Progetto Ospedale
Senza Dolore
Dispensa al Corso di Formazione
per Infermieri Professionali
Adattamento a cura
di A. Sbanotto e E. Scaffidi
Anno 2003
COSD – IEO 2003
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Progetto Ospedale Senza Dolore IEO
A cura del Comitato Ospedale Senza Dolore dell’Istituto Europeo
di Oncologia di Milano
Presidente:
Segretario:
Dott. Leonardo la Pietra
Dott. Alberto Sbanotto
Componenti:
Sig.ra Santina Bonardi, Sig. Pierluigi Deriu, Dott.ssa Emanuela
Omodeo Salè, Dott.ssa Elena Scaffidi, Prof. Vittorio Ventafridda,
Dott. Marco Venturino
COSD – IEO 2003
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1. INTRODUZIONE
Perché un opuscolo sul dolore destinato agli infermieri?
Noi sappiamo che il dolore non è ineluttabile; possiamo riconoscerlo, e possiamo combatterlo.
Spesso infatti, alla fine dei nostri studi, siamo abituati a non vedere più, né ad ascoltare, né a
considerare il paziente che si lamenta, ma piuttosto a pensare che sia un simulatore, o che stia
esagerando, perché ci dà fastidio, ci disturba, interrompe la nostra routine, ci fa anche male. Altre
volte, dopo aver segnalato il dolore, averlo presentato nelle consegne e non aver visto alcuna
conseguenza o prescrizione contro di esso, abbiamo uniformato la nostra condotta a quella dei
nostri colleghi: “Non si può fare niente”.
Allora si fa finta di non vedere, non si cerca più di curarlo non ci si rapporta più nemmeno con esso.
Il dolore che si sopporta meglio, infatti, è quello degli altri.
In realtà se non vogliamo più sentirlo né vederlo, se il paziente rinuncia a comunicarci il suo dolore,
ci dovremmo ricordare le definizioni della nostra professione espresse di seguito in alcuni punti.
“L’infermiere esercita la sua professione nel rispetto della vita e della persona umana. Egli
rispetta la dignità e l’intimità del paziente e della sua famiglia.”
Il rispetto della vita e della persona umana presuppone che noi riconosciamo l’individuo e la sua
sofferenza, ma anche che agiamo facendo ciò che può essere utile alla sua scomparsa. Il rispetto
della dignità chiede che nessuno sia afflitto da dolori inutili ed evitabili.
“Prevenire e valutare la sofferenza e lo sconforto delle persone e partecipare al loro sollievo”
Questo é il nostro principale scopo. Prima di intraprendere la lettura, ricordiamoci che il Codice
Deontologico obbliga “il medico a sforzarsi nell’alleviare le sofferenze del suo paziente”. Inoltre
deve esserci tutta un’équipe insieme in questa lotta.
La terapia del dolore rappresenta, peraltro, un esempio di collaborazione tra infermieri, medici,
psichiatri, fisioterapisti, neurologi, psicologi, operatori sociali, familiari ...
“Proteggere, mantenere, ripristinare e promuovere la salute delle persone o l’autonomia delle loro
funzioni vitali, fisiche e psichiche, tenendo conto della personalità di ognuno di essi, nelle
componenti psicologica, sociale, economica e culturale”
Sappiamo che una persona che soffre non é più se stessa, è difficile conservare un equilibrio
psicologico soddisfacente quando il dolore si insinua e diventa duraturo; senza parlare delle
limitazioni che esso impone all’autonomia fisica.
Sottolineiamo anche, “tenendo conto della personalità nella sua componente culturale”, che non
bisogna disprezzare il dolore di colui che, per le sue radici culturali, lo esprime con forza, e con
continuità.
Non dobbiamo giudicare i mezzi ai quali l’individuo ricorre per esprimere il proprio sconforto; é
tale sconforto, e soltanto esso, che importa.
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“Partecipare alla raccolta delle informazioni e ai metodi che saranno utilizzati dal medico per
stabilire la diagnosi”.
Insistiamo soprattutto sulla raccolta di informazioni; ciò costituisce spesso un problema.
Certi pazienti prostrati per tutta la mattinata appariranno, perfettamente rilassati al momento delle
visite dei familiari fatte più tardi; altri, al contrario, manifesteranno dolore solo alla vista dei
membri della loro famiglia; altri ancora riserveranno i loro pianti esclusivamente all’infermiere e
non ammetteranno mai di essere stati male quando il medico effettuerà la sua visita. Sarà tentato di
dire: “non sto più male” anche se questo non sopprimerà i suoi pianti.
Non bisogna dimenticare nessun pianto, poiché noi non possiamo giudicare ciò che prova colui che
soffre; solo lui è in grado di dirlo e noi non abbiamo il diritto di censurarlo.
Un altro punto riguardal’infermiere:
“applicare le prescrizioni mediche e i protocolli stabiliti dal medico”
ed anche il paziente.
La prescrizione medica, quando si vuole trattare il dolore deve recare l’orario, visto che in alcuni
casi si utilizza più di una prescrizione al giorno. Le prescrizioni di analgesici non vanno
dimenticate o ridotte nelle dosi! Non c’è da temere, infatti, di prescrivere la dose adeguata quando si
aggiunge sulla ricetta la dicitura : “in caso di inefficacia ripeterla fino a x volte nella giornata”. La
normativa relative alle regole professionali degli infermieri afferma che:
“Si deve chiedere al medico prescrittore un supplemento d’informazioni riguardo la prescrizione
ogni volta che lo si ritiene necessario perché insufficientemente chiara”.
Non esitiamo dunque a parlare con il medico non tanto perché questo gioverà alla nostra
formazione, ma soprattutto al paziente.
Purtroppo, però, il dolore non si arresta con adeguate prescrizioni mediche e il punto seguente ci
ricorda:
“Partecipare alla sorveglianza clinica dei pazienti e alla messa in opera delle terapie”.
Sorveglianza di:
• Oppioidi (attenzione ai dosaggi, a problemi di stipsi e alla secchezza della bocca)
• Corticosteroidi (attenzione a fornire un’adatta copertura gastrica)
• Antidepressivi associati agli analgesici (attenzione a possibili interazioni con altri farmaci)
Le dosi sono efficaci?
Avendo trattato la causa del dolore è possibile diminuire le dosi di analgesici?
“Favorire il mantenimento, l’inserimento o il reinserimento dei malati nel loro contesto familiare e
sociale. Assistere i pazienti in fin di vita e se necessario anche le loro famiglie.”
Il controllo del dolore migliora la qualità della vita (poter tornare a vivere nella propria casa con la
pompa di morfina in grado di alleviare il dolore!). Quando non esiste più alcuna ragionevole
speranza di guarigione bisogna, infine saper ascoltare l’angoscia di chi sta per morire visto che
anche questa rappresenta un dolore. In questo caso il vostro paziente non avrà bisogno di analgesici:
egli non avrà dolore, starà male. I soli “farmaci” che potrete utilizzare per curarlo saranno la vostra
presenza , il vostro ascolto e talvolta la vostra parola.
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In conclusione appare evidente che l’infermiere gioca un ruolo fondamentale nei confronti del
dolore.
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2. GENERALITÀ
Comprendere il dolore: esperienza soggettiva di un disordine fisico.
Qualunque sia il meccanismo iniziale (somatico, neurologico o psicologico), il dolore propriamente
detto costituisce in tutti i casi un’esperienza soggettiva, un fenomeno neuropsicologico, centrale. La
classica dicotomia somatico/psicologico può eventualmente riguardare il meccanismo generatore
(l’eziologia) ma non il fenomeno dolore in sé stesso.
L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) propone di definire il dolore come
“un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un pericolo tissutale presente o
potenziale, o descritto in termini di potenziale danno”.
L’aspetto interessante di questa definizione è di non ridurre la nozione di dolore alle sole cause
lesive.
Se il pianto scaturisce da un disordine fisico, anche se non documentato, si tratta, malgrado tutto, di
un dolore. Questa nozione ha delle importanti conseguenze nella pratica clinica in quanto si sa che,
in un modello strettamente periferico, questi dolori rischiano di essere assimilati a dei dolori
immaginari, discutibili, simulati, cosa che conduce ad attitudini di rifiuto verso il paziente.
Un punto di vista centrale aiuta a meglio comprendere le classiche nozioni di discordanza anatomoclinica, di placebo-sensibilità, il ruolo della personalità. La relazione tra l’entità del danno tessutale
e la severità del dolore è incerta, in quanto numerosi fattori neurofisiologici o neuropsicologici
possono modificare la sua integrazione centrale.
Prendiamo allora in considerazione successivamente le componenti sensorio-discriminative,
affettivo-emozionali, cognitive e comportamentali del dolore.
Componente sensorio-discriminativa
La componente sensorio-discriminativa corrisponde ai meccanismi neurofisiologici che permettono
la decodificazione della qualità (scarica elettrica, torsione, ustione, ecc..), della durata (breve,
continua, …) dell’intensità e della localizzazione dei messaggi nocicettivi.
In rapporto ad altri sistemi sensoriali, le performances della decodificazione dei messaggi
nocicettivi non sono affatto perfette.
Si sa che il dolore può mancare in numerosi casi o apparire solo ad uno stadio troppo avanzato,
come nel cancro. Si conosce soltanto la localizzazione imprecisa dei dolori profondi, in particolare
di quelli di origine viscerale ed il fenomeno del dolore proiettato.
Di fatto, di queste caratteristiche sensoriali, certi autori considerano che il dolore si rapporta di più
alla percezione di uno stato di bisogno (dolore/segnale di allarme) come la fame o la sete piuttosto
che ad un sistema sensoriale come la vista o l’udito.
Componente affettivo-emozionale
Se il dolore occupa un posto speciale tra le percezioni, è soprattutto la sua componente affettiva
particolare che fa parte integrante dell’esperienza dolorosa e gli conferisce la sua tonalità
spiacevole, aggressiva, penosa, difficilmente sopportabile. Se il dolore intenso impone un
trattamento sintomatico, è a causa di questo impatto sull’individuo. Smorzare la tonalità affettiva
del dolore rappresenta già una forma di trattamento. Essa, infatti, è determinata non solo dalla
causa stessa del dolore, ma anche dal suo contesto. Il significato della malattia, l’incertezza della
sua evoluzione, sono anch’essi fattori che vanno a modulare il vissuto doloroso.
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Questa componente affettiva può sfociare in stati emozionali correlati, come l’ansia o la
depressione. Tale correlazione spiega una regola d’approccio al dolore, che consiste nel valutare
sistematicamente i livelli d’ansia e di depressione, oltre che i fattori in causa.
Componente cognitiva
Il termine cognitivo designa un insieme di processi mentali suscettibili di influenzare una
percezione (in tal caso il dolore) e le reazioni comportamentali che esso determina: processo di
attenzione e di distrazione, interpretazioni e valori attribuiti al dolore, anticipazioni, raffronti con
esperienze dolorose precedenti personali o osservate, decisioni sul comportamento da adottare.
Dopo le osservazioni classiche di Becher, si conosce l’influenza del significato accordato alla
malattia sul livello di dolore.
Studiando comparativamente 2 gruppi di feriti, militari e civili, che presentavano delle lesioni
apparentemente identiche, egli ha osservato che i militari richiedevano meno analgesici.
La spiegazione di questa differenza stava nel fatto che, nei due gruppi, il traumatismo ed il suo
contesto rivestivano dei significati tutt’altro differenti: comparativamente positivi per i militari (vita
salva, fine del rischio del combattimento, buona considerazione della fascia sociale, etc...),
comparativamente negativi per i civili (perdita dell’impiego, perdite finanziarie, disinserimento
sociale, ..).
Componente comportamentale
Tale componente ingloba l’insieme delle manifestazioni verbali e non verbali osservate dalla
persona che soffre (pianti, mimica, posture antalgiche, impossibilità di mantenere un
comportamento normale,…).
Queste manifestazioni possono apparire come reattive ad un dolore percepito. Esse costituiscono
degli indici fedeli della importanza del problema del dolore.
Esse assicurano anche una funzione di comunicazione con ciò che ci circonda.
Ciò che si è appreso precedentemente, in funzione dell’influenza familiare ed etno-culturale, degli
standard sociali legati all’età ed al sesso, sono suscettibili di modificare la reazione attuale di un
individuo. Le reazioni dell’ambiente (familiare, professionale, sanitario) possono interferire con il
comportamento del malato con dolore, e contribuire al suo equilibrio.
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3. BASI NEUROFISIOLOGICHE
La comprensione dei meccanismi del dolore ha beneficiato, nel corso degli ultimi 20 anni, di
progressi considerevoli realizzati nei differenti campi di ricerca delle Neuroscienze.
Scopo di questo capitolo è quello di fare il punto sulle principali acquisizioni neurofisiologiche
concernenti i meccanismi del dolore, riferendosi in maniera non esaustiva a certi aspetti patologici e
farmacologici.
Esamineremo successivamente come i messaggi indotti dalle stimolazioni periferiche che saranno
percepiti come dolorosi, sono trasmessi, modulati ed integrati a diversi livelli del sistema nervoso.
Dalla periferia al midollo spinale
In periferia
Il messaggio nocicettivo (nocicettivo: termine introdotto da Sherrington per designare ciò che può
provocare un danno tissutale) deriva dallo stimolo delle terminazioni nervose libere amieliniche e
mieliniche costituenti arborizzazioni sia nei tessuti cutanei, muscolari ed articolari, sia nelle pareti
dei visceri.
I messaggi nocicettivi sono in seguito veicolati nei nervi da differenti tipi di fibre (chiamate
nocicettori) catalogate secondo il loro diametro e l’esistenza o meno della guaina mielinica.
Il perfezionamento delle tecniche di registrazione dell’attività elettrica delle fibre nervose
periferiche dell’uomo ha permesso di identificare quelle prodotte dalle stimolazioni nocicettive.
Questi studi hanno permesso di scoprire che il ruolo maggiore, nella ricezione e nella modulazione
dell’intensità del dolore cutaneo, è giocato dai nocicettori polimodali di tipo C.
Le fibre C sono delle fibre senza mielina (con un sottile diametro inferiore ad un micron, ed una
velocità di conduzione lenta inferiore a 2 m/s). Polimodale significa che tali fibre sono attivate da
diversi stimoli intensi: meccanici, termici e chimici. Quando si applicano degli stimoli ripetuti,
queste fibre sono la sede del fenomeno di sensibilizzazione che si manifesta almeno con una delle
seguenti modificazioni: diminuzione della soglia di attivazione, aumento delle risposte, comparsa di
attività spontanea.
Questi fenomeni possono
Fisiopatologia del dolore
essere all’origine delle
reazioni di iperalgesia
(sensibilità accentuata per
Recettori periferici:
stimoli
normalmente
Primo dolore
dolorosi) osservata in
Secondo dolore
certe
condizioni
Intensità di
patologiche dell’uomo.
dolore
Le altre fibre nocicettive
sono le fibre A delta
scarsamente mielinizzate,
nell’ambito delle quali
tempo
sono state identificate
varie sottoclassi. Si tratta
di fibre con una maggiore
velocità di conduzione,
Assoni mielinici
Fibre C (amieliniche)
spesso legate al fenomeno
dell’allodinia (percezione
come dolore di uno
stimolo non doloroso, ad
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esempio il tocco della mano).
Le fibre che trasmettono messaggi nocicettivi indotti a livello dei tessuti profondi (muscoli,
articolazioni, visceri) sono state studiate solo nell’animale.
A livello dei muscoli, un gran numero di fibre A delta e C sono nocicettori polimodali
particolarmente eccitati dalle sostanze algogene e dagli stimoli termici.
Non si può dunque affermare che tutte queste fibre sottili siano implicate nella nocicezione; infatti,
attraverso la loro attivazione durante la contrazione muscolare, certe potrebbero essere implicate
nell’induzione dei riaggiustamenti circolatori e respiratori durante l’esercizio muscolare. I
nocicettori sono stati chiaramente identificati anche a livello delle articolazioni.
E’ attualmente difficile sapere in quale misura il dolore di origine viscerale risulta dall’attivazione
di nocicettori specifici o dall’attivazione eccessiva dei recettori che, in condizioni normali,
partecipano alla regolazione riflessa della funzione viscerale.
Le fibre sottili A delta o C, attivate da stimoli che nell’animale scatenano reazioni simili al dolore,
sono state evidenziate a livello del cuore, della pleura, della cavità addominale, della colecisti,
dell’intestino, dei testicoli e dell’utero. Tuttavia, alcune di queste fibre sono ugualmente eccitate
durante la distensione o la contrazione moderata dei visceri, ed accrescono la loro scarica
all’aumentare della stimolazione; in tal caso non si tratta dunque di recettori specifici.
Genesi dei messaggi nocicettivi
Gli intimi meccanismi responsabili della genesi dei messaggi nocicettivi non sono stati ancora
chiariti.
Pertanto, anche se l’eventualità di una attivazione diretta delle terminazioni periferiche non può
essere scartata, è per ora ben stabilito che numerosi fattori chimici sono capaci di modificare
l’attività delle fibre afferenti primarie di piccolo diametro.
Alcune di queste sostanze (bradichinina, istamina, serotonina, prostaglandine…) sono infatti capaci
di attivare e/o di sensibilizzare i nocicettori; altre, come la sostanza P, intervengono nei processi di
infiammazione neurogena (il classico riflesso assonico) allorquando il sistema simpatico con la
liberazione della noradrenalina modula l’attività dei nocicettori nelle condizioni patologiche
particolari, come in caso di lesioni dei nervi periferici.
La grande diversità delle sostanze presenti a livello periferico pone numerosi problemi per la messa
a punto di nuovi analgesici.
Dal punto di vista terapeutico, l’ideale sarebbe di proporre ai pazienti un cocktail di sostanze, agenti
su differenti fattori …, cosa che sembrerebbe illusoria. Ma siamo più ottimisti, poiché è verosimile
che ognuno di questi fattori gioca un ruolo più o meno preponderante secondo l’eziologia e le
componenti della sindrome dolorosa considerata.
E’ dunque necessario approfondire le nostre conoscenze sui nocicettori, tanto dal punto di vista
della biologia molecolare quanto dal punto di vista fisiopatologico.
Questo è giustificato dal fatto che lavori elettrofisiologici relativamente recenti hanno mostrato
l’esistenza di nocicettori “silenziosi” in assenza di lesione.
In altri termini, una percentuale elevata di fibre C e A delta non può essere attivata da stimolazioni
estreme che provengano da un tessuto sano, ma presenta un’attività spontanea elevata ed una soglia
di attivazione relativamente bassa dopo la creazione di un’infiammazione articolare o cutanea.
La dimostrazione dell’esistenza di recettori “silenziosi” apporta argomenti supplementari per
l’utilizzo e la messa a punto dei modelli sperimentali del dolore che sono essenziali per la
comprensione della fisio-farmacologia del dolore.
Dopo il loro tragitto nei nervi periferici, le fibre afferenti raggiungono il sistema nervoso centrale
attraverso le radici spinali posteriori o il loro equivalente a livello dei nervi cranici.
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Le fibre A delta e C terminano a livello degli strati superficiali delle corna dorsali del midollo
(lamina I e II di Rexed)
I neurotrasmettitori
Uno dei problemi maggiori che è stato oggetto di numerose ricerche riguarda i neurotrasmettitori
che sarebbero liberati a livello di queste terminazioni. La sostanza P (un peptide costituito da 11
aminoacidi) è stato per lungo tempo considerato come “il neurotrasmettitore” del dolore. Tuttavia il
problema è molto più complesso poiché una stessa fibra nervosa può ugualmente contenere
numerosi altri peptidi (somatostatina, CGRP…) il cui il ruolo va determinato.
In più, le fibre afferenti di piccolo diametro, contengono anche aminoacidi eccitatori, come il
glutammato e la sostanza P, che possono eccitare i neuroni del corno dorsale del midollo. Inoltre, è
stato dimostrato che glutammato e sostanza P possono essere simultaneamente liberati per opera di
stimoli nocicettivi.
Alla luce dei lavori attuali, è ancora difficile stabilire il ruolo rispettivo del glutammato e della
sostanza P. Sottolineiamo che la messa a punto di antagonisti specifici non peptidici della sostanza
P (numerosi laboratori ne hanno già sintetizzati) e di recettori al N-metil-D-aspartato costituisce uno
degli assi di ricerca maggiori per la messa a punto di analgesici.
A livello delle corna dorsali del midollo spinale
Nelle corna dorsali del midollo, due principali gruppi di cellule sono attivate dalla messa in gioco di
fibre sottili:
• I neuroni nocicettivi chiamati non
specifici poiché rispondono a volte a
stimolazioni meccaniche leggere e a
stimoli nocicettivi meccanici, termici e
talvolta chimici; possiedono la proprietà
di accrescere la loro scarica in funzione
dell’intensità dello stimolo;
• I neuroni nocicettivi chiamati specifici
in quanto non sono eccitati che da
stimolazioni meccaniche e/o termiche
intense (vale a dire unicamente
nocicettive ).
Questi neuroni (soprattutto quelli del primo
gruppo) sono inoltre attivati da stimoli
viscerali, muscolari ed articolari intensi.
L’esistenza di una convergenza viscero-somatica va nel senso della teoria della “proiezione
convergente” avanzata per spiegare i meccanismi dei dolori proiettati. Secondo questa teoria, questi
dolori sarebbero legati alla convergenza di messaggi nocicettivi cutanei e viscerali su una
popolazione di neuroni spinali che trasmettono l’informazione ai centri sopramidollari. In
condizioni abituali, quelli che sarebbero soprattutto attivati dai nocicettori dei tegumenti; in
condizioni patologiche, sarebbero attivati da nocicettori viscerali, l’informazione nocicettiva
sarebbe allora interpretata come proveniente da territori cutanei che ne sono abitualmente l’origine.
Ad esempio, l’angina pectoris si manifesta frequentemente con dolore all’arto superiore sinistro, la
colica epatica, invece, con un dolore a livello della scapola destra.. Questi due gruppi di neuroni
sono localizzati a livello degli strati superficiali delle corna dorsali (lamina I e II) e nelle zone più
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profonde (lamina V e VI). Ci sono, inoltre, altri neuroni attivati dallo stimolo doloroso che sono
localizzati nella regione ventrale della sostanza grigia del midollo spinale.
E’ ormai dimostrato che i neuroni localizzati nelle corna dorsali giocano un ruolo fondamentale:
molti di essi sono all’origine dei fasci ascendenti e la loro attività è chiaramente depressa dalla
morfina e da diverse tecniche di neurostimolazione utilizzate nella clinica per indurre effetti
analgesici.
Dal midollo spinale al cervello
Organizzazione delle vie ascendenti
Osservazioni cliniche fatte sull’uomo e
studi elettrofisiologici fatti sugli animali
dimostrano indiscutibilmente che la
maggior parte delle fibre ascendenti che si
mettono in comunicazione con le strutture
sopramidollari responsabili della ricezione
del dolore provengono da neuroni i cui
assoni incrociano il midollo ed entrano nel
quadrante midollare controlaterale. La
sezione a questo livello (cordotomia
anterolaterale) è ancora utilizzata, in alcuni
casi, per il trattamento del dolore
neoplastico ribelle ad ogni tipo di terapia.
