tesi di laurea
L’utilizzabilità della prova illegittimamente
acquisita nell’accertamento tributario
Relatore:
Chiar.mo Prof. ENRICO DE MITA
Laureando:
DAVIDE PRINARI
1
“Quando il modo di rendere
giuridica, una verità fu immorale
e criminoso, la verità (…) non
può essere legittimamente
acquisita”
CARRARA, “Un dubbio sulla
rivelazioni
di Segreti”, in Opuscoli di
diritto criminale, Vol. V, 1874, p.540.
“I diritti o gli interessi (…) hanno
la sicurezza di non essere mai
tralasciati soltanto laddove gli
interessati posseggono essi stessi
la forza di difenderli”.
J.S. MILL (Londra 1806/Avignone 1873).
INDICE SOMMARIO
Introduzione ……………………………………………………..….pag. 8
2
CAPITOLO PRIMO
“I poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria”
TITOLO PRIMO
Profili Generali
1.1.1. Premessa …………………………………………………….pag. 13
1.1.2. Fondamenti e limiti costituzionali dei poteri istruttori …...…pag. 16
1.1.3. Il carattere “istruttorio” dei poteri d’indagine ……………….pag. 19
1.1.4. Le situazioni soggettive inerenti alle indagini fiscali, il dibattito
circa la discrezionalità presente nell’esercizio dei poteri istruttori;
carenza delle garanzie del GIUSTO PROCEDIMENTO …....pag. 20
1.1.5. Le emergenze istruttorie nella formazione del convincimento
degli Uffici e nella motivazione dell’accertamento .………....pag. 25
TITOLO SECONDO
I singoli poteri istruttori nelle DD. E nell’I.V.A.
1.2.1. Premesse. La richiesta di dati e notizie, gli inviti a comparire al
contribuente. ………………………………………….…….pag. 32
1.2.2. Accessi, ispezioni, verifiche. ………………………………pag. 38
1.2.3. Le singole ipotesi di accesso ispettivo: i locali aziendali. …pag. 44
1.2.4. Gli studi professionali ……………………………………..pag. 49
3
1.2.5. Le indagini bancarie ……………………………………….pag. 58
1.2.6. Abitazioni ed altri luoghi ………………………………….pag. 68
1.2.7. Il regime delle autorizzazioni:
l’autorizzazione del capo dell’ufficio. ………………..….pag. 77
1.2.8. L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ………pag. 81
1.2.9. L’autorizzazione dell’ispettorato compartimentale delle II.DD. (o
del Comando di zona della G.d.F.): rinvio ……………….pag. 90
1.2.10. Le attività di verbalizzazione …………………………….pag. 91
CAPITOLO SECONDO
“I vizi nelle indagini e l’inutilizzabilità della prova: profili teorici.”
2.1. Premessa; La tesi dell’operatività dell’art.191 c.p.p. …………pag. 96
2.2. L’inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita.
Genesi storica e portata applicativa del principio: il dibattito nella
dottrina processualpenalistica e i suoi riflessi nell’accertamento
tributario. …………………………………………………..…pag. 100
2.3. Altre considerazioni sull’inutilizzabilità della prova
illegittimamente raccolta nell’accertamento tributario ………pag. 114
2.4. Gli altri orientamenti: l’invalidità derivata. Critica ………….pag. 119
2.5. Cenni al riferimento alla disciplina in tema di obbligo di motivazione
4
degli altri impositivi, al dovere del giudice di valutare l’ammissibilità
delle prove e alle c.d. “prove incostituzionali” ………………pag. 123
2.6.La tradizionale uniformità tra impostazioni dottrinali e giurisprudenziali
e il recente distacco tra dottrina e giudici ……………………..….pag. 125
CAPITOLO TERZO
“Le sanzioni processuali d’inutilizzabilità per le violazioni commesse
nella fase dell’istruttoria amministrativa di accertamento e nella fase
dell’indagine penale.”
TITOLO PRIMO
La fase istruttoria dell’accertamento tributario
3.1.1. Analisi di alcune fattispecie prospettabili: dati e notizie raccolti nel
corso di attività istruttorie irrituali o irregolari. La spontanea
collaborazione del contribuente ……………………………pag. 135
3.1.2. Violazioni nell’accesso presso locali aziendali ……………pag. 141
3.1.3. Violazioni nell’accesso presso studi professionali ………….pag. 143
3.1.4. Violazioni relative agli accessi domiciliari …………………pag. 145
3.1.5. Violazioni relative al procedimento di deroga al segreto
5
bancario ……………………………………………….…..pag. 147
3.1.6. Violazioni nella procedura prevista per il trasferimento di dati e
notizie ex. Artt. 33, D.P.R. 600/73 e 63 D.P.R. 633/72 …….pag. 150
3.1.7. Violazioni nella redazione dell’atto di accertamento, rispetto del
diritto di difesa ed utilizzo per relationem del processo verbale
della G.d.F
……………………………………………...pag. 154
TITOLO SECONDO
“I rapporti tra il processo penale e l’accertamento tributario”
3.2.1. Nascita ed evoluzione storica delle norme procedimentali per il
passaggio delle prove dal procedimento giurisdizionali penale
all’accertamento tributario ………………………………….pag. 158
3.2.2. Violazioni prospettabili nel passaggio dal procedimento
amministrativo a quello penale: l’omessa comunicazione che si è
individuata una fattispecie penalmente rilevanti ……………pag. 163
3.2.3. Il mancato rispetto del rapporto funzionale tra atto di ricerca della
prova e atto materiale di apprensione ……………………....pag. 167
6
CAPITOLO QUARTO
“La tutela “diretta” del contribuente contro l’illegittimo esercizio dei
poteri istruttori.”
4.1. Premessa. Il dibattito dottrinale circa una possibile tutela
giurisprudenziale anteriore al processo tributario ………....pag. 172
4.2. Puntualizzazioni ………………………………………….…pag. 178
4.3. La posizione della giurisprudenza …………………………..pag. 185
4.4. La tutela diretta e il regime delle autorizzazioni giudiziarie …pag. 187
4.5. Il dibattito sul diritto d’accesso agli atti autorizzatori di verifiche
fiscali: il contratto tra alcuni TAR e il Consiglio di Stato ……pag. 190
4.6.
Il contributo offerto dalla l.212/2000. Rilievi ……………..pag. 196
4.7.
Note conclusive ……………………………………………pag. 198
Conclusioni
……………………………………………………..pag. 201
Ringraziamenti ………………………………………………….pag. 210
Bibliografia ………………………………………………….…..pag. 212
7
INTRODUZIONE
Il presente lavoro si propone, con il costante riferimento al dato normativo,
di esaminare e criticare, introducendo elementi di riflessione sistematica e
traendo spunti dai dibattiti svolti in seno alla dottrina (giustributaristica,
processualpenalistica ed amministrativistica), le configurazioni teoriche e
le applicazioni pratiche relative a quegli istituiti previsti nell’ordinamento
tributario nella c.d.” fase di controllo” dell’accertamento.
Si intende, in altri termini, stabilire se e in che modo all’A.F., nelle sue
varie articolazioni, sia attribuibile una facoltà di controllo,
anche
penetrante, sulla situazione fiscale del cittadino contribuente, non
trascurando come, talvolta, essa esorbiti dai limiti di legge, ed
evidenziando, quindi, su quali strumenti di difesa il contribuente possa
contare in tali evenienze.
Lo spunto, che ha offerto stimolo ed impulso al lavoro, è costituito da
talune recenti pronunzie della Suprema Corte, la quale, con discutibili
argomentazioni, ha sostenuto, in estrema sintesi, l’ininvocabilità della
sanzione processuale di inutilizzabilità
della prova illegittimamente
raccolta nell’accertamento tributario, con ciò, per così dire, depennando
anni di vivace e proficua discussione dottrinale, oltre che di un consolidato
e costante indirizzo della giurisprudenza pratica.
8
Venendo ad una rapida presentazione del lavoro, nel I capitolo si cercherà
di delineare il quadro dei poteri istruttori dell’A.F. dall’angolo visuale, sia
dei caratteri generali che li identificano, sia delle singole facoltà e dei
momenti nei quali essi si articolano .Ad una disamina del dato normativo si
aggiungeranno punti di riflessione critica, delineando un quadro per quanto
possibile esauriente degli strumenti adottabili e dei limiti che seguono la
fase istruttoria dell’accertamento.
Nel II capitolo, si procederà nell’analisi teorica relativa ai vizi che possono
colpire le attività di indagine tributaria, evidenziando, nella sanzione
dell’inutilizzabilità della prova indebitamente acquista, la conseguenza
giuridica più idonea a salvaguardare, sia pur indirettamente, i diritti del
contribuente in tal modo violati dalla finanza. Si cercherà, in realtà, di
capire cosa significhi inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita,
principio,
questo
che,
concepito
e
sviluppatosi
in
ambienti
processualpenalistici (e sulla cui portata ed ambito applicativo non
mancano altre voci anche assai discordanti in quel settore) ha trovato
esplicita e definitiva affermazione nel nuovo codice di rito penale. Si
chiarirà, quindi, in che modo l’art. 191 c.p.p. possa atteggiarsi rispetto alla
materia oggetto della nostra analisi, dedicando qualche cenno ad altre
ricostruzioni interpretative che, a vario titolo, hanno cercato di inquadrare
gli effetti giuridici delle attività istruttorie svolte contra legem.
9
Nel III capitolo, avvertitasi l’esigenza di un più specifico scrutinio pratico,
saranno sottolineati alcuni possibili casi di violazioni, in cui l’A.F. può
incorrere nella fase di controllo, con particolare riguardo alle ipotesi di
accessi, ispezioni e verifiche degli operatori civili e militari presso studi
professionali, locali aziendali, istituti bancari, privati domicili. Inoltre, non
saranno trascurate le interferenze che possono registrarsi tra accertamento
tributario e processo penale, laddove l’ordinamento prevede precisi
passaggi procedimentali di tipo autorizzatorio onde regolare l’afflusso di
prove da un ambito all’altro.
Nella parte finale dell’opera (cap.IV) saranno, infine, prospettati, sia pure
in termini necessariamente dubitativi (stante la persistente mancanza di
sicuri agganci normativi) gli strumenti di tutela diretta del contribuente nei
confronti dell’illegittimo esercizio dei poteri istruttori da parte dell’A.F. Si
darà conto del dibattito dottrinale svolto sul punto, sviluppando
apprezzamenti e proponendo soluzioni su un argomento non di rado
oggetto di notevoli controversie, e per il quale lo sforzo è stato, anche in
prospettiva de iure condendo, di definire con maggiore certezza i diritti di
azione del contribuente-cittadino.
Il risultato a cui si perverrà sarà, in definitiva, di sottolineare la necessità di
più certi e adeguati strumenti di tutela del contribuente da eccessive e
arbitrarie invasioni del fisco nella sua vita privata, in ossequio, peraltro, ad
10
una corretta lettura del dato costituzionale. In questo senso, il considerare
l’inutilizzabilità della prove illegittimamente acquisite un principio
generale di civiltà giuridica, e non un semplice istituto di procedura
penale, si porrà come un indispensabile quanto insufficiente corollario.
Certo, non si vuole così rinnegare l’assoluta importanza delle esigenze
fiscali dello Stato.
Si tratta, pur sempre, di questioni giuridiche, nelle quali, com’è ovvio,
occorre contemperare esigenze diverse, del fisco e dei privati, ordinandole
secondo una razionale scala di priorità, in un quadro di rapporti che si
auspica possano sempre più migliorare anche alla luce del recente Statuto
dei diritti del contribuente.
11
I CAPITOLO
I poteri istruttori dell’Amministrazione
finanziaria
12
TITOLO PRIMO
PROFILI GENERALI
SOMMARIO : 1.1.1 Premessa; 1.1.2 Fondamenti e limiti costituzionali
dei poteri istruttori; 1.1.3. Il carattere “istruttorio” dei poteri d’indagine;
1.1.4. Le situazioni soggettive inerenti alle indagini
fiscali; il dibattito
circa la discrezionalità presente nell’esercizio dei poteri istruttori; carenza
delle garanzie del GIUSTO PROCEDIMENTO; 1.1.5. Le risultanze
istruttorie nella formazione del convincimento degli Uffici e nella
motivazione dell’accertamento.
1.1.1. Premessa.
Nell’espletamento delle proprie funzioni, sulle quali molto si è dibattuto,
stante la nuova prospettiva dei rapporti tra fisco e contribuenti1, l’A.F. è
chiamata ad adottare atti ed operazioni che traducono in realtà concrete le
regole generali e astratte. Tali atti, è stato notato2 “hanno efficacia nei
limiti delle fattispecie cui attengono”.
L’accertamento tributario si spiega così; esso cioè diviene effettivo prelievo
di ricchezza con il compimento delle operazioni e delle procedure fissate
1
Cfr. FANTOZZI, “I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento
tributario”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1984, I, p.238 ss.
2
Così, testualmente, GAFFURI, “Lezioni di diritto tributario”, parte generale, Padova, 1994, p.61
13
dalla legge, “le quali generano altrettanti rapporti giuridici tra A.F. e privati
di contenuto in prevalenza economico3 .
Il discorso che ci avviano a intraprendere si focalizzerà sulla c.d. <<fase
istruttoria>> dell’accertamento tributario, allorquando gli Uffici accertatori,
in collaborazione con la G.d.F., esaminano gli adempimenti posti a carico
dei contribuenti ,eventualmente emanando un atto accertativo (c.d. avviso
di accertamento), di riscossione (avviso di liquidazione, iscrizione a ruolo),
o di irrogazione di sanzioni per violazioni meramente formali4 .
L’accadimento del fatto tassabile dà luogo, insomma, ad una molteplicità di
obblighi e di poteri-doveri autoritativi (rispettivamente per il soggetto
passivo e per quello attivo del rapporto
d’imposta) che la legge
predetermina. Com’è noto, infatti, la posizione di autorità dell’A.F. nei
confronti dei privati poggia, fra l’altro, sui poteri d’indagine ad essa
attribuiti, al fine di verificare se siano stati correttamente adempiuti gli
obblighi formali e sostanziali gravanti sui contribuenti, nonché di
raccogliere, elementi di prova, rilevanti per l’accertamento dei tributi
dovuti e le eventuali sanzioni.
Nel caso in cui tali elementi non si trovino in loro possesso (perché, ad
esempio, risultanti da dichiarazioni del contribuente o di terzi, o da atti di
3
IDEM, op. cit., p.61
Per incidens, ex art. 10 co 3 della recente legge 212/2000 non dovrebbero essere più irrogate sanzioni
quando l’infrazione alla legge tributaria si traduce in una violazione meramente formale, senza, cioè,
4
14
procedimenti già svolti, dal catasto o dai sistemi informativi, a disposizione
dell’A.F.), né abbiamo carattere di notarietà5
gli Uffici accertatori, con
l’ausilio della G.d.F., organo investigativo munito anche di funzioni di
politizia tributaria6 , hanno la facoltà di interferire nella sfera giuridica dei
contribuenti o di altri soggetti, pubblici o privati, al fine di reperirli e, se
del caso, riconnettervi gli atti di accertamento.
In particolare, il d.p.r. 633/72, nonché il d.p.r. 600/73 regolano tali poteri di
indagine, individuando fattispecie e strumenti, mediante i quali, appunto, la
finanza è legittimata a procurarsi i dati necessari per poter procedere
all’accertamento7 8.
In questo senso, è corretto parlare di “poteri istruttori” badando, però, bene
al dato per cui essi teoricamente differiscono tanto dagli obblighi (ad.es.
contabili) imposti ai contribuenti, “giacchè tali doveri non nascono da atti
inseriti nel procedimento (atecnico) di accertamento”9,
tanto dal più
alcun debito d’imposta. Sul punto, v. ALEMANNO – RICCA, “Violazioni formali addio?”, in Corr. trib.
42/2000, p.3056 ss.
5
Sul carattere di notorietà di un fatto, v., per tutti, AA.VV., “Diritto processuale penale”, Milano 2001,
parte II.
6
Cfr. l. n° 4/1929, spec. art. 35
7
Nel senso che l’accertamento tributario presuppone una previa fase di controllo, conclusasi con
l’acquisizione della prova di una violazione, Cfr. MOSCHETTI, “Avviso di accertamento tributario e
garanzie del cittadino”, in Dir. prat. trib. ’83, 1911
8
Cfr., inoltre, TESAURO, “Istituzioni di diritto tributario”, vol. I, parte generale, Torino 1994, p.177 ss.
9
La notazione è di SCHIAVOLIN, “Poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria”, in Dig. disc. priv.
sez. comm., p.202.
15
generale “potere istruttorio”, inteso come presupposto dell’attività e dei
singoli atti istruttori”10 .
Partendo da tale impostazione, si avrà modo, più avanti, di analizzare, le
singole fattispecie, riconducibili alle attività di controllo appena descritte,
con cenni dapprima a quelli che certa dottrina definisce “office audits”, o
verifiche in ufficio, e successivamente occupandoci dei c.d. “fieldsaudits”11, (o controlli sul campo) cioè agli aspetti della posizione
autoritativa del fisco da cui discende una efficacia modificativa della sfera
giuridica dei soggetti
coinvolti nelle indagini (v. accessi, ispezioni e
verifiche).
1.1.2. Fondamento e giustificazione costituzionale dei poteri istruttori.
Prima, però, di scendere sul piano strettamente normativo e di tratteggiare
la gamma di tipologie istruttorie , cui l’A.F. può ricorrere nell’esercizio
della sua attività conoscitiva, urgono ulteriori precisazioni in ordine al
fondamento ed ai limiti costituzionali dei poteri di indagine fiscale.
L’esercizio dei poteri istruttori è soggetto al principio di legalità. All’A.F.
si possono riconoscere solo i poteri che la legge le assegna, posto che la
tutela degli eventuali interessi, oggetto della compressione istruttoria, segna
10
Quest’impostazione è proposta da GIACOBBE, “I poteri istruttori di accertamento nell’IVA e nelle
imposte sui redditi ecc.”, in Riv. not., 1981, I, p.542 ss.
11
Di controlli “a tavolino” e “controlli sul campo” parla LUPI, “Manuale professionale di diritto
tributario”, Milano 1998, p.250 ss.
16
un limite oltre il quale l’attività di controllo fiscale scadrebbe in vizi di
invalidità.
E’ del tutto pacifico, in effetti, che “le ispezioni fiscali e gli altri poteri
istruttori impongano al contribuente una prestazione personale, come
l’obbligo di rispondere entro determinati termini ad un questionario, di
fornire i documenti richiesti, di consentire l’accesso e le perquisizioni nel
proprio domicilio e , comprimendo la sfera di libertà del privato, devono
quindi essere previsti dalla legge: introdurli in via amministrativa
violerebbe l’art.23 della Cost.12>>.
Né può essere sottaciuto che l’intera materia è coperta dalla riserva di legge
speciale di cui all’art. 143 Cost. quanto ad accertamenti ed ispezioni a fini
fiscali, interferenti con la libertà domiciliare.
Riguardo all’art. 23 Cost., a parere di alcuni, potrebbe coprire anche solo
l’obbligo di fornire notizie e documenti all’ufficio fiscale, se ciò non
necessiti del “mero compimento di atti giuridici in quanto tali”13, giacché
sarebbero ragionevolmente configurabili prestazioni personali “quando è
limitata la libertà del privato di scegliere le attività a cui dedicarsi14 >>.
Venendo ora al fondamento costituzionale dei poteri di indagine, la
previsione normativa, che comprime interessi anch’essi di rango primario,
12
IDEM, ivi, p.245.
V. FEDELE, “ Commento all’art. 23”, in Com. della Cost. Branca, Bologna – Roma, 1978, p.37 ss.
14
IDEM, ibidem.
13
17
può fondarsi sull’obbligo sancito dall’art.53 Cost., a norma del quale “tutti
sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva15 >>, posto che l’idea del concorso collettivo alle spese
pubbliche pare non solo giustificare, ma pure imporre l’attribuzione di
poteri autoritativi necessari per l’accertamento dei tributi.
Cionondimeno, da un lato, ove l’attività istruttoria incida su sfere di
particolare riservatezza, occorre una specifica previsione , ravvisabile solo
nell’art.143
Cost.; dall’altro, l’art. 53 Cost. non sembra obblighi il
legislatore a prevedere la compressione di diritti di soggetti diversi dal
contribuente16 .
Inoltre, la giustificazione costituzionale della compressione di
sfere
giuridiche a seguito di indagini fiscali non può, certo, esimere il legislatore
“dal dettare precise norme su presupposti, modalità e limiti dell’esercizio
dei poteri istruttori”, onde stanare il passo “a lesioni non necessarie di
quegli interessi17 ”.
In tal senso, l’evoluzione normativa sembra corrispondere a quanto appena
rilevato, giacchè, a fronte di un considerevole incremento dei poteri
15
Cfr., in senso conforme, LOGOZZO, “Capacità contributiva e interpretazione della legge tributaria”, in
Boll. trib. inf., 1990, p.1655 ss.
Contra, nel senso che il principio di capacità contributiva non può avere anche una proiezione
“procedimentale”, cfr. MOSCHETTI, “Capacità contributiva” (profili generali), in AA.VV. “La capacità
contributiva”, I, Padova, 1993, p.10. Nel senso che la tutela della riservatezza bancaria non possa
costituire ostacolo all’adempimento del dovere inderogabile ex art. 53, v. Corte Cost. 51/’92, in Riv. dir.
trib., 1992, II, p.561 ss.
16
A tal fine occorre rifarsi al generale dovere di collaborazione con la P.A., desumibile dall’art. 2 Cost.
Vedasi, sul punto, SCHIAVOLIN, “L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali”, Milano, 1994, p.283.
18
d’indagine della finanza ( vedasi la progressiva erosione del segreto
bancario), si vanno sempre più chiaramente delineando idonee garanzie
delle concrete esigenze di riservatezza dei privati e del corretto esercizio di
quei poteri, “al posto di precedenti vincoli procedimentali del tutto
inappaganti allo scopo18 ”.
1.1.3. Il carattere “istruttorio” dei poteri di indagine.
Le
conclusioni cui siamo pervenuti al punto precedente non tolgono,
naturalmente, che, nel nostro caso, i poteri e le facoltà dell’A.F. siano di
particolare pregnanza, in quanto ad intensità ed ufficiosità, tanto vero che
certa dottrina espressamente parla di “poteri inquisitori” anziché di poteri
istruttori19 .
Quest’ultima, attuale configurazione, ne sottolinea, però, più correttamente,
l’inserimento nella fase amministrativa precedente ad eventuali atti di
17
SCHIAVOLIN, Poteri, cit., p.199.
Si fa riferimento alle regole introdotte dall’art. 18, co 4° e 5°, d. l. 413/91, in virtù delle quali i soggetti
che rilasciano le autorizzazioni per gli accessi e le indagini bancarie devono dare le opportune
disposizioni per l’utilizzo riservato e corretto degli elementi raccolti, ed è punita con sanzione
amministrativa l’indebita rivelazione o impiego di essi. Cfr. SCHIAVOLIN, “Appunti sulla nuova
disciplina delle indagini bancarie”, in Riv. dir. trib., 1992, I, p.37 ss.
19
V. LUPI, Manuale professionale, cit., p.260; LA ROSA, Caratteri e funzioni dell’accertamento
tributario, 1992, p.169 ss., laddove si sottolinea che i poteri de quo riguardano i presupposti, ossia le
acquisizioni probatorie, o i previ adempimenti procedimentali, atti a far nascere il vero e proprio potere
impositivo e che, in definitiva, assumerebbe una maggiore valenza qualificatoria la distinzione tra poteri
di accertamento veri e propri e poteri di polizia tributaria anteriori ed esterni all’accertamento e, dunque,
non ad esso strumentali.
18
19
accertamento o sanzionatori e il legame di strumentalità dei primi con i
secondi, in quanto fondati sui risultati delle indagini20 .
In linea di massima si può, secondo noi, affermare che i poteri de quibus,
siano istruttori, perché concretamente preordinati, attraverso una
preliminare attività conoscitiva, all’esercizio della funzione accertativa.
Come autorevolmente è stato scritto, “di solito i creditori non hanno […]
alcuni potere di ricercare elementi di prova del proprio credito,
intromettendosi d’autorità nella sfera privata del proprio (preteso) debitore,
o facendogli domande cui esso ha il dovere di rispondere sotto pena di
sanzioni>>. E tuttavia, a rigor di logica, <<non è tanto un privilegio, quanto
un tentativo di controbilanciare la posizione di estraneità degli Uffici
rispetto alle circostanze di accertare21>>.
Da questa posizione di estraneità del fisco rispetto alle vicende da accertare
deriva quella possiamo definire come
<<istituzionale inferiorità
conoscitiva>> degli Uffici che, appunto, l’attribuzione di poteri istruttori
cerca di compensare.
1.1.4. Le posizioni soggettive inerenti alle indagini fiscali e il dibattito
circa la discrezionalità presente nell’esercizio dei poteri istruttori;
carenza delle garanzie del “giusto procedimento”.
20
Così anche SCHIAVOLIN, Poteri, cit., p.195.
20
Veniamo ora, sia pur rapidamente, all’esame delle posizioni soggettive
inerenti alle indagini fiscali nelle diverse configurazioni dogmatiche che la
giurisprudenza teorica ha negli anni prospettato.
La premessa necessaria, dalla quale partire, è che la pluralità di atti che
l’A.F. legittimamente può compiere al fine del recupero di
materia
tassabile e di controllo degli obblighi tributari sono (e devono essere)
puntualmente disciplinati dalla legge.
Il rigoroso rispetto del principio di legalità, che domina tutto l’ordinamento
giuridico, non permette agli Uffici impositori e alla G.d.F., che con essi
coopera durante l’istruttoria di accertamento, di compiere atti che non siano
previsti dalla legge e regolati secondo criteri e modalità che la legge non
contempli.
Non c’è spazio per procedure atipiche di raccolta del materiale probatorio,
né per attività discrezionali, mediante le quali la finanza possa
legittimamente procedere all’ accertamento22.
Riprendendo il pensiero di un insigne giurista, si può dire che <<per questi
motivi gli Uffici non hanno un potere inquisitorio generalizzato (…). Agli
Uffici fiscali sono demandati specifici poteri inquisitori esercitabili solo
nella misura in cui la legge li prevede C…)>>. Da questa specie di poteri
21
LUPI, Manuale cit., p.260-1.
V. DE MITA, “Principi di diritto tributario”, Milano 2000, secondo cui la finanza “non ha il potere di
imporre alcunché”, dovendo semplicemente attenersi al rispetto della legge. Al contrario, GALLO
22
21
derivano i lunghi elenchi previsti dagli artt. 32 ss. D.P.R. 600/73 e dagli
artt. 51 ss. in materia d’IVA, esempi di una legislazione per casi , che
individua le uniche fattispecie in cui <<gli Uffici possono richiedere
informazioni o compiere atti in veste di pubbliche autorità, imponendo
sanzioni o adempimenti coattivi, qualora le loro richieste rimangono
inevase23>>.
Ciò detto, resta ferma, per i motivi che a suo tempo esporremo, la
possibilità di utilizzare dati, informazioni e documenti che la finanza abbia
“bonariamente” acquisito dal contribuente o dal terzo destinatario di una
richiesta, che potrebbe, però, legittimamente non rispondere24 .
Fatte queste necessarie premesse, torniamo alle sistemazioni dogmatiche di
cui sopra.
“Discrezionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’Ufficio”, in Riv. Dir. Fin. Sc.
Fin., I, 1992, p.655 ss., ritiene esservi spazi di poteri discrezionali per l’A.F.
23
LUPI, Manuale, cit., p.260.
24
Cfr., in tal senso, Com trib. reg. Toscana, in Foro it., 1994, p.409, per la quale è possibile l’acquisizione
di documenti in sede di accesso presso il domicilio di terzo senza la preventiva autorizzazione dell’A.G.,
in caso di spontanea collaborazione del cittadino all’attività di polizia tributaria. Vedasi pure Com. trib.
cent. n° 284/’95, in Rass. trib. 95, p.707 ove si legge che non vìola l’art. 52 d.p.r. 633/72 l’acquisizione di
documenti avvenuta spontaneamente e senza alcuna opposizione in un’autovettura della società con
verbalizzazione nei locali della stessa, nonostante la mancata autorizzazione giudiziaria; inoltre cfr. Cass.
n° 11036/1997, in Rass. trib. 1988, p.520, con nota di PORCARO, che ha cassato la predetta pronuncia in
base alla considerazione che il dipendente nella cui autovettura era stato ritrovato il materiale probatorio
non poteva “sanare” con il proprio consenso una situazione illegittima per la mancata autorizzazione
giudiziaria, non avendo una libera disponibilità dei documenti. Come si vedrà (cap. III) l’orientamento
della giurisprudenza circa l’utilizzabilità delle prove spontaneamente offerte dal contribuente merita di
essere condiviso, purché si precisi che la ricerca di informazioni e di dati da parte della finanza sia
effettivamente “bonaria”, che essa non si accompagni a più o meno velate minacce di sanzioni che
l’Ufficio, se agisce informalmente, non ha il potere di comminare, e che il destinatario di richieste o
informazioni amichevoli possa legittimamente disporre di elementi probatori in ragione dei suoi rapporti
con il contribuente. Né può considerarsi consenso del contribuente l’adempimento di richieste formulato
dagli ispettori tributari durante un accesso illegittimo. Vedasi, sul punto, Com. trib. cent. n° 80/96 in Corr.
trib. 1996, p.2189.
22
La dottrina più tradizionale individua nel fenomeno tributario un rapporto
giuridico d’imposta a contenuto complesso, caratterizzato in senso
pubblicistico dai poteri riconosciuti dalla legge all’A.F.
Lo studio del diritto tributario è definito come analisi di obbligazioni
pubbliche
che si caratterizzano per la subordinazione alla cura di un
interesse pubblico25 >>.
In questo schema, i poteri istruttori della finanza
e le corrispondenti
situazioni soggettive si configurano come crediti e obblighi tributari,
autonomi dal credito d’imposta perché autonomamente spettanti al fisco,
indipendentemente dall’esistenza di esso e anche nei confronti di soggetti
diversi dal debitore.
Una più recente corrente dottrinale, poi, ravvisa nei poteri d’indagine un
concetto di potestà d’imposizione,
spettanti all’A.F. per
intesa come complesso di poteri
la tutela dell’interesse pubblico alla corretta
applicazione del tributo26 .
Tanto la prima, quanto la seconda impostazione sono state, a loro volta,
criticate: in particolare, da un lato, la riconduzione dei poteri d’indagine ad
un unico rapporto complesso non porrebbe condivisibile, stanti
l’eterogeneità dei poteri d’indagine e la necessità di distinguere l’aspetto
25
Tra i sostenitori di questa tesi, vedi, per tutti, GIANNINI, “Istituzioni di diritto tributario”, Milano,
1972, nonché BERLIRI, “Principi di diritto tributario”, Milano, 1985.
26
Su questa linea si attestano, tra gli altri, BASCIU, “Imposizione”, (procedura di), in Enc. giur., XVI,
Roma, 1989; FALSITTA, “Il ruolo di riscossione…”, Padova, 1972, p.82 ss.
23
statico (il rapporto) dell’attività di accertamento da quello dinamico (atti e
procedimenti). Si tratterebbe, qui, non tanto di un rapporto complesso, ma
di un <<complesso di rapporti>>, non assimilabili tra loro; dall’altro, lo
stesso concetto di potestà d’impostazione parrebbe eccessivamente
schiacciato sugli aspetti applicativi del tributo e, dunque, troppo
generalizzante, e non debitamente collegato al realizzarsi dal presupposto
economico27.
Sulla delicata questione si avrà modo comunque di tornare più avanti 28 .
Quanto alle posizioni del contribuente (e dei terzi), nella fase istruttoria,
esse qui appaiano verosimilmente distinte da quelle di diritto soggettivo
perfetto in relazione al prelievo, e, in effetti, nella dottrina, sono in molti a
sottolineare che la situazione giuridica del privato nei confronti della
istruttoria amministrativa di accertamento sia qualificabile in termini di
interesse legittimo 29 .
Infine, non parrebbero esservi dubbi in merito all’inesistenza e
ininvocabilità delle generali garanzie del <<giusto procedimento>> nella
fase istruttoria, da intendere come obbligo, da parte dell’A.F., di avvisare il
contribuente dell’avvio di un controllo che lo riguardi.
27
Cfr. TESAURO, Istituzioni, cit., p.80.
V., infra, cap. IV.
29
Cfr., per tutti, FANTOZZI, I rapporti, cit., p.238; SANTAMARIA, “Attività ispettiva e tutela del
contribuente”, in Dir. prat. trib., 1980, I, p.658 ss.; LA GUARDIA, “Carenza di giurisdizione
amministrativa ecc..”, in Dir. proc. amm. ’88, p.132 ss.; SALVINI, “La partecipazione del privato
all’accertamento”, Padova, 1990.
28
24
Né il contribuente stesso, allo stato della normativa attuale e, salvo
specifiche eccezioni
30
, può attivamente partecipare alla formazione in
contraddittorio di elementi utilizzabili ai fini dell’accertamento, il quale
può sempre fondarsi su conoscenze acquisite dal fisco senza tale
partecipazione31 .
1.1.5 Le emergenze istruttorie nella formazione del convincimento
degli Uffici e nella motivazione dell’accertamento.
Una volta acquisito o raccolto il materiale probatorio, gli Uffici o gli altri
soggetti che con essi cooperano (SECIT, G.d.F, ecc.), possono:
- assumere decisioni in merito all’attività istruttoria svolta o da svolgere
(quali poteri vanno ancora esercitati, che interpretazioni dare alle
emergenze raccolte ecc.);
- utilizzare gli elementi raccolti, non solo mediante il ricorso a poteri
coercitivi, ma anche tutti gli altri legittimamente acquisiti, perché, ad
esempio, spontaneamente forniti dal contribuente o da terzi, o raccolti
30
Un esempio di contraddittorio precontenzioso è, oggi, forse rinvenibile ex art. 127 , l. 212/2000, su cui
v., infra, par. 1.2.10. Ma è, comunque, in atto da tempo una certa inversione di tendenza del legislatore.
Non sono pochi, infatti, i casi in cui la legge prevede l’instaurazione di un rapporto dialettico col
contribuente (v. concordato, interpello, ecc.).
31
Sull’argomento, cfr. SALVINI, op. ult. cit., p.70 ss., nonché STASSANO, “Il contraddittorio nella fase
investigativa ed istruttoria”, in Boll. trib. inf. 1973, p.1818 ss.
25
con facoltà proprie di qualsiasi interessato, pur trattandosi di mere
informazioni.32
Quindi, se, sulla base degli elementi di prova raccolti, la finanza può
fondare eventuali e successivi avvisi di accertamento (o atti ad essi
equiparati), ciò dipende pure dai tipi di accertamento normativamente
previsti (artt. 38 ss., d.p.r. 600 ; 54-55, d.p.r. 633), di modo che:
- sono impiegabili documenti, <<dati e notizie>>, non mere informazioni,
le quali possono al più assurgere a indizi con valore di mero
orientamento, non godendo di alcuna <<autosufficienza decisoria33>>;
- solo l’accertamento <<induttivo>>, la cui esperibilità
è per legge
vincolata alla sussistenza di determinati presupposti, può fondarsi su
<<dati e notizie comunque (purché legittimamente) raccolti o venuti a
conoscenza>> dell’Ufficio (artt. 39 c.2 , 41, d.p.r. 600).
E’ di tutta evidenza, allora, partendo da questo quadro normativo, che, nel
momento in cui il materiale probatorio raccolto o acquisito non sia
sufficiente a dar luogo ai vari tipi di accertamento, possibili secondo le
circostanze, gli uffici non possano che approfondire le indagini o cessarle,
sulla scorta di un (necessariamente) autonomo vaglio critico.
32
Per l’impiego delle informazioni di cui l’Ufficio sia comunque in possesso ai fini del controllo delle
dichiarazioni e dell’individuazione dei soggetti, i quali non abbiano omesso la presentazione, v. art. 371,
d.p.r. 600/73.
33
Per l’uso endoprocedimentale delle informazioni e dei dati raccolti nella fase istruttoria
dell’accertamento, cfr. CONSOLO, “Legittima acquisizione delle risultanze di un’istruttoria penale,
26
Da ciò consegue, anche, che l’analisi ragionata delle prove debba essere
esercitata, anche e a maggior ragione, nel caso di segnalazioni della G.d.F.,
sulle quali gli Uffici hanno l’obbligo di esprimere autonome valutazioni,
non potendo acriticamente assumere i verbali di constatazione a
fondamento dei propri atti impositivi e dovendo, anzi, procedere ad
ulteriori
indagini, se quanto segnalato non sembra consentire alcuna
conclusione.34
Un punto, su cui la dottrina ha non poco stentato a trovare soluzioni
condivise, riguarda l’inciso ex art. 39 c.2 d.p.r. 600, relativo a <<dati e
notizie comunque raccolti>>. Alcuni, infatti, hanno ritenuto di potervi
leggere una sorta di legittimazione per attività istruttorie atipiche, ma, come
si vedrà, è ragionevolmente da escludere che esso si riferisca ad
acquisizioni illegittime. Semmai, può qui farsi riferimento alla già
menzionata spontanea collaborazione del contribuente col fisco, che
potrebbe giustificare una pratica difformità di acquisizione rispetto al
modello legale di esercizio dei poteri istruttori.35
***
ecc.”, in Rass. trib., 1987, II, p.287; SCHIAVOLIN, “L’inammissibilità della testimonianza ecc.”, in Riv,
dir. fin., 1989, I, p.570 ss.
34
È convinzione ormai diffusa, infatti, che l’Ufficio debba pervenire a determinazioni probatorie certe.
35
Cfr., infra, cap. II.
27
A tutto ciò si aggiunga che, per naturali ragioni di difesa, il contribuente
deve poter essere messo in grado (anche perché generalmente non
coinvolto in contraddittorio con l’Ufficio nella formazione delle prove36) di
controllare, a sua volta, le valutazioni che hanno indotto la finanza a
emettere l’atto di accertamento.
In tal senso, non v’è chi non ritenga che ogni eventuale atto impositivo
debba essere accompagnato da apposita motivazione, cioè dall’indicazione
delle prove, con il ragionamento svolto in punto di fatto e di diritto
dall’Ufficio accertatore.37
Tale motivazione può, secondo un consolidato orientamento, essere data
anche per relationem, cioè con riferimento ad atti conosciuti o a
disposizione del contribuente e, tuttavia, non manca, in dottrina, chi rilevi
l’eventuale illegittimità del rinvio ad un p.v. di verifica e la conseguente
necessità che l’atto cui si rinvia sia, comunque, portato a conoscenza del
contribuente non oltre la notifica dell’accertamento.38
Quanto fin qui rilevato inerisce anche alla problematica dell’onere della
prova, a proposito della cui incombenza già Allorio osservava che <<essa
si
pone,
prima
che
alle
Commissioni
tributarie,
alla
stessa
Amministrazione: vi è un principio generale, ricostruibile per molti indizi
36
Vedi paragrafo precedente.
L’obbligo di motivazione, in origine previsto solo dall’art. 56 d.p.r. 633/72, è ora divenuto, in virtù
dell’art. 7, l. 212/2000 (che ha ripreso la formulazione dell’art. 3 l. 241/90), una sorta di “principio
generale” di diritto tributario.
37
28
ed elementi, che a nessun atto la P.A. possa accingersi, senza avere
procurato a se stessa la prova dei fatti che determinano la sua potestà di dar
vita a quell’atto. Nel caso dell’atto di imposizione, la prova che la finanza
deve possedere è quella dell’esistenza della situazione-base del tributo. Il
giudice tributario, nella mancanza o insufficienza di questa prova, deve,
prima ancora di applicare la regola di giudizio nel processo tributario,
riconoscere nell’atto di imposizione la presenza di un vizio di legittimità,
quello consistente nella trasgressione della norma che imponeva alla
finanza di non addivenire alla imposizione senza la prova della situazionebase del tributo. Codesto vizio di legittimità giustifica l’annullamento
dell’atto impositivo>>39.
Tornando al nostro discorso, vale la pena sottolineare che:
- il problema del rinvio ad altri atti conosciuti o a disposizione del
contribuente è temporalmente, oltre che logicamente, distinto da quello
relativo al vaglio critico delle prove da parte dell’A.F.
Può, cioè, accadere che una motivazione per relationem abbia luogo
anche dopo un attento scrutinio delle prove trasmesse, raccolte o
acquisite dagli Uffici accertatori.
Ora, mentre la giurisprudenza è solidamente orientata ad ammettere il
rinvio a qualsiasi tipo di atto, indipendentemente dall’organo che lo
38
Per una panoramica sull’argomento, cfr. SALVINI, La partecipazione, cit., p.381 ss.
29
abbia emesso, purché il contribuente sia posto nelle condizioni di
esercitare compiutamente le proprie difese (si pensi, ad esempio, ad una
motivazione per relationem al verbale della G.d.F.), la dottrina più
scrupolosa ha espresso al riguardo alcune interessanti riserve.
Sebbene, infatti, l’art. 3 l. 241/90 (ora ripreso anche dall’art. 7 l.
212/2000) sembrerebbe confermare la conclusione surriportata, è stato
giustamente rilevato che, ad una lettura attenta delle norme, condizione
legittimante affinché un rinvio possa esservi è che l’atto richiamato non
si limiti semplicemente a descrivere fatti o circostanze rilevanti ai fini
del decidere, ma, di per sé, contenga quelle che la legge chiama le
<<ragioni>> della decisione.
Ciò che, se può ben ipotizzarsi nel caso di richiamo ad atti di
competenza di altri organi od uffici in tema, ad esempio, di
accertamento di valore nell’imposta di registro, non può, al contrario,
riscontrarsi nel caso di processi verbali redatti dalla G.d.F. Essi, infatti,
non contengono le ragioni dell’accertamento, per l’assorbente motivo
che sono redatti da organi privi di qualsiasi potere di accertamento, ma
dotati solo di poteri istruttori. Di qui, l’illegittimità del rinvio ai suddetti
verbali 40;
39
40
ALLORIO, “Diritto processuale tributario”, Milano, 1969, p.392 ss.
MANZONI, “Potere di accertamento e tutela del contribuente”, Milano, 1993, p.150 ss.
30
- quanto detto a proposito di obbligo di motivazione vale anche ai fini
dell’utilizzo di elementi raccolti con indagini svolte presso terzi: il non
far conoscere, con l’apposita motivazione, emergenze istruttorie, anche
relative a terzi, pregiudicherebbe, infatti, il buon esito dell’attività
defensionale del contribuente41;
- non è, al contrario, preclusa agli uffici la possibilità di impiegare e
motivare l’atto accertativo , sulla base di risultanze istruttorie derivanti
da indagini eseguite presso terzi, giacché, come detto, non è assicurata,
dall’attuale sistema normativo, la partecipazione del contribuente alla
formazione delle prove42.
41
42
IDEM, ibidem.
V., retro, nota 30.
31
TITOLO SECONDO
I singoli poteri istruttori nelle II. DD. e nell’IVA.
SOMMARIO: 1.2.1. Premesse. Le richieste di dati e notizie e gli inviti a
comparire al contribuente. 1.2.2 Accessi, ispezioni, verifiche; 1.2.3. Le
singole ipotesi di accesso ispettivo: i locali aziendali; 1.2.4 (segue) gli
studi
professionali; 1.2.5 (segue) le indagini bancarie; 1.2.6
abitazioni ed altri ed altri luoghi; 1.2.7. Il regime
(segue)
delle autorizzazioni:
l’autorizzazione del capoufficio; 1.2.8 (segue) l’autorizzazione del
Procuratore della Repubblica; 1.2.9(segue) l’autorizzazione dell’Ispettorato
compartimentale delle imposte (o del comandante di zona della G.d.F.);
rinvio; 1.2.10. Le attività di verificazione.
