SPAZIO LIBERO
Numero 45 – febbraio 2008
Anno
IV
RUBRICHE:
Editoriale Mondo filiali Attualità C’era una volta Cinema e cultura Flash
EDITORIALE
GIOVANI E DIRITTO DI ASSOCIAZIONE
Stanno entrando nuove generazioni in banca…
Questa banale constatazione comporta, invece, una formidabile sfida al Sindacato, a cominciare
dalla prima e più insidiosa domanda che rivolgono i giovani: cosa significa l’eventuale iscrizione
al Sindacato? Proviamo a rispondere.
La possibilità di iscriversi al Sindacato è l’evidente portato del diritto di associazione,
costituzionalmente garantito; cioè un gruppo di persona ha libertà di associarsi, di mettersi
insieme.
Leggiamo, a tal proposito, questa semplice, “fresca” e magistrale esposizione di Di Vittorio (primo
Segretario della CGIL del dopoguerra):
“Il diritto di associazione è senza dubbio fra i diritti fondamentali del cittadino………..Tale diritto
deve essere riconosciuto a tutti i cittadini di ambo i sessi e di ogni ceto sociale, senza nessuna
esclusione.
Tuttavia, la Costituzione non può ignorare che se il diritto di associazione deve essere garantito
ad ogni cittadino, esso ha però un valore diverso per i differenti strati sociali.
Nell’attuale sistema sociale, infatti, la ricchezza nazionale è troppo mal ripartita, in quanto si
hanno accumulazioni d’immensi capitali nella mani di pochi cittadini, mentre l’enorme
maggioranza di essi ne è completamente sprovvista.
In tali condizioni è chiaro che …..il cittadino lavoratore ed il cittadino capitalista non si trovano
affatto in condizioni di eguaglianza. Il cittadino capitalista, basandosi sulla propria potenza
economica, può lottare e prevalere anche da solo in determinate competizioni di carattere
economico.
%
EDITORIALE
segue:”GIOVANI E DIRITTO DI ASSOCIAZIONE”
Il cittadino lavoratore, invece, da solo non può ragionevolmente nemmeno pensare a partecipare a
tali competizioni.
Ne consegue che per il cittadino lavoratore la sola possibilità che esista -..….senza essere
schiacciato in partenza – è quella di associarsi con altri lavoratori aventi interessi e scopi
comuni, per controbilanciare con il numero, con la associazione e con l’unità di intenti e
d’azione degli associati, la potenza economica del singolo capitalista od un’associazione di
capitalisti.
Il Sindacato, perciò, è lo strumento più valido per i lavoratori, per l’affermazione del diritto alla
vita e del diritto al lavoro……”
Lo strumento più valido per il diritto alla vita (intesa come dignità) e il diritto al lavoro:
rimane questa, dunque, la risposta prima da dare ai giovani.
MONDO FILIALI
Continua l’esame del mondo ex Intesa, iniziato lo scorso numero.
Dopo aver visto la filiale ordinaria, vediamo il centro imprese: la differenza più
marcata con le filaili impresa ex san Paolo è nella mancanza del back office
imprese.
