òς European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal ADDIO MATTEO ANNO X Edizione straordinaria 28 luglio 2014 Addio Matteo Terra di nessuno Siria ed Iraq Mater Dei Il teatro romano De cognomine Una donna nella lett. Robespierre televisivo Giovani e politica Il racconto del mese Momento tenero Antonio Amico Momento tenero Proverbi e modi di dire La pagina medica Note sociologiche La donna nella letterat. Regimen sanitatis saler. L’angolo del cuore Sul portale http://www.andropos.eu/antroposint heworld.html Su facebook https://www.facebook.com/groups/ant roposintheworld/755101491196213/?n otif_t=like Grave lutto per Rosamaria Pastore, la Direttrice di ANTROPOS IN THE WORLD, è venuto a mancare Matteo Liguori, suo marito da oltre trent’anni. Matteo, un uomo mite e fortemente legato alla sua famiglia, dopo una proficua esperienza di lavoro impiegatizio a Milano, aveva dato il meglio di sé all’Ufficio provinciale del Tesoro, grazie alla sua ottima preparazione in materia di ragioneria e contabilità. Il professionista, molto considerato nel suo ambiente di lavoro, si era distinto per attaccamento al lavoro e capacità organizzative. I funerali, espletatisi nella chiesa di San Domenico , in Salerno, hanno raccolto intorno al feretro, per l’ultimo saluto, numerosissimi amici e parenti, da tutta la provincia. Settantasette anni è una età giusta per morire? E come lo potrebbe essere, quando, dopo una vita di lavoro frenetico e tanti sacrifici, si è sul punto di assistere alla seduta di laurea dei due figlioli? Quando Paolo e Daniela hanno ancora bisogno di consigli ed amore paterno? Quando dalla loro coesione, derivava tutto, dalla forza operativa a quella economica, dalla perseveranza al conseguimento degli obiettivi? Ma questa è la vita, un breve disperatissimo sogno! -1- Antropos in the world CARCERE,UNA SORTA DI TERRA DI NESSUNO Quanto più forte è uno Stato, più forte è il diritto di indignarsi di quanti non vedono riconosciuti i propri diritti: fare giustizia significa sanare una ferita, una lacerazione, costringendo il dolore a trasformarsi nella sofferenza, nella scoperta di essere meno indifesi e impreparati se esiste la possibilità concreta di affidarsi agli altri, a quegli altri che siamo noi. Il carcere come unico baluardo al ripristino della legalità, all’assunzione di responsabilità, all’educazione da ritrovare: riesce difficile convincersi che sia la strada più efficace da percorrere per raggiungere gli obiettivi di cui sopra, un luogo deputato a saldare conti in sospeso con la collettività, uno spazio adibito alla moltiplicazione del dolore, una sorta di terra di nessuno, dove solo pochi intendono posare lo sguardo. Non c’è capacità di osservare quel che accade dentro una cella, soprattutto ciò che non accade, è lecito discuterne per ideologie d’accatto, per pancia buttata sottosopra, ma non ci sarà mai abbastanza onestà intellettuale per rimettersi in gioco, per ritrovarsi e infine riparare al male fatto. Finchè la Giustizia permarrà signora costretta di spalle, con gli occhi bassi, non potrà varcare con autorevolezza i cancelli di una galera, per offrire forza sufficiente al riappropriarsi del proprio ruolo e della propria utilità al carcere e alla pena, nella differenza che intercorre tra chi entra in carcere, alla meno peggio rimane affondato al punto di partenza, e chi invece azzera la propria esistenza con un po’ di sapone e un laccio al collo. Progetti a rimbalzare sulla realtà che non è di carta, dove ci sono le persone, che fanno ben sperare in una condizione umana migliore, persone che sebbene detenute non ci stanno a essere punite due o tre volte da una sopravvivenza imposta. Esistono le persone in questo pianeta, checchè ne faccia dubitare il disprezzo estremo cui è ridotto il carcere, la disperazione delle parole obbligate a rimanere monche, inutili, perciò impreparate a dare importanza ai morti che si affastellano dentro gli spazi iniqui, agli altri ma- scherati da vivi ma annientati ulteriormente nella propria dignità. C’è in atto una neanche tanto sottile strategia a significare che è tutto esagerato, eccessivo, un film squinternato nella sua sceneggiatura, eppure la prigione non è recinto per i soli brutti, sporchi e cattivi, anche chi sta ai piani alti, nel