1.2.1 Premessa. Le richieste di dati e notizie e gli inviti a comparire al
contribuente.
Dal quadro generale sui poteri istruttori, offerto nei paragrafi precedenti,
riteniamo di poter ora passare all’analisi diretta delle specifiche facoltà
istruttorie spettanti all’A.F., precisando fin d’ora che si è inteso restringere
il campo ai soli poteri relativi alle imposte dirette e all’IVA.
32
Occorrono, però, alcuni preliminari chiarimenti in merito all’attività di
controllo43. La disciplina legale sulle indagini tributarie risulta infatti
influenzata:
- dalle diversità strutturali dei singoli tributi (ma, per quanto attiene alla
nostra trattazione, non esiste alcuna differenza applicativa, dato che gli
artt. 31 ss., D.P.R. 600/73, in tema di accertamento e controlli sulle
imposte dirette ricalcano grosso modo la normativa prevista dagli artt.
51 ss. D.P.R. in tema di I.V.A.);
- dalle esigenze organizzative , degli Uffici, in relazione alle quali sono
maturate molte rilevanti riforme degli ultimi tempi.
Va, inoltre, precisato che l’attività di controllo della finanza si appunta,
oltre che sul versante della determinazione dell’imponibile, anche su quello
della liquidazione delle imposte44 .
Giova, infine, ribadire che il tratto comune e peculiare dei diversi mezzi
istruttori che si vanno ad analizzare si risolve nella titolarità di poteri che,
per un verso, hanno carattere autoritario e, per l’altro, risultano spesso
limitativi di fondamentali diritti di libertà della persona, in qualche caso
riconosciuti e tutelati perfino dalla Costituzione (V. gli accessi ispettivi).
43
Per più esaurienti approfondimenti, si rinvia, però, fin d’ora, a TESAURO, cit., p.178, nota 2;
FANTOZZI, I rapporti, cit.; PERRONE, “Evoluzione e prospettive dell’accertamento tributario”, in Riv.
dir. fin. ,1982, I, p.105 ss.; NUZZO, “Modelli ricostruttivi della forma del tributo”, Padova, 1987.
44
V., retro, par. 1.1.1.
33
Tale posizione di preminenza dell’A.F., però, è posta per la cura di un
interesse pubblico anch’esso di rango costituzionale, quale, appunto, quello
all’attuazione del prelievo, e si legittima nella misura in cui i limiti previsti
dalla legge all’ attività istruttoria siano puntualmente rispettati .45
***
Veniamo ora ad occuparci dei singoli poteri istruttori che possono essere
esercitati tanto nei confronti del contribuente, cui si riferisce il controllo,
quanto nei confronti di terzi con i quali costui intrattenga rapporti.
Al fine di meglio comprendere le varie tipologie, tentiamone una
qualificazione, distinguendo, da un lato, la formulazione di richieste,
dall’altro, lo svolgimento di attività suscettibili di incidere direttamente
sulla sfera privata del contribuente (c.d. accessi ispettivi)46 .
Quanto alle prime, esse si risolvono, com’è noto, in richieste di dati, notizie
e documenti e nell’invito al contribuente a comparire (V. artt. 32, D.P.R.
600/73 e 51, D.P.R. e si, D.P.R. 633/72).
Tali strumenti sono essenzialmente degli “ordini “ indicati come “inviti”(a
comparire presso gli Uffici, ad esibire o trasmettere documenti e registri, a
45
Per il rispetto, nella fase istruttoria, del principio di legalità, cfr. capp. II e III.
Altre configurazioni sono, però, proponibili, ad esempio quella che punta a distinguere tra
l’imposizione al contribuente di un obbligo di facere o di pati. Cfr., sul punto, LUPI, “Lezioni di diritto
tributario”, parte generale, Milano, 1992, p.170 ss. Cfr., poi, art. 333 d.p.r. 600/73 e 63 d.p.r. 633/72,
quanto al peculiare potere della G.d.F. di utilizzare ai fini fiscali e trasmettere agli Uffici documenti, dati
e notizie acquisiti con postero do P.G., su cui v., più ampiamente, cap. III.
46
34
rispondere a questionari ecc.) o “richieste”, la cui inosservanza è sanzionata
con pene pecuniarie.
Esse colpiscono anche il soggetto controllato, che non gode del “diritto al
silenzio” riconosciuto all’imputato nel processo penale47, e, tuttavia, non
sempre, oltre alla mancata risposta, è espressamente sanzionata anche la
non veridicità della medesima48 .
In quanto ai requisiti formali di tali strumenti, essi debbono risultare da
apposito atto scritto, contenente le generalità e l’indirizzo del destinatario,
l’intestazione dell’Ufficio emittente e la sottoscrizione del suo titolare49 .
Circa le modalità di redazione, la legge nulla prescrive e, dunque, la
formulazione rimane fondamentalmente libera, anche per quanto riguarda i
c.d. “questionari”, i quali non costituiscono che uno dei vari modi con cui
le richieste possono essere formulate.
Ulteriori garanzie, poi, sono costituite dalle norme che impongono
all’ufficio la fissazione di un termine per l’adempimento da parte del
contribuente, nonché le modalità di comunicazione dell’ordine (attraverso
raccomandata con avviso di ricevimento, previste in origine dal solo art.
51, U.C., D.P.R. 633 e poi estesa anche alle II.DD.).
47
V. SALVINI, Partecipazioni, cit., p.228.
IDEM, op. cit., p.292.
49
Leggasi MANZONI, Potere, cit., p.222. Sono, dunque, da ritenere illegittimi perché generici o
equivoci, ad esempio, gli inviti a esibire “documenti contabili relativi a rapporti intrattenuti con i terzi”,
senza specificazioni ulteriori in ordine alla natura dei soggetti terzi (clienti, fornitori, consociate, ecc.), dei
documenti (fatture, corrispondenza, registrazioni) e al periodo d’imposta cui ci si intenda riferire.
48
35
Da un punto di vista sostanziale, ossia rispetto ai c.d. requisiti di contenuto,
gli inviti e le richieste debbono essere correlati ad uno specifico oggetto,
nonché all’indicazione dei motivi.
Riguardo all’oggetto, la dottrina è pressoché unanime nel pretendere: 1)
che esso debba risultare specificamente ed inequivocabilmente definito, nel
senso che devono essere con chiarezza individuati i dati, le notizie e le
informazioni da fornire e gli altri atti o documenti da esibire o trasmettere.
(E’ di tutta evidenza, infatti, che essendo sanzionabile l’eventuale
inadempimento del contribuente, l’adempimento di questi veri e propri
ordini amministrativi debba essere possibile);
2) che esso debba essere consentito dall’ordinamento (è la legge che
individua, di volta in volta, il possibile oggetto della richiesta o dell’invito
in relazione alle specifiche fattispecie).
Quanto ai motivi, la giurisprudenza teorica oscilla tra quanti non
considerano necessaria una motivazione molto specifica50 , trattandosi pur
sempre di atti di natura meramente istruttoria, e coloro che, rifacendosi ai
principi
costituzionali
di
buon
andamento
e
imparzialità
della
Amministrazione (art.97 Cost.) e dell’implicitamente desumibile criterio di
proporzionalità del mezzo al fine, è del parere che una ben articolata
motivazione dell’atto istruttorio sia indispensabile, specie se esso riguardi il
50
Tra cui, SALVINI, op. ult. cit., p.239.
36
contribuente stesso, in relazione all’incidenza che il mezzo d’indagine è
destinato ad essere nei diretti confronti del destinatario51.
Il problema qui appena accennato è complicato dal fatto che la legge
prevede espressamente l’indicazione del motivo solo nell’ipotesi
dell’invito, rivolto al contribuente, di esibire o trasmettere atti e documenti
rilevanti ai fini dell’imposizione diretta (art. 31, n° 3, D.P.R. 600/73), non
invece nel caso dell’invio di questionari e richieste rivolte a terzi, né,
infine, di richieste a fini I.V.A.
A nostro avviso, pur non trattandosi di atti decisori, bensì istruttori, una
motivazione dovrebbe, in tutti i casi, essere allegata, e se la legge non parla
esplicitamente di motivi, è probabile
che essa li consideri talvolta
in re ipsa, cioè implicitamente desumibili dal fine sotteso ai diversi
interventi istruttori della finanza52.
Va segnalato, infine, che i poteri istruttori fin qui presi in esame sono
utilizzabili per raccogliere elementi rilevanti per l’accertamento nei
confronti del solo destinatario dell’ordine o di ben determinati soggetti.
C’è, infatti, una certa prudenza del legislatore riguardo all’utilizzo della
collaborazione di terzi, come può facilmente arguirsi dall’indicazione del
51
V. MANZONI, op. ult. cit., p.230. Sulla specificazione dei motivi, v. pure Com. trib. Cent. n°
4875/1988, in Corr. trib., 1988, p.2876.
52
V. MANZONI, op. ult. cit., ibidem.
37
contenuto e dei destinatari delle richieste, proprio al fine di assicurare una
maggiore attendibilità delle acquisizioni53 .
1.2.2. Accessi, ispezioni e verifiche.
Degli accessi, ispezioni e verifiche si occupa l’art. 52 D.P.R. 633/72,
integralmente richiamato per le imposte sui redditi dall’ art.33 D.P.R.
600/73.
Preliminarmente, occorre chiarire la terminologia legislativa nel senso che:
- per accesso, s’intende l’ingresso e la permanenza della Finanza, anche
contro la volontà dell’interessato, in locali ed ambienti, e può
qualificarsi come atto autoritativo reale;
- l’ispezione, ha ad oggetto le scritture contabili, e, più in generale, tutta
la documentazione rilevante ai fini dell’accertamento, allo scopo di
controllare non solo la loro regolarità formale, ma anche, in ultima
analisi, la sostanziale veridicità ed esattezza del loro contenuto;
- la verifica,
attiene, più in generale, all’esame della consistenza e
qualità degli elementi soggettivi ed oggettivi utilizzati nell’ambito
dell’attività economica, come il personale, i macchinari, le consistenze
di magazzino, ecc..
53
Non esiste più, infatti, (v. art. 39, lett. c) d.p.r. 645/58) un potere generale di ottenere informazioni da
chiunque possa fornirle. Cfr. FAVARA, “L’istruttoria amministrativa per l’accertamento delle imposte
sui redditi” in Riv. dir. fin., 1987, I, p.241.
38
Inoltre, va ricordato che l’art.52 fa menzionare anche delle ricerche, da
intendere come attività tese al materiale reperimento di documenti utili ai
fini del controllo.
Tutte queste operazioni, per ragioni di comodità espositiva, verranno
spesso da noi sinteticamente indicate col termine di accessi ispettivi .
C’è da registrare un certo contrasto, in dottrina, circa l’effettiva differenza
tra ispezioni e perquisizioni, ancorché sia indubbio, a nostro parere, che
essa discenda dal diverso grado di compressione cui il c.d.“ius excludendi”
è sottoposto54 .
La verità è che, di fatto, con la riforma tributaria degli anni ’70 la
terminologia giuridica adottata è stata diversa, “elevando l’accesso, da atto
strumentale per l’esecuzione delle perquisizioni, ad atto autonomo,
finalizzato alla raccolta di prove concernenti illeciti amministrativi”55.
Venendo, ora, all’esame della disciplina, non si può non vedere come le
condizioni e i presupposti per procedere ad accessi ispettivi mutino a
seconda del tipo di locali in questione e, propriamente, in relazione
54
Per “ius excludendi” deve intendersi, appunto, la facoltà, riconosciuta ai privati dall’ordinamento, di
escludere da luoghi di loro esclusiva proprietà altri soggetti. Cfr., nel senso che l’ispezione non consenta
di andare oltre la “visione del luogo” o di eseguire interrogatori, AMATO, “Commento all’art. 14” in
Comm. Della Cost. Branca, Bologna – Roma, 1977, p.76 ss.
Ad avviso di GIOCOLI – NACCI, “Libertà di domicilio”, in AA.VV., Libertà costituzionali e limiti
amministrativi, in Trattato ditr. Amm.vo, Padova, 1990, p.91-100 ss., l’ispezione comprenderebbe
semplici accertamenti e non operazioni tecniche. Per la definizione della “perquisizione” come atto tipico
dell’accertamento del reato, che non sarebbe compatibile con quello dell’illecito amministrativo o civile,
v., nella dottrina più risalente, DUS, “Ricerca e perquisizione”, in Riv. Guardia di Finanza, 1962, I, p.14
ss.
55
Così, testualmente, CAPOLUPO, “Manuale dell’accertamento delle imposte”, Milano, 1998, p.618.
39
all’incidenza sulla sfera di riservatezza dei privati che l’esercizio di tali
poteri comporta.
Una semplice autorizzazione del capo ufficio (o del comandante di reparto
della G.d.F) è necessaria per procedere ad accessi in locali esclusivamente
adibiti ad attività agricole, economiche, commerciali o di lavoro autonomo
(art.52, I° co. prima parte), ma occorre un’ulteriore autorizzazione
giudiziaria per eseguire accessi in locali adibiti anche ad abitazione
(art.52,I° co seconda parte), necessaria altresì per gli accessi in locali
diversi dai succitati, per i quali, però, occorre valutare la sussistenza di
“gravi indizi” di violazione della normativa fiscale (art.522).
In ogni caso l’autorizzazione giudiziaria è indispensabile per procedere,
durante l’accesso, alla coattiva apertura di plichi sigillati, casseforti,
rispostigli ecc., nonché a perquisizioni personali (art. 523 ).
Si aggiunga che , riguardo agli accessi presso studi professionali, l’attuale
normativa prevede che essi siano eseguiti alla presenza del titolare dello
studio o di un suo delegato (art.52, ultima parte) e che, nel caso in cui si
debbano esaminare documenti o si richiedano notizie relativamente alle
quali sia eccepito il segreto professionale, è di nuovo necessaria
l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’A.G. più vicina,
ferme restando le garanzie di libertà del professionista, previste durante
40
ispezioni o perquisizioni penali ai sensi dell’art. 103 c.p.p. (art.523, ultima
parte).
Autorizzato l’accesso nelle varie modalità richieste dalla legge, i funzionari
dell’Ufficio hanno facoltà di esaminare tutti i registri e i documenti, anche
non rientranti nella contabilità obbligatoria (art.52).
Inoltre, il rifiuto di esibire alla finanza la documentazione richiesta, come
pure la dichiarazione di non possedere libri, registri e documenti, o di
sottrarli all’ispezione, priva il contribuente di far valere la documentazione
sottratta o non esibita in senso a lui favorevole ai fini dell’accertamento in
sede amministrativa o contenziosa (art.525).
Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le
ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente e le
risposte ricevute da questi o da un suo rappresentate. Tale processo deve
essere sottoscritto dal contribuente o dal suo rappresentante, che, se
rifiutano la sottoscrizione, ne fanno constare i motivi a verbale, ed hanno
sempre diritto a farsene rilasciare una copia (art.526 ).
Quanto ai sequestri, possono eseguirsi solo se non sia possibile riprodurre
o, comunque, far constare il contenuto dei documenti e delle scritture, nel
verbale. Essi sono, poi, del tutto esclusi per quanto concerne i libri e i
registri, salvo cautele atte impedirne la alterazione o la sottoscrizione
(art.527).
41
Non si può, poi, non sottolineare che, ai sensi dell’art.52, u. c., è consentito
l’accesso (diretto) presso banche o sedi postali per procedere a rilievi diretti
di dati e notizie, qualora i funzionari abbiano il fondato sospetto che
richieste in ordine o copie di conti intrattenuti dal cliente siano incomplete
inesatte, o, comunque, siano rimaste invase dopo il termine di cui all’art.51.
Tali accessi, però, debbono essere, ora, eseguiti, previa autorizzazione
dell’Ispettorato compartimentale delle imposte (ora Direzione regionale
delle Entrate) o del Comandante di zona della G.d.F.; le successive
ispezioni o rilevazioni debbono avvenire alla presenza del responsabile
della sede o di un delegato, e di esse è data immediata notizia, a cura del
predetto responsabile, al cliente (art. 33 n.c., D.P.R. 600/73, richiamato da
52, u.c., D.P.R. 633/72).
Quanto alla G.d.F., essa (ex art. 332, D.P.R. 633/72, come modificati, da
ultimo dall’art.23, d. lgs.74/2000) coopera all’acquisizione e al reperimento
degli elementi utili ai fini dell’accertamento e alla repressione di violazioni,
procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici stessi, secondo le
norme e con i poteri ad essi spettanti.
In particolare, essa ha facoltà, previa autorizzazione giudiziaria, ed (ora)
anche in deroga alle norme che regolano il segreto istruttorio, di utilizzare e
trasmettere agli Uffici documenti, dati e notizie acquisiti direttamente
42
o
riferiti od ottenuti dalle altre forze di polizia, nell’esercizio dei suoi poteri
di polizia giudiziaria.
Il quadro normativo è completato, ai fini che ci riguardano:
- dall’art. 35, l. 4/1929 (legge generale in tema di violazioni finanziarie e
valutarie), che consente alla polizia tributaria di accedere in qualunque
ora negli esercizi pubblici ed in ogni locale adibito ad azienda
industriale o commerciale ed eseguirvi “verificazioni e ricerche” per
“assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e
dai regolamenti in materia finanziaria56”;
- dall’art. 12, l. 212/2000 (c.d. STATUTO del CONTRIBUENTE), il
quale, rafforzando le garanzie dei contribuenti, sottoposti a verifiche
fiscali, ha previsto, tra l’altro, che:
a) accessi, ispezioni e verifiche in locali adibiti ad attività commerciali,
industriali, agricole o professionali vanno effettuati sulla base di effettive
esigenze
di indagine e controllo sul luogo, da svolgersi, salvo casi
eccezionali ed urgenti, adeguatamente motivati, durante l’ordinario orario
di servizio e con modalità il meno possibili perturbatrici delle attività e
relazioni commerciali o professionali del contribuente (1° comma);
56
Per incidens, va detto che la distinzione tra ricerche ex art. 35, l. 4/29 e perquisizioni penali è molto
discussa, ritenendole taluni equipollenti, altri differenti a seconda rispettivamente delle finalità
amministrative o penali ad esse sottese. Per una rassegna delle principali opinioni, leggasi GIULIANI,
“Violazioni e sanzioni delle leggi tributarie”, I, Milano, 1990, p.292 ss.
43
b) ad inizio verifica, il contribuente ha diritto di sapere le ragioni che
l’abbiano giustificata, l’oggetto che la riguarda, può farsi assistere da un
professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria,
e ha diritto di conoscere i diritti e gli obblighi di cui è titolare in occasione
delle verifiche stesse (2° comma);
c) la permanenza degli operatori civili o militari non può superare 30 giorni
lavorativi, prorogabili per ulteriori 30 giorni, in caso di particolare
complessità delle indagini, individuate e motivate dal dirigente dell’Ufficio
(5° comma);
d) dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle
operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può
comunicare, entro 60 giorni, osservazioni e richieste che l’Ufficio deve
valutare, sicchè pare che l’avviso di accertamento non possa essere
emanato (a pena di nullità) prima delle scadenza di tale termine, “salvo i
casi di particolare e motivata urgenza” (7° comma).
1.2.3. Le singole ipotesi di accesso ispettivo: i locali aziendali
Esaminiamo ora le singole ipotesi di accesso. Per quanto riguarda l’accesso
presso i locali aziendali, esso non presenta particolari problemi, né di
ordine giuridico, né di carattere operativo.
44
Trova legittimazione negli art. 35, l. 4/29 e negli artt. 32/33, D.P.R. 600,
51/52, D.P.R. 633.
Formalmente, è richiesta una specifica autorizzazione
preventiva (del
capoufficio, per gli operatori civili, del comandante di reparto della G.d.F.,
per gli operatori militari, nonché del direttore del SECIT per gli Ispettori
Tributari), che si pone, peraltro, quale condizione di legittimità per tutti gli
accessi ispettivi57. E’ consentito dalla l. 4/29, che autorizza la polizia
tributaria ad accedere in qualsiasi ora in ogni locale adibito ad azienda
industriale o commerciale e negli esercizi pubblici.
I decreti delegati hanno successivamente ampliato, sia la categoria dei
soggetti tenuti a subire l’incidenza di tale atto autoritativo, sia il novero dei
locali in cui esso può essere eseguito.
Quanto all’individuazione dei soggetti, secondo le indicazioni della
migliore dottrina58 , pare più appagante, almeno ai fini II.DD. ed IVA, non
limitarsi alle indicazioni del combinato disposto dell’art. 52, d.P.R. 633 e
33 , D.P.R. 600, ma riportarsi alla distinzione operata, da ultimo, dal testo
Unico approvato con D.P.R 917/86, giacché, com’è noto, la nozione fiscale
di imprenditore risulta assai dilatata59.
57
V. par. 1.2.7.
Cfr. CAPOLUPO, Manuale, cit., p.598.
59
Cfr. art. 51, d.P.R. 917/1986. La disposizione, infatti, per le attività di cui all’art. 2195 c.c. prescinde
dal requisito dell’organizzazione, che, fiscalmente, rileva solo per le prestazioni di servizi diverse da
quelle indicate.
58
45
In relazione ai locali, c’è da sottolineare un deciso ampliamento dei luoghi
in cui è possibile accedere a fini ispettivi con semplice autorizzazione
amministrativa rispetto alla precedente normativa: la norma si richiama,
infatti, pure a quelli adibiti all’esercizio di attività agricole, commerciali o
congiunti con l’attività artistica o professionale.
A tal proposito, è stato raggiunto l’obbiettivo di “esaltare, pur nel rispetto
dei
diritti
costituzionalmente
garantiti,
l’autonomia
di
iniziativa
dell’Amministrazione finanziaria, limitando le autorizzazioni all’accesso
dell’Autorità giudiziaria nei soli casi in cui queste siano necessarie per
assicurare particolari garanzie60”.
Occorre, ad ogni modo, riferire che, già prima della riforma tributaria degli
anni ’70, la Cassazione era intervenuta, puntualizzando che gli accessi
ispettivi in locali adibiti ad attività commerciali o agricole, svolte
congiuntamente con un’arte o una professione, non richiedevano particolari
formalità autorizzatorie a carico della A.F61.
Questa prassi, ben conosciuta dal diritto giurisprudenziale, è stata vieppiù
avvalorata con la formulazione dei decreti delegati, ed è, a tutt’oggi, da
ritenersi valida, specie dopo le modifiche apportate dall’art. 182,
413/91 (su cui vedasi più avanti).
60
61
Testualmente CAPOLUPO, op. ult. cit., p.598.
Cfr., per tutte Cass. sez. II civ. n° 197/1968, in Giur. It., 1970, I, p.404.
46
d.l.
Resta ferma, ovviamente, la necessità di chiedere l’autorizzazione
all’autorità giudiziaria più vicina per l’apertura coattiva, in corso di
verifica, di plichi sigillati, casseforti ecc., a meno che il contribuente non
abbia, in assenza di un’esplicita richiesta degli operatori tributari,
spontaneamente acconsentito allo svolgimento dell’operazione. Ma in
quest’ eventualità sarebbe, per alcuni, necessario che il consenso sia
manifestato per iscritto62 .
Una precisazione ulteriore serve a dissipare alcuni dubbi, sollevati in
dottrina, circa la possibilità che l’attività ispettiva susseguente all’accesso
possa o meno essere limitata dalla tassatività dei locali dichiarati dalla
parte, quali adibiti all’esercizio di attività commerciali o agricole.
Nel senso che non sussista alcuna limitazione, depone, a nostro parere,
un’interpretazione obiettiva dell’art. 52 D.P.R. 633, ove si adotta
l’espressione “locali destinati”, significando, perciò, che la destinazione
non possa essere riferita alle indicazioni del contribuente, ma a qualsiasi
locale che risulti , di fatto, adibito a tali attività. Ciò comporta che se, in
corso di verifica, la finanza venga a conoscenza dell’esercizio di attività in
locali
non
dichiarati,
può procedere all’accesso senza ulteriore
autorizzazione63 .
62
In tal senso leggasi C.M. 30/1975, pur essendo, naturalmente, in punto di diritto, auspicabile il rispetto
della norma giuridica.
63
Cfr. CAPOLUPO, op. ult. cit., p.600.
47
Un ultimo cenno riserviamo, infine, all’ipotesi ex art. 52, 11° co, relativa
alla possibilità che le scritture contabili o parte di esse siano dichiarate dal
contribuente controllato in possesso di altri soggetti.
Il contribuente deve a norma di legge, esibire un’attestazione dei soggetti
stessi, specificando la documentazione in loro possesso, di modo che, se
tale attestazione non è esibita o il soggetto terzo che l’ha rilasciata si
oppone all’accesso o non esibisce in tutto o in parte le scritture, si
applicheranno gravi sanzioni procedimentali (V. art.525 , D.P.R. 633).
La dottrina non è univoca nel definire i poteri spettanti all’A. F. in questa
eventualità.
Alcuni pensano che per poter accedere nei locali del terzo professionista
sia sufficiente la preventiva autorizzazione amministrativa del capoufficio,
purché in essa sia espressamente prevista tale possibilità.
Altri
continuano
a
ritenere
indispensabile
l’autorizzazione
della
magistratura, ancorché oggi ciò non sia più ragionevolmente sostenibile,
essendo stato soppresso tale adempimento64 .
Di certo, la prassi attualmente seguita fa ritenere che, in presenza di una
dichiarazione attestante la conservazione di scritture contabili presso terzi,
64
IDEM, ivi, p.601.
48
la finanza possa, senza alcuna formalità, accedere presso lo studio
professionale <<limitandosi, però, ad una semplice acquisizione65>>.
1.2.4 (segue) gli studi professionali.
Passando all’esame relativo agli accessi presso studi professionali (non
contemporaneamente adibiti ad attività commerciali o agricole), non è
inutile ricordare che i decreti delegati lo subordinavano, nella versione
originaria, ad una “necessaria (…) autorizzazione del Procuratore della
Repubblica66”, voluta dal legislatore della riforma come salvaguardia del
segreto professionale (cfr. art.10; n°4, legge delega 825/71).
L’entrata in vigore delle norme suddette aveva subito prodotto polemiche,
talvolta pretestuose, talaltra fondate, risolte per lo più con atteggiamenti di
basso compromesso , senza soddisfare, però, alcuna esigenza di certezza
giuridica, pur così importante, specie nel campo dei tributi.
Molto, ad esempio, si era discusso sulla ragione della mancata previsione
di un’analoga tutela con autorizzazione giudiziaria per attività professionali
svolte sotto forma di società, se cioè “la forma societaria potesse essere
considerata elemento sufficiente per operare una così penalizzante
65
In sostanza, i rappresentanti dell’A.F. non possono procedere ad autonome ricerche, potendo
esclusivamente richiedere e far constare sul verbale i documenti e le scritture.
66
Si ricorda che l’art. 10, n° 4, l. 825/71 (legge delega per la riforma fiscale) aveva indicato a livello di
principi e criteri direttivi di riforma, “il perfezionamento del sistema di accertamento nei confronti degli
esercenti la libera professione nei rispetto del segreto professionale”.
49
discriminazione, atteso che il rapporto professionista-cliente è pur sempre
fondato su base fiduciaria67” .
Trattamenti così fortemente differenziati per ipotesi (forma societariaforma non societaria) che la legge delega tendeva naturalmente ad
accomunare con il rispetto del segreto professionale, era parsa a molti
arbitraria, oltre che illegittima costituzionalmente, perché in aperto
contrasto con gli artt.3 e 76 Cost., nonché col già citato art. 10, n° 4 della
legge delega68.
Il tutto era complicato dall’equiparazione, operata da certa dottrina, tra
accesso (e connesse attività di ricerca) e perquisizione, quantunque essa
fosse priva di reale contenuto69.
Essendo l’autorizzazione del magistrato in sede d’accesso considerata una
mera formalità, restava irrisolto e sostanzialmente aggirato il latente
contrasto tra tale “atto dovuto” e la rilevanza costituzionale dei diritti
dall’accesso limitati70.
67
CAPOLUPO, op. ult. cit., p.602 spec. nota 3.
Sul punto, v., fra gli altri, FALSITTA, “Accessi ispezioni e verifiche dell’amministrazione finanziaria
negli studi professionali”, in Giur. com., 1976, I, p.329 ss.
69
Sulla differenza tra accesso ispettivo e perquisizione, come momenti separati di autonome attività,
l’una ha carattere amministrativo, l’altra di tipo giurisdizionale penale, v. par. 1.2.2.
70
V., sul punto, G. OLIVA, “Verifiche ai professionisti”, in Boll. trib. inf., 1976, p.273 ss.; GIULIANI,
“L’accertamento delle violazioni IVA”, ivi, 1973, p.589 ss.; GRANELLI, “La tutela giuridica del segreto
professionale nelle ispezioni fiscali”, in Dir. prat. trib., 1980, p.465 ss.
68
50
Rimaneva, poi, l’ulteriore questione relativa al rapporto intercorrente tra
l’accesso autorizzato e le successive ricerche, giacché l’autorizzazione
suddetta nulla garantiva in termini di tutela del contribuente71.
Da quest’angolo visuale, l’ostacolo era rappresentato dal fatto che, una
volta ottenuto dal giudice l’autorizzazione all’accesso, la finanza poteva
procedere ad ispezioni, verifiche e ricerche senza alcun limite e, dunque,
senza tener conto del segreto professionale. Inoltre, l’esame e la ricerca di
tutti i documenti, libri, e registri che si trovavano nei locali non rispettava,
di fatto, la previsione ex art. 15 Cost., che, per converso, consente l’esame
della corrispondenza soltanto previo atto motivato dell’A.G.
Questi motivi di doglianza erano stati rappresentati da più parti, trovando,
tuttavia, scarsissimo seguito in sede giurisprudenziale, probabilmente a
causa dell’impossibilità di individuare precise limitazioni nel dato
normativo72.
Talune Procure della
Repubblica, richieste di pareri sulla questione,
avevano, in buona sostanza, rilevato come, a fronte di un’eventuale
eccezione del segreto professionale, esso potesse essere validamente
opposto “solo per quei documenti, in ordine ai quali debba essere tenuto
per interessi diversi da quelli economici e fiscali del professionista o del
71
V. CAPOLUPO, op. ult. cit., p.604.
Cfr., per uno dei pochissimi precedenti giurisprudenziali, P. Firenze 6 novembre 1975, in Boll. trib.
inf., p.865.
72
51
cliente”, argomentando che la opinione opposta non sarebbe risultata
condivisibile, poiché il semplice deposito di documenti presso un
professionista sarebbe bastato a sottrarli al controllo fiscale73.
Su posizioni più rigide era attestato un altro settore della magistratura,
secondo cui la documentazione di studio non poteva essere acquisita ed
esaminata, trattandosi di corrispondenza privata74.
In definitiva, il dubbio era se esistessero o meno effettivi limiti al segreto
professionale.
I fautori della mancanza di limiti facevano leva sul segreto d’ufficio, cui
sono tenuti pure gli operatori fiscali. Per contro, coloro i quali tendevano
ad allargarne la sfera d’operatività, invocavano il rispetto del segreto
professionale, argomentando che il semplice segreto d’ufficio non avrebbe
mai potuto surrogarlo75.
***
Da quanto fin qui rilevato, era evidente l’urgenza di un chiarimento
normativo, ed esso è finalmente giunto, a seguito dell’entrata in vigore del
D.L. 413/91, finalizzato al potenziamento dei poteri istruttori della finanza.
Esso, all’art. 18, lett. F), g), h), ha modificato il primo ed il terzo comma
dell’art. 52, D.P.R. 633, di modo che a decorrere dal 1° gennaio 1992 – gli
73
74
Le due posizioni con la relativa giurisprudenza in CAPOLUPO, cit., p.604 ss.
Idem
52
accessi presso studi professionali possono essere eseguiti direttamente
(senza, cioè, la preventiva autorizzazione della magistratura).
La scomparsa del preventivo controllo giudiziario è stata bilanciata con la
prescritta presenza del titolare dello studio o di un suo delegato al momento
dell’accesso, si da poter eventualmente eccepire, in sede di successiva
ispezione, il segreto professionale, in relazione a richieste o ad acquisizioni
ad esso correlate76 .
E’ da rilevare subito, d’altro canto, qualche inconveniente che questo
nuovo assetto normativo potrebbe comportare.
Se è vero, infatti, che, da un punto di vista strettamente teorico,
l’aggiornamento legislativo non crea incertezze, è altresì prevedibile che
esso operativamente possa lasciare spazio a possibili abusi77.
Non ha esitato la dottrina a sottolineare, in tal senso, taluni punti critici,
sintetizzabili nei seguenti quesiti:
- quid iuris, se il titolare dello studio si sottragga ripetutamente alla
verifica non facendosi mai trovare?;
-
come può identificarsi il titolare dello studio ?;
-
quale forma deve assumere l’eccezione del segreto professionale?;
75
Cfr. FALSITTA, op. ult. cit., p.333.
Cfr. art. 52, ultimo comma, ultima parte.
77
Lo nota CAPOLUPO, op. ult. cit., p.600 ss.
76
53
-
Quale (nuova ) valutazione può attribuirsi all’autorizzazione giudiziaria
ex art. 523 ?;
-
Che interpretazione può darsi al richiamo all’art. 103 c.p.p., fatto
espressamente salvo dalla norma così come aggiornata?
Cominciamo
subito col dire che le indicazioni normative sono
estremamente scarse e lacunose, e, dunque, tali da non rendere di per sé
certe le soluzioni ai quesiti suesposti. Occorre, perciò, procedere in via
necessariamente interpretativa e, dunque, si dovrebbe auspicare un nuovo,
chiarificatore intervento legislativo.
In relazione al primo punto, ci si è chiesti se la prassi possa cercare di
aggirare la possibilità di reiterate assenze del titolare o del suo delegato
ricorrendo ad una “presunzione di esistenza” di una delega a favore di
qualunque soggetto, comunque presente presso lo studio (sempre
beninteso, superabile da un atto scritto di data certa da cui risulti che il
titolare non ha delegato nessuno a presentazione dell’accesso) o se sia
ipotizzabile, ad esempio, farsi autorizzare all’accesso dal Procuratore della
Repubblica o dall’autorità giudiziaria più vicina, in analogia a quanto
disposto dal III comma dell’art. 5278 . Senonchè, la prima soluzione
finirebbe con l’abolire di fatto le ragioni della tutela che il legislatore ha,
senz’altro, voluto attribuire ai professionisti al momento dell’accesso;
78
IDEM, sul non facile aggiramento con interpretazioni analogiche di queste previsioni..
54
mentre il ricorso ad interpretazioni analogiche in un sistema di poteri
caratterizzato da fattispecie tipiche ed esclusive si prospetta, quanto meno,
assai discutibile.
Un chiarimento normativo è, qui, senz’altro necessario.
Quanto al secondo quesito, esso si appalesa del tutto pertinente
nell’eventualità, poniamo, che più professionisti esercitino disgiuntamente
la propria attività in locali separati di un medesimo appartamento. In questi
casi, essendo tutti, per così dire, contitolari dello studio, sarebbe pur lecito
desumere che ciascuno di essi possa assistere personalmente all’accesso.
Aderendo alle critiche di certa dottrina79, ci sembra sarebbe stato più logico
che la presenza del titolare o del suo delegato venisse riferita non
all’accesso, bensì alla susseguente ispezione, se vero obiettivo della riforma
doveva essere quello di potenziare, pur nel rispetto del segreto
professionale, i poteri di controllo dell’A.F. Ma qui ha prevalso l’istinto al
compromesso, e si è voluta bilanciare l’abolizione dell’autorizzazione
giudiziaria con una doppia tutela (indiretta in sede d’accesso, diretta in
sede d’ispezione), che, anziché risolvere i dubbi, li ha, se possibile,
accresciuti.
79
SALVINI, “Accesso e ispezione della G.d.F. negli studi professionali, Riv. dir. tr., 1992, I, p.28 ss.
55
In quanto, poi, alla forma con cui eccepire il segreto professionale, si
ritiene che esso possa essere opposto anche oralmente agli operatori, da
parte del professionista.
Non occorre, dunque, alcun atto scritto, che viene, invece richiesto nel
processo penale ex art. 256 c.p.p.
Già prima del d.l. 413, i pareri di alcune Procure della Repubblica e una
circolare della G.d.F.80 avevano, però, richiamato l’attenzione degli
operatori sulla necessità di trasmettere atti oggetto di eccezione al
magistrato cui l’autorizzazione (ex art. 523 ) fosse stata richiesta.
Si viene, così, al quarto quesito: la trasmissione degli atti, cui l’art. 523
aggiornato non fa cenno, comporterebbe una valutazione, da parte del
magistrato, non certo un’automatica autorizzazione, susseguente alla
richiesta del magistrato.
Che natura attribuire, allora, all’autorizzazione in parola?
Tacendo sul punto, la legge costringe ancora una volta l’interprete a
scegliere tra opzioni diverse, che possono schematizzarsi semplicemente
domandandosi se il legislatore abbia voluto rendere superabile il segreto
professionale a seguito dell’autorizzazione o se abbia inteso conferire al
80
Procrura generale della Repubblica di Torino, nota 23 aprile 1976; Procura generale della Repubblica
di Catanzaro, protoc. n° 5992, 30 ottobre 1976 ecc.; circ. Guardia di Finanza n° 1/1998.
56
giudice la decisione sull’esistenza o meno del segreto, ovvero
sull’opportunità di farlo o meno valere nei confronti del fisco81 .
Di qualche utilità può essere l’art.18 co4 , d.l. 413/91, che obbliga i
magistrati a “impartire le opportune disposizioni per l’utilizzo riservato e
corretto dei dati raccolti e rilevanti ai fini dell’accertamento”, e il
successivo 5° comma, che sanziona la rivelazione di dati senza giusta
causa.
Argomentando da queste prescrizioni, si dovrebbe escludere qualsiasi
valutazione di merito del magistrato e, dunque, concludere nel senso che
l’autorizzazione del magistrato sia:
- da un lato, una semplice formalità prevista per l’acquisizione di dati e
notizie, oggetto di eccezione da parte del professionista;
-
dall’altro, non impugnabile immediatamente ed autonomamente dal
contribuente, non avendo alcuna valenza decisoria;
Da ciò conseguirebbe che non possa essere sindacato il segreto
professionale, come vizio per addurre l’illegittimità dell’attività istruttoria
e dell’accertamento davanti alle commissioni Tributarie82 .
Rinviando ad altra sede la risposta al quinto ed ultimo quesito83 ,
l’orientamento di chi scrive propende per l’inderogabilità del segreto
81
Cfr. MANZONI, Potere, cit., p.254 ss.; SALVINI, Accesso e ispezioni negli studi professionali, in Riv.
dir. trib., 1992, I, p.28 ss.
82
V. MANZONI, cit., p.25; SALVINI, cit., p.30-31.
57
professionale: il controllo giudiziario serve, cioè, a nostro parere, a
garantire che soltanto quanto non ne è coperto sia acquisito al
procedimento tributario.
L’art. 52 decr. IVA va, infatti, coordinato, in ragione del rinvio ex. art. 70
D.P.R. 600 e 75 D.P.R. 633 agli artt. 200 e 256 c.p.p.84 , che sanciscono tale
inderogabilità pure a fronte dell’interesse alla repressione penale85 .
1.2.5. (segue) Le indagini bancarie.
Se la disciplina del segreto professionale ha subito radicali trasformazioni,
a seguito del d.l. 413/91, ancor più rilevanti sono state le modifiche che
esso ha apportato al regime del segreto bancario, in sede, appunto, di
indagini istruttorie della finanza coinvolgenti istituti bancari
(nonché
postali). Nella logica della lotta alla crescente evasione fiscale, il legislatore
del ’91 pare essersi, secondo certa dottrina “maramaldescamente” accanito
sull’istituto in esame che, già prima del citato decreto, appariva, invero,
83
Sulla configurabilità dell’autorizzazione giudiziaria come atto decisorio autonomamente impugnabile e
sulla invocabilità del segreto professionale ai fini della deduzione di illegittimità istruttoria, a seguito di
violazioni in sede di contestazione del segreto, v. SALVINI, cit., p.37 nonché infra, cap. III, per il
richiamo dell’art. 103 c.p.p.
84
Entrambe le norme rimandano al codice di diritto penale per quanto non espressamente previsto dalla
normativa specialistica.
85
Per il rilievo che una deroga al diritto tributario debba sempre essere espressa, v. SCHIAVOLIN,
“L’utilizzazione”, cit., p.157 ss. e SALVINI “La partecipazione”, cit., p.255 ss. e 376.
58
assai
permeabile
e,
dunque,
sostanzialmente
inopponibile
alla
Amministrazione finanziaria86 87.
Com’è noto, la legge tributaria (anteriore alla riforma del ’91), come
modificata dal D.P.R. 463/82 riconosceva e tutelava il segreto bancario
(considerato alla stregua di una
di una norma consuetudinaria),
permettendo alla finanza di derogarvi solo in presenza di ben precisi
presupposti e con l’osservanza di date modalità.
La disciplina sul punto poteva, quindi, così riassumersi:
- gli Uffici potevano richiedere ad aziende ed istituti di credito e
all’amministrazione postale “copia dei conti” intrattenuti con il cliente
controllato, con specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali
conti, comprese le garanzie prestate da terzi. Potevano anche richiedere
86
Sui rapporti tra fisco e segreto bancario, cfr. CONSOLO, “Segreto bancario e sua permeabilità al fisco:
recenti evoluzioni normative”, in Boll. trib., 1992, p.1383 ss.; FERRO, “Utilizzabilità degli accertamenti
in deroga al segreto bancario e postale”, in Fisco, 1983, p.2737 ss.; RUSSO, “Questioni vecchie e nuove
in tema di operatività”, in Riv. dir. trib., 1991, I, p.80 ss.; MORO VISCONTI, “Fisco e segreto bancario”,
in Fisco, 1983, p.4212 ss.; NANULA, “Il segreto bancario nei rapporti tributari e penali”, ivi, 1995,
p.9547 ss.; GALLO, “Nuovi poteri degli Uffici e deroghe al segreto bancario”, ivi, 1983, p.959 ss.;
FLICK, “Informazione bancaria e giudice penale: presupposti di disciplina. Problemi e prospettive”, in
Banca e Borsa, 1988, I, p.441 ss.; BOSELLO, “Le deroghe al segreto bancario nei rapporti tributari”, in
Giur. imp., 1982, p.897 ss.
87
Vedasi G. FALSITTA in “Epicedio per il segreto bancario nei confronti del fisco”, in Riv. dir. trib.