Il centro imprese è la struttura a presidio della clientela imprese, attualmente
individuata con fatturato oltre € 2,5/mil, al di sotto è competente la filiale
ordinaria. Dimensioni e figure professionali si configurano rispetto alle
caratteristiche del mercato presidiato
DIRETTORE
RESPONSABILE CREDITI
GESTORE IMPRESE
ASSISTENTE IMPRESE
MONDO FILIALI
CENTRO IMPRESE*
FIGURA
PROFESSIONALE
CONDIZIONI
INQUADRAMENTO
D’INGRESSO
DIRETTORE
UGUALE ALLE FILIALI
ORDINARIE
UGUALE ALLE FILIALI ORDINARIE
DIRETTORE CON RUOLO
CHIAVE
LIVELLO DI
STRUTTURA 2
QD4 R.C.FASCIA 2
LIVELLO DI
STRUTTURA 1
QD4 R.C. FASCIA 1
DA 4 A 5 UNITA’
3’AREA 4’LIVELLO
DA 6 A 9
QD1
OLTRE 9
QD2
GESTORE IMPRESE
PORTAFOGLIO
IMPRESE
3’AREA 4’LIVELLO
-DOPO 24 MESI: QD1
-DOPO ALTRI 24 MESI: QD2
ASSISTENTE CENTRO IMPRESE
NECESSITA’
SUPPORTO
GESTORE
3’AREA 1’LIVELLO
-DOPO 12 MESI:
3’AREA 2’LIVELLO
-DOPO ALTR1 24 MSI:
3’AREA 3’LIVELLO
- DOPO ULTERIORI 24 MESI:
3’AREA 4’LIVELLO
RESPONSABILE CREDITI
(ove previsto)
PERCORSO
PROFESSIONALE
*Le imprese con 50/mil di fatturato afferiscono al Centro Corporate; le imprese con 300/mil di fatturato
afferiscono al Large Corporate Italia; queste due strutture fanno riferimento alla Divisione Corporate e
non alla Divisione Rete di cui fa parte il Centro Imprese che stiamo esaminando.
I centri imprese possono prevedere degli addetti operativi (casse)
Il livello di struttura (1 o 2) risponde a un criterio di autonomia creditizia
194
Alla luce di un sempre più visibile impegno dei comitati “per la vita” - avente come oggetto “la difesa della
famiglia” e, più specificamente, l’ostracismo alla legge 194 - mi chiedo dove siano finite le femministe
combattive e talvolta finanche esagerate degli anni ’70. Quelle che “l’utero è mio e lo gestisco io”.
Oggi le donne possono scegliere di abortire in sicurezza, ciascuna con la sua storia e con un dramma
strettamente personale.
Sarebbero tante le domande da farsi: cosa prova una donna che interrompe una gravidanza? Come ricorda
la sua sofferenza? Ma soprattutto, come affrontare le angosce di una decisione da prendere con
tutto il carico di responsabilità che ne deriva? Le risposte non interessano a tutti. Non interessano
ad una corrente moralista e perbenista, nonché pia e devota anche se atea o semplicemente
conservatrice, perchè “così è sempre stato”. Non interessano ad uomini imporporati di rosso, anello
d’oro al dito, mani bianche e pulite, anziani senza prole, che pretendono di sapere tutto di famiglia,
educazione e figli, senza aver mai vissuto tali esperienze. Pronti a scagliare la prima pietra senza
averne titolo. Fedeli ai propri dogmi sino ad apparire talvolta cinici, perchè “Dio lo vuole”. Le donne, in
questo periodo, sono sole. Divise tra una categoria di uomini che le preferiscono “trastullo dei
lavoratori” ed un’altra, invece, (più sessuofobica) come “angeli del focolare”. Vittime di una visione
ideale della famiglia da applicare come modello assoluto ed indiscusso.
Gli uomini che tuonano contro l’aborto sono sacerdoti, colleghi, amici oppure mariti di donne spesso
accondiscendenti, illuse della loro libertà senza valutare che in questa drammatica materia la loro
scelta - in un futuro non più remoto - potrebbe ridursi ad una sola alternativa: una lussuosa clinica
estera oppure una comoda mammana della porta accanto. Donne quiete del loro vivere, riscaldate da
un camino protettivo del loro maschio pastore, pensano che tutto ciò non riguardi - e mai lo farà - la
loro immacolata reputazione. Ignare che ancora oggi il loro corpo è un campo di battaglia dove
eserciti di maschi piantano le loro bandiere ed innalzano altari ai loro dei.
Per tale motivo, infatti, le spallate alla legge 194 rappresentano il prologo alla riaffermazione di un vitale
dominio sulle donne per tagliare, poi, servizi sociali di cui si vuole siano loro a doversi occupare, per
escluderle dal lavoro (disoccupazione femminile italiana più alta d’Europa) e dai ruoli di responsabilità.
