Azienda USL 5 - Pisa La Prevenzione delle contaminazioni da micotossine negli allevamenti di bovini da latte Anno 2012 Opuscolo informativo a cura della U.O. Tecnici di Prevenzione in ambito veterinario La Prevenzione delle Contaminazioni da Micotossine Nell’ambito delle sostanze tossiche di origine microbica che possono giungere all’uomo o agli animali allevati attraverso i prodotti destinati all’alimentazione, meritano una particolare attenzione le micotossine. Queste sostanze sono prodotte da funghi parassiti delle piante o da agenti di ammuffimento delle derrate alimentari, in grado, se ingerite dagli animali o dall’uomo, di scatenare patologie acute o croniche chiamate micotossicosi. I cereali, e in particolare il mais, sono tra i prodotti vegetali più soggetti alla contaminazione da parte di queste sostanze e vista l’importanza di questo cereale nella razione delle specie di interesse zootecnico risulta quanto mai necessario operare azioni mirate alla prevenzione dello sviluppo di queste sostanze. La produzione di micotossine può avvenire sia nella fase di coltivazione, sia durante le operazioni successive alla raccolta ogni qualvolta si abbiano le condizioni favorevoli allo sviluppo fungino. Principali Micotossine e Funghi produttori I funghi produttori di tossine si possono dividere essenzialmente in due grossi gruppi, quelli che si sviluppano preferibilmente in campo come il genere Fusarium , Claviceps e Alternaria, e quelli detti di magazzino come il genere Aspergillus e Penicillium, a seconda del contenuto di umidità del substrato di sviluppo. Le micotossine sono molto stabili e persistono nei prodotti contaminati anche per molto tempo dopo la morte del fungo produttore. Infatti, non sono completamente distrutte dai trattamenti usati nelle preparazioni alimentari. Le micotossine possono provocare diversi disturbi alla salute, sia dell’animale sia dell’uomo, come malattie croniche od acute e possono esplicare anche azione mutagena e cancerogena. Al momento sono stati individuati numerosi altri generi di funghi produttori di tossine tra cui le più diffuse e preoccupanti sono presenti nella granella di mais, di seguito elencate: Aflatossine Le aflatossine (AF) sono metaboliti secondari di muffe appartenenti alle specie Aspergillus flavus e A. parasiticus. Dal punto di vista chimico le AF sono composti eterociclici, altamente precisamente sostituite, tanto dicumarine da poterle ascrivere ad un gruppo di sostanze naturali ad azione farmacologia. L’isolamento nei mangimi tossici si mostrò difficoltoso viste le esigue quantità presenti (ppm o ppb), ma fu di aiuto la scoperta che tali sostanze sono rilevabili grazie alla loro fluorescenza alla luce ultravioletta (366 nm). Le aflatossine hanno un elevato punto di fusione, sono insolubili in acqua, cristallizzano facilmente e sono estratte con solventi (etanolo, acetone etc.); le miscele vengono in seguito separate mediante cromatografia su carta o su strato sottile. Le principali aflatossine sono quattro, sono riconoscibili per la loro fluorescenza blu (B1e B2 )e giallo verde (G1 e G2 ) e sono comuni contaminanti dei prodotti alimentari di origine vegetale, mentre la aflatossina M1, fluorescente alla luce violetta, è il risultato del metabolismo epatico della AFB1 e viene escreta nel latte di tutti i mammiferi in lattazione. Le condizioni ottimali per la crescita del micelio fungino sono rappresentate da una temperatura compresa tra 36 e 38 °C, da una umidità del substrato del 30% e da una umidità ambientale dell’85%, mentre la maggiore produzione di tossine avviene tra 24 e 27 °C per l’Aflatossina B1 e tra 29 e 30 °C per l’Aflatossina G1. La crescita delle specie produttrici, e la contaminazione da AF, è un problema soprattutto dei Paesi tropicali e subtropicali, con climi piuttosto caldi e umidi, ma le condizioni di crescita e produzione sono