reame dei perennemente onesti, dei buoni a tutti i costi, si muovono le pedine sacrificali, perché non solamente la libertà è comandata a sparire, con essa la dignità dell’ultima volontà di un perdono. Occorre davvero nutrirsi di resilienza, rifiutando la quotidianità della deresponsabilizzazione, facendo un passo indietro, scegliendo la fatica, la rinuncia, per non dichiararsi sconfitti alla propria ritrovata umanità, anche all’umanità di chi è disposto a tendere significativamente la mano: non si tratta di una mera concessione statuale, bensì di una nuova condivisione che diventa conquista di coscienza. NUOVI CORSI DI LAURVEinAcenOzNo LAInNdrEaous Università degli Studi eCampus - Via Isimbardi, 10 22060 Novedrate (CO) A seguito delle numerose richieste, per l’anno accademico 2013-2014 l’Università eCampus ha attivato nuovi indirizzi di studio di primo e di secondo livello, per un totale di 22 corsi di laurea suddivisi in 5 facoltà. L'Università eCampus ha 4 sedi: Novedrate (CO), Roma, Bari e Messina. Studio autonomo, preparazione eccellente eCampus non è un’alternativa all’università, ma un’università alternativa. È alternativa perché unisce l’autonomia dello studio online al valore del contatto reale con docenti, tutor e altri studenti. Oggi l’università è sempre più online. In Europa e nel mondo, oltre il 10% degli studenti frequenta già un’università online e la percentuale tende ad aumentare. eCampus è un ambiente formativo virtuale, è vero, ma studenti e docenti non perdono mai il contatto con la vita accademica. Per te un servizio di orientamento! Per aiutarti a scegliere bene, l’Università ti mette a disposizione un apposito servizio di orientamento, molto utile per individuare il corso di laurea più adatto ai tuoi obiettivi. -2- Antropos in the world SIRIA ED IRAQ, VITTIME DELLA CROCIATA CONTRO ARABI LAICI E SCITI Che cosa sta succedendo in Iraq? Semplice: con poche varianti, la stessa cosa che sta avvenendo in Siria. Continua, cioè, la sanguinosa manovra per elimi-nare fisicamente gli arabi laici e, con essi, le due comu-nità religiose ostili al fondamentalismo jihadista: i musulmani sciiti ed i cristiani orientali. È una guerra sporca, sporchissima, lorda di sangue, di petrolio e dell’inchiostro bugiardo della stampa occidentale, che uccide quotidianamente la verità facendo passare quelle nefande guerre d’aggressione per benemerite “rivolte democratiche” contro regimi impopolari perché dittatoriali. Ma, di grazia, qualcuno vuole citarmi un solo Paese arabo che sia retto da un sistema autenticamente democratico? Sono due guerre – quella dell’Iraq e soprattutto quella della Siria – che tanti punti in comune hanno con quella che, tre anni or sono, fu mossa contro la Libia di Gheddafi, armando – a spese delle monarchie petrolifere del Golfo e dei servizi occidentali – un esercito merce-nario di sedicenti “ribelli” (peraltro in larga parte formato da fanatici fondamentalisti) che in poche settimane distrusse completamente la vita civile e l’economia di una delle nazioni più floride del mondo arabo. Le prove generali – a onor del vero – erano già state fatte, otto anni prima, contro la prospera repubblica laiconazionalista dell’Iraq. Il suo Presidente-dittatore Saddam Hussein era stato accusato di essere il protettore dei terroristi sunniti di al-Qaeda e di detenere grandi arsenali di “armi di distruzione di massa”. Tutti sanno che le armi di distruzione di massa non furono trovate, per il semplice fatto di essere state soltanto un’invenzione dei servizi segreti americani. Quel che molti ignorano, invece, è che Saddam Hussein contrastasse i fondamentalisti religiosi di al-Qaeda, e che addirittura fosse un elemento essenziale di quella “cintura sanitaria” che impediva al terrorismo jihadista di penetrare nelle società arabe progredite, ivi comprese quelle dei Paesi nostri dirimpettai nel Mediterraneo. Queste cose, però, erano perfettamente note a tutti gli “addetti ai lavori”, ivi compresi – naturalmente – gli eccelsi strateghi americani; anche se questi, ufficialmente, si affannavano a proclamare che quella di Bush era una benemerita guerra “contro il terrore”. Non era vero niente, anzi era vero l’esatto opposto: era – volontariamente o involontariamente – una guerra “per il