Il fascio spino-talamico è frequentemente
associato, erroneamente, al cordone anterolaterale. In realtà questo contiene altre vie
ascendenti come il fascio spino-reticolare
che termina a livello delle regioni bulbari,
pontine e mesencefaliche in modo
bilaterale. In più, un discreto numero di
neuroni nocicettivi danno origine ad un
fascio spinale ascendente esclusivamente
omolaterale e con un ruolo non ancora
precisato.
Recenti
acquisizioni
suggeriscono che questo possa essere
implicato non solo nella trasmissione del
dolore dovuto ad un eccesso di nocicezione, ma anche nel processo di riaggiustamento consecutivo
a lesioni nervose periferiche o midollari. Non si può, dunque, attribuire una funzione univoca ad un
determinato fascio.
Per l’elevata percentuale di neuroni nocicettivi e per l’entità di convergenze cutanee, viscerali e
muscolari su questi neuroni, il fascio spino talamico occupa un posto privilegiato nella trasmissione
di messaggi nocicettivi nei primati.
Lo sviluppo di avanzate tecniche anatomiche ha messo in evidenza la complessità
dell’organizzazione delle vie ascendenti. A titolo d’esempio si consideri che una sola fibra
ascendente alla volta può proiettarsi a livello reticolare e talamico.
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L’analisi quantitativa di questi collaterali permetterà di stabilire con maggiore precisione
l’importanza dei fasci ascendenti. La loro molteplicità lascia già intravedere le difficoltà
incontrate per l’esplorazione di strutture sovraspinali implicate nei processi nocicettivi.
Le strutture cerebrali
Nota la complessità dei fasci ascendenti cerebrali che conducono messaggi nocicettivi nelle varie
regioni risulta evidente che è sempre più difficile seguire il percorso di tali messaggi nell’ambito del
Sistema Nervoso Centrale (SNC) e che numerose aree cerebrali sono implicate nelle diverse
componenti del dolore. Questo spiega l’insuccesso terapeutico di interventi neurochirurgici su
diverse aree cerebrali volti ad alleviare il dolore ribelle e a scoprire un centro unico per il dolore.
La complessità delle vie del dolore e delle strutture nelle quali esse terminano è aumentata dalla
difficoltà nell’approccio sperimentale, del tronco cerebrale e delle strutture del cervello anteriore. In
primo luogo, lo sperimentatore deve tener conto dei
differenti problemi etici sollevati da tali esperimenti
che devono essere compiuti su animali in anestesia
e con nevrasse intatto. E’ evidente che l’effetto
depressivo generale degli anestetici sul SNC provoca
differenze molto importanti nell’ambito dei risultati
ottenuti a seconda del tipo di anestetico utilizzato. In
secondo luogo, ci sono discordanze per ciò che
concerne le terminazioni delle vie del dolore. Infine,
c’è confusione in letteratura che deriva dalla
nomenclatura utilizzata dai diversi autori nei loro
differenti schemi anatomici delle aree sovraspinali.
A dispetto di tutte queste difficoltà i risultati fisiologici ed anatomici ottenuti nel corso degli
ultimi anni, hanno permesso di fare progressi nella comprensione dei meccanismi coinvolti
a livello sovraspinale che determinano la sensazione dolorosa.
Era logico cominciare gli studi dalle strutture che ricevono proiezioni dirette ed indirette
provenienti da neuroni delle corna dorsali midollari.
Nonostante ci siano sempre state discussioni sull’importanza delle proiezioni del fascio spino
talamico, recentemente sono stati compiuti studi elettrofisiologici sulla scimmia a livello del
nucleo ventro-postero-laterale e nel ratto a livello del complesso ventro-basale. In tali strutture
esistono numerosi neuroni che vengono attivati da stimolazioni nocicettive, meccaniche e termiche.
La loro soglia di attivazione per stimoli termici si situa intorno ai 44° C. Le risposte di questi
neuroni sono in grado di dare informazioni sulle caratteristiche della stimolazione meccanica
ottenuta (intensità, durata, localizzazione). Non c’è dubbio che tali neuroni siano implicati nella
componente sensorio-discriminativa del dolore. Le risposte di tali neuroni agli stimoli nocicettivi
inoltre, sono fortemente depressi da piccole dosi di morfina che inducono effetti analgesici quando
iniettate nell’animale libero nei suoi movimenti. Studi anatomici hanno chiaramente dimostrato che
i neuroni talamici sia nel ratto che nella scimmia si proiettano massivamente a livello della corteccia
somestesica primaria. Sembra logico pensare, quindi, che tali aree corticali siano implicate
nell’integrazione di messaggi nocicettivi. Ciò contrasterebbe con teorie secondo le quali la corteccia
non sarebbe affatto implicata nella sensazione di dolore, visti i risultati di studi neurochirurgici nei
quali si dimostrava che la stimolazione corticale non provocava dolore.
L’implicazione della corteccia somestesica primaria è oggi chiaramente stabilita nelle due
specie animali studiate.
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Un certo numero di neuroni presenta caratteristiche simili a quelle dei neuroni talamici. Questi
risultati concordano con quelli condotti sull’uomo con la PET (tomografia ad emissione di
positroni).
Il ruolo funzionale delle altre regioni talamiche che ricevono proiezioni dirette del midollo spinale
deve essere ancora chiarito. Alcune di esse potrebbero essere implicate nelle risposte motorie
conseguenti all’applicazione di uno stimolo doloroso. Numerosi studi hanno dimostrato l’intervento
di diverse strutture della formazione reticolare bulbare, pontina e di strutture talamiche dove si
proiettano tali vie. Tenendo conto delle proiezioni di tali regioni a livello dei nuclei striati sembra
che esse possano contribuire alla attivazione dei sistemi di difesa contro un’aggressione nocicettiva.
Questo vale anche per la formazione reticolare mesencefalica.
La dimostrazione della via spino-ponto-amigdaliana è relativamente recente. I neuroni all’origine di
tale via sono localizzati negli strati superficiali del corno dorsale del midollo spinale, l’informazione
è trasporatata a livello del nucleo pontino e poi è proiettata nel nucleo centrale dell’amigdala. A
questi tre livelli va constatato che numerosi neuroni rispondono esclusivamente a stimolazioni
nocicettive. Il ruolo di questa via spino-ponto-amigdaliana è tuttora oggetto di speculazioni.
Tenendo conto delle caratteristiche sopra descritte è stato proposto che essa possa essere implicata
nell’aspetto affettivo ed emozionale del dolore.
Da certi autori è stata descritta una via spino-ipotalamica diretta, la cui importanza resta ancora da
confermarsi.
La molteplicità dei fasci ascendenti suggerisce indiscutibilmente che la nocicezione ed il
dolore non dipendono da un unico sistema e che non esiste un centro specifico per il dolore.
La modulazione del messaggio nocicettivo
Il sistema del dolore si può descrivere come un sistema rigido che permette la trasmissione di
messaggi nocicettivi dalla periferia ai centri superiori dell’encefalo. In realtà, nei diversi livelli del
circuito, il trasferimento dell’informazione è costantemente modulato da diversi sistemi di
controllo. La loro evidenza costituisce l’acquisizione più importante nell’ambito della fisiologia del
dolore nel corso degli ultimi 20 anni.
I sistemi di controllo sono stati studiati a livello spinale, dove modulano la trasmissione dei
messaggi nocicettivi a livello del corno dorsale, che non può più essere considerato come un
semplice mediatore tra i nervi periferici ed il cervello.
Nel 1965 Melzack e Wall hanno proposto una teoria del dolore, detta del “gate control” (teoria del
cancello) che attribuisce un ruolo importante alle integrazioni midollari. Tale teoria sottolinea il
fatto che le fibre afferenti di grosso diametro (A alfa e beta) che trasmettono messaggi tattili
blocchino, a livello midollare, i neuroni nocicettivi della lamina 5. L’inibizione è ugualmente
ottenuta da stimolazione dei cordoni posteriori. Il circuito sinaptico inizialmente proposto per
questa inibizione è oggi considerato parzialmente inesatto, poiché i fenomeni d’inibizione non sono
esclusivamente presinaptici ma anche postsinaptici. L’azione inibitoria delle grosse fibre sui
messaggi nocicettivi è diventata una nozione classica. Tale meccanismo è alla base di stimolazioni
analgesiche periferiche o midollari utilizzate in clinica (neurostimolazione transcutanea,
stimolazione dei cordoni posteriori del midollo).
Queste ricerche hanno avuto importanti ripercussioni per il trattamento dei dolori ribelli. I diversi
interventi neurochirurgici che consistevano nell’interrompere o nel distruggere le vie ed i relé del
dolore (sezione di nervi, di radici dorsali, cordotomie, sezioni talmiche..) vengono progressivamente
abbandonati ad eccezione di casi particolari.
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In parte gli interventi neurochirurgici ablativi
hanno lasciato posto alle tecniche di
neurostimolazione che rafforzano l’attività dei
sistemi di controllo inibitori e che hanno il
vantaggio di non produrre lesioni irreversibili
del sistema nervoso.
A livello dei circuiti spinali la trasmissione dei
messaggi nocicettivi è controllata da sistemi di
controllo
di
origine
segmentaria
e
sovraspinale.
La Teoria del Gate Control (Melzack e Wall, 1965)
I controlli segmentari
E’ ormai dimostrato che l’attivazione delle fibre nervose cutanee di grosso diametro (A alfa e beta)
che danno origine a deboli sensazioni tattili blocca a livello midollare le risposte dei neuroni spinali
a stimoli nocicettivi. Tali acquisizioni sperimentali spiegano in parte gli effetti favorevoli
dell’utilizzo terapeutico delle tecniche di neurostimolazione periferica di bassa intensità e di
frequenza elevata. In questo caso, la stimolazione può essere applicata sia a livello dei nervi
periferici, attraverso elettrodi cutanei in prossimità del nervo, sia a livello dei cordoni posteriori
midollari attraversi l’inserimento di elettrodi in posizione extradurale per via percutanea. Queste
tecniche si sono rivelate utili soprattutto nel caso di dolori dovuti a lesioni del sistema nervoso
periferico.
I controlli di origine sovraspinale
Si esercitano soprattutto in certe regioni del
tronco cerebrale da cui originano vie
discendenti inibitrici. Inizialmente, è stato
messo in evidenza nel ratto che la
stimolazione
della
sostanza
grigia
periacqueduttale produce interessanti effetti
analgesici. É stato precisato che questi
effetti derivano principalmente dalla regione
ventrale
della
sostanza
grigia
periacqueduttale corrispondente al nucleo
dorsale del rafe, ricco di nuclei
serotoninergici. È stato confermato il ruolo
di altri nuclei del rafe, specie a livello del
ponte o del bulbo, dove sono stati evocati
potenti effetti analgesici stimolando il
nucleo rafe magno. Il fatto che queste
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stimolazioni profonde blocchino certi riflessi nocicettivi suggerisce che l’analgesia risulta, almeno
in parte, dalla messa in gioco di vie discendenti inibitorie confermando, ancora una volta, che la
stimolazione di questi nuclei deprime in maniera intensa le risposte nei neuroni delle corna dorsali
a stimoli dolorosi. La farmacologia dei sistemi discendenti è molto complessa ed è oggetto di molti
lavori spesso difficili da interpretare poiché le metodologie utilizzate sono molto varie.
La partecipazione di vie bulbo-spinali serotoninergiche è ben acquisita, così come quella
dei sistemi discendenti noradrenergici.
È stato dimostrato, inoltre, che la somministrazione di naloxone (antagonista degli oppioidi)
abolisce o riduce gli effetti analgesici indotti dalla stimolazione della sostanza grigia
periacqueduttale o del nucleo rafe magno. Ciò suggerisce che la stimolazione centrale libera
endorfine. A partire da queste acquisizioni, diversi autori hanno supposto l’esistenza di un sistema
analgesico endogeno, chiamando in causa diverse strutture mesencefaliche, pontine e bulbari; esso
farebbe parte di un anello di feed-back negativo attivato da stimolazioni intense provocando di
conseguenza l’inibizione della trasmissione dei messaggi nocicettivi a livello midollare.
L’evidenza di sistemi di controllo ha permesso di stabilire nuovi approcci nella lotta contro
il dolore, ed una migliore conoscenza della farmacologia di questi sistemi dovrebbe
permettere di proporre nuovi trattamenti più specifici e più efficaci.
Ad esempio, molti laboratori stanno studiando i sistemi monoaminoergici. Nell’animale alcuni
agonisti alfa-2 noradrenergici sono in grado di indurre effetti analgesici potenti. Il ruolo delle
endorfine resta ancora incerto. nonostante queste sostanze siano presenti a livello delle strutture che
giocano un ruolo strategico noto nella nocicezione.
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4. BASI PSICOLOGICHE
Tutte le figure che prestano cura al sofferente debbono essere in grado di comprendere il malato e lo
insieme di fattori psico-sociali suscettibili di peggiorare o mantenere il dolore oncologico e non. In
alcuni casi la collaborazione con lo psicologo o con lo psichiatra diventa auspicabile. La difficoltà
sta allora nel fare accettare la strategia al malato. La richiesta di consulenza psichiatrica o
psicologica nel malato con dolore non deve essere interpretata come prova che si pensi ad un dolore
“immaginario”.
La capacità di invio allo psichiatra è un buon indice di funzionamento dell’équipe (o della rete).
L’invio è semplificato quando lo psichiatra è presentato come colui che conosce bene certi farmaci
analgesici (antidepressivi) o che conosce un certo numero di tecniche di controllo del dolore
(rilassamento, ipnosi…), e questo per i pazienti reticenti che sono spesso quelli che hanno problemi
psicologici.
L’invio allo psichiatra sarà più facilmente accettato quando sarà presentato precocemente
nell’ambito della consultazione iniziale, (non dopo il fallimento dei trattamenti proposti) e come
una procedura sistematica in caso di dolore cronico.
La relazione con il paziente che ha dolore
Il primo contatto con un paziente con dolore cronico può essere delicato perché si ha a che fare con
la sua aggressività, con i sentimenti di frustrazione e con la sfiducia che trapela dalle sue parole. La
relazione è sempre facilitata quando l’operatore sanitario mostra chiaramente al paziente di credere
al suo dolore e che prova empatia nei suoi confronti.
Credere al dolore non significa accettare tutte le concezioni del malato sul suo stato o sulla natura
del dolore: bisogna saper spiegare che le cause non sono univoche e far condividere un modello di
rappresentazione del problema che renderà legittima la strategia terapeutica.
In ogni caso, il colloquio con il malato con dolore cronico non può essere concepito in un’atmosfera
di urgenza: bisogna saper essere disponibili ad ascoltare e a creare un clima di confidenza
indispensabile per una relazione di qualità.
Contesto socio-economico
Si tratta di valutare l’eventuale implicazione tra il dolore persistente e la situazione professionale,
compito del sistema delle assicurazioni.
Questa fase di valutazione fissa l’ambito in cui potrà essere condotta la riabilitazione.
Se l’handicap doloroso mantiene il paziente lontano dal lavoro, bisogna valutare, consigliare ed
eventualmente imporre la strategia più adeguata.
In caso di controversia con il sistema delle assicurazioni, è spesso illusorio prevedere un
miglioramento prima che essa sia stata risolta.
Bisogna saper adottare un’attitudine molto chiara circa l’ambivalenza della situazione: la scomparsa
totale e definitiva del dolore penalizzerebbe il malato nel suo percorso. La riformulazione degli
obiettivi “reali” da perseguire rappresenta la tappa essenziale prima della messa in atto del
programma terapeutico. Il contratto stipulato con il paziente può comportare il suo sostegno lungo il
percorso.
Può succedere che l’analisi della situazione sottolinei l’importanza del ruolo dei benefici secondari
(o la loro ricerca) nella perennità del dolore. In altri casi, una valutazione attenta potrà contribuire a
bloccare strade senza uscita, malintesi o errori amministrativi, prendendo contatti con il consulente
medico, con il medico del lavoro, con il datore di lavoro.
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Componente affettivo emozionale
La valutazione della componente affettivo-emozionale comprende la valutazione sistematica
dell’umore. Il ricorso a questionari di auto-valutazione o di etero-valutazione della depressione
costituisce un valido aiuto.
La depressione è frequente (dal 30 al 50% dei casi) in tutte le patologie dolorose persistenti non
oncologiche esaminate nei centri di trattamento del dolore. Essa può spiegare la resistenza alle
diverse terapie e influire sul comportamento doloroso.
L’esistenza di turbe della personalità associate può aver contribuito alla perennità del dolore.
Bisogna tenerne conto quando si definisce il “programma terapeutico”.
Una consulenza psichiatrica sarà allora indispensabile sia dal punto di vista diagnostico che
terapeutico. Il compito dello psichiatra è quello di ripercorrere la storia della sintomatologia
dolorosa e di stabilire legami temporali con gli avvenimenti della vita. Ciò spiega come un sintomo,
inizialmente somatico, è diventato, nel malato, una modalità relazionale con la sua famiglia, con
l’ambiente socio-professionale, con il personale sanitario, o con il sistema delle assicurazioni.
Questi fattori sono in grado di spiegare la persistenza del dolore ed il fallimento delle terapie.
Componente cognitiva
Essa rappresenta la maniera in cui il paziente immagina la causa del suo dolore e la modalità con
cui vi si rapporta. Il colloquio si allarga ad altri problemi, inerenti il dolore, che il paziente ha
sperimentato di persona o tramite familiari: la loro durata, la sensibilità al trattamento, l’ansia
generata dallo stretto rapporto con la malattia.
Spesso si scoprirà:
• Lo smarrimento causato da pareri medici discordanti
• L’incertezza dovuta ad esami diagnostici risultati negativi, lasciando ad intendere che l’origine
del dolore è misteriosa poiché non visualizzabile
• La convinzione del fatto che ogni dolore persistente testimonia un processo patologico evolutivo
suscettibile di peggioramento (ad esempio, la lombalgia cronica può evolvere in paralisi degli
arti inferiori)
• L’incomprensione che deriva dal sentirsi abbandonati, inevitabile qualora terapeuta e paziente
abbiano fissato un obiettivo curativo radicale
• Una convinzione esagerata dell’origine esclusivamente somatica, rinforzata dalle numerose
consulenze psichiatriche richieste e vissute come prova che non si crede al dolore
• I commenti e le interpretazioni errate devono essere espressi e chiariti poiché alimentano
l’angoscia del paziente.
Fare il punto della situazione aiuterà il paziente a relazionarsi meglio al dolore
Componente comportamentale
L’impatto del dolore sul comportamento fornisce numerosi indici per valutare l’intensità dello
stesso. Nei casi più complessi il lamento doloroso è diventato una via di comunicazione privilegiata
con il mondo circostante, conferendo al dolore una dimensione relazionale che va considerata.
Si dovranno osservare le diverse manifestazioni motorie o verbali che testimoniano il dolore
durante il colloquio, l’esame clinico, le situazioni statiche e dinamiche: mimica, sospiri, posizioni
antalgiche, limitazioni dei movimenti, impaccio.
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Tali manifestazioni possono costituire uno dei criteri di valutazione del trattamento. Nel caso della
lombalgia, la ripresa video fatta durante un percorso con ostacoli rappresenta un metodo
interessante per la valutazione dei risultati terapeutici.
I lamenti verbali possono essere quantificati a seconda della loro manifestazione, spontanea o su
interrogazione oppure in relazione alla quantità di proposizioni relative al dolore presenti durante un
discorso.
Per valutare l’impatto del dolore sull’insieme delle attività del malato si deve entrare nel
dettaglio della vita quotidiana con l’aiuto, eventuale, dei familiari.
La limitazione delle attività è uno degli elementi che indicano la gravità di una sindrome dolorosa:
tempo passato allungati, attività quotidiane (bagno, abbigliamento, spesa giornaliera, salire e
scendere le scale) sostenute, evitate o realizzate tramite l’aiuto di una terza persona, attività di
svago, attività sessuale, relazioni sociali.
Il comportamento dei familiari di fronte al dolore va conosciuto: attitudine all’allontanamento, alla
sollecitudine, all’attenzione esagerata. Alcune di queste reazioni mantengono i pazienti con dolore
nel loro handicap. L’attuazione di circoli viziosi deve essere spiegata a coloro che vivono con il
malato e possono costituire l’oggetto del trattamento specifico.
Obiettivi da raggiungere
La valutazione non sarà completa se non si saranno precisate le attese del paziente. Nei casi più
complessi esse non possono essere esplicitate ed una delle prime misure terapeutiche consisterà nel
fissare, insieme al paziente, obiettivi ragionevoli della terapia.
Davanti ad una richiesta “tutto o niente”, con la ricerca della soluzione totale e definitiva, bisogna
saper riformulare le attese verso obiettivi più realistici come “il saper convivere con il dolore e la
ripresa delle attività”.
Alcuni pazienti hanno già trovato un “modus vivendi” e hanno bisogno di essere confortati in
questo comportamento, o di essere ben consigliati sulle attuali possibilità di alleviare il dolore. Il
ruolo dell’informazione non è affatto trascurabile in fatto di diversità dei “metodi analgesici”;
attraverso di essa i pazienti possono essere sollecitati, in un quadro pubblicitario o meno.
Talvolta il paziente che ha affrontato il problema fino ad un certo punto si consulta poiché è stanco,
depresso; egli può esprimere la sua richiesta in termini di alleviamento completo del dolore. Può
anche essere stato consigliato da coloro che lo circondano, persuaso che si può fare meglio, o stanco
di sopportare certe sofferenze.
Se si è raggiunto un certo equilibrio, bisognerà pesare minuziosamente i vantaggi e gli svantaggi di
nuove proposte terapeutiche, essendo perfettamente informati di ciò che oggi è possibile e di ciò
che non lo è.
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5. DIFFERENTI TIPI DI DOLORE
Esistono vari tipi di dolore che si possono classificare secondo:
• Il meccanismo fisiopatologico (da eccesso di nocicezione, neurogeno, psicogeno).
• La durata dell’evoluzione (acuto, cronico).
• Il tipo di patologia in causa (maligna o benigna).
Meccanismo fisiopatologico
Il percorso diagnostico deve permettere di precisare non soltanto l’esistenza e la natura del processo
patologico in causa, ma anche di comprendere il meccanismo che genera il dolore.
Il trattamento sintomatico deriva per gran parte da una comprensione soddisfacente di tale
meccanismo. Anche se numerosi meccanismi fisiopatologici non sono ancora perfettamente
compresi, la distinzione di tre principali tipi di meccanismo conserva un valore operativo, sia per la
valutazione che per le decisioni terapeutiche.
L’origine somatica: il dolore nocicettivo (da eccesso di stimolazione nocicettiva).
L’eccesso di stimolazione nocicettiva è il meccanismo correntemente riscontrato nella maggioranza
dei dolori acuti (traumatici, infettivi, degenerativi…). Nello stadio cronico, lo si ritrova nelle
patologie lesive persistenti, come ad esempio nelle patologie reumatiche croniche o nel cancro.