facilmente riscontrabili anche in Italia, in particolare in Pianura Padana nel periodo estivo. Il fattore più importante da considerare è l'umidità del substrato: infatti la crescita delle muffe si ha solo in presenza di valori di attività dell'acqua (aW) superiori a 0.8. Condizioni favorevoli alla crescita delle muffe e alla produzione di aflatossine si riscontrano soprattutto nella fase di conservazione dei cereali più frequentemente utilizzati in alimentazione animale, in particolare il mais. Tra le aflatossine la AFB1 è considerata la più tossica, infatti possiede una potente attività cancerogena, mutagena e teratogena ed è classificata come carcinogeno di gruppo I dall'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC, 1987), mentre la AFM1 è mutagena (quindi meno pericolosa) epatotossica, dà immunosoppressione e per questo iscritta nel gruppo II. Mentre sono rari i fenomeni di intossicazione acuta, gli animali domestici sono frequentemente esposti a fenomeni di aflatossicosi cronica, i cui sintomi, conseguenti ad alterazioni della funzionalità epatica, sono anoressia, anemia e drastica caduta delle performances zootecniche. I giovani sono notevolmente più sensibili degli adulti, e tra le specie che mostrano maggiore sensibilità sono da segnalare i suini e i volatili da cortile. I ruminanti sono meno sensibili agli effetti tossici delle aflatossine, sia per la possibile inattivazione a livello ruminale di parte delle tossine ingerite, sia per delle differenze nel metabolismo epatico della sostanza. La tabella riassume i sintomi tipici dell’assunzione di aflatossina B1 con la razione: Sintomi da aflatossicosi acuta Perdita dell’appetito Febbre Depressione Abbassamento difese immunitarie Morte Sintomi da aflatossicosi cronica Ridotta assunzione di alimenti Peggioramento dei parametri produttivi e riproduttivi Aumento dell’incidenza delle malattie Turbe digestive Minore risposta ai trattamenti terapeutici e profilattici Ridotti incrementi ponderali Pelo ruvido e opaco Neoplasie al fegato, reni, sistema urinario La quasi totalità degli alimenti usati in zootecnia è potenzialmente sede di sviluppo fungino e quindi anche di contaminazione da aflatossine. Nella tabella che segue, i principali alimenti zootecnici sono raggruppati in categorie di rischio di contaminazione da AF B1: Rischio medio/elevato Rischio possibile Arachide e derivati Farina e germe di mais Semola glutinata di mais Pannello di cocco/palma/lino Granella di mais Cotone Pastone di mais Insilati di mais Rischio trascurabile Orzo Frumento Fieni Foraggi verdi Responsabile degli effetti epatocarcinogeni dell'AFB1 non è la tossina tal quale ma il prodotto della sua epossidazione ad opera degli enzimi del sistema del citocromo P450, localizzato a livello dei microsomi epatocitari. Nei ruminanti, a differenza che nelle altre specie, questa via di trasformazione è catalizzata dagli enzimi del citocromo P448. La detossificazione delle aflatossine può altresì avvenire per coniugazione delle stesse con acido o solfato glucuronico ed eliminazione attraverso le feci. Sempre a livello epatico l'AFB1 può andare incontro trasformandosi a in metilazione, AFM1 che, attraverso il sistema circolatorio, raggiunge la mammella, dove viene escreta nel latte. Il tasso di escrezione di AFM1 nel latte è estremamente variabile ed è influenzato da diversi fattori: il principale è la permeabilità della barriera emato-mammaria. Si è riscontrato infatti che in bovine nella fase iniziale della lattazione e ad alta produzione il tasso di escrezione è maggiore. Tuttavia è difficilmente prevedibile il livello di AFM1 nel latte a seguito di ingestione di alimenti contaminati da AFB1: infatti esso non varia solo da individuo a individuo, ma addirittura in funzione dei giorni o delle ore di mungitura (generalmente tra le 12 e 24 ore dall’assunzione della razione si