarono così leggiadramente, non per nativa proprietà di
linguaggio fiorentino, nè così scrivevano
per studio di grammatica toscana o di vocabolario, perchè nè l'una nè l'altro erano
sorti, in quel tempo, in Toscana. Tuttavia dobbiamo convenire che questo sia
davvero linguaggio nobile ed illustre e che
niente di più gentile e di più purgato trovasi
negli scritti poetici di Folcacchieri, di Brunetto, di Mocato, di B„maggiunta, di GuitVarie D'Arezzo e degli altri anticbl toscani.
Come il dottissimo e sommo Galiani afferirla, il linguaggio, che allora usavasi nella
più gran corte d'Italia, era non già il siciliano o il napoletano, ma il pugliese, che
appella primo genito fra i dialetti italiani,
e nel quale il colt i ssimo Imperatore Federico II ordinava che si parlasse nelle assemblee e nelle accademie e parlamenti,
e si scrivesse nelle poesie, che egli, per il
primo, per dare il buon esempio, magnificamente componeva ir. un tale linguaggio. Il quale era fin d'allora tanto nobile ed illustre che anche ora pochissimo
o quasi per nulla si discosta dalla comune
lingua di Italia, come può facilmente scorgersi da queste rime di Federico, che così
si rivolge alla donna sua:
Valor su l'altre' avete,
E tutta conoscenza.
Null'uomo non potria
Vostro pregio contare:
Di tanto bella siete/
Secondo mia credenza.
Donna non è che sia
Altra si bella e pare;
Nè ch'aggia insegnamento
Di voi, donna sovrana.
La vostra cera urnaina
Mi dà conforto, e fac.'nei allegrare,'
atleir«re i' m 1,244(i o derilm orbo.
83
Di Re Manfredi sono questi, per quei
tempi ed anche per i nostri, bellissimi versi:
E vero certamente credo dire
Che ,fra le donne voi siete sovrana,
E d'ogni grazia e di virtù compila,
Per cui morir d'amor mi sarai vita.
In una canzone di Enzo Re, si trova
questa gemma :
Giorno non ho di posa,
Come nel Mare l'onda:
Core, chè non ti smembri?
Esci di pene e dal corpo ti parte:
Ch'assai vai meglio un'ora
Morir che ognor penare:
Di Jacopo da Lentino, pugliese,
queste magnifiche rime :
sono
Ben vorrei che avvenisse
che Io mio core uscisse
Come incarnato lutto,
E non dicesse tutto — a voi sdegnosa:
Chè amore a tal m'addusse,
Che se vipera fusse
Naluria perderea:
Ella mi vedera: fora pietosa.
Ma a tutti gli altri poeti di quel tempo
sovrasta, anzi com'aquila vola, Pier Delle
Vigne, con le sue poesie, che, oltre ad es-
sere le migliori per sentimento lirico, sono
ammirevoli per • la scelta delle frasi, per la
musicalità della dizione, per , la purezza della
lingua e per la proprietà e correttezza della
sintassi, come può rilevarsi dai suoi versi, che
sembrano scritti appena oggi, tanta è la
freschezza e la passione che emana da essi :
Amore, in cui i' vivo ed ho fidanza,
Di voi, bella, m'ha dato guiderdone:
Guardami infin che venga la speranza,
Pure aspettando buon tempo e stagione.
Com'uom ch'è in mare ed ha speme di g-ire
Quando vede lo tempo ed ella spanna
E giammai la speranza non l'inganna.
Così farà, madonna, il mio venire.
Ohl potess'io venire a voi, amorosa,
Come il ladrone ascoso, e non paresse!
Ben mi terria in gioia avventurosa,
Se amor tanto di bene mi faceste,
•
E' ben parlante, Donna. con voi fora,
E direi come v'ami dolcemente
Più che Pirano Tisbe; e lungamente
v'amerag-gio, in sin ch'io viva, ancora,'
Vostro amore mi tien in tal disire
E donami speranza e sì gran gioia,
Che non curo sia doglia, e siamartzre,
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=Ti!
FEDE
Che s'io troppo dimoro, aulente cera,
Sarà ch'io pera, e voi mi perderete:
Adunque, bella, se non mi volete,
Guardate ch'io non moia in vostra spera.
In vostra spera vivo, donna mia,
E lo mio core ad esso voi rimando:
Già l'ora tarda mi pare che sia:
E fino amore al vostro cor (limando.
