Presentazione La grande trasformazione economica che investe l'Italia nell'ultimo ventennio del XIX secolo e prosegue via via più accelerata nei primi quindici anni del 900, cambia rapidamente il volto della giovane nazione a tal punto da renderla con tutta probabilità irriconoscibile agli occhi dei padri fondatori. A poco più di cinquant'anni dall'unità politica, il paese ha bruciato molte tappe in un processo di modernizzazione che, seppure scontando lacune e ritardi rispetto agli Stati più avanzati dell'Europa, delinea un percorso omologo a quello in atto nel resto del continente, interessato da un'ondata di benessere, destinata a passare alla storia come la "Belle Epoque". Tra i fattori che concorrono a questa generale svolta nello sviluppo, c'è naturalmente il potenziamento delle infrastrutture, in particolare dei trasporti che rappresentano le vene e le arterie dell'intero sistema economico. Le ferrovie ne sono il cuore pulsante. Dalla realizzazione delle prime locomotive a vapore in Gran Bretagna intorno al 1810, in ogni nazione europea la rete ferroviaria si è cominciata ad espandere per chilometri e chilometri, con effetti sconvolgenti non solo da un punto di vista economico - incremento delle industrie siderurgiche e meccaniche, rivoluzione nei commerci. La velocità di questo nuovo mezzo di trasporto incide sulla stessa concezione del tempo e sulle relazioni umane; sconvolge persino il paesaggio rurale; diventa il simbolo stesso del progresso nell’immaginario collettivo. Questi temi di storia sociale si affacciano nel lavoro di Guadagno, un funzionario del Ministero dei Trasporti prestato alla storia, per così dire, che proprio dall'interno di questo osservatorio privilegiato, da anni sta compiendo puntuali lavori di ricerca, ricostruendo la vicenda delle ferrovie italiane dall'epoca dell'unità in poi. La documentazione preziosa di cui dispone l'autore gli consente di ricostruire tappa dopo tappa il percorso di potenziamento della rete che ha proprio in età giolittiana uno sviluppo straordinario; culminato con la statizzazione delle società ferroviarie nel 1905. Dalle carte del Regio Ispettorato generale delle strade ferrate, dalle pubblicazioni e dai manoscritti conservati presso la Biblioteca delle ferrovie dello Stato di Roma, Guadagno ricava una quantità di dati, organizzati poi in tabelle, sulla costruzione delle carrozze e gli ammodernamenti via via apportati, sulla quantità dei viaggiatori, divisi rigorosamente per le classi - all'epoca 4 - e per i percorsi - Rete Mediterranea, Rete Adriatica, Rete Sicula, Ferrovie Diverse a scartamento normale e a scartamento ridotto - sul personale, macchinisti, manovali e impiegati delle ferrovie che costituiscono una categoria di lavoratori di particolare importanza nella storia delle organizzazioni sindacali. Ne emerge un quadro di grande interesse dal punto di vista sociale e del costume che ci fa ritornare anche al clima di quegli anni quando il viaggio in ferrovia conservava ancora l'aura dell'avventura, nonostante diventasse anno dopo anno sempre più diffuso - come conferma la continua crescita nel numero degli utenti. Altrettanto ricchi di suggestioni per la ricerca storica sono i documenti che testimoniano l'impegno dello Stato in questo settore e i complessi rapporti con le società ferroviarie fino alla –1 – difficile fase di passaggio dal regime delle convenzioni alla statizzazione delle ferrovie. La tesi di uno sviluppo capitalistico italiano fortemente supportato dall'intervento pubblico risulta confermata in pieno da questo puntuale lavoro di analisi che ripercorre tutta l'attività legislativa sulla questione dei trasporti su rotaia, partendo dagli anni immediatamente successivi all'unificazione della penisola quando il problema di coordinare il sistema ferroviario si pone come uno degli anelli indispensabili alla stessa costruzione del regno. Ne è ulteriore testimonianza la presenza già in questo primo periodo di una corrente - trasversale agli schieramenti politici - favorevole all'esercizio diretto dello Stato che profonde finanziamenti sempre più cospicui per il potenziamento e la modernizzazione della rete. Basti ricordare che nel 1870 le Strade Ferrate Meridionali, grazie alle sovvenzioni, si sviluppavano per 1307 chilometri sul totale dei 6208 dell’intera penisola. E la crescita continua, anzi si accelera col passare del tempo. Il che contribuisce a sfatare una tesi storiografica già messa in discussione dalla più recente saggistica sull'età giolittiana e in particolare sulla figura di Giolitti. Il Giolitti riformatore al Nord e conservatore al Sud, il "Giano bifronte" che la pubblicistica dell'epoca e la polemica dei meridionalisti hanno tramandato, è in realtà molto attento al Mezzogiorno. Tra le leggi speciali varate per lo sviluppo delle regioni meridionali nel primo decennio del 900, ci sono anche i finanziamenti per l'incremento della rete ferroviaria e stradale che portano alla costruzione di 700 chilometri di binari e di 900 chilometri di strade. L'impegno riformatore dei governi Zanardelli e Giolitti emerge con forza nel lungo e acceso dibattito sulla statizzazione dove le posizioni favorevoli e contrarie si misurano tutte però sul piano di una comune volontà di procedere sul cammino di una maggiore efficienza della rete e di minori costi per gli utenti. E' proprio questa condivisione negli intenti che, alla fine, non determina alcuna rottura traumatica, anche se nel 