E dopo di esse toccherà agli omosessuali, ai laici, agli scienziati, e chissà a quali altre categorie.
Le donne hanno bisogno di difendersi, di essere solidali verso le meno fortunate che non hanno una
famiglia, un lavoro o un “buon marito” che permetta loro di trovare all’estero ciò che non è possibile in
Italia. Dovrebbero impegnarsi per la difesa della 194 come non hanno fatto per i referendum sulla
fecondazione assistita da esse disertato in massa. È difficile conquistare la libertà, ma più difficile
ancora è difenderla poi. Rinunciarvi subito, equivale a fare di essa un’ora d’aria per un prigioniero.
fede e ragione – uomo e donna
La disputa fra fede e ragione non fu sempre, come oggi, combattuta a colpi di opinioni, articoli e pamphlet, ma ebbe
momenti ed episodi cruenti e, a volte, si intrecciò con un altro grande conflitto “culturale”, quello tra uomo/donna
Ci riferiamo a quanto accadde nel marzo del 415 d.c., quando un assassinio impresse, come disse Gibbon in Declino e
caduta dell’impero romano, «una macchia indelebile» sul Cristianesimo. La vittima fu una donna: Ipazia, detta “la
musa” o “la filosofa”. Il mandante un vescovo: Cirillo, patriarca di Alessandria d’Egitto.
Il contesto storico in cui l’avvenimento ebbe luogo è il periodo in cui il cristianesimo effettuò una mutazione genetica,
cessando di essere perseguitato con l’editto di Costantino nel 313, diventando religione di stato con l’editto di
Teodosio nel 380, e iniziando a sua volta a perseguitare nel 392, quando furono distrutti i templi greci e bruciati i
libri “pagani”.
Gli avvenimenti ad Alessandria precipitarono a partire dal 412, quando divenne patriarca il fondamentalista Cirillo. In soli
tre anni il predicatore della religione dell’amore riuscì a fomentare l’odio contro gli ebrei, costringendoli all’esilio.
Servendosi di un braccio armato costituito da monaci combattenti sparse il terrore nella città e arrivò a ferire il
governatore Oreste. Ma la sua vera vittima sacrificale fu Ipazia, il personaggio culturale più noto della città.
Figlia di Teone, rettore dell’università di Alessandria e famoso matematico egli stesso, Ipazia e suo padre sono passati
alla storia scientifica per i loro commenti ai classici greci: si devono a loro le edizioni delle opere di Euclide e
Archimede che presero la via dell’Oriente durante i secoli, e tornarono in Occidente in traduzione araba,.
In un mondo che ancora oggi è quasi esclusivamente maschile, Ipazia viene ricordata come la prima matematica della
storia: l’analogo di Saffo per la poesia, o Aspasia per la filosofia. Anzi, fu la sola matematica per più di un millennio:
per trovarne altre, da Maria Agnesi a Sophie Germain, bisognerà attendere il Settecento. Ma Ipazia fu anche
l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, oltre che la principale esponente alessandrina della
scuola neoplatonica.
Le sue opere sono andate perdute, ma alcune copie sono state ritrovate nel Quattrocento; per ironia della sorte, nella
Biblioteca Vaticana.
Il razionalismo di Ipazia, che non si sposò mai a un uomo perché diceva di essere già «sposata alla verità» costituiva
un controaltare troppo evidente al fanatismo di Cirillo. Uno dei due doveva soccombere e non poteva che essere
Ipazia: perché così andava e va ancora il mondo
Aggredita per strada, Ipazia fu scarnificata con conchiglie affilate, smembrata e bruciata. Oreste denunciò il fatto a
Roma, ma Cirillo dichiarò che Ipazia era sana e salva ad Atene. Dopo un’inchiesta, il caso venne archiviato «per
mancanza di testimoni».