I' guardo tempo che mi sia piacente,
E spando le mie vele in ver voi, Rosa,
E prendo porto là ii si riposa
Lo mio core allo vostro insignamente,
.Mia canzonetta, porta i tuoi compianti.
A quella che in balìa ha lo mio core,
Tu le mie pene contale devanli,
E dille com'io moro per su' amore,
E mandami per suo messaggio a dire
Com'io conforti. l'amor che le porlo.
C se io ver lei feci alcun /orto,
Donimi penitenza al suo volere.
Come vedesi in questi splendidi versi,
non vi è parola che • non sia perfettamente
italiana e forbita ed elegante, come i nostri
poeti di oggi usano : onde questi meravigliosi versi non hanno proprio niente da invidiare ai migliori del secolo di Dante e
forse all'autore stesso della Divina Commedia.
« Tutti questi versi ebbero non piccola
influenza nella formazione del volgare, sviluppando le forme grammaticali e la sintassi e il periodo e gli elementi musicali,
tanto che, nei brani più rozzi, troviamo un
calore e una melodia che ci fa presentire il
Petrarca ». (Fran. De •antis — Storia della
Letteratura italiana — Bibliot. Class. Sonzogno — Milano).
Tutti questi poeti, compreso il gran Federico, il quale era nato a Jesi, nè mai
era vissuto nelle terre di Toscana, avevano
talvolta questa favella, dal linguaggio pugliese o siciliano e più del primo che dal
secondo, perchè nel Cartulariuin del Morea
e nei C C Diplomatici Baresi noi trqviamo gran copia, per nen dire tutti gli stessi
vocaboli, che si riscontrano nelle poesie com•
poste in quella lingua, che fu creduta sì nobile cosa che gii stessi imperatori la togliessero dalle piazze e la ponessero sopra
il trono. E facciasi pure stima tra il volgare di costoro e quello dei vecchi fiorentini ; vedr4ssi che 9uello, come dice Dante,
in nulla è differente da quello che è laudabilissimo (Perticari).
Così prima che scrivesse Dante, il Re
della volgare eloquenza, cantarono, in grossi
versi e con italiche parole, i pugliesi Guglielmotto di Otranto e Stefeno Protonotario :
poi Guergiolo da Taranto e Marco, i quali
non scrissero giammai nel volgare dialetto,
ma in quella lingua d'Italia, che, se in alcun
luogo poteva nel dugento appellarsi cardinale ed illustre, solo si poteva colà dove da prima ebbe fondamento ed onore
-(Perticari) (cioè in Puglia ed in Sicilia). E sebbene molte prose e versi di autori pugliesi
siano andati smarriti, nascondendo nel tempo il loro nome e la fama, tuttavia quello
che da essi ne rimane è bastevole per non
farci perdere la gloria, insieme ai siciliani,
di avere fondato l'illustre e comune lingua d'Italia. Così il grammatico ne ammaestra che « in quella lingua, nella quale si cantarono assai canzoni, poteva can
tarsi un poema: e quella, che in versi
c ;nta un poema, può bastare al bisogno
di migliaia di volumi, così di versi come di prose. Perciocchè lo scrivere piuttosto molte canzoni che un poema è cosa
che pende o dall' arte, o dall'ingegno, o
dalla volontà . del poeta, non dalla lingua
di lui (Perticari).
o L'impresa che noi riguardiamo quasi
più che umana di creare una• nuova lingua
letteraria fu avanzata e consumata da Dante í ma riuscirà meno meravigliosa .. per chi
considera che non fu incominciata da lui,
ma che egli fu incoraggiato in sì difficile
via dai poeti che lo precedettero. Pier Delle
Vigne fu ccrtamepte il primo, se non il
maggiore, cent'anni innanzi Dante, e in
un'epoca in cui gli italiani parlavano nn
gergo latino mutilato nelle sue terminazioni
e imbarbarito da parole e frasi introdotte dai
popoli del nord. 11 gusto corretto, l'orecchio
musicaie di Pietro lo aiutarono a trascegli2re le più schiette parole, allegarle con
frasi eleganti e a collogarle nella misura
dei versi in maniera che fossero profferite con rotondità o melodia. Così, versi seguenti, non v'è un unico sgrarnmatical
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RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA
mento di sintassi, nè un modo di esprimersi inelegante, nè un solo vocabolo che
possa parere troppo antico :
Non dico che alla vostra gran bellezza
Orgoglio non convenga e stiate bene ;
Chè a bella donna orgoglio si conrene,
Che la mantene in pregio ed in grandezza:
Troppa alterezza è quella che scoravene
Di grande or,g-oglio mai ben non avvène,
(Foscolo — Lezioni di Eloquenza — Bibliot,
Classsica Sor.zogno
Milano).