ha la massima concentrazione nel latte di AFM1). Mediamente si calcola intorno allo 0,33% il carry-over dell’ AFB1 ingerita da una bovina in lattazione (nel latte di bufala si trovano le AF M1, M2, B1, nel latte di vacca solo la M1). (Tedesco D., Corso di valutazione nutrizionale mangimi – Regione Lombardia, 2001) La stabilità dell'AFM1 ai comuni processi cui il latte alimentare è sottoposto è elevata: i trattamenti termici (pasteurizzazione, refrigerazione) non hanno pressochè nessun effetto di abbattimento dei livelli di tossina, ed essa è riscontrabile anche dopo la caseificazione e la maturazione dei formaggi, in quanto resistente anche ai processi fermentativi. La AFM1 essendo una molecola semipolare, nel latte si lega principalmente alla caseina: infatti nella produzione casearia circa il 50% della tossina iniziale si ritroverà nella cagliata e pertanto le concentrazioni nel formaggio potranno essere sensibilmente più alte di quelle del latte da cui è stato prodotto. Nel latte scremato le concentrazioni possono essere più alte rispetto al latte intero perché la molecola non si lega al grasso e quindi non viene eliminata con la scrematura: infatti il burro non rappresenta un alimento a rischio. Per questo motivo la contaminazione di AFM1 nel latte di stalla pone rischi per tutta la filiera del latte, e in particolare per quello destinato ai bambini, più sensibili alla sua tossicità. La tabella riporta i limiti di aflatossina attualmente vigenti in Italia negli alimenti: Tabella 1: limiti massimi di aflatossine, in diverse matrici, come da Regolamento (CE) 466/2001 della commissione del 8 marzo 2001 e sue modifiche. Prodotto Arachidi, frutta a guscio, frutta secca e relativi prodotti derivati destinati al consumo umano diretto, ovvero all'utilizzazione quali ingredienti di derrate alimentari Arachidi da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici, prima del consumo umano o dell'impiego come ingredienti di derrate alimentari Frutta a guscio e frutta secca da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici prima del consumo umano o dell'impiego quale ingrediente di derrate alimentari Cereali (ivi compreso grano saraceno, Fagopyrum sp.), e prodotti della lavorazione destinati al consumo umano diretto o all'impiego come ingrediente di derrate alimentari Cereali (ivi compreso grano saraceno, Fagopyrum sp.) destinati alla cernita o ad altri trattamenti fisici prima del consumo umano o dell'impiego quale ingrediente di derrate alimentari Granoturco da essere sottoposto a cernita o ad altro trattamento fisico prima del consumo umano e dell'impiego quale ingrediente di derrate alimentari Cereali non lavorati (compreso riso non lavorato e grano saraceno) Tutti i prodotti derivati dai cereali (compresi i prodotti lavorati a base di cereali ed i cereali destinati al consumo umano diretto) B1 B1+B2+G1+G2 M1 2 4 8 15 5 10 2 4 2 4 5 10 Ocratossina A 5 3 Frutti essicati della vite (uva passa di Corinto, uva passa, uva sultanina) Caffè torrefatto e caffè torrefatto macinato, ad eccezione del caffè solubile 10 5 Caffè solubile (istantaneo) 10 Vino (rosso, bianco e rosè) e altri vini e/o altre bevande a base di mosto d’uva. Succo d’uva, ingredienti a base di succo d’uva in altre bevande, incluso il nettare di uva e il succo d’uva concentrato, ricostituito. Mosto d’uva e mosto d’uva concentrato ricostituito, destinati direttamente al consumo umano 2 Alimenti per bambini e alimenti a base di cereali per lattanti e bambini. Alimenti dietetici destinati a fini medici speciali, soprattutto all’alimentazione dei lattanti 0,1 0,5 Alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento, compresi il latte per lattanti e il latte per lo svezzamento 0,025 Latte (latte crudo, latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte e latte trattato termicamente) 0,05 Spezie: peperoncino, pepe, noce