Azienda USL 5 - Pisa
La Prevenzione delle contaminazioni da micotossine
negli allevamenti di bovini da latte
Anno 2012
Opuscolo informativo a cura della U.O. Tecnici di Prevenzione in ambito veterinario
La Prevenzione delle Contaminazioni da Micotossine
Nell’ambito delle sostanze tossiche di origine microbica che possono giungere all’uomo o
agli animali allevati attraverso i prodotti destinati all’alimentazione, meritano una
particolare attenzione le micotossine. Queste sostanze sono prodotte da funghi parassiti
delle piante o da agenti di ammuffimento delle derrate alimentari, in grado, se ingerite
dagli animali o dall’uomo, di scatenare patologie acute o croniche chiamate micotossicosi.
I cereali, e in particolare il mais, sono tra i prodotti vegetali più soggetti alla
contaminazione da parte di queste sostanze e vista l’importanza di questo cereale nella
razione delle specie di interesse zootecnico risulta quanto mai necessario operare azioni
mirate alla prevenzione dello sviluppo di queste sostanze.
La produzione di micotossine può avvenire sia nella fase di coltivazione, sia durante le
operazioni successive alla raccolta ogni qualvolta si abbiano le condizioni favorevoli allo
sviluppo fungino.
Principali Micotossine e Funghi produttori
I funghi produttori di tossine si possono dividere essenzialmente in due grossi gruppi,
quelli che si sviluppano preferibilmente in campo come il genere Fusarium , Claviceps e
Alternaria, e quelli detti di magazzino come il genere Aspergillus e Penicillium, a seconda
del contenuto di umidità del substrato di sviluppo.
Le micotossine sono molto stabili e persistono nei prodotti contaminati anche per molto
tempo dopo la morte del fungo produttore. Infatti, non sono completamente distrutte dai
trattamenti usati nelle preparazioni alimentari. Le micotossine possono provocare diversi
disturbi alla salute, sia dell’animale sia dell’uomo, come malattie croniche od acute e
possono esplicare anche azione mutagena e cancerogena.
Al momento sono stati individuati numerosi altri generi di funghi produttori di tossine tra
cui le più diffuse e preoccupanti sono presenti nella granella di mais, di seguito elencate:
Aflatossine
Le aflatossine (AF) sono metaboliti
secondari di muffe appartenenti alle specie
Aspergillus flavus e A. parasiticus. Dal
punto di vista chimico le AF sono composti
eterociclici,
altamente
precisamente
sostituite,
tanto
dicumarine
da
poterle
ascrivere ad un gruppo di sostanze naturali ad azione farmacologia.
L’isolamento nei mangimi tossici si mostrò difficoltoso viste le esigue quantità
presenti (ppm o ppb), ma fu di aiuto la scoperta che tali sostanze sono rilevabili grazie alla
loro fluorescenza alla luce ultravioletta (366 nm). Le aflatossine hanno un elevato punto di
fusione, sono insolubili in acqua, cristallizzano facilmente e sono estratte con solventi
(etanolo, acetone etc.); le miscele vengono in seguito separate mediante cromatografia su
carta o su strato sottile.
Le principali aflatossine sono quattro, sono riconoscibili per la loro fluorescenza blu
(B1e B2 )e giallo verde (G1 e G2 ) e sono comuni contaminanti dei prodotti alimentari di
origine vegetale, mentre la aflatossina M1, fluorescente alla luce violetta, è il risultato del
metabolismo epatico della AFB1 e viene escreta nel latte di tutti i mammiferi in lattazione.
Le condizioni ottimali per la crescita del micelio fungino sono rappresentate da una
temperatura compresa tra 36 e 38 °C, da una umidità del substrato del 30% e da una
umidità ambientale dell’85%, mentre la maggiore produzione di tossine avviene tra 24 e 27
°C per l’Aflatossina B1 e tra 29 e 30 °C per l’Aflatossina G1.
La crescita delle specie produttrici, e la contaminazione da AF, è un problema
soprattutto dei Paesi tropicali e subtropicali, con climi piuttosto caldi e umidi, ma le
condizioni di crescita e produzione sono facilmente riscontrabili anche in Italia, in
particolare in Pianura Padana nel periodo estivo.