terrore”, per consentire ai qaedisti di dilagare in tutto il mondo arabo e, come conseguenza diretta, di tenere sotto scacco l’Europa. Perché tutto ciò? Perché – è la mia personalissima opinione “eretica” – perché solamente un’Europa che si sentisse minacciata dal fondamentalismo islamico sarebbe stata disposta a sbracarsi ancor di più di fronte ai padroni americani, accettando non soltanto il vassallaggio militare di una NATO ormai senza più ragion d’essere, ma anche quello economico (che sta materializzandosi proprio in queste settimane) di una zo- -3- na atlantica di libero scambio che è utile solo agli statunitensi. Certo – è sempre l’eretico che parla – non posso credere che gli spioni della CIA abbiano potuto pensare, anche soltanto per un attimo, che il laicissimo Saddam Hussein fosse alleato del fondamentalista Bin Laden. Così come non posso credere che gli spioni di cui sopra non avessero previsto la dissoluzione dell’Iraq, una volta abbattuto il regime laicista che era faticosamente riuscito a tenere unito il Paese. L’Iraq – sia detto per inciso – è uno Stato artificiale, creato a suo tempo dagli inglesi per motivi eminentemente petroliferi; creato – si badi bene – costringendo ad una convivenza forzata la regione arabosunnita di Baghdad, quella sciita di Bassora e quella kurda di Mosul, per tacere della (un tempo) numerosa comunità arabo-cristiana. Gli strateghi americani – dicevo – dovevano ben sapere che l’Iraq sarebbe andato in frantumi e sarebbe stato preda delle bande fondamentaliste. Esattamente come la Libia, otto anni appresso. Esattamente come si è tentato di fare in Siria, poco dopo. Esattamente come si tenta di fare in questi giorni nuovamente in Iraq. Lì, come in Siria, la barbarie avanza. Ed a farne le spese sono in primo luogo i cristiani: uccisi, torturati, bruciati vivi nelle chiese e – i più fortunati – espulsi dai loro paesi e costretti all’emigrazione forzata. Un’Europa imbecille, intanto, fa il tifo per gli “eserciti dei ribelli” e lancia gridolini di gioia per ogni arretramento delle “milizie del regime”, obbedendo ai fogli d’ordine americano-saudito-israeliani. Al contempo, gli Stati Uniti – che nel 2003 rasero al suolo l’intero Iraq – hanno fatto sapere che questa volta non invieranno soldati e non bombarderanno nessuno; tutt’al più, interverranno con i droni, gli aerei senza pilota. E che il governo sciita dell’Iraq (alleato di quello dell’Iran) si arrangi come può per difendersi dai terroristi. Le guerre “contro il terrore” non si fanno più, le bombe “intelligenti” sono finite; e verrebbe da dire che oggi si usano soltanto le bombe cretine, quelle tanto care agli americani e a chi dà loro credito. Il Premio Nobel per la Pace Barack Obama è stato chiaro, come si conviene ad un perfetto pacifista a stelle e strisce. Le guerre si fanno soltanto contro i cattivi: il Presidente siriano Assad è certamente un cattivo, perché rifiuta di consegnare il suo Paese agli sceicchi sunniti; gli iraniani sono cattivi per antonomàsia, perché stanno antipatici a Israele; e il più cattivo di tutti è certamente Putin, che non vuole vendere il gas a metà prezzo all’Ukraina che gli americani gli hanno strappato giocando sporco. Certo, tutto sarebbe stato più facile se, qualche mese fa, i russi avessero consentito al Presidente abbronzato di radere al suolo la Siria di Assad, ma quel dittatoraccio di Putin ha avuto il cattivo gusto di mettersi di traverso. M. Rallo Antropos in the world Pazienza, adesso gli americani dovranno far finta di avversare i terroristi del fantomatico ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), e i loro amici europei dovranno far finta di crederci. Il tutto – a modesto parere dello scrivente – stando bene attenti a non intralciare il disegno del “Grande Medio Oriente”, teorizzato da circoli sauditi e israeliani, le cui Siamo seduti sopra una Le guerre si fanno solo contro polveriera! cattivi!? spire dovrebbero allargarsi a nord, fino al Caucaso ed al M a r Ne r o . Un Grande Medio Oriente con la Russia e l’Iran fuori gioco e, comunque, non in grado di fare concorrenza al petrolio saudita, né al gas “di scisto” americano e, dopo l’entrata in produzione del nuovis-simo giacimento Leviathan, neanche al gas israeliano che – ci scommetto – prenderà