1992, II. p.566 ss. L’intervento del succitato autore si pone a commento alla pronunzia della Corte Cost.
n° 51/1992, la quale non ha riconosciuto il segreto bancario come principio anche nei confronti
dell’amministrazione finanziaria, poiché in questo caso sarebbe incostituzionale la stessa legge delegante
825/71, laddove prevede, all’art. 10 n° 12, deroghe al segreto bancari limitate ad ipotesi di particolare
gravità e tassativamente determinate nel contenuto e nei presupposti. Dall’analisi delle motivazioni in
diritto, relative alla sentenza della Corte, l’A. ricava due implicazioni:
- tacitamente, la Corte avrebbe, a suo dire, esteso l’abolizione del segreto bancario, dalle indagini
fiscali su IVA e imposte reddituali anche ad altri tributi (INVIM, successione, registro, ecc.) non
essendovi alcuna ragione che giustifichi tale limitazione per materia;
- espressamente la Corte, dopo avere con forza asserito che potenzialmente “in via di principio
nessun documento o nessun dato, relativo agli utenti dei servizi bancari e detenuto
confidenzialmente dalle banche, può essere sottratto ai poteri di accertamento degli Uffici
59
ulteriori dati e notizie, ma solo attraverso l’utilizzo di appositi questionari
(art. 51, n°7, d.p.r. 633/72 e art. 32 n°7, D.P.R. 600/73);
- per poter procedere alla richiesta tanto della copia di conti, che di
ulteriore dati e notizie era necessario il preventivo, “conforme parere”
(da ritenersi, dunque, vincolante) dell’Ispettorato compartimentale
competente (e, per quanto riguardava la G.d.F., del Comando generale
di zona), nonché la “previa autorizzazione” del presidente della
commissione tributaria provinciale territorialmente competente (art.511,
bis, D.P.R. 633; art. 351 D.P.R. 600 /73)88 ;
-
gli Uffici, poi, si vedevano riconosciuta la facoltà di accedere
direttamente per mezzo dei propri funzionari presso banche e poste in
due casi: a) richiesta di dati e notizie, regolarmente effettuate e rimaste
inevase oltre il termine stabilito dalla legge; b) accertamento diretto dei
dati e delle notizie trasmessi dalle banche, se vi fossero “fondati
sospetti”, tali da porne in dubbio la completezza e l’esattezza (art. 52,
U.C., D.P.R. 633 e 332, D.P.R. 600/73);
-
tale ultima facoltà postulava un ulteriore requisito soggettivo, di modo
che l’accesso poteva essere eseguito solo da “funzionari dell’A.F. della
tributari”, altrettanto perentoriamente ha invocato in materia il rispetto del principio di legalità
onde evitare che il potere stesso possa essere esercitato “arbitrariamente e indiscriminatamente”.
88
Sulla qualificazione del “parere conforme” dell’ispettorato compartimentale in termini di
AUTORIZZAZIONE (ossia di controllo preventivo) che l’Ufficio deve procurarsi per esplicare il proprio
potere istruttorio, nonché della “previa autorizzazione” del presidente della commissione tributaria
provinciale alla stregua di atto materialmente amministrativo, ancorché promanante da soggetto
60
carriera direttiva con qualifica non inferiore a quella di direttore
aggiunto di prima classe”(art. 33 co 6, D.P.R. 600: art. 52 co 11, D.P.R.
633);
-
infine, l’effettiva possibilità di esercizio del potere di richiesta di dati e
notizie era subordinata alla sussistenza di precisi presupposti,
tassativamente elencati dall’art. 35, D.P.R. 600/73 e 51-bis (introdotto
dal D.P.R. 463/82), D.P.R. 633/72.
Come si vede, l’assetto normativo era assai particolareggiato, a
testimonianza della sensibilità e dell’attenzione riservata al segreto
professionale89.
***
Su questo regime normativo molto si era discusso a proposito, per esempio,
della natura delle prescritte autorizzazioni, delle modalità delle richieste e
degli accessi ispettivi, ma su questi punti si è già avuto modo di riferire,
mutatis mutandis , o ci si soffermerà nel prosieguo della trattazione.
Importa, qui, accennare, invece, alla problematica dei presupposti di fatto,
alla cui sussistenza la legge subordinava la possibilità per gli Uffici di
procedere agli accessi.
giurisdizionale consistente in un controllo di mera legittimità dell’atto, vedasi RUSSO, Questioni, cit.,
p.86.
89
Si occupa analiticamente dei citati presupposti per la deroga, BOSELLO, “Le deroghe al segreto
bancario”, cit., p.906 ss.
61
In tal senso, si discuteva se, accanto o limitazioni istruttorie, fossero o
meno ipotizzabili, a carico degli uffici, profili di inutilizzabilità ai fini
fiscali, di documenti acquisiti da altri organi, in deroga al segreto bancario.
La dottrina prevalente e una più che consolidata giurisprudenza
propendevano
per una soluzione improntata ad
estremo garantismo,
argomentando dalla tassatività delle ipotesi dai citati art. 35 e 51-bis, nel
senso che, al dì fuori di tali fattispecie, sarebbe stata preclusa agli uffici non
solo la possibilità di procedere direttamente al reperimento di dati e notizie
in deroga al segreto bancario, ma altresì la possibilità di utilizzare, ai fini
dell’accertamento, i dati e le notizie che fossero raccolti da altri organi in
deroga al segreto stesso.
Insomma, la sussistenza di tali presupposti non era solo considerata
condizione di legittimità dell’attività istruttoria della finanza, ma altresì,
condizione per l’utilizzo probatorio di dati e notizie coperti dal segreto
bancario90 .
Esemplificando, poteva accadere che, nel corso di indagini penali, la
polizia giudiziaria acquisisse dati e notizie rilevanti ai fini fiscali. Orbene,
90
In tal senso cfr. in giurisprudenza: Cass., 10918/1992 in Mass. Foro it.; ID. 10476/1992 in Corr. trib.,
1992, p.3254; Com. trib. Cent. n° 7902/1990 in Boll. trib. inf., 1991, p.1126; IDEM, 4205/1989, ivi,
1990, p.934; ID. 6849/1988, ivi, 1989, p.1356.
Va del resto ricordato che nello stesso senso di tale giurisprudenza è anche l’orientamento della
Amministrazione (v. risol. n° 420207/1981 in Riv. lg. fisc., 1981, p.451).
In dottrina, sul problema, cfr. BARDI, “Accertamento tributario fondato su prove acquisite in violazione
del segreto bancario” in Boll. trib., 1983, p.105; GRANELLI, “In tema di utilizzazione tributaria di
elementi acquisiti in istruttorie finali”, ivi, 1982, p.823 ss.; CASELLA, “Poteri istruttori mentali; segreto
bancario e prove illecite”, Proc. trib. e garanzie del cittadino, Padova, 1984, p.19 ss., nonché MANDO,
62
si riteneva, per lo più, che essi, ancorché legittimamente trasmessi,
(attraverso l’autorizzazione del pubblico ministero) non potessero essere
utilizzati dagli Uffici, se non in presenza dei presupposti di cui si è detto91.
Certa giurisprudenza, in casi consimili, era arrivata a sollevare finanche
questione di legittimità costituzionale relativamente agli artt.35 e 51-bis
citati, per possibile contrasto con gli artt.3, 53, 76 Cost., supponendo che
in materia d’I.V.A. non fossero previste deroghe al segreto bancario92.
Altra dottrina, seguita dalla giurisprudenza minoritaria, riteneva, invece,
che occorresse distinguere tra attività istruttoria degli Uffici (vale a dire, il
potere di procedere direttamente a richieste, ispezioni e verifiche per
procurarsi dati e notizie utili ai fini dell’accertamento) e la possibilità di
utilizzare i dati e le notizie di cui essi fossero venuti legittimamente in
possesso a seguito di indagini altrui93.
A modesto parere
di chi scrive, appare logicamente plausibile il
considerare le due attività (istruttoria l’una, di utilizzazione probatoria
l’altra), operanti su piani distinti. In effetti, non si vede per quale motivo
una norma, mirante unicamente a regolare i poteri istruttori della finanza in
“limiti di utilizzabilità ai fini fiscali di documenti acquisiti in deroga al segreto bancario”, in Rass. trib.,
1985, p.435 ss.
91
In ordine all’illegittimità dell’ordinanza con cui il giudice penale avesse autorizzato la Guardia di
Finanza ad utilizzare a fini fiscali la documentazione sequestrata nel procedimento penale presso una
banca, cfr. Cass. 6 – 15 maggio 1981, con nota di GRANELLI, “Può il giudice autorizzare la violazione
di legge?”, in Boll. trib. 1983. p.429 ss.
92
V. ord. Com. trib. II grado di Venezia 1° aprile 1982, inedita.
63
tema di indagini bancarie, potesse estendere la propria portata fino ad
impedire l’utilizzo di elementi fiscalmente rilevanti che pure fossero stati
legittimamente raccolti da altri organi. Se, cioè, gli Uffici non potevano
svolgere certe indagini, ciò non doveva necessariamente significare che
non potessero neppure utilizzare dati e notizie raccolte, nel rispetto della
legge, ad esempio nel corso di indagini penali.
C’era, allora, una preclusione istruttoria, ma non un limite di ordine
probatorio.
A conferma di questa tesi, come illustrato da autorevole dottrina,
militava94, la stessa legge che, a norma degli artt. 33 D.P.R. 600 e 63
D.P.R. 633, imponeva alla G.d.F. di trasmettere (previa autorizzazione
dell’A.G., in relazione alle norme che disciplinavano il segreto
istruttorio95), i documenti, dati e notizie, acquisiti nell’esercizio dei poteri di
polizia giudiziaria e valutaria; ciò che, oltre ogni ragionevole dubbio,
dimostra come già allora non esistesse alcuna preclusione di tipo generale
“all’utilizzo, da parte degli Uffici, di dati e notizie provenienti da indagini
di competenza di altri soggetti”96 .
93
Su questo ordine di idee è attestato, fra gli altri, MANZONI, “Potere di accertamento, cit., p.274. In
giur. cfr. Cass. n° 4989/1991, in Boll. trib. 1991, p.1437; ID. n° 1935/90, ivi 1577 ;
Comm.Trib.Centr.n.5369/91, ivi 1993, 750.
94
Id., Poteri, cit., p.275.
95
sulla modifica dell’inciso “in relazione alle norme che disciplinano il segreto istruttorio” con l’inciso
“anche in deroga alle norme che disciplinano il segreto istruttorio”, operata dall’art. 23 D.L.vo 74/2000.
V. le nostre considerazioni, esposte nel IV capitolo, nonché l’interessante monografia di CARACCIOLI –
GIARDA – LANDI, “Diritto e procedura penale tributaria”, Padova, 2001.
96
Testualmente, in MANZONI, cit.
64
Ad ogni buon conto, il d.l. 413/91 citato all’inizio ha troncato ogni
discussione, abrogando sia l’art.35 D.P.R. 600/73, che l’art.51-bis, D.P.R.
633/72.
Ciò ha prodotto le seguenti innovazioni:
- è ora richiesta soltanto l’autorizzazione preventiva della Direzione
regionale delle Entrate, per richiedere copia dei conti intrattenuti con i
contribuenti;
- è possibile, poi, richiedere ulteriori dati, notizie e documenti di carattere
specifico, relativi agli stessi conti dopo la richiesta della copia dei conti e
solo con questionari modello conforme a quello approvato dal ministro
delle Finanze;
- è stato introdotto l’obbligo per il responsabile della sede o dell’Ufficio,
cui la richiesta è rivolta, di darne immediata notizia al soggetto interessato,
ossia al contribuente indagato;
- gli accessi ispettivi presso banche o sedi postali patiscono i già ricordati
limiti, relativi alla mancata trasmissione, entro il termine di scadenza, e al
fondato sospetto circa la non completezza o inesattezza delle risposte
inviate;
- è stata soppressa, per i medesimi accessi, l’autorizzazione del Presidente
della Commissione provinciale territorialmente
65
competente, ma occorre
ancora, come detto, quella dell’Ispettorato compartimentale, ora Direzione
regionale delle Entrate;
- l’accesso deve essere ancora effettuato da funzionari tributari della
carriera direttiva;
- alle operazioni di ispezione e verifica è ,ora, necessario che assistano il
responsabile della sede o dell’ufficio o un loro delegato;
- di esse deve essere data immediata notizia al soggetto interessato (artt.
336 , D.P.R. 600/73), da parte del responsabile suddetto.
In conclusione alcune precisazioni riguardo :
- alle autorizzazioni prescritte;
- all’obbligo di dare immediata notizia al soggetto interessato, da parte
delle banche (o delle poste) interpellate dalla finanza.
Quanto al primo punto, occorre anzitutto non dimenticare che
all’autorizzazione dell’Ispettorato occorre anche aggiungere quella del
capoufficio (o del comando di reparto della G.d.F.), che è sempre
necessaria in tutte le ipotesi di accessi da parte dell’Amministrazione
finanziaria.
Sulla natura e funzione dell’autorizzazione dell’Ispettorato, riteniamo che
essa sia, in sostanza, equiparabile a quella del Procuratore della Repubblica
ex art.522 .
66
In relazione, poi, all’obbligo di informare il contribuente controllato da
parte del responsabile della sede interpellata, ci pare che esso non si ponga
propriamente come condizione di legittimità dell’attività istruttoria della
finanza. Semmai, il contribuente, che potrà sempre far valere le proprie
difese con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, gode delle azioni di
responsabilità contro la banca o l’azienda inadempienti, come pure, del
resto, deve ritenersi in caso di mancata eccezione del segreto professionale
o bancario97 98 .
Conclusivamente, ci pare che, sebbene in molti ritengano sostanzialmente
abolito il segreto bancario99 , l’opinione per noi più convincente è quella
secondo cui, pur a fronte di un palese rafforzamento dei poteri istruttori
della finanza, l’ordinamento tributario continui a degnare l’istituto in esame
di particolari cautele. Non si spiegherebbero, altrimenti, la persistente
necessità, ai fini dell’accesso diretto presso le banche da parte della
finanza, oltre che dell’autorizzazione del capoufficio (sempre necessaria,
ripetiamo, in ogni ipotesi di accesso ispettivo), anche della preventiva
autorizzazione della Direzione regionale delle Entrate, e l’altrettanto
necessaria eventualità che ricorrano due presupposti di fatto (mancato
97
Si sono riportate le conclusioni cui perviene MANZONI, op. cit., p.279, da noi condivise.
Sugli ultimi interventi registrati in dottrina in relazione agli accessi e ai conseguenti accertamenti
presso banche v., per tutti, RUSSO, “La prova sul processo tributario”, Milano, 2002.
99
Sull’abolizione dell’istituto leggasi, in particolare, SCHIAVOLIN, “Appunti sulla nuova disciplina
delle indagini bancarie”, in Riv. dir. trib., I, p.80 ss., nonché TOSI, “Segreto bancario: irretroattività e
portata dell’art. 18 l. 413/1991”, in Rass. trib., 1995, p.1383.
98
67
risposta alla richiesta nel termine previsto; fondato sospetto di non
completezza o esattezza delle risposte fornite.).
1.2.6. (segue) Abitazioni ed altri luoghi.
Possiamo ora ad interessarci all’ipotesi dell’accesso nel domicilio del
contribuente100 .
E’ di tutta evidenza, in via del tutto preliminare, la constatazione per
cui”l’accesso dei dipendenti dell’Amministrazione finanziaria in locali
diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole,
artistiche e professionali necessiti di cautele maggiori.
Si tratta, infatti, di luoghi utilizzati per la vita privata, rispetto ai quali il
legislatore ha ritenuto di porre limiti più rigorosi, rispetto a quelli previsti
per i luoghi destinati ad attività lavorative, perché l’autorizzazione
all’accesso può essere rilasciata dal pubblico Ministero soltanto in caso di
gravi indizi di violazione delle norme tributarie, allo scopo di riferire libri,
100
Per quanto non sarà possibile esporre in questa sede, si rinvia fin d’ora alla monografia di G.
BERSANI, “Accertamento tributario e tutela del domicilio del contribuente”, in Circ. Corr. trib. 5/96,
p.5–24.
68
registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni (art. 52 co2
D.P.R. 633/72).”101
In linea generale si può affermare che la politica antievasione dello Stato,
sovente, deve misurarsi con i diritti costituzionalmente garantiti ai
contribuenti. Sul piano fiscale, infatti, si confrontano due esigenze che, sia
pure per motivi di versi, risultano entrambe meritevoli di tutela.
L’accennata tendenza non può essere perseguita in modo indiscriminato. A
monte, giova riportarlo, il prelievo fiscale è regolamentato da una rigida,
riserva di legge che, considerata l’elevata incidenza che lo stesso riverbera
nella sfera giuridico-patrimoniale del soggetto passivo dell’obbligazione
tributaria, impone una preventiva disciplina che individui entità, modi e
tempi della contribuzione. E’ evidente, poi, che anche l’attività di
legiferazione non può essere spinta oltre certi limiti, tra cui un rilievo
importante assume quello sancito dall’art. 14 della costituzione. Viene,
dunque, in considerazione il principio di inviolabilità del domicilio che, si
è osservato, “nel sistema delle libertà fondamentali […], viene a
configurarsi
come la situazione giuridica attiva più direttamente e
101
Così si esprime C. ALBANELLO, “Accesso in abitazioni private: ammissibilità di tutela
giurisdizionale, anche immediata, della libertà di domicilio”, in Riv. dir. trib., 1991, II, p.388 ss. Cfr.
anche DRAGONE, “Accesso del domicilio e sindacato della Commissione tributaria: la inutilizzabilità
della prova illegittimamente acquisita”, in Rass. trib., II, p.990 ss. In Giurisprudenza, cfr. Com. II grado
di Padova, 1998, Sez. IV, n° 5009; Com. I grado di Venezia, Sez. IX, 14/5/1988; Com. II grado di
Venezia, Sez. IV, n° 334/1988; Com. I grado di Venezia, Sez. IX 17/12/1988 ivi, p.76-77 ; nonché Cass.
Sez. Unite 8062/1989 in Riv. dir. trib., 1991, II, p.383 ss.; Cass. Sez. civ. 7368/98, in Rass. trib. 5/98,
p.1382 ss.; Cass. Sez. I civ. 153/96, con nota di SCHIAVOLIN, “Criteri interpretativi delle norme sulle
69
immediatamente
connessa alla libertà personale,
prevista dall’art.13
Cost., dal momento che nel domicilio si concretano presupposti spaziali o
di ambiente, suscettibili di condizionare e garantire le prime forme di
estrinsecazione della personalità, quali quelle che si identificano nelle
molteplici manifestazioni individuali o associate della vita privata102.
Ma cosa si deve intendere, ai fini che qui rilevano, per domicilio? La
giurisprudenza, specie costituzionale, ha allargato negli ultimi anni tale
nozione rispetto al concetto ristretto desumibile dall’art.614 del codice
penale, procedendo per via pretoria, alla trasformazione103 in domicilio di
qualunque “luogo di privata dimora” di cui si disponga “a titolo privato”,
ma in cui non necessariamente si svolgono attività domestiche : si pensi
all’autovettura , al fondo rustico, al cabinato, alla baracca, alle cantine, ai
balconi, alle
rimesse. Tale ampliamento del concetto di domicilio,
avvertito come strettamente legato alla libertà personale, si ritrova già,
peraltro, invocato in sede di Assemblea Costituente, dalla lettura dei cui atti
si evince l’orientamento ad estenderlo alla sede dei partiti o delle
associazioni sociali104. Preoccupazione del Costituente è stata , d’altro
canto , di non assolutizzare la tutela domiciliare, perché occorreva pur
indagini fiscali: a proposito dei limiti soggettivi al potere di accesso presso abitazioni”, in Riv. dir. trib.,
1996, II, p.910 ss.
102
Così testualmente, BERSANI, op. cit., p.5.
103
Cfr., a mò di esempio, Corte Cost. n° 88/1987, che è giunta alla conclusione che l’autovettura
costituisca luogo di privata dimora, sia pure esposta al pubblico, dal quale il titolare ha diritto di escludere
70
sempre evitare che interessi pubblici legittimamente prevalenti sul
domicilio non trovassero possibilità di realizzazione per eccessivo
garantismo.
E in questo senso, si è provveduto attraverso il secondo e terzo comma
dell’Art.14 Cost., mediante i quali, come ripetutamente si è osservato,
sono stati fissati punti di equilibrio apprezzabili tra interessi pubblici da
non sacrificare e interessi privati da difendere.105
Chiarita, sia pur approssimativamente, la nozione di domicilio, veniamo
alla disciplina dei poteri della finanza : essa può procedere ad accessi in
locali diversi da quelli nei quali siano svolte attività lavorative solo a
condizione che ricorrano come detto, gravi indizi di violazione e
munendosi preventivamente dell’autorizzazione
del procuratore della
Repubblica (art.52 co2 D.P.R 633/1942).
In quanto a quest’ultima autorizzazione, si rinvia al paragrafo ad essa
dedicato.
Sui gravi indizi di violazione, va sottolineato che essi non possono limitarsi
a semplici congetture, ma debbono consistere in fondati sospetti di
infrazione (pur dovendosi ricorrere al sistema delle presunzioni), da
ogni altro; “sicchè non può esservi dubbio che tutto questo attenga anche al concetto costituzionalistico di
domicilio”.
104
Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, I, seduta del 10 aprile 1947, p.780.
105
Sulla differenza tra secondo e terzo comma dell’art. 14, rispettivamente ricollegabili a misure
coercitive e ad atti che, al contrario, presuppongono la collaborazione del cittadino in quanto incoercibili,
v. BERSANI, op. cit., p.7 ss.
71
indicare già nella richiesta al Procuratore della Repubblica. Scopo della
norma è infatti di consentire (attribuendo ai verificatori un mezzo di
indagine eccezionale), l’accesso nel domicilio privato solo per ricercare
documenti di cui già si conosce l’esistenza e che si presume si trovino
occultati nella abitazione. Da ciò consegue che:
- l’accesso, in questo caso, non è mezzo di ricerca delle prove, ma
strumento per il mero reperimento delle stesse;
- se si parla di “gravi indizi”, si evidenzia con chiarezza che prima
dell’accesso vi deve essere stata un’ indagine, che deve essere, dunque,
già in corso ed in stato avanzato106.
***
Ancora qualche precisazione:
- il legislatore tributario ha tenuto anche qui ben presente la distinzione
concettuale tra accesso e perquisizione, nonostante che le modalità
operative, tenuto conto dello scopo dell’accesso, siano effettivamente
identiche; a riprova di ciò è sufficiente far riferimento al 3° co del
medesimo art.52 decr. I.V.A. in cui si richiede, a prescindere dal luogo
deputato alla verifica, l’autorizzazione dell’A.G. per procedere a
perquisizioni personali, apertura di mobili, casseforti ecc.107
106
107
V. BERSANI, op. cit., p.21.
Lo nota CAPOLUPO, “Manuale”, cit., p.619.
72
- la giurisprudenza richiede che l’utilizzo di locali come abitazione
privata sia effettivo e che non sia sufficiente la mera dichiarazione fatta
dal titolare di utilizzare gli stessi con tale scopo. Nel caso in cui, di fatto,
i locali non siano adibiti a casa di abitazione non occorre la preventiva
autorizzazione del Procuratore della Repubblica, posto che dolosamente
il contribuente li ha qualificati tali108.
- In merito all’accesso nell’abitazione privata, questione assai dibattuta in
dottrina, e affrontata a più riprese dalla giurisprudenza pratica, è se
l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica si ponga come conditio
sine qua non per la legittimità dell’atto anche in presenza di un esplicito
assenso dell’avente diritto, risultante dal verbale di accesso regolarmente
sottoscritto dal contribuente. Il punto è assai controverso. C’è chi, facendo
leva sui condizionamenti normativi della partecipazione del privato
all’accertamento, sull’irrilevanza giuridica di un suo comportamento attivo
e, più in generale, sull’insussistenza, come già rilevato, di un
istituzionalizzato contraddittorio anticipato pre-contezioso,109 è dell’idea
che l’adempimento spontaneo del contribuente non avrebbe alcuna
108
Cfr., in tal senso, Cass. Sez. I, n° 40/1985, p.2811. Si veda anche Com. trib. II grado di Padova, 1985,
II, p.824.
109
Non manca, invero, chi non ritenga che una sorta di contraddittorio amministrativo tra finanza e
contribuenti si realizzi già con la stesura del processo verbale di constatazione, come ad esempio
MOSCHETTI, “Impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie del verbale di violazioni I.V.A. per
illegittima determinazione della pena definibile in via breve”, in Riv. Dir. Fin. Sc., fin., 1978, II, p.105
ss.
73
efficacia sanante rispetto ad atti istruttori
illegittimi (nella specie,
consistente nella mancata autorizzazione giudiziaria)110.
Altri, invece, sostengono un’ interpretazione teleologica della procedura
approntata dal legislatore per l’accesso nel domicilio privato, per cui essa
sarebbe diretta a tutelare la libertà del contribuente, senza, con ciò,
sottrargli la disponibilità del proprio domicilio.111
A nostro modo di vedere, occorre chiedersi se il diritto all’inviolabilità del
domicilio sia disponibile da parte di chi ne sia titolare: essendo evidente
che lo sia, ben potendo, dunque, venire esercitato liberamente, pare fondato
ritenere il consenso dell’avente diritto sufficiente a legittimare, a tutti gli
effetti, l’accesso nella propria abitazione. Riteniamo, cioè, di poter
condividere la seconda delle interpretazioni surriportate, giacchè l’esercizio
di un diritto disponibile da parte del titolare, dotato di piena capacità di
agire, renderebbe superflua la garanzia
costituita
dall’autorizzazione
giudiziaria.
Certo occorre, però, che la spontanea collaborazione non venga confusa
con un consenso coartato, sulla base di minacce di inesistenti sanzioni da
parte degli operatori tributari, tali da rendere l’atto del contribuente
110
Cfr., in tal senso, per tutti, PORCARO, Vizi oggettivi dell’attività istruttoria e spontaneità
nell’esibizione dei documenti”, in Rass. trib. 2/98, p.524 ss.
In giurispr. Cass. Sez. I, civ. n° 11036/97, ivi p.520 ss.; Cass. Sez. I, civ. n° 7368/98 in Rass. trib. 5/98,
p.1382 ss.
111
Su questa posizione si attestano, fra gli altri, LUPI, “Manuale”, p.270; CAPOLUPO, “Manuale”, cit.,
p.620. Per la giurisprudenza, Com. trib. I grado di Fermo, Sez. I n° 268/78, ivi, p.620.
74
irrilevante112 ; né spontanea collaborazione può significare mancata
opposizione del contribuente all’accesso, non potendo costui comunque
impedire l’ingresso nella propria abitazione, del quale rimarrebbe in tal
caso impregiudicata l’antigiuridicità.
Nessuna illegittimità sarebbe, insomma, ravvisabile, secondo noi, se
l’accesso si è verificato con l’assenso del contribuente, tanto che certa
giurisprudenza si è spinta forse troppo in là, al punto da presumerlo se nel
verbale di verifica non risulti una differente volontà113 . Ma questa ipotesi
presuntiva pare francamente infondata e, in ultimo analisi, da rifiutare.
- Altra questione assai controversa riguarda, infine, il problema
dell’acquisizione di documentazione di terzi nell’ambito di accessi
domiciliari e verifiche effettuate nei confronti di soggetti diversi.
A fronte di soluzione restrittive, avallate anche dalla Com. Trib. Cent.,
secondo le quali la libera acquisizione della documentazione di terzi non
sembra possibile, perché evidente sarebbe l’esistenza di un preciso rapporto
tra l’accertamento e la persona nei confronti della quale lo stesso
specificamente si rivolge114, pare a noi, in sintonia, peraltro, con un
consolidato orientamento della Cassazione, che non sia in alcun modo
112
V. G. VANZ, “Indagini fiscali rritali e caratteri della spontanea collaborazione del contribuente o di
terzi ai fini dell’utilizzabilità, del materiale probatorio acquisito”, in Rass. trib. 5/98 p.1387 ss.
113
V. Com trib Cent. 5030/92.
75
equiparabile all’accesso, eseguito senza autorizzazione, il reperimento di
documentazione concernente un soggetto economico diverso.
Pertanto, la legittimità dell’accesso debitamente autorizzato, a nostro
avviso,
comporta
la
legittimità
della
acquisizione
di
tutta
la
documentazione che ivi venga rinvenuta. Si deve pienamente convenire
con quella giurisprudenza che, pur circoscrivendo il potere di accesso al
luogo che nel decreto giudiziario risulti espressamene menzionato, ritiene
poi legittimo che si acquisisca il materiale rinvenuto senza alcun limite di
tipo soggettivo115 . I limiti all’accesso, che investono il piano dei poteri
istruttori, giustificabili in termini oggettivi per la tutela accordata al
domicilio, non possono tradursi in limiti ed acquisizioni probatorie
comunque legittime.
Detto questo, non vogliamo nasconderci un’obiezione che potrebbe essere
mossa in questi termini: che è la motivazione del decreto di autorizzazione
all’accesso a delimitare l’oggetto della ricerca, e che il decreto non
conferisce alcun potere di acquisire una documentazione estranea alla
ricerca stessa, essendone addirittura ignorata l’esistenza. Tuttavia, per
114
V. AMATUCCI, “Acquisibilità della documentazione di terzo in sede di accesso domiciliare”, in Corr.
trib. 19/1996, p.1557 ss. L’A. sottolinea un nesso tra specificità dell’autorizzazione e specificità
soggettiva . In giurisprudenza, Com. trib. Cent. 2069/93, in Corr. Trib. 42/1993, p.2825.
115
V. tra i sostenitori di questa interpretazione, MONDINI, “accesso al domicilio ed estensibilità
soggettiva”, in Dir. prat, trib. n° 5/1994, II, p.884. Secondo l’A. l’art. 52 decr. IVA stabilisce soltanto un
limite soggettivo, in quanto riguarda l’accesso ai locali, ma non prevede alcuna limitazione per
l’acquisizione delle prove ivi rinvenute; v. pure TUFANO, “Documenti acquisiti mediante accesso
domiciliare autorizzato”, in Com. trib. n° 4/1996, p.340, nonché DRAGONE, “Accesso nel domicilio”,
76
coerenza, questa tesi dovrebbe condurre alla conclusione della assoluta e
definitiva inutilizzabilità della documentazione sulla quale non potrebbe
più fondarsi alcun avviso, premiandosi la frode di chi occulti con maggiore
avvedutezza. E non ci sembra che la lettura dell’art. 52 imponga una tale
limitazione agli organi dell’accertamento116 .
Tutt’altro discorso va fatto, invece, se ricorre la necessità di recarsi in un
domicilio diverso da quello indicato dal decreto di autorizzazione. Essendo
obbiettivamente tutelata l’inviolabilità del domicilio, non v’è dubbio che, in
tal caso, l’Ufficio o la G.d.F. dovranno munirsi di altra autorizzazione117
118
.
1.2.7. Il regime delle autorizzazioni; l’autorizzazione del capoufficio.
Come si è potuto rilevare nelle pagine che precedono, mentre le richieste di
dati, notizie e documenti e lo stesso invito di comparizione possono a
ragione considerarsi quali mezzi istruttori di ordinaria amministrazione,
ben distinta importanza assumono, al contrario, i c.d. accessi ispettivi. Essi,
in ragione della complessità delle procedure cui danno luogo (e delle quali
si è tentato di dare conto) e a non voler considerare i pesanti limiti che
cit., p.993 e MANZONI, op. cit., p.237-239. In giurisprudenza, cfr., per tutte, Cass. n° 153/1996, in Riv.
dir. trib., 1996, II, p.910 con nota di SCHIAVOLIN, cit.
116
V., in tal senso, Cass. 2275/2001 e 10761/95.
117
Per “altro domicilio” può anche intendersi un’altra stanza nell’appartamento, nella disponibilità
esclusiva di un altro soggetto.
77
pongono a diritti anche fondamentali del cittadino, dovrebbero
rappresentare , non fosse altro che per economia di tempi ed efficienza
amministrativa, l’ultima ratio”, ossia l’ultimo dei mezzi cui la finanza
dovrebbe ricorrere, una volta esaurita ogni facoltà istruttoria che la legge le
riconosca.
Si è anche visto che per effettuare attività di controllo sostanziale esterne,
cioè presso privati, gli organi di accertamento debbono richiedere apposite
autorizzazioni che possono così schematizzarsi:
- autorizzazione preventive del capoufficio;
- autorizzazione del Procuratore della Repubblica;
- Autorizzazione dell’ispettorato compartimentale (ora Direzione regionale
delle Entrate) in caso di indagini bancarie.
Di esse ora diamo brevemente ad occuparci.
L’art. 52 co1 decr. IVA così recita: “Gli impiegati che eseguono l’accesso
devono essere muniti di apposita autorizzazione, che ne indica lo scopo,
rilasciata del capo dell’ufficio da cui dipendono119 .
Si è già evidenziato che tale autorizzazione si caratterizza per essere
necessaria in ogni ipotesi di accesso; che l’art.52 trascende l’imposta sul
valore aggiunto, in quanto che esso è richiamato espressamente con
118
Per ulteriori e più complete indicazioni su ciò, vedasi BERSANI, “Diritto e procedura penale
tributaria”, Milano, 1999. Cfr. pure, da ultimo, A. AMATUCCI, “Autorizzazione del Procuratore della
Repubblica e prove raccolte in sede di accesso domiciliare”, Fisco 16/2002, fase 1, p.6313 ss.
78
riferimento a numerosi altri tributi, fra cui quelli reddituali ( V. art.33
D.P.R. 600/73); che i medesimi poteri spettanti agli uffici delle imposte
risultano attribuiti, mediante espresso o indiretto rinvio, ad organi dell’A.F.
diversi dagli uffici competenti per l’accertamento dei rispettivi tributi, tra
cui, in particolare la Guardia di Finanza (V. art. 63 co1 D.P.R. 633/1792, e
art. 33, co3 D.P.R. 600/73)120 . Di fatto, dunque, l’art.52 è norma generale
in materia di accessi ispettivi.
L’autorizzazione del capo dell’Ufficio è sempre necessaria. Essa è
sufficiente per l’accesso in locali destinati all’esercizio di attività
commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché presso le
amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici economici, le società ed enti
che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi
ovvero attività di gestione ed intermediazione finanziaria anche in forma
fiduciaria (V. art. 52 co.11 , aggiunto dall’art.6 del D.P.R. 463/1982).
Può, inoltre (e lo si è visto), variare lo scopo dell’accesso, a seconda del
luogo da ispezionare.
Consideriamo ora due problemi, legati alla natura dell’atto e all’indicazione
dello scopo.
119
Cfr. sull’argomento, G. VANZ, “L’autorizzazione del capo dell’Ufficio IVA per l’esercizio delle
attività ispettive previste dall’art. 52 d.p.r. n° 633/1972”, in Riv. dir. fin. Sc. fin., 1994, I, p.296-318.
120
Così, per accedere presso aziende o locali adibiti anche ad abitazioni, l’accesso può essere autorizzato
“per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche ed ogni altra rilevazione ritenuta utile
per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni” (art. 52 co 1
79
In relazione al primo, appare opportuno dubitare circa l’esattezza dell’atto
in questione come autorizzazione121 . esso non è , infatti, atto con cui si
rimuove un impedimento all’esercizio di un diritto o potere preesistenti,
come insegna la dottrina amministrativa. In diritto amministrativo si
distingue tra autorizzazioni a singoli, a enti pubblici, e da organo a organo.
“Non risulta, invece, l’esistenza di autorizzazioni date nell’ambito di uno
stesso organo”. Né pare soddisfacente intenderlo alla stregua di un mero
ordine gerarchico (e, dunque, di rilevanza122 meramente interna), di una
semplice delega di poteri, o di un ordine rivolto al destinatario dell’accesso,
da cui scaturirebbe per quest’ultimo un obbligo di pati, posto che tali
definizioni sono, in effetti, estremamente riduttive, a tacere poi del fatto
che “se l’autorizzazione rilevasse come atto organizzativo interno
all’ufficio, non vi sarebbe stata alcuna necessità di una sua (…) previsione,
dato che la potestà ordinatoria inerisce necessariamente al rapporto
gerarchico, ed anzi ne rappresenta l’elemento qualificante”123 .
Potrebbe ,allora, forse sostenersi che l’autorizzazione del Capo Ufficio
altro non è se non l’atto di iniziativa, formalizzato all’esterno di un sub
procedimento d’ufficio.
d.p.r. IVA); mentre per accedere in locali diversi solo “allo scopo di reperire libri, registri, documenti,
scritture ed altre prove delle violazioni” (art. 52 co 2 d.p.r. IVA).
121
In questo senso SALVINI, “La partecipazione”, cit., p.351 e p.360.
122
Così VANZ, op. cit., p.303.
123
IDEM, ivi, p.307.
80
Ma, a prescindere dalla qualificazione giuridica, su cui tanti dubbi sono
stati avanzati, e del tutto pacifico, per converso, che tale autorizzazione
debba rivestire forma scritta e vada esibita al soggetto che subisce
l’accesso. Di tale esibizione è necessario, poi, dare riscontro o verbale.124
Quanto poi all’indicazione dello scopo, esso serve indubbiamente a
circoscrivere, con riferimento al caso specifico e in via preventiva ed
espressa, l’esercizio dei poteri di cui l’organo accertatore è titolare, al fine
di limitarli , di consentire al privato di conoscere l’ambito di controllo
operativamente scelto dall’ufficio ai fini dell’accesso e di valutare la
legittimità125 .
Si può poi, concordare con la tesi per cui, tenuto conto del rapporto di
gerarchia che lega capoufficio e organi procedenti l’autorizzazione de qua
abbracci il merito, da non intendere, però, come scelta discrezionale ai fini
di una buona gestione della cosa pubblica, ma come potere di consentire o
negare l’esecuzione dell’atto, secondo criteri di adeguamento o
proporzionalità tra mezzo da impiegare (l’accesso ispettivo, appunto) e fine
da perseguire (ovvero l’utilità del mezzo istruttorio ai fini dell’acquisizione
di elementi probatori a sostegno della pretesa fiscale)126 .
124
Così, per tutte, Com. trib. Cent. Sez. XV, n° 5901/1989, in Rass. Trib., 1990, II, p.657.
V. G. VANZ, op. cit., p.30.
126
La tesi è ripresa da RUSSO, Manuale, cit., p.266.
125
81
Conclusivamente, possiamo affermare che l’autorizzazione del capoufficio
è atto indispensabile dell’attività di ispezione tributaria, posto a garanzia
del soggetto che subisce l’attività stessa. In quanto tale, la sua esistenza e
legittimità condizionano la validità dell’intervento ispettivo.
1.2.8. (segue) autorizzazione del Procuratore della Repubblica
Per quanto concerne, adesso, l’autorizzazione del magistrato, essa è
richiesta in aggiunta a quello del capoufficio per poter accedere in locali
adibiti anche ad abitazione, nonché per l’accesso in locali diversi da quelli
in cui si svolgano attività lavorative (e dunque anche quelli esclusivamente
adibiti ad abitazione), solo, però, in casi gravi indizi di violazione delle
norme fiscali e ,sempre, ogni qualvolta si debba, durante l’accesso,
procedere a perquisizioni personali, apertura coattiva di plichi sigillati,
casseforti, ripostigli etc. (V. Art.52 co1 ultima parte e co2 ) o si eccepisca il
segreto professionale in relazione a dati e notizie richieste.
Anche l’autorizzazione suddetta è stata ed è al centro di vivaci dibattiti,
tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza.
I punti su cui si sono registrati i maggiori dubbi interpretativi attengono:
a) alla natura dell’atto;
b) al tipo di controllo che con esso si esercita, e dunque al suo contenuto;
c) alla necessità o meno che esso sia motivato
82
Sul punto sub a), non è ben chiaro se il provvedimento autorizzativo abbia
natura
amministrativa
o
giurisdizionale,
provvedimento giudiziario atipico127
128
oppure
costituisca
un
.
La soluzione al quesito non risponde solo ad un interesse accademico, ma
riveste anche una notevole rilevanza operativa, solo che si pensi che
abbracciare l’uno o l’altra delle opinioni reca con sé “una diversa
prospettazione circa il mezzo di impugnazione e di tutela contro le
eventuali irregolarità connesse all’autorizzazione”129 .
Da parte di alcuni, si è affermato che il provvedimento avrebbe natura
amministrativa, in considerazione del fatto che ,una volta emesso, nessun
potere sarebbe più riconosciuto all’A.G., che non dovrebbe neppure essere
informata delle operazioni compiute e dei risultati ottenuti in seguito
all’accesso 130 .
Su questo solco interpretativo si sono anche inserite opinioni pur
autorevoli, secondo cui la natura amministrativa dell’autorizzazione
127
Analogo quesito si pone con riferimento all’autorizzazione concessa dall’ispettorato compartimentale
ai funzionari II.DD. o dal Comandante di forza della Guardia di finanza in relazione alla nuova procedura
richiesta per la deroga al segreto bancario.
128
Con riferimento specifico all’autorizzazione del Procuratore della Repubblica come atto a natura
giurisdizionale, v. GRANELLI, “Ispezioni tributarie e segreto professionale”, in Fisco, 1980, p.3233 ss.;
GALLO, “L’accertamento dei reati tributari nel nuovo codice di procedura penale”, Milano, 1990, p.34
ss.; CASELLA, “Poteri istruttori tributari, segreto bancario e prove illecite”, in Proc. trib. e garanzie del
cittadino, Padova, 1984, p.19 ss. Sul rilievo che si tratterebbe, al contrario, di atto di tipo amministrativo,
cfr. MANDÒ, “Accesso in abitazioni private e poteri del p.m.”, in Boll. trib., 1980, p.234;
SANTAMARIA, “Accessi, ispezioni e verifiche (dir. trib.), Enciclopedia giur. Treccani, vol I, p.2;
FANTOZZI, Diritto, cit., p.312 ss.
129
Le parole riportate sono di BERSANI, “Accertamento tributario”, cit., p.21.
130
Così MANDÒ, “Accesso”, cit., p.243; contra, DUS, “L’imposta sul valore aggiunto”, Torino, 1981,
p.710. Tale autore ritiene che la finanza debba informare il magistrato dell’esito dell’accesso.
83
potrebbe essere affermata non solo oggettivamente, cioè con riferimento al
decreto autorizzativo, ma pure soggettivamente, trattandosi, in ultima
analisi, “ di atto adottato dal magistrato come organo amministrativo
espressamente individuato dalla legge”131 .
Un’altra corrente pensiero ha sostenuto, per converso, che l’atto
autorizzatorio sarebbe atto giurisdizionale, per cui ne sarebbe ammesso il
ricorso alla Corte Suprema, ai sensi dell’art. 111 Cost., con un’estensione
di tale norma al di là dei provvedimenti limitativi della libertà personale (e
cioè anche, ad esempio, a quelli compromissori del domicilio)132 .
Altri interpreti hanno, infine, fatto rientrare l’autorizzazione del magistrato
del Pubblico Ministero (come d’altronde le altre attività che fanno capo a
quest’organo) tra gli atti c.d. “processuali” o “atipici”
del potere
giudiziario, sul presupposto che la qualifica di atto giurisdizionale debba
essere riconosciuta solo alle sentenze e alle pronunce giurisdizionali,
provenienti dall’autorità giudiziaria e quelle di atti amministrativi solo a
quelli emanati da un autorità amministrativa133 .
Come uscirne?
131
Lo riferisce RUSSO, Manuale, cit., p.279.
V. CASELLA, “Poteri istruttori”, cit., p.31.
133
V. GIANNINI, “Atto amministrativo”, in Enc. dir., Varese, 1959, vol. IV, p.187-188. L’A. ritiene che
l’atto amministrativo sia solo il provvedimento emanato da un’Autorità amministrativa e che , quindi, non
possa essere accolta la definizione alla quale noi, come si vedrà, prestiamo credito di “atti sostanzialmente
amministrativi” , ma “formalmente normativi o giudiziari”.