moscata, zenzero, curcuma 5 10 E’ possibile correlare, con un esempio pratico, la presenza di AFB1 nei mangimi della razione di una bovina con l’AFM1 contenuta nel latte: ( Fonte: Università degli Studi della Tuscia – IZS Roma, Vademecum sulle aflatossine) Esempio Quantità tot. di alimento contamina to in razione (Kg) Quantità di AFB1 per Kg di alimento contamin ato (µg/Kg) Quantità tot. di AFB1 ingerita (µg) Tasso medio di passagg io di AFB1 in AFM1 (%) Quantità di AFM1 nel latte Quantità di latte prodotta per capo Quantità di AFM1 per litro di latte (µg/Kg) 1° 20 X 5,0 = 100 X3 = 3,0 /30 lt = 0,10 2° 10 X 5,0 = 50 X3 = 1,5 /30 lt = 0,05 3° 20 X 2,5 = 50 X3 = 1,5 /30 lt = 0,05 4° 10 X 2,5 = 25 X3 = 0,75 /30 lt = 0,025 (µg/Kg = p.p.b.; ng/Kg = p.p.t.) Dagli esempi si deduce che per non avere problemi di aflatossina M1 nel latte e danni alla salute dgli animali, sarebbe ideale avere valori di AFB1 inferiori a 20 µg/Kg (p.p.b.) nella quantità giornaliera di alimenti ingeriti nella razione. Empiricamente il quantitativo di AFM1 nel latte crudo può essere calcolato con la formula: AFM1 (p.p.t. o ng/Kg di latte) = 1,19 x (p.p.b. o µg/Kg di AFB1 ingeriti/capo/die) + 1,9 Un breve accenno al quadro delle patologie umane associate alle aflatossine è di seguito de scritto nella tabella: Epatopatie tossiche acute Aflatossicosi e sindrome di Reye Malattia veno-occlusiva (Sindrome di Budd-Chiari) Cirrosi epatica dell’infanzia Immunodeficit da aflatossine Aflatossicosi e kwashiorkor Aflatossicosi da esposizione professionale Neoplasia primitiva del fegato ( da Bosco G., Patologia umana da aflatossine, Quaderni-1997) L'aflatossina B1 è la più tossica delle aflatossine ed agisce come un potente agente carcinogenico e mutagenico avente come organo bersaglio il fegato. In alcune aree geografiche del Sud Africa e del Sud-Est Asiatico, l'elevato livello di contaminazione degli alimenti da aflatossina B1 è stato correlato all'elevata incidenza epidemiologica di epatocarcinomi e di cirrosi epatica. Danni di tipo acuto dovuti alle aflatossine quali emorragie, dovute a fragilità capillare, necrosi degli epatociti sono evidenti dopo appena 3-6 ore dall'ingestione. Le aflatossine sono oncogene ed immuno-soppressive e riducono sensibilmente le difese immunitarie del nostro organismo alterando il metabolismo degli interferoni coinvolti nelle risposte immunitarie e nelle reazioni antinfiammatorie. Si è osservato che nei consumatori di stupefacenti, marjiuana ed eroina, ottenuti da piante che veicolano aflatossine, l'infezione da virus epatite B ed HIV è più aggressiva. MARCIUME della SPIGA e delle CARIOSSIDI da Aspergillus flavus, Aspergillus parasiticus. Gli Aspergilli sono muffe tipiche di località e di stagioni con elevate temperature ed umidità relativa. La loro moltiplicazione avviene specialmente in condizioni di stress idrico. Si sviluppano anche in magazzino in condizioni di umidità superiori al 15%, o inferiori se non omogenee, e sono favoriti da temperature della massa dei cereali crescenti da 15 a 30 o più gradi, causando deterioramento ed aumento del contenuto di micotossine L’Aspergillus flavus vive bene anche ad alte temperature (32°C ottimale) e sopravvive a periodi secchi . Cause e sintomi sulla pianta L'attacco fungino è favorito da danni causati alle spighe da larve di insetti, insetti adulti (ad es. la Piralide del mais) e degli uccelli, grandine ecc. che provocano lesioni sulle cariossidi. L'infezione tipica nella parte apicale della spiga si manifesta con sviluppo di muffe di aspetto polverulento di colore giallo-verdi o verde-bruno ben visibili sulla corona e tra le cariossidi. Danni da piralide con infezione da Aspergillus su granella e tutolo Granella danneggiata da Aspergillus Ocratossine Nei cereali sono prodotte da ceppi di Aspergillus ochraceus e Penicillium verrucosum e la più tossica è l’Ocratossina