Esso si esprime su un piano semeiologico spesso secondo un ritmo meccanico (aumento del dolore
per attività fisica) o infiammatorio (risveglio notturno dovuto al dolore).
Attraverso particolari manovre effettuate in corso di esame obiettivo è spesso possibile evocare il
dolore. Le immagini permettono di documentare la lesione in causa.
Il meccanismo corrisponde qui alla rappresentazione più usuale del dolore.
Un processo patologico attiva, a livello periferico, il sistema fisiologico di trasmissione dei
messaggi nocicettivi. L’informazione, nata a livello dei recettori, è trasmessa alle strutture centrali.
Da un punto di vista terapeutico, è legittimo intervenire sul processo periferico stesso (trattamento
eziologico) o limitarne gli effetti eccitatori utilizzando analgesici periferici o centrali, o cercando di
interrompere i messaggi nei diversi livelli della trasmissione periferica o centrale (blocchi
anestetici).
L’origine neurogena
Per il clinico, almeno due tipi di meccanismi di lesione nervosa possono essere responsabili dei
dolori neurogeni.
Alcuni dolori risultano dalla compressione di un tronco, di una radice, o di un plesso (sciatico da
ernia del disco, sindrome canalare, tumore…). In questo primo caso si tratta di dolore neurogeno
che si può chiamare di tipo neurogenico .
Altri, invece, non sono legati ad una compressione persistente e sopraggiungono come sequele. In
questo secondo caso, la dizione di neuropatico o da deafferentazione permette di spiegare la
persistenza del dolore.
Il meccanismo della deafferentazione periferica è stato oggetto di numerosi studi, sia clinici che
sperimentali.
Esso costituisce il tipico esempio di un meccanismo centrale all’origine del dolore che si oppone ai
dolori da eccesso di nocicezione, dovuti all’eccitazione periferica.
Dopo lesione o sezione delle afferenze periferiche, i neuroni di “relais” spinali o sovraspinali
possono risultare ipereccitabili ad opera di meccanismi non ancora perfettamente conosciuti:
mancanza di inibizione, smascheramento di connessioni eccitatrici, ipersensibilità… lavori recenti
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dimostrano ugualmente la partecipazione di meccanismi periferici nei dolori che si verificano dopo
lesione nervosa periferica: ipersensibilità delle terminazioni sezionate, trasmissione dell’impulso da
fibra a fibra per contiguità.
La complessità dei meccanismi centrali e periferici fa oggi preferire i termini di dolore neurogenico
o di dolore neuropatico, senza pregiudicare la componente periferica o centrale del dolore. Resta al
clinico precisare se il dolore è mantenuto da una lesione che comprime le vie nervose.
La nozione di deafferentazione è stata tuttavia estremamente utile per sottolineare la possibilità
che si produca un dolore centrale, persistente, in assenza di mantenimento ad opera di una
stimolazione periferica.
Le principali cause di dolori neurogeni sono l’arto fantasma, la zona, la sezione di nervi, la
paraplegia,…
L’origine neurogena del dolore è identificata in un contesto conosciuto come “attesa neurologica”;
essa è spesso mal identificata in corso di cancro o nelle sequele post-chirurgiche. In corso di cancro,
la lesione neurologica può essere dovuta sia all’infiltrazione tumorale che alle complicanze delle
terapie (plessite da radioterapia,…).
I dolori neurogeni sono una causa frequente di dolore cronico. Spesso, l’analisi retrospettiva delle
documentazioni cliniche mostra che solo in pochi casi essi sono stati diagnosticati ed
adeguatamente trattati.
I dolori neurogeni hanno particolari caratteristiche semeiologiche che ne facilitano il
riconoscimento.
Caratteristiche semeiologiche del dolore neurogeno
(alcune di queste caratteristiche possono mancare)
Descrizione clinica:
• Componente continua (bruciore)
• Componente acuta, intermittente (scariche elettriche)
• Disestesie (formicolii, pìzzichi)
Dolore che può contrastare con l’assenza di lesione somatica
Possibilità di intervallo libero dopo la lesione iniziale
Esame neurologico:
• Segni di iposensibilità (ipoestesia, anestesia)
• Segni di ipersensibilità ( allodinìa, iperpatia)
I dolori neurogeni sono abitualmente poco sensibili ai comuni analgesici e agli NSAIDs.
Il trattamento farmacologico iniziale prevede l’uso di sostanze ad azione centrale: antidepressivi
triciclici (amitriptilina, clomipramina) per il dolore di ogni tipo, e gli anti-epilettici (carbamazepina,
clonazepam, valproato di sodio, gabapentina) per la componente accessuale, a fitta, anche se tali
schematismi non sono sempre rispettati, trattandosi di terapie individualizzate.
Allo stesso tempo si proporranno le tecniche di neurostimolazione e si eviteranno le tecniche
anestesiologiche o le sezioni neurochirurgiche. Queste ultime sono assolutamente controindicate in
quanto in grado di peggiorare la deafferentazione.
L’origine “sine materia” e psicogena
Anche se la natura “sine materia” è prevedibile precocemente, è solamente allo stadio cronico del
dolore, dopo aver escluso ogni altra causa, che l’origine funzionale del dolore si manifesta.
Si deve ammettere che è semplice diagnosticare dolore “funzionale” dopo che un minuzioso esame
clinico e paraclinico risulti negativo.
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•
In alcuni casi la descrizione rientra in un quadro stereotipato caratterizzato da una precisa
semeiologia: cefalea da tensione, fibromialgia, glossodinia… In questi casi è preferibile parlare
di dolore idiopatico poiché il meccanismo fisiopatologico di questi quadri non è ben chiaro.
• In altri casi la semeiologia del dolore aiuta a sospettare un’origine psicogena: descrizione
esagerata, imprecisa o variabile, semeiologia atipica.
L’origine psicogena del dolore non si limita a ad una diagnosi di dolore non organico; essa deve
fondarsi su una semeiologia psicopatologica positiva.
Si possono descrivere vari quadri clinici: conversione isterica, somatizzazione di un disordine
emozionale (depressione), ipocondria. Numerosi dolori cronici non si possono definire come
psicogeni perché non sono totalmente “sine materia” e perché si possono individuare atteggiamenti
di dolore somatico. Tali dolori risultano piuttosto dall’intreccio di fattori somatici e psicosociali.
Descrivere tali malati da un punto di vista esclusivamente fisico o psicologico non rende conto delle
problematiche in causa.
La durata dell’evoluzione
Dolori acuti e cronici: l’importanza del fattore tempo
Il dolore acuto, di recente insorgenza, può essere considerato come un utile segnale di allarme. Esso
impone un percorso diagnostico indispensabile che permetterà di precisare l’origine somatica o
meno del dolore.
La funzione di protezione ammessa per il dolore acuto diventa meno evidente allo stadio cronico.
•
•
•
Quale valore di protezione si deve attribuire ad un dolore persistente?
Qual è, allora, il suo ruolo di segnale di allarme?
Qual è la sua funzione di difesa?
“Il dolore non protegge l’uomo. Esso lo annulla”, dice René Leriche (1957).
“Il dolore cronico distrugge fisicamente, psicologicamente e socialmente”, dice Sternbach (1974).
Il paziente con dolore cronico moltiplica il numero delle consulenze. Il suo girovagare da “porta a
porta” lo conduce presso numerosi specialisti, con frequenti ricorsi alla medicina “alternativa”.
Ogni medico rivede il caso, richiede nuove analisi, richiede un altro parere … I trattamenti
successivi migliorano poco o affatto il dolore aggravando la situazione. Ogni specialista consultato
si propone di trovare la “vera” causa suscettibile di portare alla soluzione radicale. Più l’handicap
persiste, meno le terapie sembrano efficaci…
Bisogna continuare le indagini cliniche?
Ogni nuovo tentativo terapeutico crea delle attese regolarmente disilluse. Per il paziente, i medici
non comprendono il problema, non trovano la vera causa, non credono al dolore. Il paziente
interpreta in maniera errata le spiegazioni date, i risultati degli esami clinici…
Tutto ciò che può accrescere il suo sconforto psicologico rinforza la sua attenzione al dolore.
A causa del gran numero di consulenze effettuate il rapporto medico-paziente si deteriora. Il
ripetersi esasperato di lamenti (“niente mi dà sollievo...”) favorisce il rigetto del malato e grande è
la tentazione di non rispondergli o di fargli comprendere: “non è vero”, “è nella testa”... Alcune
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frasi come “non è niente” sono interpretate come “i vostri dolori sono immaginari”. Il paziente e il
suo contorno familiare finiscono per interpretare: “voi simulate, inventate, recitate una
commedia”...Il paziente reagisce negando categoricamente ogni implicazione psicologica del suo
dolore.
I fattori responsabili dell’evoluzione verso il dolore cronico sono molteplici e parzialmente noti. Le
ipotesi disponibili riguardano i livelli neurofisiologico (plasticità neuronale) e psicologico (coping,
condizionamento).
È generalmente accettato che la persistenza del dolore contribuisce di per se a trasformare i
meccanismi iniziali del dolore. Un dolore causato, inizialmente da un insulto fisico, si pensi per
esempio ad un trauma, può essere mantenuto da fattori secondari: neurofisiologici (tracce
mnesiche), psicologici e comportamentali (disturbi del sonno, depressione...). La teoria dei circoli
viziosi è molto utile per spiegare al malato i meccanismi di amplificazione e di persistenza di un
dolore. Classicamente e per convenzione si definisce il dolore acuto quello che dura al massimo 36 mesi. In base a questi parametri temporali un dolore persistente e ribelle ad ogni terapia deve far
immaginare l’evoluzione verso una sindrome dolorosa cronica. Si deve, quindi, cercare di fare il
massimo per prevenire l’evoluzione verso la cronicizzazione agendo il più precocemente possibile
con le strategie abitualmente usate allo stadio cronico: approccio globale, multimodale.
Confronto tra dolore acuto e cronico
Finalità biologica
Meccanismo generatore
Reazioni somato-vegetative
Componenti affettive
Comportamenti
Modelli terapeutici
Obiettivo terapeutico
Sintomi acuti
Utile, protettiva
Unifattoriale
Reattiva
Ansia
Reattivo
Medicina classica
Curativo
Sindrome cronica
Inutile, distruttrice
Multifattoriale
Abitudine o mantenimento
Depressione
Apprensione
Multidimensionale, somato-psico-sociale
Rieducazione
Tipo di patologia in causa
Origine oncologica o non-oncologica
La nozione di dolore cronico è importante per sottolineare le differenze con il dolore acuto. I dolori
cronici, tuttavia, non costituiscono un gruppo omogeneo e bisogna considerare almeno due diverse
categorie:
• Dolori legati ad una patologia evolutiva maligna (cancro, aids)
• Dolori cronici non maligni, talvolta impropriamente chiamati “benigni”, legati ad una patologia
poco o affatto evolutiva (lesione post-traumatica, lombalgia, lesione nervose...)
Il dolore legato alla progressione di una neoplasia si avvicina a quello acuto persistente. Ciò è
confermato dal fatto che la morfina rappresenta la terapia cardine in entrambi i casi.
I dolori cronici, oncologici e non hanno in comune il fatto di essere sintomi inutili e distruttivi per
l’individuo ed è per questo che vanno curati. In entrambi i casi è indicato procedere con una
valutazione globale, somatica e psicologica. Se i livelli di analisi restano simili (affettivo, cognitivo,
comportamentale), al contrario le problematiche identificate non saranno le stesse. Gli obiettivi e lo
spirito della terapia saranno, in ogni caso, differenti: accettazione della limitazione in un caso,
superamento dell’handicap e progetti riabilitativi nell’altro.
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6. VALUTAZIONE DEL DOLORE
Medici ed infermieri sono chiamati quotidianamente a valutare l’intensità del dolore dei pazienti.
Si può misurare quantitativamente un fenomeno assai soggettivo e multifattoriale come il
dolore altrui? Riconoscere l’esistenza di un dolore è già importante ma la sua misurazione
è una tappa essenziale ed indispensabile per trattare efficacemente un paziente doloroso.
Il dolore è un fenomeno soggettivo, complesso, multifattoriale, multidimensionale che nessuna
misura oggettiva potrà mai quantificare realmente. Ogni paziente sarà testimone di se stesso e utili
si possono rilevare le valutazioni comparative. La valutazione dell’intensità del dolore non può
essere concepita se non all’interno di un processo più ampio che valuti l’insieme della
sintomatologia dolorosa. Queste valutazioni si basano su un approccio esaustivo di cui enunceremo
le tappe fondamentali:
•
•
•
•
Interrogare il malato (e la sua famiglia)
Esame clinico e soprattutto neurologico
Indagini funzionali
Valutazione del comportamento e dell’autonomia
In pratica, la valutazione di un dolore ribelle è un percorso multidisciplinare che deve rispondere
almeno a tre domande essenziali per determinare la strategia terapeutica migliore.
Percorso di valutazione
Qual é il tipo di dolore?
•
Si tratta di un dolore acuto “sintomatico”, vero ed utile segno di allarme che orienta verso una
diagnosi: dolore post-traumatico, post-operatorio, primo segno di una malattia? In tale caso si
tratta di un dolore che scomparirà dopo il trattamento della sua causa e che risponderà alla
terapia analgesica classica.
• Si tratta, al contrario di un dolore cronico, esso stesso malattia, che esprime le conseguenze di
una lesione periferica o centrale o di un cancro infiltrante ? Questo tipo di dolore è inutile e
distruttivo per il paziente; è una malattia totale, multifattoriale ed autoaggravante in seguito alle
alterazioni comportamentali e alla depressione che questo comporta.
Per rispondere a queste domande di primaria importanza è indispensabile fare indagini biologiche,
elettrofisiologiche e/o radiologiche. Solo successivamente si potrà fare se lo si ritiene possibile una
diagnosi. Quando questa concluderà che si tratta di dolore cronico si proseguirà con una valutazione
psicologica approfondita, complementare per apprezzare le componenti fisiche e psicologiche
reattive associate ed intrinseche (cfr. cap IV)
Qual è il meccanismo che genera il dolore?
È importante differenziare durante l’esame clinico i tre meccanismi all’origine del dolore cronico
ribelle poiché ciascuno risponde a differenti approcci terapeutici:
• Origine nocicettiva
• Origine neurogena
• Origine psichica, “sine materia” nel senso che non esista alcuna lesione tissutale
accertabile
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Qual è l’intensità del dolore?
Rispondere a questa domanda consente di stabilire la severità del dolore e di apprezzare l’efficacia
delle terapie prescritte. A tal fine si utilizzano delle “scale” che permettono sia una misura globale
(scala d’autovalutazione), sia una misura multidimensionale che distingua tra le varie componenti
del dolore.
Un metodo standardizzato deve rispondere a criteri rigorosi. Si definisce un metodo valido allorché
sia in grado di misurare bene ciò che si deve misurare, lo si definisce sensibile quando mette in
risalto differenze clinicamente evidenti, lo si definisce fedele quando misure successive rimangono
stabili in situazioni clinicamente identiche.
Le scale devono essere necessariamente semplici, non contraddittorie e facilmente riproducibili, in
modo da garantire un utilizzo giornaliero e a volte plurigiornaliero per tutti e in particolar modo per
gli infermieri. Devono, inoltre, essere in grado di valutare situazioni particolari (dolore del
bambino, dolore post-operatorio)
Tra i vantaggi che derivano dal poter misurare il dolore ed il suo alleviamento troviamo:
•
•
Identificazione sistematica dei malati con dolore.
Miglioramento del rapporto medico-paziente; si mostra al malato che si crede al suo lamento e
che non si sospetti che egli lo amplifichi o lo inventi.
• Semplificazione nella scelta della terapia analgesica guidata dall’intensità dolorosa (si pensi ai
continui raggiustamenti di dosi di morfina nel dolore da cancro).
• Omogeneizzazione dei dati che permette ad una o più equipé mediche di confrontare i propri
risultati.
• Possibilità di mettere per iscritto, in cartella, il grado di risposta alla terapia cosa che in
precedenza era lasciata alla memoria del paziente.
Le scale di autovalutazione
Tali scale sono dette unidimensionali poiché valutano una sola dimensione del dolore: la sua
intensità misurata dal paziente. Misurano il dolore in modo globale.
Le scale unidimensionali
Esistono diverse scale in grado di misurare globalmente l’intensità del dolore o il suo sollievo: la
scala verbale semplice (VRS), la scala numerica (NS), la scala analogica-visiva (VAS).
•
La VRS è la più utilizzata e prevede 4 o 5 categorie alle quali corrispondono un punteggio che
va da 0 a 4
• La scala numerica permette al malato di dare un numero al dolore da 0 a 10 (o 100). Il numero 0
vuol dire assenza di dolore, il numero 10 esprime il massimo dolore immaginabile.
• La VAS si presenta graficamente sotto forma di una linea orizzontale di 100mm, orientata da
sinistra a destra. Le due estremità della linea sono definite da “dolore assente” e dal “massimo
dolore immaginabile”. Il paziente risponde ponendo una croce sulla linea; la distanza tra la
posizione della croce e l’estremità “dolore assente” rappresenta l’intensità del dolore in quel
momento e permette di approntare una adeguata terapia. La misura si effettua in millimetri.
Diversi studi hanno condotto alla forma finale, descritta precedentemente, scegliendo tra varie
opzioni possibili riguardanti le definizioni poste alle estremità, la lunghezza, l’orientamento
(verticale od orizzontale) della linea.
COSD – IEO 2003
24
Tabella 1
Scala verbale semplice (verbal rating scale, VRS) in cinque punti che valutano l’intensità del
dolore.
Qual è il livello attuale del vostro dolore ?
0 assenza di dolore
1 debole
2 moderato
3 intenso
4 estremamente intenso
Tabella 2
Scala Numerica (SN)
Potete dare un numero da 0 a 10 per descrivere il livello del vostro dolore ?
0=assenza di dolore
10= massimo dolore immaginabile
Tabella 3
Scala Analogica Visiva (Visual Analogic Scale VAS)
La linea sottostante rappresenta un “termometro” del dolore.
L’estremità di sinistra corrisponde ad “assenza di dolore”
L’estremità di destra corrisponde al “massimo dolore immaginabile”
Tracciare sulla linea un segno corrispondente al livello attuale del vostro dolore
_______________________________________________________
Assenza di dolore
Massimo dolore immaginabile
Le scale globali (VRS; SN; VAS) hanno il vantaggio di essere semplici, rapide da compilare
permettendo misurazioni ripetute, confrontabili, utili per valutare la risposta al trattamento
analgesico.
•
Per la pratica quotidiana la scala numerica (SN) ha il vantaggio di non necessitare di supporti
particolari (come carta o regole ) e questo è sicuramente un vantaggio certo per la
generalizzazione della valutazione sistematica del dolore. Integrata con l’interrogatorio, la scala
numerica aiuta a precisare il livello di dolore nelle diverse attività della vita corrente (riposo,
COSD – IEO 2003
25
•
•
cammino, posizione seduta …) e al di fuori dell’esame clinico (manovre di provocazione del
dolore).
I pazienti comprendono facilmente la scala verbale semplice.
Per la scala visuale analogica, la comprensione è meno immediata e la supervisione da parte di
una persona abituale può essere utile. Questa scala richiede delle capacità di astrazione che non
possiedono tutti i soggetti ed in particolare le persone anziane. Consegne standardizzate ed
accurate sono necessarie per ridurre il numero di pazienti che non possono rispondere e per
prevenire risposte inappropriate come scarabocchi o macchie che limitano la precisione della
misura.
Un punto critico essenziale concerne la validità delle scale globali, unidimensionali.
Misurano davvero ciò che si vuole misurare?
Un’importante critica rivolta alle scale unidimensionali consiste nel fatto che esse tendono a
considerare il dolore come un fenomeno semplice. Esse sono infatti l’integrazione di svariati fattori,
tutto misconoscendo il suo aspetto multidimensionale.
Le scale multidimensionali
Questionari qualificativi
Molti tipi di informazione sono portati con la descrizione spontanea dei pazienti.
Certi nomi o aggettivi qualificativi possiedono un valore di orientamento diagnostico. Presso un
paziente che soffre di mal di testa, l’utilizzo del termine “pulsante” evoca un’emicrania, “sordo”
una cefalea da contrazione muscolare. La descrizione di un dolore sotto forma di “bruciatura “ e di
“scarica elettrica” evoca un dolore neurogeno (ancora chiamato deafferentazione)…
Il vocabolario utilizzato indica ugualmente un certo livello di intensità di dolore. C’è un consenso
per ammettere che la dizione “scariche elettriche” implica un dolore più severo rispetto a “sordo” o
“durevole”.
La descrizione non si limita ai soli aspetti sensoriali, ma esprime anche la ripercussione affettiva del
dolore che può essere noioso, insopportabile, angosciante, deprimente o suicidario…
A partire da queste osservazioni, si può ipotizzare che il vocabolario del dolore nasconda degli
indici potenziali per valutare non soltanto la globalità dell’esperienza dolorosa, ma anche le sue
dimensioni “sensoriale” ed “affettiva”.
Questionario sul dolore di Mc Gill
Melzack ha elaborato un questionario in lingua inglese, il Mc Gill Pain Questionnaire, che è
costituito da una lista di 79 qualificativi, ripartiti in 20 sottoclassi raggruppate in 4 classi: sensoriale,
affettiva, valutativa e diversa (sensorio-affettiva). Ogni sottoclasse corrisponde ad un aspetto del
dolore e raggruppa da 2 a 6 qualificativi.
• La classe sensoriale è costituita da 10 sotto-classi descriventi per esempio gli aspetti
“temporale”, “spaziale”, “termico”, “meccanico” …
• La classe “affettiva” raggruppa 5 sotto-classi che descrivono gli aspetti “tensione”, “paura”,
“reazioni vegetative”…
• La dimensione “valutativa” si limita ad una sola sotto-classe.
Il paziente sceglie i qualificativi che corrispondono al suo dolore. In ogni sotto-classe è scelto un
solo qualificativo, il più appropriato. Nella presentazione originale del MPQ, i qualificativi sono
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scelti dal paziente e al bisogno commentati dall’osservatore. Di tale questionario esistono due
versioni italiane validate.
I questionari degli aggettivi sono più complessi delle scale globali. Essi attualmente sono
essenzialmente strumenti di ricerca.
• Il loro vantaggio è quello di offrire la possibilità di una valutazione quantitativa e qualitativa
allo stesso tempo, in particolare della componente sensoriale ed affettiva del dolore.
• In questo modo si possono esplorare gli effetti di alcuni trattamenti che hanno come scopo
quello di aumentare la tolleranza al dolore, di rendere i malati più indifferenti al loro dolore,
senza tuttavia modificare realmente la descrizione sensoriale.
• I questionari di aggettivi non si prestano a misure ripetute. Sono adattati a valutazioni nel lungo
termine, poiché questo diventa necessario nel dolore cronico.
• L’inconveniente delle valutazioni attraverso questionario consiste nel fatto di fondarsi sul
linguaggio e, quindi, di dipendere dal grado di attitudine verbale dei soggetti. Per certi pazienti,
di basso livello socio-culturale, l’utilizzo del questionario non è valido.