il posto di quello libico diretto in Europa. Intanto, siamo tutti seduti su una polveriera. Anzi su due polveriere. Una è l’Iraq, l’altra è l’Ukraina. Speriamo che non ci siano scintille. Michele Rallo Da “ Opinioni eretiche” QUARTA EDIZIONE DEL PREMIO DI POESIA RELIGIOSA “MATER DEI” IUNIOR E’ bandito dalla Rivista “ Antropos in the world”, in collaborazione con la “ Chiesa Madre SS.Corpo di Cristo, la Fondazione Carminello ad Arco, e con il patrocinio del Comune di San Valentino Torio, la seconda edizione del Premio MATER DEI Possono partecipare alunni delle scuole elementari e medie, con un breve componimento in poesia o anche in prosa dedicata alla Vergine Maria. E’ importante che nessun adulto ponga mano all’elaborato. La partecipazione è gratuita. Inviare i lavori alla Direzione di Antropos in the world, via Posidonia,171/h – 84128 Salerno, entro il 30 giugno 2014. La Commissione è formata dalla prof.ssa: Pastore Rosa Maria, dirett.ce di A. I. T. W.; dott. Flaviano Calenda, Pres.Carminello ad Arco; dott. Renato Nicodemo, mariologo; dott. Franco Pastore, scrittore; Geom. Carlo D’Acunzo, giornalista, redatt.re capo della redazione Angri; dott. Giuffrida Farina, saggista e poeta; dott. Vincenzo Soriente della redaz. ne di San Valentino Torio. dott. Raffaele Villani. Tra i concorrenti saranno scelti tre vincitori, mentre saranno dati tre diplomi di merito a coloro che si sono comunque distinti nella stesura dell’elaborato. A tutti i fanciulli concorrenti, sarà consegnato un attestato di partecipazione. Le poesie premiate figureranno sul giornale di ottobre. Successivamente sarà comunicata la sede della manifestazione che si terrà presumibilmente nella prima decade di settembre. Per informazioni: 089.223738/ 089.723814 e-mail: [email protected] PER LUGLIO ED AGOSTO, IL GIORNALE ENTRA IN PAUSA ESTIVA -4- Antropos in the world IL TEATRO COMICO ROMANO a cura di Andropos La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi. A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti, di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia. TERENZIO: Phormio (rappresentata nel 161 a.C.) La data di nascita di Terenzio non è conosciuta con precisione; si ritiene sia nato lo stesso anno della morte di Plauto, nel 184 a.C., e comunque tra il 195 e il 183 a.C.. Di bassa statura, gracile e di pelle scura, nacque a Cartagine ed arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Quest’ultimo lo educò nelle arti liberali, e in seguito lo affrancò ed assunse il nome di Publio Terenzio Afro. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni, apprese l'uso alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma. Il grammatico Fenestella cita però altri esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Durante la sua carriera di commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria,al 160 a.C.), venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica, per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni. Venne accusato di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio. Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.C., all'età di circa 26 anni. Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente. TRAMA DELLA COMMEDIA – Protagonista è il SINOSSI - Formione è una rielaborazione dell'Epiparassita Formione, che riesce con vari strata- dikazòmenos di Apollodoro di Caristo. Fu rappregemmi a combinare l'unione dei due cugini, Fedria sentata per la prima volta nel 161 a.C. Anche qui, e Antifone, con le due ragazze di cui sono inna- poi, si affaccia il tema del contrasto generazio-nale: morati, una suonatrice di cetra e una ragazza po- esso avviene tra le due coppie genitori-figli, che formano quasi due blocchi simmetricamente convera. Durante l'assenza dei rispettivi padri (i fratelli Cre- trapposti, con funzione di protagonisti e con una mète e Demifone), i loro figli Fedria e Antifonte prevalenza dello spazio e dell'importanza dei padri a sono affidati al servo Geta: il primo è innamorato di confronto dei figli sulla scena (contrariamente a una suonatrice di cetra e deve trovare trenta mine quanto avveniva in Plauto e a quanto avviene nell' per riscattarla, il secondo di una ragazza di Lemno "Eunuchus"). Parallelamente e accanto a queste libera ma povera. Geta, per