A (OA) che si sviluppa preferibilmente in un intervallo di temperatura tra 12 e 37° C. Le aree più a rischio sono i Paesi del nord Europa e il Canada, ma anche zone più meridionali come i Balcani; l’ OA si ritrova soprattutto nell’orzo, nei semi oleosi, nel caffè e nelle carni di suino. Nei suini l’assunzione di OA provoca nefropatie, mentre i ruminanti sono protetti dal fatto che viene attaccata a livello del rumine, anche se negli ultimi anni ne è stata rilevata la presenza nel latte di vacca forse a causa di un maggior livello di ingestione e velocizzazione del passaggio degli alimenti a livello ruminale al fine di ottenere produzioni più elevate e un maggior utilizzo di cereali nella razione. Le ocratossine causano disfunzioni renali con la comparsa di carcinomi, epatiti e alterazioni al DNA. Zearalenone Questa micotossina è un contaminante naturale di mais, frumento, orzo, avena, sorgo e fieno e viene prodotta da ceppi di Fusarium spp. , agenti di fusariosi e marciume della spiga dei cereali. E’ responsabile negli allevamenti di alterazioni dei cicli estrali del suino, di riduzione della fecondità nelle bovine e minore produzione di uova. L’eliminazione nel latte è minima, anche se può essere un problema per l’uomo a seguito di elevato consumo di cereali e derivati, come la birra. Tricoteceni Sono un gruppo di oltre 150 composti simili prodotti da diverse specie del genere Fusarium , che colpiscono principalmente i cereali; sono responsabili in allevamento di disturbi gastrointestinali , vomito, diarrea, irritazioni del derma, rifiuto del cibo e aborti. Il bovino è molto sensibile: 0,64 mg/kg di T-2 per 20 giorni sono letali. Fumonisine: Sono un gruppo di micotossine scoperte recentemente e prodotte da ceppi di Fusarium spp. , tra cui la più importante risulta essere la fumonisina B1 presente nella granella di mais e derivati. Non sembrano avere tossicità acuta, ma provocano un ridotto accrescimento in peso dei capi allevati e, alla lunga, sono cancerogenetiche e neurotossiche. Circolare del Ministero della Sanità del 9 giugno 1999 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 11/6/99 serie generale N° 135); b) Circolare del Ministero della Sanità del 28 novembre 2003 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10/12/2003 serie generale N° 286) per le stesse aflatossine ed altre micotossine in una serie di prodotti alimentari. B1 B1+B2+G1+G2 Prodotto Alimenti per l'infanzia 0,1 M1 Ocratossina A Patulina 0,01 Zearalenone Rif. 20 a) Caffè crudo 8 a) Caffè tostato e caffè solubile 4 a) Cacao e cioccolato in polvere 2 b) Cioccolato e suoi derivati 0,5 b) Birra 0,2 a) Succhi di frutta 50 Carne suina e prodotti derivati Cereali e prodotti derivati Piante infusionali a) 1 3 5 10 a) 100 a) a) Pertanto per prevenire la contaminazione da micotossine degli alimenti bisognerebbe poter impedire la crescita dei funghi sugli stessi: il che è praticamente impossibile, viste anche le condizioni climatiche degli ultimi anni. Pertanto l’unica strada da percorrere è quella della prevenzione attuando il controllo delle materie prime, in particolare i cereali, fino alla lavorazione del prodotto, visto che a causa dell’ elevata stabilità di queste molecole non sono state ancora individuate tecniche di detossificazione e risanamento delle partite contaminate. Anche se di solito nel nostro ambiente si riscontrano livelli relativamente contenuti di contaminazione da micotossine, rispetto ad altre zone del pianeta, le alte temperature dello scorso anno hanno favorito come si è detto in precedenza una abnorme proliferazione delle muffe del genere Aspergillus sulle materie prime destinate all’alimentazione del bestiame, particolarmente del mais, in alcune aree zootecniche del Nord Italia (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna). Pertanto di seguito verranno elencati alcuni suggerimenti