" Rimane dunque dimostrato all'evidenza
che questo nostro volgare, che poscia è diventato la meravigliosa lingua italiana, già
esisteva nel regno di Puglia e di Sicilia,
dove si era egregiamente sviluppata, molti
anni prima che nascesse Dante, come lo at-
testano i documenti da noi sopra riferiti ed
illustrati, Il che dice ancora del grande
contributo che il linguaggio pugliese portò
alla formazione e costituzione della lingua
italiana,
Mola di Bari, febbraio 1924,
Giaocchino Gambatesa
d. D. — Quando, nel 1893, pubblicammo il
primo volume di Origine e Fortuna della Cultura
Salentina, Prospettammo l'ipotesi, ora, così validamente sostenuta dall'illustre Dott. Gambatosa.
Per portare un contributo di documenti alla nofatica del nostro collaboratore, del prossimo
fascicolo, riprodurremo i due sonetti di Gugliel.
mollo da Otranto e di Garzolo o Guerzolo da
Taranto, che noi trovammo nell'Allani e nel
Crescimbeni e confrontammo con i codici originali.
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Per la tutela dei nostri IVIonumenti
Se il titolo delle presenti osservazioni avesse la formula interrogativa, si potrebbe rispondere senz'altro : niente.! Ma, per attenuare la risposta tout court negativa, _lasciamo- indeterminata la proposizione tematica per vedere un po' come vengono tutelati custoditi rispettati i nostri monumenti.
, (Intendo, questa volta, parlare di quelli . di
Lecce per limitarne l'indagine).
Certo, un'acquiescenza mortificante v'è
da parte di tutti i poteri cittadini a non salvaguardare il patrimonio di una certa importanza storica, archeologica, artistica. Mancanza di tutela o difetto di sentimento patrio investe il Municipio e con esso il ,cosidetto Ufficio d'Arte, che non abbiamo visto mai intervenire a impedire le mostruosità edilizie, volute dalla bizzarria privata o
a modificarne la struttura, l'ubificazione e
l'orientamento, o vietare le demolizioni o le
costruzioni inopportune. Il suo intervento
dovrebbe essere necessarie per evitare asimmetrie, deturpazioni e deformazioni, che violentano il senso estetico dei cittadini, il cui
gusto tradizionalmente elevato viene ad essere sopraffatto per volontà di chi, o non è
sensibile la concezione dell'estetica, o è mosso da criteri o interessi di altra natura.
Né le brigate degli Amici dei monumenti
intervengono a dir la loro parola ed elevare la
loro protesta ; o, se lo fanno, la protesta non
è presa in considerazione,
Nè — ora almeno — può levarsi la voce e
l'autorità dell'Ispettore onorario dei monumenti e degli Scavi, perchè Lecce, dopo la
morte del signor Niccolò Foscarini, è rimasta senza ispettore, e il prof. Pietro Marti,
Direttore di questa Rivista e valoroso in
materia archeologica, benchè risieda a Lecce,
è Ispettore delle Circoscrizioni di San Cesario e di Vernole.
I pochi solitari, davvero gelosi del patrimonio storico artistico archelogico di casa
nostra, elevano sè la voce di tanto in tanto,
notano, protestano, gridano, ma le loro voci
restano come quelle di chi grida nel deserto...
nel deserto della indifferenza di coloro, che
dovrebbero raccoglierle, ed in quello della dormiente popolazione, abituata alle manomissioni, che sono tollerate dall'alto. Dall'alto,
perchè agli Ispettori onorari dovrebbero essere devoluti altri mezzi, altri poteri, che
non siano quelli puramente fittizi e platonici,
che loro competono. Se il Governo volesse
proprio aver cura della conservazione delle
nostre cose d'arte, dovrebbe organizzare in
ben altro modo la rete dei servizi; invece,
esso, per rendere ancor più problematica
l'opportunità della tutela, ha rimosso da Bari
la Sovraintendenza dei Monumenti regionali
e l'ha fissata a Napoli, con giurisdizione naturalmente più larga, ma che, quando s'irradia sino a questa provincia, finisce col giungere con forza oh quanto attenuata !
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