Progetto Ospedale Senza Dolore Dispensa al Corso di Formazione per Infermieri Professionali Adattamento a cura di A. Sbanotto e E. Scaffidi Anno 2003 COSD – IEO 2003 1 Progetto Ospedale Senza Dolore IEO A cura del Comitato Ospedale Senza Dolore dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano Presidente: Segretario: Dott. Leonardo la Pietra Dott. Alberto Sbanotto Componenti: Sig.ra Santina Bonardi, Sig. Pierluigi Deriu, Dott.ssa Emanuela Omodeo Salè, Dott.ssa Elena Scaffidi, Prof. Vittorio Ventafridda, Dott. Marco Venturino COSD – IEO 2003 2 1. INTRODUZIONE Perché un opuscolo sul dolore destinato agli infermieri? Noi sappiamo che il dolore non è ineluttabile; possiamo riconoscerlo, e possiamo combatterlo. Spesso infatti, alla fine dei nostri studi, siamo abituati a non vedere più, né ad ascoltare, né a considerare il paziente che si lamenta, ma piuttosto a pensare che sia un simulatore, o che stia esagerando, perché ci dà fastidio, ci disturba, interrompe la nostra routine, ci fa anche male. Altre volte, dopo aver segnalato il dolore, averlo presentato nelle consegne e non aver visto alcuna conseguenza o prescrizione contro di esso, abbiamo uniformato la nostra condotta a quella dei nostri colleghi: “Non si può fare niente”. Allora si fa finta di non vedere, non si cerca più di curarlo non ci si rapporta più nemmeno con esso. Il dolore che si sopporta meglio, infatti, è quello degli altri. In realtà se non vogliamo più sentirlo né vederlo, se il paziente rinuncia a comunicarci il suo dolore, ci dovremmo ricordare le definizioni della nostra professione espresse di seguito in alcuni punti. “L’infermiere esercita la sua professione nel rispetto della vita e della persona umana. Egli rispetta la dignità e l’intimità del paziente e della sua famiglia.” Il rispetto della vita e della persona umana presuppone che noi riconosciamo l’individuo e la sua sofferenza, ma anche che agiamo facendo ciò che può essere utile alla sua scomparsa. Il rispetto della dignità chiede che nessuno sia afflitto da dolori inutili ed evitabili. “Prevenire e valutare la sofferenza e lo sconforto delle persone e partecipare al loro sollievo” Questo é il nostro principale scopo. Prima di intraprendere la lettura, ricordiamoci che il Codice Deontologico obbliga “il medico a sforzarsi nell’alleviare le sofferenze del suo paziente”. Inoltre deve esserci tutta un’équipe insieme in questa lotta. La terapia del dolore rappresenta, peraltro, un esempio di collaborazione tra infermieri, medici, psichiatri, fisioterapisti, neurologi, psicologi, operatori sociali, familiari ... “Proteggere, mantenere, ripristinare e promuovere la salute delle persone o l’autonomia delle loro funzioni vitali, fisiche e psichiche, tenendo conto della personalità di ognuno di essi, nelle componenti psicologica, sociale, economica e culturale” Sappiamo che una persona che soffre non é più se stessa, è difficile conservare un equilibrio psicologico soddisfacente quando il dolore si insinua e diventa duraturo; senza parlare delle limitazioni che esso impone all’autonomia fisica. Sottolineiamo anche, “tenendo conto della personalità nella sua componente culturale”, che non bisogna disprezzare il dolore di colui che, per le sue radici culturali, lo esprime con forza, e con continuità. Non dobbiamo giudicare i mezzi ai quali l’individuo ricorre per esprimere il proprio sconforto; é tale sconforto, e soltanto esso, che importa. COSD – IEO 2003 3 “Partecipare alla raccolta delle informazioni e ai metodi che saranno utilizzati dal medico per stabilire la diagnosi”. Insistiamo soprattutto sulla raccolta di informazioni; ciò costituisce spesso un problema. Certi pazienti prostrati per tutta la mattinata appariranno, perfettamente rilassati al momento delle visite dei familiari fatte più tardi; altri, al contrario, manifesteranno dolore solo alla vista dei membri della loro famiglia; altri ancora riserveranno i loro pianti esclusivamente all’infermiere e non ammetteranno mai di essere stati male quando il medico effettuerà la sua visita. Sarà tentato di dire: “non sto più male” anche se questo non sopprimerà i suoi pianti. Non bisogna dimenticare nessun pianto, poiché noi non possiamo giudicare ciò che prova colui che soffre; solo lui è in grado di dirlo e noi non abbiamo il diritto di censurarlo. Un altro punto riguardal’infermiere: “applicare le prescrizioni mediche e i protocolli stabiliti dal medico” ed anche il paziente. La prescrizione medica, quando si vuole trattare il dolore deve recare l’orario, visto che in alcuni casi si utilizza più di una prescrizione al giorno. Le prescrizioni di analgesici non vanno dimenticate o ridotte nelle dosi! Non c’è da temere, infatti, di prescrivere la dose adeguata quando si aggiunge sulla ricetta la dicitura : “in caso di inefficacia ripeterla fino a x volte nella giornata”. La normativa relative alle regole professionali degli infermieri afferma che: “Si deve chiedere al medico prescrittore un supplemento d’informazioni riguardo la prescrizione ogni volta che lo si ritiene necessario perché insufficientemente chiara”. Non esitiamo dunque a parlare con il medico non tanto perché questo gioverà alla nostra formazione, ma soprattutto al paziente. Purtroppo, però, il dolore non si arresta con adeguate prescrizioni mediche e il punto seguente ci ricorda: “Partecipare alla sorveglianza clinica dei pazienti e alla messa in opera delle terapie”. Sorveglianza di: • Oppioidi (attenzione ai dosaggi, a problemi di stipsi e alla secchezza della bocca) • Corticosteroidi (attenzione a fornire un’adatta copertura gastrica) • Antidepressivi associati agli analgesici (attenzione a possibili interazioni con altri farmaci) Le dosi sono efficaci? Avendo trattato la causa del dolore è possibile diminuire le dosi di analgesici? “Favorire il mantenimento, l’inserimento o il reinserimento dei malati nel loro contesto familiare e sociale. Assistere i pazienti in fin di vita e se necessario anche le loro famiglie.” Il controllo del dolore migliora la qualità della vita (poter tornare a vivere nella propria casa con la pompa di morfina in grado di alleviare il dolore!). Quando non esiste più alcuna ragionevole speranza di guarigione bisogna, infine saper ascoltare l’angoscia di chi sta per morire visto che anche questa rappresenta un dolore. In questo caso il vostro paziente non avrà bisogno di analgesici: egli non avrà dolore, starà male. I soli “farmaci” che potrete utilizzare per curarlo saranno la vostra presenza , il vostro ascolto e talvolta la vostra parola. COSD – IEO 2003 4 In conclusione appare evidente che l’infermiere gioca un ruolo fondamentale nei confronti del dolore. COSD – IEO 2003 5 2. GENERALITÀ Comprendere il dolore: esperienza soggettiva di un disordine fisico. Qualunque sia il meccanismo iniziale (somatico, neurologico o psicologico), il dolore propriamente detto costituisce in tutti i casi un’esperienza soggettiva, un fenomeno neuropsicologico, centrale. La classica dicotomia somatico/psicologico può eventualmente riguardare il meccanismo generatore (l’eziologia) ma non il fenomeno dolore in sé stesso. L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) propone di definire il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un pericolo tissutale presente o potenziale, o descritto in termini di potenziale danno”. L’aspetto interessante di questa definizione è di non ridurre la nozione di dolore alle sole cause lesive. Se il pianto scaturisce da un disordine fisico, anche se non documentato, si tratta, malgrado tutto, di un dolore. Questa nozione ha delle importanti conseguenze nella pratica clinica in quanto si sa che, in un modello strettamente periferico, questi dolori rischiano di essere assimilati a dei dolori immaginari, discutibili, simulati, cosa che conduce ad attitudini di rifiuto verso il paziente. Un punto di vista centrale aiuta a meglio comprendere le classiche nozioni di discordanza anatomoclinica, di placebo-sensibilità, il ruolo della personalità. La relazione tra l’entità del danno tessutale e la severità del dolore è incerta, in quanto numerosi fattori neurofisiologici o neuropsicologici possono modificare la sua integrazione centrale. Prendiamo allora in considerazione successivamente le componenti sensorio-discriminative, affettivo-emozionali, cognitive e comportamentali del dolore. Componente sensorio-discriminativa La componente sensorio-discriminativa corrisponde ai meccanismi neurofisiologici che permettono la decodificazione della qualità (scarica elettrica, torsione, ustione, ecc..), della durata (breve, continua, …) dell’intensità e della localizzazione dei messaggi nocicettivi. In rapporto ad altri sistemi sensoriali, le performances della decodificazione dei messaggi nocicettivi non sono affatto perfette. Si sa che il dolore può mancare in numerosi casi o apparire solo ad uno stadio troppo avanzato, come nel cancro. Si conosce soltanto la localizzazione imprecisa dei dolori profondi, in particolare di quelli di origine viscerale ed il fenomeno del dolore proiettato. Di fatto, di queste caratteristiche sensoriali, certi autori considerano che il dolore si rapporta di più alla percezione di uno stato di bisogno (dolore/segnale di allarme) come la fame o la sete piuttosto che ad un sistema sensoriale come la vista o l’udito. Componente affettivo-emozionale Se il dolore occupa un posto speciale tra le percezioni, è soprattutto la sua componente affettiva particolare che fa parte integrante dell’esperienza dolorosa e gli conferisce la sua tonalità spiacevole, aggressiva, penosa, difficilmente sopportabile. Se il dolore intenso impone un trattamento sintomatico, è a causa di questo impatto sull’individuo. Smorzare la tonalità affettiva del dolore rappresenta già una forma di trattamento. Essa, infatti, è determinata non solo dalla causa stessa del dolore, ma anche dal suo contesto. Il significato della malattia, l’incertezza della sua evoluzione, sono anch’essi fattori che vanno a modulare il vissuto doloroso. COSD – IEO 2003 6 Questa componente affettiva può sfociare in stati emozionali correlati, come l’ansia o la depressione. Tale correlazione spiega una regola d’approccio al dolore, che consiste nel valutare sistematicamente i livelli d’ansia e di depressione, oltre che i fattori in causa. Componente cognitiva Il termine cognitivo designa un insieme di processi mentali suscettibili di influenzare una percezione (in tal caso il dolore) e le reazioni comportamentali che esso determina: processo di attenzione e di distrazione, interpretazioni e valori attribuiti al dolore, anticipazioni, raffronti con esperienze dolorose precedenti personali o osservate, decisioni sul comportamento da adottare. Dopo le osservazioni classiche di Becher, si conosce l’influenza del significato accordato alla malattia sul livello di dolore. Studiando comparativamente 2 gruppi di feriti, militari e civili, che presentavano delle lesioni apparentemente identiche, egli ha osservato che i militari richiedevano meno analgesici. La spiegazione di questa differenza stava nel fatto che, nei due gruppi, il traumatismo ed il suo contesto rivestivano dei significati tutt’altro differenti: comparativamente positivi per i militari (vita salva, fine del rischio del combattimento, buona considerazione della fascia sociale, etc...), comparativamente negativi per i civili (perdita dell’impiego, perdite finanziarie, disinserimento sociale, ..). Componente comportamentale Tale componente ingloba l’insieme delle manifestazioni verbali e non verbali osservate dalla persona che soffre (pianti, mimica, posture antalgiche, impossibilità di mantenere un comportamento normale,…). Queste manifestazioni possono apparire come reattive ad un dolore percepito. Esse costituiscono degli indici fedeli della importanza del problema del dolore. Esse assicurano anche una funzione di comunicazione con ciò che ci circonda. Ciò che si è appreso precedentemente, in funzione dell’influenza familiare ed etno-culturale, degli standard sociali legati all’età ed al sesso, sono suscettibili di modificare la reazione attuale di un individuo. Le reazioni dell’ambiente (familiare, professionale, sanitario) possono interferire con il comportamento del malato con dolore, e contribuire al suo equilibrio. COSD – IEO 2003 7 3. BASI NEUROFISIOLOGICHE La comprensione dei meccanismi del dolore ha beneficiato, nel corso degli ultimi 20 anni, di progressi considerevoli realizzati nei differenti campi di ricerca delle Neuroscienze. Scopo di questo capitolo è quello di fare il punto sulle principali acquisizioni neurofisiologiche concernenti i meccanismi del dolore, riferendosi in maniera non esaustiva a certi aspetti patologici e farmacologici. Esamineremo successivamente come i messaggi indotti dalle stimolazioni periferiche che saranno percepiti come dolorosi, sono trasmessi, modulati ed integrati a diversi livelli del sistema nervoso. Dalla periferia al midollo spinale In periferia Il messaggio nocicettivo (nocicettivo: termine introdotto da Sherrington per designare ciò che può provocare un danno tissutale) deriva dallo stimolo delle terminazioni nervose libere amieliniche e mieliniche costituenti arborizzazioni sia nei tessuti cutanei, muscolari ed articolari, sia nelle pareti dei visceri. I messaggi nocicettivi sono in seguito veicolati nei nervi da differenti tipi di fibre (chiamate nocicettori) catalogate secondo il loro diametro e l’esistenza o meno della guaina mielinica. Il perfezionamento delle tecniche di registrazione dell’attività elettrica delle fibre nervose periferiche dell’uomo ha permesso di identificare quelle prodotte dalle stimolazioni nocicettive. Questi studi hanno permesso di scoprire che il ruolo maggiore, nella ricezione e nella modulazione dell’intensità del dolore cutaneo, è giocato dai nocicettori polimodali di tipo C. Le fibre C sono delle fibre senza mielina (con un sottile diametro inferiore ad un micron, ed una velocità di conduzione lenta inferiore a 2 m/s). Polimodale significa che tali fibre sono attivate da diversi stimoli intensi: meccanici, termici e chimici. Quando si applicano degli stimoli ripetuti, queste fibre sono la sede del fenomeno di sensibilizzazione che si manifesta almeno con una delle seguenti modificazioni: diminuzione della soglia di attivazione, aumento delle risposte, comparsa di attività spontanea. Questi fenomeni possono Fisiopatologia del dolore essere all’origine delle reazioni di iperalgesia (sensibilità accentuata per Recettori periferici: stimoli normalmente Primo dolore dolorosi) osservata in Secondo dolore certe condizioni Intensità di patologiche dell’uomo. dolore Le altre fibre nocicettive sono le fibre A delta scarsamente mielinizzate, nell’ambito delle quali tempo sono state identificate varie sottoclassi. Si tratta di fibre con una maggiore velocità di conduzione, Assoni mielinici Fibre C (amieliniche) spesso legate al fenomeno dell’allodinia (percezione come dolore di uno stimolo non doloroso, ad COSD – IEO 2003 8 esempio il tocco della mano). Le fibre che trasmettono messaggi nocicettivi indotti a livello dei tessuti profondi (muscoli, articolazioni, visceri) sono state studiate solo nell’animale. A livello dei muscoli, un gran numero di fibre A delta e C sono nocicettori polimodali particolarmente eccitati dalle sostanze algogene e dagli stimoli termici. Non si può dunque affermare che tutte queste fibre sottili siano implicate nella nocicezione; infatti, attraverso la loro attivazione durante la contrazione muscolare, certe potrebbero essere implicate nell’induzione dei riaggiustamenti circolatori e respiratori durante l’esercizio muscolare. I nocicettori sono stati chiaramente identificati anche a livello delle articolazioni. E’ attualmente difficile sapere in quale misura il dolore di origine viscerale risulta dall’attivazione di nocicettori specifici o dall’attivazione eccessiva dei recettori che, in condizioni normali, partecipano alla regolazione riflessa della funzione viscerale. Le fibre sottili A delta o C, attivate da stimoli che nell’animale scatenano reazioni simili al dolore, sono state evidenziate a livello del cuore, della pleura, della cavità addominale, della colecisti, dell’intestino, dei testicoli e dell’utero. Tuttavia, alcune di queste fibre sono ugualmente eccitate durante la distensione o la contrazione moderata dei visceri, ed accrescono la loro scarica all’aumentare della stimolazione; in tal caso non si tratta dunque di recettori specifici. Genesi dei messaggi nocicettivi Gli intimi meccanismi responsabili della genesi dei messaggi nocicettivi non sono stati ancora chiariti. Pertanto, anche se l’eventualità di una attivazione diretta delle terminazioni periferiche non può essere scartata, è per ora ben stabilito che numerosi fattori chimici sono capaci di modificare l’attività delle fibre afferenti primarie di piccolo diametro. Alcune di queste sostanze (bradichinina, istamina, serotonina, prostaglandine…) sono infatti capaci di attivare e/o di sensibilizzare i nocicettori; altre, come la sostanza P, intervengono nei processi di infiammazione neurogena (il classico riflesso assonico) allorquando il sistema simpatico con la liberazione della noradrenalina modula l’attività dei nocicettori nelle condizioni patologiche particolari, come in caso di lesioni dei nervi periferici. La grande diversità delle sostanze presenti a livello periferico pone numerosi problemi per la messa a punto di nuovi analgesici. Dal punto di vista terapeutico, l’ideale sarebbe di proporre ai pazienti un cocktail di sostanze, agenti su differenti fattori …, cosa che sembrerebbe illusoria. Ma siamo più ottimisti, poiché è verosimile che ognuno di questi fattori gioca un ruolo più o meno preponderante secondo l’eziologia e le componenti della sindrome dolorosa considerata. E’ dunque necessario approfondire le nostre conoscenze sui nocicettori, tanto dal punto di vista della biologia molecolare quanto dal punto di vista fisiopatologico. Questo è giustificato dal fatto che lavori elettrofisiologici relativamente recenti hanno mostrato l’esistenza di nocicettori “silenziosi” in assenza di lesione. In altri termini, una percentuale elevata di fibre C e A delta non può essere attivata da stimolazioni estreme che provengano da un tessuto sano, ma presenta un’attività spontanea elevata ed una soglia di attivazione relativamente bassa dopo la creazione di un’infiammazione articolare o cutanea. La dimostrazione dell’esistenza di recettori “silenziosi” apporta argomenti supplementari per l’utilizzo e la messa a punto dei modelli sperimentali del dolore che sono essenziali per la comprensione della fisio-farmacologia del dolore. Dopo il loro tragitto nei nervi periferici, le fibre afferenti raggiungono il sistema nervoso centrale attraverso le radici spinali posteriori o il loro equivalente a livello dei nervi cranici. COSD – IEO 2003 9 Le fibre A delta e C terminano a livello degli strati superficiali delle corna dorsali del midollo (lamina I e II di Rexed) I neurotrasmettitori Uno dei problemi maggiori che è stato oggetto di numerose ricerche riguarda i neurotrasmettitori che sarebbero liberati a livello di queste terminazioni. La sostanza P (un peptide costituito da 11 aminoacidi) è stato per lungo tempo considerato come “il neurotrasmettitore” del dolore. Tuttavia il problema è molto più complesso poiché una stessa fibra nervosa può ugualmente contenere numerosi altri peptidi (somatostatina, CGRP…) il cui il ruolo va determinato. In più, le fibre afferenti di piccolo diametro, contengono anche aminoacidi eccitatori, come il glutammato e la sostanza P, che possono eccitare i neuroni del corno dorsale del midollo. Inoltre, è stato dimostrato che glutammato e sostanza P possono essere simultaneamente liberati per opera di stimoli nocicettivi. Alla luce dei lavori attuali, è ancora difficile stabilire il ruolo rispettivo del glutammato e della sostanza P. Sottolineiamo che la messa a punto di antagonisti specifici non peptidici della sostanza P (numerosi laboratori ne hanno già sintetizzati) e di recettori al N-metil-D-aspartato costituisce uno degli assi di ricerca maggiori per la messa a punto di analgesici. A livello delle corna dorsali del midollo spinale Nelle corna dorsali del midollo, due principali gruppi di cellule sono attivate dalla messa in gioco di fibre sottili: • I neuroni nocicettivi chiamati non specifici poiché rispondono a volte a stimolazioni meccaniche leggere e a stimoli nocicettivi meccanici, termici e talvolta chimici; possiedono la proprietà di accrescere la loro scarica in funzione dell’intensità dello stimolo; • I neuroni nocicettivi chiamati specifici in quanto non sono eccitati che da stimolazioni meccaniche e/o termiche intense (vale a dire unicamente nocicettive ). Questi neuroni (soprattutto quelli del primo gruppo) sono inoltre attivati da stimoli viscerali, muscolari ed articolari intensi. L’esistenza di una convergenza viscero-somatica va nel senso della teoria della “proiezione convergente” avanzata per spiegare i meccanismi dei dolori proiettati. Secondo questa teoria, questi dolori sarebbero legati alla convergenza di messaggi nocicettivi cutanei e viscerali su una popolazione di neuroni spinali che trasmettono l’informazione ai centri sopramidollari. In condizioni abituali, quelli che sarebbero soprattutto attivati dai nocicettori dei tegumenti; in condizioni patologiche, sarebbero attivati da nocicettori viscerali, l’informazione nocicettiva sarebbe allora interpretata come proveniente da territori cutanei che ne sono abitualmente l’origine. Ad esempio, l’angina pectoris si manifesta frequentemente con dolore all’arto superiore sinistro, la colica epatica, invece, con un dolore a livello della scapola destra.. Questi due gruppi di neuroni sono localizzati a livello degli strati superficiali delle corna dorsali (lamina I e II) e nelle zone più COSD – IEO 2003 10 profonde (lamina V e VI). Ci sono, inoltre, altri neuroni attivati dallo stimolo doloroso che sono localizzati nella regione ventrale della sostanza grigia del midollo spinale. E’ ormai dimostrato che i neuroni localizzati nelle corna dorsali giocano un ruolo fondamentale: molti di essi sono all’origine dei fasci ascendenti e la loro attività è chiaramente depressa dalla morfina e da diverse tecniche di neurostimolazione utilizzate nella clinica per indurre effetti analgesici. Dal midollo spinale al cervello Organizzazione delle vie ascendenti Osservazioni cliniche fatte sull’uomo e studi elettrofisiologici fatti sugli animali dimostrano indiscutibilmente che la maggior parte delle fibre ascendenti che si mettono in comunicazione