132
84
La giurisprudenza ha optato per una soluzione abbastanza condivisibile,
cercando di conciliare l’esigenza di qualificare correttamene l’atto
autorizzativo con quella di consentire una tutela intensa (e anche
sufficientemente celere) a beni che ricevono nella Costituzione una diretta
e specifica tutela134 . In particolare, la Suprema Corte ha sposato una
soluzione interpretativa, che ha cercato di conciliare le opposte esigenze
(dell’interesse fiscale e della tutela della privacy del contribuente)
affermando, da un lato, la natura amministrativa dell’atto autorizzativo,
dall’altro escludendo che lo stesso produca gli effetti tipici e propri dei
provvedimenti emanati dall’autorità Amministrativa.
La conclusione è che non potrebbe venire in discussione tra le parti l’art. 5
della legge 1865 All.
E sulla
applicazione da parte dell’autorità
giurisdizionale ordinaria dei soli atti conformi alla legge,” ma si verterebbe
in materia indubbiamente relativa a diritti soggettivi, rientrante, pertanto,
nella giurisdizione dell’AGO”, con la conseguenza che sarebbe possibile e
ammissibile il ricorso ex. artt.111 Costituzione, contro il provvedimento
autorizzativo di cui all’art. 52 D.P.R. 633/72.
134
Cass. Sez. Unite n° 8062/1989, in riv. dir. trib., 1991, p.391 ss. (con nota … di ALBANELLO). Vedi
anche per questo indirizzo giurisprudenziale, Cass. Pen. n° 2021/91 (ordinanza) in Com. trib., 1991,
p.1713; IDEM, n° 1581/90 in Boll. trib. inf., 1990, p.1500. Contra, in dottrina, I. MANZONI, op. cit.,
p.248-249. L’A., infatti, non manca di evidenziare l’estrema importanza che la questione circa la natura
giurisdizionale o amministrativa del decreto di autorizzazione presenta sotto il profilo dell’esercizio di
difesa. “Non va dimenticato” egli scrive “la presente incidenza che gli accessi ispettivi […] comportano
nel regolare svolgimento dell’attività indagata e l’esigenza, quindi, di una tutela il più possibile pronta ed
efficace”. Superfluo sottolineare che egli propenda quindi per una visione dell’atto de quo come atto di
natura giurisdizionale.
85
Quanto a noi, riteniamo di poter convertire con chi inquadra l’atto in
parola come “materialmente amministrativo”, in quanto emanato
nell’esercizio di una funzione amministrativa di controllo sentendo, nel
contempo, di dover fermamente escludere che soggettivamente l’organo
autorizzante appartenga all’organizzazione amministrativa.
E’ giusto, in definitiva, parlare di atto “materialmente amministrativo” ma
“soggettivamente giurisdizionale”, nella specie, riconducibile agli atti di
volontaria giurisdizione135 . Ciò sulla base di due ordini di considerazioni,
indicati, peraltro dalla migliore dottrina amministrativistica:
- da un lato, non è ammissibile(in forza del principio di separazione dei
poteri e nonostante il suo recente ridimensionamento) che uno stesso
organo possa cumulare su di sé sia la natura giurisdizionale sia quello
amministrativa;
- dall’altro, il nostro ordinamento conosce ipotesi di atti sostanzialmente
amministrativi emanati, però, da organi giurisdizionali (V., ad esempio, gli
atti di esecuzione penale o quelli, appunto, di volontaria giurisdizione) 136 .
135
Questa ricostruzione è confortata dalle convincenti argomentazioni mosse da RUSSO, “Questioni”,
cit., p.85, nonché IDEM, Manuale, cit., p.280.
136
si legge in proposito l’illuminante lavoro di F. BENVENUTI, “Disegno dell’Amministrazione Italiana
(linee positive e prospettive)” , Padova, 1996. L’A., a pag.77, afferma:<<Si noti, però, che ad ogni potere
è attribuita una funzione materiale, solo in via principale; non è, infatti, possibile attuare rigidamente la
divisione dei poteri>>. E ancora, poco dopo,<<avvengono anche da noi indebolimenti al sistema della
divisione delle funzioni materiali tra i Poteri (…) per effetto di essi ben può avvenire che un potere emani
atti non solo della propria funzione materiale, ma anche di funzioni materiali diverse>>.
86
***
Passando ora al punto sub. B) , pare abbastanza diffusa l’idea che il tipo di
controllo operato dal magistrato debba riguardare la mera legittimità della
richiesta della finanza. Riprendendo i termini testuali della dottrina,
“quando in diritto amministrativo si parla di controllo di merito, ci si
intende propriamente riferire ad un controllo, non tanto della regolarità
dell’atto, quanto della sua opportunità . Si intende, cioè, fare riferimento ad
una valutazione della sua convenienza in concreto, in relazione a quelli che
sono gli interessi in gioco”.137 E’ evidente, dunque, la stretta correlazione
che lega le valutazioni e/o i controlli di merito , da un lato, e, dall’altro, gli
atti a carattere discrezionale.
Ora, essendo già stato abbondantemente dimostrato che, in diritto
tributario, tutti gli atti (anche quelli istruttori) non possono che essere
vincolati sia nei presupposti che nei contenuti, in ragione del principio di
legalità che domina tutta la materia138, è chiaro che l’autorizzazione del
Procuratore della Repubblica “comporta e non può comportare, per
sua
natura, che un semplice controllo di legittimità139”.
Ciò chiarito, vale la pena di aggiungere onde evitare equivoci, che per
valutazione di mera legittimità non si può intendere solo un semplice
137
138
Testualmente in MANZONI, op. cit., p.429.
V. supra, titolo I.
87
controllo di regolarità formale, perché, altrimenti, si finirebbe con
l’avallare le posizioni di chi erroneamente pensa che l’autorizzazione del
magistrato costituirebbe sempre un “atto dovuto”. In realtà, non è
infrequente che il magistrato, chiamato o pronunziarsi su richieste di
accesso da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria, debba
concretamente vagliare la conformità alla legge di presupposti e condizioni
cui la legge stessa subordini l’atto ispettivo (si pensi, ad esempio, al
presupposto dei “gravi indizi di violazioni” che, solo, può giustificare un
decreto di accesso ispettivo in locali adibiti esclusivamente ad abitazioni o
in locali comunque diversi da quelli in cui si svolgono attività lavorative).
Con ciò si vuol dire che, se controllo di mera legittimità significa
valutazione della conformità di un atto alla legge che lo prevede, quando
essa preveda che debbano sussistere precise condizioni e presupposti, il
vaglio dell’autorità giudiziaria non può limitarsi a vagliare requisiti di
ordine strettamente formale (ad esempio, le competenza dell’ufficio, la
legittimazione dei funzionari incaricati ecc. ) ma deve necessariamente
abbracciare quelle condizioni e quei presupposti, risolvendosi, in
conclusione, in quello che viene definito controllo di
legittimità
sostanziale140 .
139
Ancora MANZONI, cit., ibidem.
A tal conclusione, vista anche l’incidenza che l’accesso ispettivo è destinato ad avere sui diritti di
libertà dei privati, pervengono, fra gli altri, MANZONI, op. cit., p.250 nonché RUSSO, op. cit., p.280.
140
88
***
Riguardo al punto se l’autorizzazione del magistrato debba o meno essere
motivata, a parte alcune scarse indicazioni in senso contrario provenienti da
pur
autorevoli
fonti
giurisprudenziali, è
ormai
da
tutti
risolta
positivamente141 .
Che un obbligo di motivazione sussista è, infatti, pacifico, sia per chi
coltivi l’idea del decreto giudiziario come atto giurisdizionale, in forza del
disposto dell’at. 111 Cost., sia che, al contrario, si privilegi la per noi
preferibile prospettazione in termini di provvedimento amministrativo, nel
qual caso l’obbligo deriva non solo dai principi generali142 , ma oggi pure
dal già menzionato art.3 della legge 241/90 sulla
trasparenza
amministrativa143.
Una volta abbracciata, come a noi pare corretto, la tesi del controllo di
legittimità anche sostanziale, ne consegue, inoltre, che tale motivazione
In giur., cfr., circa la necessità di un duplice controllo, formale e sostanziale, del magistrato in relazione ai
“gravi indizi” ex art. 522 d.p.r. IVA che debbono “preesistere” all’accesso, Cass. Sez. Unite n°
8062/1989, in Boll. trib. inf., 1990, p.1418.
141
V. Cass. Sez. Unite n° 8062/89 cit., secondo cui “la motivazione del provvedimento di autorizzazione,
proprio per quella esigenza di segretezza che attiene alla stesa funzione della procedura, potrà anche
esaurirsi in espressioni sintetiche di significato implicito e risolversi nel richiamo della nota della G.d.F.”.
142
Per gli atti amministrativi la motivazione è, in linea generale, necessaria “quando il provvedimento
abbia comportato almeno una valutazione di fatti complessi, non stereotipati nella fattispecie normativa”,
in particolare, “per i provvedimenti che la giurisprudenza chiama restrittivi della sfera giuridica del
privato” e “per i provvedimenti positivi, risultanti da procedimenti aventi un’istruttoria complessa, come
le autorizzazioni, le concessioni, gli atti organizzativi”, così M. G. GIANNINI, “Motivazione dell’atto
amministrativo”, in Enc. dir. , Varese, 1977, vol. XXVII, p.1977.
143
Tale articolo ha generalizzato l’obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi e, sia
detto per completezza, è stato, da ultimo, richiamato dall’art. 7 legge 212/2000 (cd. Statuto del
Contribuente).
89
può atteggiarsi diversamente a seconda che, nel caso di specie, la legge
richieda o meno la sussistenza di determinati presupposti o condizioni144.
E’, poi, generalmente ammessa una motivazione per relationem (ossia
richiamando le ragioni della finanza, perché esse vengono portate a
conoscenza dell’interessato)145 .
Ciò che è certo è che la motivazione appare essenziale per la stessa validità
dell’autorizzazione, perché si pone come unica garanzia del rispetto da
parte del magistrato delle condizioni di legge.
Vanno decisamente rifiutate, per concludere, sia le autorizzazioni che
acriticamente recepiscano le indicazioni della finanza, sia, a maggior
ragione, le autorizzazioni c.d. in bianco.
1.2.9 (segue) l’autorizzazione dell’Ispettorato compartimentale, ora
Direzione regionale delle Entrate (se del comando generale di zona
della G.d.F) per l’indagini bancari : rinvio.
144
Per il rilievo che il presupposto dei 2gravi indizi di violazione” debba essere vagliato anche in sede di
autorizzazione per procedere a perquisizioni personali, aperture coattive di plichi sigillati, ecc., nonché
debitamente motivato, vedasi MANZONI, op. cit., p.259.
145
Così Com. trib. Cent. Sez. XIV n° 5463/85 in Rass. trib., 1986, II, p.78; Cass. Sez. I n° 6142/1985 in
Rass. trib., 1986, II, p.451. In senso contrario cfr. Com. trib. II grado di Firenze, 24 aprile 1982, in dir.
prat. trib., che esclude la legittimità della motivazione per relationem con richiamo alla nota del Comando
Gruppo della Guardia di finanza.
Sulla non ammissibilità di motivazioni per relationem, in diritto tributario, si rinvia alla tesi di
MANZONI, cit., di cui si è dato già conto, supra, par. 1.1.4.
90
Non differendo a nostro avviso per natura e funzione dell’autorizzazione
del Procuratore della Repubblica per accedere in locali adibiti anche ad
abitazione o ad esclusivo uso privato, rinviamo alle considerazioni appena
svolte e alle indicazioni dottrinali e giurisprudenziali segnalate. Quanto al
dibattito relativo al controverso diritto del contribuente ad accedere a tale
atto autorizzatorio di deroga al segreto bancario, rinviamo al cap. IV.
1.2.10 Le attività di verbalizzazione.
Rinviando ai capitoli successivi ogni analisi in merito agli effetti derivanti
dai vizi che possono indicare l’attività istruttoria146 , passiamo brevemente
in rassegna l’ultimo adempimento previsto dalla legge ai fini della
regolarità delle indagini ispettive, e cioè l’attività di verbalizzazione delle
operazioni in cui esse si articolano.
Dispone l’art. 52 co.6 D.P.R. 633/72 che “di ogni accesso deve essere
redatto verbale, da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le
richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute.147
146
V. in particolare capp. II e III.
Sulla rilevanza del processo verbale, v. V. PERUGGIA, “Processo verbale senza contraddittorio e
legittimità dell’accertamento”, in Dir. prat. trib., 1984, II, p.263; SANTAMARIA, “Il processo verbale di
constatazione. Problematiche della sua funzione multi-ruolo” in Fisco, 1990, p.7475.
147
91
Inoltre, il c.d. Statuto del contribuente ha riconosciuto un diritto di
partecipazione attiva al privato sottoposto a verifica fiscale, laddove ai
sensi dell’art. 12 co.4 l.212/2000 è stata riconosciuta allo stesso la facoltà di
muovere osservazioni o rilievi, anche per il tramite del professionista che
eventualmente lo assiste, “di cui deve darsi atto nel processo verbale delle
operazioni di verifica”.148
E’ da ricordare, poi, che l’art. 127 , l.212/2000 ha previsto un nuovo
requisito di validità delle indagini, per cui si prevede che gli Uffici possano
procedere all’atto di accertamento, solo trascorsi 60 giorni dalla redazione
del processo verbale, il che accrediterebbe, se ce ne fosse bisogno, la
sostanziale diversità tra l’atto di accertamento e il verbale.149
La redazione del processo verbale di verifica (o di constatazione, se redatto
dalla G.d.F.), è regolata da apposite norme, sia di legge che regolamentari,
e da numerose circolari interne.
Non essendo possibile, né pertinente focalizzare il discorso su tale
normativa, pare sufficiente ricordare che il verbale va redatto giornalmente;
che, in via specifica, vanno verbalizzate le operazioni di inizio e di chiusura
dell’accesso ispettivo; che il verbale va sottoscritto dai verbalizzanti e dal
148
Sulle novità ed indicazioni emergenti dalla legge 212/2000, nonché sul dibattito che essa ha avviato
sugli argomenti oggetto della nostra trattazione si veda, infra, cap. IV. V., fin d’ora, A. C. PALAZZOLO,
“Il comportamento dei verificatori fiscali”, in Fisco 41/2001, p.13252 ss.
Cfr. art. 33 co 2 d.p.r. 600/83; D.M. 15-9-1982.
149
Cfr. DE MITA « Processo verbale e avviso di accertamento », in Fisco 41/2001 p. 1325
92
soggetto controllato, cui spetta copia del verbale stesso; e che, infine, se
questo si rifiuti di sottoscrivere, va indicato nel verbale il motivo della
mancata sottoscrizione.
Ben altra considerazione meritano, al contrario, tre rilievi che riteniamo
assolutamente funzionali agli scopi della presente trattazione. Ci riferiamo
in primo luogo, al ruolo che, di fatto, svolge attualmente il processo
verbale di constatazione, in chiave di atto avente natura di accertamento,
poiché in pratica accettato acriticamente dagli Uffici.
Si sovrappone così, impropriamente, al ruolo di documento istruttorio , con
cui la finanza rappresenta l’attività conoscitiva e di controllo, quello, ben
più pregnante di atto su cui fondare, senza alcun vaglio critico e con
semplici rinvii da parte degli Uffici, l’emissione di atti di accertamento. Ciò
che sicuramente determina una grave invalidità, suscettibile di far annullare
l’atto medesimo.150
In secondo luogo, occorre interrogarsi sulla natura delle dichiarazioni del
contribuente verificato, apposte in calce al verbale di verifica.
Ci si è chiesti, in particolare, che rilievo probatorio esse (al pari, peraltro,
delle risposte ai c.d. questionari, che gli Uffici hanno facoltà di indirizzare
al contribuente) possano vantare.
150
Conformemente cfr., in dottrina, STEVANATO, “Il ruolo del processo verbale di constatazione nel
procedimento accertativi dei tributi”, in Rass. trib. 6/1990, parte I, p.459 ss.
93
La giurisprudenza ha riconosciuto alle dichiarazioni in parola la rilevanza
di
confessioni
stragiudiziali,
liberamente
valutabili,
ai
fini
dell’accertamento, o di ammissioni151 .
In ultimo luogo, un’altra questione problematica riguarda il valore della
sottoscrizione da parte del contribuente. Essa non può, a nostro parere,
significare ammissione, o, comunque, implicito riconoscimento del
fondamento dei rilievi in esso contenenti, ma rappresenta semplicemente,
una mera presa d’atto ossia la mera attestazione di aver preso conoscenza
del verbale, e di averne, eventualmente, ricevuto in consegna una copia.
Sicché non pare condivisibile la posizione di quella giurisprudenza secondo
cui “la collaborazione del contribuente alla compilazione dell’atto
(attraverso la sottoscrizione) precluderebbe allo stesso di contestare
successivamente eventuali erroneità di dati.152
E ciò anche quando il contribuente abbia riconosciuto espressamente la
veridicità di taluni fatti o circostanze, senza essersi limitato e prendere atto
del verbale o a formulare le riserve di rito.
Infatti egli può, se ne ricorrano in concreto i presupposti, assumere di aver
reso dichiarazioni e sé sfavorevoli in situazioni psicologiche del tutto
151
V. LUPI, “Manuale professionale,”, cit., p.270 ss. Cfr. Com. trib. Cent. n° 4929/88.
Quanto poi alle dichiarazioni rese in sede di risposta ai questionari o in sede di comparizione, in base
all’art. 391 lett. c) d.p.r. 600/73, nonché all’art. 543 d.p.r. 633/72 è l’ordinamento tributario stesso ad
assegnare ad esse specifica rilevanza probatoria sicuramente superiore a quella della prova per
presunzione.
94
particolari ,e tali da non conferire, in definitiva, effettiva dignità di prova
alle dichiarazioni medesime153 .
II CAPITOLO
152
V. Com. trib. Cent. 5561/91 in Com. trib., 1992, p.36 ss.
95
I vizi nelle indagini penali e l’inutilizzabilità
della prova: profili teorici
SOMMARIO 2.1. Premessa. La tesi dell’operatività dell’art. 191 c. p.p.;
2.2 L’inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita. Genesi storica
e portata applicativa del principio: il dibattito nella dottrina processualpenalistica e i suoi riflessi nell’ accertamento tributario; 2.3 (segue) altre
considerazioni sull’inutilizzabilità della prova nell’accertamento tributario;
2.4 Gli altri orientamenti: l’invalidità derivata. Critica; 2.5. Cenni al
153
Sul punto v. LUPI, “Manuale”, cit., p.253, nonché MANZONI, op. cit., p.178.
96
riferimento alla disciplina in tema di obblighi di motivazione degli atti
impositivi ,al dovere del giudice di valutare l’ammissibilità delle prove e
alle c.d. “prove incostituzionali”.2.6 La
tradizionale
uniformità ha
impostazioni dottrina e il recente distacco tra dottrina e giudici.
2.1. Premessa. La tesi dell’operatività dell’art. 191 c.p.p.
Fino a tempi recenti, gli operatori del diritto tributario erano abituati ad
accettare l’idea che il mancato rispetto, da parte della Finanza, delle regole
procedurali dettate dalla legge per la raccolta o l’acquisizione di elementi
probatori utili ai fini dell’accertamento o dell’irrogazione di sanzioni
comportasse l’automatica inidoneità dei primi a fondare legittimamente i
secondi.
Era, cioè, principio seguito presso la giurisprudenza
pratica1,
che
eventuali
concrete
difformità,
sia teorica che
rispetto
ai
canoni
normativamente fissati, nella conduzione delle indagini determinassero
l’impossibilità conseguente di utilizzare le prove che, nel corso delle
indagini stesse, fossero state acquisite o raccolte.
1
V., per tutte, Cass. 10664/98, 7368/98, 11036/97 (tutte in banca dati “il fiscovideo”).
97
Di recente, però, la Suprema Corte di Cassazione, ritornando ad occuparsi
della questione, ha impresso una discutibile svolta a quello che sembrava,
ormai, un indirizzo più che consolidato.
In particolare, con le sentenze n° 3852/2001 e 8344/20012 , il Supremo
Collegio ha ribaltato del tutto tale orientamento, definendo, tra l’altro, nella
prima, utilizzabile, il materiale probatorio che l’Ufficio aveva acquisito
dalla G.d.F. in veste di P.G., nel corso di indagini penali, pur in assenza
della prescritta autorizzazione del magistrato.
Ad avviso dei giudici di legittimità non esisterebbe, quindi (è dato leggere
nella seconda pronuncia), nell’ordinamento tributario,
un principio
generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. Tale
principio è stato introdotto nel nuovo codice di procedura penale e vale,
ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale (V.
art. 191 c.p.p.)”.
Da questa premessa, si giunge alla conclusione che “l’acquisizione irrituale
di elementi rilevanti ai fini
dell’accertamento fiscale non comporta
l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal
senso”3 .
2
3
Di esse e altre recenti pronunce si tratterà diffusamente nel par. 3.5.
Cass. Sez. trib. n° 8344/2001 in GUIDA NORMATIVA - IL SOLE 24 ORE, 26 giugno 2001, p.35.
98
Una posizione chiara, dunque, che però non convince, al punto che un
insigne giusta è arrivato provocatoriamente a chiedersi se esista ancora il
principio di legalità4 .
Da parte nostra, nell’esprimere
fin da subito il nostro
confronti delle conclusioni cui è
dissenso nei
pervenuto quest’ultimo filone
giurisprudenziale, riteniamo indispensabile porre qualche punto fermo su
questa delicata questione. Pertanto, cercheremo (dando maggiore risalto
alla tesi per noi preferibile e che attiene, in sintesi, all’invocabilità del
principio ex. art. 191 c.p.p.) di passare in rassegna le interpretazioni via via
svolte sul punto in seno alla dottrina e alla stessa magistratura, a
giustificazione dell’inidoneità di mezzi probatori illegittimi a fondare
l’accertamento da parte degli uffici finanziari.
Annoteremo, conclusivamente, il crescente distacco tra dottrina e giudici
con alcuni rilievi critici.
4
Cfr. P. CORSO, “Esiste ancora il principio di legalità?”, in Com. trib. n° 17/2001, p.1227.
Sul principio di legalità, v. MANTOVANI, “Diritto penale”, Padova, 1988, p.39.
Le sentenze citate e altre ancora successive hanno polarizzato l’attenzione di numerosi autori, tra cui
vedasi: GAMBOGI, “Utilizzo di prove raccolte in sede penale e principio di legalità”, in Com. trib. n°
18/2001, p.2083 ss.; ID., “Utilizzazione ai fini fiscali degli elementi probatori raccolti dalla polizia
giudiziaria”, in ivi n° 39/2001, p.2943 ss.; AMATUCCI, “Ancora sull’inutilizzabilità delle prove
acquisite in sede penale”, ivi, n° 37/2001, p.2761; MILFSUD – MARIANO, “L’utilizzazione ai fini
fiscali delle indagini di p.t. così come conformato dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione” in
Fisco n° 27/2001, p.9260 ss.; ID., “L’utilizzazione ai fini fiscali delle risultanze delle indagini di polizia
giudiziaria e l’esigenza di colmare un vuoto normativo”, in ivi n° 46/1997, p.13647; LUPI, “In alcuni casi
era pacifica la soluzione opposta”, in GUIDA NORMATIVA – IL SOLE 24 ORE, 26 giugno 2001, p.37
ss.; ID., “Vizi delle indagini ed inutilizzabilità della prova”, in Rass. trib. n° 2/2002, p.651 ss.;
SCREPANTI, “Verifiche fiscali. Irrituale acquisizione di elementi probatori. Utilizzabilità ai fini
dell’accertamento e responsabilità dei verificatori”, in Fisco, n° 33/2001, p.11046 ss.
In giurisprudenza cfr. anche Cass. Sez. trib. n° 15209/2000, ivi n° 14/2002, p.2157 ss.; Cass. Sez. trib. n°
15914/2001, in Rass. trib. 2/2002, p.648; Cass. Sez. trib. n° 15209/2001, ivi, p.6461 nonchè Cass. Sez.
Trib. n° 15230/2001 in Fisco n° 4/2002 f.1, p.6314 ss.
99
In via del tutto preliminare e a scanso di equivoci, tuttavia, è opportuno
subito chiarire che la nostra preferenza per la ricostruzione processualistica
(e dunque, per l’applicazione della sanzione di inutilizzabilità, quale
principio generale dell’ordinamento, in caso di violazioni nell’istruttoria di
accertamento) deve accompagnarsi ad una necessaria precisazione.
Nel nostro caso, infatti
l’illegittimità nell’acquisizione della prova,
conseguente alla violazione dei limiti di ammissibilità o delle modalità di
assunzione della stessa, non viene consumata all’interno del processo
tributario, cioè in sede di c.d. “istruzione secondaria”, ma prima e al di
fuori della sua celebrazione, ossia durante la c.d. istruzione primaria, posta
in essere dall’Ufficio competente.
Orbene , nella prima ipotesi la violazione incide sul convincimento del
giudice, nella seconda, che a noi interessa, “si traduce e si risolve nella
lesione di un diritto del contribuente, o di soggetti terzi a lui collegati,
riconosciuto o garantito come inviolabile da una norma costituzionale o da
una norma di legge ordinaria”5 .
Quanto detto, induce a due ordini di considerazioni:
- da un lato, in questi casi, si registra un travalicamento dei poteri istruttori
dell’A.F., oltre i tassativi limiti che la legge detta, onde contemperare
5
Testualmente, RUSSO, Manuale, cit. p.284.
100
(come più volte ribadito) sfere contrapposte di interessi (quello pubblico
alla percezione dei tributi e quello privato del contribuente).
- dall’altro, e in conseguenza di ciò, la sanzione rispetto alla violazione di
legge perpetrata dalla finanza non può che consistere, secondo noi, nella
inutilizzabilità della prova in tal modo raccolta, sicchè questa non potrà
confluire nel processo tributario, eventualmente avviato dal successivo
ricorso da parte del contribuente.
2.2 L’inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita. Genesi
storica e portata del principio: dibattito nella dottrina processualpenalistica e suoi riflessi nell’accertamento tributario.
Perché una prova possa considerarsi valida non basta, come si sa, che, di
per sé ,essa sia dimostrativa di ciò che si intende provare, ma è altresì
necessario che sia stata legittimamente acquisita e che sia utilizzabile.
E’ questa la ratio della norma sancita nel nuovo codice di rito penale che
all’art. 1911, appunto, prevede che “ le prove acquisite in violazione della
legge non possono essere utilizzate”.
Tale principio, cui, a nostro avviso, non può che riconoscersi portata
generale per le ragioni che in seguito esporremo, nasce, dunque, in
101
ambienti processualpenalistici, ma non è corretto farlo risalire al 1988,
quando il nuovo c.p.p. vide la luce.
Invero, l’inutilizzabilità come categoria concettuale non costituisce una
novità nel nostro ordinamento6, posto che essa era già disciplinata nel
codice di procedura penale del 1930, seppure in casi limitati, e che la stessa
giurisprudenza
costituzionale
aveva,
ben
prima
della
definitiva
consacrazione del principio nello art. 191 c.p.p., con molta chiarezza,
fissato alcuni punti fermi, in tema di acquisizione di prove, improntati alle
fondamentali garanzie del cittadino7 8 .
In seguito all’avvento del nuovo rito penale accusatorio, è stata solo estesa
la portata di queste esperienze, dando alla materia una più organica
regolamentazione.
6
Termine che taluni (v. CORDERO, Procedura penale, Milano, 1998) ritengono estraneo alla nostra
esperienza giuridica oltre che esteticamente discutibile preferendo parlare di “irrilevanza”.
7
Si ricordino, in proposito, gli scritti anonimi, la cui inutilizzabilità era sancita dall’art. 141, o le
sommarie informazioni rese alla Polizia giudiziaria dall’arrestato o dal fermato in assenza del difensore
(art. 225-bis), le dichiarazioni autoincriminanti rilasciate da persona non ancora raggiunta da
comunicazione giudiziaria (art. 3045) e le intercettazioni di comunicazioni effettuate in assenza dei
presupposti legittimanti /art. 226-quinquies).
Sul particolare aspetto delle “dichiarazioni indizianti” si segnala, inoltre, Cass. 8 febbraio 1994, in Cass.
Pen. 1996, p.177.
Per considerazioni generali sull’inutilizzabilità, cfr. COMOGLIO, “Perquisizione illegittima ed
inutilizzabilità derivata dalle prove acquisite con il susseguente sequestro”, in Cass. Pen. 1996, p.1547 ss.
8
Il riferimento è alla “storica” sentenza della Corte Costituzionale n° 34/73 (pubblicata da Giur. Cost.,
1973, I, p.316 ss.) nella quale è stato ricavato dal sistema garantistico della Corte un divieto di utilizzare i
risultati delle intercettazioni telefoniche non consentite dalla legge.
Cfr. pure la nota alla cit. di GREVI, “Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte Costituzionale in tema di
intercettazioni telefoniche”, in Giur. Cost. 73, cit., p.317 ss.
Del resto già Corte Cost. 100/1968 (in Giur. Cost. 1968, p.1601 ss.) aveva lasciato intendere di aderire
alla tesi secondo cui riguardo a prove illecite, cioè configuranti un vero e proprio illecito penale,
l’accertamento dell’illegittimità sostanziale della condotta acquisita di una prova avrebbe dovuto condurre
ad una declaratoria di invalidità della prova stessa.
102
Del resto, con specifico riferimento al processo penale, la codificazione di
un’espressa previsione di inutilizzabilità appare coerente con la centralità
del dibattimento, quale luogo esclusivo di formazione della prova, a sua
volta conseguente all’adozione del principio cardine dell’oralità9.
In effetti, il passaggio da un sistema inquisitorio al c.d. “adversary
system”, tipico del sistema anglosassone, ha accentuato la formazione
dibattimentale della prova rispetto al regime previgente10.
Dunque, una
prima conclusione è che, a livello concettuale,
l’inutilizzabilità può collegarsi alla cesura, rinvenibile nell’attuale
procedimento penale, tra la fase delle indagini preliminari e quella
dibattimentale, nella quale la prova propriamente si forma”, al termine di
quello che la dottrina ora chiama”contraddittorio per la prova”, e che
ha preso il posto del precedente “contraddittorio sulla prova” (basato, cioè,
su prove già formate in sede di indagine)11 .
Tuttavia, accanto a quest’accezione, intrinsecamente connessa con la natura
stessa del processo penale e con la separazione tra la fase delle indagini e
del giudizio, è possibile (e necessario) individuarne una seconda, relativa
al profilo della mancanza di conformità degli atti processuali al modello
9
Cfr. per i riferimenti, SIRACUSANO – GALATI – TRANCHINA – ZAPPALÀ, “Diritto processuale
penale”, Milano, 2001, II, p.270 ss.
10
Sul punto, per tutti, COMOGLIO, “Il problema delle prove illecite nell’esperienza anglo-americana e
germanica”, in Pubblicazioni dell’Università di Pavia, XXXIX, 1967.
103
legale e, pertanto, in buona sostanza, di assunzione di prove con modalità
non consentite dalla legge 12 .
In tal senso, crediamo pertinente proporre un confronto comparatistico tra
l’esperienza giuridica del nostro paese (V., in particolare, l’art. 63 c.p.p.) e
l’operatività dei principi espressi nel V emendamento della Costituzione
Americana, ambedue finalizzati a tutelare il cittadino nel momento in cui
venga sottoposto ad un procedimento penale13 .
Più in generale, riteniamo, entri certi limiti, di poter condividere la c.d.
“dottrina dell’albero avvelenato” (poisonous tree doctrine)
11
di matrice
V. nello specifico settore penale tributario, ad es., IZZO, “Novità giurisprudenziali nella prova
documentale nel processo penale ed utilizzabilità del processo verbale di constatazione”, in Fisco, 1993,
p.416.
12
In tal modo, il concetto d’inutilizzabilità si distinguerebbe dalla “nullità” di cui all’art. 177 c.p.p., che si
configurano a seguito dell’inosservanza delle disposizioni sugli atti del procedimento. Riteniamo di poter
aderire alla dottrina per cui la nullità attiene ai casi in cui un potere viene esercitato irritualmente, mentre
l’inutilizzabilità opera su due piani: come regola di giudizio, proibisce sempre di motivare una pronuncia
con prove vietate o acquisite irritualmente e, come regola probatoria, impedisce di assumere tali prove a
presupposto di atti del procedimento.
Contra, per il rilievi che l’inutilizzabilità è un’eccezione alla generale regola dell’utilizzabilità della prova
e che, in tanto è invocabile, in quanto, con interpretazione restrittiva, la prova sia acquisita violando uno
specifico divieto “processuale”, v. TONINI, “Manuale di procedura penale”, Milano, 1999, p.149 ss.
Di parere opposto parrebbero gli argomenti di SIRACUSANO, “Procedimento”, cit., p.334, per il quale
“l’ampia previsione dell’art. 151 c.p.p. non autorizza limitazioni di sorta in ordine alla tipologia dei
divieti. Scontata l’operatività di tale articolo con riferimento ai divieti posti dalla fattispecie processuale,
(cd. prove illegittime), non dovrebbero esservi motivi per escludere l’applicazione della normativa in
questione alle ipotesi di “prove illecite”, di prove che siano cioè state acquisite in violazione di eventuali
precetti di diritto penale sostanziale.
In giurisprudenza, v. Cass. Sez. Unite 27/3/96 in Cass. Pen., 1996, p.3274, laddove, della tesi da noi
privilegiata, i giudici supremi, facendo leva anche sui principi generali dell’ordinamento già rilevati dalla
cit. Corte Cost. 134173, dimostrano di condividere pienamente l’ormai forte ed incalzante orientamento
dottrinale che propone una nozione dei “divieti probatori” assai consistente. Una nozione che prescinde
(giustamente) dal carattere espresso o meno del divieto e trae, invece, la propria legittimazione
direttamente da un procedimento formativo o acquisitivo della prova, che incida negativamente ed
ingiustificatamente sui diritti fondamentali del cittadino.
13
Si deve, peraltro, osservare come il mancato rispetto dei diritti sanciti dalla Corte fondamentale sia
sanzionato in modo assai severo nel sistema anglo-americano. Cfr. la “Classica”, la pronunzia della
Suprema Corte nel caso Miranda, v. Arizona, che ha osservato che il mancato avvertimento di aver diritto
ad un difensore e di non dover testimoniare contro se stesso rendeva inutilizzabile la confessione, anche
se comprensiva della clausola a stampa. Cfr. BASSIOLINI, “Diritto penale degli Stati Uniti d’America”,
Milano, 1985, p.45 ss.
104
anglo-americana, secondo la quale, in via tendenziale, prove raccolte
illecitamente o illegittimamente invaliderebbero tutti gli atti procedimentali
che su di esse siano basati.
Tale impostazione risulta, per incidens, analoga a quell’ “effetto a
distanza” (c.d. Fernwirkung), che i giuristi tedeschi invocano pervenendo a
conclusioni non dissimili da quelle appena esposte.14
Ciò detto, non possiamo non rilevare come, anche in seno alla stessa
dottrina processualpenalistica, non manchino dubbi sul reale significato e
sulla concreta portata operativa da annettere al principio di inutilizzabilità.
Essi si concentrano su alcuni punti salienti, che dobbiamo brevemente
annotare, perché, mediatamente, costituiscono validi spunti di riflessione
anche nell’ambito dell’accertamento tributario.
***
a) la prima questione attiene al principio male captum sed bene retentum.
Una critica radicale alla capacità “espansiva” del principio di
inutilizzabilità veniva, sotto la vigenza del previgente codice Rocco, e
ancora a tutt’oggi viene portata dai sostenitori di questa teoria, i quali, in
vista del raggiungimento del superiore interesse della giustizia, ritengono
che una prova, sia pur illecitamente acquisita, possa ugualmente essere
14
Per uno studio comparatistico sul tema, v. COMOGLIO, “Perquisizione”, cit., p.1547 ss.; ID. “Il
problema delle prove illecite”, cit.
105
utilizzata, non coprendo l’inutilizzabilità che ipotesi di divieti probatori
processuali.
Assunto base è che non esiste alcun mezzo funzionale tra atto di ricerca
della prova (perquisizione) e atto di materiale apprensione della stessa
(sequestro), sicchè, esemplificando, il collegamento tra le modalità di
acquisizione del mezzo probatorio e la prova in tal modo ottenuta non
sarebbe che meramente temporale o psicologico.15
A dimostrazione , però, del fatto che il principio male captum sed bene
retentum non sia in alcun modo più invocabile nel contesto del nuovo
sistema di procedura penale, militano alcune considerazioni storiche,
concettuali, sistematiche.
Orbene, storicamente, ( e lo si può leggere nella Relazione al progetto
preliminare del nuovo c.p.p.) la sanzione di inutilizzabilità è venuta a
colmare, anche sotto la spinta pressante della famosa pronuncia di Corte
Cost.34/73, una lacuna del precedente ordinamento processuale, ma
soltanto in relazione a tutti i divieti popolari, “che , se fossero stati ancora
affidati alla tutela
sanzionatoria delle nullità, avrebbero continuato a
15
Su questa linea si attesta, ad es., CORDERO, “Procedura penale”, Milano, 1998, p.606 ss. Tale A.,
criticando la suggestione “pancostituzionalistica” di certa giurisprudenza italiana, negativamente
influenzata dall’esperienza d’oltreoceano, spiega:<<Il clou, dunque, sta nel vedere se la prova sia
acquisibile, nel senso tecnico del verbo: se non lo fosse sarebbe inammissibile, e i limiti di ammissibilità
dipendono da norme processuali […], le valutazioni d’ammissibilità discendono da norme processuali,
[…] (dunque) non pare metodo raccomandabile risolvere questioni periodiche con pugni sul tavolo e
slogan da comizio: suona come il nitrito di un cavallo da battaglia lo stereotipo dei “diritti fondamentali”
e al tavolo sintattico vale poco, lasciamolo all’eloquenza americana. Meglio l’ironia europea ( e
concludendo che) … l’iperbole pancostituzionalistica apre gli scenari di un teatro dell’assurdo>>. V. pure
106
fruire delle possibili sanatorie, con la conseguenza che il giudice poteva
assumere e motivare la sua decisione utilizzando “prove vietate”, sia pure
nei casi in cui nessuna tempestiva (…) iniziativa processuale fosse stata
assunta dalle parti, ai fini dell’accertamento e della declaratoria di nullità
illegittimamente formata, acquisita e utilizzata”16.
Pertanto non può, a ragione, revocarsi in dubbio, neppure sul piano
sistematico, che i divieti probatori non riguardino solo quelli espressamente
previsti dall’ordinamento processuale, ma al contrario, possano anche
desumersi in senso sostanziale “e ciò accade tutte le volte in cui i divieti, in
materia probatoria, non sono dissociabili dai presupposti normativi, che
condizionano la legittimità intrinseca del procedimento formativo o
acquisitivo della prova”17 .
Che poi il procedimento acquisitivo della prova sia del tutto rilevante ai fini
del possibile utilizzo della stessa, è dimostrato dal dato per cui non tutte le
ipotesi di inutilizzabilità espressamente previste dal nuovo codice sono
riconducibili alle prove oggettivamente vietate, quanto piuttosto alla
categoria delle prove “formate o acquisite
in violazione dei diritti
soggettivi tutelati dalla Costituzione, e, perciò, assoluti o irrinunciabili.”18
Quindi, in sintesi, e a nostro modo di vedere, l’inutilizzabilità:
dello stesso autore “Prove illecite. Tre studi sulle prove penali”, Milano, 1963; per il processo civile, v.,
invece, RICCI, “Le prove illecite nel processo civile”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, p.506 ss.
16
Cass. Sez. Unite 27 marzo 1996, in Cass. pen. 1996, p.3270.
17
ID., ibidem.
107
- non necessariamente deve essere prevista dal c.p.p.;
- per la stessa estensione della norma che la sancisce (art.191 c.p.p.) non
pare soffrire di limitazioni in ordine alla tipologia dei divieti, potendo
colpire sia prove contrarie a divieti processuali, sia prove acquisite in
violazione di diritti soggettivi sostanziali, desumibili, se non altro, da
principi generali dell’ordinamento;
- infine, “come sanzione tipica del procedimento probatorio non può
essere posta in forse dell’esigenza, tante volte conclamata, della ricerca
della verità reale” (che, traducendo nella materia tributaria, vuol dire
percezione del tributo). “Anche se, nel caso concreto, la prova dovesse
risultare decisiva, il divieto di acquisirla la renderebbe ugualmente
inutilizzabile”19 .
***
b) la seconda problematica discende, in certa misura, dalla prima.
La dottrina, soprattutto in questi ultimi anni (attesa anche la portata pratica
che il concetto di inutilizzabilità ha finito con l’assumere) ha compiuto uno
sforzo interpretativo nel senso di restringerne l’area applicativa, così da
18
19
ID., ivi, p.3271.
SIRACUSANO, “Le prove e il procedimento probatorio”, cit., p.335.
108
rendere applicabile tale sanzione processuale solo nei casi che
obiettivamente necessitino di soluzioni così drastiche.20
Da parte di alcuni, si è fatto ricorso ad una interpretazione teleologica,
sottolineando che l’adozione del criterio guida fondato sulla ratio del
divieto si attaglierebbe meglio al fenomeno di trasposizione ragionata, nel
nostro rito, di quel sistema di regole d’esclusione (exclusionary rules) che
di esso è tipico connotato, e dove è fondamentale la distinzione tra divieti
posti a tutela dell’attendibilità dell’accertamento (c.d. intrinsic policy) e
divieti cui e affidata la protezione di diritti individuali (c.d. extrinsic
policy)21 .
Una volta individuata la ragione dell’inutilizzabilità nella tutela non di un
mero dato formale, ma di interessi endoprocessuali o extraprocessuali, si
giunge a delineare un ventaglio di regole di esclusione, che trovano la loro
ragione nella contemporanea tutela di altri interessi. Essi hanno una dignità
costituzionale sicuramente pari al diritto all’accertamento della verità o,
con riferimento alle ipotesi di cui al nostro studio, alla riscossione dei
tributi.
Tali
interessi,
che
per
comodità
espositiva,
definiremo
“concorrenti”, si possono, certamente individuare in quelli relativi ai
20
In tal senso, cfr. GALANTINI, “L’inutilizzabilità”, cit., p.137, il quale porta ad esempio l’ipotesi di cui
all’art. 251 c.p.p., dove l’identificazione di un divieto nella prescrizione relativa al compimento della
perquisizione (l’art. 2511 c.p.p. prevede che la perquisizione domiciliare non possa essere iniziata prima
delle ore 7 e dopo le ore 20. Nei casi urgenti l’autorità giudiziaria può, tuttavia, disporre per iscritto che
la perquisizione sia eseguita fuori da tali limiti temporali) potrebbe portare e conseguenze sanzionatorie
sproporzionate in caso di violazione.
109
principi costituzionali già a suo tempo delineati in tema di accessi ispettivi,
e che sono concretamente riconducibili alla riservatezza dell’individuo e al
diritto di difesa.
In tal senso, il problema di fondo, consistente nel fornire una soluzione al
quesito se la violazione di una norma procedurale parti a configurare o
meno
la
violazione
di
un
divieto
cui
consegue
la
sanzione
dell’inutilizzabilità, si trasforma nella necessità di individuare la ratio e
l’oggetto di tutela della norma violata.22
Va da sé, allora, con riferimento alle tematiche strettamente connesse
all’accertamento dei reati fiscali e tributi, che l’elaborazione dottrinale
riportata
sia
ben
applicabile,
giacché,
nel
corso
dell’istruttoria
amministrativa di accertamento, possono essere violate prerogative che
trovano nelle norme costituzionali una loro specifica tutela.
***
21
ID., op. ult. cit., p.139.
ID., op. ult. cit., p.144, per cui l’individuazione dell’interesse sostanziale o procedurale pare comunque
ineludibile per un corretto inquadramento dei divieti: non è superfluo, infatti, ribadire come il ricorso ad
altri criteri possa condurre a conclusioni talvolta non corrispondenti alla realtà normativa.