1904 gli animi si erano pericolosamente surriscaldati anche sul fronte delle lotte sindacali. Private o statali, le ferrovie sono un patrimonio dei cittadini, una ricchezza nazionale che va gestita e amministrata come un bene pubblico, fondamentale per lo sviluppo dell'Italia. Simona Colarizi –2– Prefazione L'evoluzione delle nostre ferrovie è strettamente interconnessa con la storia economica, politica, sociale della nazione italiana: ciò è vero specialmente per il diciannovesimo ed il primo sessantennio del ventesimo secolo quando le ferrovie costituiscono una vera e propria istituzione, così come l'Arma dei Carabinieri, il servizio postale, le forze armate. La presenza anche di una stazioncina in un paesello rappresenta un simbolo e un programma: è lo Stato che è vicino al cittadino, anche quello lontano dai grandi centri in cui ferve la vita politica ed economica; è lo Stato che vuole avvicinare, attraverso le rotaie, le piccole comunità rurali ai grandi centri urbani; è lo Stato che vuole raccordare i principali centri politici ed economici fra di loro e con gli altri paesi confinanti. La ferrovia, nell'immaginario collettivo, diventa veicolo di progresso non soltanto economico ma anche sociale: ciascun italiano, attraverso la ferrovia, si sente collegato agli altri suoi connazionali e, perciò, ciascun piccolo paese vorrebbe la sua stazione. Nell'impossibilità di poter accontentare tutti i centri, nascono le ferrovie secondarie, molto spesso in concessione ad imprese private, e poi quelle a scartamento ridotto, attuabili con investimenti meno imponenti delle ferrovie a scartamento ordinario. Infine, per moltissimi altri centri, si provvede con linee tranviarie extraurbane, ramificate dappertutto. Le ferrovie sono gestite da aziende, anche se affatto particolari. La loro evoluzione, pertanto, ha bisogno di un approccio che faccia uso degli strumenti di analisi messi a punto dalla storia economica. Ma la ferrovia, anche quando è gestita da un privato, mantiene sempre il carattere di pubblico servizio e, come tale, bisognevole di continui controlli, revisioni, aiuti economici, politiche tariffarie, che soltanto la Pubblica Amministrazione è abilitata ad effettuare. Per questi aspetti è la storia politica, pertanto, che maggiormente presenta la sua utilità. L'evoluzione ferroviaria, infine, agisce prepotentemente non soltanto sui ferrovieri, che costituiscono una categoria di lavoratori, anzi un corpo, con proprie peculiarità di cui si farà anche cenno nel testo, ma altresì sulle popolazioni urbane e rurali favorendone la sprovincializzazione. Ciascuno dei tre approcci da solo difficilmente riesce a spiegare la storia ferroviaria. È questo il motivo per cui ho tentato di affrontare un periodo cruciale, quello a cavallo della statizzazione ferroviaria, tentando di armonizzare i tre punti di vista. La ricerca è stata portata a termine attingendo a tre fonti principali: la BFWG, forte di circa quattromila unità bibliografiche (libri, cartine, annate di riviste, opuscoli, testi archivistici, disegni, ecc.); la biblioteca dell'Istat (e colgo l'occasione per ringraziare il solerte personale, sempre gentile e disponibile); la biblioteca centrale delle F.S. (ringrazio, per tutti, il simpatico direttore, dr. Ernesto Petrucci; ma mi è caro ricordare anche il sig. Luigi Martire, l'allegro torrese purtroppo venuto a mancare recentemente). Altri documenti ho reperito all'emeroteca della Biblioteca Centrale di Roma e all'Archivio di Stato all'Eur: è consolante notare come tanti oscuri individui, al servizio dello Stato, siano tutt'altra cosa rispetto a quello che troppo disinvoltamente si dice degl'impiegati statali. Qualche altro contributo ho ottenuto da talune persone di buona volontà che ho citato a suo luogo mentre mi scuso se non posso, in qualche eccezionale caso, attribuire la paternità di alcuni documenti iconografici. Desidero ringraziare Aldo Bonforti, presidente del CAFI, ben noto a chi si occupa di ferrovie e di trasporti, per le altissime cariche ricoperte presso le F.S. e presso prestigiose istituzioni dello Stato, per aver un po' largheggiato nel concedermi le numerose pagine occupate dal testo (anche se è stato costretto ad eliminare numerosi disegni in grande scala di antichi rotabili, in verità poco leggibili, che avrebbero, tuttavia fatto la gioia di tanti appassionati di ferrovie, e a togliere diverse tavole relative a quotazioni di titoli ferroviari , che avrebbero destato interesse nei cultori di cliometria, cioè gli storici economici quantitativi, ma avrebbero appesantito il testo). Sono grato, altresì, alla signora Simonetta Casi del CAFI, sempre disponibile e paziente il che ha consentito di risolvere sollecitamente difficoltà tecniche di composizione e grafica che via via si presentavano. Dulcis in fundo, ringrazio la professoressa Simona Colarizi, Ordinario di Storia contemporanea all'Università "La Sapienza" in Roma, sia per i preziosi consigli profusi in occasione della stesura del lavoro, che per l'onore concessomi con l'aver redatto la "Presentazione" al libro. Il lavoro è dedicato a un amico che non c'è più: "Vergin di servo encomio…" insegnava il Manzoni. Come per il mio primo libro, così in quest'occasione ricordo una personalità, il prof. Mario Del Viscovo, Ordinario di Economia dei trasporti all'Università di Roma, che ebbe modo di esternare più volte la Sua stima nei miei confronti il che, tuttora mi gratifica. L'autore –3 –