con le strutture sopramidollari responsabili della ricezione del dolore provengono da neuroni i cui assoni incrociano il midollo ed entrano nel quadrante midollare controlaterale. La sezione a questo livello (cordotomia anterolaterale) è ancora utilizzata, in alcuni casi, per il trattamento del dolore neoplastico ribelle ad ogni tipo di terapia. Il fascio spino-talamico è frequentemente associato, erroneamente, al cordone anterolaterale. In realtà questo contiene altre vie ascendenti come il fascio spino-reticolare che termina a livello delle regioni bulbari, pontine e mesencefaliche in modo bilaterale. In più, un discreto numero di neuroni nocicettivi danno origine ad un fascio spinale ascendente esclusivamente omolaterale e con un ruolo non ancora precisato. Recenti acquisizioni suggeriscono che questo possa essere implicato non solo nella trasmissione del dolore dovuto ad un eccesso di nocicezione, ma anche nel processo di riaggiustamento consecutivo a lesioni nervose periferiche o midollari. Non si può, dunque, attribuire una funzione univoca ad un determinato fascio. Per l’elevata percentuale di neuroni nocicettivi e per l’entità di convergenze cutanee, viscerali e muscolari su questi neuroni, il fascio spino talamico occupa un posto privilegiato nella trasmissione di messaggi nocicettivi nei primati. Lo sviluppo di avanzate tecniche anatomiche ha messo in evidenza la complessità dell’organizzazione delle vie ascendenti. A titolo d’esempio si consideri che una sola fibra ascendente alla volta può proiettarsi a livello reticolare e talamico. COSD – IEO 2003 11 L’analisi quantitativa di questi collaterali permetterà di stabilire con maggiore precisione l’importanza dei fasci ascendenti. La loro molteplicità lascia già intravedere le difficoltà incontrate per l’esplorazione di strutture sovraspinali implicate nei processi nocicettivi. Le strutture cerebrali Nota la complessità dei fasci ascendenti cerebrali che conducono messaggi nocicettivi nelle varie regioni risulta evidente che è sempre più difficile seguire il percorso di tali messaggi nell’ambito del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e che numerose aree cerebrali sono implicate nelle diverse componenti del dolore. Questo spiega l’insuccesso terapeutico di interventi neurochirurgici su diverse aree cerebrali volti ad alleviare il dolore ribelle e a scoprire un centro unico per il dolore. La complessità delle vie del dolore e delle strutture nelle quali esse terminano è aumentata dalla difficoltà nell’approccio sperimentale, del tronco cerebrale e delle strutture del cervello anteriore. In primo luogo, lo sperimentatore deve tener conto dei differenti problemi etici sollevati da tali esperimenti che devono essere compiuti su animali in anestesia e con nevrasse intatto. E’ evidente che l’effetto depressivo generale degli anestetici sul SNC provoca differenze molto importanti nell’ambito dei risultati ottenuti a seconda del tipo di anestetico utilizzato. In secondo luogo, ci sono discordanze per ciò che concerne le terminazioni delle vie del dolore. Infine, c’è confusione in letteratura che deriva dalla nomenclatura utilizzata dai diversi autori nei loro differenti schemi anatomici delle aree sovraspinali. A dispetto di tutte queste difficoltà i risultati fisiologici ed anatomici ottenuti nel corso degli ultimi anni, hanno permesso di fare progressi nella comprensione dei meccanismi coinvolti a livello sovraspinale che determinano la sensazione dolorosa. Era logico cominciare gli studi dalle strutture che ricevono proiezioni dirette ed indirette provenienti da neuroni delle corna dorsali midollari. Nonostante ci siano sempre state discussioni sull’importanza delle proiezioni del fascio spino talamico, recentemente sono stati compiuti studi elettrofisiologici sulla scimmia a livello del nucleo ventro-postero-laterale e nel ratto a livello del complesso ventro-basale. In tali strutture esistono numerosi neuroni che vengono attivati da stimolazioni nocicettive, meccaniche e termiche. La loro soglia di attivazione per stimoli termici si situa intorno ai 44° C. Le risposte di questi neuroni sono in grado di dare informazioni sulle caratteristiche della stimolazione meccanica ottenuta (intensità, durata, localizzazione). Non c’è dubbio che tali neuroni siano implicati nella componente sensorio-discriminativa del dolore. Le risposte di tali neuroni agli stimoli nocicettivi inoltre, sono fortemente depressi da piccole dosi di morfina che inducono effetti analgesici quando iniettate nell’animale libero nei suoi movimenti. Studi anatomici hanno chiaramente dimostrato che i neuroni talamici sia nel ratto che nella scimmia si proiettano massivamente a livello della corteccia somestesica primaria. Sembra logico pensare, quindi, che tali aree corticali siano implicate nell’integrazione di messaggi nocicettivi. Ciò contrasterebbe con teorie secondo le quali la corteccia non sarebbe affatto implicata nella sensazione di dolore, visti i risultati di studi neurochirurgici nei quali si dimostrava che la stimolazione corticale non provocava dolore. L’implicazione della corteccia somestesica primaria è oggi chiaramente stabilita nelle due specie animali studiate. COSD – IEO 2003 12 Un certo numero di neuroni presenta caratteristiche simili a quelle dei neuroni talamici. Questi risultati concordano con quelli condotti sull’uomo con la PET (tomografia ad emissione di positroni). Il ruolo funzionale delle altre regioni talamiche che ricevono proiezioni dirette del midollo spinale deve essere ancora chiarito. Alcune di esse potrebbero essere implicate nelle risposte motorie conseguenti all’applicazione di uno stimolo doloroso. Numerosi studi hanno dimostrato l’intervento di diverse strutture della formazione reticolare bulbare, pontina e di strutture talamiche dove si proiettano tali vie. Tenendo conto delle proiezioni di tali regioni a livello dei nuclei striati sembra che esse possano contribuire alla attivazione dei sistemi di difesa contro un’aggressione nocicettiva. Questo vale anche per la formazione reticolare mesencefalica. La dimostrazione della via spino-ponto-amigdaliana è relativamente recente. I neuroni all’origine di tale via sono localizzati negli strati superficiali del corno dorsale del midollo spinale, l’informazione è trasporatata a livello del nucleo pontino e poi è proiettata nel nucleo centrale dell’amigdala. A questi tre livelli va constatato che numerosi neuroni rispondono esclusivamente a stimolazioni nocicettive. Il ruolo di questa via spino-ponto-amigdaliana è tuttora oggetto di speculazioni. Tenendo conto delle caratteristiche sopra descritte è stato proposto che essa possa essere implicata nell’aspetto affettivo ed emozionale del dolore. Da certi autori è stata descritta una via spino-ipotalamica diretta, la cui importanza resta ancora da confermarsi. La molteplicità dei fasci ascendenti suggerisce indiscutibilmente che la nocicezione ed il dolore non dipendono da un unico sistema e che non esiste un centro specifico per il dolore. La modulazione del messaggio nocicettivo Il sistema del dolore si può descrivere come un sistema rigido che permette la trasmissione di messaggi nocicettivi dalla periferia ai centri superiori dell’encefalo. In realtà, nei diversi livelli del circuito, il trasferimento dell’informazione è costantemente modulato da diversi sistemi di controllo. La loro evidenza costituisce l’acquisizione più importante nell’ambito della fisiologia del dolore nel corso degli ultimi 20 anni. I sistemi di controllo sono stati studiati a livello spinale, dove modulano la trasmissione dei messaggi nocicettivi a livello del corno dorsale, che non può più essere considerato come un semplice mediatore tra i nervi periferici ed il cervello. Nel 1965 Melzack e Wall hanno proposto una teoria del dolore, detta del “gate control” (teoria del cancello) che attribuisce un ruolo importante alle integrazioni midollari. Tale teoria sottolinea il fatto che le fibre afferenti di grosso diametro (A alfa e beta) che trasmettono messaggi tattili blocchino, a livello midollare, i neuroni nocicettivi della lamina 5. L’inibizione è ugualmente ottenuta da stimolazione dei cordoni posteriori. Il circuito sinaptico inizialmente proposto per questa inibizione è oggi considerato parzialmente inesatto, poiché i fenomeni d’inibizione non sono esclusivamente presinaptici ma anche postsinaptici. L’azione inibitoria delle grosse fibre sui messaggi nocicettivi è diventata una nozione classica. Tale meccanismo è alla base di stimolazioni analgesiche periferiche o midollari utilizzate in clinica (neurostimolazione transcutanea, stimolazione dei cordoni posteriori del midollo). Queste ricerche hanno avuto importanti ripercussioni per il trattamento dei dolori ribelli. I diversi interventi neurochirurgici che consistevano nell’interrompere o nel distruggere le vie ed i relé del dolore (sezione di nervi, di radici dorsali, cordotomie, sezioni talmiche..) vengono progressivamente abbandonati ad eccezione di casi particolari. COSD – IEO 2003 13 In parte gli interventi neurochirurgici ablativi hanno lasciato posto alle tecniche di neurostimolazione che rafforzano l’attività dei sistemi di controllo inibitori e che hanno il vantaggio di non produrre lesioni irreversibili del sistema nervoso. A livello dei circuiti spinali la trasmissione dei messaggi nocicettivi è controllata da sistemi di controllo di origine segmentaria e sovraspinale. La Teoria del Gate Control (Melzack e Wall, 1965) I controlli segmentari E’ ormai dimostrato che l’attivazione delle fibre nervose cutanee di grosso diametro (A alfa e beta) che danno origine a deboli sensazioni tattili blocca a livello midollare le risposte dei neuroni spinali a stimoli nocicettivi. Tali acquisizioni sperimentali spiegano in parte gli effetti favorevoli dell’utilizzo terapeutico delle tecniche di neurostimolazione periferica di bassa intensità e di frequenza elevata. In questo caso, la stimolazione può essere applicata sia a livello dei nervi periferici, attraverso elettrodi cutanei in prossimità del nervo, sia a livello dei cordoni posteriori midollari attraversi l’inserimento di elettrodi in posizione extradurale per via percutanea. Queste tecniche si sono rivelate utili soprattutto nel caso di dolori dovuti a lesioni del sistema nervoso periferico. I controlli di origine sovraspinale Si esercitano soprattutto in certe regioni del tronco cerebrale da cui originano vie discendenti inibitrici. Inizialmente, è stato messo in evidenza nel ratto che la stimolazione della sostanza grigia periacqueduttale produce interessanti effetti analgesici. É stato precisato che questi effetti derivano principalmente dalla regione ventrale della sostanza grigia periacqueduttale corrispondente al nucleo dorsale del rafe, ricco di nuclei serotoninergici. È stato confermato il ruolo di altri nuclei del rafe, specie a livello del ponte o del bulbo, dove sono stati evocati potenti effetti analgesici stimolando il nucleo rafe magno. Il fatto che queste COSD – IEO 2003 14 stimolazioni profonde blocchino certi riflessi nocicettivi suggerisce che l’analgesia risulta, almeno in parte, dalla messa in gioco di vie discendenti inibitorie confermando, ancora una volta, che la stimolazione di questi nuclei deprime in maniera intensa le risposte nei neuroni delle corna dorsali a stimoli dolorosi. La farmacologia dei sistemi discendenti è molto complessa ed è oggetto di molti lavori spesso difficili da interpretare poiché le metodologie utilizzate sono molto varie. La partecipazione di vie bulbo-spinali serotoninergiche è ben acquisita, così come quella dei sistemi discendenti noradrenergici. È stato dimostrato, inoltre, che la somministrazione di naloxone (antagonista degli oppioidi) abolisce o riduce gli effetti analgesici indotti dalla stimolazione della sostanza grigia periacqueduttale o del nucleo rafe magno. Ciò suggerisce che la stimolazione centrale libera endorfine. A partire da queste acquisizioni, diversi autori hanno supposto l’esistenza di un sistema analgesico endogeno, chiamando in causa diverse strutture mesencefaliche, pontine e bulbari; esso farebbe parte di un anello di feed-back negativo attivato da stimolazioni intense provocando di conseguenza l’inibizione della trasmissione dei messaggi nocicettivi a livello midollare. L’evidenza di sistemi di controllo ha permesso di stabilire nuovi approcci nella lotta contro il dolore, ed una migliore conoscenza della farmacologia di questi sistemi dovrebbe permettere di proporre nuovi trattamenti più specifici e più efficaci. Ad esempio, molti laboratori stanno studiando i sistemi monoaminoergici. Nell’animale alcuni agonisti alfa-2 noradrenergici sono in grado di indurre effetti analgesici potenti. Il ruolo delle endorfine resta ancora incerto. nonostante queste sostanze siano presenti a livello delle strutture che giocano un ruolo strategico noto nella nocicezione. COSD – IEO 2003 15 4. BASI PSICOLOGICHE Tutte le figure che prestano cura al sofferente debbono essere in grado di comprendere il malato e lo insieme di fattori psico-sociali suscettibili di peggiorare o mantenere il dolore oncologico e non. In alcuni casi la collaborazione con lo psicologo o con lo psichiatra diventa auspicabile. La difficoltà sta allora nel fare accettare la strategia al malato. La richiesta di consulenza psichiatrica o psicologica nel malato con dolore non deve essere interpretata come prova che si pensi ad un dolore “immaginario”. La capacità di invio allo psichiatra è un buon indice di funzionamento dell’équipe (o della rete). L’invio è semplificato quando lo psichiatra è presentato come colui che conosce bene certi farmaci analgesici (antidepressivi) o che conosce un certo numero di tecniche di controllo del dolore (rilassamento, ipnosi…), e questo per i pazienti reticenti che sono spesso quelli che hanno problemi psicologici. L’invio allo psichiatra sarà più facilmente accettato quando sarà presentato precocemente nell’ambito della consultazione iniziale, (non dopo il fallimento dei trattamenti proposti) e come una procedura sistematica in caso di dolore cronico. La relazione con il paziente che ha dolore Il primo contatto con un paziente con dolore cronico può essere delicato perché si ha a che fare con la sua aggressività, con i sentimenti di frustrazione e con la sfiducia che trapela dalle sue parole. La relazione è sempre facilitata quando l’operatore sanitario mostra chiaramente al paziente di credere al suo dolore e che prova empatia nei suoi confronti. Credere al dolore non significa accettare tutte le concezioni del malato sul suo stato o sulla natura del dolore: bisogna saper spiegare che le cause non sono univoche e far condividere un modello di rappresentazione del problema che renderà legittima la strategia terapeutica. In ogni caso, il colloquio con il malato con dolore cronico non può essere concepito in un’atmosfera di urgenza: bisogna saper essere disponibili ad ascoltare e a creare un clima di confidenza indispensabile per una relazione di qualità. Contesto socio-economico Si tratta di valutare l’eventuale implicazione tra il dolore persistente e la situazione professionale, compito del sistema delle assicurazioni. Questa fase di valutazione fissa l’ambito in cui potrà essere condotta la riabilitazione. Se l’handicap doloroso mantiene il paziente lontano dal lavoro, bisogna valutare, consigliare ed eventualmente imporre la strategia più adeguata. In caso di controversia con il sistema delle assicurazioni, è spesso illusorio prevedere un miglioramento prima che essa sia stata risolta. Bisogna saper adottare un’attitudine molto chiara circa l’ambivalenza della situazione: la scomparsa totale e definitiva del dolore penalizzerebbe il malato nel suo percorso. La riformulazione degli obiettivi “reali” da perseguire rappresenta la tappa essenziale prima della messa in atto del programma terapeutico. Il contratto stipulato con il paziente può comportare il suo sostegno lungo il percorso. Può succedere che l’analisi della situazione sottolinei l’importanza del ruolo dei benefici secondari (o la loro ricerca) nella perennità del dolore. In altri casi, una valutazione attenta potrà contribuire a bloccare strade senza uscita, malintesi o errori amministrativi, prendendo contatti con il consulente medico, con il medico del lavoro, con il datore di lavoro. COSD – IEO 2003 16 Componente affettivo emozionale La valutazione della componente affettivo-emozionale comprende la valutazione sistematica dell’umore. Il ricorso a questionari di auto-valutazione o di etero-valutazione della depressione costituisce un valido aiuto. La depressione è frequente (dal 30 al 50% dei casi) in tutte le patologie dolorose persistenti non oncologiche esaminate nei centri di trattamento del dolore. Essa può spiegare la resistenza alle diverse terapie e influire sul comportamento doloroso. L’esistenza di turbe della personalità associate può aver contribuito alla perennità del dolore. Bisogna tenerne conto quando si definisce il “programma terapeutico”. Una consulenza psichiatrica sarà allora indispensabile sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Il compito dello psichiatra è quello di ripercorrere la storia della sintomatologia dolorosa e di stabilire legami temporali con gli avvenimenti della vita. Ciò spiega come un sintomo, inizialmente somatico, è diventato, nel malato, una modalità relazionale con la sua famiglia, con l’ambiente socio-professionale, con il personale sanitario, o con il sistema delle assicurazioni. Questi fattori sono in grado di spiegare la persistenza del dolore ed il fallimento delle terapie. Componente cognitiva Essa rappresenta la maniera in cui il paziente immagina la causa del suo dolore e la modalità con cui vi si rapporta. Il colloquio si allarga ad altri problemi, inerenti il dolore, che il paziente ha sperimentato di persona o tramite familiari: la loro durata, la sensibilità al trattamento, l’ansia generata dallo stretto rapporto con la malattia. Spesso si scoprirà: • Lo smarrimento causato da pareri medici discordanti • L’incertezza dovuta ad esami diagnostici risultati negativi, lasciando ad intendere che l’origine del dolore è misteriosa poiché non visualizzabile • La convinzione del fatto che ogni dolore persistente testimonia un processo patologico evolutivo suscettibile di peggioramento (ad esempio, la lombalgia cronica può evolvere in paralisi degli arti inferiori) • L’incomprensione che deriva dal sentirsi abbandonati, inevitabile qualora terapeuta e paziente abbiano fissato un obiettivo curativo radicale • Una convinzione esagerata dell’origine esclusivamente somatica, rinforzata dalle numerose consulenze psichiatriche richieste e vissute come prova che non si crede al dolore • I commenti e le interpretazioni errate devono essere espressi e chiariti poiché alimentano l’angoscia del paziente. Fare il punto della situazione aiuterà il paziente a relazionarsi meglio al dolore Componente comportamentale L’impatto del dolore sul comportamento fornisce numerosi indici per valutare l’intensità dello stesso. Nei casi più complessi il lamento doloroso è diventato una via di comunicazione privilegiata con il mondo circostante, conferendo al dolore una dimensione relazionale che va considerata. Si dovranno osservare le diverse manifestazioni motorie o verbali che testimoniano il dolore durante il colloquio, l’esame clinico, le situazioni statiche e dinamiche: mimica, sospiri, posizioni antalgiche, limitazioni dei movimenti, impaccio. COSD – IEO 2003 17 Tali manifestazioni possono costituire uno dei criteri di valutazione del trattamento. Nel caso della lombalgia, la ripresa video fatta durante un percorso con ostacoli rappresenta un metodo interessante per la valutazione dei risultati terapeutici. I lamenti verbali possono essere quantificati a seconda della loro manifestazione, spontanea o su interrogazione oppure in relazione alla quantità di proposizioni relative al dolore presenti durante un discorso. Per valutare l’impatto del dolore sull’insieme delle attività del malato si deve entrare nel dettaglio della vita quotidiana con l’aiuto, eventuale, dei familiari. La limitazione delle attività è uno degli elementi che indicano la gravità di una sindrome dolorosa: tempo passato allungati, attività quotidiane (bagno, abbigliamento, spesa giornaliera, salire e scendere le scale) sostenute, evitate o realizzate tramite l’aiuto di una terza persona, attività di svago, attività sessuale, relazioni sociali. Il comportamento dei familiari di fronte al dolore va conosciuto: attitudine all’allontanamento, alla sollecitudine, all’attenzione esagerata. Alcune di queste reazioni mantengono i pazienti con dolore nel loro handicap. L’attuazione di circoli viziosi deve essere spiegata a coloro che vivono con il malato e possono costituire l’oggetto del trattamento specifico. Obiettivi da raggiungere La valutazione non sarà completa se non si saranno precisate le attese del paziente. Nei casi più complessi esse non possono essere esplicitate ed una delle prime misure terapeutiche consisterà nel fissare, insieme al paziente, obiettivi ragionevoli della terapia. Davanti ad una richiesta “tutto o niente”, con la ricerca della soluzione totale e definitiva, bisogna saper riformulare le attese verso obiettivi più realistici come “il saper convivere con il dolore e la ripresa delle attività”. Alcuni pazienti hanno già trovato un “modus vivendi” e hanno bisogno di essere confortati in questo comportamento, o di essere ben consigliati sulle attuali possibilità di alleviare il dolore. Il ruolo dell’informazione non è affatto trascurabile in fatto di diversità dei “metodi analgesici”; attraverso di essa i pazienti possono essere sollecitati, in un quadro pubblicitario o meno. Talvolta il paziente che ha affrontato il problema fino ad un certo punto si consulta poiché è stanco, depresso; egli può esprimere la sua richiesta in termini di alleviamento completo del dolore. Può anche essere stato consigliato da coloro che lo circondano, persuaso che si può fare meglio, o stanco di sopportare certe sofferenze. Se si è raggiunto un certo equilibrio, bisognerà pesare minuziosamente i vantaggi e gli svantaggi di nuove proposte terapeutiche, essendo perfettamente informati di ciò che oggi è possibile e di ciò che non lo è. COSD – IEO 2003 18 5. DIFFERENTI TIPI DI DOLORE Esistono vari tipi di dolore che si possono classificare secondo: • Il meccanismo fisiopatologico (da eccesso di nocicezione, neurogeno, psicogeno). • La durata dell’evoluzione (acuto, cronico). • Il tipo di patologia in causa (maligna o benigna). Meccanismo