Cfr. anche, in tema di vizi dell’istruttoria amministrativa di accertamento, LUPI, “Vizi delle indagini
fiscali e inutilizzabilità della prova”, in Rass. trib., 2/2002, p.651 ss., il quale sostiene che
“l’inutilizzabilità della prova illegalmente acquisita costituisca una forma di reazione condivisibile, ma da
valutare anche alla luce di una serie più articolata di interessi”.
Cfr. pure, dello stesso autore, “Manuale giuridico professionale di diritto tributario”, Ipsoa 2001, p.836 ss.
Dal canto nostro, pur potendo convenire con questa impostazione, riteniamo che, nello specifico di
indagini condotte irritualmente da parte dell’amministrazione finanziaria, poiché, da un lato l’a. stessa è
fornita di penetranti poteri coercitivi, limitati dalla legge, e dall’altro la stessa pone tali limiti a tutela di
rilevanti interessi sostanziali del contribuente, almeno in caso di accessi ispettivi, la sanzione di
inutilizzabilità della prova raccolta o acquisita senza l’osservanza delle regole istruttorie risulti senz’altro
inevitabile.
22
110
c) Il problema appena esposto porta, però, con sé una terza (e ultima)
questione, su cui la dottrina ha vivacemente discusso, e cioè se
l’inutilizzabilità, almeno così definita (e, quindi posta a tutela non di meri
valori formali, ma di valori “sostanziali”, talvolta costituzionalmente
garantiti) possa essere analogicamente applicata anche in tema di
accertamento tributario23.
Da parte di alcuni è stato fatto osservare che “l’inosservanza di una
disposizione per la quale la legge non commina la nullità di un atto non può
dall’interprete essere ricondotta estensivamente sotto una comminatoria di
nullità che presidia altra disposizione anche quando la ratio legis della
seconda si fondi su elementi tutti presenti nella prima e non sia elisa da
quegli ulteriori elementi che distinguono l’una dall’altra”.
23
Cfr. COMOGLIO, op. ult. cit., p.1550, nonché sul rapporto tra analogie e norme processuali penali, G.
VASSALLI, “Analogia del diritto penale” , in Dig. disc. pen. vol I, Torino, 1996, p.171-172.
DOMINIONI, “Commento all’art. 177”, in AMODIO – DOMINIONI, “Commentario del nuovo codice
di procedura penale”, Milano, 1990, II, p.257.
Per la tesi che in materia di violazioni tributarie non sia possibile alcuna interpretazione analogica, cfr.
GIULIANI, “Violazioni”, cit., p.348 ss., che non ritiene estensibile al diritto tributario la sanzione “de
qua” per la mancanza di una espressa previsione di nullità, dovendosi considerare tali ipotesi tassative.
Non ci pare tuttavia che possa essere accolta quest’interpretazione perché non è sufficiente richiamarsi al
principio di tassatività delle nullità degli atti processuali per escludere l’applicazione della sanzione di
inutilizzabilità. Il richiamo è improprio per il fatto stesso che gli atti dell’accertamento tributario non sono
atti processuali, ma amministrativi. Lo stesso A., argomentando dalle norme in tema di accertamento
induttivo (art. 55 d.p.r. 633/72 e art. 392 d.p.r. 600/73) che consentono l’utilizzabilità di “dati e notizie
comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio”, conclude nel senso dell’ammissibilità , senza
limiti e condizioni, di tutti gli elementi che si trovino nella disponibilità dell’Amministrazione
finanziaria, non importa se acquisiti senza il rispetto delle norme procedimentali che disciplinano
l’attività istruttoria. Ma anche quest’argomento è destinato fatalmente a cadere perché, come già abbiamo
rilevato, le disposizioni richiamate sono piuttosto da intendere nel senso della non limitatezza quanto ai
mezzi istruttori utilizzabili (legittimamente), non certo come indiscriminata utilizzabilità di tutto il
materiale probatorio acquisito (anche irritualmente).
Cfr., poi, a sostegno della utilizzabilità di prove illegittimamente acquisite nell’accertamento tributario, da
ultimo, GAMBOGI, “Utilizzo”, cit., Corr.. trib. 28/2001, p.2083 ss., che ritiene, senza alcun dubbio, che
il principio stabilito dall’art. 191 c.p.p. vale solo ed esclusivamente per il processo penale, in ragione
111
Altri autori, aderendo alla soluzione positiva, che pare condivisibile, hanno
sottolineato come apporre il carattere della tassatività alla sanzione
dell’inutilizzabilità significhi riconoscere “l’accertamento dello stesso
carattere nei singoli divieti , cosicché il problema si sposta dalla tassatività
della sanzione alla tassatività delle sue cause”24.
In effetti, il problema dell’eventuale applicazione analogica della sanzione
processuale ex art. 191 c.p.p. si comprende in relazione
a norme
procedimentali “amministrative”, nel cui ambito non esiste una norma di
contenuto analogo al precetto processualpenalistico.
A nostro modo di vedere, la risposta alla questione
collegata
alla
possibilità
di
individuare,
è direttamente
nella
categoria
dell’inutilizzabilità, una sanzione processuale di carattere generale ed
universalmente applicabile.
Risulta, pertanto, evidente che, anche in assenza di uno specifico
collegamento con l’art.191 c.p.p. (il quale prevede, del tutto genericamente,
che le prove acquisite in contrasto con i divieti stabiliti dalla legge siano
inutilizzabili), è il generale principio di legalità, che assorbe tutto
l’ordinamento giuridico, a consentire di “ritenere inutilizzabili, ai fini del
decidere, le risultanze di attività d’indagine, di accertamento o d’istruzione
della particolare rilevanza degli interessi coinvolti dall’esercizio della giurisdizione penale, e del fatto che
il nuovo codice di proc. pen. non accoglie più il principio della unicità della giurisdizione.
24
La tesi è di GALANTINI, op.ult.cit.,163.
112
compiute in violazione di legge”, per lo meno quando “il bene che la
norma violata proteggeva, integra un diritto ugualmente tutelato
dall’ordinamento
e la cui violazione non si riduce ad una mera
trasgressione formale”, ossia in una semplice irregolarità istruttoria.25
Tale conclusione, poi, risulta oggi ancor più avvalorata
a seguito
dell’emanazione di norme di tutela dei diritti del contribuente con
l.212/2000, la cui interpretazione deve essere anche rapportata alle norme
sui poteri istruttori della finanza.
Com’è stato osservato, infatti, “alla base della tutela di tali norme vi sono
tutte quelle esigenze che sono scritte nella lettera e nello spirito dello
Statuto del contribuente, ma che attengono anche ai principi relativi alla
configurazione dell’attività di accertamento come attività vincolata”, e,
dunque, “l’Amministrazione, nell’esercizio dei suoi poteri d’indagine, ha
dei limiti che sono sostanziali: la materia tassabile è quella ritualmente
raccolta”26 .
Ma, anche a voler prescindere da una spiegazione del problema in termini
di diritto strettamente positivo, appare difficilmente superabile un
argomento logico che attiene alla complessiva “coerenza” del sistema; in
tal senso sottoscriviamo le lucide riflessioni di quella dottrina, la quale, in
25 Testualmente, BERSANI, “Procedura penale tributaria”, Milano, 1999, p.216 ss.; cfr., COMOGLIO,
op. ult. cit., p.1550
26
Così DE MITA, “Sull’utilizzo delle prove”, cit.
113
astratto e provocatoriamente, si è chiesta se non risulti, per caso, assai
strano che un sistema giuridico mandi assolti per inutilizzabilità delle prove
criminali, rei di illeciti penali anche portatori di grave allarme sociale e poi
non applichi la medesima sanzione quando, invece, si tratti di applicare le
imposte27.
D’altronde, a conferma del carattere generale della sanzione di
inutilizzabilità, pur senza poter dedicare all’argomento altro che un
fuggevole cenno, si può riportare il dato per cui “sembra verosimile che
anche in sede (processualcivilistica) (…) le prove debbano essere nella
legittima disponibilità della parte che intenda farne uso”.28
Altrimenti, il non accettare l’istituto in questione come generale, o
limitarne la portata
ad un semplice istituto di procedura penale non
renderebbe, a nostro avviso, peregrina la domanda se esista ancora il
principio di legalità o se, davvero, in definitiva, “la legge ormai non valga
più della carta su cui è scritta”29.
27
Per il concetto qui rielaborato, v. LUPI, vizi dell’indagine, cit., p.656.
ID., ibidem.
29
P. M. CORSO, “Esiste ancora il principio di legalità?”, cit.
28
114
2.3
(segue) Altre considerazioni sull’inutilizzabilità della prova
nell’accertamento tributario
Posto, allora, che la sanzione ex art. 191 c.p.p. può (e deve) ritenersi
operativa anche in diritto tributario consideriamo in che modo essa
specificatamente si atteggi durante l’istruttoria di accertamento.
In linea generale, si può affermare che l’inutilizzabilità della prova
illegittimamente acquisita (e, quindi, l’invalidità dell’atto di accertamento
che si
basi sulla stessa) non ha eccezioni, nel senso che, una volta
accertata l’illegittima acquisizione, la conseguenza non può che consistere
nell’annullamento, totale o parziale, dell’atto.
Occorrono, però, alcuni chiarimenti. In particolare, l’inutilizzabilità della
prova, certamente discende dall’illegittima o illecita acquisizione, ma
questa risulta condizionata, nella materia tributaria:
- dai divieti probatori, che sono propri dell’ordinamento fiscale (basti qui
pensare al divieto della prova testimoniale e del giuramento, ex art. 35
D.P.R. 636/72, nonché art. 7co 4, d. lgs 546/92).30
30
Per il rilievo che il divieto della testimonianza nel processo tributario sarebbe di dubbia legittimità
costituzionale e sul valore della scienza dei terzi nel processo tributario, si rinvia a SCHIAVOLIN,
“Inammissibilità della testimonianza e l’utilizzazione della scienza dei terzi nel processo tributario”, in
Riv. dir, trib., 1989, p.550 ss.
A proposito del valore probatorio delle dichiarazioni di terzi, cfr., in giurisprudenza, da ultimo Com. trib.
reg. Milano, n° 260/2000, in Fisco n° 30/2001, p.10141, la cui massima così recita:<<Le dichiarazioni
raccolte dall’amministrazione finanziaria, nel corso dell’attività istruttoria, pur costituendo un mezzo di
prova atipico e ammesso nel processo tributario (a ciò non ostando il divieto di prova testimoniale, stante
la diversità tra tale ultima font di prova e quella atipica delle dichiarazioni), tuttavia hanno solo l’efficacia
115
- da particolari limiti probatori o dal tipo di accertamento effettuato (V.,
ad esempio, l’art.54,d.p.r. 633/72 in tema di rettifica, ove si consente
che l’Ufficio proceda “indipendentemente dalla previa iscrizione della
contabilità”, cioè solo con prove dirette e non con presunzioni).
Che la legittimità delle modalità di acquisizione condizioni sempre la
possibilità o meno di utilizzare la prova acquisita o raccolta, è dato
degli elementi indiziari, i quali non sono idonei, di per sé ed isolatamente considerati, a fondare il
convincimento del giudice>>.
In effetti, sia detto per incidens, quello di prova atipica (cioè non espressamente previsto dalla legge) è un
concetto elaborato dalla dottrina processualcivilistica che, per molti versi, lambisce anche la problematica
circa l’utilizzabilità, nell’accertamento tributario di prove non tipizzate, quali, appunto, le dichiarazioni di
terzi. In linea di massima, e non potendo offrire al tema lo spazio che pure meriterebbe, ci limitiamo a
ricordare che la Corte Cost. n° 18/2000 (in Rass. trib. 2/2000, p.557) ha, da un lato, ritenuto che tali
dichiarazioni, essendo diverse dalla testimonianza, possono essere prese in considerazione dal giudice
tributario; ed ha, dall’altro, precisato che il loro valore è quello degli elementi indiziari. Questi, nel
mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire da soli il
fondamento della decisione, non avendo alcuna “autosufficienza decisoria”.
Per una critica all’impostazione della giurisprudenza riportata, v. COMMENTO a Com. trib. reg. cit., in
Fisco 30/2001, p.10142, ove si sostiene, tra l’altro, che non può essere, se non impropriamente, assimilata
ad un indizio (cioè ad un fatto noto secondario), la dichiarazione di terzi che, al contrario, è, più
correttamente, una prova rappresentativa dei fatti principali relativi all’oggetto del contendere davanti al
giudice tributario. Per una riconsiderazione del problema della prova atipica nel processo tributario, e
sulla tematica, molto attuale, relativa alla cd. CIRCOLARITÀ delle prove da un processo all’altro, cfr.
COMOGLIO, “Prove penali e prove atipiche nel processo tributario”, in “Diritto e procedura penale
tributaria”, a cura di CARACCIOLI – GIARDA – LANZI, Padova, 2001, p.681 ss., nonché ID. “I poteri
istruttori delle Commissioni tributarie”, in Riv. not. 2001, I, p.1279 ss.
L’A., in considerazione della recente riforma costituzionale sul cd. “GIUSTO PROCESSO”, (v. art. 111
Cost.), nonché dei “principi generali dell’ordinamento tributario” (cd, Statuto del Contribuente) e delle
nuove norme che hanno attribuito al giudice amministrativo maggiori poteri istruttori e cautelari (v. art.
33 – 35, d.lgs. 80/98 e 1 – 16, l. 205/2000)arriva a concludere, tra l’altro, che, nell’accertamento
tributario, il divieto testuale di testimonianza ex art. 74 d.lgs. 546/92 “non impedisce che a dichiarazioni
di soggetti terzi possa riconoscersi, sia pure col mezzo della richiesta d’informazioni, dati e notizie,
l’efficacia (indiziaria, induttiva o argomentativi), propria delle cd. prove atipiche.
Per quanto riguarda la possibilità di introdurre, in sede di processo tributario, le informazioni testimoniali,
acquisite nel procedimento giurisdizionale penale, cfr. STUFANO, “Le informazioni testimoniali
acquisite in sede penale”, in Com. trib. 26/2001, p.1930 ss.
Il cit. A. ritiene che, al fine di garantire la “parità delle armi” al contribuente, il quale debba difendersi
davanti alle Commissioni tributarie da contestazioni mossegli dalla Finanza, sulla base di informazioni
testimoniali acquisite in sede istruttoria penale e poi trasmesse agli Uffici finanziari, sia opportuno
rendergli accessibili le risultanze della predetta istruttoria. Ciò che, a suo dire, “costituisce il miglior
modo per verificare la correttezza e la trasparenza del trasferimento di notizie dal procedimento penale a
quello tributario, garantendo al contribuente interessato una tendenzialmente obiettiva conoscenza del
materiale probatorio”.
Infine, per un altro verso, sul rischio di illegittimità costituzionale dell’attuale disciplina, sull’utilizzo a
fini fiscali di dati acquisiti in sede penale, v. AIUDI, “L’utilizzo tributario delle prove di indagini
preliminari a rischio di incostituzionalità?”, in Boll. trib. 6/2001, p.423 ss.
116
pressoché pacifico31 : solo alcuni autori, riproponendo in chiave tributaria il
già esaminato principio male captum sed bene retetum,32
ritengono che
laddove gli Uffici possano procedere all’accertamento sulla base dei dati e
delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza33, possano essere
utilizzati anche elementi probatori irritualmente acquisiti34 (Dal nostro
punto di vista, il significato della norma non è che sono utilizzabili prove
illegittime o illecite; semplicemente i limiti all’acquisizione e al successivo
utilizzo di prove (comunque) legittime risultano meno stringenti. Ciò
risulta palese, d’altronde, nel caso considerato dall’art. 392 D.P.R 600/73,
in tema di accertamento induttivo dei redditi determinati in base alle
scritture contabili, dove appare palese l’intento di escludere l’operatività
dei limiti di ordine probatorio previsti, invece, per l’accertamento analitico
(“in deroga alle disposizioni del comma precedente”).
Ma quando una prova è illegittimamente acquisita, e,
dunque,
inutilizzabile?
La dottrina giustributaristica ha cercato di definire i contorni dell’illecita o
illegittima acquisizione delle prove, entrambe suscettibili di invalidare
l’atto di accertamento, con riferimento:
31
Cfr. Cass. n° 10918/92, in Mass. Foro it.; IDEM n° 10476/92, in Com. trib., 1992, p.3254.
v. par. precedente
33
art. 39 d.P.R. 600/73.
32
34
Sul punto v. par. 2.2., nonché CAPOLUPO, “Nullità processuali e accertamento tributario”, in Fisco
28/2001, p.491 ss.
117
- violazione di norme dettate per specifiche imposte;
- alla violazione di disposizioni, che regolano l’esercizio dell’attività
amministrativa in generale, e non siano espressamente o implicitamente
derogate dalla normativa tributaristica;
- alla violazione di norme che disciplinano l’esercizio dei poteri pubblici.
Pertanto, in sostanza, è invalida l’acquisizione di prove che contrasti con
specifiche norme istruttorie, ma pure con le generali norme di azione che
regolano le attività della P.A tutta, e non trovino deroghe in materia
tributaria.35
Un cenno merita, infine, un altro punto su cui sarebbe opportuno fare
chiarezza per la rilevanza pratica che indubbiamente riveste.
Esso riguarda propriamente le condizioni di
legittimità di attività
d’indagine e di accertamento nel caso di successione di leggi nel tempo.
Si pensi al caso di un’attività istruttoria svolta sotto la vigenza di una data
normativa e della susseguente emissione del relativo atto di accertamento
sotto una legge diversa.
Il problema si pone perché il generale principio processualistico tempus
regit actum, se da un lato pare estensibile ai procedimenti amministrativi,
35
V. cap. I, tit. I.
118
dall’altro non si attaglia all’attività di accertamento, che non può
tecnicamente inquadrarsi in termini di procedimento35 bis
Correttamente, la dottrina distingue tra fase istruttoria e fase decisoria
dell’accertamento.
Per quanto riguarda la prima, è pacifico che, risolvendosi nell’esercizio di
poteri istruttori, essa, in tanto sia legittima, in quanto venga svolta sulla
base della legge attualmente vigente.
Con riferimento alla seconda, la pur legittima acquisizione di prove durante
le indagini non basta, di per sé, a renderle utilizzabili, dovendo l’Ufficio,
cui è istituzionalmente demandato l’atto di accertamento, tener conto, sia
delle disposizioni che regolano l’attività istruttoria, sia delle eventuali
modifiche che nel frattempo siano intervenute. Pertanto, un ulteriore limite
perché le prove (pur) legittimamente raccolte in un certo tempo siano
utilizzabili è costituito dalle disposizioni sull’accertamento vigenti al
momento in cui l’avviso di accertamento venga notificato.
Se, poi, la nuova legge contenga modifiche peggiorative riguardo alla
rilevanza probatoria di taluni fatti o comportamenti del contribuente, che
all’epoca in cui furono tenuti tale rilevanza non avevano, in questi casi si
devono fare salve le situazioni giuridiche pregresse, come, del resto,
35 bis
Ibidem
119
impone una corretta interpretazione del generale principio di irretroattività
delle leggi (art.11 disp. prel. c.c.)36.
2.4
Gli altri orientamenti: l’invalidità derivata. Critica.
La necessità di una tutela giurisdizionale contro la violazione dei poteri
istruttori comporta l’invalidità e il successivo annullamento (totale o
parziale) degli atti di accertamento eventualmente emanati.
Su questa linea è attestata quasi tutta la dottrina e lo era anche la
giurisprudenza prima delle già ricordate sentenze su cui tre poco si tornerà.
Sulle ragioni giustificative dell’annullamento, però, non mancano punti di
vista differenti.
Infatti, all’orientamento (più recente e da noi condiviso), secondo il quale
gli
eventuali
vizi
delle
indagini
sfocerebbero
nella
sanzione
dell’inutilizzabilità delle prove irritualmente raccolte e, in definitiva, nella
loro infondatezza, altri autori preferiscono contrapporre il principio, noto al
diritto amministrativo, dell’ illegittimità per derivazione o invalidità
derivata degli accertamenti, intesa come vizio formale degli stessi37.
36
Per ulteriori riferimenti, MANZONI, op. cit., p.216-217.
V., tra gli altri, MANZONI, cit., p.213 ss.; FALSITTA, Manuale, cit., p.621; LA ROSA, Caratteri e
funzioni dell’accertamento tributario, cit., p.791 ss.; ID., “Accesso agli altri dispositivi di verifiche fiscali,
ecc.”, cit., p.1124, nonché LA GUARDIA, Carenza di giurisdizione, cit., p.322 ss.; IDEM, Attività
d’indagine della polizia tributaria, cit., p.55 ss.; SALVINI, op. ult. cit., p.326 e 344, che hanno, per altro,
affermato che una prova non potrebbe considerarsi illegittima solo perché individuata grazie a precedenti
indagini condotte in violazione delle regole istruttorie, non ravvisandosi in ciò un nesso giuridicoprocedimentale, ma soltanto storico ed occasionalmente generico e che, pertanto, in tal caso,
l’accertamento non sarebbe annullabile, se fondato sugli elementi successivamente raccolti.
Cfr., pure, TESAURO, Istituzioni, cit., p.144-145 e KOSTORIS, op. ult. cit., p.587.
37
120
La premessa è che, al di là dell’esistenza o meno nell’ordinamento di una
norma in cui essa sia espressamente prevista, la nullità degli atti di
accertamento( che trovino il proprio sostegno su prove raccolte in seguito
ad un’attività istruttoria condotta senza il rispetto delle norme d’azione
poste o tutela del soggetto che l’attività stessa subisce) è ricavabile, in via
generale, dai principi che reggono la materia.
In tal senso, si fa riferimento alla nozione di procedimento elaborata nel
diritto amministrativo in tema di effetti dell’illegittimità degli atti intermedi
sugli atti successivi della medesima sequenza procedimentale. Com’è noto,
si tratta di effetti diffusivi: l’illegittimità degli atti istruttori della fattispecie
si riverbera sul procedimento terminale della stessa, determinandone
l’invalidità in via derivata. Tale regola altro non è se non un corollario del
principio di legalità, applicabile ad ogni manifestazione dell’attività
amministrativa, e, quindi, anche all’attività di accertamento o di
riscossione38.
Sebbene pressoché identiche alle nostre siano le conclusioni pratiche
desumibili da queste premesse teoriche, (giacché, o per inutilizzabilità di
38
Tra coloro che accedono alla teoria che assegna una natura provvedimentale agli atti di accertamento
emessi dall’Amministrazione finanziaria al termine del cd. “procedimento impositivo”, cfr., tra gli altri,
BARDI, “Accertamento tributario fondato su prove acquisite in violazione del segreto bancario”, in Boll.
trib. inf., 1983, p.110 ss.; STEVANATO, “Vizi del’istruttoria e illegittimità dell’avviso di accertamento!,
in Rass. trib., 1990, II, p.88 ss.; MOSCHETTI, “Avviso di accertamento e garanzie del cittadino”, cit.,
p.89 ss.; SANTAMARIA, “Attività ispettiva e tutela del contribuente”, che, sulla base della violazione di
legge, come vizio dell’atività amministrativa, desumibile, in mancanza di espressa previsione, dal
generale principio di correttezza (ex art. 97 Cost.) ricavano il vizio di legittimità dell’atto conclusivo della
sequenza procedimentale, sintomo del quale sarebbe l’abusiva acquisizione probatoria.
121
prove irritualmente acquisite o per invalidità derivata, l’atto di
accertamento finirà fatalmente per essere annullato), non ci si può esimere
dal considerare scorretto il riferimento ad un vizio formale e al concetto di
procedimento amministrativo.
Da quest’angolo visuale, si ribadisce che, invero, non integrando
propriamente l’accertamento tributario una serie necessaria (ma solo
eventuale) di atti prodromici rispetto ad un provvedimento conclusivo, non
corrisponde alla realtà normativa sostenere che l’invalidità degli atti
istruttori (intermedi) si trasfonda nel seguente atto di accertamento
(provvedimento)39.
Pur tuttavia, a livello puramente applicativo, il riferimento al concetto di
procedimento amministrativo e alla sanzione di inutilizzabilità, propria dei
vizi delle indagini penali, sostanzialmente si equivalgono ai fini che qui
interessano, discendendo ambedue, peraltro, da un principio generale
dell’ordinamento.
C’è, semmai, da notare come la concezione della fase istruttoria in termini
di procedimento amministrativo, in relazione al quale si suole affermare
che i vizi dell’atto preparatorio possono farsi valere solo con l’impugnativa
degli atti finali, ben si armonizza con la c.d. “tutela mediata” del
In giur., cfr. Com. trib. prov. Reggio Emilia, n° 342/1978, in IPSOA – Codice IVA, sub-art. 52, n° 89;
Com. trib. prov. Bari, n°3358/89, in Fisco n°37/90, p.5885; Com. trib. Cent. inf., 1988, p.1053.
39
V. cap. I, titolo I.
122
contribuente, cioè cronologicamente posposta al momento dell’emissione
dell’atto di accertamento o di irrogazione di sanzioni40 .
Ma il problema è che, talvolta, i c.d. atti istruttori preparatori possono far
danni autonomamente, a prescindere dall’emanazione stessa dell’atto
finale, o dai soggetti specificatamente destinatari del medesimo (si pensi al
disturbo oggettivamente arrecato all’attività produttiva da un accesso
ispettivo nei locali aziendali, all’eventuale violazione
del diritto
all’inviolabilità del domicilio, in sede di accesso domiciliare ecc.)
Da ciò consegue che se pure si può, con riserva, aderire alla teoria
procedimentale ai fini della tutela del diritto soggettivo del contribuente ad
una giusta imposizione, non altrettanto agevolmente la suddetta teoria può
servire (come riteniamo sia necessario) a legittimare la tutela di interessi
ulteriori e distinti dei soggetti incisi dall’abusiva attività di controllo, per i
quali parrebbe giusto invocare interventi giurisdizionali immediati di tipo
sospensivo o inibitorio41 .
40
41
Cfr., sul punto Lupi, Manuale, cit., p.260 ss.
V. per indicazioni più articolate, infra cap. IV.
123
2.5.
Cenni al riferimento alla disciplina in tema di obbligo di
motivazione degli atti impositivi e al dovere del giudice di valutare
l’ammissibilità delle prove e alle c.d. prove incostituzionali.
Se molti concordano nel ritenere il ricorso allo schema dell’ invalidità
derivata teoricamente inadeguato a dare ragione dei rimedi giurisdizionali
nei confronti di atti istruttori illegittimi, in sede d’impugnazione dell’atto
di accertamento o sanzionatorio, non c’è tra gli studiosi identità di vedute
sulle possibili alternative.
Alcuni impostano il problema in termini di vizio della motivazione
dell’atto di accertamento che si basi su materiale probatorio indebitamente
acquisito, con ciò sottolineando come la finanza non riesca a soddisfare
l’onere della prova (che essa deve, come autorevolmente fu detto, dare,
anzitutto, a se stessa42 ) che normalmente grava su di essa per il suo ruolo
di attrice sostanziale, nonostante, formalmente,
spetti al contribuente
ricorrere contro i suoi atti.
Altri riconducono il problema al dovere del giudice di valutare
l’ammissibilità delle prove dedotte dalle parti, in tal modo escludendo dal
42
Cfr. ALLORIO, “Diritto processuale trib.”, Torino, 1969, p.392 ss.; nonché TESAURO, “L’onere
della prova nel processo tributario”, in riv. dir. fin., 1986, I, p.75 ss.
Per incidens, si capisce così come non possa che configurarsi illegittima la prassi, a lungo invalsa presso
gli Uffici finanziari, di procederea cd. accertamenti “cautelativi”, cioè ad atti di imposizione, emanati
poco prima della scadenza del termine, senza le opportune motivazioni che li sorreggano.
124
novero degli elementi probatori che possono suffragare il suo giudizio
quelli indebitamente raccolti dalla finanza43.
Altri, infine, ipotizzano l’irrilevanza di prove
illecite, rifacendosi ai
principi di cui gli artt.3, 24, 97, 111 Cost. e a quell’ orientamento
giurisprudenziale in tema di prove incostituzionali di cui si è già dato conto
nelle pagine precedenti. Pur avendo già tentato di spiegare l’irrilevanza
giuridica dei mezzi di prova acquisiti in violazione di legge in termini di
inutilizzabilità, si deve segnalare che gli schemi or ora accennati non
necessariamente risultano alternativi gli uni agli altri, ma possono, in
astratto, concorrere tutti nel far concludere che eventuali violazioni
nell’acquisizione di prove da parte della Finanza non possono
negativamente incidere sui contribuenti che
tali violazioni abbiano,
appunto, subìto44.
43
In questa corrente di pensiero, è opportuno segnalare la posizione di RUSSO, in Questioni, cit., il quale
distingue tra prove precostituite, a suo giudizio in suscettibili d’illegittimità, perché il comportamento
illecito delle parti non ne condizionerebbe l’acquisizione e prove costituende (che cioè si formano in
giudizio), cui dovrebbe accompagnarsi la sanzione dell’inutilizzabilità.
44
Per una panoramica degli orientamenti accennati, cfr. SCREPANTI, “Irrituale acquisizione delle
prove”, cit.
125
2.6 La tradizionale uniformità tra impostazione dottrinali e
giurisprudenziali e il recente distacco tra dottrina e giudici.
La giurisprudenza, fino a tempi recenti, si è uniformata agli insegnamenti
della dottrina.
Solo recentemente la Cassazione, come detto, ha dato al problema dei vizi
delle indagini tributarie un’impostazione affatto e, per certi versi, assai
discutibile.
Annotiamo alcune delle pronunce che rientrano in questo nuovo filone
giurisprudenziale:
a) Cass. Sez. trib. N°3852/2001 (in banca-dati “il fiscovideo”), in cui la
sezione tributaria della Suprema Corte ha statuito che la violazione
dell’art.631 D.P.R. 633/72 non determina l’inutilizzabilità degli elementi
probatori raccolti nel procedimento penale e acquisiti in sede tributaria
senza la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria;
b) Cass. Sez. Trib. N° 8344/200145, che ha stabilito che l’acquisizione
irrituale di documenti rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non
comporta l’ inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica
previsione in tal senso. Pertanto gli organi di controllo possono utilizzare
tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso, salvo la verifica
dell’attendibilità, in considerazione della natura dei documenti stessi e dei
45
Vedila pubblicata in GUIDA NORMATIVA, Il sole 24 Ore, 26 giugno 2001, p.34.
126
limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di ordine specifico.
L’eventuale irritualità nell’acquisizione dei documenti non toglie che
responsabilità di ordine disciplinare e/o penale possono essere contestate ai
singoli funzionari procedenti;
c) Cass. Sez. trib. N° 7791 e 15914, entrambe del 200146 ove, in adesione ai
procedimenti menzionati si rileva che le risultanze di indagini penali,
acquisite senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, possono essere
utilizzate ai fini dell’atto impositivo in quanto l’interesse tutelato non è
quello del contribuente (o di terzi interessati), ma quello della segretezza
del procedimento penale. In altri termini, “l’eventuale mancanza dell’atto
autorizzatorio, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del
trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi alla polizia
giudiziaria all’Ufficio delle imposte, né implica l’invalidità dell’atto
impositivo, adottato sulla scorta di tali dati”47.
d) da ultimo Cass. Sez. Trib. N° 1383/200248 .
Qui, in sede di indagini fiscali ai fini dell’accertamento, gli operatori
avevano reperito documenti a seguito di apertura coattiva di borse, senza la
preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Orbene, la
Suprema Corte ha, in massima, nuovamente sostenuto che, “in assenza di
46
V. “Osservatorio”, Riv. giur. Trib. 2/2002, p.698-699.
Cass. Sez. trib. 15914, ivi, p.649.
48
V. Riv. giur. Trib., cit., p.650.
47
127
una disposizione sull’inutilizzabilità delle prove irregolarmente acquisite,
sarebbe ingiusto che la negligenza dell’organo investigativo comportasse
l’inutilizzabilità di una prova oggettivamente ammissibile”49.
Ora, a parte le facilmente intuibili riserve circa la negazione della sanzione
d’inutilizzabilità di prove abusivamente raccolte, emergenti da quanto fin
qui si è detto, con riferimento anche alla soggezione dell’ attività istruttoria
al generale principio di legalità, intendiamo mettere a punto alcune altre
notazioni, già, peraltro, altrove accennate50.
-Considerare l’autorizzazione del p.m. ex. art. 631 D.P.R. 633/72 (nonché
ex art.332 D.P.R. 600/73) come finalizzata unicamente a regolare i rapporti
tra autorità giudiziaria e finanziaria (asserzione, questa, che ricorre in
alcuni passaggi delle sentenze summenzionate); che essa serva solo a
garantire la regolarità della indagine penale, data la nuova formulazione
dell’articolo in esame (che può essere, ora, concessa anche in deroga alle
norme che regolano il segreto istruttorio, ex art. 23 d.lgs 74/2000; o che,
49
Ibidem.
V., supra, par. 2.2., con dottrina e giurisprudenza ivi citate.
Sull’applicabilità del principio di legalità alla fase istruttoria dell’accertamento, v., tra gli altri,
MOSCHETTI, Avviso, cit., p.1918; CASELLA, Poteri istruttori tributari, segreto bancario e prova
illecita, cit., p.38-39; BARDI, Accertamento, cit., p.172-173.
In giur., cfr. Com. trib. Cent n° 6849/88, in Rass. trib., 1988, II, p.897, secondo cui “nel nostro
ordinamento non si rinviene alcuna norma da cui si possa desumere l’utilizzabilità di prove acquisite in
violazione di legge, sicchè si deve ritenere che l’Ufficio tributario, nell’acquisire le prove che sorreggono
l’accertamento delle imposte, abbia l’obbligo di osservare il principio di legalità”. CONTRA, per un
interessante, ancorché discutibile orientamento, v. LEVI, “L’attività conoscitiva della Pubblica
Amministrazione”, Torino, 1967, p.134, il quale, se da unlato riconosce come la validità di un atto
conseguente ad un’acquisizione illecita può sembrare in contrasto con il principio di legalità, che domina
l’agire amministrativo, dall’altro rileva, tuttavia, come sia egualmente condivisibile (e meritevole di
accoglimento) l’opposta tesi, secondo cui, l’azione del Pubblica Autorità a tutela dell’interesse collettivo
non deve essere impedita da un precedente illecito di un suo funzionario.
50
128
ancora, essa sia in qualche modo equiparabile ai casi in cui è stata
correttamente esclusa l’illegittimità degli atti di accertamento, posti in
essere senza la “partecipazione del comune all’accertamento” (non certo
finalizzata, essa sì, ad un interesse del contribuente)51 è certamente
sbagliato.
Tale autorizzazione serve a dare “efficacia fiscale” alle risultanze delle
indagini penali ed è posta, secondo l’autorevole insegnamento di Corte
Costituzionale 51/92 (che per noi rimane valido52), non solo a salvaguardia
dell’efficienza e del buon esito dell’indagine penale, ma anche a tutela “dei
diritti della persona sottoposta all’indagine medesima”53 ;
- l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (V. Punto d) per
l’apertura coattiva di plichi sigillati, borse ecc. (ex art. 523 D.P.R: 633/72) è
anch’ essa posta come condizione di legittimità delle indagini fiscali e,
dunque, va preventivamente richiesta, prima di procedere alle relative
operazioni nel corso dell’accesso ispettivo.
- In tal senso, l’uso dell’oggettivo “coattivo” può giustificare l’acquisizione
e il successivo utilizzo di prove senza il necessario atto autorizzatorio, solo
nella misura in cui esse siano state spontaneamente fornite dal contribuente
51
Cfr. LUPI, Vizi, cit. p.658.
Cfr., “I quattro codici della Riforma tributaria”, BIG, CD-ROM, IPSOA.
53
V. approfondimenti nel cap. III.
52
129
o dal terzo che ne abbia piena disponibilità giuridica; in tutti gli altri casi
serve l’apposita autorizzazione;
- Il dato per cui un prova, in quanto processualmente ammissibile, è
utilizzabile, anche se irritualmente raccolta, dovendosi semmai sanzionare
il comportamento di chi colpevolmente abbia posto in essere una procedura
illecita, illegittima o irregolare (V., ad esempio, il passaggio della sentenza
sub. B), a proposito di prove raccolte il 31° giorno di verifica), risulta
destituito di fondamento . Esso, infatti, operando una distinzione tra il
piano soggettivo del comportamento del funzionario e quello oggettivo
della prova, “presuppone l’estraneità all’oggetto del giudizio del
comportamento illecito delle parti, e non è estensibile al processo
tributario, nel quale il contribuente invoca proprio il rispetto delle proprie
garanzie nei riguardi delle attività parte in essere dall’A.F.”54
Da ciò conseguono due importanti conseguenze:
- anzitutto, l’inutilizzabilità in giudizio , a sostegno della pretesa fiscale,
di qualsiasi elemento raccolto in modo illegittimo è ovvio corollario
della suddetta funzione di tutela;
- di più, è da ritenere che l’impiego di prove illegittimamente raccolte vizi
ab origine lo stesso atto di accertamento (contrario sia alle regole
processuali che ai principi relativi alla formazione del convincimento
54
Cfr. SCHIAVOLIN, I poteri, cit., p.202.
130
dell’Ufficio), che risulterà, pertanto, invalido ed annullabile, non potendo
l’illegittimità neppure essere superata in sede di istruzione secondaria
davanti alle Commissioni Tributarie55.
Più in generale, i rilievi fin qui condotti sulle summenzionate sentenze
suggeriscono tre spunti di riflessione critica:
- anzitutto, la scarsa persuasività degli argomenti della Suprema Corte non
è più grave della contraddittorietà dei suoi ultimi orientamenti56;
- in secondo luogo, i principi di diritto sostenuti dal filone giurisprudenziale
appena esaminato parrebbero legittimare la violazione di legge,
consentendo agli autori dell’illecito “di conseguire lo scopo prefissato
nonostante la consapevolezza del mezzo contra legem utilizzato. Non è,
infatti, seriamente pensabile (nel caso di trasferimenti di dati e notizie ex
631 decr. IVA e 332,d.p.r. 600 )che la P.G. ignorasse il requisito della previa
autorizzazione per la trasmissione delle notizie. Sicchè, da un lato, la
Suprema Corte afferma solennemente che la mano destra dello Stato può
non preoccuparsi dell’illegalità commessa dalla mano sinistra; dall’altro,
afferma che la ricettazione non è più un reato, anche nel caso in cui chi
55
V., retro, cap. I, tit. I.
Cfr., ad esempio, Cass. Sez. trib. 15230/2001, in Rass. trib. 2/2002, p. 641, che, a proposito di
un’autorizzazione per un accesso ispettivo domiciliare basata sul mero riferimento a notizie confidenziali,
ha stabilito che essa è sindacabile, in sede di giudizio sull’atto impositivo emesso a seguito delle indagini
e che l’illegittimità di tale autorizzazione comporta l’annullamento dell’atto impositivo fondato su
elementi appresi nel corso di indagini illecite; v. pure Cass. Sez. trib. n° 15209/2001, ivi, p.649.
56
131
riceve i dati sa perfettamente che chi glieli dà ha commesso un illecito “di
ordine penale”; infine, proclama che se la violazione di una legge interessa
non l’ordinamento giuridico, ma solo il settore penale, negli altri settori non
vi deve essere remora ed utilizzare i dati trafugati”57.
Ciò che porta alla preoccupante conclusione per cui “fino a ieri il giudice
tributario era soggetto soltanto alla legge (art.1022 Cost.); oggi (…) sa di
essere soggetto soltanto alle leggi sanzionate e, pertanto, non deve
preoccuparsi di invalidità non operanti anche nel processo tributario”58,
aggirando e annullando la volontà del legislatore;
- infine interessarsi ad un’indefinita sostanza dei rapporti giuridici (come
parrebbe emergere dalle argomentazioni del S.C.), in ragione della quale
ogni caso dovrebbe essere regolato in base ad una (presunta) libera ricerca
del diritto, comporta seri dubbi in ordine, non solo all’esistenza del
principio di legalità, ma anche alla funzione che la Corte di cassazione
(sempre più schiacciata su posizioni favorevoli al fisco) dovrebbe rivestire
come giudice attento alla corretta interpretazione della legge, e allo stesso
rapporto di proficua collaborazione tra dottrina e magistratura.
- Dal primo punto di vista, la Suprema Corte parrebbe ora bizzarramente
atteggiarsi non più a giudice di legittimità, bensì di equità (e in diritto
57
Tratto da CORSO, Esiste ancora, cit.
132
tributario nessun giudice, neppure di merito, può ricorrere a soluzioni
equitative delle controversie).
Dal secondo angolo visuale, il problema si pone in relazione al fatto che la
magistratura, da una posizione fisiologicamente più avanzata rispetto alla
dottrina sembra essersi attestata su posizioni assolutamente inconciliabili
con le tesi provenienti dalla maggiore parte degli studiosi, in una situazione
di patologica incomunicabilità che rischia di produrre fratture e pericolosi
corto-circuiti59 .
***
L’unico dato certo è che le sentenze esaminate non rappresenteranno
l’ultima parola della giurisprudenza sulla tematica dell’utilizzo ai fini
dell’accertamento tributario di prove irritualmente acquisite.
La delicatezza degli interessi coinvolti richiederà ulteriori, chiari, definitivi
ed (è da auspicare) opposti orientamenti, anche sulla base del rilievo per
cui”ove si dovesse stabilizzare l’orientamento accennato, appare evidente
che la posizione del contribuente nei confronti dell’A.F. risulterebbe meno
58
59
IDEM, ibidem.
Cfr. DE MITA, Sull’utilizzo delle prove, cit.
133
tutelata rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino nei riguardi di attività
amministrativa di diversa natura”60 .
60
Cfr. SCREPANTI, Irrituale acquisizione, cit., p.11056.
tra gli altri interventi che hanno riguardato questo controverso filone giurisprudenziale, v. CAPUTI,
“L’inutilizzabilità non è una sanzione prevista nell’ambito del’accertamento tributario”, Commento a
Cass. Sez. trib. 8344/2001, cit., in fisco n° 27/2001, p.9367 ss., il quale apare essere dell’avviso che esuli
dalla portata delle indicazioni contenute nella sentenza 8344/2001 la violazione dell’art. 52, d.p.r. 633/72,
“dove viene leso un interesse costituzionalmente rilevante quale quello della inviolabilità del domicilio,
compressione possibile solo nei casi previsti dalla legge”, anche perché “l’autorizzazione del Procuratore
della Repubblica in tal caso non è assimilabile o derivato dall’autorizzazione prevista in sede penale per
la legittimità delle perquisizioni, risolvendosi in una procedura amministrativa” concludendo che “in una
simile ipotesi è sicuramente garantito più il contribuente che non l’indagato, in quanto, per il primo, i
documenti rinvenuti a seguito di un accesso domiciliare saranno inutilizzabili nel procedimento tributario,
mentre, per il secondo, rinvenuti i documenti che costituiscono corpo del reato o cose pertinenti al reato,
sarà inevitabile subirne il sequestro come atto dovuto”.
Per altri commenti, v. CRISCIONE, “Accertamenti fiscali più facili”, in Il Sole 24 Ore, 21 giugno 2001;
COCCO, “Verifiche con tempi elastici”, in Italia-Oggi, 28 giugno 2001; nonché, da ultimo, RIPA,
“Validi gli atti acquisiti irritualmente”, in Il Sole 24 Ore, 21 luglio 201.