Le scale comportamentali
Secondo una concezione largamente accettata, solo il rapporto verbale costituirebbe un indice
valido per apprezzare l’importanza di un dolore. In effetti le ripercussioni di un dolore sul
comportamento o più in generale sulla qualità della vita sono indici supplementari per valutare la
severità del dolore.
• Nel dolore acuto l’apprezzamento del comportamento può rivelarsi utile quando il rapporto
verbale è difficile da raccogliere. Nel caso del dolore postoperatorio o del parto, per esempio,
può essere preferibile limitarsi alla sola osservazione dei comportamenti dolorosi.
• Nei dolori cronici bisogna prestare particolare attenzione agli effetti del dolore sul
comportamento individuale. Quando si valutano gli effetti a lungo termine di un trattamento
analgesico farmacologico e non ( neurochirurgia, rieducazione, terapie comportamentali…) è
particolarmente importante che il risultato finale si apprezzi non solamente in base alla
riduzione del dolore percepito ma anche in base alle modificazioni osservate nel comportamento
quotidiano del paziente.
Per evitare che l’osservatore decida in modo arbitrario se un dolore è più o meno intenso, più o
meno esagerato, più o meno invalidante, bisogna mettergli a disposizione delle scale di misurazione
oggettive riproducibili e fedeli da un osservatore all’altro. Differenti manifestazioni
comportamentali possono servire come indice oggettivo per stimare la severità di un dolore.
La domanda o il consumo di analgesici sono spesso considerati come una misura indiretta
dell’importanza del dolore
Questo indice merita molte osservazioni:
• La richiesta di analgesici è influenzata da molti fattori: efficacia del trattamento antalgico
prescritto, ritmo di somministrazioni, personalità del paziente, il comportamento delle persone
che gli sono afianco, l’organizzaione del reparto di degenza ed altri.
• Conviene, in primo luogo, accertarsi che gli analgesici assunti siano efficaci
• La sospensione di un trattamento antalgico non efficace non può essere considerato un indice
affidabile
Un altro punto concerne gli orari delle somministrazioni.
COSD – IEO 2003
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E’ attualmente preferibile prescrivere gli analgesici periferici o centrali, non al bisogno ma ad orari
fissi, in maniera da prevenire la ricomparsa di un dolore, lasciando però la possibilità di
somministrazioni extra
• E’ importante precisare nell’ambito della richiesta di analgesici quanto deriva dal dolore
spontaneo e quanto dalla modalità di prescrizione.
• E’ stato osservato che per uno stesso livello di dolore espresso sulla scala VAS i pazienti più
estroversi sono più inclini, rispetto a quelli introversi, a compatirsi e a richiedere più farmaci.
• Si può, inoltre, affermare che la personalità di coloro che si prendono cura del malato,
indifferente o comprensiva, ansiogena o rassicurante, interferisce con la richiesta di analgesici.
Nei pazienti con dolore cronico l’entità delle ripercussioni sull’insieme delle attività quotidiane è un
indice prezioso per stimare la gravità del dolore. Queste modificazioni possono essere apprezzate
grazie ad un questionario che esplora, ad esempio, le ripercussioni sulle attività, sul sonno, o sul
morale. Ogni limite apportato dal dolore nella vita quotidiana si traduce in un grado ulteriore di
handicap e di peggioramento della qualità della vita.
Le scale di valutazione
•
•
•
•
Scala di manifestazioni comportamentali per il dolore da parto
Interruzione del discorso ad opera di lamenti o pianti
Riduzione delle normali attività quotidiane
Richiesta di analgesici
Scala delle manifestazioni comportamentali per il dolore da parto
0 – Respirazione normale, assenza di reazioni da aggrappamento, assenza di agitazioni
1 – La frequenza o l’ampiezza del respiro sono modificate durante le contrazioni. Sono considerate
come manifestazioni di dolore tutte le modificazioni intenzionali (training autogeno) o unicamente
reattive.
2 – Oltre alle manifestazioni sopra descritte, durante le contrazioni compaiono segni di tensione:
reazioni di aggrappamento al lenzuolo, al letto o alla mano di una persona vicina. Queste reazioni
cessano tra le contrazioni.
3 – Le manifestazioni di tensione descritte al livello 2 sono presenti anche nei periodi tra le
contrazioni
4 - Segni di agitazione compaiono durante le contrazioni e, talvolta, tra di esse. Questi segni sono
rappresentati da movimenti non controllati.
Interruzione del discorso ad opera di lamenti o pianti
1 – Assenza di pianto anche nella conversazione
2 – Pianto presente soltanto alla conversazione
3 – Pianto spontaneo, poco frequente e rivolto soltanto ad alcune persone circostanti
4 - Interruzione parziale del discorso ad opera del pianto: il paziente piange ed è rivolto a tutto il
mondo, ma è, tuttavia, capace di concentrarsi su altri discorsi.
5 – Interruzione completa del discorso ad opera del pianto
Riduzione delle normali attività quotidiane
1 – Attività normale: il soggetto si reca al lavoro
2 – Attività esterna parziale: il soggetto abbandona certi lavori e certe distrazioni abituali
3 – Assenza totale di ogni attività esterna
4 – Attività di camera
COSD – IEO 2003
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5 – Confinamento a letto: malato in fase terminale
Richiesta di analgesici
1 – Richiesta nulla
2 – Richiesta inferiore a 3 volte nelle 24 ore di analgesico per os
3 – Richiesta maggiore di 3 volte nelle 24 ore di analgesico per os
4 – Richiesta minore di 3 volte nelle 24 ore di analgesico iniettabile
5 – Richiesta maggiore di 3 volte nelle 24 ore di analgesico iniettabile
Il bilancio psicologico
La depressione e l’ansia sono fattori che si riscontrano spesso in associazione al dolore intrattabile.
Tali fattori non sono assolutamente da sottovalutare perché aggravano e rinforzano la
sintomatologia dolorosa. La depressione e l’ansia non trapelano sempre nei discorsi del malato. Per
confermarne l’esistenza è utile familiarizzare con la sintomatologia ansiosa e depressiva e ricorrere
a scale valide:
Scala di valutazione di STAI utilizzata per l’ansia; Scala di Beck utilizzata per la depressione
Scala di valutazione di STAI
Istruzioni:
Di seguito sono riportate una serie di espressioni che la gente utilizza abitudinariamente per
descriversi. Leggete ogni espressione e cerchiate il numero appropriato che indica al meglio come
vi sentite attualmente. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non soffermatevi troppo su ogni
espressione ma date la risposta che meglio descrive i sentimenti provati in quest’istante.
1. Sono calmo
2. Sono sicuro
3. Sono teso
4. Sono triste
5. Sono tranquillo
6. Sono sconvolto
7. Sono preoccupato per le eventuali avversità
8. Sono riposato
9. Sono ansioso
10. Sono a mio agio
11. Sono sicuro di me
12. Sono nervoso
13. Sono nel panico
14. Sono sul punto di scoppiare
15. Sono rilassato
16. Sono felice
17. Sono preoccupato
18. Sono sovreccitato e febbrile
19. Sono gioioso
20. Sto bene
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Per niente
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Poco
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Moderatamente
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
Molto
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
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Scala di valutazione di Beck
Tra i seguenti gruppi di affermazioni scegliete quelle che meglio descrivono il vostro stato attuale. Cerchiate il numero
corrispondente
A
0. Non mi sento triste
1. Mi sento depresso o triste
2. Mi sento sempre depresso
3. Mi sento sempre depresso o triste e non vedo vie d’uscita
4. Mi sento così triste e infelice che non posso sopportarlo
B
0. Non mi sento particolarmente scoraggiato o pessimista sul futuro
1. Mi sento scoraggiato riguardo il futuro
2. Per il mio avvenire non ho alcun motivo di sperare
3. Non ho motivi di speranza riguardo il mio futuro e la mia situazione non può migliorare
C
0. Non ho alcun sentimento d’insuccesso nella mia vita
1. Ho l’impressione di aver fallito nella mia vita più della maggior parte della gente
2. Quando guardo la mia vita passata tutto ciò che scopro è un fallimento
3. Ho un sentimento di fallimento completo in tutta la mia vita personale (nelle relazioni con i miei figli, il
mio coniuge, i miei genitori)
D
0. Non mi sento particolarmente insoddisfatto
1. Non riesco ad approfittare piacevolmente delle circostanze
2. Non traggo alcuna soddisfazione da ciò che succede
3. Sono scontento di tutto
E
0. Non mi sento colpevole
1. MI sento incapace e indegna per la maggior parte del tempo
2. Mi sento colpevole
3. Mi giudico molto incapace e ho l’impressione di non valere niente
F
0. Non sono delusa di me stessa
1. Sono delusa di me stessa
2. Sono disgustata di me stessa
3. Mi odio
G
0. Non penso mai a farmi del male
1. Penso che la morte mi libererebbe
2. Ho dei piani precisi per suicidarmi
3. Se potessi mi ucciderei
H
0. Non ho perduto interesse per l’altra gente
1. Momentaneamente mi interesso meno all’altra gente
2. Ho perduto tutto l’interesse che avevo per l’altra gente e provo poco per loro
3. Ho perduto ogni interesse per gli altri; mi sono totalmente indifferenti
I
0. Sono capace di prendere le mie decisioni
1. Cerco di non dover prendere delle decisioni
2. Ho grandi difficoltà a prendere delle decisioni
3. Non sono più in grado di prendere la minima decisione
J
0. Non ho la sensazione di essere più brutto di prima
1. Ho paura di sembrare brutto o sgradevole
2. Ho l’impressione che ci sia un cambiamento permanente nella mia apparenza fisica che mi fa apparire
sgradevole
3. Ho l’impressione di essere brutto e ripugnante
K
0. Lavoro anche più facilmente di prima
1. Devo fare uno sforzo supplementare per cominciare a fare qualche cosa
2. Devo fare un grande sforzo per fare qualsiasi cosa
3. Sono incapace di fare il minimo sforzo
L
0. Non sono più stanco del solito
1. Sono più stanco del solito
2. Fare qualcosa mi costa fatica
3. Sono incapace di fare il minimo lavoro
M
0. Il mio appetito è sempre buono
1. Il mio appetito non è buono come prima
2. Il mio appetito è molto meno buono di prima
3. Non ho affatto appetito
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30
Valutazione del dolore nel bambino
L’idea che un bambino possa star male è particolarmente dolorosa. E’ per questo motivo che gli
adulti hanno come prima reazione quella di rifiutare questa idea e di ignorare il dolore del bambino.
Attualmente si è d’accordo che non esiste un età minima per soffrire ! Il dolore, in effetti, può
sopraggiungere ed essere percepito ad ogni età della vita non soltanto dalla nascita ma anche
durante l’ultimo trimestre di gestazione.
Per tanto tempo il dolore nel bambino è stato ignorato perché la sua manifestazione clinica non è
sempre evidente.
Per i metodi valutativi del dolore nell’infanzia vedere il capitolo 12.
COSD – IEO 2003
31
7 .TRATTAMENTI FARMACOLOGICI
Sono disponibili varie preparazioni farmaceutiche proposte come analgesici. Questa varietà,
tuttavia, non corrisponde ad una grande diversità di concetti farmacologici cui appartengono le tre
principali molecole analgesiche: morfina, paracetamolo e aspirina.
Tre classi di farmaci meritano, dunque, di essere studiate: Gli oppioidi, il Paracetamolo, i Farmaci
Antiinfiammatori Non Steroidei (FANS).
Non di meno altre specialità analgesiche possono presentare interessi specifici.
Altri prodotti sono prescritti
nelle
sindromi
dolorose
croniche e si tratta degli
antidepressivi
e
degli
anticonvulsivanti.
I criteri di scelta di questi
differenti prodotti considerano
essenzialmente la natura, il
meccanismo e l’intensità del
dolore.
Per i dolori da eccesso di
nocicezione, la scala tre gradini
proposta
dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità (in
funzione della severità del
dolore) stabilita per il dolore
cronico da cancro, fornisce un utile mezzo per graduare i farmaci in funzione dell’intensità del
dolore (OMS, 1986).
Proposti al primo stadio, gli analgesici come l’aspirina o il paracetamolo sono indicati per i dolori
d’intensità moderata, la morfina, invece, è indicata per i dolori più intensi.
E’ da sottolineare il fatto che una progressione nella prescrizione degli analgesici è giustificata per
il dolore cronico da cancro ma non lo è in altri contesti. Un dolore intenso, per esempio, come
quello postoperatorio o da colica renale deve essere immediatamente trattato con morfina se la
somministrazione di altri farmaci è stata inefficace.
Sebbene l’approccio sia puramente farmacologico (proprietà, meccanismo d’azione,
farmacocinetica, effetti connessi) o terapeutico (indicazioni, efficacia, effetti collaterali) è
giustificato studiare le tre classi di analgesici sopracitati e utilizzati nella scala dell’OMS (gli
adiuvanti o coanalgesici comprendono, tra gli altri, gli antidepressivi e gli antiepilettici).
Il Paracetamolo
Il paracetamolo appartiene tradizionalmente alla famiglia degli analgesici periferici. Le attuali
acquisizioni raccomandano di evitare la semplice dicotomia, analgesici centrali / analgesici
periferici, ma di parlare, piuttosto, di analgesici oppioidi e non.
Il paracetamolo si distingue dall’aspirina e dai FANS per le sue indicazioni e la sua tolleranza.
Proprietà e meccanismi d’azione
Cento anni dopo la messa in commercio il meccanismo d’azione analgesico del paracetamolo resta,
tuttora, sconosciuto.
COSD – IEO 2003
32
Esso era tradizionalmente associato all’inibizione della sintesi delle prostaglandine, presenti a
livello del sito doloroso, attraverso l’inibizione di un enzima: la cicloossigenasi.
Tuttavia lavori già vecchi (1972) hanno dimostrato che il paracetamolo possiede un modesto effetto
inibitore delle cicloossigenasi periferiche mentre gli enzimi centrali sono più fortemente inibiti.
Altri lavori evocano un meccanismo di azione centrale, tuttavia, le acquisizioni sono ancora
sufficientemente dettagliate.
In tutti i casi, il meccanismo d’azione del paracetamolo può essere già da ora considerato diverso da
quello dell’aspirina.
Oltre a quest’azione analgesica, il paracetamolo, possiede un’attività antipiretica che giustifica la
sua prescrizione nelle sindromi febbrili. L’inibizione della sintesi delle prostaglandine a livello
ipotalamico è l’ipotesi che è generalmente avanzata per spiegare quest’effetto.
Farmacocinetica
Le caratteristiche farmacocinetiche essenziali del paracetamolo sono le seguenti:
• Buona disponibilità per via orale (70-90%)
• Debole legame alle proteine plasmatiche (10%), e ciò esclude i rischi di interazione dovuti a
questa proprietà (cfr aspirina)
• Escrezione renale importante (90%)
• Tempo di emivita plasmatica di circa 2-3 ore
• Metabolismo epatico
Esistono diverse vie di metabolizzazione del paracetamolo e una di esse conduce ad un metabolita
tossico per il fegato stesso.
A posologia terapeutica tale metabolita è neutralizzato dal glutatione (donatore di radicali SH)
presente a livello epatico.
In caso di sovradosaggio (massivo introito accidentale nel bambino, tentativo di suicidio), le
capacità di neutralizzazione del glutatione sono insufficienti, il metabolita tossico può provocare la
necrosi epatica con conseguenze anche fatali. In caso di sovradosaggio esiste, quindi, un rischio di
tossicità epatica da paracetamolo. L’epatotossicità si verifica per dosi ingerite maggiori di 10g
nell’adulto o 125mg/kg nel bambino. . La tossicità epatica può comparire per dosi notevolmente più
basse, anche pochi grammi, se vi è stata una recente assunzione di alcoolici in quantità rilevante
(sindrome del Lunedì). In questi casi il comportamento terapeutico efficace è quello preventivo:
somministrazione orale o parenterale di acetilcisteina, precursore del glutatione, prima della 6a ora
dopo l’intossicazione
Effetti collaterali
Il paracetamolo è globalmente caratterizzato da una buona tolleranza. I suoi effetti collaterali sono
molto rari alle dosi terapeutiche. Questo giustifica il suo crescente utilizzo a livello mondiale.
• Gli effetti collaterali più frequenti del paracetamolo sono le manifestazioni cutanee tipo rush
con eritema, orticaria e/o prurito. La comparsa di tali effetti indesiderati esclude l’ulteriore
utilizzo di questo farmaco.
• Tra gli altri effetti collaterali compaiono in maniera eccezionale, alle dosi terapeutiche:
broncospasmo, accidenti ematologici (anemie emolitiche, trombocitopenie)
• La buona tolleranza del paracetamolo ne fa l’analgesico di scelta per i bambini e le donne in
gravidanza
• Ricordiamo, infine, che se la tossicità epatica si osserva solo in caso di sovradosaggio, questo
rischio potenziale impone delle precauzioni nei pazienti con insufficienza epatocellulare,
denutriti o ancora negli anziani dove le posologie devono essere adattate.
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33
•
I casi d’insufficienza renale giustificano ugualmente una posologia su misura.
Riassunto ed aspetti pratici
•
•
•
•
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•
•
•
•
•
Il paracetamolo è un analgesico da utilizzare nei dolori di intensità lieve - moderata.
Il meccanismo d’azione è sconosciuto.
La prescrizione per os deve rispondere ad uno schema standard: una compressa (0,5 – 1 g) ogni
4-6 ore. Evitare somministrazioni al bisogno.
E’ utilizzabile per via endovenosa sotto forma di propacetamolo, che è il profarmaco del
paracetamolo, nel dolore postoperatorio alla posologia di 2g di propacetamolo (corrispondenti
ad 1 g di paracetamolo) ogni 6 ore senza oltrepassare gli 8g nelle 24 ore.
Grazie alla sua buona tolleranza è l’analgesico di scelta nel bambino e nella gestante
Il suo rischio di tossicità epatica legato al sovradosaggio può essere prevenuto dalla
somministrazione precoce di acetilcisteina.
La sua associazione alla codeina o al destropropossifene conduce ad una sinergia di
potenziamento
Le combinazione con la codeina sono diverse sono solitamente 500 mg di paracetamolo con 30
mg di codeina (Co-Efferalgan)
Questa associazione permette di trattare i dolori di intensità intermedia. La dose quotidiana può
arrivare fino a 3 g di paracetamolo e 180 mg di codeina.
Il paracetamolo è controindicato in caso di precedente ipersensibilità allo stesso e di
insufficienza epatocellulare.
L’Aspirina e i FANS
Malgrado le differenze, in particolare a livello della tolleranza, aspirina e FANS, membri di una
stessa famiglia, possiedono delle caratteristiche farmacologiche comuni che giustificano il loro
raggruppamento nello stesso paragrafo.
L’una e gli altri possiedono, in particolare, una potenzialità antalgica indipendente dal loro effetto
antiinfiammatorio. I FANS sono stati da tempo riservati per il trattamento degli stati infiammatori;
ma certe specialità sono proposte ormai come analgesici.
I paragrafi seguenti saranno dedicati all’aspirina. Differenze con gli altri FANS saranno
opportunamente segnalate.
Proprietà e meccanismo d’azione
L’aspirina
possiede
quattro
proprietà
farmacologiche che si manifestano a seconda
delle dosi utilizzate:
antiaggregante piastrinica – 50-325 mg/die
analgesica, antipiretica – 0,5 – 3g/die
antiinfiammatoria – 3-6 g/die
L’effetto antiaggregante spiega la “nouvelle
jeunesse” dell’aspirina e l’immissione sul
mercato di nuove specialità indicate nella
prevenzione secondaria di recidiva dopo un
primo accidente ischemico miocardico o
cerebrale legato all’aterosclerosi, e/o alla fase
COSD – IEO 2003
FANS: meccanismo d’azione
Acido arachidonico
FANS di uso corrente:
Ciclo-ossigenasi
X
Prostaglandine
Funzione renale
e piastrinica
Anti-infiammatori
Analgesici
Tossicità gastrointestinale
Tossicità renale
Infiammazione e
dolore
Trofismo della mucosa gastroduodenale
34
acuta dell’infarto cerebrale o in caso di angina instabile. Queste quattro proprietà sono
tradizionalmente connesse ad un meccanismo comune all’aspirina e agli altri FANS: l’inibizione
delle ciclo-ossigenasi sia periferiche che centrali, ciò che conduce ad una diminuzione della sintesi
di prostaglandine.
Le proprietà fisiologiche delle prostaglandine, prodotte diffusamente in tutto l’organismo, sono
ricordate nella tabella seguente. Sono ugualmente indicate le condizioni patologiche in cui sono
implicate le prostaglandine.
Comunque è molto agevole dedurre le proprietà terapeutiche o gli effetti collaterali comuni ai
prodotti (aspirina e FANS), inibitori delle ciclo-ossigenasi, in particolare di quelle periferiche.
Sarebbe, tuttavia, schematico ridurre alla sola inibizione della sintesi delle prostaglandine il
meccanismo di tutti gli effetti dell’aspirina e dei FANS
Principali proprietà fisiologiche ed implicazioni fisiopatologiche delle prostaglandine
Effetti dell’aspirina e dei FANS
Proprietà fisiologiche
Implicazioni fisiopatologiche
Effetti
Diminuzione della secrezione acida gastrica
Aumento della secrezione mucosa gastrica
→ Protezione mucosa gastrica
Sensibilizzazione dei nocicettori agli agenti algogeni.
Iperalgesia midollare
→ Azione pro-nocicettiva
Effetto vasodilatatore
Sensibilizzazione dei vasi agli agenti vasodilatanti
→ Azione pro-infiammatoria
Ipertermia
Tossicità gastrica
(EC/CI)
Regolazione dell’aggregazione piastrinica
(prostaciclina/trombossano A2)
Aumento della filtrazione glomerulare
Attivazione travaglio di parto
ET: effetto terapeutico
EC: effetto collaterale
Attività antalgica
(ET)
Attività antiinfiammatoria
(ET)
Attività antipiretica
(ET)
Attività antiaggregante
(ET/EC/CI)
Insufficienza renale
(EC/PI)
Rallentamento del travaglio di parto
(EC/CI)
CI: controindicazione
PI: precauzione nell’impiego
Inoltre occorre considerare la recente comparsa sul mercato di inibitori specifici di un particolare
tipo dell’enzima cicloossigenasi (che è un complesso enzimatico), i cosiddetti inibitori delle COX2.
L’effetto antiinfiammatorio comporta il manifestarsi di tutti gli altri effetti. Le azioni antipiretica e
analgesica determinano effetti periferici e centrali. E’ bene, inoltre, precisare che l’aspirina, al
contrario degli altri FANS, è un inibitore irreversibile delle ciclo-ossigenasi che le conferisce una
azione antiaggregante più prolungata e più intensa rispetto agli altri FANS.