fisiopatologico Il percorso diagnostico deve permettere di precisare non soltanto l’esistenza e la natura del processo patologico in causa, ma anche di comprendere il meccanismo che genera il dolore. Il trattamento sintomatico deriva per gran parte da una comprensione soddisfacente di tale meccanismo. Anche se numerosi meccanismi fisiopatologici non sono ancora perfettamente compresi, la distinzione di tre principali tipi di meccanismo conserva un valore operativo, sia per la valutazione che per le decisioni terapeutiche. L’origine somatica: il dolore nocicettivo (da eccesso di stimolazione nocicettiva). L’eccesso di stimolazione nocicettiva è il meccanismo correntemente riscontrato nella maggioranza dei dolori acuti (traumatici, infettivi, degenerativi…). Nello stadio cronico, lo si ritrova nelle patologie lesive persistenti, come ad esempio nelle patologie reumatiche croniche o nel cancro. Esso si esprime su un piano semeiologico spesso secondo un ritmo meccanico (aumento del dolore per attività fisica) o infiammatorio (risveglio notturno dovuto al dolore). Attraverso particolari manovre effettuate in corso di esame obiettivo è spesso possibile evocare il dolore. Le immagini permettono di documentare la lesione in causa. Il meccanismo corrisponde qui alla rappresentazione più usuale del dolore. Un processo patologico attiva, a livello periferico, il sistema fisiologico di trasmissione dei messaggi nocicettivi. L’informazione, nata a livello dei recettori, è trasmessa alle strutture centrali. Da un punto di vista terapeutico, è legittimo intervenire sul processo periferico stesso (trattamento eziologico) o limitarne gli effetti eccitatori utilizzando analgesici periferici o centrali, o cercando di interrompere i messaggi nei diversi livelli della trasmissione periferica o centrale (blocchi anestetici). L’origine neurogena Per il clinico, almeno due tipi di meccanismi di lesione nervosa possono essere responsabili dei dolori neurogeni. Alcuni dolori risultano dalla compressione di un tronco, di una radice, o di un plesso (sciatico da ernia del disco, sindrome canalare, tumore…). In questo primo caso si tratta di dolore neurogeno che si può chiamare di tipo neurogenico . Altri, invece, non sono legati ad una compressione persistente e sopraggiungono come sequele. In questo secondo caso, la dizione di neuropatico o da deafferentazione permette di spiegare la persistenza del dolore. Il meccanismo della deafferentazione periferica è stato oggetto di numerosi studi, sia clinici che sperimentali. Esso costituisce il tipico esempio di un meccanismo centrale all’origine del dolore che si oppone ai dolori da eccesso di nocicezione, dovuti all’eccitazione periferica. Dopo lesione o sezione delle afferenze periferiche, i neuroni di “relais” spinali o sovraspinali possono risultare ipereccitabili ad opera di meccanismi non ancora perfettamente conosciuti: mancanza di inibizione, smascheramento di connessioni eccitatrici, ipersensibilità… lavori recenti COSD – IEO 2003 19 dimostrano ugualmente la partecipazione di meccanismi periferici nei dolori che si verificano dopo lesione nervosa periferica: ipersensibilità delle terminazioni sezionate, trasmissione dell’impulso da fibra a fibra per contiguità. La complessità dei meccanismi centrali e periferici fa oggi preferire i termini di dolore neurogenico o di dolore neuropatico, senza pregiudicare la componente periferica o centrale del dolore. Resta al clinico precisare se il dolore è mantenuto da una lesione che comprime le vie nervose. La nozione di deafferentazione è stata tuttavia estremamente utile per sottolineare la possibilità che si produca un dolore centrale, persistente, in assenza di mantenimento ad opera di una stimolazione periferica. Le principali cause di dolori neurogeni sono l’arto fantasma, la zona, la sezione di nervi, la paraplegia,… L’origine neurogena del dolore è identificata in un contesto conosciuto come “attesa neurologica”; essa è spesso mal identificata in corso di cancro o nelle sequele post-chirurgiche. In corso di cancro, la lesione neurologica può essere dovuta sia all’infiltrazione tumorale che alle complicanze delle terapie (plessite da radioterapia,…). I dolori neurogeni sono una causa frequente di dolore cronico. Spesso, l’analisi retrospettiva delle documentazioni cliniche mostra che solo in pochi casi essi sono stati diagnosticati ed adeguatamente trattati. I dolori neurogeni hanno particolari caratteristiche semeiologiche che ne facilitano il riconoscimento. Caratteristiche semeiologiche del dolore neurogeno (alcune di queste caratteristiche possono mancare) Descrizione clinica: • Componente continua (bruciore) • Componente acuta, intermittente (scariche elettriche) • Disestesie (formicolii, pìzzichi) Dolore che può contrastare con l’assenza di lesione somatica Possibilità di intervallo libero dopo la lesione iniziale Esame neurologico: • Segni di iposensibilità (ipoestesia, anestesia) • Segni di ipersensibilità ( allodinìa, iperpatia) I dolori neurogeni sono abitualmente poco sensibili ai comuni analgesici e agli NSAIDs. Il trattamento farmacologico iniziale prevede l’uso di sostanze ad azione centrale: antidepressivi triciclici (amitriptilina, clomipramina) per il dolore di ogni tipo, e gli anti-epilettici (carbamazepina, clonazepam, valproato di sodio, gabapentina) per la componente accessuale, a fitta, anche se tali schematismi non sono sempre rispettati, trattandosi di terapie individualizzate. Allo stesso tempo si proporranno le tecniche di neurostimolazione e si eviteranno le tecniche anestesiologiche o le sezioni neurochirurgiche. Queste ultime sono assolutamente controindicate in quanto in grado di peggiorare la deafferentazione. L’origine “sine materia” e psicogena Anche se la natura “sine materia” è prevedibile precocemente, è solamente allo stadio cronico del dolore, dopo aver escluso ogni altra causa, che l’origine funzionale del dolore si manifesta. Si deve ammettere che è semplice diagnosticare dolore “funzionale” dopo che un minuzioso esame clinico e paraclinico risulti negativo. COSD – IEO 2003 20 • In alcuni casi la descrizione rientra in un quadro stereotipato caratterizzato da una precisa semeiologia: cefalea da tensione, fibromialgia, glossodinia… In questi casi è preferibile parlare di dolore idiopatico poiché il meccanismo fisiopatologico di questi quadri non è ben chiaro. • In altri casi la semeiologia del dolore aiuta a sospettare un’origine psicogena: descrizione esagerata, imprecisa o variabile, semeiologia atipica. L’origine psicogena del dolore non si limita a ad una diagnosi di dolore non organico; essa deve fondarsi su una semeiologia psicopatologica positiva. Si possono descrivere vari quadri clinici: conversione isterica, somatizzazione di un disordine emozionale (depressione), ipocondria. Numerosi dolori cronici non si possono definire come psicogeni perché non sono totalmente “sine materia” e perché si possono individuare atteggiamenti di dolore somatico. Tali dolori risultano piuttosto dall’intreccio di fattori somatici e psicosociali. Descrivere tali malati da un punto di vista esclusivamente fisico o psicologico non rende conto delle problematiche in causa. La durata dell’evoluzione Dolori acuti e cronici: l’importanza del fattore tempo Il dolore acuto, di recente insorgenza, può essere considerato come un utile segnale di allarme. Esso impone un percorso diagnostico indispensabile che permetterà di precisare l’origine somatica o meno del dolore. La funzione di protezione ammessa per il dolore acuto diventa meno evidente allo stadio cronico. • • • Quale valore di protezione si deve attribuire ad un dolore persistente? Qual è, allora, il suo ruolo di segnale di allarme? Qual è la sua funzione di difesa? “Il dolore non protegge l’uomo. Esso lo annulla”, dice René Leriche (1957). “Il dolore cronico distrugge fisicamente, psicologicamente e socialmente”, dice Sternbach (1974). Il paziente con dolore cronico moltiplica il numero delle consulenze. Il suo girovagare da “porta a porta” lo conduce presso numerosi specialisti, con frequenti ricorsi alla medicina “alternativa”. Ogni medico rivede il caso, richiede nuove analisi, richiede un altro parere … I trattamenti successivi migliorano poco o affatto il dolore aggravando la situazione. Ogni specialista consultato si propone di trovare la “vera” causa suscettibile di portare alla soluzione radicale. Più l’handicap persiste, meno le terapie sembrano efficaci… Bisogna continuare le indagini cliniche? Ogni nuovo tentativo terapeutico crea delle attese regolarmente disilluse. Per il paziente, i medici non comprendono il problema, non trovano la vera causa, non credono al dolore. Il paziente interpreta in maniera errata le spiegazioni date, i risultati degli esami clinici… Tutto ciò che può accrescere il suo sconforto psicologico rinforza la sua attenzione al dolore. A causa del gran numero di consulenze effettuate il rapporto medico-paziente si deteriora. Il ripetersi esasperato di lamenti (“niente mi dà sollievo...”) favorisce il rigetto del malato e grande è la tentazione di non rispondergli o di fargli comprendere: “non è vero”, “è nella testa”... Alcune COSD – IEO 2003 21 frasi come “non è niente” sono interpretate come “i vostri dolori sono immaginari”. Il paziente e il suo contorno familiare finiscono per interpretare: “voi simulate, inventate, recitate una commedia”...Il paziente reagisce negando categoricamente ogni implicazione psicologica del suo dolore. I fattori responsabili dell’evoluzione verso il dolore cronico sono molteplici e parzialmente noti. Le ipotesi disponibili riguardano i livelli neurofisiologico (plasticità neuronale) e psicologico (coping, condizionamento). È generalmente accettato che la persistenza del dolore contribuisce di per se a trasformare i meccanismi iniziali del dolore. Un dolore causato, inizialmente da un insulto fisico, si pensi per esempio ad un trauma, può essere mantenuto da fattori secondari: neurofisiologici (tracce mnesiche), psicologici e comportamentali (disturbi del sonno, depressione...). La teoria dei circoli viziosi è molto utile per spiegare al malato i meccanismi di amplificazione e di persistenza di un dolore. Classicamente e per convenzione si definisce il dolore acuto quello che dura al massimo 36 mesi. In base a questi parametri temporali un dolore persistente e ribelle ad ogni terapia deve far immaginare l’evoluzione verso una sindrome dolorosa cronica. Si deve, quindi, cercare di fare il massimo per prevenire l’evoluzione verso la cronicizzazione agendo il più precocemente possibile con le strategie abitualmente usate allo stadio cronico: approccio globale, multimodale. Confronto tra dolore acuto e cronico Finalità biologica Meccanismo generatore Reazioni somato-vegetative Componenti affettive Comportamenti Modelli terapeutici Obiettivo terapeutico Sintomi acuti Utile, protettiva Unifattoriale Reattiva Ansia Reattivo Medicina classica Curativo Sindrome cronica Inutile, distruttrice Multifattoriale Abitudine o mantenimento Depressione Apprensione Multidimensionale, somato-psico-sociale Rieducazione Tipo di patologia in causa Origine oncologica o non-oncologica La nozione di dolore cronico è importante per sottolineare le differenze con il dolore acuto. I dolori cronici, tuttavia, non costituiscono un gruppo omogeneo e bisogna considerare almeno due diverse categorie: • Dolori legati ad una patologia evolutiva maligna (cancro, aids) • Dolori cronici non maligni, talvolta impropriamente chiamati “benigni”, legati ad una patologia poco o affatto evolutiva (lesione post-traumatica, lombalgia, lesione nervose...) Il dolore legato alla progressione di una neoplasia si avvicina a quello acuto persistente. Ciò è confermato dal fatto che la morfina rappresenta la terapia cardine in entrambi i casi. I dolori cronici, oncologici e non hanno in comune il fatto di essere sintomi inutili e distruttivi per l’individuo ed è per questo che vanno curati. In entrambi i casi è indicato procedere con una valutazione globale, somatica e psicologica. Se i livelli di analisi restano simili (affettivo, cognitivo, comportamentale), al contrario le problematiche identificate non saranno le stesse. Gli obiettivi e lo spirito della terapia saranno, in ogni caso, differenti: accettazione della limitazione in un caso, superamento dell’handicap e progetti riabilitativi nell’altro. COSD – IEO 2003 22 6. VALUTAZIONE DEL DOLORE Medici ed infermieri sono chiamati quotidianamente a valutare l’intensità del dolore dei pazienti. Si può misurare quantitativamente un fenomeno assai soggettivo e multifattoriale come il dolore altrui? Riconoscere l’esistenza di un dolore è già importante ma la sua misurazione è una tappa essenziale ed indispensabile per trattare efficacemente un paziente doloroso. Il dolore è un fenomeno soggettivo, complesso, multifattoriale, multidimensionale che nessuna misura oggettiva potrà mai quantificare realmente. Ogni paziente sarà testimone di se stesso e utili si possono rilevare le valutazioni comparative. La valutazione dell’intensità del dolore non può essere concepita se non all’interno di un processo più ampio che valuti l’insieme della sintomatologia dolorosa. Queste valutazioni si basano su un approccio esaustivo di cui enunceremo le tappe fondamentali: • • • • Interrogare il malato (e la sua famiglia) Esame clinico e soprattutto neurologico Indagini funzionali Valutazione del comportamento e dell’autonomia In pratica, la valutazione di un dolore ribelle è un percorso multidisciplinare che deve rispondere almeno a tre domande essenziali per determinare la strategia terapeutica migliore. Percorso di valutazione Qual é il tipo di dolore? • Si tratta di un dolore acuto “sintomatico”, vero ed utile segno di allarme che orienta verso una diagnosi: dolore post-traumatico, post-operatorio, primo segno di una malattia? In tale caso si tratta di un dolore che scomparirà dopo il trattamento della sua causa e che risponderà alla terapia analgesica classica. • Si tratta, al contrario di un dolore cronico, esso stesso malattia, che esprime le conseguenze di una lesione periferica o centrale o di un cancro infiltrante ? Questo tipo di dolore è inutile e distruttivo per il paziente; è una malattia totale, multifattoriale ed autoaggravante in seguito alle alterazioni comportamentali e alla depressione che questo comporta. Per rispondere a queste domande di primaria importanza è indispensabile fare indagini biologiche, elettrofisiologiche e/o radiologiche. Solo successivamente si potrà fare se lo si ritiene possibile una diagnosi. Quando questa concluderà che si tratta di dolore cronico si proseguirà con una valutazione psicologica approfondita, complementare per apprezzare le componenti fisiche e psicologiche reattive associate ed intrinseche (cfr. cap IV) Qual è il meccanismo che genera il dolore? È importante differenziare durante l’esame clinico i tre meccanismi all’origine del dolore cronico ribelle poiché ciascuno risponde a differenti approcci terapeutici: • Origine nocicettiva • Origine neurogena • Origine psichica, “sine materia” nel senso che non esista alcuna lesione tissutale accertabile COSD – IEO 2003 23 Qual è l’intensità del dolore? Rispondere a questa domanda consente di stabilire la severità del dolore e di apprezzare l’efficacia delle terapie prescritte. A tal fine si utilizzano delle “scale” che permettono sia una misura globale (scala d’autovalutazione), sia una misura multidimensionale che distingua tra le varie componenti del dolore. Un metodo standardizzato deve rispondere a criteri rigorosi. Si definisce un metodo valido allorché sia in grado di misurare bene ciò che si deve misurare, lo si definisce sensibile quando mette in risalto differenze clinicamente evidenti, lo si definisce fedele quando misure successive rimangono stabili in situazioni clinicamente identiche. Le scale devono essere necessariamente semplici, non contraddittorie e facilmente riproducibili, in modo da garantire un utilizzo giornaliero e a volte plurigiornaliero per tutti e in particolar modo per gli infermieri. Devono, inoltre, essere in grado di valutare situazioni particolari (dolore del bambino, dolore post-operatorio) Tra i vantaggi che derivano dal poter misurare il dolore ed il suo alleviamento troviamo: • • Identificazione sistematica dei malati con dolore. Miglioramento del rapporto medico-paziente; si mostra al malato che si crede al suo lamento e che non si sospetti che egli lo amplifichi o lo inventi. • Semplificazione nella scelta della terapia analgesica guidata dall’intensità dolorosa (si pensi ai continui raggiustamenti di dosi di morfina nel dolore da cancro). • Omogeneizzazione dei dati che permette ad una o più equipé mediche di confrontare i propri risultati. • Possibilità di mettere per iscritto, in cartella, il grado di risposta alla terapia cosa che in precedenza era lasciata alla memoria del paziente. Le scale di autovalutazione Tali scale sono dette unidimensionali poiché valutano una sola dimensione del dolore: la sua intensità misurata dal paziente. Misurano il dolore in modo globale. Le scale unidimensionali Esistono diverse scale in grado di misurare globalmente l’intensità del dolore o il suo sollievo: la scala verbale semplice (VRS), la scala numerica (NS), la scala analogica-visiva (VAS). • La VRS è la più utilizzata e prevede 4 o 5 categorie alle quali corrispondono un punteggio che va da 0 a 4 • La scala numerica permette al malato di dare un numero al dolore da 0 a 10 (o 100). Il numero 0 vuol dire assenza di dolore, il numero 10 esprime il massimo dolore immaginabile. • La VAS si presenta graficamente sotto forma di una linea orizzontale di 100mm, orientata da sinistra a destra. Le due estremità della linea sono definite da “dolore assente” e dal “massimo dolore immaginabile”. Il paziente risponde ponendo una croce sulla linea; la distanza tra la posizione della croce e l’estremità “dolore assente” rappresenta l’intensità del dolore in quel momento e permette di approntare una adeguata terapia. La misura si effettua in millimetri. Diversi studi hanno condotto alla forma finale, descritta precedentemente, scegliendo tra varie opzioni possibili riguardanti le definizioni poste alle estremità, la lunghezza, l’orientamento (verticale od orizzontale) della linea. COSD – IEO 2003 24 Tabella 1 Scala verbale semplice (verbal rating scale, VRS) in cinque punti che valutano l’intensità del dolore. Qual è il livello attuale del vostro dolore ? 0 assenza di dolore 1 debole 2 moderato 3 intenso 4 estremamente intenso Tabella 2 Scala Numerica (SN) Potete dare un numero da 0 a 10 per descrivere il livello del vostro dolore ? 0=assenza di dolore 10= massimo dolore immaginabile Tabella 3 Scala Analogica Visiva (Visual Analogic Scale VAS) La linea sottostante rappresenta un “termometro” del dolore. L’estremità di sinistra corrisponde ad “assenza di dolore” L’estremità di destra corrisponde al “massimo dolore immaginabile” Tracciare sulla linea un segno corrispondente al livello attuale del vostro dolore _______________________________________________________ Assenza di dolore Massimo dolore immaginabile Le scale globali (VRS; SN; VAS) hanno il vantaggio di essere semplici, rapide da compilare permettendo misurazioni ripetute, confrontabili, utili per valutare la risposta al trattamento analgesico. • Per la pratica quotidiana la scala numerica (SN) ha il vantaggio di non necessitare di supporti particolari (come carta o regole ) e questo è sicuramente un vantaggio certo per la generalizzazione della valutazione sistematica del dolore. Integrata con l’interrogatorio, la scala numerica aiuta a precisare il livello di dolore nelle diverse attività della vita corrente (riposo, COSD – IEO 2003 25 • • cammino, posizione seduta …) e al di fuori dell’esame clinico (manovre di provocazione del dolore). I pazienti comprendono facilmente la scala verbale semplice. Per la scala visuale analogica, la comprensione è meno immediata e la supervisione da parte di una persona abituale può essere utile. Questa scala richiede delle capacità di astrazione che non possiedono tutti i soggetti ed in particolare le persone anziane. Consegne standardizzate ed accurate sono necessarie per ridurre il numero di pazienti che non possono rispondere e per prevenire risposte inappropriate come scarabocchi o macchie che limitano la precisione della misura. Un punto critico essenziale concerne la validità delle scale globali, unidimensionali. Misurano davvero ciò che si vuole misurare? Un’importante critica rivolta alle scale unidimensionali consiste nel fatto che esse tendono a considerare il dolore come un fenomeno semplice. Esse sono infatti l’integrazione di svariati fattori, tutto misconoscendo il suo aspetto multidimensionale. Le scale multidimensionali Questionari qualificativi Molti tipi di informazione sono portati con la descrizione spontanea dei pazienti. Certi nomi o aggettivi qualificativi possiedono un valore di orientamento diagnostico. Presso un paziente che soffre di mal di testa, l’utilizzo del termine “pulsante” evoca un’emicrania, “sordo” una cefalea da contrazione muscolare. La descrizione di un dolore sotto forma di “bruciatura “ e di “scarica elettrica” evoca un dolore neurogeno (ancora chiamato deafferentazione)… Il vocabolario utilizzato indica ugualmente un certo livello di intensità di dolore. C’è un consenso per ammettere che la dizione “scariche elettriche” implica un dolore più severo rispetto a “sordo” o “durevole”. La descrizione non si limita ai soli aspetti sensoriali, ma esprime anche la ripercussione affettiva del dolore che può essere noioso, insopportabile, angosciante, deprimente o suicidario… A partire da queste osservazioni, si può ipotizzare che il vocabolario del dolore nasconda degli indici potenziali per valutare non soltanto la globalità dell’esperienza dolorosa, ma anche le sue dimensioni “sensoriale” ed “affettiva”. Questionario sul dolore di Mc Gill Melzack ha elaborato un questionario in lingua inglese, il Mc Gill Pain Questionnaire, che è costituito da una lista di 79 qualificativi, ripartiti in 20 sottoclassi raggruppate in 4 classi: sensoriale, affettiva, valutativa e diversa (sensorio-affettiva). Ogni sottoclasse corrisponde ad un aspetto del dolore e raggruppa da 2 a 6 qualificativi. • La classe sensoriale è costituita da 10 sotto-classi descriventi per esempio gli aspetti “temporale”, “spaziale”, “termico”, “meccanico” … • La classe “affettiva” raggruppa 5 sotto-classi che descrivono gli aspetti “tensione”, “paura”, “reazioni vegetative”… • La dimensione “valutativa” si limita ad