Orsera, G.
DON CAMILLO IN RUSSIA
recensione di Giusto Orsera,
«Il Borghese», 13 febbraio 1964, pp. 327-329.
«LA POÉSIE est une prophétie»; ha scritto qualcuno, non ricordiamo chi. Ed è vero, deve essere vero giacché, da secoli, il binomio poeta-profeta si è affermato nelle pagine dei saggisti,
nelle storie letterarie e nelle cronache del senso comune. Oggi, però, anche se nessuno ha
più il coraggio di negare la qualifica di profeta ai nostri poeti, agli ermetici, ai neorealisti, agli
spaziali, ai neocostruttivisti, è indubbio che essi hanno perduto, smarrito, insieme al Moulin
Rouge e alla Belle époque le loro qualità divinatorie. In questi amari e scientifici tempi, la poesia è diventata semmai l’ancella della scienza o la cameriera tuttofare della politica. Non inventa nulla che non sia stato promesso, minacciato o realizzato da esperti nucleari o costruttori di piani. Anzi, se vogliamo essere sinceri, dobbiamo dire che i nostri poeti-profeti
hanno scoperto con decenni di ritardo la bicicletta, l’aeroplano, per non parlare del razzo e
dei satelliti che attendono ancora, fiduciosi, carmi e rime baciate.
I nuovi letterati che cercano, su consiglio di Vittorini, di «scrivere a livello industriale»,
scoprendo improvvisamente fabbriche, industrie, pistoni e rulli compressori, davanti a un
operaio specializzato fanno la figura di novellini, nella migliore delle ipotesi, o di ciechi, nella
peggiore. Anche perché, alla fine, ricordano pericolosamente quel famoso signore che percorreva i villaggi trascinandosi dietro un giovane quadrupede e presentandolo come una sua
personale invenzione a chiunque aveva la ventura di incontrare.
Tuttavia, se i poeti hanno perso queste divine qualità, o le hanno gettate via, subito gli
umoristi le hanno raccolte, e le hanno usate e le usano come un’arma contro l’indolenza, il
conformismo, l’arte di arrangiarsi e di sopportare che caratterizzano la vita sociale dei democratici tempi in cui viviamo. Sono essi i profeti contemporanei, le inascoltate Cassandre
che ci sussurrano alle orecchie parole che, ormai, non possiamo sentire da nessun altro, leggere in nessun libro, scoprire in nessun cuore. Sono essi gli ultimi, inquietanti cavalieri della
libertà di pensare e scrivere, che non accettano le idiozie solo perché sono comuni e le falsità
per il semplice motivo che sono state accolte con urla di giubilo dalla maggioranza. L’ironia,
insomma, è diventata l’ultima trincea degli spiriti che non sentono ancora la «nostalgia
dell’allevamento» di cui parla Ortega y Gasset, e resistono al richiamo della mandra dei rinoceronti di Jonesco, che diventano sempre più numerosi, sempre più feroci, sempre più forti.
Oggi, cioè, dovremmo scrivere: «L’ironie est une prophétie». Ed eccone la prova, una prova
esilarante stupefacente: un libro di Guareschi apparso di recente e intitolato il compagno Don
Camillo. È un’al tra delle divertenti, feroci storie del celebre personaggio, inventato dal suo
non meno celebre autore. Don Camillo, ormai, non ha bisogno di presentazioni, di parole, di
descrizioni. Appartiene alla tradizione italiana non meno degli spaghetti, delle chitarre e delle serenate al chiaro di luna. Non sappiamo se l’Ente del Turismo abbia già pensato ad utilizzarlo per attirare subdolamente i turisti in questo nostro «giardino d’Europa», ma è certo
che se sui manifesti affissi nelle strade di Londra, Parigi o New York, accanto al Colosseo, al
Foro romano, all’Arena di Verona e a San Pietro apparisse la figura di Don Camillo, nessuno
si meraviglierebbe e, forse, il nostro turismo ne trarrebbe qualche vantaggio. Come anche è
incontestabile che, se alcuno di noi lo incontrasse per strada, con le sue vesti bianche per la
polvere della «Bassa» emiliana, con il suo sguardo corrucciato e la sua aria di ammazzadraghi, non ci meraviglieremmo molto di più che se avessimo incontrato un vecchio zio perduto di vista negli ultimi anni. È la sorte dei personaggi vivi, che sembrano più reali di certi
uomini in carne ed ossa che, nonostante un regolare certificato di nascita, una carta di identità e magari la prova di un matrimonio contratto con la Chiesa, non riescono a convincere
nessuno della loro esistenza.