Come si vede, già i puri fatti sono sufficienti a imbastire un discreto romanzo, come ha fatto Caterina Contini in Ipazia e
la notte. Se poi questi fatti sono riconosciuti con attenzione psicologica e filosofica, e narrati con scrittura dolce e
ispirata, allora diventa ottimo, e permette alla figura di Ipazia di stagliarsi luminosa nel buio della notte che la
inghiottì insieme alla verità, sua sposa.
Ipazia aveva due difetti: era donna e con una testa pensante.
AMERICAN GANGSTER di Ridley Scott
Fin dall’inizio della sua carriera di regista con “I Duellanti” l’inglese Ridley Scott si è segnalato come uno dei più interessanti
maestri di cinema. Infatti, la sua filmografia è ormai piena di opere famose e di “cult movies” come “Blade Runner”
(tratto da Philip Dick), “Alien” e “Il Gladiatore”. Scott si è rivelato bravo anche quando si è cimentato come regista di
“genere” con il poliziesco “Chi protegge il testimone” oppure nello “storico-politico” con “1492-la conquista del paradiso”,
nel quale illustra la vicenda umana, storica e politica importantissima per l’umanità, di Colombo e della sua scoperta del
nuovo mondo e, inoltre, con “Thelma e Luise”, viaggio disperato di ribellione alla condizione femminile negli Usa.
Con “Amerigan Ganster” Ridley Scott fornisce un’ulteriore prova della sua maestria raccontando NON solo la vicenda di F.
Lucas (Denzel Washington) – gangster afroamericano che dominò negli anni 68/75 del secolo scorso a New York,
smerciando cocaina a buon mercato, comprandola alla fonte, nel sud est asiatico – ma mettendola in parallelo ed a
confronto con la vicenda del poliziotto, interpretato da Russell Crowe. Confronto soprattutto rispetto alle diverse scelte
morali ed esistenziali (di dominio mafioso ed assassinio da un lato e di limpidezza ed onestà dall’altro) fatte dai due
nello stesso contesto, caratterizzato dalla corruzione nella società americana, nella polizia newyorkese, come
nell’esercito Usa, impegnato in quel momento nella guerra in Vietnam. Tale corruzione, che creava autentici mostri di
“gangsterismo statale” nella polizia e nell’esercito, fu lo strumento del dominio mafioso creato da F. Lucas. Ciò che è
interessante in “American Gangster” è, naturalmente, il modo ed il metodo cinematografico proposto da R. Scott, cioè
un ritorno al racconto classico per “montaggio alternato” usato per descrivere l’opera, le fortune mafiose, l’ipocrita vita
familiare di F. Lucas ed in contemporaneità come esse erano devastanti per le persone, le famiglie ed il mondo
afroamericano di New York, per la diffusione mortale della droga illustrate attraverso scene anche visivamente
“disturbanti” che rimandano alla lezione cinematografica di Spike Lee (regista di Malcom X, Jungle Fever, Fa la cosa
giusta, Mò Better Blues, etc.) sul mondo afroamericano statunitense.
Lo stesso espediente narrativo in “montaggio alternato” è usato nel descrivere la soluzione finale del film, ovvero la retata
finale del poliziotto Crowe ed in contemporaneità la partecipazione al rito religioso del mafioso Lucas con la sua
famiglia. Un chiaro, evidente ri-uso (non citazione pura e semplice) della lezione di F. Ford Coppola nel suo “il Padrino”,
quando Michael/Al Pacino partecipa al battesimo in chiesa e in contemporanea si vedono le “soluzioni finali” contro i suoi
nemici; il rito religioso è accompagnato da musica e canti religiosi tipici della cultura black americana ad imprimere
“sacralità” agli accadimenti.
L’espediente del montaggio alternato è fondamentale per connotare e significare proprio i diversi percorsi e le diverse scelte
fatte nello stesso contesto dai 2 protagonisti del film, il poliziotto ed il mafioso.
Con “American Gangster”, Ridley Scott è ancora autore di “grande cinema”.
FLASH
La Redazione
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