una sola sotto-classe. Il paziente sceglie i qualificativi che corrispondono al suo dolore. In ogni sotto-classe è scelto un solo qualificativo, il più appropriato. Nella presentazione originale del MPQ, i qualificativi sono COSD – IEO 2003 26 scelti dal paziente e al bisogno commentati dall’osservatore. Di tale questionario esistono due versioni italiane validate. I questionari degli aggettivi sono più complessi delle scale globali. Essi attualmente sono essenzialmente strumenti di ricerca. • Il loro vantaggio è quello di offrire la possibilità di una valutazione quantitativa e qualitativa allo stesso tempo, in particolare della componente sensoriale ed affettiva del dolore. • In questo modo si possono esplorare gli effetti di alcuni trattamenti che hanno come scopo quello di aumentare la tolleranza al dolore, di rendere i malati più indifferenti al loro dolore, senza tuttavia modificare realmente la descrizione sensoriale. • I questionari di aggettivi non si prestano a misure ripetute. Sono adattati a valutazioni nel lungo termine, poiché questo diventa necessario nel dolore cronico. • L’inconveniente delle valutazioni attraverso questionario consiste nel fatto di fondarsi sul linguaggio e, quindi, di dipendere dal grado di attitudine verbale dei soggetti. Per certi pazienti, di basso livello socio-culturale, l’utilizzo del questionario non è valido. Le scale comportamentali Secondo una concezione largamente accettata, solo il rapporto verbale costituirebbe un indice valido per apprezzare l’importanza di un dolore. In effetti le ripercussioni di un dolore sul comportamento o più in generale sulla qualità della vita sono indici supplementari per valutare la severità del dolore. • Nel dolore acuto l’apprezzamento del comportamento può rivelarsi utile quando il rapporto verbale è difficile da raccogliere. Nel caso del dolore postoperatorio o del parto, per esempio, può essere preferibile limitarsi alla sola osservazione dei comportamenti dolorosi. • Nei dolori cronici bisogna prestare particolare attenzione agli effetti del dolore sul comportamento individuale. Quando si valutano gli effetti a lungo termine di un trattamento analgesico farmacologico e non ( neurochirurgia, rieducazione, terapie comportamentali…) è particolarmente importante che il risultato finale si apprezzi non solamente in base alla riduzione del dolore percepito ma anche in base alle modificazioni osservate nel comportamento quotidiano del paziente. Per evitare che l’osservatore decida in modo arbitrario se un dolore è più o meno intenso, più o meno esagerato, più o meno invalidante, bisogna mettergli a disposizione delle scale di misurazione oggettive riproducibili e fedeli da un osservatore all’altro. Differenti manifestazioni comportamentali possono servire come indice oggettivo per stimare la severità di un dolore. La domanda o il consumo di analgesici sono spesso considerati come una misura indiretta dell’importanza del dolore Questo indice merita molte osservazioni: • La richiesta di analgesici è influenzata da molti fattori: efficacia del trattamento antalgico prescritto, ritmo di somministrazioni, personalità del paziente, il comportamento delle persone che gli sono afianco, l’organizzaione del reparto di degenza ed altri. • Conviene, in primo luogo, accertarsi che gli analgesici assunti siano efficaci • La sospensione di un trattamento antalgico non efficace non può essere considerato un indice affidabile Un altro punto concerne gli orari delle somministrazioni. COSD – IEO 2003 27 E’ attualmente preferibile prescrivere gli analgesici periferici o centrali, non al bisogno ma ad orari fissi, in maniera da prevenire la ricomparsa di un dolore, lasciando però la possibilità di somministrazioni extra • E’ importante precisare nell’ambito della richiesta di analgesici quanto deriva dal dolore spontaneo e quanto dalla modalità di prescrizione. • E’ stato osservato che per uno stesso livello di dolore espresso sulla scala VAS i pazienti più estroversi sono più inclini, rispetto a quelli introversi, a compatirsi e a richiedere più farmaci. • Si può, inoltre, affermare che la personalità di coloro che si prendono cura del malato, indifferente o comprensiva, ansiogena o rassicurante, interferisce con la richiesta di analgesici. Nei pazienti con dolore cronico l’entità delle ripercussioni sull’insieme delle attività quotidiane è un indice prezioso per stimare la gravità del dolore. Queste modificazioni possono essere apprezzate grazie ad un questionario che esplora, ad esempio, le ripercussioni sulle attività, sul sonno, o sul morale. Ogni limite apportato dal dolore nella vita quotidiana si traduce in un grado ulteriore di handicap e di peggioramento della qualità della vita. Le scale di valutazione • • • • Scala di manifestazioni comportamentali per il dolore da parto Interruzione del discorso ad opera di lamenti o pianti Riduzione delle normali attività quotidiane Richiesta di analgesici Scala delle manifestazioni comportamentali per il dolore da parto 0 – Respirazione normale, assenza di reazioni da aggrappamento, assenza di agitazioni 1 – La frequenza o l’ampiezza del respiro sono modificate durante le contrazioni. Sono considerate come manifestazioni di dolore tutte le modificazioni intenzionali (training autogeno) o unicamente reattive. 2 – Oltre alle manifestazioni sopra descritte, durante le contrazioni compaiono segni di tensione: reazioni di aggrappamento al lenzuolo, al letto o alla mano di una persona vicina. Queste reazioni cessano tra le contrazioni. 3 – Le manifestazioni di tensione descritte al livello 2 sono presenti anche nei periodi tra le contrazioni 4 - Segni di agitazione compaiono durante le contrazioni e, talvolta, tra di esse. Questi segni sono rappresentati da movimenti non controllati. Interruzione del discorso ad opera di lamenti o pianti 1 – Assenza di pianto anche nella conversazione 2 – Pianto presente soltanto alla conversazione 3 – Pianto spontaneo, poco frequente e rivolto soltanto ad alcune persone circostanti 4 - Interruzione parziale del discorso ad opera del pianto: il paziente piange ed è rivolto a tutto il mondo, ma è, tuttavia, capace di concentrarsi su altri discorsi. 5 – Interruzione completa del discorso ad opera del pianto Riduzione delle normali attività quotidiane 1 – Attività normale: il soggetto si reca al lavoro 2 – Attività esterna parziale: il soggetto abbandona certi lavori e certe distrazioni abituali 3 – Assenza totale di ogni attività esterna 4 – Attività di camera COSD – IEO 2003 28 5 – Confinamento a letto: malato in fase terminale Richiesta di analgesici 1 – Richiesta nulla 2 – Richiesta inferiore a 3 volte nelle 24 ore di analgesico per os 3 – Richiesta maggiore di 3 volte nelle 24 ore di analgesico per os 4 – Richiesta minore di 3 volte nelle 24 ore di analgesico iniettabile 5 – Richiesta maggiore di 3 volte nelle 24 ore di analgesico iniettabile Il bilancio psicologico La depressione e l’ansia sono fattori che si riscontrano spesso in associazione al dolore intrattabile. Tali fattori non sono assolutamente da sottovalutare perché aggravano e rinforzano la sintomatologia dolorosa. La depressione e l’ansia non trapelano sempre nei discorsi del malato. Per confermarne l’esistenza è utile familiarizzare con la sintomatologia ansiosa e depressiva e ricorrere a scale valide: Scala di valutazione di STAI utilizzata per l’ansia; Scala di Beck utilizzata per la depressione Scala di valutazione di STAI Istruzioni: Di seguito sono riportate una serie di espressioni che la gente utilizza abitudinariamente per descriversi. Leggete ogni espressione e cerchiate il numero appropriato che indica al meglio come vi sentite attualmente. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non soffermatevi troppo su ogni espressione ma date la risposta che meglio descrive i sentimenti provati in quest’istante. 1. Sono calmo 2. Sono sicuro 3. Sono teso 4. Sono triste 5. Sono tranquillo 6. Sono sconvolto 7. Sono preoccupato per le eventuali avversità 8. Sono riposato 9. Sono ansioso 10. Sono a mio agio 11. Sono sicuro di me 12. Sono nervoso 13. Sono nel panico 14. Sono sul punto di scoppiare 15. Sono rilassato 16. Sono felice 17. Sono preoccupato 18. Sono sovreccitato e febbrile 19. Sono gioioso 20. Sto bene COSD – IEO 2003 Per niente 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Poco 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Moderatamente 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 Molto 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 29 Scala di valutazione di Beck Tra i seguenti gruppi di affermazioni scegliete quelle che meglio descrivono il vostro stato attuale. Cerchiate il numero corrispondente A 0. Non mi sento triste 1. Mi sento depresso o triste 2. Mi sento sempre depresso 3. Mi sento sempre depresso o triste e non vedo vie d’uscita 4. Mi sento così triste e infelice che non posso sopportarlo B 0. Non mi sento particolarmente scoraggiato o pessimista sul futuro 1. Mi sento scoraggiato riguardo il futuro 2. Per il mio avvenire non ho alcun motivo di sperare 3. Non ho motivi di speranza riguardo il mio futuro e la mia situazione non può migliorare C 0. Non ho alcun sentimento d’insuccesso nella mia vita 1. Ho l’impressione di aver fallito nella mia vita più della maggior parte della gente 2. Quando guardo la mia vita passata tutto ciò che scopro è un fallimento 3. Ho un sentimento di fallimento completo in tutta la mia vita personale (nelle relazioni con i miei figli, il mio coniuge, i miei genitori) D 0. Non mi sento particolarmente insoddisfatto 1. Non riesco ad approfittare piacevolmente delle circostanze 2. Non traggo alcuna soddisfazione da ciò che succede 3. Sono scontento di tutto E 0. Non mi sento colpevole 1. MI sento incapace e indegna per la maggior parte del tempo 2. Mi sento colpevole 3. Mi giudico molto incapace e ho l’impressione di non valere niente F 0. Non sono delusa di me stessa 1. Sono delusa di me stessa 2. Sono disgustata di me stessa 3. Mi odio G 0. Non penso mai a farmi del male 1. Penso che la morte mi libererebbe 2. Ho dei piani precisi per suicidarmi 3. Se potessi mi ucciderei H 0. Non ho perduto interesse per l’altra gente 1. Momentaneamente mi interesso meno all’altra gente 2. Ho perduto tutto l’interesse che avevo per l’altra gente e provo poco per loro 3. Ho perduto ogni interesse per gli altri; mi sono totalmente indifferenti I 0. Sono capace di prendere le mie decisioni 1. Cerco di non dover prendere delle decisioni 2. Ho grandi difficoltà a prendere delle decisioni 3. Non sono più in grado di prendere la minima decisione J 0. Non ho la sensazione di essere più brutto di prima 1. Ho paura di sembrare brutto o sgradevole 2. Ho l’impressione che ci sia un cambiamento permanente nella mia apparenza fisica che mi fa apparire sgradevole 3. Ho l’impressione di essere brutto e ripugnante K 0. Lavoro anche più facilmente di prima 1. Devo fare uno sforzo supplementare per cominciare a fare qualche cosa 2. Devo fare un grande sforzo per fare qualsiasi cosa 3. Sono incapace di fare il minimo sforzo L 0. Non sono più stanco del solito 1. Sono più stanco del solito 2. Fare qualcosa mi costa fatica 3. Sono incapace di fare il minimo lavoro M 0. Il mio appetito è sempre buono 1. Il mio appetito non è buono come prima 2. Il mio appetito è molto meno buono di prima 3. Non ho affatto appetito COSD – IEO 2003 30 Valutazione del dolore nel bambino L’idea che un bambino possa star male è particolarmente dolorosa. E’ per questo motivo che gli adulti hanno come prima reazione quella di rifiutare questa idea e di ignorare il dolore del bambino. Attualmente si è d’accordo che non esiste un età minima per soffrire ! Il dolore, in effetti, può sopraggiungere ed essere percepito ad ogni età della vita non soltanto dalla nascita ma anche durante l’ultimo trimestre di gestazione. Per tanto tempo il dolore nel bambino è stato ignorato perché la sua manifestazione clinica non è sempre evidente. Per i metodi valutativi del dolore nell’infanzia vedere il capitolo 12. COSD – IEO 2003 31 7 .TRATTAMENTI FARMACOLOGICI Sono disponibili varie preparazioni farmaceutiche proposte come analgesici. Questa varietà, tuttavia, non corrisponde ad una grande diversità di concetti farmacologici cui appartengono le tre principali molecole analgesiche: morfina, paracetamolo e aspirina. Tre classi di farmaci meritano, dunque, di essere studiate: Gli oppioidi, il Paracetamolo, i Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei (FANS). Non di meno altre specialità analgesiche possono presentare interessi specifici. Altri prodotti sono prescritti nelle sindromi dolorose croniche e si tratta degli antidepressivi e degli anticonvulsivanti. I criteri di scelta di questi differenti prodotti considerano essenzialmente la natura, il meccanismo e l’intensità del dolore. Per i dolori da eccesso di nocicezione, la scala tre gradini proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (in funzione della severità del dolore) stabilita per il dolore cronico da cancro, fornisce un utile mezzo per graduare i farmaci in funzione dell’intensità del dolore (OMS, 1986). Proposti al primo stadio, gli analgesici come l’aspirina o il paracetamolo sono indicati per i dolori d’intensità moderata, la morfina, invece, è indicata per i dolori più intensi. E’ da sottolineare il fatto che una progressione nella prescrizione degli analgesici è giustificata per il dolore cronico da cancro ma non lo è in altri contesti. Un dolore intenso, per esempio, come quello postoperatorio o da colica renale deve essere immediatamente trattato con morfina se la somministrazione di altri farmaci è stata inefficace. Sebbene l’approccio sia puramente farmacologico (proprietà, meccanismo d’azione, farmacocinetica, effetti connessi) o terapeutico (indicazioni, efficacia, effetti collaterali) è giustificato studiare le tre classi di analgesici sopracitati e utilizzati nella scala dell’OMS (gli adiuvanti o coanalgesici comprendono, tra gli altri, gli antidepressivi e gli antiepilettici). Il Paracetamolo Il paracetamolo appartiene tradizionalmente alla famiglia degli analgesici periferici. Le attuali acquisizioni raccomandano di evitare la semplice dicotomia, analgesici centrali / analgesici periferici, ma di parlare, piuttosto, di analgesici oppioidi e non. Il paracetamolo si distingue dall’aspirina e dai FANS per le sue indicazioni e la sua tolleranza. Proprietà e meccanismi d’azione Cento anni dopo la messa in commercio il meccanismo d’azione analgesico del paracetamolo resta, tuttora, sconosciuto. COSD – IEO 2003 32 Esso era tradizionalmente associato all’inibizione della sintesi delle prostaglandine, presenti a livello del sito doloroso, attraverso l’inibizione di un enzima: la cicloossigenasi. Tuttavia lavori già vecchi (1972) hanno dimostrato che il paracetamolo possiede un modesto effetto inibitore delle cicloossigenasi periferiche mentre gli enzimi centrali sono più fortemente inibiti. Altri lavori evocano un meccanismo di azione centrale, tuttavia, le acquisizioni sono ancora sufficientemente dettagliate. In tutti i casi, il meccanismo d’azione del paracetamolo può essere già da ora considerato diverso da quello dell’aspirina. Oltre a quest’azione analgesica, il paracetamolo, possiede un’attività antipiretica che giustifica la sua prescrizione nelle sindromi febbrili. L’inibizione della sintesi delle prostaglandine a livello ipotalamico è l’ipotesi che è generalmente avanzata per spiegare quest’effetto. Farmacocinetica Le caratteristiche farmacocinetiche essenziali del paracetamolo sono le seguenti: • Buona disponibilità per via orale (70-90%) • Debole legame alle proteine plasmatiche (10%), e ciò esclude i rischi di interazione dovuti a questa proprietà (cfr aspirina) • Escrezione renale importante (90%) • Tempo di emivita plasmatica di circa 2-3 ore • Metabolismo epatico Esistono diverse vie di metabolizzazione del paracetamolo e una di esse conduce ad un metabolita tossico per il fegato stesso. A posologia terapeutica tale metabolita è neutralizzato dal glutatione (donatore di radicali SH) presente a livello epatico. In caso di sovradosaggio (massivo introito accidentale nel bambino, tentativo di suicidio), le capacità di neutralizzazione del glutatione sono insufficienti, il metabolita tossico può provocare la necrosi epatica con conseguenze anche fatali. In caso di sovradosaggio esiste, quindi, un rischio di tossicità epatica da paracetamolo. L’epatotossicità si verifica per dosi ingerite maggiori di 10g nell’adulto o 125mg/kg nel bambino. . La tossicità epatica può comparire per dosi notevolmente più basse, anche pochi grammi, se vi è stata una recente assunzione di alcoolici in quantità rilevante (sindrome del Lunedì). In questi casi il comportamento terapeutico efficace è quello preventivo: somministrazione orale o parenterale di acetilcisteina, precursore del glutatione, prima della 6a ora dopo l’intossicazione Effetti collaterali Il paracetamolo è globalmente caratterizzato da una buona tolleranza. I suoi effetti collaterali sono molto rari alle dosi terapeutiche. Questo giustifica il suo crescente utilizzo a livello mondiale. • Gli effetti collaterali più frequenti del paracetamolo sono le manifestazioni cutanee tipo rush con eritema, orticaria e/o prurito. La comparsa di tali effetti indesiderati esclude l’ulteriore utilizzo di questo farmaco. • Tra gli altri effetti collaterali compaiono in maniera eccezionale, alle dosi terapeutiche: broncospasmo, accidenti ematologici (anemie emolitiche, trombocitopenie) • La buona tolleranza del paracetamolo ne fa l’analgesico di scelta per i bambini e le donne in gravidanza • Ricordiamo, infine, che se la tossicità epatica si osserva solo in caso di sovradosaggio, questo rischio potenziale impone delle precauzioni nei pazienti con insufficienza epatocellulare, denutriti o ancora negli anziani dove le posologie devono essere adattate. COSD – IEO 2003 33 • I casi d’insufficienza renale giustificano ugualmente una posologia su misura. Riassunto ed aspetti pratici • • • • • • • • • • Il paracetamolo è un analgesico da utilizzare nei dolori di intensità lieve - moderata. Il meccanismo d’azione è sconosciuto. La prescrizione per os deve rispondere ad uno schema standard: una compressa (0,5 – 1 g) ogni 4-6 ore. Evitare somministrazioni al bisogno. E’ utilizzabile per via endovenosa sotto forma di propacetamolo, che è il profarmaco del paracetamolo, nel dolore postoperatorio alla posologia di 2g di propacetamolo (corrispondenti ad 1 g di paracetamolo) ogni 6 ore senza oltrepassare gli 8g nelle 24 ore. Grazie alla sua buona tolleranza è l’analgesico di scelta nel bambino e nella gestante Il suo rischio di tossicità epatica legato al sovradosaggio può essere prevenuto dalla somministrazione precoce di acetilcisteina. La sua associazione alla codeina o al destropropossifene conduce ad una sinergia di potenziamento Le combinazione con la codeina sono diverse sono solitamente 500 mg di paracetamolo con 30 mg di codeina (Co-Efferalgan) Questa associazione permette di trattare i dolori di intensità intermedia. La dose quotidiana può arrivare fino a 3 g di paracetamolo e 180 mg di codeina. Il paracetamolo è controindicato in caso di precedente ipersensibilità allo stesso e di insufficienza epatocellulare. L’Aspirina e i FANS Malgrado le differenze, in particolare a livello della tolleranza, aspirina e FANS, membri di una stessa famiglia, possiedono delle caratteristiche farmacologiche comuni che giustificano il loro raggruppamento nello stesso paragrafo. L’una e gli altri possiedono, in particolare, una potenzialità antalgica indipendente dal loro effetto antiinfiammatorio. I FANS sono stati da tempo riservati per il trattamento degli stati infiammatori; ma certe specialità sono proposte ormai come analgesici. I paragrafi seguenti saranno dedicati all’aspirina. Differenze con gli altri FANS saranno opportunamente segnalate. Proprietà e meccanismo d’azione L’aspirina possiede quattro proprietà farmacologiche che si manifestano a seconda delle dosi utilizzate: antiaggregante piastrinica – 50-325 mg/die analgesica, antipiretica – 0,5 – 3g/die antiinfiammatoria – 3-6 g/die L’effetto antiaggregante spiega la “nouvelle jeunesse” dell’aspirina e l’immissione sul mercato di nuove specialità indicate nella prevenzione secondaria di recidiva dopo un primo accidente ischemico miocardico o cerebrale legato all’aterosclerosi, e/o alla fase COSD – IEO 2003 FANS: meccanismo d’azione Acido arachidonico FANS di uso corrente: Ciclo-ossigenasi X Prostaglandine Funzione renale e piastrinica Anti-infiammatori Analgesici Tossicità gastrointestinale Tossicità renale Infiammazione e dolore Trofismo della mucosa gastroduodenale 34 acuta dell’infarto cerebrale o in caso di angina instabile. Queste quattro proprietà sono tradizionalmente connesse ad un meccanismo comune all’aspirina e agli altri FANS: l’inibizione delle ciclo-ossigenasi sia periferiche che centrali, ciò che conduce ad una diminuzione della sintesi di prostaglandine. Le proprietà fisiologiche delle prostaglandine, prodotte diffusamente in tutto l’organismo, sono ricordate nella tabella seguente. Sono ugualmente indicate le condizioni patologiche in cui sono implicate le prostaglandine. Comunque è molto agevole dedurre le proprietà terapeutiche o gli effetti collaterali comuni ai prodotti (aspirina e FANS), inibitori delle ciclo-ossigenasi, in particolare di quelle periferiche. Sarebbe, tuttavia, schematico ridurre alla sola inibizione della sintesi delle prostaglandine il meccanismo di tutti gli effetti dell’aspirina e dei FANS Principali proprietà fisiologiche ed implicazioni fisiopatologiche delle prostaglandine Effetti dell’aspirina e dei FANS Proprietà fisiologiche Implicazioni fisiopatologiche Effetti Diminuzione della secrezione acida gastrica Aumento della secrezione mucosa gastrica → Protezione mucosa gastrica Sensibilizzazione dei nocicettori agli agenti algogeni. Iperalgesia midollare → Azione pro-nocicettiva Effetto vasodilatatore Sensibilizzazione dei vasi agli agenti vasodilatanti → Azione pro-infiammatoria Ipertermia Tossicità gastrica (EC/CI) Regolazione dell’aggregazione piastrinica (prostaciclina/trombossano A2) Aumento della filtrazione glomerulare Attivazione travaglio di parto ET: effetto terapeutico EC: effetto collaterale Attività antalgica (ET) Attività antiinfiammatoria (ET) Attività antipiretica (ET) Attività antiaggregante (ET/EC/CI) Insufficienza renale (EC/PI) Rallentamento del travaglio di parto (EC/CI) CI: controindicazione PI: precauzione nell’impiego Inoltre occorre considerare la recente comparsa sul mercato di