di natura agronomica volti al miglioramento della qualità degli insilati e della granella di mais in particolare, ma estendibili in generale alla coltivazione di altri cereali utilizzati nell’alimentazione del bestiame. La prevenzione in pre-raccolta. Il controllo delle micotossine parte innanzitutto da idonee pratiche colturali come ad esempio: quella di evitare la monocoltura, programmando adeguate rotazioni per non far seguire il mais a se stesso; operare una sfibratura delle stoppie per ridurre la presenza della piramide; effettuare semine anticipate che consentono di ottenere buoni risultati perché ci permettono di anticipare le raccolte e ottenere una granella più sana (seminare entro la metà di aprile); preferire ibridi precoci o medio precoci che ci consentono di raggiungere ugualmente livelli produttivi simili agli ibridi a ciclo pieno (classe FAO 600), accorciando il ciclo e garantendo la raccolta prima del periodo delle piogge autunnali; inoltre alcune caratteristiche morfologiche della spiga e della granella possono essere di qualche vantaggio nel contenere il fungo: - copertura completa della spiga con bratee consistenti; - portamento non eretto della spiga in fase di maturazione, per evitare la ritenzione dell’acqua piovana; - granella più resistente alle rotture meccaniche durante la raccolta; evitare alte densità di semina in quanto favoriscono condizioni idonee allo sviluppo di funghi parassiti e agli stress in generale: è consigliabile non superare le 5,5 piante/mq per i mais tardivi e le 6 piante/mq per quelli medio precoci; moderare le concimazioni azotate (massimo 250 unità/ha di N) perché un eccesso rende la pianta più sensibile agli attacchi parassitari, per cui è estremamente importante conoscere la fertilità del proprio terreno al fine di operare interventi corretti dal punto di vista economico e della qualità del prodotto; ridurre gli stress idrici con opportune irrigazioni soprattutto durante la fase di fioritura, ma attenzione a non eccedere per non favorire ristagni di umidità e la presenza di erbe infestanti che sicuramente accentuano gli stress della pianta che produrrà una granella di qualità inferiore; controllo della Piralide: i maggiori danni sono provocati dalla 2^ generazione che si sviluppa dopo la fioritura. Le rosicature della piralide sono una facile via di accesso per i funghi che danneggiano vari organi della pianta , con produzioni di granella spezzata o danneggiata. Può essere utile un trattamento insetticida soprachioma, dopo la fioritura. La Prevenzione in fase di raccolta, condizionamento e stoccaggio Un aspetto molto importante è quello dell’epoca e della modalità di raccolta. Il mais al massimo della maturazione fisiologica ha una granella con una umidità intorno al 3032%; la successiva perdita di umidità in campo, fino alla “maturazione agronomica”, può essere fortemente influenzata dall’andamento stagionale. La granella, ormai isolata dalla pianta madre, diviene molto esposta agli attacchi dei funghi, per cui il livello finale di concentrazione delle micotossine dipende molto, oltre che dal poteziale inoculo, dalle condizioni di incubazione (andamento climatico), anche dal tempo in cui la granella è “a disposizione” del patogeno. Pertanto è raccomandabile: diminuire i tempi di permanenza in campo dopo la maturazione fisiologica (strato nero), accettando di raccogliere ad umidità ragionevolmente più elevata di quella consentita dall’ibrido o dall’andamento stagionale; evitare la post-maturazione in pianta (perdita di umidità vicino a valori di conservazione) per ibridi precoci già maturi ad agosto; Nello specifico dell’aspergillo, l’umidità ottimale della cariosside per lo sviluppo del fungo è circa il 16-20%: per cui la raccolta del prodotto ad una umidità non inferiore al 22-23% ed una immediata essiccazione garantisce l’abbattimento della potenziale