Il fattore più importante da considerare è l'umidità del substrato: infatti la crescita
delle muffe si ha solo in presenza di valori di attività dell'acqua (aW) superiori a 0.8.
Condizioni favorevoli alla crescita delle muffe e alla produzione di aflatossine si
riscontrano soprattutto nella fase di conservazione dei cereali più frequentemente utilizzati
in alimentazione animale, in particolare il mais.
Tra le aflatossine la AFB1 è considerata la più tossica, infatti possiede una potente
attività cancerogena, mutagena e teratogena ed è classificata come carcinogeno di gruppo I
dall'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC, 1987), mentre la AFM1 è
mutagena (quindi meno pericolosa) epatotossica, dà immunosoppressione e per questo
iscritta nel gruppo II.
Mentre sono rari i fenomeni di intossicazione acuta, gli animali domestici sono
frequentemente esposti a fenomeni di aflatossicosi cronica, i cui sintomi, conseguenti ad
alterazioni della funzionalità epatica, sono anoressia, anemia e drastica caduta delle
performances zootecniche. I giovani sono notevolmente più sensibili degli adulti, e tra le
specie che mostrano maggiore sensibilità sono da segnalare i suini e i volatili da cortile. I
ruminanti sono meno sensibili agli effetti tossici delle aflatossine, sia per la possibile
inattivazione a livello ruminale di parte delle tossine ingerite, sia per delle differenze nel
metabolismo epatico della sostanza.
La tabella riassume i sintomi tipici dell’assunzione di aflatossina B1 con la razione:
Sintomi da aflatossicosi acuta
Perdita dell’appetito
Febbre
Depressione
Abbassamento difese immunitarie
Morte
Sintomi da aflatossicosi cronica
Ridotta assunzione di alimenti
Peggioramento dei parametri produttivi e
riproduttivi
Aumento dell’incidenza delle malattie
Turbe digestive
Minore risposta ai trattamenti terapeutici e
profilattici
Ridotti incrementi ponderali
Pelo ruvido e opaco
Neoplasie al fegato, reni, sistema urinario
La quasi totalità degli alimenti usati in zootecnia è potenzialmente sede di sviluppo
fungino e quindi anche di contaminazione da aflatossine.
Nella tabella che segue, i principali alimenti zootecnici sono raggruppati in categorie
di rischio di contaminazione da AF B1:
Rischio medio/elevato
Rischio possibile
Arachide e derivati
Farina e germe di mais
Semola glutinata di mais
Pannello di
cocco/palma/lino
Granella di mais
Cotone
Pastone di mais
Insilati di mais
Rischio trascurabile
Orzo
Frumento
Fieni
Foraggi verdi
Responsabile degli effetti epatocarcinogeni dell'AFB1 non è la tossina tal quale ma il
prodotto della sua epossidazione ad opera degli enzimi del sistema del citocromo P450,
localizzato a livello dei microsomi epatocitari. Nei ruminanti, a differenza che nelle altre
specie, questa via di trasformazione è catalizzata dagli enzimi del citocromo P448. La
detossificazione delle aflatossine può altresì avvenire per coniugazione delle stesse con
acido o solfato glucuronico ed
eliminazione
attraverso
le
feci.
Sempre a livello epatico l'AFB1 può
andare
incontro
trasformandosi
a
in
metilazione,
AFM1
che,
attraverso il sistema circolatorio,
raggiunge la mammella, dove viene escreta nel latte. Il tasso di escrezione di AFM1 nel
latte è estremamente variabile ed è influenzato da diversi fattori: il principale è la
permeabilità della barriera emato-mammaria.
Si è riscontrato infatti che in bovine nella fase iniziale della lattazione e ad alta
produzione il tasso di escrezione è maggiore. Tuttavia è difficilmente prevedibile il livello
di AFM1 nel latte a seguito di ingestione di alimenti contaminati da AFB1: infatti esso non
varia solo da individuo a individuo, ma addirittura in funzione dei giorni o delle ore di
mungitura (generalmente tra le 12 e 24 ore dall’assunzione della razione si ha la massima
concentrazione nel latte di AFM1).