Ma ritorniamo al libro di Guareschi. Don Camillo, dunque, scopre un bel giorno che il
compagno Peppone, divenuto senatore, ha vinto dieci milioni al Totocalcio. Scoperta sensazionale, anche perché il compagno senatore, oltre ad aver trasgredito alla disciplina di partito compilando la schedina fatidica ha negato ogni cosa davanti ai suoi seguaci ed ha deciso,
infine, di godere personalmente e nascostamente della fortuna che il destino gli ha fatto cadere tra le braccia.
Don Camillo, naturalmente, scoperta la manovra del compagno, lo rimprovera aspramente, lo aiuta ad incassare la somma e, infine, lo ricatta: non rivelerà al partito e al mondo la
fortuna di Peppone se questi lo porterà con una delegazione di fidi iscritti al PCI in terra russa. È questo il vero inizio della storia, l’esilarante origine di ogni avventura. Il terribile prete
di campagna si traveste da attivista. Compra occhiali neri, libretti e opuscoli rossi. Fa applicare al breviario la copertina di un libretto contenente le massime di Lenin: nasconde una croce nel cappuccetto di una penna stilografica e mette nella valigia «un blocchetto di santini,
un po’ di fotografie del Papa, un pizzico d’Ostie e altre quisquilie del genere». Preoccupandosi anche, naturalmente, di scambiare per caso la sua valigia con quella di Peppone alla dogana sovietica, con il rischio di far passare il senatore per una quinta colonna della «reazione
in agguato».
È soltanto l’inizio, naturalmente, e sarebbe impossibile narrare tutte le avventure della
singolare comitiva in terra russa. Basterà dire che il risultato del viaggio, sintetizzato dal vescovo, diretto superiore di Don Camillo, è il seguente: « Conversione del compagno Tavan,
conversione del compagno Gibetti, liberazione del romeno di Napoli. Messa e comunione
per la vecchia donna polacca, consacrazione del matrimonio di sua figlia e del disperso, battesimo dei loro sei figlioli, confessione dell’espatriato e sua riabilitazione, Messa per i Defunti
al camposanto. In più, diciotto assoluzioni in articulo mortis». Un successo, insomma, che fa
conquistare al parroco guareschiano la promozione a vescovo e ai lettori qualche anno di vita, se è vero, come è vero, che il riso possiede qualità curative.
Ma il bello è che la storia dell’immaginario viaggio di Don Camillo nel regno di Krusciov è
apparsa in libreria quasi contemporaneamente alle cronache del reale viaggio compiuto da
alcuni compagni di sicura fede marxista a spese di un industriale di Carpi, spinto alla beneficenza dal desiderio di far constatare de visu la «realtà sovietica» ai suoi più fanatici propagandisti. Ed ecco la prova delle qualità profetiche degli umoristi in generale e dell’umorista Giovannino Guareschi in particolare. Le dichiarazioni fatte dai compagni al ritorno dal viaggio
sembrano tratte dalle pagine di questo libro, che è stato scritto nel 1959, cioè bene cinque
anni fa. Sembra di sognare. Ascoltate: il dottor Eldo Rossi, agronomo, consigliere comunale
di Carpi del PCI, di ritorno dal paradiso sovietico dichiara: «Abbiamo visto un villaggio: le condizioni in cui si trova non si possono neppure descrivere: manca di strade, di servizi d’ogni genere, non
vi sono neppure le fogne, niente elettricità, soltanto acqua di pozzo».