inibitori specifici di un particolare tipo dell’enzima cicloossigenasi (che è un complesso enzimatico), i cosiddetti inibitori delle COX2. L’effetto antiinfiammatorio comporta il manifestarsi di tutti gli altri effetti. Le azioni antipiretica e analgesica determinano effetti periferici e centrali. E’ bene, inoltre, precisare che l’aspirina, al contrario degli altri FANS, è un inibitore irreversibile delle ciclo-ossigenasi che le conferisce una azione antiaggregante più prolungata e più intensa rispetto agli altri FANS. COSD – IEO 2003 35 Farmacocinetica La farmacocinetica degli FANS varia da molecola a molecola. Ciononostante alcune caratteristiche comuni possono essere elencate: • Assorbimento gastrico compatibile con una somministrazione orale • Metabolismo epatico • Importante legame proteico che giustifica le importanti interazioni farmacologiche • Escrezione renale Meccanismo di azione Riguardo l’aspirina bisogna segnalare che il Nuove ipotesi metabolismo avviene attraverso una rapida idrolisi intestinale ed epatica in acido salicilico, che si lega fortemente alle Acido arachidonico proteine plasmatiche determinando una COX-1 COX-2 emivita plasmatica di circa 2 ore. (Costitutiva) (Inducibile) Esiste un rischio d’intossicazione da FANS X X aspirina somministrata a forte dosaggio, in particolare nei soggetti anziani e nei COX-2 Inibitori Prostaglandine X bambini (sovradosaggio terapeutico o Prostaglandine intossicazione accidentale) con gravi •Supporto della funzione renale e piastrinica Infiammazione e dolore conseguenze. Quando ciò si verifica è •Protezione della mucosa gastroduodenale giustificato il trasferimento immediato in un centro specializzato (lavanda gastrica, controllo dell’equilibrio acido-base, diuresi alcalina forzata, emodialisi o, se necessario, dialisi peritoneale). Effetti collaterali Non è possibile fare una sintesi esauriente di tutti gli effetti collaterali dell’aspirina e dei FANS. Alcuni di essi sono in rapporto con l’inibizione della sintesi delle prostaglandine che intervengono in numerose funzioni fisiologiche: • Alterazioni gastro-intestinali (irritazione della mucosa intestinale fino a ulcere gastro-duodenali con micro e macro emorragie) possono giustificare, se la prescrizioni di tali farmaci è cronica, l’associazione di misoprostolo (analogo delle prostaglandine), protettore della mucosa gastrica. • Sindromi emorragiche (in rapporto con il potere antiaggregante piastrinico) sono soprattutto a carico dell’aspirina. • Insufficienza renale funzionale • Complicanze ostetriche e neonatali (rallentamento del travaglio di parto, rischio emorragico nella madre e nel neonato, rischio di chiusura precoce del dotto di Botallo). Altri effetti collaterali, non collegati all’inibizione della sintesi di prostaglandine, possono ugualmente verificarsi. • Alterazioni cutanee (orticaria, prurito, eruzioni maculo-papulari) • Manifestazioni d’ipersensibilità (reazioni anafilattiche) molto comuni con l’aspirina • Alterazioni neurologiche (acufeni, cefalea, vertigini) • Alterazioni ematologiche di tipo citotossico (agranulocitosi) • Alterazioni epatiche (epatite citolitica o colestatica) • Nefrite interstiziale COSD – IEO 2003 36 L’incidenza di questi effetti varia da un prodotto all’altro. I più vecchi sono generalmente i più incriminati (salicilici, indolici, pirazolonici). Tra le altre classi, i derivati dell’acido propionico come l’ibuprofene o il ketoprofene sono considerati i meno tossici. Riassunto ed aspetti pratici • L’Aspirina e i FANS sono analgesici da utilizzare nei dolori di intensità moderata in funzione del prodotto e della via di somministrazione. • La loro scelta va adattata al singolo paziente considerando tutti i rischi ed effetti collaterali. • L’inibizione della sintesi delle prostaglandine è il meccanismo d’azione comune. Se essa non è sufficiente a spiegare tutte le proprietà, ne spiega però gli effetti collaterali comuni. • Le controindicazioni di questi farmaci sono interamente legate alle loro proprietà farmacologiche e ai loro effetti collaterali: ulcera gastro-duodenale evolutiva, malattie emorragiche, ultimo trimestre di gravidanza, precedente ipersensibilità, associazioni farmacologiche. • Le proprietà dell’aspirina e dei FANS spiegano perché è meglio non associarli oppure prendere delle precauzioni con: • Anticoagulanti, antagonisti della vitamina k (effetto sinergico sull’emostasi, spiazzamento degli antagonisti della vitamina k sul loro sito di legame alle proteine plasmatiche) • Litio (diminuzione della filtrazione glomerulare e della sua eliminazione, rischio tossico) • Ipoglicemizzanti orali (spiazzamento del loro sito di legame plasmatico con aumento dell’effetto ipoglicemizzante, rischio di ipoglicemia) • In alcune condizioni concomitanti, i COX2 inibitori possono essere di scelta: piastrinopenie, pregresse malattie ulcerose gastroduodenali, utilizzo di anticoagulanti, rischio di sanguinamenti (ad esempio lesioni neoplastiche ulcerate) • L’efficacia analgesica dei COX2 inibitori rispetto ai FANS tradizionali è poco noto, in particolare nel dolore oncologico cronico. • E’ preferibile rispettare le precauzioni d’impiego nelle persone anziane, nei pazienti con insufficienza renale, negli asmatici e nelle donne che fanno uso di dispositivi anticoncezionali intrauterini • Esiste un rischio di intossicazione da aspirina da riconoscere soprattutto nel bambino. • L’associazione di due FANS è ingiustificata. Essa può peggiorare la gravità degli effetti collaterali. Gli analgesici oppioidi La morfina costituisce il prodotto di riferimento di questa famiglia. La conoscenza della sua farmacologia è dunque essenziale per il suo buon utilizzo o per quello dei suoi analoghi. Morfina Proprietà e meccanismo d’azione La morfina è un analgesico ad effetto centrale. Le sue proprietà analgesiche sono dovute all’attivazione (agonismo) dei recettori oppioidi, in particolare i mu, presenti a livello del midollo spinale e dei differenti centri nervosi sopramidollari. Questi siti, che spiegano come la morfina COSD – IEO 2003 37 possa essere anche somministrata per via epidurale, intratecale o intracerebroventricolare, sono il bersaglio del suo effetto inibitorio sulla trasmissione dello stimolo doloroso. Tale azione farmacologica spiega l’attività analgesica della morfina anche se in alcuni casi è possibile coinvolgere meccanismi psicologici. Oltre alle proprietà analgesiche la stimolazione dei recettori mu è alla base di tutti gli altri effetti, compresi quelli indesiderati. La morfina provoca una contrazione della muscolatura liscia che spiega la stipsi. Essa agisce sul centro del vomito inducendo nausea e vomito. L’azione sui recettori mu spiega la depressione respiratoria così come la sedazione. Un’azione sugli altri recettori degli oppioidi (sigma) spiega l’effetto euforico, una perturbazione dell’attività mentale che porta all’utilizzo cronico e successivamente alla tossicodipendenza. Farmacocinetica Le caratteristiche farmacocinetiche meritano numerosi commenti. • L’emivita di eliminazione della morfina è di circa 4 ore, vale a dire che alla fine della quarta ora la concentrazione del farmaco è dimezzata. Questo tempo è pari, all’incirca alla durata d’azione della morfina ed è per questo che si consiglia la somministrazione ogni 4 ore. Tuttavia la formulazione a liberazione prolungata modifica le caratteristiche farmacocinetiche tanto da consentire l’assunzione 2 o 3 volte al giorno. • La morfina ha una bassa biodisponibilità per via orale (30%), cioè una grossa percentuale di morfina viene metabolizzata prima che possa entrare nella circolazione. • La metabolizzazione epatica della morfina produce diversi metaboliti attivi e non. I principali metaboliti sono rappresentati dalla 3-morfina glicuronide (inattivo) e dal 6-morfina glicuronide. Quest’ultimo è molto attivo, partecipa all’effetto analgesico soprattutto in caso di trattamenti cronici. Effetti collaterali Essi derivano essenzialmente dalle caratteristiche farmacologiche. Possono essere divisi in due gruppi in relazione alla loro incidenza. Effetti indesiderati più frequenti: • • • • • La stipsi è pressoché sistematica impone un trattamento profilattico con prodotti stimolanto la peristalsi intestinale. Se instaurato dall’inizio tale trattamento è efficace. Nausea e vomito compaiono nel30% circa dei pazienti. Possono essere controllati, salvo rare eccezioni, dai farmaci antiemetici. Sedazione, frequente compare soprattutto all’inizio del trattamento e si risolve spontaneamente dopo qualche giorno Allucinazioni e confusione mentale sono rare. Compaiono essenzialmente nei soggetti anziani e necessitano di una riduzione delle dosi (se possibile) Prurito (raro) COSD – IEO 2003 38 Profilo farmacologico della morfina Meccanismo d’azione Principali proprietà farmacologiche Antalgico: azione spinale e sopraspinale Contrazione della muscolatura liscia Agonista totale e preferenziale Stimolazione del centro del dei recettori mu vomito Sedazione Psicodislessia Depressione respiratori dei Principali effetti terapeutici ET: trattamento di dolori intensi (postoperatori, da cancro,...) EC: stipsi (sistematica ma controllabile) EC: naausea, vomito (circa 1/3 dei pazienti: controllabile) EC: sonnolenza (risolvibile) EC: farmacodipendenza (rarissima) centri EC: depressione respiratoria (rara e controllabile) Altri EC ET: effetto terapeutico; EC: effetto collaterale Tali effetti collaterali sono relativamente frequenti ma, in generale, controllabili. La loro persistenza con intensità elevata giustifica il ricorso sia ad un altro oppiaceo sia a somministrazioni centrali nel contesto dei dolori da cancro. Effetti collaterali rari Sono gli effetti collaterali più conosciuti; essi non costituiscono una limitazione alla prescrizione della morfina e pertanto non rappresentano un grosso problema clinico. • La farmacodipendenza, nozione che raggruppa quelle di dipendenza psichica (bisogno imperioso del prodotto), dipendenza fisica (turbe somatiche in caso di sospensione corrispondenti alla sindrome da sovradosaggio), comparsa di tolleranza (necessità di aumentare le dosi per ottenere lo stesso effetto), é un rischio potenziale connesso con la morfina e i suoi derivati come ad esempio l’eroina. Ma tale rischio é veramente minimo nel loro utilizzo a scopo analgesico. Studi realizzati in numerosi pazienti trattati con oppioidi hanno chiaramente dimostrato che il rischio di assistere al verificarsi di una tossicomania è molto basso (circa 1/10.000). E’ dunque fondamentale non confondere l’utilizzo terapeutico di tali farmaci con l’utilizzo indiscriminato che può esserne fatto in un contesto di abuso per tossicomania. Riguardo alla tolleranza, essa rappresenta un concetto molto più animale che umano. Allorquando necessita un aumento delle dosi nel contesto del dolore da cancro, ad esempio, é difficile valutare quanto derivi dal progredire della malattia e quanto dal fenomeno della tolleranza. In generale si è costretti ad aumentare le dosi degli oppioidi negli stadi terminali del cancro e nel caso si verifiche tolleranza questa non rappresenta un problema clinicamente rilevante non incidendo sulla prognosi del paziente che purtroppo risulterà infausta. • La depressione respiratoria può indubbiamente presentarsi ma bisogna sapere che il dolore costituisce, esso stesso, uno stimolo alla funzione respiratoria minimizzando tale effetto collaterale. La paura che si verifichi depressione respiratoria non deve impedire di somministrare la morfina ai bambini con dolore. In realtà, la sorveglianza costante dei pazienti COSD – IEO 2003 39 e l'esistenza di un antagonista come il naloxone, capace di annullare gli effetti della morfina, permettono di utilizzare senza rischi la morfina. Questi rari effetti collaterali vanno tenuti nella giusta considerazione e non devono costituire un freno alla prescrizione della morfina sia nell’adulto che nel bambino, laddove il contesto clinico lo giustifichi. Altri analgesici oppioidi Non è possibile elencare in questo contesto tutte le caratteristiche farmacologiche di tutti gli altri oppioidi. Si elencheranno semplicemente le conseguenze relative allo stimolo dei diversi recettori oppioidi spiegando così le loro proprietà potenziali, la loro efficacia analgesica, le loro interazioni. L’interazione di tali farmaci con i relativi recettori è di triplice natura: • Agonista puro come la morfina, aumentando le dosi si ha un effetto (per esempio analgesico) maggiore. • Agonista parziale, come la buprenorfina, per cui l’efficacia è limitata (effetto tetto), anche se si aumentano le dosi. Se lo si inietta contemporaneamente ad un agonista puro più efficace ne riduce l’attività. • Antagonista, come il naloxone, che si fissa su un recettore (mu, per esempio) senza attivarlo ma impedendo ad un agonista puro di agire. Il naloxone non può essere utilizzato come analgesico ma solo per il trattamento dei sovradosaggi degli altri oppioidi. L’effetto agonista mu esplica le stesse azioni della morfina con un intensità variabile a seconda dei prodotti. La tabella successiva propone una classificazione dei diversi farmaci. Classificazione farmacologica degli analgesici oppioidi Attività Recettori Principio attivo Morfina Metadone Agonista totale Mu+ Fentanile Alfentanil Ossicodone Petidina Codeina Tramadolo Destropropossifene Mu + parziale Buprenorfina Kappa Agonista/antagonista Mu – Pentazocina Kappa + parziale +: agonista; - :antagonista In termini di efficacia analgesica i morfinici non sono tutti uguali in termini di dosi terapeutiche utilizzabili. Il fentanile e i suoi derivati, per esempio, utilizzati nel periodo peri-operatorio (solo recentemente sono stati messi a punto dei cerotti per il trattamento del dolore cronico) sono molto efficaci ma al contempo producono più facilmente depressione respiratoria. Il metadone è COSD – IEO 2003 40 disponibile in formulazione liquida, che lo rende particolarmente indicato in alcune situazioni cliniche (come la disfagia per i solidi) Codeina e destropropossifene (non più in commercio), al contrario, sono gli analgesici oppioidi meno efficaci alle dosi terapeutiche. Il tramadolo è un oppioide particolare, che all’azione sui recettori mu, associa anche un’interazione sulle vie spinali di conduzione del dolore. La buprenorfina, agonista parziale, è meno efficace della morfina così come lo è la pentazocina: la prima sarà presto disponibile in una formulazione transdermica in cerotto, che potrà essere utilizzata in particolari condizioni. L’ossicodone è un analgesico, attualmente solo disponibile come galenico, che verrà presto immesso sul mercato: la sua efficacia analgesica è simile a qualla della morfina, con un interessante profilo di effetti collaterali. L’attività analgesica di questi farmaci è, infatti, solamente parziale su i recettori oppioidi kappa. Il profilo recettoriale di questi farmaci spiega le controindicazioni di certe associazioni. Associata alla morfina, la buprenorfina, e la pentazocina ne ridurrebbero l’effetto. Queste caratteristiche, tuttavia, da sole, non spiegano le dosi efficaci di ogni derivato. Esse dipendono da altri due parametri: l’affinità (cioè l’attitudine a legarsi al recettore) del farmaco e le sue caratteristiche farmacocinetiche (cioè le modificazioni che l’organismo produce sul farmaco che condizionano la capacità di raggiungere il sito d’azione). Per poter confrontare tra loro i diversi prodotti si parla di dosi equi-analgesiche, cioè suscettibili di produrre la stessa intensità di analgesia. A titolo d’esempio: • 100 mg di codeina corrispondono a 10 mg di morfina orale • 100 mg di petidina corrispondono a 20 mg di morfina orale • 0,4 mg di buprenorfina corrispondono a 20 mg di morfina orale • 0,3-0,5mg/kg di morfina endovena corrispondono a 1 mg/kg di morfina orale Tali dosaggi non corrispondono all’efficacia relativa. Per esempio si sa che la buprenorfina è meno efficace della morfina è deve essere utilizzata in caso di dolore moderato come quello del livello 2 e 3 della scala OMS. Riassunto e aspetti pratici • • • • • • • • • • Proprietà terapeutiche ed effetti collaterali degli analgesici oppioidi dipendono essenzialmente dalla loro azione sui recettori oppioidi (soprattutto mu). La scelta degli analgesici oppioidi dipende dall’intensità del dolore. Codeina, destropropossifene, tramadolo, sono degli oppioidi deboli, perciò meno efficaci degli oppioidi forti (morfina, metadone, pentazocina, buprenorfina, ossicodone, fentanile) prescritti nei dolori intensi. Un minor dosaggio non implica una maggiore efficacia relativa. La frequenza delle somministrazioni dipende dalla durata d’azione del prodotto. La prescrizione al bisogno è sconsigliata, se non associata ad una regolare. Gli effetti collaterali più frequenti sono prevenibili o spontaneamente autolimitanti. Non c’è la possibilità di indurre tossicomania nei pazienti trattati con analgesici oppioidi. La depressione respiratoria indotta dgli oppioidi è rara e controllabile. La somministrazione orale di morfina è la via più utilizzata per il dolore cronico da cancro. Stati clinici particolari (ostruzione esofagea, coma ...) o effetti collaterali importanti possono indurre ad abbandonare questa via di somministrazione per passare ad una somministrazione con sonda gastrica o per via parenterale. COSD – IEO 2003 41 • • • • Il ricorso all’analgesia controllata dal paziente (PCA) permette un soddisfacente controllo del dolore, attraverso somministrazioni più spesso endovenose (o sottocutanee) di morfina. In realtà questa tecnica viene usata essenzialmente nel dolore postoperatorio. Buprenorfina, pentazocina non possono essere associata ad altri oppioidi o tra di loro. Codeina e destropropossifene, poco utilizzati da soli, presentano un interesse in associazione con il paracetamolo. Si ha una sinergia di potenziamento che giustifica la prescrizione di questa associazione nei dolori d’intensità moderata. Il tramadolo è importante nel secondo scalino della scala OMS. Il passaggio da un oppioide ad un altro più efficace impone che la posologia del nuovo prodotto sia maggiore della dose equianalgesica. Un paziente che non ha tratto giovamento da 100 mg di codeina non dovrà ricevere 10 mg di morfina (dose equianalgesica) ma almeno 15 che corrispondono al 50% in più. In molti casi però, in particolare quando si deve convertire da dosi alte di farmaci, si preferisce mantenere un dosaggio inferiore rispetto a quello di partenza, lasciando delle dosi extra di analgesici durante la fase di adattamento. Antidepressivi ed anticonvulsivanti Sono prodotti per i quali l’evidenza clinica e gli studi controllati hanno dimostrato l’importanza terapeutica in certe sindrome dolorose croniche. Gli antidepressivi Sono i farmaci d’elezioni nel trattamento di dolori neurogeni ed in particolare in caso di neuropatie periferiche ad origine traumatica (lesioni nervose, arto fantasma), metabolica (neuropatia diabetica), infettiva (dolore post-herpetico), tossica (neuropatia alcolica o postchemioterapica) o invasiva (dolore da cancro). Alcuni studi controllati dimostrano la loro efficacia anche nei dolori da reumatismi. La loro utilità, infine, è stata dimostrata anche nella fibromialgia e nell’emicrania. Una recente meta-analisi (l’insieme di studi realizzati in doppio cieco confrontati con placebo o con farmaco di riferimento) ha dimostrato una reale efficacia di tali farmaci. L’amitriptilina e la clorimipramina sono quelli più utilizzati; i risultati della metanalisi tendono a privilegiare tali farmaci, ai quali si può aggiungere l’imipramina. L’efficacia della desipramina è stata ugualmente dimostrata. L’interesse potenziale dei nuovi antidepressivi resta da dimostrarsi. Il meccanismo dell’effetto analgesico degli antidepressivi è sconosciuto. Tuttavia sia le argomentazioni sperimentali che quelle cliniche concordano per un effetto analgesico proprio, indipendente dalla modificazione dell’umore. Le principali argomentazioni sono: • • • L’evidenza di miglioramento delle sindromi dolorose nei pazienti affetti da dolore cronico ma non depressi Efficacia nei pazienti con dolore e depressi; allora anche laddove l’umore non era migliorato Infine dimostrazione su modelli animali con dolore acuto, e ancor in quelli con dolore cronico, dell’efficacia degli antidepressivi. Se tali farmaci (antidepressivi imipraminici o triciclici) sono interessanti nel contesto del dolore cronico difficile da trattare, la loro efficacia non è tuttavia assoluta e i loro effetti collaterali COSD – IEO 2003 42 (secchezza della bocca, stipsi, ritenzione urinaria, ipotensione ortostatica, fini tremori delle estremità...) sono spiacevoli. Essi sono controindicati nei pazienti affetti da certe forme di glaucoma, di tumore prostatico e di certe patologie cardiache. Gli anticonvulsivanti L’interesse primario degli anticonvulsivanti risiede nell’efficacia importante della carbamazepina (Tegretol) nel trattamento della nevralgia del trigemino. Il loro apporto nella cura dei dolori da neuropatie periferiche è molto meno sostenuto. Essi potrebbero tuttavia ridurre i dolori ad andamento parossistico. Recentemente anche la gabapentina (Neurontin) è entrata nell’uso, favorita anche da un buon profilo di tollerabilità e dalla scarsità di interazioni farmacologiche: due importanti studi controllati hanno dimostrato la sua efficacia nelle nevralgie posterpetiche e nella neuropatia diabetica. Altre tecniche terapeutiche sono state studiate nell’ambito del trattamento di sindromi dolorose croniche di origine neurogena. In generale, il numero di lavori dedicati a tali farmaci è ancora limitato, e lo stesso il loro interesse terapeutico. Si tratta, ad esempio, degli antiaritmici (lidocaina), della clonidina, della capsaicina... Laddove si ha una partecipazione simpatica nel mantenimento del dolore (ad esempio algoneurodistrofia, cruralgia), il ricorso agli alfabloccanti o alla guanitidina (inibitore della liberazione di noradrenalina) può essere interessante. Riassunto ed aspetti pratici • • • • • • • • • • Gli antidepressivi sono prescritti in certe sindromi dolorose croniche, in particolare in quelle di origine neurogena. Gli antidepressivi triciclici sono i più efficaci. I nuovi antidepressivi, i serotoninergici, devono ancora dimostrare la loro eventuale efficacia. L’efficacia di tali farmaci non è assoluta. L’effetto degli antidepressivi è legato ad un’azione antalgica specifica. Gli antidepressivi triciclici presentano effetti collaterali comuni. Le posologie degli antidepressivi sono ijn generale inferiori a quelle utilizzate nel trattamento degli stati antidepressivi. Gli anticonvulsivanti