Mediamente si calcola intorno allo 0,33% il carry-over dell’ AFB1 ingerita da una
bovina in lattazione (nel latte di bufala si trovano le AF M1, M2, B1, nel latte di vacca solo
la M1). (Tedesco D., Corso di valutazione nutrizionale mangimi – Regione Lombardia,
2001)
La stabilità dell'AFM1 ai comuni processi cui il latte alimentare è sottoposto è
elevata: i trattamenti termici (pasteurizzazione, refrigerazione) non hanno pressochè nessun
effetto di abbattimento dei livelli di tossina, ed essa è riscontrabile anche dopo la
caseificazione e la maturazione dei formaggi, in quanto resistente anche ai processi
fermentativi. La AFM1 essendo una molecola semipolare, nel latte si lega principalmente
alla caseina: infatti nella produzione casearia circa il 50% della tossina iniziale si ritroverà
nella cagliata e pertanto le concentrazioni nel formaggio potranno essere sensibilmente più
alte di quelle del latte da cui è stato prodotto.
Nel latte scremato le concentrazioni possono essere più alte rispetto al latte intero
perché la molecola non si lega al grasso e quindi non viene eliminata con la scrematura:
infatti il burro non rappresenta un alimento a rischio.
Per questo motivo la contaminazione di AFM1 nel latte di stalla pone rischi per tutta
la filiera del latte, e in particolare per quello destinato ai bambini, più sensibili alla sua
tossicità.
La tabella riporta i limiti di aflatossina attualmente vigenti in Italia negli alimenti:
Tabella 1: limiti massimi di aflatossine, in diverse matrici, come da Regolamento (CE) 466/2001 della commissione del 8
marzo 2001 e sue modifiche.
Prodotto
Arachidi, frutta a guscio, frutta secca e relativi prodotti derivati destinati al consumo
umano diretto, ovvero all'utilizzazione quali ingredienti di derrate alimentari
Arachidi da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici, prima del consumo umano
o dell'impiego come ingredienti di derrate alimentari
Frutta a guscio e frutta secca da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici prima
del consumo umano o dell'impiego quale ingrediente di derrate alimentari
Cereali (ivi compreso grano saraceno, Fagopyrum sp.), e prodotti della lavorazione
destinati al consumo umano diretto o all'impiego come ingrediente di derrate alimentari
Cereali (ivi compreso grano saraceno, Fagopyrum sp.) destinati alla cernita o ad altri
trattamenti fisici prima del consumo umano o dell'impiego quale ingrediente di derrate
alimentari
Granoturco da essere sottoposto a cernita o ad altro trattamento fisico prima del
consumo umano e dell'impiego quale ingrediente di derrate alimentari
Cereali non lavorati (compreso riso non lavorato e grano saraceno)
Tutti i prodotti derivati dai cereali (compresi i prodotti lavorati a base di cereali ed i
cereali destinati al consumo umano diretto)
B1 B1+B2+G1+G2 M1
2
4
8
15
5
10
2
4
2
4
5
10
Ocratossina
A
5
3
Frutti essicati della vite (uva passa di Corinto, uva passa, uva sultanina)
Caffè torrefatto e caffè torrefatto macinato, ad eccezione del caffè solubile
10
5
Caffè solubile (istantaneo)
10
Vino (rosso, bianco e rosè) e altri vini e/o altre bevande a base di mosto d’uva. Succo
d’uva, ingredienti a base di succo d’uva in altre bevande, incluso il nettare di uva e il
succo d’uva concentrato, ricostituito. Mosto d’uva e mosto d’uva concentrato
ricostituito, destinati direttamente al consumo umano
2
Alimenti per bambini e alimenti a base di cereali per lattanti e bambini. Alimenti
dietetici destinati a fini medici speciali, soprattutto all’alimentazione dei lattanti
0,1
0,5
Alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento, compresi il latte per lattanti e il latte
per lo svezzamento
0,025
Latte (latte crudo, latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte e latte
trattato termicamente)
0,05
Spezie: peperoncino, pepe, noce moscata, zenzero, curcuma
5
10
E’ possibile correlare, con un esempio pratico, la presenza di AFB1 nei mangimi della
razione di una bovina con l’AFM1 contenuta nel latte:
( Fonte: Università degli Studi della Tuscia – IZS Roma, Vademecum sulle aflatossine)
Esempio
Quantità
tot. di
alimento
contamina
to in
razione
(Kg)
Quantità
di AFB1
per Kg di
alimento
contamin
ato
(µg/Kg)
Quantità
tot. di
AFB1
ingerita
(µg)
Tasso
medio
di
passagg
io di
AFB1 in
AFM1
(%)
Quantità
di AFM1
nel latte
Quantità
di latte
prodotta
per capo
Quantità
di AFM1
per litro
di latte
(µg/Kg)
1°
20
X 5,0
= 100
X3
= 3,0
/30 lt
= 0,10
2°
10
X 5,0
= 50
X3
= 1,5
/30 lt
= 0,05
3°
20
X 2,5
= 50
X3
= 1,5
/30 lt
= 0,05
4°
10
X 2,5
= 25
X3
= 0,75
/30 lt
= 0,025
(µg/Kg = p.p.b.; ng/Kg = p.p.t.)