Quanto al cenno che Cass. 8344, cit., ha dedicato all’art. 12, l. 212/200 e la dibattito che ne è derivato, o
lo ha preceduto, se, cioè,,la durata prevista per il compimento della verifica (30 giorni) riguardi
restrittivamente le giornate di effettiva presenza dei verificatori presso la sede del soggetto, o i giorni
complessivamente dedicati alla verifica medesima, cfr., tra gli altri, GIULIANI, “Niente di fatto sui tempi
di verifica della G.d.F.”, in Il Sole 24 Ore, 16 dicembre 2000; NEGRI, “Resta aperta la polemica sulla
durata dei controlli”; IDEM, “G.d.F. e verifiche” : il limite di durata va “soto tiro” alla Camera,
rispettivamente in Il Sole 24 Ore del 14 e 20 dicembre 2000; Circolare Comando Generale G.d.F. n°
250400 del 17/8/2000, in Fisco 33/2000, p.10288 ss., che ha optato per la prima delle suindicate
interpretazioni.
Infine, sui riflessi nella materia tributaria, del principio costituzionale del GIUSTO PROCESSO, cfr.
LATTANZIO, “I dati e le notizie della P.T. come mezzi di prova dell’accertamento nel processo
134
III CAPITOLO
Le sanzioni processuali di inutilizzabilità per le
violazioni commesse nella fase dell’istruttoria
amministrativa di accertamento e nella fase
dell’indagine penale.
tributario”, in “Il contraddittorio sul giusto processo tributario e penale”, Atti del Convegno di Studi
svoltosi a bari il 6 maggio 2000, a cura di Ciavarella.
135
TITOLO PRIMO
La fase istruttoria dell’accertamento tributario.
Sommario: 3.1.1. Analisi di alcune fattispecie prospettabili: dati e notizie
raccolti nel corso di attività istruttorie irritali o irregolari; la spontanea
collaborazione del contribuente; 3.1.2. Violazioni nell’accesso presso locali
aziendali; 3.1.3. Violazioni nell’accesso presso studi professionali; 3.1.4.
Violazioni relative agli accessi domiciliari; 3.1.5. Violazioni relative al
procedimento di deroga al segreto bancario; 3.1.6. Violazioni nella
procedura prevista per il trasferimento di dati e notizie ex artt. 33 D.P.R.
600/73 e art.63 D.P.R. 633/72; 3.1.7. Violazioni nella redazione dell’atto di
accertamento ed utilizzo per relationem del processo verbale di
constatazione della G.d.F.
3.1.1 Analisi di alcune fattispecie prospettabili: dati e notizie raccolti
nel
corso
di
attività
istruttorie
o
irregolari. La
spontanea
collaborazione del contribuente.
Una volta chiarito che la sanzione processuale della prova illegittimamente
raccolta è da considerare alla stregua di un generale principio
dell’ordinamento giuridico e che, a livello teorico, questa ricostruzione si
136
presta meglio di altre a spiegare gli effetti di violazione consumate dagli
accertatori durante le attività istruttorie1, passiamo in rassegna alcuni tipi di
violazioni concretamente verificabili.
Per quanto concerne gli strumenti istruttori di cui l’A.F. dispone “a
tavolino” (richieste di dati e notizie, inviti a comparire ecc, ex. art. 51 decr.
IVA e 32 d.P.R. 600/73), ci si deve chiedere se essi siano ammissibili al di
fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge. Cosa accade se
l’Ufficio agisce al di fuori o in difformità da quanto essa stabilisce? Quali
sono gli effetti ricollegabili a questi comportamenti?
E’ indubbio, anzitutto, che, in tanto una richiesta (o un invito) degli organi
accertatori determina a carico del contribuente un obbligo giuridico
(oltretutto espressamente sanzionato ex. artt.97 D.P.R. 633/72 e 52-53,
D.P.R. 600/73, con possibilità di ulteriori sanzioni accessorie), la cui
inadempienza può anche portare l’ufficio a scegliere successivi e più
penetranti strumenti d’indagine (V. art. 332 D.P.R. 600/73) o, comunque,
produrre conseguenze negative per l’indagato in termini di rilevanza
probatoria ai fini dell’eventuale accertamento, solo in quanto il potere
istruttorio sia stato esercitato nei casi, nei modi e nelle forme
tassativamente stabiliti dalla legge.
1
V., retro, cap. II.
137
Pertanto, se, per ipotesi, la finanza dovesse comunque ricorrere alla
formulazione di richieste od inviti al di fuori delle previsioni di legge e, dal
canto suo, il contribuente, pur non obbligato, decidesse di fornire le
informazioni o i documenti richiesti, non c’è dubbio che “gli elementi
raccolti in base ad un’attività illegittimamente esercitata non possono che
considerarsi illegittimamente acquisiti e , pertanto, inutilizzabili”.2
***
Detto questo, la tesi dell’assoluta inutilizzabilità di elementi probatori
raccolti senza il rispetto delle ipotesi di legge non convince, se si
introducono due ulteriori elementi di riflessione:
- Per un verso, non è certo precluso alla finanza lo svolgimento informale
di indagini. Com’è stato notato, “non si vede ragione perché gli Uffici non
possano rivolgersi anche informalmente al contribuente o a terzi per
ottenere da essi, se non altro in forza del generale dovere di collaborazione,
dati ed elementi utili ai fini dei controlli e degli accertamenti”3 ;
- per l’altro, pur non avendo alcun obbligo giuridicamente sanzionato, il
contribuente ben potrebbe, in ogni caso, avere interesse a collaborare
2
Così, testualmente, MANZONI, cit., p.234. per il rilievo che i mezzi istruttori, de quibus, pur essendo
formalmente tipici, avrebbero, nella sostanza, un contenuto atipico, v. COMOGLIO, “I poteri istruttori
delle Commissioni tributarie”, in Riv. not., 2001, I, p.1535.
3
MANZONI, ivi, p.235.
138
amichevolmente4 col fisco (ad esempio, per confermare il dichiarato), e
fornire, pertanto, dati e notizie in via del tutto spontanea5 .
Il problema dell’inutilizzabilità va posto, dunque, in termini non assoluti,
bensì relativi, dovendosi, in concreto, verificare se i dati siano stati, a
fronte di una richiesta o un invito irrituali, forniti in piena libertà, senza
costruzione e senza inganno da parte di soggetti che ne abbiano la
disponibilità giuridica.
Da questo dato, riteniamo possano svolgersi considerazioni più generali. In
effetti, quello della disponibilità giuridica, ad un’attenta lettura della legge,
è criterio che può estendersi ed invocarsi anche in ambito di accessi
ispettivi ad es. presso studi professionali (o istituti di credito e/o sedi
postali).
Il che significa che, in presenza di dati e notizie coperti da segreto
professionali, è sul professionista che incombe l’onere d’eccepirlo.
Se non lo fa, ne dovrà, semmai, rispondere al proprio cliente o assistito, cui
spetteranno tutte le azioni di responsabilità all’uopo previste dalla legge,
ma i dati eventualmente forniti, di sicuro rimarranno legittimamente
acquisiti alla finanza (e lo stesso dicasi per le banche ).
4
Sulla collaborazione spontanea e autonoma del contribuente, come causa legittimante l’acquisizione di
dati e notizie, v., pure, supra, cap. I, tit. I, nota 24.
5
sulla necessità che il consenso del contribuente coartato, e che chi fornisce informazioni, dati e notizie
abbia la disponibilità giuridica degli stessi, v., ancora, cap. I, tit. I, con i riferimenti dottrinali e
giurisprudenziali ivi riportati.
139
Ciò che, riteniamo, debba a fortiori
valere, allorché, anziché procedere
ad accessi, la finanza esplichi le proprie facoltà istruttorie con mere
richieste di dati e notizie, o inviti a comparire.
A questo punto, una possibile obiezione potrebbe essere la seguente: le
ipotesi di cui all’art. 51 e 52 considerano le ipotesi di accessi ispettivi
effettuati ritualmente e non di accessi irregolari o di richieste irritualmente
avanzate.
Ma anche questo rilievo non svilisce la tesi appena esposta, giacchè
spetterà, per tornare al nostro esempio, al professionista (o. alla banca)
eccepire, prima ancora del segreto professionale (o bancario) l’eventuale
irritualità dell’intervento istruttorio. Dunque, se non vengano eccepiti né
l’irritualità dell’intervento, né il segreto, non c’è motivo per cui non debba
trovare applicazione la regola generale, secondo, cui dati e notizie
spontaneamente comunicati rimangono, in definitiva, legittimamente
acquisiti. D’altronde, una conferma normativa del nostro assunto deriva,
anzitutto, da quelle norme6 che seppur abrogate dall’art.18, d.l. 413/91
stabilivano testualmente che … “(…) tali documenti, dati e notizie sono
tuttavia utilizzabili ai fini fiscali se forniti dal contribuente indagato o,
autonomamente, dalle aziende o istituti di credito”.
6
V. gli abrogati artt. 353 , d.p.r. 600/73 e 51-bis3, d.p.r. 633/72.
140
La dottrina più attenta7 aveva subito desunto da queste norme di legge
l’esistenza di un generale principio, circa la legittima acquisizione e piena
utilizzabilità, da parte degli organi accertatori, anche di dati ed elementi
relativi a soggetti diversi dal contribuente indagato, alla sola condizione
che gli stessi fossero forniti di propria iniziativa dal contribuente indagato
o autonomamente dal soggetto terzo. Principio generale che, seppure con
diverse e più estese formulazione normativa8 ,pare tuttora operante.
In seconda luogo, una conferma viene pure da quelle norme che,per così
dire, presuppongono l’utilizzabilità di dati di cui l’Ufficio sia venuto
(legittimamente) in possesso: si pensi alle
norme secondo cui
l’accertamento può avvenire “in base a qualsiasi atto in possesso
dell’Ufficio”9.
***
Tiriamo, allora, le fila del discorso:
- dati e notizie irritualmente richiesti o inviti illegittimi comportano di
norma l’inutilizzabilità delle prove così acquisite ai fini dell’accertamento;
- tuttavia, in presenza di un autonoma iniziativa, spontanea e non coartata,
da parte del contribuente o di soggetti terzi che legittimamente dispongano
7
MANZONI, op. cit., p.329.
V. art. 523, d.p.r. 633/72, laddove l’utilizzo dell’aggettivo “coattivo” farebbe verosimilmente pensare
che l’autorizzazione prevista sia necessaria solo a fronte della non volontà del contribuente a sottoporsi
alle operazioni ivi previste e particolarmente invasive della sua sfera giuridica. Cfr., retro, cap.I.
9
V. art. 371, secondo periodo, art. 392 e art. 41, d.p.r. 600/73.
8
141
di dati, notizie e documenti relativi al medesimo, l’eventuale irritualità
dell’intervento istruttorio diviene giuridicamente irrilevante.
Tale principio è da ritenersi valido non solo per i casi di controllo “a
tavolino”, bensì anche per tutte le altre facoltà istruttorie della finanza,
dovendosene riconoscere la portata generale.
In altri termini, pur non potendo coercitivamente rilevare alcunché (stante
la violazione delle norme sulla conduzione delle indagini),il Fisco ben può,
per converso, far proprie informazioni, dati, notizie e documenti e,
legittimamente acquisirli ed utilizzarli, sol che, in che forza di un generale
dovere di collaborazione, essi siano stati spontaneamente forniti dai
soggetti indagati o da terzi che ne possono liberamente disporre, in ragione
dei loro rapporti con il contribuente10 .
3.1.2. Violazioni nell’accesso presso locali aziendali
Venendo specificatamente a trattare alcune ipotesi di violazioni
riscontrabili nel corso di attività istruttorie “sul campo”, vale a dire durante
10
A mo’ di esempio, basti pensare alle ricorrenti denunzie da parte di parenti o dipendenti entrati in
dissidio col contribuente, o a molte delle segnalazioni giunte al discusso numero telefonico 117, attivato
dalla Guardia di Finanza per raccogliere, tra l’altro, segnalazioni di frodi fiscali: in alcuni casi, queste
notizie non potranno in quanto tali essere poste a base dell’accertamento, in quanto potrebbe trattarsi di
informazioni di cui il denunziante non era legittimamente in possesso.
In giur., v., tra le altre, Cass. 11036/97, cit., laddove non si è ritenuto “sanante” il consenso prestato da un
dipendente di un’impresa, a fronte di una richiesta di accesso ispettivo della finanza, nell’autovettura del
dipendente medesimo, perché egli non poteva liberamente disporre dei documenti. Per latri riferimenti
giurisprudenziali, v. LUPI, Manuale professionale, cit., p.280 ss., nonché, retro, cap. I.
Da ultimo, sul punto che non può ritenersi congrua la motivazione del magistrato (ex art. 523, d.p.r.
633/72), che si richiami esclusivamente all’esistenza di fonti confidenziali anonime, denuncianti alla
142
accessi ispettivi, iniziamo col considerare le indagini compiute nei locali
aziendali, Qui, non sussistendo ragioni di particolare tutela della
riservatezza del contribuente, è
sufficiente, come già si è rilevato,
l’autorizzazione del capoufficio11 .
E, tuttavia, l’interpretazione dell’art.52 d.p.r. 633/72 consente di
individuare una fattispecie di invalidità dell’accesso, cui, in sede di
impugnazione dell’atto di accertamento, è certamente consentito al
contribuente di invocare la sanzione di inutilizzabilità.
Dalla norma citata, difatti, pare evidente far discendere che l’autorizzazione
del capoufficio (o del comandante di reparto della G.d.F.) deve essere
preventivamente data per iscritto.
La stessa giurisprudenza di legittimità ha sul punto, assunto una posizione
in equivoca, sostenendo che “sarebbero eccezionali le ipotesi in cui
l’Amministrazione agisce, con rilevanza verso terzi, con atti meramente
verbali. Pertanto, la documentazione, acquisita a seguito di autorizzazione
(meramente) verbale all’accesso nei locali dell’impresa, è inutilizzabile e,
conseguentemente, è nullo l’avviso di accertamento che su di essa si
fonda”12 .
finanza l’esistenza di violazioni di norme tributarie, cfr. Cass. Sez. trib. 15230/2001, in Com. trib.
11/2002, p.937 ss., con cOmmento di A. IORIO.
11
v. cap. I, titolo II, paragrafo 1.2.3.
12
Cfr., per tutte, Cass. Sez. Unite 15209/2000, in Fisco 14/2002, p.5432, nonché, in dottrina,
CAPOLUPO, “Ancora sugli effetti dell’accesso vietato”, in Fisco n° 15/2002, p.5909 ss., in cui l’A.
143
Un ulteriore regola di conduzione delle indagini è costituita dallo scopo
dell’accesso, riportato nella (preventiva e scritta) autorizzazione de qua, il
quale definisce i limiti di legittimità dei vari atti in cui si articola l’attività
istruttoria. In altre parole, non si può validamente procedere ad indagini ed
effettuare operazioni che non rientrino nello scopo prefissato e siano
rispetto ad esso consequenziali. Il che porta a concludere che non possono
essere legittimamente acquisiti dati ed elementi raccolti o reperiti al di
fuori di un tale ambito13 .
Giova, infine, ricordare che non solo questa ma tutte le fattispecie di
accessi ispettivi sono, ex art. 12 l. 212/2000 assoggettate a ben precisi
limiti di validità, correlati ai diritti che la legge ha voluto riconoscere, in
caso di verifica, al contribuente14 .
3.1.3. Violazioni negli accessi presso studi professionali.
Gli accessi presso studi professionali, nella nuova formulazione del dec.
I.V.A., possono essere eseguiti solo alla presenza del titolare dello studio o
ricollega, peraltro, al vizio di un accesso verbale – e non preventivamente autorizzato – la funzione di
tutela contenuta nelle garanzie del contribuente sottoposto a verifica scritte nella l. 212/2000.
13
Così MANZONI, cit., p.243 e 256, che precisa “come sia da escludere non solo che possa considerarsi
legittimo un atto autorizzativi che non indichi lo scopo, ma, altresì, che possa ritenersi sufficiente ad
ottemperare l’obbligo di legge, l’uso di formulazioni del tutto generiche o stereotipe o che si limitino a
parafrasare il dettato normativo”, concludendo che l’atto dispositivo dovrebbe concretamente designare il
tributo o i tributi da accertare, e i relativi periodi di imposta, l’indicazione del soggetto o dei soggetti
inquisiti, “nonché la descrizione, sia pure succinta, della natura di dati, notizie e documenti che si
intendono controllare od acquisire, e delle operazioni di ispezione e di verifica, che si intendono
svolgere”.
Sull’esigenza di un’articolata esposizione dello scopo dell’accesso si veda anche la circolare del
Comando Generale della G.d.F. n° 1/1998, prot. n° 200000/221, in Boll. trib. inf., 1989, p.503.
144
di un suo delegato. E’ da ritenere, dunque, che integri gli estremi di un atto
illegittimo l’accesso effettuato in assenza di tali soggetti e che, per
conseguenza, risultino illegittimamente acquisiti e inutilizzabili tutti gli
elementi probatori susseguentemente rinvenuti.
Sul pericolo di possibili abusi derivanti dalla nuova formulazione della
legge, ci siano già ampiamente occupati nel cap.I e a quella sede rinviamo.
In relazione, poi, al disposto dell’art. 523, ultimo periodo, il d.P.R. 633/72
fa espressamente salvo il rispetto dell’art. 103 c.p.p. relativamente ad atti,
notizie o documenti per cui sia eccepito il segreto professionale.
L’articolo citato limita, com’è noto, il potere di effettuare, nell’ambito di
indagini penali, ispezioni negli studi dei professionisti, tranne che per reati
loro o di loro collaboratori, sicchè l’inutilizzabilità dei dati nel processo
penale è conseguenza di questa norma primaria15 .
Ora, due sono le ricostruzioni interpretative utilizzabili nella nostra materia.
1) che il richiamo all’art. 103 non consenta alcuna ispezione a fini fiscali
che non sia, consentita anche a fini penali;
2) che tale richiamo (come ci pare preferibile) si riferisca non all’ispezione
in generale, ma all’acquisizione di singoli dati.
Pertanto, il,richiamo all’art. 103, ai fini che qui interessano, deve essere
inteso in senso limitato, nel senso
14
Cfr. art. 12, l. 212/2000.
145
cioè che neanche l’autorizzazione
dell’A.G., prevista dall’art. 52, può consentire l’acquisizione di elementi
che non possano essere acquisiti ex. art. 103 c.p.p., “con la conseguenza
che gli elementi eventualmente acquisiti in violazione di tale divieto, non
dovrebbero essere utilizzabili neanche ai fini fiscali”16 .
3.1.4 Violazioni relative agli accessi domiciliari.
In relazione agli accessi ispettivi nel domicilio del contribuente, va subito
rilevato come la giurisprudenza sia nettamente schierata nel senso
dell’inutilizzabilità, in sede tributaria, delle risultanze dei suddetti accessi
eseguiti in assenza del decreto autorizzativo del Procuratore della
Repubblica, ai sensi dell’art. 52 d.P.R. 633/7217 .
Va, però, segnalato che non sono mancate in passato pronunce che hanno
affermato che, “pur in presenza di una perquisizione illegittimamente
eseguita, resta salva la validità degli elementi probatori acquisiti a seguito
della perquisizione medesima18 .
A carico degli operatori, civili o militari, che, senza l’osservanza delle
formalità previste dalla legge, accedono in abitazioni private potrebbe, poi,
contestarsi il reato ex 615 c.p. ove si sanziona il pubblico ufficiale che,
15
V. SALVINI, “accessi e ispezioni negli studi professionali”, in Riv. dir. trib., 1992, I, p.33.
IDEM, ivi, p.34.
17
In ordine all’inutilizzabilità di prove reperite in difetto di autorizzazione del Procuratore della
Repubblica, cfr. decr. Proc. Rep. Modena, 2 novembre 1978 e 21 dicembre 1978, entrambi in Boll. trib.
inf., 1980, p.239 ss.; Com. trib. prov. Reggio Emilia, n° 2020/1977, in Boll. trib. inf., 1978, p.707; Trib.
Siena, ord. 21/11/86, in Fisco, 1987, p.696.
16
146
abusando dei poteri inerenti le sue funzioni, si introduce o si intrattiene
nella abitazione o in altro luogo di privato dimora o appartenenza di essi.
Non può dubitarsi, comunque, che la sanzione di inutilizzabilità costituisca
la logica ed ineluttabile conseguenza della condotta illegittima dei
verificatori, soprattutto se si riflette sul fatto che l’autorizzazione del
magistrato è svolta a scrutinare l’esistenza e la fondatezza dei gravi indizi
di violazione della normativa sull’I.V.A. e sulle imposte dirette19 , la cui
sussistenza, appunto, consente la deroga all’inviolabità del domicilio.
Tale autorizzazione (lo si ripete ancora) non pare, infatti, strutturata come
atto dovuto (si che la sua mancanza possa risultare ininfluente),
ma,
piuttosto, come atto di valutazione del magistrato, a carattere preventivo,
mediante il quale viene operato un
contemperamento tra le esigenze,
entrambe di rango costituzionale, della tutela del domicilio e della
repressione della violazioni tributarie,potendo sacrificare la prima a
vantaggio della seconda, solo ove si ravvisi la presenza dei requisiti sopra
indicati, Senza questo controllo giurisdizionale, è stato da più parti
sottolineato, “un fondamentale diritto di privacy del cittadino resterebbe
esposto ad ogni arbitraria ingerenza da parte dell’esecutivo”20 .
18
Tribunale di Milano, ord. n° 4772/87, inedita. Sul principio “male captum sed bene retentum” si rinvia
al cap.II.
19
V., supra, cap. I, tit. II.
20
Così, KOSTORIS, “In tema di inutilizzabilità delle prove acquisite dalla Guardia di finanza nel corso di
perquisizioni penali ex art. 322 c.p.p.”, in Dir. prot. trib., 1981, II, p.449 ss.
147
3.1.5 Violazioni nel procedimento di deroga al segreto bancario.
La disciplina delle modalità di acquisizione di dati bancari, analizzata nel I
capitolo, ci consente ora di individuare ipotesi-tipo che portano, in caso di
mancato rispetto della procedura, alla sanzione di inutilizzabilità.
Peraltro, l’esigenza di un puntuale rispetto delle regole di conduzione delle
indagini è, in questa particolare fase istruttoria assai avvertita, specie dopo
la soppressione ex. d.l. 413/91, delle garanzie previste dall’art. 35 D.P.R.
600/73, e consistenti nell’attribuzione del controllo sulla sussistenza dei
presupposti legittimanti ad un organo giurisdizionale, quale il Presidente
della Commissione tributaria territorialmente competente.21
In particolare, le fattispecie intorno alle quali potrebbero verificarsi ipotesi
di contrasto sono quelle relative alla mancanza a carenza di motivazione
nella richiesta autorizzatoria rivolta al Comandante di zona della G.d.F. o
all’Ispettore compartimentale (ora Direttore regionale delle Entrate).
La richiesta, a nostro avviso, non può ridursi ad un’indicazione generica
della necessità di accedere ai dati bancari del contribuente, dovendo, al
L’A. si trova a dissentire da Com. trib. prov. Modena, 25/2/80, che aveva ritenuto meramente irregolare, e
non affetto da un vero e proprio vizio d’invalidità, l’utilizzazione ai fini tributari di materiale probatorio
reperito dalla G.d.F. a seguito di una perquisizione penale disposta dal p.m. per l’accertamento di un
reato, senza la preventiva richiesta di autorizzazione prevista dall’art. 522, decr. IVA.
v., pure, dello stesso A., “L’inutilizzabilità ai fini dell’accertamento di prove illegittimamente acquisite”,
in Com. trib., 1983, p.390.
cfr., infine, sent. Cass. Sez. trib. 8344/2001 nonché 3852/2001, già commentate nel cap. II, e la dottrina
ivi riportata sulla possibilità di acquisire, in sede di accesso domiciliare, documentazione di terzi, v.,
infine, cap. I, tit. II.
21
Secondo D’AMATI, “Segreto bancario: poteri di controllo, prove e presunzioni”, in Com. trib., 1995,
p.7 ss., “il fatto che sia venuta meno la presenza di un soggetto esterno rende ancor più svantaggiosa la
148
contrario, indicare il tipo di indagine effettuata, i riscontri fino a quel
momento eseguiti, le verifiche probatorie in atto e, quindi, tutte le ragioni
che rendono necessario l’accesso ai dati bancari, le quali, in quest’ottica
argomentativa devono costituire la “chiusura del cerchio” dell’indagine
fiscale22 .
Non è possibile, dunque, accedere direttamente ai dati bancari, se non dopo
un’attenta e ben avviata indagine, dovendosi, al contrario, individuare
nell’accesso diretto presso la banca l’ultimo ratio o, se si vuole, il momento
di conferma, attraverso il riscontro dei flussi di denaro, dell’indagine fino a
quel momento svolta e supportata con documentazione e, al limite, con
presunzioni, che automaticamente costituiscono risultanze investigative già
ben delineate.
Ciò in virtù di quei valori tutelati dall’ordinamento e riconducibili, in
ultimo analisi, al diritto alla riservatezza.
Un secondo caso di violazione procedurale, cui si può riconnettere, in sede
di contenzioso tributario, la sanzione di inutilizzabilità, è dato dalla carenza
di motivazione dell’atto autorizzatorio del Comandante di zona o
dell’Ispettore compartimentale. Analogamente all’ipotesi precedente,
posizione del contribuente, rispetto ai criteri generali che disciplinano la fase preliminare
dell’accertamento tributario”.
22
Contra, BLASKOVIC, “Dal segreto bancario alla cultura della trasparenza: aspetti procedimental processuali”, in Dir. prot. trib., 1995, p.793. Secondo tale A., “può dirsi che agli Uffici è precluso
formulare le richieste in modo impersonale, ma, una volta individuati gli appartenenti ad una determinata
categoria di contribuenti, nulla esclude che per tutti i componenti vengano svolte indagini bancarie”.
149
l’autorizzazione dovrà contenere una completa ed esauriente motivazione,
consistente nell’indicazione delle prove e nella specificazione dei
presupposti, che hanno condotto l’organo concedente a svolgere una
sostanziale istruttoria sulle ragioni e sulla necessità che giustifichino la
richiesta.
Tale peculiarità si desume dal fatto che il controllo dell’Ispettorato
compartimentale può essere, da un lato, assimilato a quello, per altre ipotesi
derogatorie, attribuito al procuratore della Repubblica: dall’altro, dal rilievo
che esso viene a sostituire quello che, in precedenza, era, un controllo
“giurisdizionale o, comunque effettuato da soggetto formalmente diverso
dall’amministrazione di appartenenze del richiedente23 .
Infine, non sembra che la legge imponga, ai fini della legittimità della
procedura, la presenza del responsabile della sede o dell’Ufficio. L’art.336
D.P.R. 600/73 si limita, infatti, a stabilire che debbano essere eseguite, alla
presenza del responsabile della sede o dell’Ufficio, “le ispezioni o le
rilevazioni”il che sembra costituire “più che una condizione per l’accesso,
una condizione di procedibilità delle successive operazioni di ispezione e
verifica24 .
23
Sulla natura discrezionale dell’atto autorizzativo in precedenza attribuito al Presidente della
Commissione tributaria provinciale, cfr. RUSSO, Questioni, cit., p.80 ss.
24
MANZONI, op. cit., p.256.
150
3.1.6. Violazioni nella procedura prevista per il trasferimento di dati e
notizie ex. art. 33 D.P.R. 600/73 e 63 D.P.R. 633/72.
Come si è avuto modo di chiarire nel I cap., la G.d.F. può cooperare (e
nella prassi operativa degli accertamenti,
di fatto, essa svolge questa
funzione in via quasi del tutto esclusiva rispetto agli Uffici)25
reperimento e nella ricerca
, nel
di materiale probatorio rilevante ai fini
dell’accertamento, nonché per la repressione delle violazioni delle leggi
tributarie, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli Uffici.
Gli artt. 333 , D.P.R. 600/73 e 631 , D.P.R. 633/72, inoltre, prevedono che
essa, previa autorizzazione dell’A.G., anche in deroga alle norme che
disciplinano il segreto istruttorio (art.329 c.p.p.), utilizza e trasmette agli
Uffici finanziari documenti, dati e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri
di polizia giudiziaria e valutaria o anche, eventualmente, ottenuti da altre
autorità di pubblica sicurezza.
Si prevede, pertanto, ed è questa una non trascurabile novità introdotta
dall’art. 23 d. lgs. 74/2000,26 che il p.m., titolare dell’indagine penale,
possa, previa valutazione analoga a quella già prevista in tema di deroga al
segreto bancario o professionale, disporre una trasmissione di elementi
25
Lo nota FANTOZZI, Diritto, cit., p.322.
Sulle problematiche innescate da tale norma si rinvia a CARACCIOLO – GIARDA – LANZI, “Diritto
e procedura penale tributaria (Commento al d.lgs. 74/2000), cit.
26
151
probatori in sede penale, anche in deroga al segreto istruttorio, affinché
siano utilizzati dagli Uffici a fini tributari.
Anche qui, a ben vedere, si tratta di comparare due interessi in contrasto tra
loro: da un lato, quello processuale, tendente a vietare la rilevazione di atti
dell’indagine penale prima di un determinato momento; dall’altro, quello
fiscale, volto ad ottenere, da parte dell’Amministrazione finanziaria
elementi altrimenti non ottenibili, o acquisibili con procedure e presupposti
legittimanti diversi27 .
E’ chiaro, dunque, in questo particolare ambito istruttorio, quali siano le
modalità e le cautele circa l’acquisizione e l’utilizzo di dati e notizie ai fini
dell’accertamento delle imposte: la G.d.F. potrà utilizzare a fini fiscali,
trasmettendoli agli Uffici finanziari, i dati e le notizie ottenuti solo a
seguito dell’autorizzazione motivata del magistrato (e, ora, anche
eventualmente in deroga alle norme che disciplinano il segreto istruttorio
27
Cfr., in tal senso, GRANELLI, “Segreto istruttorio e accertamento tributario”, in Arch. Penale, 1983,
p.217 ss., nonché MANDÒ, “Limiti di utilizzabilità ai fini fiscali di documenti acquisiti in deroga al
segreto bancario”, in Rass. trib., 1985, II, p.437 ss.
In giur., Cass. III Sez. pen., n° 4413/1990, in Com. trib., 1990, p.3236; Cass. I Sez. civ., n° 10476/91, ivi,
1992, p.513; Com. trib. prov. Forlì, 28 marzo 1994, in Com. trib., 1994, p.1309.
Sulla non necessarietà della motivazione e, pertanto, contrariamente alla tesi da noi sostenuta, cfr.,
tuttavia, Cass. I Sez. pen., 16 luglio 1993, in Com. trib., 1993, p.2202, secondo cui “la RATIO della
preventiva autorizzazione all’utilizzo dei dati ai fini fiscali andrebbe individuata nella inidoneità della
stessa ad accertare che l’utilizzazione dell’atto del procedimento penale non arrechi nocumento
all’esercizio della funzione giudiziaria”; da ciò deriverebbe l’insindacabilità dell’atto con cui il p.m.
concede l’autorizzazione, da parte del giudice tributario, visto che l’istituto tutela unicamente l’interesse
della pubblica accusa ad impedire la compromissione delle indagini preliminari, in dipendenza di una
precoce trasmissione od utilizzazione ai fini tributari, nel corso del procedimento penale. Sulle ultime
novità giurisprudenziali, nonché sulla dottrina che le ha commentate, v., ancora, par. 2.6.
152
nelle indagini penali28 ), di modo che gli eventuali vizi nella trasmissione o
nella motivazione dell’atto che tale autorizzazione conceda- con
riferimento al principio generale – daranno luogo alla sanzione
dell’inutilizzabilità per l’irrituale acquisizione. E’, infatti, bene ricordare
che la particolare procedura di trasmissione appena indicata è alternativa
all’ottenimento in via diretta di dati su cui effettuare l’accertamento.29
Quindi, pur non essendo più necessaria la rigorosa osservanza, da parte del
giudice, del termine successivamente al quale l’indagine da segreta diviene
conoscibile,
rimane
pur
sempre
indispensabile
una
valutazione
discrezionale dell’A.G., volta ad appurare se in che limiti l’obbligo del
segreto sugli atti delle indagini preliminari penali possa cedere il passo, in
virtù dello interesse fiscale, alla trasmissione e al
conseguente utilizzo in
sede tributaria, delle risultanze probatorie via via emergenti. Non è,
dunque, più necessaria, come pure molto dottrina aveva sostenuto prima
dell’entrate in vigore dell’art.23 cit., la conclusione delle indagini
28
Va rilevato che, prima dell’art. 23, d.lgs. 74/2000, la situazione era sensibilmente diversa, posto che
l’autorizzazione in base all’art. 33, d.p.r. 600/73 e art. 63, d.p.r. 633/72 poteva essere concessa solo “in
relazione alle norme che disciplinavano il segreto istruttorio”. Non era, in altre parole, derogabile l’art.
329 c.p.p. e, dunque, anche la non osservanza del momento cronologico in cui gli elementi istruttori
potessero divenire conoscibili all’esterno determinava un vizio di acquisizione delle prove e, dunque, la
sanzione dell’inutilizzabilità. Sul carattere preventivo dell’autorizzazione de qua per l’utilizzo ai fini
fiscali, sicchè il loro utilizzo anteriore all’autorizzazione stessa sarebbe illegittimo, v. Com. trib. prov.
Reggio Emilia, n° 12/96, in Com. trib. 27/96, p.1357 ss., con commento di STUFANO.
29
Si pensi all’acquisizione di documenti ex art. 52 o di dati bancari ex art. 51, d.p.r. 633/72.
153
preliminari, quale condizione di legittimità
per l’utilizzo fiscale di
risultanze processuali penali30 .
Ma se ciò è vero appare, per converso e conseguentemente, ancor più
doveroso, il rispetto dell’onere di motivazione posto a carico del magistrato
autorizzante, al fine della legittima acquisizione dei dati e delle notizie da
trasmettere.
Tale autorizzazione, pur non qualificabile come atto giurisdizionale (bensì
come atto di provenienza dall’A.G., ma con valenza amministrativa) non è,
infatti, finalizzata unicamente a verificare la sussistenza del segreto, ma
pure la riservatezza delle notizie che riguardano il contribuente31 .
Non c’è, dunque, che da concludere che la mancata o immotivata
autorizzazione del p.m., ai fini della trasmissione e utilizzo di elementi
probatori di rilevanza fiscale in sede di accertamento tributario, costituendo
un vizio nell’acquisizione della prova, si configuri senz’altro come causa
d’invalidità dell’attività istruttoria fiscale e porti all’ inutilizzabilità delle
prove illegittimamente acquisite32.
30
V., però, STUFANO, Commento a Com. trib. Forlì, in Com. trib., 1994, p.310, il quale già allora
rilevava come la conclusione delle indagini “non sembra poter assurgere al ruolo di condizione
indispensabile per la caduta del segreto; ruolo spettante al criterio della conoscibilità da parte
dell’imputato, degli atti istruttori compiuti dal p.m. o dalla p.g.. In altre parole, il segreto sugli atti, nel
corso di un’indagine preliminare, viene meno, allorché l’imputato possa venire a conoscenza dei
medesimi; condizione, questa, che può ben anche verificarsi in una fase anteriore alla chiusura delle
indagini”.
31
Cfr. par. 2.6., con dottrina e giurisprudenza ivi citate.
32
In senso conforme, cfr., in giur., Cass. n° 4779/97, in banca dati “Il fiscovideo”; Cass. 11036/97 in
Fisco, n° 10/98, p.3331; Cass. 1036/98, in “Il fiscovideo”; ID. 7368/98, ivi; ID. 10664/98, ivi. V., pure, in
senso adesivo rispetto al nostro convincimento, A. AMATUCCI, “Autorizzazione del Procuratore della
Repubblica e prove raccolte in sede di accesso domiciliare”, in Fisco 16/2001, fasc. n° 1, p.6313 ss. Tale
154
3.1.7 Violazioni nella redazione dell’atto di accertamento: rispetto del
diritto di difesa, ed utilizzo “per relationem” del processo verbale di
constatazione della G.d.F.
Se è già avuto modo di analizzare il problema della motivazione con
riferimento all’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per le
ipotesi di cui all’art.52 D.P.R. 633/72.
In relazione al mero atto di accertamento tributario il problema (com’è
evidente) si colora di caratteristiche proprie, che costringono ad
un’apposita trattazione.
La giurisprudenza dominante appare tuttora fortemente indirizzata nel
senso di consentire all’Ufficio di motivare l’atto di accertamento
per relationem al verbale di costatazione della G.d.F. o di ogni altro organo
vericatore.
A., ritenendo molto ampi i poteri dell’A.F., una volta ricevuta l’autorizzazione giudiziaria, afferma che
essi “non potrebbero essere concepiti se si ammettesse, anche in mancanza di quest’ultima, l’utilizzabilità
delle prove raccolte”. Il ragionamento, che noi sottoscriviamo, pur avendo semplice natura logica, regge
pienamente e fa capire come l’autorizzazione de qua (ma, più in generale, tutti gli atti dispositivi di
penetranti controlli fiscali) costituisca la chiave necessaria, senza la quale l’utilizzo di risultanze penali in
sede fiscale diverrebbe indebito, e le attività promosse al suo seguito “dovrebbero ritenersi inutili e
inutilizzabili”.
In senso parzialmente diverso, cfr. LUPI, “Vizi delle indagini fiscali e inutilizzabilità della prova”, in
Rass. trib. 2/2002, p.651, “il quale, pur ammettendo l’invocabilità in astratto del principio ex art. 192
c.p.p., ritiene che, nel caso di autorizzazione per l’utilizzo di dati penali in sede fiscale, essa attenga
esclusivamente alla correttezza dei rapporti tra amministrazioni dello Stato e non tenda a tutelare il
contribuente, sicchè la sua eventuale mancanza non invaliderebbe l’attività di accertamento degli Uffici
finanziari, giacché le prove in tal modo acquisite dal fisco sarebbero, comunque, legittimamente
inutilizzabili.
Per la critica al recente orientamento della Cassazione, per il quale la Finanza potrebbe utilizzare qualsiasi
elemento probatorio acquisito, fermo restando l’esame della sua attendibilità e il rispetto dei limiti propri
della materia tributaria, cfr. Cass. Sez. trib. 8344/2001, cit. e commenti ad essa e ad altre consimili
pronunzie nel cap. II
155
Secondo tale orientamento ciò che, con la motivazione, si richiede è che il
contribuente sia in grado di svolgere le proprie difese e , pertanto, se tale
obbiettivo viene raggiunto, non vi sarebbe alcun motivo per negare la
possibilità di ricorrere ad una motivazione sintetica, che faccia riferimento
ad altri atti istruttori.
La migliore dottrina ha, però, criticato questa linea argomentativa ,
sostenendo il carattere decisorio dell’atto di accertamento, che, dunque,
dovrebbe risultare di per sé autonomo e completo di tutti gli elementi voluti
dalla legge, senza bisogno di rifarsi ad altri atti o documenti33 .
L’inamissibilità della motivazione per relationem sembra confermata, ad
un’ attenta lettura dell’art. 3 l. 241/90 (richiamato, da ultimo, nella notizia
tributaria dell’art. 7, l. 212/00), il quale prevede che”se le ragioni della
decisione risultano da altro atto dell’Amministrazione richiamato dalla
decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima, deve essere
indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui
essa si richiami”.
Infatti, pare convincente l’argomento di quella dottrina, secondo cui il
legislatore parrebbe qui essersi riferito ad organi e soggetti appartenenti
alla medesima struttura organizzativa, titolare del potere decisorio e non ad
altri organi o soggetti, che, pur rientrando nell’ambito della medesima
156
amministrazione, siano estranei al potere di decidere sulla base delle notizie
e dei dati raccolti in sede istruttoria34 , ai fini dell’atto di accertamento.
Alla G.d.F. è deputato, in tal senso, solo il ruolo d’indagine e, quindi, di
raccolta del materiale, sul quale dovrà essere motivato dagli uffici
l’accertamento.
Da ciò derivano due rilevanti conseguenze:
- in primo luogo, la G.d.F. non potrà mai, a nostro avviso, indicare nel
processo verbale di constatazione le ragioni e i motivi dell’accertamento,
ma unicamente le indagini e i riscontri eseguiti;
- in secondo luogo, essendo evidentemente la G.d.F. l’ “organo
investigativo” e l’Ufficio finanziario “l’organo decidente”, nel caso in cui
quest’ultimo utilizzi “pedissequamente e acriticamente” le considerazioni e
i rilievi dei verificatori, ci si troverà in presenza di un accertamento viziato
sotto l’aspetto dell’ insufficiente motivazione e, pertanto, invalido e
annullabile.
E’ appena il caso di ricordare, infine, che la l. 212/2000 ha introdotto un
diritto del contribuente ad inviare entro 60 giorni dalla redazione del
33
Sul punto, cfr. VOGLINO, “Brevi notazioni sull’inderogabile dovere degli Uffici ecc.”, in Boll. trib.,
1995, p.805 ss.
34
Per tali considerazioni, cfr. MANZONI, op. cit. (v. cap. I), il quale, peraltro, considera la motivazione
dell’atto impositivo (data la grande importanze che essa riveste ai fini della difesa del contribuente), al
termine dell’istruzione primaria amministrativa, alla stregua di una sentenza del giudice.
Per il rilievo che la motivazione dell’atto di accertamento debba necessariamente contenere l’indicazione
delle prove raccolte e la spiegazione delle ragioni giuridiche che la sorreggono, trattandosi di un atto che,
in definitiva, deve controbilanciare l’assenza, nella fase istruttoria, di un generale contraddittorio tra le
parti, v. LA ROSA, Caratteri, cit., p.3 ss.
157
verbale
di constatazione o di verifica, chiarimenti o osservazioni
all’Ufficio,. Si è così formalizzato, in certa misura, un diritto del
contribuente al contraddittorio col fisco, mediante una norma (l’art. 12)
che, da una parte , concorre ad evidenziare la strutturale diversità dell’atto
di accertamento dal processo verbale, con l’introduzione di un termine
preclusivo, entro cui il soggetto controllato può interloquire con l’Ufficio;
dall’altra, pone un ulteriore requisito di validità delle indagini, sicchè pare
che un atto di accertamento, emesso prima del termine previsto (salvo,
aggiunge la legge, che non ricorrano grave e motivate ragioni), e senza
tener conto in motivazione delle ragioni prospettate dal contribuente, non
possa che ritenersi invalido35 .
35
Cfr., per tutti, RUSSO, Manuale, ult. ed., cit., p.276 ss.Per altre indicazioni, v., poi, cap. I, tit. II.
158
TITOLO SECONDO
I rapporti tra il processo penale e l’accertamento
tributario.
SOMMARIO: 3.2.1 Nascita ed evoluzione storica delle norme
procedimentali
per
il
passaggio
delle
prove
dal
procedimento
giurisdizionale penale all’accertamento tributario; 3.2.2 Violazioni
prospettabili nel passaggio dal procedimento amministrativo a quello
penale: l’omessa comunicazione al verificato che si è individuata una
fattispecie penalmente rilevante; 3.2.3. Il mancato rispetto del rapporto
funzionale tra atto di ricerca della prova e atto materiale di apprensione.
3.2.1 Nascita ed evoluzione storica delle norme procedimentali per il
passaggio delle prove dal procedimento giurisdizionale penale
all’ accertamento tributario.