carica di tossine. Effettuare una regolazione puntuale della mietitrebbia al fine di ridurre sia le rotture e le fessurazioni delle cariossidi, sia la prepulitura del prodotto dalle parti a più basso peso specifico; Ridurre l’intervallo di tempo tra la raccolta e l’essiccazione della granella, perché già nelle prime ore di attesa del prodotto umido sui carri o sui piazzali degli essiccatoi di attivano i processi di fermentazione, con sensibile perdita della sostanza secca ed aumento della temperatura della massa, con conseguente proliferazione secondaria dei funghi. Perciò è essenziale un coordinamento tra produttori, aziende di trasporto ed essiccatori per una precisa pianificazione dei conferimenti. L’essiccazione deve garantire la conservazione della granella riducendo in modo uniforme l’umidità al 13-14%; è opportuno evitare sbalzi termici repentini che causano rotture dell’endosperma delle cariossidi; La pulitura delle cariossidi se effettuata in fase di caricamento dell’essiccatoio e nelle fasi successive di movimentazione, svolge una azione preventiva in quanto permette l’allontanamento dei chicchi spezzati o ammuffiti, della farina e polveri; Durante lo stoccaggio è importante riuscire a mantenere condizioni omogenee nella massa con bassa umidità e ridotta temperatura ricorrendo se necessario a ventilazione forzata; utilizzare per la movimentazione apparecchi sollevatori con tazze di gomma, ricorrendo al minimo a coclee metalliche, facendo uso di attenuatori dell’altezza di caduta; avere un elevato livello igienico delle strutture, procedere al controllo degli insetti dannosi e operare un monitoraggio continuo. Trinciato integrale e pastone di granella Per il trinciato integrale di mais occorre porre attenzione a partire dalla fase di coltivazione, alla fase di insilamento e quindi nel corso dell’utilizzazione del silo. Nelle tabelle citate sono riassunte le pratiche agricole errate e quelle considerate corrette. Prevenzione in campo Per la fase di coltivazione si considera di rilevante importanza l’epoca di raccolta, che non deve cadere in un periodo con elevate temperature, e l’umidità del trinciato al momento dell’insilamento; infatti, questa non deve essere troppo ridotta così da impedire un adeguato compattamento della massa e il conseguente aumento dei rischi di alterazioni aerobiche. Tabella 1. Mais da trinciato integrale: confronto tra tecniche ad alto e a basso rischio per la prevenzione delle contaminazioni da aflatossine 1 Tecniche ad alto rischio Tecniche a basso rischio Scelta di epoche di semina e ibridi con cicli colturali tali Scelta di epoche di semina e ibridi con cicli colturali tali da condurre a raccolte in periodi molto caldi da condurre a raccolte al termine dell’estate o inizio autunno 2 3 Diserbo assente o poco efficace Concimazione: - carente per K20 ed N (< 100 kg/ha) - eccessiva per N (> 500 kg/ha da fertilizzanti organici e minerali) Diserbo accurato Concimazione - equilibrata tra N, P2O5, K2O - dosi N 280-320 kg/ha 4 Nessun controllo sulla piralide Trattamento contro la piralide con insetticidi 5 Irrigazione - assente o insufficiente (< 0.7 ETc) - precocemente interrotta Irrigazione - corretta (0.9-1.1 ETc) - fino alla lattea avanzata 6 Raccolta Trinciatura ritardata oltre il 38% di s.s. Trinciatura lunga e irregolare Raccolta Trinciatura tempestiva al 30-32% di s.s. soprattutto per insilati estivi. Trinciatura corta 2-3 cm e regolare Prevenzione durante l’insilamento e l’utilizzazione del silo Per la riduzione dei rischi di contaminazione da aflatossine durante la formazione dell’insilato e la sua utilizzazione non si devono porre particolari attenzioni, se non applicare scrupolosamente tutte quelle pratiche che consentono di compattare e chiudere efficacemente l’insilato per attivare rapidamente e compiutamente la fermentazione lattica. È consigliabile