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Farmacocinetica
La farmacocinetica degli FANS varia da molecola a molecola. Ciononostante alcune caratteristiche
comuni possono essere elencate:
• Assorbimento gastrico compatibile con una somministrazione orale
• Metabolismo epatico
• Importante legame proteico che giustifica le importanti interazioni farmacologiche
• Escrezione renale
Meccanismo di azione
Riguardo l’aspirina bisogna segnalare che il
Nuove ipotesi
metabolismo avviene attraverso una rapida
idrolisi intestinale ed epatica in acido
salicilico, che si lega fortemente alle
Acido arachidonico
proteine plasmatiche determinando una
COX-1
COX-2
emivita plasmatica di circa 2 ore.
(Costitutiva)
(Inducibile)
Esiste un rischio d’intossicazione da
FANS
X
X
aspirina somministrata a forte dosaggio, in
particolare nei soggetti anziani e nei
COX-2 Inibitori
Prostaglandine
X
bambini (sovradosaggio terapeutico o
Prostaglandine
intossicazione accidentale) con gravi •Supporto della funzione renale e piastrinica
Infiammazione e dolore
conseguenze. Quando ciò si verifica è •Protezione della mucosa gastroduodenale
giustificato il trasferimento immediato in un
centro specializzato (lavanda gastrica,
controllo dell’equilibrio acido-base, diuresi alcalina forzata, emodialisi o, se necessario, dialisi
peritoneale).
Effetti collaterali
Non è possibile fare una sintesi esauriente di tutti gli effetti collaterali dell’aspirina e dei FANS.
Alcuni di essi sono in rapporto con l’inibizione della sintesi delle prostaglandine che intervengono
in numerose funzioni fisiologiche:
• Alterazioni gastro-intestinali (irritazione della mucosa intestinale fino a ulcere gastro-duodenali
con micro e macro emorragie) possono giustificare, se la prescrizioni di tali farmaci è cronica,
l’associazione di misoprostolo (analogo delle prostaglandine), protettore della mucosa gastrica.
• Sindromi emorragiche (in rapporto con il potere antiaggregante piastrinico) sono soprattutto a
carico dell’aspirina.
• Insufficienza renale funzionale
• Complicanze ostetriche e neonatali (rallentamento del travaglio di parto, rischio emorragico
nella madre e nel neonato, rischio di chiusura precoce del dotto di Botallo).
Altri effetti collaterali, non collegati all’inibizione della sintesi di prostaglandine, possono
ugualmente verificarsi.
• Alterazioni cutanee (orticaria, prurito, eruzioni maculo-papulari)
• Manifestazioni d’ipersensibilità (reazioni anafilattiche) molto comuni con l’aspirina
• Alterazioni neurologiche (acufeni, cefalea, vertigini)
• Alterazioni ematologiche di tipo citotossico (agranulocitosi)
• Alterazioni epatiche (epatite citolitica o colestatica)
• Nefrite interstiziale
COSD – IEO 2003
36
L’incidenza di questi effetti varia da un prodotto all’altro. I più vecchi sono generalmente i più
incriminati (salicilici, indolici, pirazolonici). Tra le altre classi, i derivati dell’acido propionico
come l’ibuprofene o il ketoprofene sono considerati i meno tossici.
Riassunto ed aspetti pratici
• L’Aspirina e i FANS sono analgesici da utilizzare nei dolori di intensità moderata in funzione
del prodotto e della via di somministrazione.
• La loro scelta va adattata al singolo paziente considerando tutti i rischi ed effetti collaterali.
• L’inibizione della sintesi delle prostaglandine è il meccanismo d’azione comune. Se essa non è
sufficiente a spiegare tutte le proprietà, ne spiega però gli effetti collaterali comuni.
• Le controindicazioni di questi farmaci sono interamente legate alle loro proprietà
farmacologiche e ai loro effetti collaterali: ulcera gastro-duodenale evolutiva, malattie
emorragiche, ultimo trimestre di gravidanza, precedente ipersensibilità, associazioni
farmacologiche.
• Le proprietà dell’aspirina e dei FANS spiegano perché è meglio non associarli oppure prendere
delle precauzioni con:
• Anticoagulanti, antagonisti della vitamina k (effetto sinergico
sull’emostasi, spiazzamento degli antagonisti della vitamina k sul loro sito
di legame alle proteine plasmatiche)
• Litio (diminuzione della filtrazione glomerulare e della sua eliminazione,
rischio tossico)
• Ipoglicemizzanti orali (spiazzamento del loro sito di legame plasmatico
con aumento dell’effetto ipoglicemizzante, rischio di ipoglicemia)
• In alcune condizioni concomitanti, i COX2 inibitori possono essere di scelta: piastrinopenie,
pregresse malattie ulcerose gastroduodenali, utilizzo di anticoagulanti, rischio di sanguinamenti
(ad esempio lesioni neoplastiche ulcerate)
• L’efficacia analgesica dei COX2 inibitori rispetto ai FANS tradizionali è poco noto, in
particolare nel dolore oncologico cronico.
• E’ preferibile rispettare le precauzioni d’impiego nelle persone anziane, nei pazienti con
insufficienza renale, negli asmatici e nelle donne che fanno uso di dispositivi anticoncezionali
intrauterini
• Esiste un rischio di intossicazione da aspirina da riconoscere soprattutto nel bambino.
• L’associazione di due FANS è ingiustificata. Essa può peggiorare la gravità degli effetti
collaterali.
Gli analgesici oppioidi
La morfina costituisce il prodotto di riferimento di questa famiglia. La conoscenza della sua
farmacologia è dunque essenziale per il suo buon utilizzo o per quello dei suoi analoghi.
Morfina
Proprietà e meccanismo d’azione
La morfina è un analgesico ad effetto centrale. Le sue proprietà analgesiche sono dovute
all’attivazione (agonismo) dei recettori oppioidi, in particolare i mu, presenti a livello del midollo
spinale e dei differenti centri nervosi sopramidollari. Questi siti, che spiegano come la morfina
COSD – IEO 2003
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possa essere anche somministrata per via epidurale, intratecale o intracerebroventricolare, sono il
bersaglio del suo effetto inibitorio sulla trasmissione dello stimolo doloroso.
Tale azione farmacologica spiega l’attività analgesica della morfina anche se in alcuni casi è
possibile coinvolgere meccanismi psicologici.
Oltre alle proprietà analgesiche la stimolazione dei recettori mu è alla base di tutti gli altri effetti,
compresi quelli indesiderati.
La morfina provoca una contrazione della muscolatura liscia che spiega la stipsi. Essa agisce sul
centro del vomito inducendo nausea e vomito.
L’azione sui recettori mu spiega la depressione respiratoria così come la sedazione. Un’azione sugli
altri recettori degli oppioidi (sigma) spiega l’effetto euforico, una perturbazione dell’attività mentale
che porta all’utilizzo cronico e successivamente alla tossicodipendenza.
Farmacocinetica
Le caratteristiche farmacocinetiche meritano numerosi commenti.
• L’emivita di eliminazione della morfina è di circa 4 ore, vale a dire che alla fine della quarta ora
la concentrazione del farmaco è dimezzata. Questo tempo è pari, all’incirca alla durata d’azione
della morfina ed è per questo che si consiglia la somministrazione ogni 4 ore. Tuttavia la
formulazione a liberazione prolungata modifica le caratteristiche farmacocinetiche tanto da
consentire l’assunzione 2 o 3 volte al giorno.
• La morfina ha una bassa biodisponibilità per via orale (30%), cioè una grossa percentuale di
morfina viene metabolizzata prima che possa entrare nella circolazione.
• La metabolizzazione epatica della morfina produce diversi metaboliti attivi e non. I principali
metaboliti sono rappresentati dalla 3-morfina glicuronide (inattivo) e dal 6-morfina glicuronide.
Quest’ultimo è molto attivo, partecipa all’effetto analgesico soprattutto in caso di trattamenti
cronici.
Effetti collaterali
Essi derivano essenzialmente dalle caratteristiche farmacologiche. Possono essere divisi in due
gruppi in relazione alla loro incidenza.
Effetti indesiderati più frequenti:
•
•
•
•
•
La stipsi è pressoché sistematica impone un trattamento profilattico con prodotti stimolanto la
peristalsi intestinale. Se instaurato dall’inizio tale trattamento è efficace.
Nausea e vomito compaiono nel30% circa dei pazienti. Possono essere controllati, salvo rare
eccezioni, dai farmaci antiemetici.
Sedazione, frequente compare soprattutto all’inizio del trattamento e si risolve spontaneamente
dopo qualche giorno
Allucinazioni e confusione mentale sono rare. Compaiono essenzialmente nei soggetti anziani e
necessitano di una riduzione delle dosi (se possibile)
Prurito (raro)
COSD – IEO 2003
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Profilo farmacologico della morfina
Meccanismo d’azione
Principali proprietà
farmacologiche
Antalgico: azione spinale e
sopraspinale
Contrazione della muscolatura
liscia
Agonista totale e preferenziale Stimolazione del centro del
dei recettori mu
vomito
Sedazione
Psicodislessia
Depressione
respiratori
dei
Principali effetti terapeutici
ET: trattamento di dolori intensi
(postoperatori, da cancro,...)
EC: stipsi (sistematica ma
controllabile)
EC: naausea, vomito (circa 1/3
dei pazienti: controllabile)
EC: sonnolenza (risolvibile)
EC:
farmacodipendenza
(rarissima)
centri EC: depressione respiratoria
(rara e controllabile)
Altri EC
ET: effetto terapeutico; EC: effetto collaterale
Tali effetti collaterali sono relativamente frequenti ma, in generale, controllabili. La loro persistenza
con intensità elevata giustifica il ricorso sia ad un altro oppiaceo sia a somministrazioni centrali nel
contesto dei dolori da cancro.
Effetti collaterali rari
Sono gli effetti collaterali più conosciuti; essi non costituiscono una limitazione alla prescrizione
della morfina e pertanto non rappresentano un grosso problema clinico.
• La farmacodipendenza, nozione che raggruppa quelle di dipendenza psichica (bisogno
imperioso del prodotto), dipendenza fisica (turbe somatiche in caso di sospensione
corrispondenti alla sindrome da sovradosaggio), comparsa di tolleranza (necessità di aumentare
le dosi per ottenere lo stesso effetto), é un rischio potenziale connesso con la morfina e i suoi
derivati come ad esempio l’eroina. Ma tale rischio é veramente minimo nel loro utilizzo a scopo
analgesico. Studi realizzati in numerosi pazienti trattati con oppioidi hanno chiaramente
dimostrato che il rischio di assistere al verificarsi di una tossicomania è molto basso (circa
1/10.000). E’ dunque fondamentale non confondere l’utilizzo terapeutico di tali farmaci con
l’utilizzo indiscriminato che può esserne fatto in un contesto di abuso per tossicomania.
Riguardo alla tolleranza, essa rappresenta un concetto molto più animale che umano.
Allorquando necessita un aumento delle dosi nel contesto del dolore da cancro, ad esempio, é
difficile valutare quanto derivi dal progredire della malattia e quanto dal fenomeno della
tolleranza. In generale si è costretti ad aumentare le dosi degli oppioidi negli stadi terminali del
cancro e nel caso si verifiche tolleranza questa non rappresenta un problema clinicamente
rilevante non incidendo sulla prognosi del paziente che purtroppo risulterà infausta.
• La depressione respiratoria può indubbiamente presentarsi ma bisogna sapere che il dolore
costituisce, esso stesso, uno stimolo alla funzione respiratoria minimizzando tale effetto
collaterale. La paura che si verifichi depressione respiratoria non deve impedire di
somministrare la morfina ai bambini con dolore. In realtà, la sorveglianza costante dei pazienti
COSD – IEO 2003
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e l'esistenza di un antagonista come il naloxone, capace di annullare gli effetti della morfina,
permettono di utilizzare senza rischi la morfina.
Questi rari effetti collaterali vanno tenuti nella giusta considerazione e non devono costituire un
freno alla prescrizione della morfina sia nell’adulto che nel bambino, laddove il contesto clinico lo
giustifichi.
Altri analgesici oppioidi
Non è possibile elencare in questo contesto tutte le caratteristiche farmacologiche di tutti gli altri
oppioidi. Si elencheranno semplicemente le conseguenze relative allo stimolo dei diversi recettori
oppioidi spiegando così le loro proprietà potenziali, la loro efficacia analgesica, le loro interazioni.
L’interazione di tali farmaci con i relativi recettori è di triplice natura:
• Agonista puro come la morfina, aumentando le dosi si ha un effetto (per esempio analgesico)
maggiore.
• Agonista parziale, come la buprenorfina, per cui l’efficacia è limitata (effetto tetto), anche se si
aumentano le dosi. Se lo si inietta contemporaneamente ad un agonista puro più efficace ne
riduce l’attività.
• Antagonista, come il naloxone, che si fissa su un recettore (mu, per esempio) senza attivarlo ma
impedendo ad un agonista puro di agire. Il naloxone non può essere utilizzato come analgesico
ma solo per il trattamento dei sovradosaggi degli altri oppioidi.
L’effetto agonista mu esplica le stesse azioni della morfina con un intensità variabile a seconda dei
prodotti.
La tabella successiva propone una classificazione dei diversi farmaci.
Classificazione farmacologica degli analgesici oppioidi
Attività
Recettori
Principio attivo
Morfina
Metadone
Agonista totale
Mu+
Fentanile
Alfentanil
Ossicodone
Petidina
Codeina
Tramadolo
Destropropossifene
Mu + parziale
Buprenorfina
Kappa Agonista/antagonista
Mu –
Pentazocina
Kappa + parziale
+: agonista;
- :antagonista
In termini di efficacia analgesica i morfinici non sono tutti uguali in termini di dosi terapeutiche
utilizzabili. Il fentanile e i suoi derivati, per esempio, utilizzati nel periodo peri-operatorio (solo
recentemente sono stati messi a punto dei cerotti per il trattamento del dolore cronico) sono molto
efficaci ma al contempo producono più facilmente depressione respiratoria. Il metadone è
COSD – IEO 2003
40
disponibile in formulazione liquida, che lo rende particolarmente indicato in alcune situazioni
cliniche (come la disfagia per i solidi)
Codeina e destropropossifene (non più in commercio), al contrario, sono gli analgesici oppioidi
meno efficaci alle dosi terapeutiche. Il tramadolo è un oppioide particolare, che all’azione sui
recettori mu, associa anche un’interazione sulle vie spinali di conduzione del dolore. La
buprenorfina, agonista parziale, è meno efficace della morfina così come lo è la pentazocina: la
prima sarà presto disponibile in una formulazione transdermica in cerotto, che potrà essere utilizzata
in particolari condizioni. L’ossicodone è un analgesico, attualmente solo disponibile come galenico,
che verrà presto immesso sul mercato: la sua efficacia analgesica è simile a qualla della morfina,
con un interessante profilo di effetti collaterali. L’attività analgesica di questi farmaci è, infatti,
solamente parziale su i recettori oppioidi kappa.
Il profilo recettoriale di questi farmaci spiega le controindicazioni di certe associazioni. Associata
alla morfina, la buprenorfina, e la pentazocina ne ridurrebbero l’effetto.
Queste caratteristiche, tuttavia, da sole, non spiegano le dosi efficaci di ogni derivato. Esse
dipendono da altri due parametri: l’affinità (cioè l’attitudine a legarsi al recettore) del farmaco e le
sue caratteristiche farmacocinetiche (cioè le modificazioni che l’organismo produce sul farmaco che
condizionano la capacità di raggiungere il sito d’azione).
Per poter confrontare tra loro i diversi prodotti si parla di dosi equi-analgesiche, cioè suscettibili di
produrre la stessa intensità di analgesia. A titolo d’esempio:
• 100 mg di codeina corrispondono a 10 mg di morfina orale
• 100 mg di petidina corrispondono a 20 mg di morfina orale
• 0,4 mg di buprenorfina corrispondono a 20 mg di morfina orale
• 0,3-0,5mg/kg di morfina endovena corrispondono a 1 mg/kg di morfina orale
Tali dosaggi non corrispondono all’efficacia relativa. Per esempio si sa che la buprenorfina è meno
efficace della morfina è deve essere utilizzata in caso di dolore moderato come quello del livello 2 e
3 della scala OMS.
Riassunto e aspetti pratici
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•
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•
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•
Proprietà terapeutiche ed effetti collaterali degli analgesici oppioidi dipendono essenzialmente
dalla loro azione sui recettori oppioidi (soprattutto mu).
La scelta degli analgesici oppioidi dipende dall’intensità del dolore.
Codeina, destropropossifene, tramadolo, sono degli oppioidi deboli, perciò meno efficaci degli
oppioidi forti (morfina, metadone, pentazocina, buprenorfina, ossicodone, fentanile) prescritti
nei dolori intensi.
Un minor dosaggio non implica una maggiore efficacia relativa.
La frequenza delle somministrazioni dipende dalla durata d’azione del prodotto.
La prescrizione al bisogno è sconsigliata, se non associata ad una regolare.
Gli effetti collaterali più frequenti sono prevenibili o spontaneamente autolimitanti.
Non c’è la possibilità di indurre tossicomania nei pazienti trattati con analgesici oppioidi.
La depressione respiratoria indotta dgli oppioidi è rara e controllabile.
La somministrazione orale di morfina è la via più utilizzata per il dolore cronico da cancro. Stati
clinici particolari (ostruzione esofagea, coma ...) o effetti collaterali importanti possono indurre
ad abbandonare questa via di somministrazione per passare ad una somministrazione con sonda
gastrica o per via parenterale.
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41
•
•
•
•
Il ricorso all’analgesia controllata dal paziente (PCA) permette un soddisfacente controllo del
dolore, attraverso somministrazioni più spesso endovenose (o sottocutanee) di morfina. In realtà
questa tecnica viene usata essenzialmente nel dolore postoperatorio.
Buprenorfina, pentazocina non possono essere associata ad altri oppioidi o tra di loro.
Codeina e destropropossifene, poco utilizzati da soli, presentano un interesse in associazione
con il paracetamolo. Si ha una sinergia di potenziamento che giustifica la prescrizione di questa
associazione nei dolori d’intensità moderata. Il tramadolo è importante nel secondo scalino della
scala OMS.
Il passaggio da un oppioide ad un altro più efficace impone che la posologia del nuovo prodotto
sia maggiore della dose equianalgesica. Un paziente che non ha tratto giovamento da 100 mg di
codeina non dovrà ricevere 10 mg di morfina (dose equianalgesica) ma almeno 15 che
corrispondono al 50% in più. In molti casi però, in particolare quando si deve convertire da dosi
alte di farmaci, si preferisce mantenere un dosaggio inferiore rispetto a quello di partenza,
lasciando delle dosi extra di analgesici durante la fase di adattamento.
Antidepressivi ed anticonvulsivanti
Sono prodotti per i quali l’evidenza clinica e gli studi controllati hanno dimostrato l’importanza
terapeutica in certe sindrome dolorose croniche.
Gli antidepressivi
Sono i farmaci d’elezioni nel trattamento di dolori neurogeni ed in particolare in caso di neuropatie
periferiche ad origine traumatica (lesioni nervose, arto fantasma), metabolica (neuropatia diabetica),
infettiva (dolore post-herpetico), tossica (neuropatia alcolica o postchemioterapica) o invasiva
(dolore da cancro).
Alcuni studi controllati dimostrano la loro efficacia anche nei dolori da reumatismi.
La loro utilità, infine, è stata dimostrata anche nella fibromialgia e nell’emicrania. Una recente
meta-analisi (l’insieme di studi realizzati in doppio cieco confrontati con placebo o con farmaco di
riferimento) ha dimostrato una reale efficacia di tali farmaci.
L’amitriptilina e la clorimipramina sono quelli più utilizzati; i risultati della metanalisi tendono a
privilegiare tali farmaci, ai quali si può aggiungere l’imipramina. L’efficacia della desipramina è
stata ugualmente dimostrata. L’interesse potenziale dei nuovi antidepressivi resta da dimostrarsi.
Il meccanismo dell’effetto analgesico degli antidepressivi è sconosciuto. Tuttavia sia le
argomentazioni sperimentali che quelle cliniche concordano per un effetto analgesico proprio,
indipendente dalla modificazione dell’umore.
Le principali argomentazioni sono:
•
•
•
L’evidenza di miglioramento delle sindromi dolorose nei pazienti affetti da dolore cronico ma
non depressi
Efficacia nei pazienti con dolore e depressi; allora anche laddove l’umore non era migliorato
Infine dimostrazione su modelli animali con dolore acuto, e ancor in quelli con dolore cronico,
dell’efficacia degli antidepressivi.
Se tali farmaci (antidepressivi imipraminici o triciclici) sono interessanti nel contesto del dolore
cronico difficile da trattare, la loro efficacia non è tuttavia assoluta e i loro effetti collaterali
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(secchezza della bocca, stipsi, ritenzione urinaria, ipotensione ortostatica, fini tremori delle
estremità...) sono spiacevoli.
Essi sono controindicati nei pazienti affetti da certe forme di glaucoma, di tumore prostatico e di
certe patologie cardiache.
Gli anticonvulsivanti
L’interesse primario degli anticonvulsivanti risiede nell’efficacia importante della carbamazepina
(Tegretol) nel trattamento della nevralgia del trigemino.
Il loro apporto nella cura dei dolori da neuropatie periferiche è molto meno sostenuto. Essi
potrebbero tuttavia ridurre i dolori ad andamento parossistico. Recentemente anche la gabapentina
(Neurontin) è entrata nell’uso, favorita anche da un buon profilo di tollerabilità e dalla scarsità di
interazioni farmacologiche: due importanti studi controllati hanno dimostrato la sua efficacia nelle
nevralgie posterpetiche e nella neuropatia diabetica.
Altre tecniche terapeutiche sono state studiate nell’ambito del trattamento di sindromi dolorose
croniche di origine neurogena.
In generale, il numero di lavori dedicati a tali farmaci è ancora limitato, e lo stesso il loro interesse
terapeutico. Si tratta, ad esempio, degli antiaritmici (lidocaina), della clonidina, della capsaicina...
Laddove si ha una partecipazione simpatica nel mantenimento del dolore (ad esempio
algoneurodistrofia, cruralgia), il ricorso agli alfabloccanti o alla guanitidina (inibitore della
liberazione di noradrenalina) può essere interessante.
Riassunto ed aspetti pratici
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•
•
Gli antidepressivi sono prescritti in certe sindromi dolorose croniche, in particolare in quelle di
origine neurogena.
Gli antidepressivi triciclici sono i più efficaci.
I nuovi antidepressivi, i serotoninergici, devono ancora dimostrare la loro eventuale efficacia.
L’efficacia di tali farmaci non è assoluta.
L’effetto degli antidepressivi è legato ad un’azione antalgica specifica.
Gli antidepressivi triciclici presentano effetti collaterali comuni.
Le posologie degli antidepressivi sono ijn generale inferiori a quelle utilizzate nel trattamento
degli stati antidepressivi.
Gli anticonvulsivanti possono ugualmente essere prescritti in questo contesto clinico.
La carbamazepina rappresenta il trattamento farmacologico della nevralgia del trigemino.
Altre tecniche terapeutiche specifiche possono essere utilizzate in certi dolori cronici.