Dagli esempi si deduce che per non avere problemi di aflatossina M1 nel latte e danni alla
salute dgli animali, sarebbe ideale avere valori di AFB1 inferiori a 20 µg/Kg (p.p.b.) nella
quantità giornaliera di alimenti ingeriti nella razione.
Empiricamente il quantitativo di AFM1 nel latte crudo può essere calcolato con la formula:
AFM1 (p.p.t. o ng/Kg di latte) = 1,19 x (p.p.b. o µg/Kg di AFB1 ingeriti/capo/die) + 1,9
Un breve accenno al quadro delle patologie umane associate alle aflatossine è di seguito de
scritto nella tabella:
Epatopatie tossiche acute
Aflatossicosi e sindrome di Reye
Malattia veno-occlusiva (Sindrome di Budd-Chiari)
Cirrosi epatica dell’infanzia
Immunodeficit da aflatossine
Aflatossicosi e kwashiorkor
Aflatossicosi da esposizione professionale
Neoplasia primitiva del fegato
( da Bosco G., Patologia umana da aflatossine, Quaderni-1997)
L'aflatossina B1 è la più tossica delle aflatossine ed agisce come un potente agente
carcinogenico e mutagenico avente come organo bersaglio il fegato. In alcune aree
geografiche del Sud Africa e del Sud-Est Asiatico, l'elevato livello di contaminazione degli
alimenti da aflatossina B1 è stato correlato all'elevata incidenza epidemiologica di
epatocarcinomi e di cirrosi epatica.
Danni di tipo acuto dovuti alle aflatossine quali emorragie, dovute a fragilità capillare,
necrosi degli epatociti sono evidenti dopo appena 3-6 ore dall'ingestione.
Le aflatossine sono oncogene ed immuno-soppressive e riducono sensibilmente le difese
immunitarie del nostro organismo alterando il metabolismo degli interferoni coinvolti nelle
risposte immunitarie e nelle reazioni antinfiammatorie. Si è osservato che nei consumatori
di stupefacenti, marjiuana ed eroina, ottenuti da piante che veicolano aflatossine,
l'infezione da virus epatite B ed HIV è più aggressiva.
MARCIUME della SPIGA e delle CARIOSSIDI
da Aspergillus flavus, Aspergillus parasiticus.
Gli Aspergilli sono muffe tipiche di località e di stagioni con elevate temperature ed
umidità relativa. La loro moltiplicazione avviene specialmente in condizioni di stress
idrico. Si sviluppano anche in magazzino in condizioni di umidità superiori al 15%, o
inferiori se non omogenee, e sono favoriti da temperature della massa dei cereali crescenti
da 15 a 30 o più gradi, causando deterioramento ed aumento del contenuto di micotossine
L’Aspergillus flavus vive bene anche ad alte temperature (32°C ottimale) e
sopravvive a periodi secchi .
Cause e sintomi sulla pianta
L'attacco fungino è favorito da danni causati alle spighe da larve di insetti, insetti adulti (ad
es. la Piralide del mais) e degli uccelli, grandine ecc. che provocano lesioni sulle cariossidi.