l’utilizzo eventuale di acido propionico e/o i propionati, che si sono dimostrati gli additivi più sicuri ed efficaci nel contrastare lo sviluppo fungino e la formazione di micotossine. Tabella 2. Mais da trinciato integrale: confronto tra tecniche di insilamento e gestione del silo ad alto e a basso rischio per la prevenzione delle contaminazioni da aflatossine Tecnica ad alto rischio Tecnica a basso rischio 1 Silo a cumuli con fianchi di pendenza Silo a trincea maggiore a 25-30°. Silo con fronte stretto compatibilmente con l’uso delle macchine Silo con fronte largo Pavimento del silo con pendenza del 2% verso l’apertura Pavimento del silo piatto 2 Riempimento lento in strati orizzontali compattamento modesto e non uniforme, chiusura del silo approssimativa, nessun carico di appesantimento. 3 Profondità di prelievo esigua. Sollevamento profondo del superiore durante l’utilizzo 4 Nessuna rimozione delle parti alterate Riempimento rapido in strati inclinati, elevato e uniforme compattamento, chiusura del silo con fogli addossati alle pareti e quindi rovesciati verso il colmo e ricoperti con altro foglio. Distribuire propionato (0.03-0.04 %) nella porzione superiore del cumulo. Carico di appesantimento uniforme di almeno 50 kg/m2 Impiego di macchine desilatrici. foglio Prelievi giornalieri profondi almeno 10 cm in inverno e 20 cm in estate Sollevamento del foglio superiore della profondità necessario al desilamento del giorno Rimozione attenta di tutte le parti che presentano ammuffimenti e alterazioni aerobiche visibili. Per il pastone di granella occorre seguire le indicazioni riportate per il trinciato integrale ponendo ancora maggior cura sulle modalità di insilamento e desilamento. In particolare la profondità del fronte di avanzamento deve essere di 30 cm in inverno e 60-80 cm in estate; ciò comporta la necessità di dimensionare con grande attenzione il silo in funzione dei prelievi prevedibili. Da quanto noto sul metabolismo delle aflatossine, appare evidente che la regolamentazione dei livelli massimi tollerabili di aflatossina M1 negli alimenti a base di latte non può prescindere dagli analoghi valori stabiliti per i mangimi destinati alle lattifere, in altre parole e necessario che esista una correlazione tra gli uni e gli altri. La legislazione vigente in questo settore fissa i limiti, come riportato in tabella (Decreto Legislativo 149/2004): Al limite comunitario di 0.050 µg/Kg per l’aflatossina M1 nel latte crudo e termicamente trattato si sono adeguati anche alcuni paesi asiatici, africani e dell’America Latina. In netto contrasto, gli Stati Uniti, alcuni paesi dell’Europa orientale e diversi paesi asiatici hanno adottato un limite dieci volte superiore ovvero 0.50 µg/Kg, limite adottato anche dal Codex Alimentarius nel 2001. Si puo concludere che il valore massimo consentito per l’aflatossina M1 nel latte adottato dall’UE e tra i piu bassi al mondo ed e basato sul principio ALARA. Con quanto sopra descritto si è inteso suggerire una serie di interventi operativi per attuare una azione di prevenzione negli insilati e nella granella di mais. Tutto ciò alla luce di un possibile contributo allo sviluppo di un sistema integrato del tipo HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) basato sull’osservanza dei principi generali delle buone pratiche agricole e di produzione. Si deve ricordare innanzitutto che la proliferazione sia delle muffe “di campo”, sia “di magazzino” parte dal campo e può proseguire per entrambe se si mantengono condizioni per la proliferazione, durante una non corretta conservazione. Conseguentemente la prevenzione deve partire dalla coltivazione, proseguire nella conservazione e concludersi nelle lavorazioni senza interruzioni di attenzione. Si allega una linea guida per gli allevatori di vacche da latte finalizzata al controllo della aflatossina M1 (AIA modif.)