Linee Guida
Perché delle Linee Guida?
E’ indispensabile che l’informazione dei medici sia la più obiettiva possibile per permettere di
adattare la loro pratica quotidiana alla realtà scientifica e ai dati economici, e di scegliere per i loro
pazienti la strategia terapeutica più adatta.
Le Linee Guida sono state concepite per questo scopo e rappresentano una attualizzazione delle
acquisizioni di valutazione medica riguardanti le diverse patologie.
Esse, generalmente presentate per classe terapeutica, pongono ogni farmaco in rapporto agli altri
principi attivi utilizzati nelle stesse indicazioni. Esse stabiliscono una gerarchia nell’ambito dei
criteri di scelta e definiscono le modalità di prescrizione.
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Le Linee Guida sono elaborate da gruppi di esperti e poi dalla commissione per le Linee Guida. I
progetti sono trasmessi ai laboratori farmaceutici attraverso il sindacato che funge da intermediario.
La versione definitiva è elaborata in Commissione discutendo le note dell’industria. Le schede
approvate in sede plenaria esitano così in un consenso rigoroso. Esse sono ridiscusse ogni anno.
Quando il trattamento eziologico è impossibile, inefficace o di efficacia non immediata, deve essere
perseguito un trattamento antalgico sintomatico .
Linee Guida Antalgiche
Quale analgesico prescrivere?
La scelta dell’analgesico dipende:
• Dal meccanismo algogeno implicato: dolori da eccesso di nocicezione o da deafferentazione...
• Dall’intensità del dolore valutata dal malato: debole, moderato, intenso o molto intenso.
• Dalle controindicazioni alla prescrizione di un certo tipo di analgesico: patologia anteriore o
attuale, eventuali allergie, interferenze farmacolgiche.
Dolori organici da eccesso di nocicezione
I dolori di debole o di media intensità sono trattati con analgesici periferici o con certi analgesici
centrali:
• Gli analgesici periferici sono prescritti in caso di cefalea, dolori dentari, dismenorrea, dolori
dell’apparato locomotore, traumatologia benigna, ...
• I FANS, alle dosi abituali, rappresentano il trattamento sintomatico dei reumatismi di tipo
infiammatorio o degenerativo, dei reumatismi articolari, delle dismenorree, ma anche dei dolori
delle manifestazioni infiammatorie nell’ambito della ORL e della stomatologia
• Analgesici centrali come il tramadolo, o la codeina possono essere prescritti in caso di
fallimento degli analgesici periferici e quando l’intensità del dolore lo giustifica
• L’associazione di due farmaci a diverso meccanismo d’azione, ad esempio, con una sostanza ad
azione centrale (paracetamolo + codeina) permette di ottenere un migliore effetto antalgico
• L’associazione antispasmodico-antalgica periferica è utilizzata nei dolori viscerali (coliche
renali)
• Esistono anche associazioni di più principi attivi i cui effetti analgesici non sono sempre
sommatori o sinergici. La loro prescrizione è tanto meno giustificata poiché tali associazioni
cumulano gli effetti collaterali propri di ognuno.
I dolori intensi, sia acuti che cronici, superficiali o profondi, giustificano l’utilizzo di analgesici
centrali; gli oppioidisono infatti molto utili per controllare i dolori intensi come quelli da frattura, da
infarto del miocardio o da cancro.
Dolori organici da deafferentazione
Derivano da lesioni nervose periferiche o centrali ed il dolore ad esse associate può essere
• Folgorante o parossistico: è allora indicata la prescrizione di un antiepilettico (carbamazepina,
clonazepam..)
• Continuo come uno strappo, bruciore, morso...; in questo caso è indicata la somministrazione di
gabapentina, o di un antidepressivo triciclico o il trattamento con uno stimolatore elettrico
periferico (TENS)
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Dolori senza causa evidente
Questi dolori siano essi toracici, addominali, cerebrali o vertebrali comportano una sofferenza ed un
handicap a volte permanente.
Questi possono inquadrarsi nell’ambito di una sindrome nevrotica (isterismo, ipocondria,
depressione mascherata) ma, a volte non si possono inquadrare in una sindrome psichiatrica nota.
Gli analgesici periferici e gli antiinfiammatori non steroidei sono spesso inefficaci e non dovrebbero
essere utilizzati.
I farmaci psicotropi e la psicoterapia possono essere utili. Nel caso di una depressione con sintomi
dolorosi non ben definibili che si accompagnano a una depressione dell’umore esordita prima dei
dolori o contemporaneamente a questi la prescrizione di soli antidepressivi può far regredire
interamente i dolori.
Dolori cronici
Qualunque siano i meccanismi eziologici di tali dolori, presto si sovrappongono alla sintomatologia
dolorosa iniziale fattori emozionali ansiosi o depressivi, fattori cognitivo-comportamentali
inadeguati (pensieri incoerenti, sentimenti d’impotenza di fronte al dolore, disinteresse per le
abituali occupazioni) con conseguente disinserimento socio-familiare.
In questo stadio raramente è sufficiente il solo trattamento eziologico ed è quindi necessario
pianificare una terapia multimodale che interessi le differenti sfere della sindrome dolorosa.
Tali tecniche (stimolazione elettrica transcutanea o midollare, blocchi simpatici, tecniche di
rilassamento, rieducazione comportamentale, pscicoterapia di sostegno..) possono essere utilizzate
in alcuni centri di terapia del dolore.
Ogni prescrizione di analgesico impone di verificare l’efficacia al fine di adattare la posologia il più
rapidamente possibile e la tolleranza (effetti secondari).
Come prescrivere gli analgesici ?
Via di somministrazione
•
•
•
Per ogni analgesico: la via parenterale è quella che determina una sedazione del dolore più
rapida ma meno durevole rispetto alla via enterale ed è più adatta per il trattamento dei dolori
acuti. La somministrazione per os di un adeguato piano quotidiano di somministrazione delle
dosi è invece più adatta per i dolori cronici.
La presenza di vomito, ileo, diarrea impone la via parenterale.
L’esistenza di ipovolemia (da disidratazionie, emorragia) deve far utilizzare la via endovenosa
piuttosto che quella intramuscolare.
Posologia
Prescrivere un analgesico comporta conoscere le dosi minimi efficaci e quelle massimali tossiche.
In caso di modificazione della via di somministrazione o dell’analgesico utilizzato conviene sempre
tener conto delle dosi equi-analgesiche delle due vie di somministrazione o tra i due analgesici in
modo da iniziare la nuova terapia con le dosi giuste.
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Orario di somministrazione
Esso è funzione dell’orario del dolore e della cinetica degli effetti dell’analgesico utilizzato. Quando
il dolore è continuo o cronico, l’analgesico deve essere prescritto ad orari regolari in funzione della
sua durata d’azione in modo da evitare al paziente l’angoscia della ricomparsa del dolore.
Conclusione
Anche se è stato dimostrato che esistono attualmente farmaci efficaci per le sindromi dolorose acute
e croniche, c’è da sperare che compaiano sul mercato nuovi prodotti.
Col progredire delle conoscenze fisio-patologiche si aprono nuove piste. Esse riguardano concetti
nuovi che implicano interazioni con diversi sistemi di controllo del dolore, il cui ruolo è conosciuto
sempre meglio.
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8. MEZZI FISICI E PSICOLOGICI
Diversi mezzi fisici e psicologici possono indurre un effetto analgesico. Alcuni di essi possono
essere facilmente applicati da un infermiere. La loro attuazione non esime il medico dall’utilizzare
metodiche più appropriate.
Stimolazioni termiche
I mezzi di controstimolazione come le stimolazioni termiche, considerate piccoli mezzi, trovano la
loro collocazione nell’arsenale terapeutico del dolore cronico.
Si considereranno in seguito le stimolazioni da freddo e da caldo.
Il freddo
• Possono essere usate diverse modalità: le manipolazioni fredde, un getto d’acqua freddo, una
borsa di ghiaccio, un massaggio con il ghiaccio, un bagno ghiacciato, uno spray refrigerante.
• Gli effetti fisiologici sulla circolazione locale consistono in un abbassamento della temperatura
cutanea, in una vasocostrizione seguita da una vasodilatazione e di nuovo da una
vasocostrizione con lesioni se non si sono rispettati i tempi di applicazione. Ne risulterà
ipoalgesia al freddo.
• Le indicazioni sono: dolori muscolari, dolori dentali, cefalee, pririti, lombalgia cronica...
• Bisognerà prendere alcune precauzioni nei pazienti che presentano importanti turbe sensitive ed
alterazioni circolatorie. Si eviterà questo tipo di trattamento a livello del collo, nel neonato (< di
3 mesi), nel cardiopatico, nel paziente affetto da lesioni cutanee (ustioni).
• Il tempo di applicazione non deve superare i 10 minuti di continuo ed i 30 minuti in maniera
discontinua
Il caldo
Come la stimolazione da freddo, quella da caldo può essere fatta con diverse modalità:
superficiale (cuscino, coperta riscaldata, borsa dell’acqua calda)
profonda (onde corte, microonde, ultrasuoni..)
• Gli effetti fisiologici consistono in un aumento della circolazione locale, un aumento della
temperatura cutanea, un aumento del tono muscolare, una dimunzione del dolore.
• La temperatura più attiva è all’incirca di 40° C.
• Accortezza a livello delle ossa superficiali, alle zone poco vascolarizzate, alle zone ipo o
totalmente anestestiche a causa di rischio di ustione.
• Le controindicazioni sono i sanguinamenti e gli edemi
Qualche riflessione pratica
Per la scelta di una tecnica ci si baserà sul soggetto, avvicendando le diverse terapie e privilegiando
le più semplici e meno costose
• L’analgesia è immediata, limitata nel tempo (da qualche minuto a qualche ora) ma il trattamento
può essere ripetuto di frequente.
• Al pari del trattamento farmacologico il trattamento fisico deve essere preventivo (eseguito
prima della comparsa del dolore) e ripetuto più volte nella giornata.
Chiaramente tali tecniche possono essere associate a tutte le altre terapie analgesiche
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Kinesiterapia
La kinesiterapia è essenziale in numerosi dolori cronici che interessano l’apparato locomotore; in
particolare nelle lombosciatalgie croniche e nelle sindromi algo-distrofiche. Essa costituisce un utile
mezzo terapeutico in caso di dolori “secondari” spesso legati a posizioni scorrette, a contratture
muscolari e a limitazioni muscolari.
Una kinesiterapia può produrre dolore se, troppo passiva, mantiene il malato in atteggiamenti
dolorosi, crea una dipendenza o contribuisce a dare una visione sbagliata del dolore cronico.
E’ auspicabile che il kinesiterapeuta sia inserito nell’équipe sanitaria, altrimenti è preferibile che il
medico prenda con esso contatti scritti o verbali. In ogni caso la prescrizione deve spiegare il lavoro
da fare.
La componente muscolare può essere controllata dall’apprendimento di posizioni adatte, da
massaggi decontratturanti, spesso associati ad altre procedure di controstimolazioni come il
trattamento con il caldo (fangoterapia, infrarossi)..
In generale la kinesiterapia può facilitare la progressiva ripresa delle attività fisiche del paziente. E’
utile che il kinesiterapeuta conosca le tecniche di rilassamento per insegnare al malato ad alternare
fasi di attività fisica a quelle di rilassamento. Talvolta la kinesiterapia va completata da
un’ergoterapia.
Approccio cognitivo-comportamentale
Gli abituali consigli dettati dal buon senso: “pensi meno al suo dolore” riprenda le attività”, “non è
così grave” non hanno alcun effetto sul malato con dolore cronico. Le tecniche comportamentali
rappresentano un ruolo importante nell’approccio psicologico al paziente afflitto dal dolore. Come
prima cosa è importante dare al paziente una descrizione, la più rassicurante possibile, del suo
dolore e aiutarlo ad eliminare le distorsioni cognitive che favoriscono i comportamenti che
peggiorano l’adattamento. Video informativi o piccoli manuali possono essere dei validi processi
informativi per i malati. L’insieme dei consigli mira a stimolare la ripresa delle attività (fisiche,
professionali o di svago)che sarà graduale e progressiva in modo da interrompere il circolo vizioso
attività-dolore. Le tecniche di rilassamento, in tutte le loro forme, giocano un ruolo importante.
Aiutano la persona a controllare meglio il proprio dolore e ad utilizzare il rilassamento come
prevenzione agli stress in grado di aumentare il dolore. In certi approcci comportamentali è
possibile sia un approccio singolo sia un approccio di gruppo (“gruppi emicrania”).
L’obiettivo principale prevede di aiutare la persona ad incrementare la propria tolleranza al dolore,
ad accettare e condurre al meglio possibile le proprie attività. I cambiamenti di comportamento
devono essere rinforzati dai consorti o dagli altri membri della famiglia. Nel caso in cui le
interazioni familiari possano determinare una cronicizzazione del dolore conviene sollecitare la
partecipazione di un congiunto nella terapia.
A fianco di queste tecniche comportamentali destinate espressamente al dolore ed all’invalidità che
genera, tutte le altre forme di psicoterapia possono essere proposte al paziente con dolore cronico.
Nella pratica clinica, i malati accettano, non senza remore, di essere visitati dallo psichiatra. Spesso,
dopo un periodo iniziale di terapia comportamentale che aiuta a riformulare la concezione del
malato rispetto al dolore cronico si assiste ad una richiesta spontanea di psicoterapia.
Rilassamento
Nel linguaggio comune rilassarsi significa distendersi con un buon libro, guardare un film comico o
tenere una piacevole discussione con gli amici. In realtà non è sufficiente volersi rilassare per
esserlo, per giungere ad uno stato di globale rilassamento muscolare, di rilasciamento fisico e
mentale detto “stato di rilassamento”.
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Gli stati di rilassamento terapeutico si ottengono con l’apprendimento attivo e regolare di un
metodo di rilassamento.
Lo stato di rilassamento si caratterizza per uno stato fisiologico e psicologico di distensione e di
benessere chiamato “risposta di rilassamento”. Tale risposta è incompatibile con la reazione di
urgenza o di allerta rappresentata dal dolore, dallo stress e da tutte le emozioni negative. Non
bisogna pensare che la risposta di rilassamento sia immaginaria. Le risposte somatiche
(rilasciamento muscolare, diminuzione della frequenza cardiaca e respiratoria, diminuzione della
pressione arteriosa, aumento della temperatura cutanea, vasodilatazione) e psicologiche (stato di
calma, benessere e tranquillità) possono essere facilmente rilevate da comuni monitorizzazioni
(ECG, Pressione arteriosa..). La componente cognitiva è utile perché distrae dal dolore. Il
rilassamento è un mezzo per ritrovare un sonno di qualità. È uno strumento per combattere prima,
durante e dopo tutte le esperienze aggressive. È alla base delle strategie del controllo del dolore.
Deve essere imparato volentieri per diventare riflesso. L’apprendimento deve essere progressivo,
inizialmente in condizioni passive (sdraiato), successivamente, in condizioni dinamiche (seduto, in
piedi e in attività).
L’apprendistato è indispensabile per saper “piombare” rapidamente in uno stato di rilassamento
profondo. La tensione è sempre un segnale d’allarme per ottenere una risposta di rilassamento.
Principali tecniche di rilassamento
Rilassamento progressivo di Jacobson
Esso utilizza il contrasto tra la contrazione e il rilasciamento di un muscolo. Una volta contratto un
muscolo, il paziente apprezza il suo livello di tensione, apprezza tutte le situazioni che
accompagnano questa contrazione volontaria poi lo rilascia e apprezza le sensazioni che derivano
dal rilassamento cercando, nel contempo, di rilassarsi sempre più.
Training autogeno di Schultz
Il soggetto è mentalmente impegnato in uno stato che fissa il bersaglio da raggiungere, ad esempio:
"sono calmo, ...affatto calmo, ... perfettamente calmo”. Per meglio assimilare la tecnica è
indispensabile imparare sei esercizi di base che compongono questo metodo:
controllo respiratorio
controllo muscolare
controllo cardiaco
controllo vascolare
controllo vascolare addominale (plesso solare)
controllo vascolare encefalico (fronte)
Biofeedback
È il controllo volontario delle attività corporali dell’organismo (muscolari o termiche) che sono
abitualmente riflesse o automatiche. Con l’aiuto di un apparecchio per biofeedback, in genere
elettromiografico, il paziente visualizza la sua contrazione muscolare attraverso la visualizzazione
luminosa o sonora, e applicando le tecniche di rilassamento (controllo respiratorio, rilasciamento
muscolare) apprezza il grado di rilasciamento prodotto. In seguito, nella vita corrente, si può
arrivare ad ottenere gli stessi effetti delle sedute.
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9. IL DOLORE POSTOPERATORIO
Si tratta della principale causa di apprensione per i pazienti che devono sottoporsi ad intervento
chirurgico.
Caratteristiche del dolore postoperatorio
Numerosi fattori influenzano la comparsa, l’intensità, le caratteristiche e la durata di questo dolore:
• Il tipo d’incisione
• La durata dell’intervento
• Lo stato psico-fisiologico del paziente
• La qualità della preparazione psicologica e farmacologica preoperatoria. Questo spiega
l’importanza della consulenza anestesiologica precedente all’intervento.
• La qualità delle cure postoperatorie
Le componenti del dolore postoperatorio sono molteplici:
•
•
•
Componente cutanea in relazione con il traumatismo dell’incisione, con liberazione di sostanze
algogene.
Componente somatica profonda, secondaria a lesioni nervose a livello delle aponeurosi, dei
muscoli, della pleura o del peritoneo. Tali lesioni generano una sensazione spiacevole diffusa
localizzata a livello della lesione o in un’area di proiezione.
Componente viscerale, conseguenza di traumatismi chirurgici, caratterizzata da un dolore
localizzato a livello del focolaio operatorio o a livello di una zona di proiezione parietale.
Conseguenze del dolore postoperatorio:
•
•
•
•
•
•
Modificazioni respiratorie (diminuzione della capacità vitale) per blocco volontario o
involontario dei muscoli toracici, addominali o diaframmatici, contrattura riflessa di tali
muscoli, inibizione del riflesso della tosse e dell’inspirazione profonda, distensione o
compressione addominale. Tutti questi fattori limitano i movimenti del diaframma, cui si
aggiunge la possibilità di broncospasmo secondario ad un riflesso cutaneo-viscerale.
Alterazioni circolatorie e metaboliche con aumento del lavoro cardiaco, della pressione arteriosa
e del consumo di ossigeno.
Alterazioni gastro-intestinali tipo ileo, riflessi cutaneo-viscerali e viscero-viscerali che
determinano un’iperattività del simpatico con inibizione riflessa della funzione gastrointestinale ed urinaria.
Alterazione del metabolismo e della funzione muscolare.
Aumento del rischio di tromboflebite postoperatoria per ritardo della mobilizzazione e della
deambulazione del paziente.
Ripercussioni sull’umore e sul comportamento con possibilità di stati d’ansia, di agitazione e
con alterazioni del ritmo nictemerale.
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L’analgesia postoperatoria
Prevenzione del dolore
•
•
•
Qualità dell’intervento chirurgico: manovre scarsamente traumatizzanti, emostasi accurata con
diminuzione di edema ed ematoma, scelta della via d’accesso e del tipo d’incisione.
Scelta di una tecnica anestetica in grado di mantenere una buona analgesia anche nel
postoperatorio.
Preparazione psicologica del paziente con spiegazione precisa di ciò che accadrà nel periodo
postoperatorio (drenaggi, cateteri, etc…).
Controllo del dolore
Modalità di prescrizione degli analgesici
Somministrazione discontinua
•
Prescrizione sistematica di una dose fissa.
- si tratta di una tecnica molto diffusa che non lascia alcun posto alle variazioni
individuali ed inter-individuali.
- Le vie intramuscolare ed endovenosa sono le più utilizzate.
- Questa tecnica espone il paziente al rischio di una analgesia intermittente oltre al
rischio di sovradosaggio (o di sottodosaggio).
Prescrizione di una dose fissa da dare al bisogno.
- E’ la tecnica più utilizzata nella misura in cui essa permette di tener conto delle
variazioni individuali ed inter-individuali.
- Necessita, tuttavia, di informare il paziente sulla possibilità di richiedere
analgesici, e di informare il personale curante sul rispetto delle prescrizioni.
Prescrizione discontinua adattata ai bisogni reali del paziente.
- Si tratta dell’adattamento delle posologie ad ogni paziente in funzione
dell’efficacia constata o della comparsa di effetti collaterali.
Modalità di somministrazione
•
•
Essenzialmente si usa la via endovenosa, talvolta la via peridurale per la somministrazione di
morfinici.
La principale difficoltà è quella di valutare con precisione l’esatto fabbisogno del paziente allo
scopo di evitare il rischio di sovradosaggio che potrebbe provocare una depressione respiratoria.
A tale scopo è fondamentale valutare frequentemente la qualità dell’analgesia
Analgesia controllata dal paziente (PCA, Patient controlled analgesia):
• Si tratta di una tecnica di somministrazione basata sul fatto che è il paziente stesso a controllare
la quantità di analagesico da somministrare per via endovenosa (ma anche, in alcuni casi, per
via peridurale) in relazione all’intensità del dolore percepita
• Le dosi corrispondono perfettamente ai bisogni reali del paziente
• La molecola più largamente utilizzata con questa tecnica è la morfina. Per l’infusione è
necessaria una pompa programmabile con tutte le garanzie di protezione necessarie per evitare
sovradosaggi. A tal fine si stabilisce un periodo di tempo detto periodo refrattario o “lock out
time” durante il quale l’erogazione di farmaco è bloccata.
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51
Mezzi terapeutici
Analgesici non oppioidi
Si tratta, fondamentalmente di salicilati, di paracetamolo e di farmaci antiinfiammatori non steroidei
(NSAIDs ).
La messa a punto di forme iniettabili di paracetamolo (propacetamolo) e di NSAIDs (ketorolac) ha
contribuito notevolmente all’incremento dell’utilizzazione di questi farmaci per il trattamento del
dolore postoperatorio debole o moderato o in associazione ad oppioidi per il trattamento del dolore
intenso.
I morfinici
Essi agiscono a livello del sistema nervoso centrale (livello spinale e sovraspinale). Si dividono in:
• Agonisti puri, come la morfina, caratterizzati dal fatto di non avere una dose tetto.
• Agonisti parziali come la buprenorfina
• Agonisti antagonisti (pentazocina) che presentano una dose tetto al di sopra della quale
l’aumento dei dosaggi non determina un aumento dell’analgesia
Vie di somministrazione
Nel periodo postoperatorio, in caso di media chirurgia, la via di somministrazione più utilizzata è
quella endovenosa che permette di applicare la PCA o la semplice infusione ad orari fissi di
analgesici periferici come il paracetamolo o i FANS.
Per gli interventi minori la via orale è da preferirsi per la semplicità e la sicurezza di tale via di
somministrazione. La chirurgia addominale maggiore e la chirurgia toracica necessitano spesso di
morfinici per via peridurale iniettati sia con la metodica controllata dal paziente che in infusione
continua.