L'infezione tipica nella parte apicale della spiga si manifesta con sviluppo di muffe di
aspetto polverulento di colore giallo-verdi o verde-bruno ben visibili sulla corona e tra le
cariossidi.
Danni da piralide con infezione da Aspergillus su granella e tutolo
Granella
danneggiata da
Aspergillus
Ocratossine
Nei cereali sono prodotte da ceppi di Aspergillus ochraceus e Penicillium verrucosum e la
più tossica è l’Ocratossina A (OA) che si sviluppa preferibilmente in un intervallo di
temperatura tra 12 e 37° C. Le aree più a rischio sono i Paesi del nord Europa e il Canada,
ma anche zone più meridionali come i Balcani; l’ OA si ritrova soprattutto nell’orzo, nei
semi oleosi, nel caffè e nelle carni di suino.
Nei suini l’assunzione di OA provoca nefropatie, mentre i ruminanti sono protetti dal fatto
che viene attaccata a livello del rumine, anche se negli ultimi anni ne è stata rilevata la
presenza nel latte di vacca forse a causa di un maggior livello di ingestione e
velocizzazione del passaggio degli alimenti a livello ruminale al fine di ottenere produzioni
più elevate e un maggior utilizzo di cereali nella razione. Le ocratossine causano
disfunzioni renali con la comparsa di carcinomi, epatiti e alterazioni al DNA.
Zearalenone
Questa micotossina è un contaminante naturale di mais, frumento, orzo, avena, sorgo e
fieno e viene prodotta da ceppi di Fusarium spp. , agenti di fusariosi e marciume della
spiga dei cereali. E’ responsabile negli allevamenti di alterazioni dei cicli estrali del suino,
di riduzione della fecondità nelle bovine e minore produzione di uova. L’eliminazione nel
latte è minima, anche se può essere un problema per l’uomo a seguito di elevato consumo
di cereali e derivati, come la birra.
Tricoteceni
Sono un gruppo di oltre 150 composti simili prodotti da diverse specie del genere
Fusarium , che colpiscono principalmente i cereali; sono responsabili in allevamento di
disturbi gastrointestinali , vomito, diarrea, irritazioni del derma, rifiuto del cibo e aborti. Il
bovino è molto sensibile: 0,64 mg/kg di T-2 per 20 giorni sono letali.
Fumonisine:
Sono un gruppo di micotossine scoperte recentemente e prodotte da ceppi di Fusarium spp.
, tra cui la più importante risulta essere la fumonisina B1 presente nella granella di mais e
derivati. Non sembrano avere tossicità acuta, ma provocano un ridotto accrescimento in
peso dei capi allevati e, alla lunga, sono cancerogenetiche e neurotossiche.
Circolare del Ministero della Sanità del 9 giugno 1999 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 11/6/99 serie generale N° 135);
b) Circolare del Ministero della Sanità del 28 novembre 2003 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10/12/2003 serie
generale N° 286) per le stesse aflatossine ed altre micotossine in una serie di prodotti alimentari.
B1 B1+B2+G1+G2
Prodotto
Alimenti per l'infanzia
0,1
M1
Ocratossina A
Patulina
0,01
Zearalenone
Rif.
20
a)
Caffè crudo
8
a)
Caffè tostato e caffè solubile
4
a)
Cacao e cioccolato in polvere
2
b)
Cioccolato e suoi derivati
0,5
b)
Birra
0,2
a)
Succhi di frutta
50
Carne suina e prodotti derivati
Cereali e prodotti derivati
Piante infusionali
a)
1
3
5
10
a)
100
a)
a)
Pertanto per prevenire la contaminazione da micotossine degli alimenti bisognerebbe poter
impedire la crescita dei funghi sugli stessi: il che è praticamente impossibile, viste anche le
condizioni climatiche degli ultimi anni. Pertanto l’unica strada da percorrere è quella della
prevenzione attuando il controllo delle materie prime, in particolare i cereali, fino alla
lavorazione del prodotto, visto che a causa dell’ elevata stabilità di queste molecole non
sono state ancora individuate tecniche di detossificazione e risanamento delle partite
contaminate.