possono ugualmente essere prescritti in questo contesto clinico. La carbamazepina rappresenta il trattamento farmacologico della nevralgia del trigemino. Altre tecniche terapeutiche specifiche possono essere utilizzate in certi dolori cronici. Linee Guida Perché delle Linee Guida? E’ indispensabile che l’informazione dei medici sia la più obiettiva possibile per permettere di adattare la loro pratica quotidiana alla realtà scientifica e ai dati economici, e di scegliere per i loro pazienti la strategia terapeutica più adatta. Le Linee Guida sono state concepite per questo scopo e rappresentano una attualizzazione delle acquisizioni di valutazione medica riguardanti le diverse patologie. Esse, generalmente presentate per classe terapeutica, pongono ogni farmaco in rapporto agli altri principi attivi utilizzati nelle stesse indicazioni. Esse stabiliscono una gerarchia nell’ambito dei criteri di scelta e definiscono le modalità di prescrizione. COSD – IEO 2003 43 Le Linee Guida sono elaborate da gruppi di esperti e poi dalla commissione per le Linee Guida. I progetti sono trasmessi ai laboratori farmaceutici attraverso il sindacato che funge da intermediario. La versione definitiva è elaborata in Commissione discutendo le note dell’industria. Le schede approvate in sede plenaria esitano così in un consenso rigoroso. Esse sono ridiscusse ogni anno. Quando il trattamento eziologico è impossibile, inefficace o di efficacia non immediata, deve essere perseguito un trattamento antalgico sintomatico . Linee Guida Antalgiche Quale analgesico prescrivere? La scelta dell’analgesico dipende: • Dal meccanismo algogeno implicato: dolori da eccesso di nocicezione o da deafferentazione... • Dall’intensità del dolore valutata dal malato: debole, moderato, intenso o molto intenso. • Dalle controindicazioni alla prescrizione di un certo tipo di analgesico: patologia anteriore o attuale, eventuali allergie, interferenze farmacolgiche. Dolori organici da eccesso di nocicezione I dolori di debole o di media intensità sono trattati con analgesici periferici o con certi analgesici centrali: • Gli analgesici periferici sono prescritti in caso di cefalea, dolori dentari, dismenorrea, dolori dell’apparato locomotore, traumatologia benigna, ... • I FANS, alle dosi abituali, rappresentano il trattamento sintomatico dei reumatismi di tipo infiammatorio o degenerativo, dei reumatismi articolari, delle dismenorree, ma anche dei dolori delle manifestazioni infiammatorie nell’ambito della ORL e della stomatologia • Analgesici centrali come il tramadolo, o la codeina possono essere prescritti in caso di fallimento degli analgesici periferici e quando l’intensità del dolore lo giustifica • L’associazione di due farmaci a diverso meccanismo d’azione, ad esempio, con una sostanza ad azione centrale (paracetamolo + codeina) permette di ottenere un migliore effetto antalgico • L’associazione antispasmodico-antalgica periferica è utilizzata nei dolori viscerali (coliche renali) • Esistono anche associazioni di più principi attivi i cui effetti analgesici non sono sempre sommatori o sinergici. La loro prescrizione è tanto meno giustificata poiché tali associazioni cumulano gli effetti collaterali propri di ognuno. I dolori intensi, sia acuti che cronici, superficiali o profondi, giustificano l’utilizzo di analgesici centrali; gli oppioidisono infatti molto utili per controllare i dolori intensi come quelli da frattura, da infarto del miocardio o da cancro. Dolori organici da deafferentazione Derivano da lesioni nervose periferiche o centrali ed il dolore ad esse associate può essere • Folgorante o parossistico: è allora indicata la prescrizione di un antiepilettico (carbamazepina, clonazepam..) • Continuo come uno strappo, bruciore, morso...; in questo caso è indicata la somministrazione di gabapentina, o di un antidepressivo triciclico o il trattamento con uno stimolatore elettrico periferico (TENS) COSD – IEO 2003 44 Dolori senza causa evidente Questi dolori siano essi toracici, addominali, cerebrali o vertebrali comportano una sofferenza ed un handicap a volte permanente. Questi possono inquadrarsi nell’ambito di una sindrome nevrotica (isterismo, ipocondria, depressione mascherata) ma, a volte non si possono inquadrare in una sindrome psichiatrica nota. Gli analgesici periferici e gli antiinfiammatori non steroidei sono spesso inefficaci e non dovrebbero essere utilizzati. I farmaci psicotropi e la psicoterapia possono essere utili. Nel caso di una depressione con sintomi dolorosi non ben definibili che si accompagnano a una depressione dell’umore esordita prima dei dolori o contemporaneamente a questi la prescrizione di soli antidepressivi può far regredire interamente i dolori. Dolori cronici Qualunque siano i meccanismi eziologici di tali dolori, presto si sovrappongono alla sintomatologia dolorosa iniziale fattori emozionali ansiosi o depressivi, fattori cognitivo-comportamentali inadeguati (pensieri incoerenti, sentimenti d’impotenza di fronte al dolore, disinteresse per le abituali occupazioni) con conseguente disinserimento socio-familiare. In questo stadio raramente è sufficiente il solo trattamento eziologico ed è quindi necessario pianificare una terapia multimodale che interessi le differenti sfere della sindrome dolorosa. Tali tecniche (stimolazione elettrica transcutanea o midollare, blocchi simpatici, tecniche di rilassamento, rieducazione comportamentale, pscicoterapia di sostegno..) possono essere utilizzate in alcuni centri di terapia del dolore. Ogni prescrizione di analgesico impone di verificare l’efficacia al fine di adattare la posologia il più rapidamente possibile e la tolleranza (effetti secondari). Come prescrivere gli analgesici ? Via di somministrazione • • • Per ogni analgesico: la via parenterale è quella che determina una sedazione del dolore più rapida ma meno durevole rispetto alla via enterale ed è più adatta per il trattamento dei dolori acuti. La somministrazione per os di un adeguato piano quotidiano di somministrazione delle dosi è invece più adatta per i dolori cronici. La presenza di vomito, ileo, diarrea impone la via parenterale. L’esistenza di ipovolemia (da disidratazionie, emorragia) deve far utilizzare la via endovenosa piuttosto che quella intramuscolare. Posologia Prescrivere un analgesico comporta conoscere le dosi minimi efficaci e quelle massimali tossiche. In caso di modificazione della via di somministrazione o dell’analgesico utilizzato conviene sempre tener conto delle dosi equi-analgesiche delle due vie di somministrazione o tra i due analgesici in modo da iniziare la nuova terapia con le dosi giuste. COSD – IEO 2003 45 Orario di somministrazione Esso è funzione dell’orario del dolore e della cinetica degli effetti dell’analgesico utilizzato. Quando il dolore è continuo o cronico, l’analgesico deve essere prescritto ad orari regolari in funzione della sua durata d’azione in modo da evitare al paziente l’angoscia della ricomparsa del dolore. Conclusione Anche se è stato dimostrato che esistono attualmente farmaci efficaci per le sindromi dolorose acute e croniche, c’è da sperare che compaiano sul mercato nuovi prodotti. Col progredire delle conoscenze fisio-patologiche si aprono nuove piste. Esse riguardano concetti nuovi che implicano interazioni con diversi sistemi di controllo del dolore, il cui ruolo è conosciuto sempre meglio. COSD – IEO 2003 46 8. MEZZI FISICI E PSICOLOGICI Diversi mezzi fisici e psicologici possono indurre un effetto analgesico. Alcuni di essi possono essere facilmente applicati da un infermiere. La loro attuazione non esime il medico dall’utilizzare metodiche più appropriate. Stimolazioni termiche I mezzi di controstimolazione come le stimolazioni termiche, considerate piccoli mezzi, trovano la loro collocazione nell’arsenale terapeutico del dolore cronico. Si considereranno in seguito le stimolazioni da freddo e da caldo. Il freddo • Possono essere usate diverse modalità: le manipolazioni fredde, un getto d’acqua freddo, una borsa di ghiaccio, un massaggio con il ghiaccio, un bagno ghiacciato, uno spray refrigerante. • Gli effetti fisiologici sulla circolazione locale consistono in un abbassamento della temperatura cutanea, in una vasocostrizione seguita da una vasodilatazione e di nuovo da una vasocostrizione con lesioni se non si sono rispettati i tempi di applicazione. Ne risulterà ipoalgesia al freddo. • Le indicazioni sono: dolori muscolari, dolori dentali, cefalee, pririti, lombalgia cronica... • Bisognerà prendere alcune precauzioni nei pazienti che presentano importanti turbe sensitive ed alterazioni circolatorie. Si eviterà questo tipo di trattamento a livello del collo, nel neonato (< di 3 mesi), nel cardiopatico, nel paziente affetto da lesioni cutanee (ustioni). • Il tempo di applicazione non deve superare i 10 minuti di continuo ed i 30 minuti in maniera discontinua Il caldo Come la stimolazione da freddo, quella da caldo può essere fatta con diverse modalità: superficiale (cuscino, coperta riscaldata, borsa dell’acqua calda) profonda (onde corte, microonde, ultrasuoni..) • Gli effetti fisiologici consistono in un aumento della circolazione locale, un aumento della temperatura cutanea, un aumento del tono muscolare, una dimunzione del dolore. • La temperatura più attiva è all’incirca di 40° C. • Accortezza a livello delle ossa superficiali, alle zone poco vascolarizzate, alle zone ipo o totalmente anestestiche a causa di rischio di ustione. • Le controindicazioni sono i sanguinamenti e gli edemi Qualche riflessione pratica Per la scelta di una tecnica ci si baserà sul soggetto, avvicendando le diverse terapie e privilegiando le più semplici e meno costose • L’analgesia è immediata, limitata nel tempo (da qualche minuto a qualche ora) ma il trattamento può essere ripetuto di frequente. • Al pari del trattamento farmacologico il trattamento fisico deve essere preventivo (eseguito prima della comparsa del dolore) e ripetuto più volte nella giornata. Chiaramente tali tecniche possono essere associate a tutte le altre terapie analgesiche COSD – IEO 2003 47 Kinesiterapia La kinesiterapia è essenziale in numerosi dolori cronici che interessano l’apparato locomotore; in particolare nelle lombosciatalgie croniche e nelle sindromi algo-distrofiche. Essa costituisce un utile mezzo terapeutico in caso di dolori “secondari” spesso legati a posizioni scorrette, a contratture muscolari e a limitazioni muscolari. Una kinesiterapia può produrre dolore se, troppo passiva, mantiene il malato in atteggiamenti dolorosi, crea una dipendenza o contribuisce a dare una visione sbagliata del dolore cronico. E’ auspicabile che il kinesiterapeuta sia inserito nell’équipe sanitaria, altrimenti è preferibile che il medico prenda con esso contatti scritti o verbali. In ogni caso la prescrizione deve spiegare il lavoro da fare. La componente muscolare può essere controllata dall’apprendimento di posizioni adatte, da massaggi decontratturanti, spesso associati ad altre procedure di controstimolazioni come il trattamento con il caldo (fangoterapia, infrarossi).. In generale la kinesiterapia può facilitare la progressiva ripresa delle attività fisiche del paziente. E’ utile che il kinesiterapeuta conosca le tecniche di rilassamento per insegnare al malato ad alternare fasi di attività fisica a quelle di rilassamento. Talvolta la kinesiterapia va completata da un’ergoterapia. Approccio cognitivo-comportamentale Gli abituali consigli dettati dal buon senso: “pensi meno al suo dolore” riprenda le attività”, “non è così grave” non hanno alcun effetto sul malato con dolore cronico. Le tecniche comportamentali rappresentano un ruolo importante nell’approccio psicologico al paziente afflitto dal dolore. Come prima cosa è importante dare al paziente una descrizione, la più rassicurante possibile, del suo dolore e aiutarlo ad eliminare le distorsioni cognitive che favoriscono i comportamenti che peggiorano l’adattamento. Video informativi o piccoli manuali possono essere dei validi processi informativi per i malati. L’insieme dei consigli mira a stimolare la ripresa delle attività (fisiche, professionali o di svago)che sarà graduale e progressiva in modo da interrompere il circolo vizioso attività-dolore. Le tecniche di rilassamento, in tutte le loro forme, giocano un ruolo importante. Aiutano la persona a controllare meglio il proprio dolore e ad utilizzare il rilassamento come prevenzione agli stress in grado di aumentare il dolore. In certi approcci comportamentali è possibile sia un approccio singolo sia un approccio di gruppo (“gruppi emicrania”). L’obiettivo principale prevede di aiutare la persona ad incrementare la propria tolleranza al dolore, ad accettare e condurre al meglio possibile le proprie attività. I cambiamenti di comportamento devono essere rinforzati dai consorti o dagli altri membri della famiglia. Nel caso in cui le interazioni familiari possano determinare una cronicizzazione del dolore conviene sollecitare la partecipazione di un congiunto nella terapia. A fianco di queste tecniche comportamentali destinate espressamente al dolore ed all’invalidità che genera, tutte le altre forme di psicoterapia possono essere proposte al paziente con dolore cronico. Nella pratica clinica, i malati accettano, non senza remore, di essere visitati dallo psichiatra. Spesso, dopo un periodo iniziale di terapia comportamentale che aiuta a riformulare la concezione del malato rispetto al dolore cronico si assiste ad una richiesta spontanea di psicoterapia. Rilassamento Nel linguaggio comune rilassarsi significa distendersi con un buon libro, guardare un film comico o tenere una piacevole discussione con gli amici. In realtà non è sufficiente volersi rilassare per esserlo, per giungere ad uno stato di globale rilassamento muscolare, di rilasciamento fisico e mentale detto “stato di rilassamento”. COSD – IEO 2003 48 Gli stati di rilassamento terapeutico si ottengono con l’apprendimento attivo e regolare di un metodo di rilassamento. Lo stato di rilassamento si caratterizza per uno stato fisiologico e psicologico di distensione e di benessere chiamato “risposta di rilassamento”. Tale risposta è incompatibile con la reazione di urgenza o di allerta rappresentata dal dolore, dallo stress e da tutte le emozioni negative. Non bisogna pensare che la risposta di rilassamento sia immaginaria. Le risposte somatiche (rilasciamento muscolare, diminuzione della frequenza cardiaca e respiratoria, diminuzione della pressione arteriosa, aumento della temperatura cutanea, vasodilatazione) e psicologiche (stato di calma, benessere e tranquillità) possono essere facilmente rilevate da comuni monitorizzazioni (ECG, Pressione arteriosa..). La componente cognitiva è utile perché distrae dal dolore. Il rilassamento è un mezzo per ritrovare un sonno di qualità. È uno strumento per combattere prima, durante e dopo tutte le esperienze aggressive. È alla base delle strategie del controllo del dolore. Deve essere imparato volentieri per diventare riflesso. L’apprendimento deve essere progressivo, inizialmente in condizioni passive (sdraiato), successivamente, in condizioni dinamiche (seduto, in piedi e in attività). L’apprendistato è indispensabile per saper “piombare” rapidamente in uno stato di rilassamento profondo. La tensione è sempre un segnale d’allarme per ottenere una risposta di rilassamento. Principali tecniche di rilassamento Rilassamento progressivo di Jacobson Esso utilizza il contrasto tra la contrazione e il rilasciamento di un muscolo. Una volta contratto un muscolo, il paziente apprezza il suo livello di tensione, apprezza tutte le situazioni che accompagnano questa contrazione volontaria poi lo rilascia e apprezza le sensazioni che derivano dal rilassamento cercando, nel contempo, di rilassarsi sempre più. Training autogeno di Schultz Il soggetto è mentalmente impegnato in uno stato che fissa il bersaglio da raggiungere, ad esempio: "sono calmo, ...affatto calmo, ... perfettamente calmo”. Per meglio assimilare la tecnica è indispensabile imparare sei esercizi di base che compongono questo metodo: controllo respiratorio controllo muscolare controllo cardiaco controllo vascolare controllo vascolare addominale (plesso solare) controllo vascolare encefalico (fronte) Biofeedback È il controllo volontario delle attività corporali dell’organismo (muscolari o termiche) che sono abitualmente riflesse o automatiche. Con l’aiuto di un apparecchio per biofeedback, in genere elettromiografico, il paziente visualizza la sua contrazione muscolare attraverso la visualizzazione luminosa o sonora, e applicando le tecniche di rilassamento (controllo respiratorio, rilasciamento muscolare) apprezza il grado di rilasciamento prodotto. In seguito, nella vita corrente, si può arrivare ad ottenere gli stessi effetti delle sedute. COSD – IEO 2003 49 9. IL DOLORE POSTOPERATORIO Si tratta della principale causa di apprensione per i pazienti che devono sottoporsi ad intervento chirurgico. Caratteristiche del dolore postoperatorio Numerosi fattori influenzano la comparsa, l’intensità, le caratteristiche e la durata di questo dolore: • Il tipo d’incisione • La durata dell’intervento • Lo stato psico-fisiologico del paziente • La qualità della preparazione psicologica e farmacologica preoperatoria. Questo spiega l’importanza della consulenza anestesiologica precedente all’intervento. • La qualità delle cure postoperatorie Le componenti del dolore postoperatorio sono molteplici: • • • Componente cutanea in relazione con il traumatismo dell’incisione, con liberazione di sostanze algogene. Componente somatica profonda, secondaria a lesioni nervose a livello delle aponeurosi, dei muscoli, della pleura o del peritoneo. Tali lesioni generano una sensazione spiacevole diffusa localizzata a livello della lesione o in un’area di proiezione. Componente viscerale, conseguenza di traumatismi chirurgici, caratterizzata da un dolore localizzato a livello del focolaio operatorio o a livello di una zona di proiezione parietale. Conseguenze del dolore postoperatorio: • • • • • • Modificazioni respiratorie (diminuzione della capacità vitale) per blocco volontario o involontario dei muscoli toracici, addominali o diaframmatici, contrattura riflessa di tali muscoli, inibizione del riflesso della tosse e dell’inspirazione profonda, distensione o compressione addominale. Tutti questi fattori limitano i movimenti del diaframma, cui si aggiunge la possibilità di broncospasmo secondario ad un riflesso cutaneo-viscerale. Alterazioni circolatorie e metaboliche con aumento del lavoro cardiaco, della pressione arteriosa e del consumo di ossigeno. Alterazioni gastro-intestinali tipo ileo, riflessi cutaneo-viscerali e viscero-viscerali che determinano un’iperattività del simpatico con inibizione riflessa della funzione gastrointestinale ed urinaria. Alterazione del metabolismo e della funzione muscolare. Aumento del rischio di tromboflebite postoperatoria per ritardo della mobilizzazione e della deambulazione del paziente. Ripercussioni sull’umore e sul comportamento con possibilità di stati d’ansia, di agitazione e con alterazioni del ritmo nictemerale. COSD – IEO 2003 50 L’analgesia postoperatoria Prevenzione del dolore • • • Qualità dell’intervento chirurgico: manovre scarsamente traumatizzanti, emostasi accurata con diminuzione di edema ed ematoma, scelta della via d’accesso e del tipo d’incisione. Scelta di una tecnica anestetica in grado di mantenere una buona analgesia anche nel postoperatorio. Preparazione psicologica del paziente con spiegazione precisa di ciò che accadrà nel periodo postoperatorio (drenaggi, cateteri, etc…). Controllo del dolore Modalità di prescrizione degli analgesici Somministrazione discontinua • Prescrizione sistematica di una dose fissa. - si tratta di una tecnica molto diffusa che non lascia alcun posto alle variazioni individuali ed inter-individuali. - Le vie intramuscolare ed endovenosa sono le più utilizzate. - Questa tecnica espone il paziente al rischio di una analgesia intermittente oltre al rischio di sovradosaggio (o di sottodosaggio). Prescrizione di una dose fissa da dare al bisogno. - E’ la tecnica più utilizzata nella misura in cui essa permette di tener conto delle variazioni individuali ed inter-individuali. - Necessita, tuttavia, di informare il paziente sulla possibilità di richiedere analgesici, e di informare il personale curante sul rispetto delle prescrizioni. Prescrizione discontinua adattata ai bisogni reali del paziente. - Si tratta dell’adattamento delle posologie ad ogni paziente in funzione dell’efficacia constata o della comparsa di effetti collaterali. Modalità di somministrazione • • Essenzialmente si usa la via endovenosa, talvolta la via peridurale per la somministrazione di morfinici. La principale difficoltà è quella di valutare con precisione l’esatto fabbisogno del paziente allo scopo di evitare il rischio di sovradosaggio che potrebbe provocare una depressione respiratoria. A tale scopo è fondamentale valutare frequentemente la qualità dell’analgesia Analgesia controllata dal paziente (PCA, Patient controlled analgesia): • Si tratta di una tecnica di somministrazione basata sul fatto che è il paziente stesso a controllare la quantità di analagesico da somministrare per via endovenosa (ma anche, in alcuni casi, per via peridurale) in relazione all’intensità del dolore percepita • Le dosi corrispondono perfettamente ai bisogni reali del paziente • La molecola più largamente utilizzata con questa tecnica è la morfina. Per l’infusione è necessaria una pompa programmabile con tutte le garanzie di protezione necessarie per evitare sovradosaggi. A tal fine si stabilisce un periodo di tempo detto periodo refrattario o “lock out time” durante il quale l’erogazione di farmaco è bloccata. COSD – IEO 2003 51 Mezzi terapeutici Analgesici non oppioidi Si tratta, fondamentalmente di salicilati, di paracetamolo e di farmaci antiinfiammatori non steroidei (NSAIDs ). La messa a punto di forme iniettabili di paracetamolo (propacetamolo) e di NSAIDs (ketorolac) ha contribuito notevolmente all’incremento dell’utilizzazione di questi farmaci per il trattamento del dolore postoperatorio debole o moderato o in associazione ad oppioidi per il trattamento del dolore intenso. I morfinici Essi agiscono a livello del sistema nervoso centrale (livello spinale e sovraspinale). Si dividono in: • Agonisti puri, come la morfina, caratterizzati dal fatto di non avere una dose tetto. • Agonisti parziali come la buprenorfina • Agonisti antagonisti (pentazocina) che presentano una dose tetto al di sopra della quale l’aumento dei dosaggi non determina un aumento dell’analgesia Vie di somministrazione Nel periodo postoperatorio, in caso di media chirurgia, la via di somministrazione più utilizzata è quella endovenosa che permette di applicare la PCA o la semplice infusione ad orari fissi di analgesici periferici come il paracetamolo o i FANS. Per gli interventi minori la via orale è da preferirsi per la semplicità e la sicurezza di tale via di somministrazione. La chirurgia addominale maggiore e la chirurgia toracica necessitano spesso di morfinici per via peridurale iniettati sia con la metodica controllata dal paziente che in infusione continua. COSD – IEO 2003 52 10. DOLORE IN ONCOLOGIA Il 30% dei pazienti oncologici presentano, nel corso dell’evoluzione della loro malattia, una sintomatologia dolorosa d’intensità variabile, e tale percentuale va dal 60 al 90% in fase terminale. Ma, in Itali il 30-40% dei malati oncologici con dolore non beneficiano di alcun trattamento antalgico o soltanto di un trattamento malcondotto. Tappa diagnostica • • • • La diagnosi eziologica è fondamentale e permette di risalire, grazie al dolore, all’affezione cancerosa stessa (70% dei malati), ai diversi trattamenti specifici utilizzati (20%), senza dimenticare la possibilità, non eccezionale (10%) di una eziologia non legata al cancro. La diagnostica fisiopatologica permette di differenziare i dolori da eccesso di nocicezione (i più frequenti) dei dolori neurogeni, secondari a lesioni nervose periferiche spesso indotte, da trattamenti radioterapici (lesioni del plesso brachiale in particolare), senza dimenticare i dolori di eziologia mista che si riscontrano ad esempio nella sindrome di Pancoast. Il quadro oncologico completo precisa la natura e la prognosi dell’affezione cancerosa, ed è questo che condiziona per gran parte la scelta del trattamento antalgico adatto. Una valutazione globale del paziente è indispensabile per valutarne la personalità, la situazione familiare e professionale, per stabilire le ripercussioni del dolore sul suo comportamento e per cercare di stabilire, infine, una buona relazione con il malato ma anche con la famiglia. Tappa terapeutica Scala dell’OMS: i principi Questa scala è prevista per il trattamento di dolori “da eccesso di nocicezione”. I dolori neurogeni richiedono un altro approccio terapeutico che prevede gli anticonvulsivanti, gli antidepressivi e le tecniche di neurostimolazione. I farmaci antalgici, oppioidi o meno, non devono mai essere prescritti “al bisogno” ma sempre “ad orari fissi”. La lunghezza dell’intervallo tra le somministrazioni dipende infatti dalla durata dell’efficacia del medicamento utilizzato. Bisogna utilizzare tutte le possibilità terapeutiche di un livello prima di affermarne l’inefficacia e di passare al livello superiore. E’molto spesso interessante associare al trattamento antalgico stesso un trattamento “adiuvante” (ansiolitico, antidepressivo, antinfiammatorio, antispastico) che permette di migliorare la qualità dell’analgesia dimimuendo il numero e l’intensità degli effetti collaterali. COSD – IEO 2003 53 • Il primo livello prevede l’utilzzo di antalgici “periferici” come i derivati dell’acido acetilsalicilico, il paracetamolo e gli antinfiammatori non steroidei. 