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10. DOLORE IN ONCOLOGIA
Il 30% dei pazienti oncologici presentano, nel corso dell’evoluzione della loro malattia, una
sintomatologia dolorosa d’intensità variabile, e tale percentuale va dal 60 al 90% in fase terminale.
Ma, in Itali il 30-40% dei malati oncologici con dolore non beneficiano di alcun trattamento
antalgico o soltanto di un trattamento malcondotto.
Tappa diagnostica
•
•
•
•
La diagnosi eziologica è
fondamentale e permette di
risalire, grazie al dolore,
all’affezione cancerosa stessa
(70% dei malati), ai diversi
trattamenti specifici utilizzati
(20%), senza dimenticare la
possibilità, non eccezionale
(10%) di una eziologia non
legata al cancro.
La diagnostica fisiopatologica
permette di differenziare i
dolori
da
eccesso
di
nocicezione (i più frequenti)
dei dolori neurogeni, secondari a lesioni nervose periferiche spesso indotte, da trattamenti
radioterapici (lesioni del plesso brachiale in particolare), senza dimenticare i dolori di eziologia
mista che si riscontrano ad esempio nella sindrome di Pancoast.
Il quadro oncologico completo precisa la natura e la prognosi dell’affezione cancerosa, ed è
questo che condiziona per gran parte la scelta del trattamento antalgico adatto.
Una valutazione globale del paziente è indispensabile per valutarne la personalità, la situazione
familiare e professionale, per stabilire le ripercussioni del dolore sul suo comportamento e per
cercare di stabilire, infine, una buona relazione con il malato ma anche con la famiglia.
Tappa terapeutica
Scala dell’OMS: i principi
Questa scala è prevista per il trattamento di dolori “da eccesso di nocicezione”. I dolori neurogeni
richiedono un altro approccio terapeutico che prevede gli anticonvulsivanti, gli antidepressivi e le
tecniche di neurostimolazione.
I farmaci antalgici, oppioidi o meno, non devono mai essere prescritti “al bisogno” ma sempre “ad
orari fissi”. La lunghezza dell’intervallo tra le somministrazioni dipende infatti dalla durata
dell’efficacia del medicamento utilizzato.
Bisogna utilizzare tutte le possibilità terapeutiche di un livello prima di affermarne l’inefficacia e di
passare al livello superiore.
E’molto spesso interessante associare al trattamento antalgico stesso un trattamento “adiuvante”
(ansiolitico, antidepressivo, antinfiammatorio, antispastico) che permette di migliorare la qualità
dell’analgesia dimimuendo il numero e l’intensità degli effetti collaterali.
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53
•
Il primo livello prevede l’utilzzo di antalgici “periferici” come i derivati dell’acido
acetilsalicilico, il paracetamolo e gli antinfiammatori non steroidei.
1. Il paracetamolo deve essere utilizzato ogni 4-6 ore alla dose di 500-1000 mg alla volta senza
superare i 3-4 g/die.
2. L’aspirina ha una durata di azione simile al paracetamolo alle stesse dosi.
3. Inoltre bisogna ricordarsi che questi medicamenti hanno un effetto tetto e che gli effetti
collaterali dell’aspirina e dei FANS a forti dosi (gastrointestinali ed ematologici) limitano il loro
utilizzo in forma cronica.
• Il secondo livello comprende molecole che sono degli analgesici centrali detti ”oppioidi per
dolori lievi-moderati” come la codeina e il destropropossifene, spesso associati al paracetamolo
nelle preparazioni commerciali.
• Il terzo livello è occupato dagli “oppioidi per dolori forti”, sostanzialmente la morfina.
essa si presenta attualmente sotto due forme farmaceutiche: morfina cloridrato in fiale da 10 e
20 mg e morfina solfato in cp a lento rilascio da 10, 30, 60, 100 e 200 mg (Ms Contin).
Galenicamente è anche preparabile in soluzione a concentrazioni di 5-10-20 mg/ml. La
forma in cp esiste anche in microgranuli, somministrabili anche per sonda (Skenan).
- Qualora disponibile la formulazione in soluzione, deve essere somministrata ogni 4 ore alla
dose iniziale di 10 mg (cioè 60 mg/die). L’efficacia del trattamento si può valutare a
distanza di 24 ore e, in caso di insufficiente analgesia, bisogna aumentare le dosi fino ad
ottenere un’analgesia soddisfacente.
- Nel caso delle compresse a lento rilascio, le dosi iniziali sono 30 mg ogni 12 ore e, se dopo
36-48 ore dall’inizio del trattamento l’analgesia risultasse insufficiente, bisogna aumentare
la posologia del 50% mattina e sera.
Principi d’uso degli oppioidi
Più punti importanti devono essere sottolineati:
• La morfina e le sue differenti formulazioni (liquida, compresse) è il principale oppioide da
utilizzare.
• Tutti gli oppioidi prevedono effetti collaterali, essenzialmente digestivi, che bisogna prevenire
dall’inizio del trattamento. Il rischio di depressione respiratoria è un rischio potenziale che è
eccezionale poiche si osserva solo in caso di errore del dosaggio o della posologia.
• Non esiste, per la morfina, effetto tetto: al crescere dell’intensità del dolore, possono “crescere”
i dosaggi. Tale aspetto è condiviso anche dal metadone e dal fentanile.
• La prescrizione della morfina è dettata dall’intensità della sindrome dolorosa e non dalla durata
della spettanza di vita o di sopravvivenza.
Altre vie di somministrazione degli oppioidi
Nel 10-15% dei casi, bisogna ammettere l’impossibilità di controllare efficacemente la
sintomatologia dolorosa.
Le altre vie di somministrazione della morfina possono allora essere di aiuto, restando consapevoli
che esse sono più invasive e più spiacevoli per il malato.
La via intramuscolare, endovenosa e sottocutanea.
Per quei malati in cui non è più possibile utilizzare la via orale (per esempio: occlusione intestinale,
impossibilità di deglutire …), è possibile proporre una somministrazione parenterale semplice della
morfina per via endovenosa o per via sottocutanea in somministrazione continua attraverso pompe.
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La via intramuscolare in iniezioni ripetute non è raccomandata di fatto per il suo carattere
inutilmente invasivo.
La dose di morfina è calcolata in funzione di quella precedentemente prescritta per via orale nel
rapporto di 2 a 1 per la somministrazione sottocute, e di 3 a 1 per la via endovenosa
Le vie spinali
Allorquando la somministrazione enterale o parenterale di morfina si rivela inefficace, impossibile,
generatrice di effetti collaterali importanti e difficilmente controllabili, si può proporre, come
mezzo terapeutico, la somministrazione per via spinale subaracnoidea, solitamente tramite reservoir
o pompa impiantati sottocutanei e collegati allo spazio subaracnoideo con un cateterino morbido in
silicone.
I risultati terapeutici sono buoni, tenendo conto del contesto patologico, e l’analgesia ottenuta è
continua , selettiva e durevole. E’ possibile associare anche altri farmaci, come gli anestetici locali.
Tali trattamenti sono pero invasivi, con problemi infettivi e di gestione anche rilevanti.
La rotazione degli oppioidi
Una valida alternativa alle tecniche invasive, è oggi costituita dalla rotazione degli oppioidi.
Sfruttando la scarsità di tolleranza crociata tra i diversi analgesici oppioidi, è spesso possibile
passare da un oppioidi ad un altro, migliorando il dolore e/o riducendo gli effetti collaterali. Tale
modalità terapeutica viene spesso attuata in regime di ricovero breve, in particolare quando il
paziente richiede dosaggi elevati di farmaci.
Regole di utilizzo degli oppioidi
1.
•
•
•
2.
3.
Conoscere la farmacologia della sostanza utilizzata:
Durata dell’efficacia analgesica
Proprietà farmacocinetiche
Dosi equi-analgesiche
Adattare la via di somministrazione ai bisogni del malato.
Somministrare regolarmente, ad intervalli fissi, in modo tale da mantenere dei tassi plasmatici
efficaci e così da prevenire l’ansia di anticipazione.
4. Determinare le dosi efficaci con valutazione regolare: sono necessarie 4-5 emivite per ottenere
tassi plasmatici stabili.
5. Utilizzare associazioni terapeutiche per accrescere l’analgesia (FANS, …)
6. Evitare i sedativi non aventi efficacia analgesica (benzodiazepine e neurolettici). Si limiterà la
loro prescrizione per precise indicazioni, come per l’effetto antiemetico dei neurolettici.
7. Anticipare e trattare gli effetti collaterali (costipazione, nausea, vomito, sedazione).
8. Educare il malato e la sua famiglia sui miti relativi alla morfina.
9. Prevenire la sindrome da astinenza diminuendo progressivamente i trattamenti con oppioidi.
10. Prevedere un dosaggio “di soccorso” per gli accessi imprevisti (ciò che dona al paziente una
sensazione ulteriore di controllo effettivo del dolore).
La via peridurale non è adatta ai trattamenti di lunga durata poiché l’estremità del catetere si
circonda rapidamente di fibrosi, la quale rende le iniezioni molto dolorose ma spesso anche
impossibili a distanza di 3 settimane dall’inizio del trattamento. Inoltre la bassa liposolubilità della
morfina rallenta il suo passaggio attraverso la dura madre e le dosi necessarie per ottenere
un’analgesia soddisfacente sono dell’ordine di 10 volte superiori a quelle richieste per la via
COSD – IEO 2003
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intratecale. Infine, l’assorbimento sistemico a partire dallo spazio epidurale, molto ricco di vasi, la
rende sovrapponibile ad altre vie di somministrazione più semplici, come l’infusione sottocutanea.
Aspetti psicologici
La consapevolezza del contesto psicologico è parte integrante dell’approccio globale
indispensabile del malato oncologico con dolore
.
Essa è notamente differente da quella dei malati
con dolori cronici non-oncologici, soprattutto per
Aspetti fisici
l’adattamento psicologico del malato alle
D
differenti tappe del suo handicap e della sua
e
malattia. La Saunders parla di “dolore totale” per
p
R
sottolineare l’importanza di un approccio allo
r
a
e
stesso tempo fisico, psicologico, sociale, familiare
Dolore Totale
b
s
e spirituale del malato oncologico.
s
b
Il pianto doloroso può anche essere
i
i
un’espressione di paura, di ansia o di depressione.
o
a
n
Sarà un errore nella strategia terapeutica passare
e
Ansia
in rassegna tutti i livelli della scala degli
analgesici quando il lamento doloroso esprime
essenzialmente tensione psicologica
Conviene cercare di comprendere i bisogni del paziente, il suo bisogno di comunicare, di rispondere
alla domanda testimoniando un’attitudine di comprensione, di empatia.
Questo approccio richiede che il personale curante impegni “una parte” del loro tempo a tale
scopo
.
Numerosi fattori concorrono a donare un sentimento di depressione al malato oncologico: perdita di
speranza, perdita della sua posizione sociale, della sua identità, del suo prestigio, della sua dignità.
Il suo ruolo nell’ambito della famiglia gli è stato spesso ritirato (per non farlo affaticare!).
E’ solo, isolato (la camera del malato terminale è volentieri evitata). Intorno a lui regna un clima di
falsità, la “cospirazione del silenzio”. Vengono ad aggiungersi la decadenza fisica, l’impossibilità di
agire, l’astenia e l’insonnia. Il cancro si accompagna a numerose paure: paura dell’ospedale, paura
dei trattamenti, paura della morte (in quali condizioni essa sopraggiungerà?), paura del dolore e
delle altre fonti di sconforto, paura dell’avvenire della famiglia. La diagnosi sembra sempre essere
arrivata in ritardo. Numerose complicanze amministrative sopraggiungono. Le visite degli amici
scompaiono. L’invalidità, la perdita di autonomia impongono il ricorso a vari aiuti.
Una questione cruciale riguarda l’informazione da dare al malato che andrà a vivere questa
evoluzione fatale. Il problema non si pone in termini di una verità che dovrebbe - secondo la regola
del tutto o nulla – essere o accettata o rifiutata. Ci sono infatti varie maniere di informare. Ascoltare,
lasciare esprimere al paziente le sue domande, fare i commenti su cosa sarebbe meglio fare,
lasciarlo andare o non andare nel colloquio è il comportamento appropriato. In fase terminale, i
malati sanno in sé stessi che la situazione è grave. Bisogna fare in modo che il comportamento del
personale curante non contrasti con il vissuto quotidiano della malattia.
La famiglia ha in generale una buona conoscenza della malattia. Essa avrà reagito con il suo
proprio modo: atteggiamento realista, rifiuto, collera, depressione o colpevolezza come può fare il
malato stesso.
Bisogna spesso aiutare la famiglia ad avere una comunicazione più onesta con il paziente. La
domanda di complicità per proteggere il malato dalla verità deve essere discussa. Bisogna aiutare la
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famiglia a comprendere le regole di comunicazione con il malato e far accettare l’idea che il malato
ha il diritto di ricevere un’informazione. La famiglia deve ugualmente sapere che il medico non dirà
nulla gratuitamente e che il fine ricercato è quello di aiutare il malato e la famiglia a meglio gestire
la situazione.
Conclusione
L’utilizzo della strategia terapeutica della OMS, nella misura in cui è stata prescritta con ragione e
seguita con rigore, permette di alleviare efficacemente il dolore nell’85-90% dei malati, con la
consapevolezza che è spesso efficace associare dei “piccoli rimedi”.
Tuttavia, un’attitudine terapeutica essenzialmente “tecnica” deve sempre essere integrata
nell’ambito di un approccio più globale di dolore “totale”, prendendo in considerazione le differenti
componenti cognitive, emozionali e comportamentali della “sindrome dolorosa”.
Oramai è possibile agire selettivamente sul dolore rispettando lo stato di coscienza dei pazienti,
specie nella fase terminale. E’ infatti indispensabile permettere ad ogni paziente oncologico di
restare, fino alla fine della propria vita, per sé stesso e per quelli che gli stanno accanto, un essere
avente una dignità che bisogna saper rispettare.
In caso di fallimento del trattamento farmacologico (raro) o di evidenza di effetti collaterali
importanti, non bisogna dimenticare l’interesse dei farmaci somministrati per via locale, come la via
spinale e le le possibilità, ancora non ben conosciute, offerte dalla rotazione tra aaanalgesici
oppioidi. .
In rarissimi casi, la topografia dei dolori mal controllati da trattamenti farmacologici può
giustificare il ricorso ad un gesto neuro-chirurgico, a scopo antalgico, come la cordotomia
spinotalamica o la gangliolisi del plesso celiaco.
Veicolando una carica emozionale importante sia per il malato e la sua famiglia che per il medico
ed il personale curante, il dolore in corso di cancro non può essere affrontato senza far riferimento
ad un percorso standard.
I farmaci oppioidi giocano un ruolo fondamentale per la cura del malato ma non va dimenticato il
potere analgesico che deriva dall’instaurare con il malato un rapporto umano. In definitiva, il
trattamento del dolore cronico da cancro può esser fatto con numerose modalità che vanno tutte
considerate in modo da non rimanere prigionieri di una sola metodica terapeutica.
Si deve ricordare che si può sempre proporre una soluzione terapeutica ragionevole ed accettabile
per il malato e che, come dice Jean Bernard: “se non è più possibile dare giorni alla vita è ancora
possibile dare vita ai giorni”.
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11. IL DOLORE NEUROPATICO
Si sono già descritte le caratteristiche semeiologiche del dolore neurogeno che consentono di
differenziarlo dal dolore nocicettivo. Come in ogni caso porre una diagnosi esatta è fondamentale.
Si dovrà valutare a tal fine:
• La natura del dolore e se esiste una compressione dovuta ad un intervento chirurgico
(compressione radicolare o tronculare)
• Le caratteristiche semeiologche (componenti continue, folgoranti e simpatiche del dolore)
Come per tutti i dolori cronici, la terapia sintomatica si deve concepire come un programma preciso
che preveda da un lato l’impiego di terapie derivanti dall’analisi della sintomatologia e dall’altro un
impiego logico e progressivo di tali terapie.
Terapia farmacologica
I dolori neurogeni si giovano fondamentalmente gli antidepressivi imipraminici e, particolarmente,
gli anticonvulsivanti.
Antidepressivi
Vengono utilizzati per le loro caratteristiche azioni analgesiche. Le molecole che hanno dato prova
della loro efficacia e della loro sicurezza sono gli antidepressivi imipraminici (clomipramina,
amitriptilina, imipramina, doxepina).
La partecipazione della serotonina e della noradrenalina nei meccanismi analgesici inibitori
spiegano la loro efficacia analgesica. Il trattamento prevede l’impiego di dosi progressivamente
crescenti. La dose media efficace si aggira attorno ai 75mg/die con un range che va da 30 a 200
mg/die. In pratica, in 10-15 giorni, si cerca di stabilire la dose massima tollerabile più che la dose
minima efficace. Si deve ricordare che l’effetto analgesico si manifesta solo dopo una o più
settimane di trattamento.
È ragionevole attendere fino a 4 settimane prima di dichiarare sconfitta.
•
•
•
Le cause di insuccesso sono la sospensione precoce del trattamento, il dosaggio insufficiente, il
non trattare gli effetti indesiderati, la scarsa compliance farmacologica del paziente che non
comprende perché sia necessario assumere un antidepressivo per il dolore (di conseguenza
questo concetto andrebbe ben chiarito).
Le controindicazioni all’utilizzo degli imipraminici sono il glaucoma ad angolo chiuso,
adenoma prostatico e la presenza rilevata elettrocardiograficamente di extrasistoli ventricolari.
È molto importante prevenire o trattare gli effetti indesiderati: bocca secca, palpitazioni,
diminuzione dell’accomodazione visiva, costipazione, sedazione, prendere peso.
Gli effetti collaterali più seri sono l’ipertensione ortostatica, il glaucoma ad angolo chiuso, la
ritenzione urinaria e l’ileo paralitico. Per trattare l’ipotensione ortostatica si consigliano
l’eptaminolo o la diidroergotamina, per le manifestazioni urinarie i miorilassanti come le
benzodiazepine, per la nausea, il vomito ed i dolori epigastrici assunzioni di farmaci in mezzo o a
fine pasto; per la bocca secca si usi la pilocarpina, per prevenire l’astenia è bene ripartire
adeguatamente le dosi giornaliere.
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Anticonvulsivanti
Gli anticonvulsivanti sono indicati per trattare la componente trafittiva del dolore neurogeno e la
nevralgia del trigemino. I prodotti più utilizzati sono la carbamazepina, il clonazepam, il valproato
di sodio, la gabapentina. Anche in questi casi è necessario aumentare progressivamente le dosi per
stabilire individualmente una dose efficace ben tollerabile (possono presentarsi disturbi
dell’attenzione e dell’equilibrio). Ad esempio, uno schema tipico per la gabapentina prevede la
somministrazione di 100 mg tre volte al giorno, per 5 giorni, poi 200 mg tre volte al giorno per altri
5 giorni, e poi 300 mg tre volte al giorno per 5 giorni ancora, con rivalutazione clinica.
Metodi di neurostimolazione
Neurostimolazione transcutanea (NSTC)
La NSTC ha come obiettivo quello di rinforzare o di sostituire un meccanismo inibitorio deficiente.
Tale trattamento è consigliabile in caso di dolore neurogeno da deafferentazione il cui meccanismo
fisiopatologico sia riconducibile ad un difetto d’inibizione. Le indicazioni più interessanti sono i
dolori che si hanno in seguito a lesioni dei nervi periferici o in seguito a lombosciatalgie secondarie
a fibroaracnoiditi. Si tratta di un metodo non invasivo, molto semplice e che, grazie alla
miniaturizzazione degli apparecchi, permette al malato di adeguare i parametri di stimolazione.
L’assenza di un rimborso sanitario ed il costo elevato degli apparecchi restringono, attualmente,
l’applicazione di tale metodica.
Nonostante la NSTC sia una terapia semplice, la sua efficacia clinica richiede il rispetto di un certo
numero di regole che derivano dalla corretta comprensione dei fattori implicati nella sua riuscita:
dolore a topografia localizzata, mascheramento della zona dolorosa ad opera di parestesie prodotte
dalla NSTC, buona adesione del malato in caso di autosomministrazione.
Protocolli operativi
Le indicazioni derivano dalla presa in considerazione di più fattori:
•
•
•
•
Eziologia del dolore: dolore acuto o cronico,
La topografia del dolore. Dolore esteso o limitato
Alterazione della sensibilità cutanea
Fattori che migliorano o peggiorano il dolore
Si deve prestare attenzione alle controindicazioni relative che in realtà sono delle precauzioni
d’impiego nel paziente portatore di pace-maker o in donne in gravidanza.
Gli obiettivi della terapia debbono essere spiegati se si vuol avere una buona collaborazione con il
malato ed aumentare l’efficacia del trattamento. L’effetto che ci si attende dalla NSTC è il
mascheramento del dolore dovuto alla sensazione prodotta durante il passaggio di corrente. In
alcuni casi l’effetto di mascheramento si prolunga anche dopo la fine del trattamento. Per stabilire il
ritmo e la durata delle sedute si dovrà, quindi, osservare la durata del post-effetto.
Grazie alla miniaturizzazione delle apparecchiature il trattamento non influisce sulle normali attività
giornaliere del malato. Ciò non toglie che vi sia una perfetta collaborazione con il paziente perché
egli possa utilizzare l’apparecchio visto e considerato che l’uso quotidiano di un neurostimolatore
produce comunque un certo imbarazzo.
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E’ comunque indispensabile fare 1 o 2 sedute-tests allo scopo di definire l’efficacia e l’utilizzo del
metodo e di iniziare una prenotazione.
Condotta della terapia
I dolori neurogeni, malgrado i trattamenti disponibili siano stati eseguiti correttamente, restano
spesso inadeguatamente trattati. Essi costituiscono un esempio di dolori persistenti dove è
essenziale, per trattare i pazienti, integrare numerose modalità terapeutiche. È indispensabile una
rieducazione fisica progressiva ed indolore. I comportamenti di evitamento legati all’iperestesia
cutanea possono condurre anche all’esclusione funzionale completa di un arto. La rieducazione
deve associare fasi di attività progressiva intervallate da pause che permettano una terapia antalgica
o il rilassamento. La valutazione psicologica sistematica e il trattamento psicologico sono simili a
quelli di ogni dolore non oncologico.
Le cause di dolore neuropatico più frequenti sono i dolori da lesione periferica, dolori postzoster,
dolore da arto fantasma e da moncone. Il dolore postzoster interessa il soggetto anziano ponendo
problemi di tolleranza dei trattamenti abitualmente proposti. La resistenza di questo tipo di dolore
spiega la necessità, in questo caso, di un trattamento preventivo e precoce. Nello stadio acuto gli
antivirali potrebbero prevenire la comparsa del dolore ma questa ipotesi non è attualmente
verificata.
Il dolore da arto fantasma e da moncone, come altri dolori neuropatici, pongono il problema della
diagnosi differenziale tra dolore neuropatico e neuroma (punto trigger ben localizzato, con
miglioramento dopo infiltrazione).