Leggete il libro di Guareschi, a pagina 90: «Le case del villaggio di Grevinec erano le normali
catapecchie dei borghi russi, basse, col tetto di paglia: ma ognuna aveva attorno un pezzetto di terra coltivato con estrema cura, un piccolo frutteto e orto. E, nei recinti annessi, ad ogni catapecchia, c’erano
galline, il maialetto e, nella stalla, la vacca.
La compagna Petrovna spiegò che il novantatré per cento dei colcos erano elettrificati: disgraziatamente quello di Grevinec faceva parte dell’altro sette per cento».
Paragone dal quale si vede come la realtà superi allegramente la fantasia, giacché l’unica
differenza tra il racconto del dottor Rossi e la storia di Guareschi è data dal pezzetto di terra,
dal frutteto, dalle galline, vacche e maialetto che, evidentemente, esistono soltanto nella fantasia dello scrittore reazionario ma non nella realtà della Russia progressista.
Ma andiamo avanti. Guareschi scrive: «Era una grigia mattina di autunno: nelle strade spopolate, donne infagottate in abiti da lavoro maschili lavavano e spazzavano l’asfalto. Donne in pantaloni
manovravano i vecchi tranvai scalcinati. Altre donne in tuta bitumavano una piazzetta e donne con
brache impolverate lavoravano come manovali in un edificio in costruzione. Davanti a un Gastronom,
una lunga coda di donne: queste, però, in abiti assai modesti, ma decisamente femminili.
« Don Camillo si protese verso Peppone e gli sussurrò all’orecchio:
«“Qui, le donne, non solo hanno gli stessi diritti degli uomini, ma hanno anche gli stessi diritti delle
donne”»
E l’operaia tessile, Germana Vezzali, «simpatizzante del PSI», partecipante al viaggio organizzato dall’industriale di Carpi, conferma:
« Nell’Unione Sovietica le donne lavorano lungo le strade e fanno di tutto, anche i lavori più pesanti
e di solito riservati agli uomini. Le donne italiane certamente non riuscirebbero a compiere lavori così pesanti, almeno secondo il mio parere». A sua volta, 1’operaia tessile Bianca Frignani, simpatizzante
del PCI, dichiara: «Nell’Unione Sovietica abbiamo visto prezzi molto alti e numerose file. Una cosa che
mi ha lasciata meravigliata è come quella gente aspetti pazientemente senza mai protestare. Fanno notevole effetto anche le donne che lungo la strada compiono i lavori più duri». E via di questo passo. Si
potrebbe commentare ogni pagina di Il compagno Don Camillo con una frase,
un’«impressione», una dichiarazione dei compagni turisti nell’URSS. Troveremmo di tutto:
la borsa nera, la miseria, il disinteresse dei lavoratori resi schiavi dallo Stato, l’altra faccia della luna sovietica che, a poco a poco, in grazia di qualche prudente gita turistica, si rivela ai
ciechi compagni che vivono nell’Occidente. Il dottor Eldo Rossi, l’agronomo e consigliere
comunale del PCI che si è recentemente dimesso dal partito, per non essere costretto a dimettersi dalla schiera degli uomini onesti, ha perfino affermato: «La mia opinione è questa. Ad
esempio l’anno scorso mi sono sentito dire che il Gum era una costruzione meravigliosa. Credo di poter
affermare dopo esserci stato, che chi ha detto questo evidentemente non ha mai visto la Standa di Modena, tanto per citare uno dei numerosissimi Supermercati esistenti in Italia». Dove si dimostra che val
più una Modena in regime capitalistico che una Mosca in regime sovietico.
Potremmo continuare all’infinito. Citare e commentare ad una ad una le pagine di questo
profetico, divertente e amaro libretto. Ma non vogliamo privare i nostri lettori del piacere di
leggerlo e di fare da soli le proprie scoperte. E non vogliamo privarli, soprattutto, di conoscere le avventure sovietiche di don Camillo narrate direttamente dalla penna di Giovannino
Guareschi, questo nostro sorridente, terribile amico degli. anni difficili.
Giusto Orsera
GUARESCHI: Mondo Piccolo - Il compagno Don Camillo, Rizzoli Editore, Milano, pagg. 228,
lire 1300.
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i miserabili - Giovannino Guareschi