1. Il paracetamolo deve essere utilizzato ogni 4-6 ore alla dose di 500-1000 mg alla volta senza superare i 3-4 g/die. 2. L’aspirina ha una durata di azione simile al paracetamolo alle stesse dosi. 3. Inoltre bisogna ricordarsi che questi medicamenti hanno un effetto tetto e che gli effetti collaterali dell’aspirina e dei FANS a forti dosi (gastrointestinali ed ematologici) limitano il loro utilizzo in forma cronica. • Il secondo livello comprende molecole che sono degli analgesici centrali detti ”oppioidi per dolori lievi-moderati” come la codeina e il destropropossifene, spesso associati al paracetamolo nelle preparazioni commerciali. • Il terzo livello è occupato dagli “oppioidi per dolori forti”, sostanzialmente la morfina. essa si presenta attualmente sotto due forme farmaceutiche: morfina cloridrato in fiale da 10 e 20 mg e morfina solfato in cp a lento rilascio da 10, 30, 60, 100 e 200 mg (Ms Contin). Galenicamente è anche preparabile in soluzione a concentrazioni di 5-10-20 mg/ml. La forma in cp esiste anche in microgranuli, somministrabili anche per sonda (Skenan). - Qualora disponibile la formulazione in soluzione, deve essere somministrata ogni 4 ore alla dose iniziale di 10 mg (cioè 60 mg/die). L’efficacia del trattamento si può valutare a distanza di 24 ore e, in caso di insufficiente analgesia, bisogna aumentare le dosi fino ad ottenere un’analgesia soddisfacente. - Nel caso delle compresse a lento rilascio, le dosi iniziali sono 30 mg ogni 12 ore e, se dopo 36-48 ore dall’inizio del trattamento l’analgesia risultasse insufficiente, bisogna aumentare la posologia del 50% mattina e sera. Principi d’uso degli oppioidi Più punti importanti devono essere sottolineati: • La morfina e le sue differenti formulazioni (liquida, compresse) è il principale oppioide da utilizzare. • Tutti gli oppioidi prevedono effetti collaterali, essenzialmente digestivi, che bisogna prevenire dall’inizio del trattamento. Il rischio di depressione respiratoria è un rischio potenziale che è eccezionale poiche si osserva solo in caso di errore del dosaggio o della posologia. • Non esiste, per la morfina, effetto tetto: al crescere dell’intensità del dolore, possono “crescere” i dosaggi. Tale aspetto è condiviso anche dal metadone e dal fentanile. • La prescrizione della morfina è dettata dall’intensità della sindrome dolorosa e non dalla durata della spettanza di vita o di sopravvivenza. Altre vie di somministrazione degli oppioidi Nel 10-15% dei casi, bisogna ammettere l’impossibilità di controllare efficacemente la sintomatologia dolorosa. Le altre vie di somministrazione della morfina possono allora essere di aiuto, restando consapevoli che esse sono più invasive e più spiacevoli per il malato. La via intramuscolare, endovenosa e sottocutanea. Per quei malati in cui non è più possibile utilizzare la via orale (per esempio: occlusione intestinale, impossibilità di deglutire …), è possibile proporre una somministrazione parenterale semplice della morfina per via endovenosa o per via sottocutanea in somministrazione continua attraverso pompe. COSD – IEO 2003 54 La via intramuscolare in iniezioni ripetute non è raccomandata di fatto per il suo carattere inutilmente invasivo. La dose di morfina è calcolata in funzione di quella precedentemente prescritta per via orale nel rapporto di 2 a 1 per la somministrazione sottocute, e di 3 a 1 per la via endovenosa Le vie spinali Allorquando la somministrazione enterale o parenterale di morfina si rivela inefficace, impossibile, generatrice di effetti collaterali importanti e difficilmente controllabili, si può proporre, come mezzo terapeutico, la somministrazione per via spinale subaracnoidea, solitamente tramite reservoir o pompa impiantati sottocutanei e collegati allo spazio subaracnoideo con un cateterino morbido in silicone. I risultati terapeutici sono buoni, tenendo conto del contesto patologico, e l’analgesia ottenuta è continua , selettiva e durevole. E’ possibile associare anche altri farmaci, come gli anestetici locali. Tali trattamenti sono pero invasivi, con problemi infettivi e di gestione anche rilevanti. La rotazione degli oppioidi Una valida alternativa alle tecniche invasive, è oggi costituita dalla rotazione degli oppioidi. Sfruttando la scarsità di tolleranza crociata tra i diversi analgesici oppioidi, è spesso possibile passare da un oppioidi ad un altro, migliorando il dolore e/o riducendo gli effetti collaterali. Tale modalità terapeutica viene spesso attuata in regime di ricovero breve, in particolare quando il paziente richiede dosaggi elevati di farmaci. Regole di utilizzo degli oppioidi 1. • • • 2. 3. Conoscere la farmacologia della sostanza utilizzata: Durata dell’efficacia analgesica Proprietà farmacocinetiche Dosi equi-analgesiche Adattare la via di somministrazione ai bisogni del malato. Somministrare regolarmente, ad intervalli fissi, in modo tale da mantenere dei tassi plasmatici efficaci e così da prevenire l’ansia di anticipazione. 4. Determinare le dosi efficaci con valutazione regolare: sono necessarie 4-5 emivite per ottenere tassi plasmatici stabili. 5. Utilizzare associazioni terapeutiche per accrescere l’analgesia (FANS, …) 6. Evitare i sedativi non aventi efficacia analgesica (benzodiazepine e neurolettici). Si limiterà la loro prescrizione per precise indicazioni, come per l’effetto antiemetico dei neurolettici. 7. Anticipare e trattare gli effetti collaterali (costipazione, nausea, vomito, sedazione). 8. Educare il malato e la sua famiglia sui miti relativi alla morfina. 9. Prevenire la sindrome da astinenza diminuendo progressivamente i trattamenti con oppioidi. 10. Prevedere un dosaggio “di soccorso” per gli accessi imprevisti (ciò che dona al paziente una sensazione ulteriore di controllo effettivo del dolore). La via peridurale non è adatta ai trattamenti di lunga durata poiché l’estremità del catetere si circonda rapidamente di fibrosi, la quale rende le iniezioni molto dolorose ma spesso anche impossibili a distanza di 3 settimane dall’inizio del trattamento. Inoltre la bassa liposolubilità della morfina rallenta il suo passaggio attraverso la dura madre e le dosi necessarie per ottenere un’analgesia soddisfacente sono dell’ordine di 10 volte superiori a quelle richieste per la via COSD – IEO 2003 55 intratecale. Infine, l’assorbimento sistemico a partire dallo spazio epidurale, molto ricco di vasi, la rende sovrapponibile ad altre vie di somministrazione più semplici, come l’infusione sottocutanea. Aspetti psicologici La consapevolezza del contesto psicologico è parte integrante dell’approccio globale indispensabile del malato oncologico con dolore . Essa è notamente differente da quella dei malati con dolori cronici non-oncologici, soprattutto per Aspetti fisici l’adattamento psicologico del malato alle D differenti tappe del suo handicap e della sua e malattia. La Saunders parla di “dolore totale” per p R sottolineare l’importanza di un approccio allo r a e stesso tempo fisico, psicologico, sociale, familiare Dolore Totale b s e spirituale del malato oncologico. s b Il pianto doloroso può anche essere i i un’espressione di paura, di ansia o di depressione. o a n Sarà un errore nella strategia terapeutica passare e Ansia in rassegna tutti i livelli della scala degli analgesici quando il lamento doloroso esprime essenzialmente tensione psicologica Conviene cercare di comprendere i bisogni del paziente, il suo bisogno di comunicare, di rispondere alla domanda testimoniando un’attitudine di comprensione, di empatia. Questo approccio richiede che il personale curante impegni “una parte” del loro tempo a tale scopo . Numerosi fattori concorrono a donare un sentimento di depressione al malato oncologico: perdita di speranza, perdita della sua posizione sociale, della sua identità, del suo prestigio, della sua dignità. Il suo ruolo nell’ambito della famiglia gli è stato spesso ritirato (per non farlo affaticare!). E’ solo, isolato (la camera del malato terminale è volentieri evitata). Intorno a lui regna un clima di falsità, la “cospirazione del silenzio”. Vengono ad aggiungersi la decadenza fisica, l’impossibilità di agire, l’astenia e l’insonnia. Il cancro si accompagna a numerose paure: paura dell’ospedale, paura dei trattamenti, paura della morte (in quali condizioni essa sopraggiungerà?), paura del dolore e delle altre fonti di sconforto, paura dell’avvenire della famiglia. La diagnosi sembra sempre essere arrivata in ritardo. Numerose complicanze amministrative sopraggiungono. Le visite degli amici scompaiono. L’invalidità, la perdita di autonomia impongono il ricorso a vari aiuti. Una questione cruciale riguarda l’informazione da dare al malato che andrà a vivere questa evoluzione fatale. Il problema non si pone in termini di una verità che dovrebbe - secondo la regola del tutto o nulla – essere o accettata o rifiutata. Ci sono infatti varie maniere di informare. Ascoltare, lasciare esprimere al paziente le sue domande, fare i commenti su cosa sarebbe meglio fare, lasciarlo andare o non andare nel colloquio è il comportamento appropriato. In fase terminale, i malati sanno in sé stessi che la situazione è grave. Bisogna fare in modo che il comportamento del personale curante non contrasti con il vissuto quotidiano della malattia. La famiglia ha in generale una buona conoscenza della malattia. Essa avrà reagito con il suo proprio modo: atteggiamento realista, rifiuto, collera, depressione o colpevolezza come può fare il malato stesso. Bisogna spesso aiutare la famiglia ad avere una comunicazione più onesta con il paziente. La domanda di complicità per proteggere il malato dalla verità deve essere discussa. Bisogna aiutare la COSD – IEO 2003 56 famiglia a comprendere le regole di comunicazione con il malato e far accettare l’idea che il malato ha il diritto di ricevere un’informazione. La famiglia deve ugualmente sapere che il medico non dirà nulla gratuitamente e che il fine ricercato è quello di aiutare il malato e la famiglia a meglio gestire la situazione. Conclusione L’utilizzo della strategia terapeutica della OMS, nella misura in cui è stata prescritta con ragione e seguita con rigore, permette di alleviare efficacemente il dolore nell’85-90% dei malati, con la consapevolezza che è spesso efficace associare dei “piccoli rimedi”. Tuttavia, un’attitudine terapeutica essenzialmente “tecnica” deve sempre essere integrata nell’ambito di un approccio più globale di dolore “totale”, prendendo in considerazione le differenti componenti cognitive, emozionali e comportamentali della “sindrome dolorosa”. Oramai è possibile agire selettivamente sul dolore rispettando lo stato di coscienza dei pazienti, specie nella fase terminale. E’ infatti indispensabile permettere ad ogni paziente oncologico di restare, fino alla fine della propria vita, per sé stesso e per quelli che gli stanno accanto, un essere avente una dignità che bisogna saper rispettare. In caso di fallimento del trattamento farmacologico (raro) o di evidenza di effetti collaterali importanti, non bisogna dimenticare l’interesse dei farmaci somministrati per via locale, come la via spinale e le le possibilità, ancora non ben conosciute, offerte dalla rotazione tra aaanalgesici oppioidi. . In rarissimi casi, la topografia dei dolori mal controllati da trattamenti farmacologici può giustificare il ricorso ad un gesto neuro-chirurgico, a scopo antalgico, come la cordotomia spinotalamica o la gangliolisi del plesso celiaco. Veicolando una carica emozionale importante sia per il malato e la sua famiglia che per il medico ed il personale curante, il dolore in corso di cancro non può essere affrontato senza far riferimento ad un percorso standard. I farmaci oppioidi giocano un ruolo fondamentale per la cura del malato ma non va dimenticato il potere analgesico che deriva dall’instaurare con il malato un rapporto umano. In definitiva, il trattamento del dolore cronico da cancro può esser fatto con numerose modalità che vanno tutte considerate in modo da non rimanere prigionieri di una sola metodica terapeutica. Si deve ricordare che si può sempre proporre una soluzione terapeutica ragionevole ed accettabile per il malato e che, come dice Jean Bernard: “se non è più possibile dare giorni alla vita è ancora possibile dare vita ai giorni”. COSD – IEO 2003 57 11. IL DOLORE NEUROPATICO Si sono già descritte le caratteristiche semeiologiche del dolore neurogeno che consentono di differenziarlo dal dolore nocicettivo. Come in ogni caso porre una diagnosi esatta è fondamentale. Si dovrà valutare a tal fine: • La natura del dolore e se esiste una compressione dovuta ad un intervento chirurgico (compressione radicolare o tronculare) • Le caratteristiche semeiologche (componenti continue, folgoranti e simpatiche del dolore) Come per tutti i dolori cronici, la terapia sintomatica si deve concepire come un programma preciso che preveda da un lato l’impiego di terapie derivanti dall’analisi della sintomatologia e dall’altro un impiego logico e progressivo di tali terapie. Terapia farmacologica I dolori neurogeni si giovano fondamentalmente gli antidepressivi imipraminici e, particolarmente, gli anticonvulsivanti. Antidepressivi Vengono utilizzati per le loro caratteristiche azioni analgesiche. Le molecole che hanno dato prova della loro efficacia e della loro sicurezza sono gli antidepressivi imipraminici (clomipramina, amitriptilina, imipramina, doxepina). La partecipazione della serotonina e della noradrenalina nei meccanismi analgesici inibitori spiegano la loro efficacia analgesica. Il trattamento prevede l’impiego di dosi progressivamente crescenti. La dose media efficace si aggira attorno ai 75mg/die con un range che va da 30 a 200 mg/die. In pratica, in 10-15 giorni, si cerca di stabilire la dose massima tollerabile più che la dose minima efficace. Si deve ricordare che l’effetto analgesico si manifesta solo dopo una o più settimane di trattamento. È ragionevole attendere fino a 4 settimane prima di dichiarare sconfitta. • • • Le cause di insuccesso sono la sospensione precoce del trattamento, il dosaggio insufficiente, il non trattare gli effetti indesiderati, la scarsa compliance farmacologica del paziente che non comprende perché sia necessario assumere un antidepressivo per il dolore (di conseguenza questo concetto andrebbe ben chiarito). Le controindicazioni all’utilizzo degli imipraminici sono il glaucoma ad angolo chiuso, adenoma prostatico e la presenza rilevata elettrocardiograficamente di extrasistoli ventricolari. È molto importante prevenire o trattare gli effetti indesiderati: bocca secca, palpitazioni, diminuzione dell’accomodazione visiva, costipazione, sedazione, prendere peso. Gli effetti collaterali più seri sono l’ipertensione ortostatica, il glaucoma ad angolo chiuso, la ritenzione urinaria e l’ileo paralitico. Per trattare l’ipotensione ortostatica si consigliano l’eptaminolo o la diidroergotamina, per le manifestazioni urinarie i miorilassanti come le benzodiazepine, per la nausea, il vomito ed i dolori epigastrici assunzioni di farmaci in mezzo o a fine pasto; per la bocca secca si usi la pilocarpina, per prevenire l’astenia è bene ripartire adeguatamente le dosi giornaliere. COSD – IEO 2003 58 Anticonvulsivanti Gli anticonvulsivanti sono indicati per trattare la componente trafittiva del dolore neurogeno e la nevralgia del trigemino. I prodotti più utilizzati sono la carbamazepina, il clonazepam, il valproato di sodio, la gabapentina. Anche in questi casi è necessario aumentare progressivamente le dosi per stabilire individualmente una dose efficace ben tollerabile (possono presentarsi disturbi dell’attenzione e dell’equilibrio). Ad esempio, uno schema tipico per la gabapentina prevede la somministrazione di 100 mg tre volte al giorno, per 5 giorni, poi 200 mg tre volte al giorno per altri 5 giorni, e poi 300 mg tre volte al giorno per 5 giorni ancora, con rivalutazione clinica. Metodi di neurostimolazione Neurostimolazione transcutanea (NSTC) La NSTC ha come obiettivo quello di rinforzare o di sostituire un meccanismo inibitorio deficiente. Tale trattamento è consigliabile in caso di dolore neurogeno da deafferentazione il cui meccanismo fisiopatologico sia riconducibile ad un difetto d’inibizione. Le indicazioni più interessanti sono i dolori che si hanno in seguito a lesioni dei nervi periferici o in seguito a lombosciatalgie secondarie a fibroaracnoiditi. Si tratta di un metodo non invasivo, molto semplice e che, grazie alla miniaturizzazione degli apparecchi, permette al malato di adeguare i parametri di stimolazione. L’assenza di un rimborso sanitario ed il costo elevato degli apparecchi restringono, attualmente, l’applicazione di tale metodica. Nonostante la NSTC sia una terapia semplice, la sua efficacia clinica richiede il rispetto di un certo numero di regole che derivano dalla corretta comprensione dei fattori implicati nella sua riuscita: dolore a topografia localizzata, mascheramento della zona dolorosa ad opera di parestesie prodotte dalla NSTC, buona adesione del malato in caso di autosomministrazione. Protocolli operativi Le indicazioni derivano dalla presa in considerazione di più fattori: • • • • Eziologia del dolore: dolore acuto o cronico, La topografia del dolore. Dolore esteso o limitato Alterazione della sensibilità cutanea Fattori che migliorano o peggiorano il dolore Si deve prestare attenzione alle controindicazioni relative che in realtà sono delle precauzioni d’impiego nel paziente portatore di pace-maker o in donne in gravidanza. Gli obiettivi della terapia debbono essere spiegati se si vuol avere una buona collaborazione con il malato ed aumentare l’efficacia del trattamento. L’effetto che ci si attende dalla NSTC è il mascheramento del dolore dovuto alla sensazione prodotta durante il passaggio di corrente. In alcuni casi l’effetto di mascheramento si prolunga anche dopo la fine del trattamento. Per stabilire il ritmo e la durata delle sedute si dovrà, quindi, osservare la durata del post-effetto. Grazie alla miniaturizzazione delle apparecchiature il trattamento non influisce sulle normali attività giornaliere del malato. Ciò non toglie che vi sia una perfetta collaborazione con il paziente perché egli possa utilizzare l’apparecchio visto e considerato che l’uso quotidiano di un neurostimolatore produce comunque un certo imbarazzo. COSD – IEO 2003 59 E’ comunque indispensabile fare 1 o 2 sedute-tests allo scopo di definire l’efficacia e l’utilizzo del metodo e di iniziare una prenotazione. Condotta della terapia I dolori neurogeni, malgrado i trattamenti disponibili siano stati eseguiti correttamente, restano spesso inadeguatamente trattati. Essi costituiscono un esempio di dolori persistenti dove è essenziale, per trattare i pazienti, integrare numerose modalità terapeutiche. È indispensabile una rieducazione fisica progressiva ed indolore. I comportamenti di evitamento legati all’iperestesia cutanea possono condurre anche all’esclusione funzionale completa di un arto. La rieducazione deve associare fasi di attività progressiva intervallate da pause che permettano una terapia antalgica o il rilassamento. La valutazione psicologica sistematica e il trattamento psicologico sono simili a quelli di ogni dolore non oncologico. Le cause di dolore neuropatico più frequenti sono i dolori da lesione periferica, dolori postzoster, dolore da arto fantasma e da moncone. Il