L’evidenza di un neuroma consiglia la resezione chirurgica e, se possibile, un affondamento
dell’estremità del nervo mettendolo al riparo da stimolazioni meccaniche.
Il dolore da moncone prevede diversi trattamenti. Va segnalata l’importanza degli apparecchi
protesici che contribuiscono all’autonomia del paziente.
Strategia di valutazione e di trattamento dei dolori neuropatici
Eziologia
Dolore organico o funzionale ?
Eziologia specifica
Neuroma
infossamento chirurgico
Meccanismo del dolore ?
Componente continua
antidepressivi imipraminici
amitriptilina,
doxapina
clomipramina,
neurostimolazione
transcutanea
Anticonvulsivanti
Componente acuta
Carbamazepina,
clonazepam,
valproato di sodio, gabapentina
Fattori psicologici e comportamentali
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Interpretazioni del dolore e del ruolo del malato
Rivalutazione, educazione
Ansia, depressione
Antidepressivi, ansiolitici, psicoterapia
Capacità di controllo, reazione allo stress
Rilassamento, controllo dello stress
Perdita della attività fisiche, hobby, lavoro
Ripresa progressiva, rieducazione, reinserimento
sociale
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12. IL DOLORE NEL BAMBINO
Valutare e trattare il dolore nel bambino implica di rispondere almeno a 4 domande essenziali:
• Questo bambino ha dolore?
• Qual è l’intensità del dolore?
• Qual è il meccanismo alla base?
• Di quali mezzi disponiamo per contrastarlo?
Per lungo tempo misconosciuto, il dolore nel bambino pone il problema del suo riconoscimento,
cioè della sua valutazione ed anche del suo trattamento. Esiste un numero molto limitato di
analgesici da poter utilizzare nel bambino, ma va ricordato che la messa a punto di analgesici in
pediatria si scontra con difficoltà etiche evidenti che hanno limitato il numero di molecole
analgesiche formulate per uso pediatrico.
I metodi di autovalutazione
Questo approccio riguarda i bambini capaci di esprimere ciò che sentono.
La maggior parte di tali metodi può essere utilizzata dopo i 7 anni di età.
Lo sforzo degli sviluppi recenti è di cercare di far comprendere alcuni di questi metodi ai bambini
più piccoli, ma al momento i risultati non sono soddisfacenti.
Una semplice domanda: “hai dolore?”
Essa non ottiene sempre una risposta affidabile. Esistono infatti numerosi falsi-negativi.
Un dialogo rispettoso e prudente può permettere di aggirare quest’ostacolo, affermando
all’improvviso il sintomo: “i tuoi infermieri o i tuoi genitori pensano che tu abbia dolore ed io avrei
piacere di parlarne insieme”.
Talvolta, continuare a porre domande senza tener conto del rifiuto iniziale permette di ottenere delle
risposte.
Scala Visiva Analogica (VAS)
E’ il metodo di autovalutazione attualmente più utilizzato.
L’intensità del dolore è rappresentata da una linea diritta, di solito di 100 mm, alle cui estremità
sono scritte 2 frasi: a sinistra “nessun dolore”, a destra “tanto tanto dolore”. Il bambino indica con
un cursore il punto, tra i due estremi, in cui si situa il suo dolore. Esistono varie versioni a seconda
delle parole scelte per le estremità e dell’eventuale associazione di colori.
La comprensione e la partecipazione del bambino sembrano ottenersi a partire dai 5 anni. Tuttavia,
non è raro che, fino a questa età, si verifichi una polarizzazione delle risposte sullo score 0 o sullo
score 100, rendendo lo stesso non interpretabile.
Numerosi studi hanno dimostrato che le risposte dei bambini alla VAS appaiono coerenti.
Così la media degli score ottenuti dalla valutazione del dolore di una puntura venosa è
significativamente più bassa di quella ottenuta da una puntura del midollo. Inoltre, quando viene
usata una procedura antalgica per realizzare tali punture, le medie degli scores sono più basse.
Sembra dunque che tale mezzo possa essere validamente utilizzato nei bambini.
Per i più piccoli sono stati messi a punto metodi visuali analoghi , sotto forma di giocattoli, di assi
della scala, di gettoni o di cubi. Tali metodi sono tuttora oggetto di studio.
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Raffigurazioni di facce
Per i bambini dai 2 ai 4 anni, gli
anglosassoni hanno proposto di utilizzare
una serie di facce che rappresentano
diversi gradi di gioia o di tristezza. Sono
state proposte varie versioni, alcune delle
quali molto schematiche, altre più
complesse.
Si chiede al bambino di scegliere la faccia
che rappresenta meglio come si sente
dentro e non come si mostra agli altri.
Tuttavia una tale valutazione permette di
raccogliere
una
componente
più
emozionale rispetto alla VAS, e la sua
validità è attualmente discussa.
Utilizzo del disegno
Si può inoltre proporre al bambino di raffigurare, su un uomo schematicamente disegnato, le sue
zone di dolore.
Si chiede al bambino di stabilire una scala scegliendo colori diversi per rappresentare il dolore
leggero, il dolore medio, quello forte e quello estremamente forte. Poi, con l’aiuto di questi quattro
colori, gli viene chiesto di disegnare com’è il suo dolore.si è spesso sorpresi della qualità delle
informazioni date dal bambino. Non solo la diagnosi del dolore ma anche quella della sua eziologia
possono trarre beneficio da tale metodo, in particolare quando i dolori interessano differenti punti
del corpo (metastasi, drepanocitosi, reumatismo infiammatorio, etc…). Grazie allo score del VAS
ottenuto da ogni localizzazione, si può stabilire una certa gerarchia nell’ambito dei vari dolori.
Tale strumento ha inoltre un interesse sia clinico che di standardizzazione.
Metodi di eterovalutazione
Essi sono utili nel piccolo bambino o nel bambino che presenta un handicap di linguaggio.
Il dolore provoca 3 categorie di comportamento nel bambino piccolo.
I segni emozionali, come le crisi, l’agitazione, le contrazioni, l’ipertonia. Tali manifestazioni
brutali, neurovegetative e comportamentali, non sono specifiche del dolore. Esse compaiono anche
in corso di ansia e di collera e non sono proporzionali all’intensità del dolore, bensì al desiderio o al
bisogno di protesta da parte del bambino.
La loro utilizzazione nella valutazione del dolore è dunque difficile. Essi conservano un certo valore
in caso di dolore acuto, specie nel bambino piccolo.
Tuttavia, queste reazioni emozionali sono di grande aiuto per la valutazione nel caso in cui le
condizioni dell’esame permettano di interpretarle. Così, in condizioni di “omeostasi emozionale”, se
l’ambiente del bambino è perfettamente stabile, le lacrime e l’accenno di un movimento di
abbandono provocati dalla palpazione di una zona ben precisa, permettono di dedurre che tali gesti
generano un dolore.
I segni diretti del dolore vengono riscontrati all’osservazione e all’esame obiettivo del bambino.
Essi sono:
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63
•
Le posizioni antalgiche a riposo, posizioni che il bambino mantiene energicamente e che vuole
sempre ritrovare.
• Le posizioni antalgiche nei movimenti, con rigidità più o meno diffusa e con esclusione di
alcuni gesti.
• I gesti di protezione della zona dolorante, reperibili anche nei bambini piccoli.
• All’esame obiettivo si manifesta una reazione di difesa fino alla contrattura; inoltre, la
mobilizzazione passiva è ostacolata.
Infine, quando il dolore si protrae a lungo s’instaura atonia psicomotoria: il bambino si raggomitola
e sembra non voler esprimere la propria sofferenza. Osservandone il comportamento si notano
movimenti rari e lenti, in particolare a livello del tronco e delle grosse articolazioni, anche a
distanza dal focolaio doloroso. Persistono solo movimenti monotoni che esprimono poca emotività.
L’impressione comunicata è quella di una diminuzione della voglia di muoversi e di un calo
dell’interesse per le cose e per le persone anche interessanti. Il viso è contratto, poco mobile,
smorto. Quando si cerca di comunicare con questi bambini ci si scontra con un’ostilità, non c’è più
interesse alla comunicazione ed eventuali risposte sono laconiche. Quando si prende in braccio il
bimbo, la postura è impropria. Il corpo è rigido, difficile da sostenere, spesso buttato all’indietro. Il
bimbo non si rannicchia più non vuole più bene a nessuno e ciò rende difficile consolarlo. Questo
quadro è caratteristico di un dolore intenso e non di depressione con la quale è spesso confusa.
Allorché, infatti, si inizia una terapia del dolore tutti questi atteggiamenti svaniscono.
Una scala per la misurazione del dolore nel bimbo è stata messa a punto dal servizio di oncologia
dell’istituto “Gustave Roussy da Annie Gauvain. Tale scala comprende 15 items che valutano il
comportamento del bambino.
A
Dolore (segni diretti)
B
Atonia psicomotoria
C
Ansia
Scala di misurazione del dolore nel bambino
• Posizione antalgica a riposo
• Protezione spontanea delle zone dolorose
• Pianto
• Localizzazione delle zone dolorose
• Posizione antalgica durante i movimenti
• Reazioni di difesa durante la palpazione delle
zone dolorose
Rassegnazione
Ripiegamento su se stesso
Facies amimica
Scarso interesse per il mondo esterno
Movimenti rari e lenti
Nervosismo
Cattivo umore, irritabilità
Facilità al pianto
Attualmente si utilizzano, a seconda del contesto clinico, differenti strumenti di valutazione del
dolore: il punteggio di Amiel-tison per il dolore postoperatorio da 0 a 7 mesi, la scala di Cheops per
il dolore in sala di risveglio, una scala per il dolore nei neonati, una per i bambini handicappati, la
scala DEGR per il dolore cronico nei bambini da 2 a 7 anni.
Nel bambino ospedalizzato è fondamentale il ruolo dell’infermiere nella valutazione del dolore.
Le modalità terapeutiche
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Le regole fondamentali
L’obiettivo della terapia del dolore è quello di ottenere un controolo completo del dolore. Gli
obiettivi vanno spiegati alla famiglia e anche al bambino se è in grado di comprendere.
Le terapie verranno impiegate a seconda della causa del dolore e per ciascun tipo di dolore
bisognerà considerare terapie per os, per via rettale, sottocutanea, endovenosa o tecniche di
anestesia loco-regionale.
Il dolore nocicettivo
Esso è il più frequente nel bambino così come nell’adulto. Gli schemi terapeutici saranno adattati
secondo i tre gradini OMS.
Farmaci di primo livello
Il paracetamolo
Il più importante di questa classe è sicuramente il paracetamolo commercializzato con più nomi e
per diverse vie di somministrazione (orale, rettale, endovenosa).
È stato messo in evidenza che la concentrazione plasmatica del paracetamolo è responsabile sia
dell’efficacia, sia degli effetti collaterali del farmaco.
• La dose terapeutica è stata fissata intorno ai 4-18 mg/kg per l’effetto antipiretico ma non è stata
fissata ancora una dose per l’effetto antidolorifico.
• La posologia efficace è di circa 60 mg/kg/die ripartiti in 4 somministrazioni giornaliere (15
mg/kg ogni 6 ore oppure 10 mg/kg ogni 4 ore). Non ci sono studi che giustifichino l’utilizzo di
dosi pari a 20-30 mg/kg/ die.
• La gravità dell’intossicazione è direttamente proporzionale alla concentrazione plasmatica del
paracetamolo si ricorda che la N acetilcisteina è l’antidoto da usare in questi casi.
• Il paracetamolo viene eliminato tramite reazioni di coniugazione: sulfoconiugazioni e
glicuroconiugazioni.
Nei bambini la glicuroconiugazione è ancora poco funzionante e viene, in gran parte, sostituita dalla
sulfoconiugazione, per questo l’emivita del paracetamolo, in queste età, non è molto diversa da
quella dell’adulto. Si può concludere che il paracetamolo può e deve essere utilizzato ad ogni età.
La farmacocinetica del paracetamolo è stata studiata nel bambino con più di due anni con risultati
non diversi da quelli dell’adulto. Non vi sono studi nel bimbo più piccolo, mentre le informazioni
sui neonati sono state ottenute dopo il passaggio transplacentare. La posologia più consigliata
prevede una dose di carico di 24 mg/kg, seguita da 12.5 mg/kg ogni 6 ore. Attualmente non esistono
studi che dimostrino l’utlità del paracetamolo al di fuori del trattamento della febbre e del dolore.
L’aspirina
L’aspirina viene ancora utilizzata come antipiretico e analgesico.
• L’effetto antiinfiammatorio è ottenuto con 150-300 mg/kh, l’effetto antipiretico con 50-100
mg/kg, le concentrazioni plasmatiche necessarie per avere un effetto analgesico, invece, non
sono ancora state misurate.
• La gravità dell’intossicazione è direttamente proporzionale alla concentrazione plasmatica
• La sindrome di Reye è ancora una complicanza temibile e la sua manifestazione è dose
indipendente. La sua incidenza è bassa e la responsabilità dell’aspirina non è stata ancora ben
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chiarita. Ciononostante in seguito al timore di questa sindrome l’uso dell’aspirina nel bambino si
è ridotto notevolmente.
I FANS
I FANS più utilizzati nel bambino sono l’ibuprofene, l’acido tiaprofenico, il diclofenac, l’acido
niflumico.
• Nell’adulto è stata dimostrata una correlazione dose-effetto per il trattamento del mal di denti,
ma non è stato fissato alcun intervallo terapeutico.
• Nel bambino da 3 a 6 anni è stata dimostrata l’efficacia dell’ibuprofene a dosaggi di 10 mg/kg 3
volte al giorno per due giorni. Esso è stato usato, alle stesse dosi, nel trattamento del otodinia del
bambino da 1 a 6 anni e nel dolore da estrazione dentale nel bambino da 5 a 12 anni. E’ stato
realizzato uno studio farmacocinetico per la forma sciroppata da somministrare ai lattanti da 6 a
18 mesi.
• Il tempo di eliminazione è dello stesso ordine di grandezza di quello dell’adulto anche se la
clearance è più elevata di quella dell’adulto. Non è stata messa in evidenza alcuna correlazione
dose-effetto per gli altri FANS.
• Nei bambini dai 6 ai 10 anni è stata dimostrata l’efficacia dell’acido tiaprofenico somministrato
in compresse alla dose di 10 mg/kg/24 ore per 5 giorni nei confronti di un placebo.
• L’efficacia dell’acido niflumico in supposte di morniflumato è stata dimostrata nel bambino dai
6 ai 10 anni nel trattamento del mal di gola alla dose di 400 mg due volte al giorno per 4 giorni, e
nel bebé a partire dai 6 mesi alla dose di 40 mg/kg/die, senza superare 3 supposte al giorno, nelle
affezioni ORL ed odontostomatologiche.
Farmaci di II livello
La codeina rappresenta il prototipo di questa classe.
•
In Italia non è disponibile una formulazione pediatrica. Una dose di 3mg/kg/die è ritenuta
efficace.
• In Italia, la codeina esiste sotto forma di preparazione associata al paracetamolo. Se il rapporto
codeina/paracetamolo non pone problemi di per sè, la forma galenica rende difficile, in pratica,
l’utilizzo di tali formulazioni nel bambino al di sotto dei 20 kg. Tali prodotti possono essere
tuttavia utilizzati nei bambini più grandi e negli adolescenti (a partire dai 10 o 15 anni, a seconda
del prodotto).
• La codeina a liberazione prolungata (diidrocodeina) non è stata oggetto di pubblicazioni
pediatriche.
Farmaci di III livello
La morfina e i suoi derivati rappresentano i farmaci più efficaci per i dolori da nocicezione. Sono
stati fatti enormi progressi in questi ultimi anni che hanno permesso di comprendere sempre meglio
le applicazioni terapeutiche e l’adattamento delle dosi, in particolare nei bambini piccoli.
• La morfina può essere somministrata per via orale, sottocutanea ed intravenosa.
• Se è possibile, si deve scegliere sempre la via orale : efficace, maneggevole e sicura e, alle dosi
terapeutiche abituali, non espone ad alcun rischio di depressione respiratoria. La dose di partenza
è di 1 mg/kg/die suddivisa in 6 somministrazioni in caso di preparazione standard, in 2
somministrazioni in caso di formula retard. La preparazione a liberazione prolungata è indicata a
partire dai 6 mesi.
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•
Le dosi vengono aumentate del 50% ogni giorno fino ad ottenere la qualità analgesica ricercata.
Le vie sottocutane aed endovenosa hanno un profilo farmacocinetico relativamente
paragonabile : dosi continue o discontinue di 0,5 mg/kg/die sono inizialmente efficaci e
andranno adattate in funzione del bisogno.
• Il rischio maggiore degli oppioidiper via sistemica resta la depressione respiratoria : essa si
verifica eccezionalmente in pediatria a condizione di usare tali prodotti con legittima prudenza.
- dolore nocicettivo
- rispetto delle regole di utilizzo (sorveglianza temporale della frequenza respiratoria con
l’utilizzo di un protocollo di emergenza in caso di bisogno)
- prudenza nel’associazione di prodotti che possono aumentare il rischio (in particolare le
benzodiazepine)
• In confronto alla depressione respiratoria, gli altri effetti collaterali appaiono più degli
inconvenienti da prevenire o da inquadrare : la stipsi è molto frequente, quasi obbligatoria, la
nausea più rara. Può comparire ritenzione urinaria, specie in corso di somministarzione
sistemica.
I Dolori neurogeni
In caso di dolori acuti con sensazione di scarica elettrica, il clonazepam è il principale prodotto da
utilizzare in pediatria alla dose di 0,1-0,3 mg/kg per os (dose minore la sera rispetto al mattino), e di
0,05-0,1 mg/kg per via endovenosa. L’effetto analgesico è ottenuto in 1-2 giorni e si accompagna
spesso, inizialmente, a sonnolenza marcata.
Per il trattamento di fondo, i più utilizzati sono gli imipraminici ed in particolare la clomipramina e
l’imipramina alla dose di 1-3 mg/kg/die, e l’amitriptilina alla dose di 1 mg/kg/die come dose di
partenza.
I benefici dell’elettrostimolazione transcutanea devono ancora essere studiati in pediatria.
CONCLUSIONE
Anche se l’arsenale terapeutico resta ancora insufficiente per la pediatria, è tuttavia sufficiente per
trattare la maggior parte delle patologie. C’è da augurarsi che, nei prossimi anni, si mettano a punto
formulazioni galeniche da utilizzare in campo pediatrico, insistendo particolarmente sulle
sospensioni e sugli sciroppi, o sulle supposte (destinate ai bambini con vomito), che sono molto
adatte nei bambini.
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13. COMPITI DEGLI INFERMIERI E DOLORE
Alla fine di questo libretto sul dolore, non è superfluo ricordare l’importanza del ruolo
dell’infermiere nel trattamento del dolore.
La professione di infermiere riveste, in ambito lrgislativo, due ruoli : il ruolo prescritto e quello
proprio. Questi due ruoli si applicano anche in materia di dolore.
Se è abbastanza facile spiegare il ruolo assegnato nell’applicazione dei trattamenti o la realizzazione
delle medicazioni, sembra senza dubbio meno semplice far riconoscere all’infermiere il ruolo
proprio. Ed è proprio su quest’ultimo punto che insisteremo.
Nel paziente con dolore è importante rispondere ai suoi bisogni fondamentali tenendo conto del suo
dolore.
Così l’infermiere, a completamento del ruolo assegnato, valuterà l’intensità del dolore con l’ausilio
di strumenti standardizzati come la scala visiva analogica (VAS), attuerà diversi tipi di intervento,
« piccoli mezzi » come la borsa del ghiaccio o la borsa dell’acqua calda, proporrà metodi di
educazione per l’acquisizione di gesti contro il dolore, lo preverrà al momento delle cure per il
dolore.
Egli ascolterà le parole del paziente con dolore ed osserverà i suoi comportamenti di fronte al
dolore. Noterà, una volta instaurato un rapporto di fiducia, la descrizione del dolore, le sue
influenze sulla vita sociale e sulla famiglia, oltre al posto che la patologia occupa nella sua vita.
Riuscire ad ottenere l’adesione del malato alle cure proposte esprime la riuscita o meno delle azioni
terapeutiche, ed è spesso necessaria la combinazione di più trattamenti.
Infine, l’infermiere non dimenticherà di essere terapeuta grazie al rapporto con il malato, questa
rapporto privilegiato, chiamato relazione di aiuto, che vogliamo maggiormente sviluppare , e che è
particolarmente importante nel soggetto con dolore cronico.
L’ascolto attivo nella relazione di aiuto
Per praticare l’ascolto attivo nella relazione di aiuto bisogna sapere :
• Tacere :
per lasciare al paziente il tempo di parlare e di entrare in comunicazione con se stesso, per
permettergli di esprimere ciò che sente (il malato parla nell’80% dei casi). Bisogna fargli capire che
si comprende il messaggio dato. Il modo di fare deve essere disponibile, tranquillo, in accordo con
ciò che si ha piacere di comunicare.
• Invitare il paziente a parlare :
Trasmettergli in maniera attiva la nostra disponibilità ad ascoltarlo, attraverso uno sguardo, un
segno, una parola : « sono qui per parlare con lei ».
• Proporre al paziente delle domande aperte :
talvolta la comunicazione inizia gradualmente : « come si sente ? » ;
- come funziona ? che c’è ? chi ? di cosa ? dove siete ?
- scegliere parole che tocchino sia la sfera sentimentale sia quella emotiva, sia quella dei
pensieri sia quella della speranza e dell’immaginazione, sia quela del corpo e del suo dolore.
• Effettuare chiarificazioni e verifiche : bisogna verificare quello che dice il paziente da quello
che dicono gli altri.
• Utilizzare la decodificazione e la ripetizione : si tratta di ridire alla persona in difficoltà quello
che noi crediamo di percepire del suo dolore.
Queste tecniche permettono al malato di sentirsi ascoltato. Si crea intimità ed egli può continuare ad
esprimersi liberamente riguardo a ciò che egli vuole. Egli può anche comprendere ciò che sta
vivendo riuscendo a sentirsi libero. Queste permettono di verificare se un concetto è inesatto. Il
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paziente ha, inoltre, la sensazione di poter controllre il colloquio. Esse permettono a colui che
ascolta di verificare la qualità del suo ascolto.
Ricerca delle risorse :
E’ una fase della interazione tra curante e malato in cui bisogna proporre e non imporre.
Si sviluppano le differenti tappe della relazione di aiuto.
Di fronte alla sofferenza del malato è necessario, per noi curanti, saper scoprire i suoi
comportamenti dettati dal dolore, particolarmente nel paziente con dolore cronico : si trova in fase
di rifiuto, di ribellione, di patteggiamento ? è depresso, o sta evolvendo verso l’accettazione ? .
In effetti, psicologia e tolleranza sono indispensabili poiché il dolore cronico può diventare un vero
mezzo di comunicazione con gli altri ed il dolore ribelle e persistente può trasformarsi in una
malattia vera e propria.
E soprattutto non dimentichiamo che : «si sopporta solo il dolore degli altri !»
COSD – IEO 2003
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Progetto Ospedale Senza Dolore