Anche se di solito nel nostro ambiente si riscontrano livelli relativamente contenuti di
contaminazione da micotossine, rispetto ad altre zone del pianeta, le alte temperature dello
scorso anno hanno favorito come si è detto in precedenza una abnorme proliferazione delle
muffe del genere Aspergillus sulle materie prime destinate all’alimentazione del bestiame,
particolarmente del mais, in alcune aree zootecniche del Nord Italia (Veneto, Lombardia,
Emilia-Romagna). Pertanto di seguito verranno elencati alcuni suggerimenti di natura
agronomica volti al miglioramento della qualità degli insilati e della granella di mais in
particolare, ma estendibili in generale alla coltivazione di altri cereali utilizzati
nell’alimentazione del bestiame.
La prevenzione in pre-raccolta.
Il controllo delle micotossine parte innanzitutto da idonee pratiche colturali come ad
esempio:
quella di evitare la monocoltura, programmando adeguate rotazioni per non far
seguire il mais a se stesso;
operare una sfibratura delle stoppie per ridurre la presenza della piramide;
effettuare semine anticipate che consentono di ottenere buoni risultati perché ci
permettono di anticipare le raccolte e ottenere una granella più sana (seminare entro
la metà di aprile);
preferire ibridi precoci o medio precoci che ci consentono di raggiungere
ugualmente livelli produttivi simili agli ibridi a ciclo pieno (classe FAO 600),
accorciando il ciclo e garantendo la raccolta prima del periodo delle piogge
autunnali; inoltre alcune caratteristiche morfologiche della spiga e della granella
possono essere di qualche vantaggio nel contenere il fungo:
- copertura completa della spiga con bratee consistenti;
- portamento non eretto della spiga in fase di maturazione, per evitare la
ritenzione dell’acqua piovana;
- granella più resistente alle rotture meccaniche durante la raccolta;
evitare alte densità di semina in quanto favoriscono condizioni idonee allo sviluppo
di funghi parassiti e agli stress in generale: è consigliabile non superare le 5,5
piante/mq per i mais tardivi e le 6 piante/mq per quelli medio precoci;
moderare le concimazioni azotate (massimo 250 unità/ha di N) perché un eccesso
rende la pianta più sensibile agli attacchi parassitari, per cui è estremamente
importante conoscere la fertilità del proprio terreno al fine di operare interventi
corretti dal punto di vista economico e della qualità del prodotto;
ridurre gli stress idrici con opportune irrigazioni soprattutto durante la fase di
fioritura, ma attenzione a non eccedere per non favorire ristagni di umidità e la
presenza di erbe infestanti che sicuramente accentuano gli stress della pianta che
produrrà una granella di qualità inferiore;
controllo della Piralide: i maggiori danni sono provocati dalla 2^ generazione che
si sviluppa dopo la fioritura. Le rosicature della piralide sono una facile via di
accesso per i funghi che danneggiano vari organi della pianta , con produzioni di
granella spezzata o danneggiata. Può essere utile un trattamento insetticida
soprachioma, dopo la fioritura.
La Prevenzione in fase di raccolta, condizionamento e stoccaggio
Un aspetto molto importante è quello dell’epoca e della modalità di raccolta. Il mais al
massimo della maturazione fisiologica ha una granella con una umidità intorno al 3032%; la successiva perdita di umidità in campo, fino alla “maturazione agronomica”,
può essere fortemente influenzata dall’andamento stagionale. La granella, ormai isolata
dalla pianta madre, diviene molto esposta agli attacchi dei funghi, per cui il livello
finale di concentrazione delle micotossine dipende molto, oltre che dal poteziale
inoculo, dalle condizioni di incubazione (andamento climatico), anche dal tempo in cui
la granella è “a disposizione” del patogeno. Pertanto è raccomandabile:
diminuire i tempi di permanenza in campo dopo la maturazione fisiologica (strato
nero), accettando di raccogliere ad umidità ragionevolmente più elevata di quella
consentita dall’ibrido o dall’andamento stagionale;
evitare la post-maturazione in pianta (perdita di umidità vicino a valori di
conservazione) per ibridi precoci già maturi ad agosto;
Nello specifico dell’aspergillo, l’umidità ottimale della cariosside per lo sviluppo del
fungo è circa il 16-20%: per cui la raccolta del prodotto ad una umidità non inferiore al
22-23% ed una immediata essiccazione garantisce l’abbattimento della potenziale
carica di tossine.