Lo studio delle violazioni dell’attuale procedura relativa al trasferimento di
dati e notizie dal procedimento giurisdizionale penale agli organi
159
accertatori fiscali36, ci offre ora il destro per descrivere, sia pure in modo
sommario, la nascita e l’evoluzione normativa degli artt. 332, d.P.R. 600/73
e 631 , D.P.R 633/72 ad esso dedicati, sì da analizzare, nei paragrafi
successivi, le violazioni prospettabili nel correlativo passaggio di prove
dall’ambito tributario a quello penale.
Con riferimento agli artt. 332
e 631 citati, l’originario regime delle
autorizzazioni del magistrato penale, introdotto con D.P.R. 463/82,
prevedeva che uno dei presupposti fondamentali dovesse consistere nel
fatto che la prova oggetto di trasmissione doveva essere ottenuta solo dalla
G.d.F.: l’eventuale acquisizione da parte di altre forze di polizia non
avrebbe consentito la trasmissibilità.
A seguito delle modifiche apportate alla disciplina dal d.l. 413/91,
convertito con modifiche nella legge 197/1991, tale possibilità è stata ora
estesa anche ad altri corpi di polizia.
Oltre alla limitazione soggettiva, ve ne era anche una oggettiva, in quanto
la trasmissibilità era ammessa solo nei confronti del soggetto che
contemporaneamente rivestisse la qualifica di “imputato” e “contribuente”.
Sotto questo profilo, grande risalto ha avuto in passato la problematica
della trasmissibilità di dati e notizie relative a soggetti ulteriori rispetto a
quelli che avevano assunto la veste di imputato.
36
V. titolo I, par. 3.1.6.
160
Aderivano alla tesi restrittiva quegli autori che ritenevano invalicabile la
corrispondenza tra imputato e destinatario dell’attività di accertamento
tributario, prevista in modo esplicito dalla stessa dizione legislativa37 .
Tesi meno restrittive (e, a nostro avviso, maggiormente fondate)
evidenziavano come la norma collegasse il riferimento alla figura
dell’imputato
non
tanto
all’utilizzazione
ai
fini
fiscali,
bensì
all’acquisizione degli stessi elementi nell’esercizio delle funzioni di polizia
giudiziaria. In tal modo, la norma limitava la trasmissibilità dei dati relativi
a coloro che avevano assunto la qualifica di imputato, consentendo, tuttavia
la loro utilizzabilità ai fini fiscali anche nei confronti di altri soggetti, primi
fra tutti coloro che risultassero controparti delle operazioni poste in essere
dall’imputato stesso.38
Si differenziava leggermente dalle conclusioni da ultimo riportate quella
dottrina secondo cui la normativa autorizzava la G.d.F. a <<trasmettere i
soli documenti, dati e notizie acquisiti nei confronti dell’imputato>>, così
escludendo che potessero essere trasmessi all’ufficio atti e documenti
relativi ad altri soggetti, senza che ciò impedisse che i dati e le notizie
potessero essere poi utilizzati <<tout azimut.>>.
37
TRIMELONI, Le deroghe la segreto bancario, cit., p.94 ss.; MAFFEZZONI, “Segreto bancario e
indagine fiscale”, in Boll. trib., 1983, p.885.
38
MANDÒ, “Limiti di utilizzabilità ai fini fiscali di documenti acquisiti in deroga al segreto bancario”, in
Rass. trib., 1985, II, p.437.
161
In tal modo, si escludeva la trasmissibilità di documenti od atti,
consentendo, nel contempo, che <<sulla base di risultanze attinenti a
comportamenti e situazioni coinvolgenti appunto i soggetti imputati, gli
Uffici possano svolgere attività di accertamento senza limitazione
alcuna>>.39
In quanto alla giurisprudenza formatasi su tali questioni, la Commissioni
tributarie risultavano compattamente attestate nel sostenere l’illegittimità in
via derivata dell’avviso di accertamento che si fondasse su risultanze
probatorie acquisite dalla G.d.F., senza la preventiva autorizzazione del
magistrato.40
Inoltre, era orientamento pressoché consolidato che l’autorizzazione
prevista dagli artt. 63 e 33 citati dovesse essere congruamente motivata in
relazione alla valutazione comparativa tra gli interessi tutelati dal segreto
delle indagini e l’interesse dell’accertamento fiscale, oltre a contenere la
specifica indicazione dei dati che dal processo penale potessero transitare
nella fase istruttoria amministrativa.41
Più in generale, gli artt. in parola rispondevano alla sempre più avvertita
esigenza – a seguito della scomparsa della c.d. <<pregiudiziale tributaria>>
39
GRANELLI, op. ult. cit., p.228.
Cfr., ad esempio, Com. trib. prov. Siena, Sez. III, n° 5697/1990, p.1022; Com. trib. prov. Belluno, 12
dicembre 1987, in Rass. trib., 1989, II, p.11134; Com. trib. Cent. Sez. X, n° 6849/1988, in Rass. Trib.,
1989, II, p.897.
41
Cfr. Com. trib II grado di Genova, Sez. II, 18 aprile 1986, in Boll. trib., 1987, p.420; Com. trib. prov.
Ancona, Sez. I, n° 146/1981, in Com. trib., 1981, p.731.
40
162
di un coordinamento dei due interessi in contrasto tra loro, quello penale e
quello fiscale.
Secondo alcuni, la ratio delle norme in oggetto era da rinvenire nella
possibilità di evitare accertamenti divergenti42 , ma tale impostazione deve
ritenersi ormai superata, se si tiene presente che, con la nuova impostazione
del processo penale, il legislatore ha inteso favorire la celerità del
procedimento penale, a scapito, seppure parzialmente, dell’uniformità dei
giudicati.43
Si può, allora, ben asserire che l’intervento del legislatore del 1982 (e poi di
quello del 1991) aveva come scopo la creazione di un’osmosi tra i vari
settori dell’Amministrazione statale, che consentisse di riutilizzare, quanto
più possibile, i dati e le informazioni, ottenute in sede penale, ai fini
fiscali44.
42
V. MAFFEZZONI, “Dei rapporti tra processo penale e processo tributario nella disciplina della legge
516/1982”, in Boll. trib. inf., 1988, p.1591 ss.
43
Si rinvia, per maggiori approfondimenti, a BERSANI, “Processo penale e processo tributario:
considerazioni alla luce della nuova disciplina processuale”, in Fisco 1990, p.280 ss.
44
Vedasi, per tutti, MAMBRIANI, “Utilizzo, i sede penale, di atti del processo tributario”, in Circ. Com.
trib. n° 6/93, p. V ss.; GIULIANI, “Uno sguardo al nuovo codice di procedura penale con l’ottica del
tributarista”, in Boll. trib. inf., 1988, p.1844; AIUDI, “Appunti sulle innovazioni connesse alla riforma del
codice di procedura penale”, in Boll. trib. inf., 1990, p.341.
163
3.2.2. Violazioni prospettabili nel passaggio dalla fase amministrativa
di accertamento al procedimento penale: l’omessa comunicazione al
verificato che si è individuata una fattispecie penalmente rilevante.
La l. 516/82, attraverso l’eliminazione della pregiudiziale tributaria, che
nella precedente disciplina legislativa svolgeva la funzione di condizione di
procedibilità, ha di fatto anticipato il momento della formazione della
notizia di reato.
I problemi che con la nuova disciplina sono emersi riguardano soprattutto il
momento in cui il contribuente, da soggetto sottoposto ad attività di
accertamento fiscale, diviene soggetto indagato in un procedimento
penale.45
Nella vigenza del vecchio codice di procedura penale, alcuni autori
avevano evidenziato come l’obbligo di segnalare la notizia sorgesse prima
della definitiva redazione del processo verbale di verifica, mentre, da parte
di altri, il momento era posticipato al termine della verifica.46
A seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice di rito penale, la norma
cui si fa riferimento è costituita dall’art. 347 c.p.p., che, nella versione
originaria, prevedeva l’obbligo, per la p.g., di riferire per iscritto al p.m. gli
45
V. PASQUARIELLO, “Notizia criminis, attività istruttoria e provvedimenti nel processo tributario”, in
Fisco, 1985, p.58 ss.
46
IDEM, op. cit., p.58.
164
elementi esenziali del fatto e gli altri dati , fino a quel momento raccolti,
entro 48 ore.
Tuttavia, la particolare natura dei reati tributari, la loro peculiare struttura ,e
le conseguenti diverse modalità di accertamento, hanno indotto la dottrina,
ma soprattutto i magistrati del p.m. e la Guardia di Finanza , ad individuare
momenti differenziati a seconda della tipologia di reato.47
Ciò si rendeva necessario al fine di far decorrere il termine delle 48 ore,
presente nell’art. 347, vers. orig., c.p.p., per le comunicazioni al p.m. e
l’iscrizione della notizia di reato.48
Anche con riferimento alla ritardata o mancata iscrizione dell’indagato nel
registro delle notizie di reato non mancavano problemi interpretativi di
rilievo.
Il c.p.p. prevede, infatti, all’art. 335 che <<il p.m. iscrive immediatamente
(…) ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria
iniziativa>>.
Sulla base di tale norma ci si è chiesti quale debba essere
il
comportamento degli operatori della G.d.F se, nel corso dell’attività di
controllo, si imbattano in un reato c.d. “a cognizione istantanea” o
47
Cfr. Circ. Procura della Repubblica di Milano n° 631/90, riportata da BRIGHETTI – DE RUGGIERO,
“I reati tributari”, Milano, 1994, p.457.
48
Tale termine è stato poi eliminato e sostituito dalla generica locuzione “senza ritardo”, ad opera
dell’art. 4, l. 356/1992. Sul punto, cfr. DELL’ANNO, “Reati tributari e processo verbale di
constatazione”, in Fisco, 1990, p.3939 ss.
165
“a cognizione istantanea ma suscettibile di ulteriore evoluzione”, ed eviti di
notiziare il p.m., per rimandare tale attività al termine della verifica.
E’ , secondo noi, evidente, in questo caso, una violazione del diritto di
difesa, in quanto la parte pubblica (cioè l’organo verificatore) si
attribuirebbe una situazione di supremazia incontrollata, eludendo i limiti
temporali che la legge stabilisce per la durata delle indagini49.
Inoltre, la ritardata iscrizione preclude all’indagato il diritto, assicurato
dalla Convenzione Europea sui diritti dell’uomo “ad essere informato, nel
più breve tempo possibile (in una lingua a lui comprensibile) e in modo
dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico” (V.
art.63 , lett. a). In relazione a determinate tipologie di reati (ad es., le
condotte omissive), i verificatori realizzano immediatamente che la
fattispecie , riscontrata ai fini fiscali, integra anche un’ipotesi penalmente
rilevante e a tale consapevolezza dovrà far seguito la sospensione
dell’attività di accertamento tributario, per far spazio alle indagini penali
(c.d. reati a cognizione istantanea e a cognizione istantanea suscettibili di
evoluzione).
In altre situazioni, invece, ci si potrà rendere conto che è stata commessa
una violazione tributaria di rilevanza penale solo al termine della
complessiva attività di verifica (ad es., in caso di frode fiscale). Tuttavia,
49
Conformemente, Cass. Sez. IV, 26 ottobre 1990, in Boll. trib., 1991, p.16 ss.
166
anche adottando queste pur opportune distinzioni, è di tutte evidenza che, al
momento dell’individuazione della “notitia criminis”, conseguirà l’obbligo
per il militare della G.d.F. (che da ufficiale di P.T., si trasformerà in
ufficiale di P.G.) di informare il contribuente del mutamento di status (da
verificato o indagato), mentre in capo a quest’ ultimo sorgerà il diritto a
tutte le prerogative difensive che il c.c.p. riserva ai soggetti indagati. E’,
peraltro, altresì chiaro che tutte le attività poste in essere dopo che eventuali
indizi di reità si siano manifestati, e senza che siano state predisposte le
suddette garanzie difensive, integreranno un atto inutilizzabile nel
procedimento penale.50 51
Ciò che si verifica sia nel caso di dichiarazioni rese dal contribuente
sottoposto a verifica fiscale da parte della finanza senza l’assistenza del
difensore e successivamente al momento della emersione di indizi di
reità52 , sia per tutti gli atti di natura ispettiva posti in essere dalla G.d.F.
con atti processuali penali e che vengono posti in essere in assenza di
garanzie difensive.
A tale conclusione si perviene facilmente, tenendo conto dell’art. 220 disp.
att. c.p.p., ove si sancisce che, quando nel corso di attività amministrative
50
Sul punto, cfr. GIARDA, “Accertamento dell’illecito penale amministrativo e connessione obiettiva
con un reato”, in “L’illecito penale amministrativo. Verifica di un sistema”, Padova, 1981, p.220 ss.
51
È da notare che l’art. 12, l. 212/2000, ora prevede, tra l’altro, nell’elencare tutta una serie di diritti
spettanti al contribuente in sede di accessi, ispezioni e verifiche fiscali, che egli possa essere assistito da
un difensore a prescindere da eventuali emergenze istruttorie di rilevanza penale e che questa facoltà,
oltre all’informazione sui motivi del controllo, debba essergli comunicata dagli operatori fiscali.
167
emergono indizi di reato, “gli atti necessari per assicurazione le fonti di
prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge
penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.
Infine un chiarimento su un punto abbastanza controverso in dottrina.
Il dubbio è se prove acquisite dalla G.d.F. senza il rispetto di tutte le
garanzie difensive(e, dunque, inutilizzabili nel processo penale), possano
essere utilizzate nell’ambito dell’accertamento tributario.
A noi pare non sussistano preclusioni formali, sicchè le risultanze
istruttorie, poste in essere dalla G.d.F, ben possono essere riutilizzate,
purché ricorrano i requisiti ed i presupposti previsti per ciascun atto dalla
normativa tributaria53 .
3.2.3 (segue). Il mancato rispetto del rapporto funzionale ha atto di
ricerca della prova e atto materiale di apprensione.
Accanto all’ipotesi di inutilizzabilità appena ricordate, una seconda ,poi, se
ne prospetta, nell’ambito del procedimento penale.
L’attuale regime normativo, infatti, indurrebbe a pensare che sussista uno
stretto
rapporto
funzionale
ha
52
atto
di
ricerca
della
prova
Cfr. Cass. Sez. III pen., n° 2117/94, in Com. trib., 1994, p.1501.
di segno opposto, le valutazioni di SCHIAVOLIN, “L’utilizzo penale delle risultanze penali”, Milano
1994, p.27. Secondo l’A., “l’illimitata trasferibilità di una prova, anche documentale, assunta grazie a
poteri istruttori non previsti nel procedimento AD QUEM, potrebbe vanificare la tutela degli interessi che
il legislatore ha inteso salvaguardare, allorché ha limitato i poteri coercitivi in quest’ultimo”.
53
168
(es.: perquisizione) ed il susseguente atto di materiale apprensione della
stessa (sequestro)54.
Ciò significa che, quando un dato mezzo di ricerca della prova è stato
predisposto per la repressione di un determinato reato, la ricerca della
prova stessa non potrà riguardare fatti pur penalmente rilevanti, ma di tipo
diverso.
In altri termini e volendo esemplificare, se viene ordinata una perquisizione
volta alla repressione delle norme in materia di contraffazione marchi, non
possono essere disposti dalla G.d.F. sequestri ai sensi dell’art. 35, l. 4/29,
in quanto tale norma prevede l’uso della perquisizione solo in presenza di
investigazione concernenti la materia tributaria55 .
Appare palese che la prova così ottenuta sia da reputarsi inutilizzabile ai
sensi dell’art. 191 c.p.p.
Conforta con posizioni adesive la nostra tesi, invece, NUSSI, “Note sui mutati rapporti tra processo
penale e processo tributario”, in Dir. prot. trib., 1990, I, p.885 ss.
54
Nel senso che, al contrario, non sussista alcun nesso funzionale, bensì un semplice collegamento
temporale e, in definitiva, psicologico tra perquisizione e sequestro, cfr., invece, CORDERO, Procedura
penale, cit., p.615. Tale A., con la naturale nitidezza espositiva che lo contraddistingue,
afferma:<<Lavoro perquisitorio e sequestro hanno regimi diversi, perché sono diverse le rispettive
funzioni: date norme identificano cose sequestrabili, altre stabiliscono in qual modo cercarle
coattivamente; spesso il sequestro colpisce le male rinvenute>>.
55
Cfr. Cass. 22 settembre 1995, in Cass. pen. 1996, p.1545. Tale pronuncia ritiene irrilevante
l’illegittimità della perquisizione (con ciò limitando la portata del principio ex art. 191 c.p.p.), solo
quando il reperimento del corpo del reato sia del tutto casuale, con ciò giustificando l’intervento
immediato della P.G. ai sensi dell’art. 354 c.p.p. Tale soluzione appare del tutto condivisibile: basti
pensare, poniamo, al caso in cui, fortuitamente, nel corso di una perquisizione per un rinvenimento di
armi, venga ritrovata sostanza stupefacente in notevole quantità; diversa è, peraltro, l’ipotesi in cui, fin
dall’inizio dell’indagine, la G.d.F. tenti di strumentalizzare un mezzo di ricerca della prova (ad esempio,
ex art. 35, l. 4/29, al fine di rinvenire opere d’arte detenute illecitamente) per effettuare, in qualità di P.G.,
perquisizioni relative a settori diversi da quelli previsti dalle norme, al fine di eludere la necessità
dell’autorizzazione preventiva da parte dell’A.G. competente.
169
A quanto appena affermato si accosta un consolidato orientamento
giurisdizionale56, a cui si deve il ribaltamento del già ricordato principio
male captum sed bene rentum57, che ha chiarito come l’art. 191 c.p.p. si
ponga come garanzia del procedimento, giustificando, in via generale,
l’applicazione della sanzione d’inutilizzabilità58 .
Pertanto,il significato del termine “acquisizione”non sarebbe
più da
intendere in modo autonomo rispetto alla “ricerca delle prove”: i due atti
dovrebbero essere concepiti come funzionalmente interdipendenti, cosicché
l’atto di apprensione viene necessariamente influenzato dall’atto di ricerca
illecito o illegittimo, con conseguente inutilizzabilità della prova in tal
modo raccolta.
In questo senso, può affermarsi che “si è raggiunta, in definitiva,
un’equiparazione del profilo funzionale della prova (cioè della sua
acquisizione), con quello genetico (vale a dire, con la sua ammissione)”.59
Conseguenti a quest’impostazione sono due corollari, importanti ai fini
della nostra ricerca:
56
Cfr., altresì, Cass. pen. sez. V, 13 marzo 1992, in Cass. pen., 1993, p.393, con nota di BENE, “L’art.
191 c.p.p. e i vizi del procedimento probatorio”, nonché in Foro it. 1993, II, c.85, con nota di FERRARO,
e Cass. Sez. Unite 27 marzo 1996, in Cass. pen. 1996, p.3268, con nota di VESSICHELLI.
57
Il principio era consolidato nella vigenza del vecchio codice di rito penale; v., in giurisprudenza, Cass.
pen. 21 ottobre 1977, in Giust. pen., 1979, III, c.20; Cass. pen. 24 settembre 1977, ivi, 1978, III, c.417;
Cass. pen. 12 novembre 1985, ivi, 1986, c.584; Cass. pen 24 marzo 1986, in Riv. pen. 1987, p.667; in
dottrina, fra i sostenitori ancora oggi del citato principio, v. CORDERO, Procedura, cit., nonché
SANLORENZO, “Commento al nuovo codice di procedura penale”, coordinato da Chiavaro, vol. VII,
Torino, 1993, p.242.
58
V., per più ampie valutazioni sul tema, cap. II.
170
- anzitutto, che l’autorizzazione del giudice ai fini degli accessi domiciliari,
in caso di gravi indizi di violazioni fiscali, in tanto è legittima, in quanto si
fondi su motivati o consistenti indizi circa la possibilità che l’oggetto da
reperire si trovi nel luogo da perquisire. Non bastano, cioè, semplici
congetture o sospetti;
-
in secondo luogo, si richiede, a nostro parere, che il mezzo di ricerca
della prova deve presupporre la predeterminazione del fatto che si
intenda provare, “in funzione del quale sia
valutabile ex ante la
necessità dell’apprensione coattiva delle cose pertinenti al reato per
l’accertamento dei fatti”.60
59
Così, testualmente, Cass. 22 settembre 1995, cit., con commento favorevole di COMOGLIO,
“Perquisizione illegittima ed inutilizzabilità derivate dalle prove acquisite con il susseguente sequestro”,
cit., p.1547-61.
60
Testualmente, in COMOGLIO, op. ult. cit., p.1551, nota 23. In giurisprudenza, per quest’ultima
interpretazione, applicata alla perquisizione e al sequestro, v. Cass. pen. 29 ottobre 1993, in Foro it., II,
1994, c.224; Cass. pen. 25 giugno 1990 in Arch. n. proc. pen., 1991, p.293.
Contra, cfr. Cass. pen. 17 ottobre 1995, in G.U. n° 2/1996, p.29.
171
IV CAPITOLO
La tutela “diretta” del contribuente contro
l’illegittimo esercizio dei poteri istruttori
172
SOMMARIO: 4.1 Premessa: Il dibattito dottrinale circa una possibile
tutela giurisdizionale anteriore al processo tributario; 4.2 Puntualizzazioni;
4.3 La posizione della giurisprudenza; 4.3 La tutela diretta e il regime delle
autorizzazioni giudiziarie; 4.5 Cenni al dibattito sul diritto d’accesso agli
atti autorizzatori di verifiche bancarie: il contrasto ha alcuni TAR e il
Consiglio di Stato-Rilievi ; 4.6 Il contributo offerto dalla l.212/2000; 4.7
Note conclusive.
4.1
Premessa. Il dibattito dottrinale circa una possibile tutela
giurisprudenziale anteriore al processo tributario,
Un problema ulteriore, e strettamente connesso con quello relativo
all’inutilizzabilità della prova illegittimamente raccolta, attiene ai mezzi di
tutela che, immediatamente (cioè
prima dell’atto di accertamento), il
contribuente può esercitare nella fase istruttoria.
Sull’argomento, in verità, si è molto scritto in dottrina, mentre la
giurisprudenza risulta ancora scarsa e deludente.
In particolare, alcuni hanno ricordato che “la dottrina meno recente, anche
quando utilizzava la nozione di procedimento, affermava che, in assenza
di discrezionalità amministrativa, i vizi del provvedimento (atto di
173
accertamento) ridondavano in vizi del procedimento”, dovendosi quindi
”attendere per far valere contro di essi i vizi degli atti istruttori”.1
A fronte di queste iniziali posizioni è venuta, però , in progresso di tempo,
delineandosi, a detta di alcuni, l’assoluta insufficienza di tale tutela “per un
verso eventuale, e per l’altro solo indiretta del diritto personale
indebitamente inciso dall’attività istruttoria, nel senso che la tutela predetta
si risolve nell’inutilizzabilità delle prove illegittimamente
acquisite, la
quale può, a sua volta, sfociare nella declaratoria di infondatezza della
pretesa impositiva in mancanza di altre prove” 2.
Da un diverso angolo visuale, ma sostanzialmente nella stessa ottica, si
nuove chi sostiene che il giudizio sugli atti impositivi soddisfa la pretesa ad
essere assoggettati al prelievo in seguito ad un procedimento svoltosi
legittimamente,” ma (ciò) non basta a garantire gli interessi direttamente
pregiudicati dai poteri istruttori, tanto meno quelli dei soggetti diversi dal
contribuente”3.
A fronte della complessa articolazione dei poteri istruttori della finanza non
si può, allora, che condividere l’opportunità che, a tutela di interessi
giuridicamente rilevanti dei soggetti controllati, (riconosciuti, talvolta, da
norme costituzionali, talaltra da leggi ordinarie), e non inerenti al diritto,
1
Riportato da FANTOZZI, Diritto, cit., p.325; sul punto cfr. anche, retro, parr. 2.4. e 2.5.
RUSSO, Manuale, cit., p.270.
3
SCHIAVOLIN, “Poteri istruttori”, cit., p.202
2
174
strettamente patrimoniale, all’esatta determinazione del presupposto, si
predispongano rimedi più incisivi e soddisfacenti.
Volendo esemplificare, un accesso domiciliare o un indagine bancaria
illegittimi ledono, in ogni caso, il diritto all’inviolabilità del domicilio o
alla riservatezza, anche se gli elementi raccolti non siano, poi, impiegati per
l’accertamento. Ora, per evitare un pregiudizio di così grave portata,
peraltro non sempre necessario, posto che all’espletamento dei poteri
d’indagine può non far seguito alcun atto di accertamento, bisognerebbe
poter agire immediatamente in sede giurisdizionale .
Ma, com’è noto, gli atti dell’istruttoria di accertamento non sono compresi
tra quelli “autonomamente impugnabili “nel processo tributario (V. artt. 16
D.P.R. 636/72 e 19 d. lgs. 546/92), il quale, comunque, può soltanto
eliminare le conseguenze “fiscali” della violazione.
Il problema, se si vuole, è che un rimedio immediato nei confronti del
pregiudizio che gli atti istruttori possono arrecare ai suddetti interessi del
contribuente si inquadra difficilmente “con l’attuale sistema del processo
tributario, basato com’è sull’impugnazione di atti finali, tassativamente
indicati dalla norma”4 .
4
FANTOZZI, cit., p.326.
175
La dottrina ha ammesso, sia pure con diversi accenti, la possibilità di adire
il giudice civile, quando l’indagine
violi diritti soggettivi, e quello
amministrativo, se leda interessi legittimi.5
Le ragioni sopra esposte valgono, poi, ad escludere che per negare la tutela
immediata possa farsi ricorso (come ha fatto, peraltro, la giurisprudenza
dominante che si è pronunziata sul punto) al noto principio, vigente nel
processo amministrativo, secondo cui gli atti istruttori non sono
autonomamente impugnabili, ma debbono essere impugnati unitamente
all’atto finale.
Tale principio è, infatti, “un corollario di quello che richiede l’attualità
della lesione dell’interesse protetto per l’esistenza dell’interesse ad agire e
quindi per la sua proponibilità”6.
In questa prospettiva, in tanto un’impugnazione è ammissibile, in quanto si
consideri esclusivamente la posizione soggettiva del contribuente, incisa
dall’atto finale.
Ma, come si è cercato di spiegare, talvolta, l’attività istruttoria lede
immediatamente una posizione soggettiva diversa, inerente non tanto al
contribuente in quanto tale, ma a diritti della sua personalità (riservatezza,
5
Cfr., per tutti, FEDELE, “I principi”, cit., p.479; FANTOZZI, “I rapporti”, cit., p.238; ID.,
“Accertamento tributario”, in Encic. Giur., I, Roma 1988, p.12; ID., “Diritto”, cit., p.307 ss.; LA
GUARDIA, “Carenze”, cit., p.132; ID., “Attività d’indagine della P.T., sua autonoma lesività e riparto di
giurisdizione”, in Riv. dir. trib., 1991, II, p.55 ss.; LA ROSA, Caratteri, cit., p.794; TESAURO,
“Lineamenti del processo tributario”, II Rimini, 1991, p.257; BASILAVECCHIA, Il riparto, cit., p.814
176
inviolabilità del domicilio ecc.,), sussistendo i quali si può, secondo noi,
ben giustificare l’interesse all’immediata tutela della posizione stessa7.
Da ciò consegue, in via di prima approssimazione, che la tutela concreta di
queste posizioni soggettive non può essere data dalla dichiarazione di
annullamento dell’avviso di accertamento, ( o di atti ad esso analoghi) da
parte delle Commissioni Tributarie, ma solo in via immediata.
D’altra parte il rilievo che non ci si trovi qui in un procedimento
giurisdizionale e che, in ultima analisi, non ci si possa avvalere delle
garanzie interne che l’ordinamento processuale predispone per la tutela
immediata (si pensi, ad esempio, alla richiesta di riesame dei
provvedimenti di acquisizione delle prove o ai reclami al collegio, ex artt.
324, 325 c.p.p. e 178 c.p.c.) non dimostra nulla, giacché, pur non essendo
utilizzabili
queste forme di tutela nel corso delle attività istruttorie di
accertamento, “la loro stessa esistenza nel procedimento processuale di
ss.; SCHIAVOLIN, “Indagini fiscali e tutela giurisdizionale anteriore al processo tributario”, in Riv. dir.
fin. Sc. fin., II, 1991, p.34 ss.
6
SALVINI, “La partecipazione”, cit., p.336.
7
Cfr. BASILAVECCHIA, cit., p.814,il quale, cogliendo la sussistenza di ulteriori interessi del
contribuente o di terzi, coinvolti nell’attività di controllo, contestualmente rileva che “l’esigenza di una
tutela immediata e autonoma rispetto a quella offerta dalle Commissioni tributarie non comporta, di per
sé, l’affermazione del giudice amministrativo, perché occorre verificare se il procedimento previsto dalla
legge, contempli atti autoritativi (come nel caso dell’autorizzazione alle deroghe al segreto bancario), che
affievoliscono quei diritti degradandoli ad interessi legittimi. Ove ciò non accada, la tutela deve essere
fornita dal giudice ordinario, dotato, peraltro, di strumenti quanto mai efficaci, come il provvedimento ex
art. 700 c.p.c.. La valutazione […] va fatta caso per caso, vagliando i poteri dei quali la polizia tributaria o
gli Uffici fiscali abbiano fatto uso […]”. Cfr., pure, LA GUARDIA, Carenze, cit., spec. nota 4.
177
acquisizione delle prove indica la insopprimibile funzione di tali tipi di
garanzie”8.
Ciò vale, ancora, a prescindere dalle qualificazioni che si vogliono dare alle
attività istruttorie della finanza.9
Sia, dunque, se la si consideri in qualche modo finalizzata all’accertamento
del tributo o delle violazioni, non riconoscendosi ad essa autonoma
rilevanza, sia se la si intenda come momento autonomo, finalizzato
direttamente al controllo e solo mediatamente all’accertamento.10
Infatti:
-
sulla base della prima ricostruzione interpretativa, si può notare che la
“finalizzazione” (all’attività di accertamento) non incide sulla possibilità
di configurare posizioni soggettive ulteriori in capo al contribuente11
rispetto al diritto ad una giusta imposizione.
-
In tal modo, lo stesso atto di accertamento opererebbe su due piani
distinti, quali, appunto, quello della tutela mediata, cioè contro l’atto di
accertamento (laddove, lo ripetiamo, si può invocare davanti
8
alle
SALVINI, op. ult. cit., p.337. In dottrina si deve, però, anche tener conto della posizione di GLENDI,
op. cit., che esclude una tutela esterna al processo tributario; nonché, per converso, quella di FEDELE,
op. ult. cit., il quale ritiene operanti, nella fase istruttoria, tutti i principi processuali in qualche modo
desumibili dalla Costituzione.
9
Su cui vedi cap. I, par. 1.2.
10
Cfr. LA ROSA, Caratteri, cit., p.3, che qualifica i poteri dell’A.F. “come preliminari ed esterni
all’accertamento, e come momenti di autorità aventi una loro rilevanza giuridica”, la quale vale, secondo
l’A., a delimitare dall’esterno l’area dell’accertamento vero e proprio.
11
SALVINI, cit., p.337.
178
Commissioni l’inutilizzabilità delle prove raccolte dalla finanza in
violazione di norme legge); e quello
della tutela immediata (che
involge ulteriori interessi del contribuente, direttamente compromessi
da atti istruttori illegittimi);
-
Privilegiando, invece, la seconda nozione di attività istruttoria,
l’ammissibilità di una tutela diretta discende a fortori, poiché se
l’esercizio di un potere autoritativo è considerato in sé concluso e non
finalizzato, se non mediatamente all’accertamento, ne consegue che può
riconoscersi una tutela immediata altrettanto indipendente da quella
data contro l’(eventuale) atto di accertamento.
Certo, è innegabile che punti di contatto tra i due piani suddetti possano
concretamente verificarsi12 ; ma, com’è stato sostenuto, “si tratta di una
circostanza che non influisce a livello logico sulla loro sostanziale
diversità”13.
4.2. Puntualizzazioni
Posto che, a nostro avviso, i poteri istruttori della finanza meglio si
inquadrano come momenti non autonomi rispetto alla successiva attività di
accertamento, vediamo di chiarire le varie posizioni soggettive del
contribuente controllato.
179
Come, detto, a fronte dei poteri istruttori, stanno diritti soggettivi dei
privati, ulteriori rispetto a quello ad una giusta imposizione, i quali, in tanto
sono comprimibili, in quanto, in forza del principio di legalità, i poteri
suddetti siano esercitati secondo le modalità e con i presupposti previsti
dalla legge. Se, quindi, questi ultimi non sono rispettati, la compressione di
quei diritti diviene illegittima, e il contribuente dovrebbe potervisi opporre
immediatamente.
In dottrina, non esiste, però, uniformità di opinioni sui casi nei quali
chiedere una tale tutela diretta, sussistendo un concreto ed attuale interesse
ad agire, sicchè è opportuno distinguere a seconda delle diverse tipologia
di poteri.14
Se, ad esempio, la finanza si limita ad inviare illegittimamente questionari
o, comunque, ad ordinare, al di fuori dei casi previsti dalla legge,
comportamenti che determino, in astratto, un obbligo di facere
del
contribuente, poiché il destinatario dell’ordine può rifiutarsi di adempiere
ed impugnare l’eventuale irrogazione di sanzioni per l’inottemperanza, è
evidente che mancherebbe un interesse ad agire in via immediata, salvo,
forse, che l’esercizio illegittimo di tale tipo di potere non sia dalla legge
12
Si pensi ad un atto istruttorio illegittimo, che sia annullato immediatamente, e agli elementi raccolti in
dipendenza, che non potranno essere usati ai fini dell’accertamento.
13
SALVINI, cit., p.338.
14
IDEM,ivi, 339
180
previsto come presupposto per ulteriori indagini, incidenti su posizioni
soggettive autonome del privato15 .
Si pensi, in proposito, al caso di indagini bancarie , ove l’inadempimento
alla richiesta di trasmettere copia dei conti consente l’accesso presso la
banca.
Orbene, secondo alcuni, in fattispecie come questa, una tutela immediata
potrebbe pure essere ammessa 16 .
Da quanto siamo venuti dicendo fin qui, tuttavia, sembra che “nessuna
tutela immediata possa invocare il privato nei confronti dell’invio di un
questionario illegittimo e, comunque, dell’esercizio di un potere istruttorio
che gli impone una prestazione attiva17, perché la tutela immediata si
configurerebbe come un’inammissibile tutela anticipata della stessa
situazione soggettiva lesa dall’atto di irrogazione di sanzioni”18.
Ciò che, a maggior ragione, dovrebbe valere se l’ordine è rivolto ad un
terzo, perché il contribuente non può qui far valere un interesse ad agire,
15
Si pensi alla mancata risposta ai questionari della finanza da parte della banca.
Cfr., sul punto, LA GUARDIA, Attività, cit., p.62. L’A. sostiene che in casi analoghi a quello da noi
considerato “il pericolo a cui si espone il destinatario della richiesta che – considerandola illegittima –
ometta di fornire le informazioni in suo possesso, assume contorni assai più preoccupanti di quelli cui va
esposto, per analoga inottemperanza, il destinatario di questionari dell’amministrazione finanziaria”. Per
il rilievo (da noi non condiviso) per cui il questionario illegittimamente inviato possa ledere
immediatamente il privato e sia, dunque, da esso immediatamente impugnabile, sulla base del
collegamento sostanziale tra la nozione di prestazione personale, ex art. 23 Cost. e la tutela delle libertà
individuali, cfr. FEDELE, op. cit., p.44 ss.
17
Si pensi, ad esempio, al caso in cui vengano rivolte, nel corso di una verifica fiscale, richieste di
informazioni da parte dei funzionari.
18
SALVINI, cit., p.340.
16
181
essendo estraneo al rapporto tra l’atto e i suoi destinatari19 , anche se, in
concreto, si può convenire che il controllo possa seguire modalità lesive
del suo prestigio o della sua reputazione.
La situazione è, al contrario, ben diversa, allorché l’esercizio illegittimo di
un potere istruttorio si consumi nel corso di accessi, ispezioni e verifiche,
ove la posizione del contribuente è meramente passiva e in cui le violazioni
rilevano, ad avviso nostro e di alcuni
autori, “non solo ai fini della
legittimità dell’atto di accertamento eventualmente emesso utilizzando gli
elementi illegittimamente raccolti”20 ma anche ai fini di una tutela
immediata.
Volendo esemplificare, si pensi ad un accesso domiciliare viziato dalla
mancanza delle autorizzazioni previste dalla legge, il quale lede il diritto
all’inviolabilità del domicilio ex. art.14 Cost., o ad un accesso diretto
presso banche o istituti di credito, la cui irritualità violi il diritto al segreto
bancario.
La conduzione illegittima delle indagini fiscali potrebbe, poi, anche ledere
diritti, quale quello alla segretezza della corrispondenza (V. art. 15 Cost.),
ad esempio se si esaminasse corrispondenza del contribuente ad uso
19
IDEM, ivi, p.341. Cfr., però, SCHIAVOLIN, Indagini, cit., p.37 ss., per il rilievo che l’interesse alla
riservatezza del contribuente è oggetto di speciale considerazione normativa e, quindi, la estraneità di
questi rispetto agli ordini rivolti al terzo non può affermarsi in via generale; contra, SALVINI, CIT., la
quale ammette che l’attività di controllo, svolta presso il terzo, possa comprimere diritti del contribuente.
20
SALVINI, cit., p.342.
182
strettamente privato, o quello al segreto professionale, tutelato da diverse
norme, anche processuali21 .
Ricorrendo tali eventualità, è evidente che non basterebbe una tutela
differita rispetto all’accertamento illegittimo; sarebbero ,difatti, in ballo,
come
già
detto,
diritti
del
contribuente,
che
risulterebbero
irrimediabilmente compromessi, qualora si dovesse attendere l’emissione
dell’atto di imposizione (peraltro, solo eventuale e rimesso all’autonoma
valutazione da parte degli uffici finanziari circa la rilevanza e
l’ammissibilità
probatoria degli elementi acquisiti) o, addirittura, la
declaratoria di annullamento dell’atto stesso.
La conseguenza è che, ai nostri fini, occorrerebbe non tanto l’annullamento
dell’atto di accertamento, irrilevante per la tutela dei diritti suddetti, bensì
“un’immediata sospensione dell’attività amministrativa lesiva e l’inibizione
a
proseguirla”22.
Pertanto,
volendo
sinteticamente
evidenziare
le
conclusioni di questo discorso, potremmo dire che:
- l’esercizio illegittimo di taluni poteri istruttori, attribuiti per legge alla
finanza, è suscettibile di ledere situazioni soggettive del contribuente
ulteriori e distinte rispetto al diritto ad un’esatta determinazione del
presupposto;
21
22
Cfr., tra gli altri, artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.
SALVINI, cit., p.369.
183
-
tale eventualità si verifica tutte le volte in cui al potere della finanza
corrisponda un obbligo di pati del contribuente, si imponga , cioè,
com’è stato detto ponendosi all’angolo visuale del soggetto controllato,
una “partecipazione passiva”, non, invece,
laddove il contribuente
possa, considerando l’atto illegittimo, rifiutarsi di adempiere ad una
richiesta del fisco (V.questionari e, in generale, situazioni di
partecipazione attiva):
-
se la suddetta lesione, in concreto, si verifica, è possibile sostenere
l’esistenza di un interesse ad agire del contribuente, a immediata tutela
delle eventuali posizioni soggettive conculcate, per sospendere o inibire
l’attività illegittimamente svolta.
Da ciò derivano importanti corollari:
- non è possibile sostenere, se non per le forme di controllo che integrino
obblighi di facere da parte del contribuente, che l’illegittima conduzione
dell’attività istruttoria determini, esclusivamente, la possibilità di
ottenere, in via di tutela differita, la declaratoria di annullamento
dell’atto impositivo o di irrogazione delle sanzioni che si fondino su
elementi raccolti in violazione di legge23 ;
- il dato per cui, di fatto, l’illegittimità istruttoria venga fatta valere solo o
quasi sempre mediante l’impugnazione dell’atto di accertamento
23
È questa, però, la dominante interpretazione giurisprudenziale, su cui v. paragrafo successivo.
184
(poiché l’attività illegittima, inibita o sospesa, potrebbe essere ripetuta,
mentre l’atto di accertamento, annullato, non è più reiterabile) non
significa che manchi un interesse giuridico all’azione diretta, ma,
semmai, sottolinea “il maggior interesse di fatto dei contribuenti alla
conservazione dei beni patrimoniali piuttosto che alla salvaguardia dei
diritti personali”24 ;
- posto, dunque,
che una tutela delle situazioni giuridiche, che
al
riguardo vengono specificatamente in considerazione (riservatezza della
corrispondenza, segreto bancario, segreto professionale, inviolabilità del
domicilio ecc.), deve, a nostro avviso, essere riconosciuta, “si appalesa
pertinente, in punto di individuazione dell’organo giurisdizionale
legittimato a fornirla, la distinzione fra diritto soggettivo e interesse
legittimo, su cui fa leva il riparto di giurisdizione tra giudice civile e
giudice amministrativo” 25 26;
-
tale situazione, su cui, in passato, la dottrina si è spesso divisa,
mancando una chiara indicazione legislativa sul punto,27 appare oggi
24
SALVINI, cit., p.346.
RUSSO, Manuale, cit., edizione 2002, p.283.
26
È da notare, al riguardo, che la nozione di INTERESSE LEGITTIMO, dopo vari travagli interpretativi,
ha, di recente, assunto (specie a seguito della l. 241/90) più precisi contorni concettuali, come “situazione
di vantaggio riconosciuta al soggetto dall’ordinamento, riguardo ad un “bene della vita”, oggetto di
potere, consistente nella pretesa ad una completa ed adeguata presa in considerazione dell’interesse in
funzione della sua realizzazione. Tenendo conto di tale ampia nozione (su cui si rinvia, per tutti, a
TRAVI, “Lezioni di giustizia amministrativa”, Torino, 2000), (molto prossima a quella di diritto
soggettivo pieno), si potrebbero, forse, superare le obiezioni di chi esclude che, in fase istruttoria,
sussistano solo situazioni soggettive non diverse da quelle, appunto, di diritto soggettivo”.
27
In particolare, tra i sostenitori della tutela “prodromica” del contribuente, non si riusciva a precisare
chiaramente in quali casi si trattasse di diritti soggettivi o di interessi legittimi. BASILAVECCHIA, cit.,
25
185
confermata dall’art. 74 dello Statuto dei diritti del contribuente
(l.212/00), che espressamente prevede che” la natura tributaria dell’atto
non preclude, il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando
ne ricorrano i presupposti”28;
- nel momento in cui, essendo terminata l’attività istruttoria illegittima, e
non potendo più il contribuente farla sospendere o inibire, dovrebbe
essergli riconosciuta un’azione risarcitoria per i danni subiti.
4.3 La posizione della giurisprudenza.
Se in relazione alla possibilità di ottenere l’annullamento, per via mediata,
dell’atto di accertamento o sanzionatorio per vizi dell’attività istruttoria, la
giurisprudenza pratica è stata ed è assai copiosa (nonostante, specie di
recente,
essa
appaia
tutt’altro
che
univoca,
stante
l’indirizzo
p.814, era, ad esempio, dell’idea che dovesse verificarsi caso per caso se si era in presenza di atti
autorizzativi che “degradassero” (secondo la tradizionale impostazione amministrativistica) i diritti
soggettivi dei contribuenti in interessi legittimi, potendosi,al contrario, adire il giudice civile ex art. 700
c.p.c., nonché, godere di azione risarcitoria, successiva alla lesione all’interesse del contribuente (v. nota
16); dal canto suo, SALVINI, op. cit., p.349 ss. E p.369 ss., sembrava escludere la configurabilità di
diritti soggettivi, in quanto i diritti dei privati sarebbero degradati in interessi legittimi, sia dagli atti di
esercizio dei poteri istruttori, sia dall’attività d’indagine, svolta in mancanza di dette condizioni formali
(e, in particolare, senza le prescritte autorizzazioni), cosicchè, secondo l’A., sarebbe stata quest’ultima
attività, come “atto amministrativo continuato”, ad essere impugnabile davanti al giudice amministrativo.