dolore postzoster interessa il soggetto anziano ponendo problemi di tolleranza dei trattamenti abitualmente proposti. La resistenza di questo tipo di dolore spiega la necessità, in questo caso, di un trattamento preventivo e precoce. Nello stadio acuto gli antivirali potrebbero prevenire la comparsa del dolore ma questa ipotesi non è attualmente verificata. Il dolore da arto fantasma e da moncone, come altri dolori neuropatici, pongono il problema della diagnosi differenziale tra dolore neuropatico e neuroma (punto trigger ben localizzato, con miglioramento dopo infiltrazione). L’evidenza di un neuroma consiglia la resezione chirurgica e, se possibile, un affondamento dell’estremità del nervo mettendolo al riparo da stimolazioni meccaniche. Il dolore da moncone prevede diversi trattamenti. Va segnalata l’importanza degli apparecchi protesici che contribuiscono all’autonomia del paziente. Strategia di valutazione e di trattamento dei dolori neuropatici Eziologia Dolore organico o funzionale ? Eziologia specifica Neuroma infossamento chirurgico Meccanismo del dolore ? Componente continua antidepressivi imipraminici amitriptilina, doxapina clomipramina, neurostimolazione transcutanea Anticonvulsivanti Componente acuta Carbamazepina, clonazepam, valproato di sodio, gabapentina Fattori psicologici e comportamentali COSD – IEO 2003 60 Interpretazioni del dolore e del ruolo del malato Rivalutazione, educazione Ansia, depressione Antidepressivi, ansiolitici, psicoterapia Capacità di controllo, reazione allo stress Rilassamento, controllo dello stress Perdita della attività fisiche, hobby, lavoro Ripresa progressiva, rieducazione, reinserimento sociale COSD – IEO 2003 61 12. IL DOLORE NEL BAMBINO Valutare e trattare il dolore nel bambino implica di rispondere almeno a 4 domande essenziali: • Questo bambino ha dolore? • Qual è l’intensità del dolore? • Qual è il meccanismo alla base? • Di quali mezzi disponiamo per contrastarlo? Per lungo tempo misconosciuto, il dolore nel bambino pone il problema del suo riconoscimento, cioè della sua valutazione ed anche del suo trattamento. Esiste un numero molto limitato di analgesici da poter utilizzare nel bambino, ma va ricordato che la messa a punto di analgesici in pediatria si scontra con difficoltà etiche evidenti che hanno limitato il numero di molecole analgesiche formulate per uso pediatrico. I metodi di autovalutazione Questo approccio riguarda i bambini capaci di esprimere ciò che sentono. La maggior parte di tali metodi può essere utilizzata dopo i 7 anni di età. Lo sforzo degli sviluppi recenti è di cercare di far comprendere alcuni di questi metodi ai bambini più piccoli, ma al momento i risultati non sono soddisfacenti. Una semplice domanda: “hai dolore?” Essa non ottiene sempre una risposta affidabile. Esistono infatti numerosi falsi-negativi. Un dialogo rispettoso e prudente può permettere di aggirare quest’ostacolo, affermando all’improvviso il sintomo: “i tuoi infermieri o i tuoi genitori pensano che tu abbia dolore ed io avrei piacere di parlarne insieme”. Talvolta, continuare a porre domande senza tener conto del rifiuto iniziale permette di ottenere delle risposte. Scala Visiva Analogica (VAS) E’ il metodo di autovalutazione attualmente più utilizzato. L’intensità del dolore è rappresentata da una linea diritta, di solito di 100 mm, alle cui estremità sono scritte 2 frasi: a sinistra “nessun dolore”, a destra “tanto tanto dolore”. Il bambino indica con un cursore il punto, tra i due estremi, in cui si situa il suo dolore. Esistono varie versioni a seconda delle parole scelte per le estremità e dell’eventuale associazione di colori. La comprensione e la partecipazione del bambino sembrano ottenersi a partire dai 5 anni. Tuttavia, non è raro che, fino a questa età, si verifichi una polarizzazione delle risposte sullo score 0 o sullo score 100, rendendo lo stesso non interpretabile. Numerosi studi hanno dimostrato che le risposte dei bambini alla VAS appaiono coerenti. Così la media degli score ottenuti dalla valutazione del dolore di una puntura venosa è significativamente più bassa di quella ottenuta da una puntura del midollo. Inoltre, quando viene usata una procedura antalgica per realizzare tali punture, le medie degli scores sono più basse. Sembra dunque che tale mezzo possa essere validamente utilizzato nei bambini. Per i più piccoli sono stati messi a punto metodi visuali analoghi , sotto forma di giocattoli, di assi della scala, di gettoni o di cubi. Tali metodi sono tuttora oggetto di studio. COSD – IEO 2003 62 Raffigurazioni di facce Per i bambini dai 2 ai 4 anni, gli anglosassoni hanno proposto di utilizzare una serie di facce che rappresentano diversi gradi di gioia o di tristezza. Sono state proposte varie versioni, alcune delle quali molto schematiche, altre più complesse. Si chiede al bambino di scegliere la faccia che rappresenta meglio come si sente dentro e non come si mostra agli altri. Tuttavia una tale valutazione permette di raccogliere una componente più emozionale rispetto alla VAS, e la sua validità è attualmente discussa. Utilizzo del disegno Si può inoltre proporre al bambino di raffigurare, su un uomo schematicamente disegnato, le sue zone di dolore. Si chiede al bambino di stabilire una scala scegliendo colori diversi per rappresentare il dolore leggero, il dolore medio, quello forte e quello estremamente forte. Poi, con l’aiuto di questi quattro colori, gli viene chiesto di disegnare com’è il suo dolore.si è spesso sorpresi della qualità delle informazioni date dal bambino. Non solo la diagnosi del dolore ma anche quella della sua eziologia possono trarre beneficio da tale metodo, in particolare quando i dolori interessano differenti punti del corpo (metastasi, drepanocitosi, reumatismo infiammatorio, etc…). Grazie allo score del VAS ottenuto da ogni localizzazione, si può stabilire una certa gerarchia nell’ambito dei vari dolori. Tale strumento ha inoltre un interesse sia clinico che di standardizzazione. Metodi di eterovalutazione Essi sono utili nel piccolo bambino o nel bambino che presenta un handicap di linguaggio. Il dolore provoca 3 categorie di comportamento nel bambino piccolo. I segni emozionali, come le crisi, l’agitazione, le contrazioni, l’ipertonia. Tali manifestazioni brutali, neurovegetative e comportamentali, non sono specifiche del dolore. Esse compaiono anche in corso di ansia e di collera e non sono proporzionali all’intensità del dolore, bensì al desiderio o al bisogno di protesta da parte del bambino. La loro utilizzazione nella valutazione del dolore è dunque difficile. Essi conservano un certo valore in caso di dolore acuto, specie nel bambino piccolo. Tuttavia, queste reazioni emozionali sono di grande aiuto per la valutazione nel caso in cui le condizioni dell’esame permettano di interpretarle. Così, in condizioni di “omeostasi emozionale”, se l’ambiente del bambino è perfettamente stabile, le lacrime e l’accenno di un movimento di abbandono provocati dalla palpazione di una zona ben precisa, permettono di dedurre che tali gesti generano un dolore. I segni diretti del dolore vengono riscontrati all’osservazione e all’esame obiettivo del bambino. Essi sono: COSD – IEO 2003 63 • Le posizioni antalgiche a riposo, posizioni che il bambino mantiene energicamente e che vuole sempre ritrovare. • Le posizioni antalgiche nei movimenti, con rigidità più o meno diffusa e con esclusione di alcuni gesti. • I gesti di protezione della zona dolorante, reperibili anche nei bambini piccoli. • All’esame obiettivo si manifesta una reazione di difesa fino alla contrattura; inoltre, la mobilizzazione passiva è ostacolata. Infine, quando il dolore si protrae a lungo s’instaura atonia psicomotoria: il bambino si raggomitola e sembra non voler esprimere la propria sofferenza. Osservandone il comportamento si notano movimenti rari e lenti, in particolare a livello del tronco e delle grosse articolazioni, anche a distanza dal focolaio doloroso. Persistono solo movimenti monotoni che esprimono poca emotività. L’impressione comunicata è quella di una diminuzione della voglia di muoversi e di un calo dell’interesse per le cose e per le persone anche interessanti. Il viso è contratto, poco mobile, smorto. Quando si cerca di comunicare con questi bambini ci si scontra con un’ostilità, non c’è più interesse alla comunicazione ed eventuali risposte sono laconiche. Quando si prende in braccio il bimbo, la postura è impropria. Il corpo è rigido, difficile da sostenere, spesso buttato all’indietro. Il bimbo non si rannicchia più non vuole più bene a nessuno e ciò rende difficile consolarlo. Questo quadro è caratteristico di un dolore intenso e non di depressione con la quale è spesso confusa. Allorché, infatti, si inizia una terapia del dolore tutti questi atteggiamenti svaniscono. Una scala per la misurazione del dolore nel bimbo è stata messa a punto dal servizio di oncologia dell’istituto “Gustave Roussy da Annie Gauvain. Tale scala comprende 15 items che valutano il comportamento del bambino. A Dolore (segni diretti) B Atonia psicomotoria C Ansia Scala di misurazione del dolore nel bambino • Posizione antalgica a riposo • Protezione spontanea delle zone dolorose • Pianto • Localizzazione delle zone dolorose • Posizione antalgica durante i movimenti • Reazioni di difesa durante la palpazione delle zone dolorose Rassegnazione Ripiegamento su se stesso Facies amimica Scarso interesse per il mondo esterno Movimenti rari e lenti Nervosismo Cattivo umore, irritabilità Facilità al pianto Attualmente si utilizzano, a seconda del contesto clinico, differenti strumenti di valutazione del dolore: il punteggio di Amiel-tison per il dolore postoperatorio da 0 a 7 mesi, la scala di Cheops per il dolore in sala di risveglio, una scala per il dolore nei neonati, una per i bambini handicappati, la scala DEGR per il dolore cronico nei bambini da 2 a 7 anni. Nel bambino ospedalizzato è fondamentale il ruolo dell’infermiere nella valutazione del dolore. Le modalità terapeutiche COSD – IEO 2003 64 Le regole fondamentali L’obiettivo della terapia del dolore è quello di ottenere un controolo completo del dolore. Gli obiettivi vanno spiegati alla famiglia e anche al bambino se è in grado di comprendere. Le terapie verranno impiegate a seconda della causa del dolore e per ciascun tipo di dolore bisognerà considerare terapie per os, per via rettale, sottocutanea, endovenosa o tecniche di anestesia loco-regionale. Il dolore nocicettivo Esso è il più frequente nel bambino così come nell’adulto. Gli schemi terapeutici saranno adattati secondo i tre gradini OMS. Farmaci di primo livello Il paracetamolo Il più importante di questa classe è sicuramente il paracetamolo commercializzato con più nomi e per diverse vie di somministrazione (orale, rettale, endovenosa). È stato messo in evidenza che la concentrazione plasmatica del paracetamolo è responsabile sia dell’efficacia, sia degli effetti collaterali del farmaco. • La dose terapeutica è stata fissata intorno ai 4-18 mg/kg per l’effetto antipiretico ma non è stata fissata ancora una dose per l’effetto antidolorifico. • La posologia efficace è di circa 60 mg/kg/die ripartiti in 4 somministrazioni giornaliere (15 mg/kg ogni 6 ore oppure 10 mg/kg ogni 4 ore). Non ci sono studi che giustifichino l’utilizzo di dosi pari a 20-30 mg/kg/ die. • La gravità dell’intossicazione è direttamente proporzionale alla concentrazione plasmatica del paracetamolo si ricorda che la N acetilcisteina è l’antidoto da usare in questi casi. • Il paracetamolo viene eliminato tramite reazioni di coniugazione: sulfoconiugazioni e glicuroconiugazioni. Nei bambini la glicuroconiugazione è ancora poco funzionante e viene, in gran parte, sostituita dalla sulfoconiugazione, per questo l’emivita del paracetamolo, in queste età, non è molto diversa da quella dell’adulto. Si può concludere che il paracetamolo può e deve essere utilizzato ad ogni età. La farmacocinetica del paracetamolo è stata studiata nel bambino con più di due anni con risultati non diversi da quelli dell’adulto. Non vi sono studi nel bimbo più piccolo, mentre le informazioni sui neonati sono state ottenute dopo il passaggio transplacentare. La posologia più consigliata prevede una dose di carico di 24 mg/kg, seguita da 12.5 mg/kg ogni 6 ore. Attualmente non esistono studi che dimostrino l’utlità del paracetamolo al di fuori del trattamento della febbre e del dolore. L’aspirina L’aspirina viene ancora utilizzata come antipiretico e analgesico. • L’effetto antiinfiammatorio è ottenuto con 150-300 mg/kh, l’effetto antipiretico con 50-100 mg/kg, le concentrazioni plasmatiche necessarie per avere un effetto analgesico, invece, non sono ancora state misurate. • La gravità dell’intossicazione è direttamente proporzionale alla concentrazione plasmatica • La sindrome di Reye è ancora una complicanza temibile e la sua manifestazione è dose indipendente. La sua incidenza è bassa e la responsabilità dell’aspirina non è stata ancora ben COSD – IEO 2003 65 chiarita. Ciononostante in seguito al timore di questa sindrome l’uso dell’aspirina nel bambino si è ridotto notevolmente. I FANS I FANS più utilizzati nel bambino sono l’ibuprofene, l’acido tiaprofenico, il diclofenac, l’acido niflumico. • Nell’adulto è stata dimostrata una correlazione dose-effetto per il trattamento del mal di denti, ma non è stato fissato alcun intervallo terapeutico. • Nel bambino da 3 a 6 anni è stata dimostrata l’efficacia dell’ibuprofene a dosaggi di 10 mg/kg 3 volte al giorno per due giorni. Esso è stato usato, alle stesse dosi, nel trattamento del otodinia del bambino da 1 a 6 anni e nel dolore da estrazione dentale nel bambino da 5 a 12 anni. E’ stato realizzato uno studio farmacocinetico per la forma sciroppata da somministrare ai lattanti da 6 a 18 mesi. • Il tempo di eliminazione è dello stesso ordine di grandezza di quello dell’adulto anche se la clearance è più elevata di quella dell’adulto. Non è stata messa in evidenza alcuna correlazione dose-effetto per gli altri FANS. • Nei bambini dai 6 ai 10 anni è stata dimostrata l’efficacia dell’acido tiaprofenico somministrato in compresse alla dose di 10 mg/kg/24 ore per 5 giorni nei confronti di un placebo. • L’efficacia dell’acido niflumico in supposte di morniflumato è stata dimostrata nel bambino dai 6 ai 10 anni nel trattamento del mal di gola alla dose di 400 mg due volte al giorno per 4 giorni, e nel bebé a partire dai 6 mesi alla dose di 40 mg/kg/die, senza superare 3 supposte al giorno, nelle affezioni ORL ed odontostomatologiche. Farmaci di II livello La codeina rappresenta il prototipo di questa classe. • In Italia non è disponibile una formulazione pediatrica. Una dose di 3mg/kg/die è ritenuta efficace. • In Italia, la codeina esiste sotto forma di preparazione associata al paracetamolo. Se il rapporto codeina/paracetamolo non pone problemi di per sè, la forma galenica rende difficile, in pratica, l’utilizzo di tali formulazioni nel bambino al di sotto dei 20 kg. Tali prodotti possono essere tuttavia utilizzati nei bambini più grandi e negli adolescenti (a partire dai 10 o 15 anni, a seconda del prodotto). • La codeina a liberazione prolungata (diidrocodeina) non è stata oggetto di pubblicazioni pediatriche. Farmaci di III livello La morfina e i suoi derivati rappresentano i farmaci più efficaci per i dolori da nocicezione. Sono stati fatti enormi progressi in questi ultimi anni che hanno permesso di comprendere sempre meglio le applicazioni terapeutiche e l’adattamento delle dosi, in particolare nei bambini piccoli. • La morfina può essere somministrata per via orale, sottocutanea ed intravenosa. • Se è possibile, si deve scegliere sempre la via orale : efficace, maneggevole e sicura e, alle dosi terapeutiche abituali, non espone ad alcun rischio di depressione respiratoria. La dose di partenza è di 1 mg/kg/die suddivisa in 6 somministrazioni in caso di preparazione standard, in 2 somministrazioni in caso di formula retard. La preparazione a liberazione prolungata è indicata a partire dai 6 mesi. COSD – IEO 2003 66 • Le dosi vengono aumentate del 50% ogni giorno fino ad ottenere la qualità analgesica ricercata. Le vie sottocutane aed endovenosa hanno un profilo farmacocinetico relativamente paragonabile : dosi continue o discontinue di 0,5 mg/kg/die sono inizialmente efficaci e andranno adattate in funzione del bisogno. • Il rischio maggiore degli oppioidiper via sistemica resta la depressione respiratoria : essa si verifica eccezionalmente in pediatria a condizione di usare tali prodotti con legittima prudenza. - dolore nocicettivo - rispetto delle regole di utilizzo (sorveglianza temporale della frequenza respiratoria con l’utilizzo di un protocollo di emergenza in caso di bisogno) - prudenza nel’associazione di prodotti che possono aumentare il rischio (in particolare le benzodiazepine) • In confronto alla depressione respiratoria, gli altri effetti collaterali appaiono più degli inconvenienti da prevenire o da inquadrare : la stipsi è molto frequente, quasi obbligatoria, la nausea più rara. Può comparire ritenzione urinaria, specie in corso di somministarzione sistemica. I Dolori neurogeni In caso di dolori acuti con sensazione di scarica elettrica, il clonazepam è il principale prodotto da utilizzare in pediatria alla dose di 0,1-0,3 mg/kg per os (dose minore la sera rispetto al mattino), e di 0,05-0,1 mg/kg per via endovenosa. L’effetto analgesico è ottenuto in 1-2 giorni e si accompagna spesso, inizialmente, a sonnolenza marcata. Per il trattamento di fondo, i più utilizzati sono gli imipraminici ed in particolare la clomipramina e l’imipramina alla dose di 1-3 mg/kg/die, e l’amitriptilina alla dose di 1 mg/kg/die come dose di partenza. I benefici dell’elettrostimolazione transcutanea devono ancora essere studiati in pediatria. CONCLUSIONE Anche se l’arsenale terapeutico resta ancora insufficiente per la pediatria, è tuttavia sufficiente per trattare la maggior parte delle patologie. C’è da augurarsi che, nei prossimi anni, si mettano a punto formulazioni galeniche da utilizzare in campo pediatrico, insistendo particolarmente sulle sospensioni e sugli sciroppi, o sulle supposte (destinate ai bambini con vomito), che sono molto adatte nei bambini. COSD – IEO 2003 67 13. COMPITI DEGLI INFERMIERI E DOLORE Alla fine di questo libretto sul dolore, non è superfluo ricordare l’importanza del ruolo dell’infermiere nel trattamento del dolore. La professione di infermiere riveste, in ambito lrgislativo, due ruoli : il ruolo prescritto e quello proprio. Questi due ruoli si applicano anche in materia di dolore. Se è abbastanza facile spiegare il ruolo assegnato nell’applicazione dei trattamenti o la realizzazione delle medicazioni, sembra senza dubbio meno semplice far riconoscere all’infermiere il ruolo proprio. Ed è proprio su quest’ultimo punto che insisteremo. Nel paziente con dolore è importante rispondere ai suoi bisogni fondamentali tenendo conto del suo dolore. Così l’infermiere, a completamento del ruolo assegnato, valuterà l’intensità del dolore con l’ausilio di strumenti standardizzati come la scala visiva analogica (VAS), attuerà diversi tipi di intervento, « piccoli mezzi » come la borsa del ghiaccio o la borsa dell’acqua calda, proporrà metodi di educazione per l’acquisizione di gesti contro il dolore, lo preverrà al momento delle cure per il dolore. Egli ascolterà le parole del paziente con dolore ed osserverà i suoi comportamenti di fronte al dolore. Noterà, una volta instaurato un rapporto di fiducia, la descrizione del dolore, le sue influenze sulla vita sociale e sulla famiglia, oltre al posto che la patologia occupa nella sua vita. Riuscire ad ottenere l’adesione del malato alle cure proposte esprime la riuscita o meno delle azioni terapeutiche, ed è spesso necessaria la combinazione di più trattamenti. Infine, l’infermiere non dimenticherà di essere terapeuta grazie al rapporto con il malato, questa rapporto privilegiato, chiamato relazione di aiuto, che vogliamo maggiormente sviluppare , e che è particolarmente importante nel soggetto con dolore cronico. L’ascolto attivo nella relazione di aiuto Per praticare l’ascolto attivo nella relazione di aiuto bisogna sapere : • Tacere : per lasciare al paziente il tempo di parlare e di entrare in comunicazione con se stesso, per permettergli di esprimere ciò che sente (il malato parla nell’80% dei casi). Bisogna fargli capire che si comprende il messaggio dato. Il modo di fare deve essere disponibile, tranquillo, in accordo con ciò che si ha piacere di comunicare. • Invitare il paziente a parlare : Trasmettergli in maniera attiva la nostra disponibilità ad ascoltarlo, attraverso uno sguardo, un segno, una parola : « sono qui per parlare con lei ». • Proporre al paziente delle domande aperte : talvolta la comunicazione inizia gradualmente : « come si sente ? » ; - come funziona ? che c’è ? chi ? di cosa ? dove siete ? - scegliere parole che tocchino sia la sfera sentimentale sia quella emotiva, sia quella dei pensieri sia quella della speranza e dell’immaginazione, sia quela del corpo e del suo dolore. • Effettuare chiarificazioni e verifiche : bisogna verificare quello che dice il paziente da quello che dicono gli altri. • Utilizzare la decodificazione e la ripetizione : si tratta di ridire alla persona in difficoltà quello che noi crediamo di percepire del suo dolore. Queste tecniche permettono al malato di sentirsi ascoltato. Si crea intimità ed egli può continuare ad esprimersi liberamente riguardo a ciò che egli vuole. Egli può anche comprendere ciò che sta vivendo riuscendo a sentirsi libero. Queste permettono di verificare se un concetto è inesatto. Il COSD – IEO 2003 68 paziente ha, inoltre, la sensazione di poter controllre il colloquio. Esse permettono a colui che ascolta di verificare la qualità del suo ascolto. Ricerca delle risorse : E’ una fase della interazione tra curante e malato in cui bisogna proporre e non imporre. Si sviluppano le differenti tappe della relazione di aiuto. Di fronte alla sofferenza del malato è necessario, per noi curanti, saper scoprire i suoi comportamenti dettati dal dolore, particolarmente nel paziente con dolore cronico : si trova in fase di rifiuto, di ribellione, di patteggiamento ? è depresso, o sta evolvendo verso l’accettazione ? . In effetti, psicologia e tolleranza sono indispensabili poiché il dolore cronico può diventare un vero mezzo di comunicazione con gli altri ed il dolore ribelle e persistente può trasformarsi in una malattia vera e propria. E soprattutto non dimentichiamo che : «si sopporta solo il dolore degli altri !» COSD – IEO 2003 69