Effettuare una regolazione puntuale della mietitrebbia al fine di ridurre sia le rotture
e le fessurazioni delle cariossidi, sia la prepulitura del prodotto dalle parti a più
basso peso specifico;
Ridurre l’intervallo di tempo tra la raccolta e l’essiccazione della granella, perché
già nelle prime ore di attesa del prodotto umido sui carri o sui piazzali degli
essiccatoi di attivano i processi di fermentazione, con sensibile perdita della sostanza
secca ed aumento della temperatura della massa, con conseguente proliferazione
secondaria dei funghi. Perciò è essenziale un coordinamento tra produttori, aziende
di trasporto ed essiccatori per una precisa pianificazione dei conferimenti.
L’essiccazione deve garantire la conservazione della granella riducendo in modo
uniforme l’umidità al 13-14%; è opportuno evitare sbalzi termici repentini che
causano rotture dell’endosperma delle cariossidi;
La pulitura delle cariossidi se effettuata in fase di caricamento dell’essiccatoio e
nelle fasi successive di movimentazione, svolge una azione preventiva in quanto
permette l’allontanamento dei chicchi spezzati o ammuffiti, della farina e polveri;
Durante lo stoccaggio è importante riuscire a mantenere condizioni omogenee nella
massa con bassa umidità e ridotta temperatura ricorrendo se necessario a ventilazione
forzata; utilizzare per la movimentazione apparecchi sollevatori con tazze di gomma,
ricorrendo al minimo a coclee metalliche, facendo uso di attenuatori dell’altezza di
caduta; avere un elevato livello igienico delle strutture, procedere al controllo degli
insetti dannosi e operare un monitoraggio continuo.
Trinciato integrale e pastone di granella
Per il trinciato integrale di mais occorre porre attenzione a partire dalla fase di coltivazione,
alla fase di insilamento e quindi nel corso dell’utilizzazione del silo. Nelle tabelle citate
sono riassunte le pratiche agricole errate e quelle considerate corrette.
Prevenzione in campo
Per la fase di coltivazione si considera di rilevante importanza l’epoca di raccolta, che non
deve cadere in un periodo con elevate temperature, e l’umidità del trinciato al momento
dell’insilamento; infatti, questa non deve essere troppo ridotta così da impedire un
adeguato compattamento della massa e il conseguente aumento dei rischi di alterazioni
aerobiche.
Tabella 1. Mais da trinciato integrale: confronto tra tecniche ad alto e a basso rischio per la prevenzione
delle contaminazioni da aflatossine
1
Tecniche ad alto rischio
Tecniche a basso rischio
Scelta di epoche di semina e ibridi con cicli colturali tali Scelta di epoche di semina e ibridi con cicli colturali tali
da condurre a raccolte in periodi molto caldi
da condurre a raccolte al termine dell’estate o inizio
autunno
2
3
Diserbo assente o poco efficace
Concimazione:
- carente per K20 ed N (< 100 kg/ha)
- eccessiva per N (> 500 kg/ha da fertilizzanti organici e
minerali)
Diserbo accurato
Concimazione
- equilibrata tra N, P2O5, K2O
- dosi N 280-320 kg/ha
4
Nessun controllo sulla piralide
Trattamento contro la piralide con insetticidi
5
Irrigazione
- assente o insufficiente (< 0.7 ETc)
- precocemente interrotta
Irrigazione
- corretta (0.9-1.1 ETc)
- fino alla lattea avanzata
6
Raccolta
Trinciatura ritardata oltre il 38% di s.s.
Trinciatura lunga e irregolare
Raccolta
Trinciatura tempestiva al 30-32% di s.s. soprattutto per
insilati estivi.
Trinciatura corta 2-3 cm e regolare
Prevenzione durante l’insilamento e l’utilizzazione del silo
Per la riduzione dei rischi di contaminazione da aflatossine durante la formazione
dell’insilato e la sua utilizzazione non si devono porre particolari attenzioni, se non
applicare scrupolosamente tutte quelle pratiche che consentono di compattare e
chiudere efficacemente l’insilato per attivare rapidamente e compiutamente la
fermentazione lattica.