Di diversi avviso era SCHIAVOLIN, I poteri, cit., p.203, il quale riteneva preferibile, in ossequio al
principio di legalità, considerare che , per la degradazione dei diritti, occorresse l’apposito
provvedimento e che la suddetta attività istruttoria fosse, invece, operazione e non atto, idonea solo a
violare diritti e non a comprimerli; sicchè, se l’A.F. non aveva neppure esercitato i propri poteri, parevano
superabili le difficoltà prospettate da certa dottrina sull’insussistenza di un caso di “carenze di potere” e la
conseguente inammissibilità di provvedimenti inibitori del giudice civile nei confronti della P.A. Da
ultimo, RUSSO, Manuale, cit., ed. ’98, p.270, ammetteva solo la giurisdizione dell’A.G. ordinaria,
negando che gli atti istruttori viziati potessero degradare interessi legittimi.
28
Sui cui contributi apportati a questo specifico tema, v. par.4.6
186
“sostanzialistico”, già ampiamente criticato nel cap. II), riguardo alla
segnalata necessità di una tutela prodromica di fronte al giudice ordinario
(ad es., con la richiesta di un provvedimento d’urgenza ex 700 c.p.c.) o a
quello amministrativo, per le ipotesi di illecito o illegittimo esercizio dei
poteri d’indagine, essa è stata scarsa ed è giunta, in definitiva, a soluzioni
del tutto opposte alla nostra, a parte qualche eccezione.29
In generale, l’esigenza di una tutela immediata, volta a impedire o inibire
attività istruttorie prima o durante il loro svolgimento e, comunque,
anteriormente all’atto di accertamento, non è riconosciuta.
In altri termini, l’azione del contribuente può, secondo i giudici, concernere
solo l’atto conclusivo dell’attività di accertamento, ed, in tal caso, andrà
29
Cfr. P. Firenze, 6–11–1975, in dir. prat. trib., 1976, II, p. 3 ss. (con note adesive di MAGNANI e
PECORELLA), per la possibilità di inibire ex art. 700 c.p.c. modalità di indagine della finanza lesive del
diritto all’inviolabilità della corrispondenza e del segreto professionale; P. Roma, 9-2,1984, in Giur.
Comm., 1985, II, p.234, per la possibilità di inibire indagini bancarie effettuate senza autorizzazione;
considera, in linea di principio, ammissibile la tutela immediata di diritti soggettivi ed interessi legittimi,
pur senza concederla nel caso di specie, TAR – Veneto n° 1010/1988, in Rass. trib., 1989, II, p.68 (e
anche Cons. Stato n° 43/91, in Riv. dir. trib., 1992, II, p.52 ss.), con nota adesiva di TOPPAN –
FORTUNA, “Difetto di giurisdizione del TAR in ordine alla legittimità di indagini fiscali”, con cui il
tribunale suddetto ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sul ricorso proposto, negando la
sussistenza di (una lesione diretta ed attuale di) un interesse legittimo (ovvero di una situazione soggettiva
sostanziale, tutelata dalle norme d’azione di cui veniva dedotta la violazione), sia in capo agli organi
amministrativi destinatari delle richieste di informazioni poste dal fisco, sia in capo ai soggetti cui le
richieste di informazioni si riferivano. Ciò detto, il TAR ha, però, ipotizzato l’intervento del giudice
ordinario, essendo prospettabile la lesione di veri e propri diritti soggettivi; ma su ciò si rinvia alla vivace
nota di LA GUARDIA, Carenza, cit.
Merita, infine, segnalazione pure l’ordinanza TAR – Veneto, n° 313/88, in Rass. trib., 1989, II, p.1061
(con nota di TOPPAN – FORTUNA, È legittima la richiesta ai privati, da parte della G.d.F., di fornire
dati circa i compensi corrisposti ai professionisti?”), con cui è stata concessa la sospensione cautelare
delle richieste di dati inviate, ex art. 51, d.p.r. 633/72, dalla G.d.F. a privati, nell’ambito di un
accertamento nei confronti di avvocati e procuratori legali.
Cfr., pure, Trib. Firenze, 7 ottobre 1981, in Giur. Banc., Milano, 1983, p.307-311 (commentata da
FEDELE – PERUGINI), nonché, Procura della Repubblica di Modena, decreti 2 novembre e 21 dicembre
1978, entrambi in Boll. trib. inf., 1980, p.239, con nota di MANDÒ.
187
ovviamente presentata al giudice tributario, che non ha, in materia, alcun
potere cautelare30 .
Ciò induce a due brevissime note di chiusura:
- da un lato, forse, si spiega anche in virtù della scarsissima sensibilità
finora dimostrata dalla giurisprudenza per tale tutela diretta il ricorso così
sporadico nella prassi a mezzi di tutela anteriore al processo tributario;31
- più in generale, l’atteggiamento della giurisprudenza riflette, dall’altro,
una tendenza abbastanza evidente a privilegiare, come il Prof. De Mita ha
più volte rilevato, solo tesi favorevoli al fisco.32
Il che preoccupa, perché spezzare sempre e comunque il necessario
equilibrio dei rapporti tra contribuente e finanza a favore di quest’ultima,
può non consentire che gli stessi si informino ai principi di collaborazione e
buona fede , oggi espressamente sanciti dallo Statuto del contribuente.
4.4 La tutela diretta e il regime delle autorizzazioni giudiziarie.
30
Lo nota SCHIAVOLIN, “La richiesta di informazioni della Polizia Tributaria e la tutela cautelare del
giudice amministrativo ordinario”, in Fisco n° 33/1988, p.5077-8.
L’A. propugna la giustiziabilità degli atti dell’istruttoria autonomamente ed immediatamente lesivi avanti
il giudice amministrativo, considerate le carenze, proprie del processo tributario, nei confronti di
violazioni procedimentali potenzialmente suscettibili, se non prontamente “bloccate” di originare ulteriori
richieste istruttorie, questa volta non necessariamente viziate. (Contra, LA GUARDIA, Carenze, cit.,
p.322-323).
31
Così pure SALVINI, cit., p.346, nota 6.
32
V., da ultimo, Sull’utilizzo delle prove, cit.
188
Un discorso a parte merita il punto, anch’esso vivacemente dibattuto, se sia
o meno configurabile, in capo al contribuente, un’ autonoma e diretta
impugnativa delle autorizzazioni
giudiziarie , che la legge tributaria,
talvolta, prevede come condizioni di legittimità per l’esercizio degli accessi
ispettivi (V. art. 52 D.P.R. 633/72), qualora egli le ritenga in qualche modo
affette da vizi.
Avendo già chiarito il nostro pensiero circa la natura e la funzione di tali
atti autorizzatori33, ci preme ora precisare, in sintonia con certa dottrina34
che, a nostro avviso, possono essere immediatamente impugnati solo atti
provenienti dall’A.F.
Ciò perché:
- sulla base di un’interpretazione letterale della norma, non si rinviene
alcun rimedio ad hoc ;
- trattandosi, come detto, di atti soggettivamente giurisdizionali, ancorché a
contenuto amministrativo, non sono possibili ricorsi dinanzi ai giudici
amministrativi;
- né, appare, infine, possibile invocare l’applicazione dell’art. 111 Cost.
(c.d. “ricorso straordinario”), poiché tale norma costituzionale prevede
di poter ricorrere alla Suprema Corte solo contro le sentenze e i
33
34
V. cap. I, tit. II.
Cfr, RUSSO, Manuale, cit., p.282.
189
provvedimenti sulla libertà personale, fattispecie, queste, non
coincidenti con quelle qui esaminate.
D’altra parte, neppure l’ A.F. ha alcuna possibilità di impugnare
l’eventuale diniego di autorizzazione oppostole dal magistrato; ciò, in
considerazione del fatto (anche questo già, a suo tempo, evidenziato) che il
controllo rimesso al Procuratore della Repubblica, pur essendo di mera
legittimità, può ben risolversi, specie in presenza di ben consistenti
esigenze di tutela del privato (si pensi ad un decreto con cui si autorizzi, in
corso di verifica, l’apertura coattiva di plichi sigillati o una perquisizione
personale) in valutazioni comparative di contrapposti interessi (fiscali e del
contribuente). Esso, dunque, non è in alcun modo configurabile, come
molti ritengono, alla stregua di un “atto dovuto” od autonomamente
conseguente alle richieste della finanza, e se la magistratura neghi
l’autorizzazione, non si vede in che modo l’eventuale diniego possa essere
impugnato dall’A.F.35
35
In giur., cfr., Cass. Sez. Unite n° 8062/90, cit., per la non impugnabilità diretta dell’autorizzazione del
p.m. all’accesso nel domicilio ex art. 52, d.p.r. 633 e la possibilità del giudice civile di censurarlo,
nonché, da ultimo, Cass. Sez. trib. n° 15230/2001, cit., la quale ha confermato la natura amministrativa
della autorizzazione in parola, che si inserirebbe “in un tipico procedimento amministrativo, attraverso il
quale l’A.F. esercita il potere impositivo”, con la possibilità del giudice tributario di censurarlo, secondo
le regole proprie della giurisdizione amministrativa, eccependone l’eventuale illegittimità o assenza delle
condizioni formali, con tutte le conseguenze in termini di invalidità dell’atto.
In dottrina, cfr. ALBANELLO, “Accesso in abitazioni private ecc.”, in Riv. dir. trib., 1991, II, p.390 ss.,
nel senso della giurisdizione del giudice civile nel caso, sia di autorizzazione viziata, sia in mancanza di
essa o di violazione dei limiti ivi stabiliti; SALVINI, cit., p.351 ss., spec. p.358-363, nel senso della
giurisdizione del TAR, davanti al quale sarebbero impugnabili sia l’autorizzazione viziata sia l’attività
istruttoria svolta in mancanza di essa o esorbitando dai suoi limiti; SCHIAVOLIN, L’utilizzazione, cit.,
p.218, che preferisce ritenere impugnabili davanti al TAR le autorizzazioni viziate, nonostante il loro
carattere “soggettivamente giurisdizionale” ; contra, per il carattere giurisdizionale dell’autorizzazione del
p.m., v. ALBANELLO, op. ult. cit., p.396, nonché RUSSO, Questioni, cit., p.88, che ritiene, invece,
190
Dunque, non è possibile impugnare autonomamente tale atto se affetto da
illegittimità. Ciò non significa, naturalmente che:
- da un lato, non possa farsi valere tale illegittimità con l’impugnazione
dell’atto
di
accertamento
davanti
alla
Commissione
tributaria
successivamente adita, che potrà rilevarla, sì dà annullare l’atto stesso;
- l’assenza di tale autorizzazione non comporti alcuna sanzione, posto che,
per l’appunto, l’atto di accertamento sarà annullabile sulla base del
principio di inutilizzabilità ex. 191 c.p.p., che colpisce i vizi di acquisizione
del materiale probatorio raccolto dalla finanza.
4.5. Il dibattito sul diritto d’accesso agli atti autorizzatori di verifiche
fiscali : il contrasto interpretativo tra alcuni TAR e il Consiglio di
Stato.
E veniamo al dibattito sull’applicabilità del diritto d’accesso (ex. art. 22 ss.,
l 241/90) agli atti dispositivi di verifiche fiscali.
La giurisprudenza amministrativa ha fornito negli anni recenti due
interpretazioni diametralmente opposte.36
competente il giudice ordinario, se essa manchi, o si riferisca a fattispecie ed oggetti estranei alle regole
sul potere istruttorio, o, ancora, in caso di esorbitanza dei limiti in essa fissati.
Per il rilievo che, a volte, gli atti a carattere amministrativo (anche del magistrato), pur caratterizzandosi
per una certa discrezionalità, non sono “facoltativi”, ma compierli o non compierli può diventare, in
concreto, doveroso di fronte ad una certa situazione concreta, v. PERELMAN, “Logica giuridica”,
Milano, 1979, p.95, che fa alcuni esempi di valutazioni dispositive di interessi dall’esito così univoco, da
apparire “doverose”.
36
In generale, su tale aspetto, cfr. GRASSI, “Diritto di accesso ai documenti amministrativi e mezzi di
tutela giurisdizionale nei confronti degli atti del procedimento tributario”, in Fisco, 1995, p.5699 ss.;
191
Da un lato, alcuni TAR37 hanno sostanzialmente riconosciuto ai soggetti
sottoposti ad indagini
bancarie (previa autorizzazione dell’Ispettorato
compartimentale, o del Comando di zona della G.d.F.) ex art. 32 D.P.R.
600/73, il diritto ad avere immediata conoscenza, a verifica conclusa, degli
atti in base ai quali la verifica era stata eseguita, cioè ad ottenere copia
dello stesso atto autorizzatorio, ai sensi degli artt. 22 ss. l. 241/90.
D’altro, il Consiglio di Stato38
ha ritenuto applicabile, alla materia
istruttoria tributaria, il limite all’accesso degli atti tributari preparatori
affermando che “l’atto dispositivo si inserisce in un sub-procedimento
interno, che, a seguito delle successive verifiche, può condurre al definito
accertamento tributario”.
“Solo allora-secondo il Consiglio di Stato- scompare la limitazione
oggettiva all’accesso, con il diritto del contribuente dell’impugnazione”.
Ad avviso del massimo giudice amministrativo, è la stessa legge 241/90 a
stabilire, mediante il combinato disposto degli artt. 13 e 24, il divieto
d’accesso ad attività strumentali all’accertamento
tributario, fra cui
rientrerebbero pure l’indagine bancaria e l’autorizzazione a svolgerla.
IDEM, “Ancora in tema di accesso ai documenti amministrativi e dei mezzi di tutela giurisdizionale nei
confronti degli atti del procedimento tributario”, ibidem, p.9109 ss.; D’ANGIOLELLA, “Negato il diritto
d’accesso all’autorizzazione per l’acquisizione della documentazione bancaria richiesta nell’ambito del
procedimento tributario”, ivi, p.7630 ss.; NARDI, “L’accertamento bancario e la tutela del contribuente”,
in Boll. trib. inf., 1996, p.1017; SUCCIO, “Sull’accesso del contribuente agli atti autorizzativi”, in Dir.
prot. trib., 1996, II, p.473; nonché, LA ROSA, “Accesso agli atti dispositivi di verifiche fiscali e tutela del
divieto alla riservatezza”, in Riv. dir. trib., 1996, II, p.1119 ss.
37
Cfr. TAR Emilia, n 819/95 in fisco 1995, 869 ss. ;TAR Puglia sez. I , n 1193/94, in Trib. Amm. Reg.,
1994, I, 4590 ss; TAR Lazio, n 819/95, in Foro It. 1995, III, c.595.
192
Riguardo allo specifico problema dell’accesso agli atti relativi all’indagine
bancaria, il punto nodale, che , a nostro avviso, deve essere risolto,attiene
all’applicabilità della disciplina contenuta nel capo V, l. 241/90 e relativa
al diritto di accesso ai documenti del procedimento amministrativo.
Ora, analizzando i poteri attribuiti alla finanza ex. art. 32 D.P.R. 600/73, è
ovvio come gli stessi costituiscano una rilevante deroga al segreto bancario,
cui corrisponde, secondo Corte Cost. 51/92 solo un generale diritto alla
riservatezza riconosciuto al cittadino.
Pertanto, l’atto autorizzatorio non verrebbe qui ad incidere su posizioni
soggettive che, quand’anche le indagini fossero poste in assenza dei
presupposti di legittimità previsti, non troverebbero immediata e diretta
tutela nell’ordinamento, in quanto - contrariamente alla tesi del TAR
Emilia39 - gli atti dispositivi in parola, non incidendo su posizioni
soggettive qualificate del contribuente, non sono autonomamente
impugnabili davanti agli organi di giustizia amministrativa40 .
38
V. Consiglio di Stato, sez. V, n° 982/95, in Foro it., 1996, III, c.1; IDEM, n° 264/95, ibidem, 1995, III,
p.539.
39
Esso, cit. p.670, aveva indicato nell’atto dispositivo dell’accesso presso banche, da parte del
Comandante di zona della G.d.F. o dell’Ispettore compartimentale delle Imposte, “la necessaria
condizione per la legittimità delle operazioni di cui trattasi, finalizzate all’adempimento dei compiti
propri degli Uffici tributari, e gli elementi acquisiti possono essere utilizzati per l’attività di accertamento
nei confronti del contribuente”.
40
In tal senso, GRASSI, Diritto di accesso, cit., p.5701. Tale A. avverte che “dove, per converso, il
sentiero percorso dal giudice amministrativo non appare convincentemente esplorato è nel collegamento
stabilito tra la tutela del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la posizione soggettiva nascente
dal cd. “segreto bancario”, collegamento instaurato come se quella tutela fosse condizionata dalla
consistenza giuridica della posizione stessa”; cfr., pure, in senso conforme, CAPOLUPO, “Accesso agli
atti autorizzatori e competenza del TAR”, in Fisco, 1995, p.787 ss.
193
A nostro avviso, il diritto d’accesso esula dalle precedenti osservazioni.
Quand’anche si riconoscesse la mancanza, in capo al contribuente, di una
posizione soggettiva qualificabile come interesse legittimo, a fronte
dell’atto dispositivo dell’indagine bancaria, il privato ben può trovare tutela
davanti al TAR.
Ciò in ragione del fatto (come giustamente rileva Cons. St., sez. VI,
n°1243/9441) che, dalla lettura del capo V, l. 241/90, il diritto d’accesso ai
documenti amministrativi, nella sua lata formulazione, non richiede che il
soggetto istante sia titolare di una posizione caratterizzata dalla consistenza
giuridica di interesse legittimo, ma basta un interesse non diverso da quello
di aver cognizione degli atti del procedimento.
Al cittadino, in definitiva, deve essere riconosciuto un diritto a chiedere
copia degli atti amministrativi, che è autonomo rispetto alla sussistenza o
meno di un diritto soggettivo da far valere mediante il possesso di tali
atti42.
E’, pertanto, condivisibile quella giurisprudenza del Cons. Stato43 , per la
quale, “la peculiarità del rimedio giurisdizionale contro la lesione del diritto
di accesso sta in ciò (…) che l’interesse amministrativo alla conoscenza di
documenti amministrativi (assurge) a bene della vita autonomo, meritevole
41
Vedila pubblicata in Rass. Cons. Stato, 1997, I, p.1137 ss.
Cfr. anche GRASSI, op. cit., p.5701.
43
Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n° 1299/94, in Rass. Cons. Stato, I, p.1149 ss.
42
194
di tutela, separatamente dalle posizioni su cui abbia poi ad incidere
l’attività amministrativa, eventualmente in modo lesivo.”
A questo punto, è il caso di verificare se il diritto d’accesso, come
affermato da Cons. Stato n° 864/95 sia specificatamente
escluso dal
combinato disposto degli artt. 132 e 246, l.241/90.
A mente del primo, “dette disposizioni (relative al capo III, sulla
partecipazione del privato al procedimento amministrativo) non si
applicano ai procedimenti tributari, per i quali restano parimenti ferme le
particolari disposizioni che li regolano”.
Di contro, il secondo recita che “non è comunque ammesso l’accesso agli
atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’art.
13, salva diversa disposizione di legge”.
Partendo da queste premesse, è importante, rilevare se la richiesta e
l’autorizzazione finalizzate ad ottenere i dati bancari costituiscano un
autonomo procedimento amministrativo, oppure (come pare orientata parte
della dottrina44 ) un sub-procedimento, rientrante in quello più vasto
dell’accertamento tributario.
44
V. TRIMELONI, “Segreto bancario e nuovo regime delle autorizzazioni”, in Circ. Corr. trib., n° 11/92,
secondo cui “l’autorizzazione s’innesta come atto necessario nello svolgimento di un’attività istruttoria, ai
fini dell’accertamento nei confronti di un contribuente indicato nominativamente e per obbligazioni
tributarie relative a determinati periodi d’imposta.”
195
Sostenere la prima tesi porta a concludere nel senso dell’operatività del
diritto d’accesso all’autorizzazione concessa,
a partire dall’immediata
conclusione dell’indagine, mentre, privilegiando la seconda, la richiesta
d’accesso del contribuente viene posticipata al termine del procedimento
tributario (da intendere in senso atecnico) attraverso l’eventuale
impugnazione dell’atto di accertamento.
Come orientarsi?
La dottrina amministrativa ha fornito criteri abbastanza chiari ed univoci
per rispondere alla domanda.
Si è, in particolare, distinto tra atti presupposti ( da intendere come
momenti di una determinata situazione giuridica nel cui ambito soltanto gli
elementi della fattispecie potranno trovare la loro realizzazione) e atti
preparatori ( in stretta ed immediata relazione con la fattispecie cui si
riferiscono)45.
E’ stato, poi sostenuto come meritino “di essere assunte in una categoria a
se stante, cui si addica la designazione di atti preparatori, soltanto quelle
attività, le quali, pur non essendo direttamente operative sull’effetto
giuridico (…) non solo siano venute in vita espressamente in vista della
45
V., per tutti, SANDULLI, “Il procedimento amministrativo”, Milano, 1964, p.51 ss.
196
fattispecie in questione (…), ma, inoltre, non appaiano (…) dotate di
un’autonomia funzionale46.
Traendo spunto dalle conclusioni cui è pervenuta la citata dottrina, è del
tutto evidente che, perché un singolo atto possa ritenersi compreso nel
procedimento tributario, occorre verificare se l’atto medesimo non solo sia
venuto in vita espressamente in vista della fattispecie, ma soprattutto se non
appaia dotato di un’ autonomia funzionale.
Da qui consegue che l’autorizzazione de qua, pur concorrendo a far venire
in vita l’atto di accertamento, è dotata di una propria autonomia funzionale,
perché:
- integra una fase non necessaria dell’accertamento;
- deve escludersene la strumentalità, giacché essa, se non altro, promana
da un organo non partecipe all’attività di accertamento.
Deve, pertanto, e in conclusione, essere riconosciuta al contribuente la
possibilità di ottenere immediatamente, cioè non ad accertamento, ma a
verifica conclusa, copia della documentazione amministrativa, costituita
dall’autorizzazione alla deroga al segreto bancario, con eventuale
impugnazione
davanti
al
TAR,
in
dell’amministrazione finanziaria47.
46
GRASSI, op. cit., p.5704.
197
caso
di
rifiuto
o
silenzio
4.6. Il contributo offerto dalla l. 212/2000. Rilievi.
L’art. 7, l. 212/2000 ha espressamente sancito l’obbligo di motivazione e
chiarezza degli atti dell’accertamento.
Ai fini che qui interessano, rileva, però, solo il 4° comma della norma
citata, il quale, come detto, sancisce che “la natura tributaria dell’atto non
preclude, il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne
ricorrano i presupposti.”
Tale indicazione parrebbe avvalorare la tesi che competente, in caso di
illegittimità istruttorie immediatamente lesive e ingiustificabili, sia il
giudice amministrativo.
Peraltro, alcuni autori hanno asserito che una “tale soluzione sovvertirebbe
principi basilari, non solo di carattere processuale amministrativo, ma
anche di natura costituzionale”48 .
In questo senso, è stato fatto notare che l’art. 103 Cost. statuisce che per la
tutela degli interessi legittimi è possibile il ricorso al giudice
amministrativo” ma che “interessi legittimi” del contribuente sono ben
difficilmente rinvenibili nell’ambito del procedimento di accertamento49.
Si è, quindi, concluso che, da un lato, l’art. 74 l. 212/00 sarebbe di dubbia
legittimità costituzionale (anche sulla base di Corte Cost. 51/92 che, fra
47
Concorda CAPOLUPO, “Accesso agli atti autorizzatori”, cit., p.789, nonché GRASSI, cit., p.5705.
V. CUCUZZA, ”Alcune riflessioni operative sullo Statuto del contribuente”, in Fisco, 33/2001,
p.11015.
49
ID., cit., p.11016.
48
198
l’altro, ha espresso il principio di assoluta trasparenza delle attività del
contribuente rispetto all’Erario e della conseguente non conformità al dato
costituzionale di qualsiasi norma che, ignorando tale principio, intendesse
“diaframmare” gli interessi del contribuente rispetto alla legittima curiosità
degli organi accertatori”)50; e, dall’altro, che una prepotente volontà del
legislatore del 2000, ha di fatto, forzato questi assunti.
Certo, il problema sussiste e non è di poco conto.
Tuttavia, posto che, a nostro avviso, una tutela diretta di situazioni del
contribuente, estranee all’interesse fiscale, dovrebbe essere approntata,
rimane da stabilire in che modo.
Nel punto successivo, si cercherà di proporre una possibile via d’uscita,
fermo restando che (vista anche la mancanza di una consolidata
giurisprudenza sul tema) essa rimane del tutto opinabile e che altre ipotesi
potrebbero essere ipotizzate (ad esempio, quella di rafforzare i poteri delle
Commissioni tributarie).
4.8.
Note conclusive
50
ID., cit., ibidem. V., peraltro, in relazione all’art. 12 della l.212/2000 (che già abbiamo, sia pur
sommariamente, trattato, retro, cap. I, tit. II), PALAZZOLO, “Il comportamento dei verificatori ecc.”, in
Fisco, n° 41/2001, p.3252 ss., sui rischi di possibili abusi strumentali da parte dei contribuenti, laddove
eccepissero l’eventuale non utilità della verifica svolta nei loro confronti dalla finanza, e sull’istituzione
del garante del contribuente, che non avrebbe, comunque, facoltà di sospendere o inibire gli accessi
irregolari degli operatori.
199
Il già criticato superamento, da parte della giurisprudenza di legittimità,
della tesi della tutela differita avverso i vizi dell’attività istruttoria51 rende
ancora più urgente, se possibile, la ricerca di mezzi atti a consentire una
tutela diretta del contribuente, in tutti i casi in cui attività di controllo da
parte dell’A.F. producano, fin da subito, concreti ed attuali pregiudizi alla
situazione giuridica del privato.
Come abbiamo riferito, la dottrina più sensibile ha proposto sia
l’azionabilità di un provvedimento cautelare atipico davanti al giudice,
civile (ex art.700 c.p.c.)52, che l’intervento (pure cautelare) del giudice
amministrativo.53
Con riferimento a quest’ultima soluzione (che parrebbe confermata dal già
esaminato art. 74, l. 212/2000)54, qualche nuovo spunto può venire dalla l.
205/2000 che, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, ha riservato
al TAR la cognizione di tutte le questioni relative all’eventuale
risarcimento del danno e agli altri diritti patrimoniali consequenziali55,
rinnovando, altresì, la disciplina dei provvedimenti cautelari adottabili dal
giudice amministrativo, che ora sono sostanzialmente assimilabili alla
51
V., retro, cap. II, ult. par.
Tra gli altri, RUSSO, cit., p.270.
53
Cfr., oltre alla dottrina e alla giurisprudenza già riportate, LUPI, Manuale, cit., p.280, che, sul punto,
richiama l’ordinanza 1680/95 con cui il Consiglio di Stato ha affermato la sua competenza in materia ,
pur respingendo l’istanza di sospensione cautelare, con cui la competente autorità amministrativa aveva
autorizzato la visione di c/c bancari, intestati ai familiari dell’amministratore di una società.
54
V. par. precedente.
52
200
tutela cautelare atipica, propria del processo civile, e non più limitata alla
sospensione degli effetti di un atto specifico56.
Era questo, infatti, il maggior ostacolo che impediva alla dottrina di
immaginare una siffatta tutela cautelare in relazione all’illegittimo esercizio
dei poteri istruttori in materia fiscale, ove si tratta, più che altro, di arrestare
un’attività.
Va da sé, tuttavia, che, qualora fosse questa la strada in futuro ammessa
dalla giurisprudenza, dovrà sempre ravvivarsi il concreto pericolo di un
danno a carico del soggetto controllato “di natura diversa rispetto agli
effetti che, dal controllo fiscale, potrebbero conseguire alla sua posizione
quale contribuente”57.
In tal senso, crediamo di aver già indicato con sufficiente precisione le
concrete fattispecie istruttorie, al cui verificarsi potrebbero essere collegati
interessi ulteriori e distinti del contribuente, in quanto cittadino titolare, ad
esempio, del diritto all’inviolabilità del domicilio e alla riservatezza, e,
pertanto, rinviamo alle analisi a suo tempo svolte.58
55
V. art. 7, l. 205/2000, che ha modificato gli artt. 33, 34 e 35 del d.lgs. 80/98, quest’ultimo, a sua volta
modificativo, tra l’altro, dell’art. 7, l. 1034/71 (cd. legge TAR), nonché, sul punto, TRAVI, Lezioni, cit.,
p.183 ss.
56
In realtà, si tratta di una generalizzazione di una tutela cautelare atipica già prevista, a seguito di Corte
Cost. 190/85, per le controversie patrimoniali nel pubblico impiego. L’art. 21 co 8, l. TAR, così come
modificato dalla cit. l. 205/2000, prevede ora che le tutele cautelari possano consistere anche “nelle
misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti del ricorso”, a condizione che l’interessato
alleghi “un pregiudizio grave e irreparabile, derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato”. Cfr., ancora,
TRAVI, cit., p.267 ss.
57
SCREPANTI, op. cit., p.11056.
201
58
V., retro, par. 4.2.
202
Conclusioni
Dallo studio che è stato tentato sono emerse alcune conclusioni che
meritano una definitiva messa a punto.
Nel I capitolo,
sono state sottolineate con particolare attenzione le
maggiori problematiche relative ai poteri istruttori della finanza, considerati
tanto dall’angolo visuale dei caratteri generali che li definiscono, tanto
nell’ottica delle singole fattispecie che li integrano.
E’ stato, così, possibile (v. titolo primo) anzitutto fare riferimento ai limiti
generali che pervadono l’esercizio dei poteri istruttori chiarendo che essi:
- Sono regolati dal principio di legalità;
- Rientrano fra i poteri vincolati della P.A. (potendo gli Uffici, al limite,
operare scelte discrezionali solo in relazione alla concreta intensità del
loro esercizio);
- Costituzionalmente, si fondano sugli artt. 23 e 53 Cost. (c.d. capacità
contributiva) di cui rappresentano interpretativamente una proiezione
procedimentale, nonché sull’art. 14 Cost. nei casi in cui l’A.F. debba
procedere alla compressione del generale diritto alla riservatezza.
Nel II titolo del I capitolo si è proceduto ad un’analisi delle regole di
conduzione delle attività istruttorie che, in tanto possono legittimamente
andare in porto, in quanto si conformino agli stampi giuridici formali che la
203
legge prevede.
Questi ultimi, infatti, definiscono limiti anche sostanziali posti al controllo
del fisco per la salvaguardia di interessi talvolta parimenti rilevanti dei
privati.
Si sono così, volta per volta, descritte le modalità delle indagini fiscali
partendo dalle c.d. “verifiche a tavolino” (cioè condotte dagli Uffici sulla
base di elementi probatori già in loro possesso od ottenuti mediante l’invio
di questionari; richieste di dati e notizie o inviti a comparire al
contribuente); proseguendo con i c.d. “controlli sul campo” (cioè mediante
quelli che, per comodità espositiva, abbiamo spesso definito accessi
ispettivi in un’accezione comprensiva degli accessi, ispezioni, verifiche e
ricerche poste in essere dagli operatori civili e militari), da ultimo peraltro
regolati dall’art. 12, l. 212/2000 con l’elencazione di altri adempimenti,
configurabili come diritti del contribuente e vere e proprie condizioni di
validità dei controlli medesimi.
Non si è inteso trascurare, poi, di sottolineare, seppure incidentalmente, la
diversità dell’accesso ispettivo tributario rispetto alla perquisizione penale
e, più in generale, di introdurre spunti e rilievi di interesse teorico e
dottrinale che, volta per volta, meritavano a nostro avviso specifiche
annotazioni. Inoltre, sono stati dedicati taluni paragrafi al regime degli atti
dispositivi delle suddette attività di controllo , correlando le maggiori o
204
minori
cautele
autorizzatorie
(sempre
necessarie
nella
forma
dell’autorizzazione del capoufficio, ma, talvolta, da integrare con la
richiesta di autorizzazioni all’A.G. o ad altri organi amministrativi) alla
destinazione obiettiva dei locali, presso cui la finanza può accedere e, in
ultima analisi, ai più o meno rilevanti diritti del privato inciso dai poteri
istruttori di essa.
Da questo studio sono emersi non pochi contrasti dottrinali che noi
abbiamo risolto, in particolare, nel senso di ritenere:
- Da un lato, ampliati i poteri istruttori della finanza (specie mediante
il d.l. 413/91), a fronte dell’accresciuta esigenza di fronteggiare gli
atteggiamenti evasivi e, a vario titolo, sanzionabili da parte dei
contribuenti;
- Per converso, non abolita, ma semplicemente attenuata la tutela
apprestata dall’ordinamento agli istituti del segreto bancario o
professionale, per superare i quali occorrono pur sempre appositi atti
autorizzatori aggiuntivi, quali elementi di contemperamento tra
esigenze contrapposte;
- Di
difficile
inquadramento
dogmatico
l’autorizzazione
del
capoufficio (ordine, atto di iniziativa ecc…) che , tuttavia, si pone, a
livello squisitamente operativo, come fondamentale garanzia di tutti i
contribuenti
assoggettati
a
205
verifiche
fiscali
(onde
deve
necessariamente richiedersi in via preventiva, deve essere scritta,
contenere lo scopo dell’accesso ecc…);
- Sostanzialmente amministrativa e solo formalmente giurisdizionale
la natura dell’autorizzazione prevista da parte dell’A.G.;
- Di legittimità non solo formale ma pure sostanziale (nel senso che
occorre una più o meno ampia valutazione comparativa di interessi)
il contenuto di tali tipi di autorizzazioni.
Per ogni punto trattato (anche in relazione all’attività di verbalizzazione,
che chiude il capitolo) è stato fornito il ventaglio più ampio possibile di
opinioni, cercando di chiarire i motivi che ci inducevano a preferire una
ricostruzione interpretativa, piuttosto che altre.
Nel II capitolo, puramente teorico, a fronte dei vari orientamenti degli
studiosi sul punto, si è sostenuta la tesi dell’operatività della sanzione della
inutilizzabilità della prova illegittimamente raccolta o acquisita (ex art. 191
c.p.c.), come reazione al comportamento illecito o illegittimo dei
verificatori e, in ultima analisi, come motivo di annullamento dell’atto di
accertamento o sanzionatorio, basato su mezzi di prova in tal modo
acquisiti.
206
In tale senso, si è cercato di evidenziare (dopo qualche breve passaggio sul
dibattito interno alla dottrina processualpenalistica, ove essa è stata
prospettata) come la sanzione suddetta si configuri, ormai, alla stregua di
un generale principio di civiltà giuridica, desumibile implicitamente dai
principi costituzionali
(v. artt. 3,24,97, nonché III Cost.), se non
immediatamente, come a noi è parso preferibile, dallo stesso principio di
legalità che domina tutto l’ordinamento giuridico.
Da quest’angolo visuale, è stata motivatamente criticata la recente tesi
giurisprudenziale, orientata ad un sostanzialistico superamento della c.d.
“tutela indiretta” contro l’illegittimo esercizio dei poteri istruttori (vale a
dire, alla negazione di qualsivoglia rimedio giurisdizionale avverso l’atto di
accertamento o di irrogazione di sanzioni per i vizi di invalidità degli atti
istruttori).
Nel III capitolo, con ampi riferimenti a casi pratici, una volta assodato che
la sanzione di inutilizzabilità sia da sola o congiuntamente ad altre
interpretazioni (obbligo di motivazione degli atti impositivi, riferimento al
concetto di “prove incostituzionali”. introdotto con la storica sentenza n.
207
34/73 della Corte Costituzionale1, ecc...) operante anche nella fase
istruttoria dell’accertamento tributario, si è tentato di illustrare in che modo
essa concretamente si atteggi in relazione alle attività di cui al cap. I. Sono
stati, inoltre, dedicati alcuni passaggi al rapporto intercorrente tra
accertamento
tributario
e
procedimento
giurisdizionale
penale,
puntualizzando in quali casi il passaggio di prove dall’uno all’altro e
viceversa possa portare a concludere nel senso della non utilizzabilità del
materiale probatorio acquisito.
Nel IV capitolo, infine, avendo chiarito come e in quali specifiche
fattispecie istruttorie possano ravvisarsi non solo violazioni del generale
diritto soggettivo ad una giusta determinazione del presupposto di imposta,
ma anche lesioni e compressioni ingiustificate di situazioni giuridiche
distinte e ulteriori del contribuente soggetto a controllo fiscale (assimilabili,
in ultima battuta a lesioni di diritti della personalità del privato), si è
tentato, pur tra mille difficoltà interpretative, di indicare come percorribile
1
la quale, cit, ha così testualmente stabilito: “le attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del
cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e a fondamento di atti processuali a carico
di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subìto”
208
la strada di una tutela DIRETTA, vale a dire immediata e non differita a
favore di tali situazioni giuridiche , non altrimenti rimediabili.
In tal senso, il richiamo alle indicazioni offerte dall’art. 7, l. 212/2000 è
apparso utile ai fini della scelta, pur opinabile, di devolvere la cognizione
di questa materia all’autorità giurisdizionale amministrativa. Sono state,
così,
indicate
alcune
recenti
leggi
di
riforma
del
contenzioso
amministrativo (v. l.205/2000 e d.lvo 80/98) ben conciliabili con la nostra
impostazione.
Dallo studio approfondito di alcuni casi (v. il dibattito sull’accessibilità o
meno da parte del contribuente agli atti dispositivi di accessi bancari), ma
pure dal già citato orientamento pro fisco della Corte di Cassazione, si
ricava, in generale, l’impressione che, se da un lato, a livello strutturale, il
diritto tributario segni importanti progressi (con l’astratto riconoscimento
di notevoli garanzie e diritti del contribuente, da ultimo quelli elencati nello
Statuto del contribuente), dall’altro la loro concreta applicazione stenti
evidentemente ad adeguarsi alla mutata realtà normativa, anzi spesso
registri discutibili regressi.
In altri termini, chi quelle garanzie e quei diritti è chiamato nella prassi a
tutelare non pare ancora all’altezza delle nuove esigenze e dei mutati
209
rapporti tra fisco e contribuenti, come astrattamente disegnati dal
legislatore.
D’altra parte, la necessità, più volte avvertita, di ricorrere ad interpretazioni
spesso controverse per definire i poteri d’indagine della finanza e garantire
l’attuazione dei diritti del contribuente dovrebbe, per converso, suonare
come un serio monito al legislatore perché intervenga a modificare, chiarire
e semplificare una normativa ancora nebulosa, per certi versi piuttosto
deludente e per altri asservita a logiche di basso compromesso.
Per concludere, l’invito, che rispettosamente si vorrebbe lanciare da queste
pagine, va nel senso di valorizzare nella materia tributaria, un principio,
quello di legalità, che poco o punto serve nella stessa misura in cui si limiti
a proclamarlo a parole, ma non a viverlo nei comportamenti quotidiani.
“Vivere la legalità”, nel piccolo dell’argomento che abbiamo cercato di
affrontare, significa rispettare una legge finché essa non sia formalmente
abrogata. Se ai contribuenti sono per legge imposti obblighi cui non
dovrebbero mai venir meno, è altrettanto vero che correlativi doveri e limiti
la legge impone anche alla finanza, che quegli obblighi deve poi far
rispettare.
Non si può, cioè, chiedere al contribuente di vivere nella legalità, se poi la
finanza è la prima a non rispettare “le regole del gioco”. In tal senso, se gli
operatori tributari commettono abusi nell’attività di controllo, non si vede
210
perché il contribuente non possa farli censurare a difesa dei propri diritti ed
interessi.
In questo senso, il richiamo alle significativamente attuali parole di J. S.
Mill, con cui abbiamo aperto la trattazione, suona del tutto pertinente
anche per concluderla: “i diritti e gli interessi (….) hanno la sicurezza di
non essere mai tralasciati soltanto laddove gli interessati posseggano essi
stessi la forza di difenderli”.2
2 Riportato da TAGLIAFERRO, in fisco
211
Ringraziamenti
Alla fine della mia sia pur modesta fatica mi corre l’obbligo di ringraziare
tutti coloro che mi hanno aiutato e incoraggiato nel realizzarla.
In particolare, un ringraziamento di cuore al personale amministrativo degli
Istituti giuridici della mia Università e dell’Università degli Studi di Lecce,
nonché a quelli degli Istituti di Finanza pubblica delle Università di Bari e
Federico II di Napoli e degli Istituti di scienze penalistiche
nonché
economiche e statistiche della Università Statale di Milano: senza la loro
sollecitudine non avrei avuto la possibilità di contare su molta della
bibliografia che ho consultato.
Un grazie anche alla Corte d’Appello c/o il Tribunale di Lecce, i cui
responsabili mi hanno gentilmente permesso di attingere materiale dalla
ben fornita biblioteca ivi allocata.
Non posso poi fare a meno di ringraziare mia madre, dott.sa Domenica
Putignano per la collaborazione che mi ha prestato; mio padre, prof.
Antonio Prinari per l’aiuto nella stesura della tesi; il dott. Marco Allena,
che, con estrema disponibilità, mi ha costantemente fornito utili indicazioni
per molte questioni strettamente “burocratiche”; nonché gli ill.mi proff.
Andrea Amatucci dell’Università Federico II di Napoli, Angelo Giarda e
212
Luigi Paolo Comoglio, per gli spunti propostimi ai fini della buona riuscita
della tesi.
E, infine, mi si permetta un caloroso ringraziamento al mio relatore, ill.mo
prof. Enrico De Mita, che, con mirati e preziosi suggerimenti, mi ha
indirizzato nello svolgimento della trattazione, consentendomi, peraltro (e
di questo Gli sono particolarmente grato) di lavorare in totale autonomia.
Grazie a tutti.
213
BIBLIOGRAFIA
214
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ss.;
.VANZ,
“Indagini
fiscali
irrutuali
e
caratteri
della
spontanea
collaborazione del contribuente o di terzi ai fini dell’utilizzabilità, del
materiale probatorio acquisito”, in Rass. Trib. 5/98 p.1387 ss.;
.PORCARO, “Vizi oggettivi dell’attività istruttoria e spontaneità nella
esibizione di documenti “, in Rass. Trib. 2/1998, p. 524 ss.;
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penale (ex artt. 2 e 7 D.P.R. n° 463, 1982) e loro sufficienza o meno, in
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222
tributario: una decisione del massimo interesse”, in Rass. Trib. 1987, II, p.
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fisco 4/95, p. 785 ss.;
.SPAZIANI
TESTA,
“Il
diritto
di
accesso
non
si
applica
all’autorizzazione ad indagini bancarie”, in fisco 26/95, p.6692 ss.;
223
.D’ANGIOLELLA, “Negato il diritto d’accesso alla autorizzazione per
l’acquisizione della documentazione bancaria, richiesta nell’ambito del
procedimento tributario” in fisco 31/95, p. 7630 ss.;
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prove acquisite con il susseguente sequestro”, in Cass. Pen. 1996, p. 1547
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N.B. Per i riferimenti normativi e giurisprudenziali si rinvia al testo ed alle
note bibliografiche ivi citate.
233
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tesi di laurea - della Scuola superiore dell`economia e delle finanze