È consigliabile l’utilizzo eventuale di acido propionico e/o i propionati, che si sono
dimostrati gli additivi più sicuri ed efficaci nel contrastare lo sviluppo fungino e la
formazione di micotossine.
Tabella 2. Mais da trinciato integrale: confronto tra tecniche di insilamento e gestione del silo ad alto e a
basso rischio per la prevenzione delle contaminazioni da aflatossine
Tecnica ad alto rischio
Tecnica a basso rischio
1
Silo a cumuli con fianchi di pendenza Silo a trincea
maggiore a 25-30°.
Silo con fronte stretto compatibilmente con l’uso delle macchine
Silo con fronte largo
Pavimento del silo con pendenza del 2% verso l’apertura
Pavimento del silo piatto
2
Riempimento lento in strati orizzontali
compattamento
modesto
e non
uniforme,
chiusura
del
silo
approssimativa, nessun carico di
appesantimento.
3
Profondità di prelievo esigua.
Sollevamento profondo del
superiore durante l’utilizzo
4
Nessuna rimozione delle parti alterate
Riempimento rapido in strati inclinati, elevato e uniforme compattamento,
chiusura del silo con fogli addossati alle pareti e quindi rovesciati verso il
colmo e ricoperti con altro foglio. Distribuire propionato (0.03-0.04 %) nella
porzione superiore del cumulo. Carico di appesantimento uniforme di almeno
50 kg/m2
Impiego di macchine desilatrici.
foglio Prelievi giornalieri profondi almeno 10 cm in inverno e 20 cm in estate
Sollevamento del foglio superiore della profondità necessario al desilamento
del giorno
Rimozione attenta di tutte le parti che presentano ammuffimenti e alterazioni
aerobiche visibili.
Per il pastone di granella occorre seguire le indicazioni riportate per il trinciato integrale
ponendo ancora maggior cura sulle modalità di insilamento e desilamento. In
particolare la profondità del fronte di avanzamento deve essere di 30 cm in inverno e
60-80 cm in estate; ciò comporta la necessità di dimensionare con grande attenzione il
silo in funzione dei prelievi prevedibili.
Da quanto noto sul metabolismo delle aflatossine, appare evidente che la
regolamentazione dei livelli massimi tollerabili di aflatossina M1 negli alimenti a base
di latte non può prescindere dagli analoghi valori stabiliti per i mangimi destinati alle
lattifere, in altre parole e necessario che esista una correlazione tra gli uni e gli altri.
La legislazione vigente in questo settore fissa i limiti, come riportato in tabella (Decreto
Legislativo 149/2004):
Al limite comunitario di 0.050 µg/Kg per l’aflatossina M1 nel latte crudo e
termicamente trattato si sono adeguati anche alcuni paesi asiatici, africani e
dell’America Latina.
In netto contrasto, gli Stati Uniti, alcuni paesi dell’Europa orientale e diversi paesi
asiatici hanno adottato un limite dieci volte superiore ovvero 0.50 µg/Kg, limite
adottato anche dal Codex Alimentarius nel 2001.
Si puo concludere che il valore massimo consentito per l’aflatossina M1 nel latte
adottato dall’UE e tra i piu bassi al mondo ed e basato sul principio ALARA.
Con quanto sopra descritto si è inteso suggerire una serie di interventi operativi per
attuare una azione di prevenzione negli insilati e nella granella di mais. Tutto ciò alla
luce di un possibile contributo allo sviluppo di un sistema integrato del tipo HACCP
(Hazard Analysis and Critical Control Point) basato sull’osservanza dei principi
generali delle buone pratiche agricole e di produzione.
Si deve ricordare innanzitutto che la proliferazione sia delle muffe “di campo”, sia “di
magazzino” parte dal campo e può proseguire per entrambe se si mantengono
condizioni
per
la
proliferazione,
durante
una
non
corretta
conservazione.
Conseguentemente la prevenzione deve partire dalla coltivazione, proseguire nella
conservazione e concludersi nelle lavorazioni senza interruzioni di attenzione.
Si allega una linea guida per gli allevatori di vacche da latte finalizzata al controllo
della aflatossina M1 (AIA modif.)
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La Prevenzione delle Contaminazioni da