aiutare i ragazzi si ri- coppie (veri e propri personaggi "doppi"), si delivolge a Formione, avido parassita che finge in tri- neano i protagonisti "singoli": Geta e Formione vibunale di essere un amico di famiglia di Fanio, la vono della loro individualità e della loro "singolare" ragazza senza dote. Infatti per la legge ateniese se capacità d'infrangere gli equilibri codificati, per una ragazza è senza dote, il parente più prossimo trasformare le realtà ed adattarla ai propri desideri; può decidere la sua sorte. Formione quindi dice di ma più degli schiavi truffaldini di Plauto, essi essere disposto a darla in sposa ad Antifone ma il agiscono all'interno del "sistema" utilizzando le sue padre non approva il matrimonio del figlio. Torna a "falle" (i cavilli delle sue leggi) per irretire alcuni a casa anche Cremete che, all'insaputa della moglie, vantaggio di altri e di se stessi.La commedia è aveva avuto a Lemno una figlia, che vorrebbe dare tratta dall' "Epidicazòmenos" ("Quello che rivenin moglie al nipote. dica"), di Apollonio di Caristo. Formione si propone per sposare la ragazza ma a patto che Cremete la fornisca di una -5dote di trenta mine (la somma necessaria che serve a Fedria per riscattare la sua amata citarista); Cremete accetta e scopre che Fanio è sua figlia. Antropos in the world DE COGNOMINE DISPUTĀMUS “ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto alla persona, quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé. Il sistema antroponimico era dunque binominale, formato da un nome seguito o da un’indicazione di luogo (per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino) o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di come si siano formati, e la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi e ricercatori. Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e l’origine di soprannomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano",lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. Così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno di far un po’ d'ordine e la necessità di identificare popolazioni diventate ormai troppo popolose porta all'imposizione per legge dell'obbligo del cognome. Questo mese, ci occuperemo del cognome: SALVI Origini L'origine del cognome Salvi è incerta. Alcuni dicono che sia etnica perché i Salii, detti anche Salluvii o Salvi, vivevano in Provenza in una confederazione celto-ligure e l'etimologia del cognome deriverebbe così da "sale", che era il prodotto che essi facevano passare prevalentemente in questa zona: in modo che essi siano "quelli delle saline". Si diceva che costoro fossero molto cruenti in guerra. Alcuni dicono che il significato e le origini del nome sono da attribuire invece a una sorta di devozione: "salvi" starebbe per "salvi in Dio". Secondo alti, invece, significherebbe "in buona salute, liberi dalla schiavitù", quindi salvi nel senso di "liberi dagli altri, salvati".Tra i cognomi italiani, è diffuso moltissimo in Lombardia ma originariamente si trovavano soprattutto a Genova, dove erano dediti al commercio ma erano anche abili notai. -6- a cura di Andropos Probabilmente questa loro dedizione al commercio spiegherebbe la diffusione anche, per esempio, a Firenze. Sembra in particolare che il nome dei Salvi ricorra soprattutto nella comunità montana della Valle Stura, che si trova proprio nell'Appennino Ligure, ma anche a Rossiglione (da dove poi si spostarono ad Amalfi, città più adatta ai mercanti). Infatti si trovano molte analogie araldiche tra lo stemma della città di Rossiglione e lo stemma della casata dei Salvi. L'araldica dei cognomi rappresenta i Salvi con l'oro, il nobile metallo del blasone, simbolo della potenza, del coraggio, della grandezza, ma anche con l'argento, che rappresenta la purezza, l'innocenza e la giustizia. L'animale dei Salvi è l'aquila nera, che si stende su un campo d'oro perché simbolo di concessione imperiale. La spada presente nello stemma è il simbolo di volontà guerriera. Lo stemma araldico della città di Rossiglione presenta sempre l'oro, quindi lo stesso metallo prezioso, e lo stesso animale: l'aquila. Coincidenza che fa dunque pensare che i Salvi si siano stabiliti primariamente in questa zona e che fa cadere l'ipotesi dell'origine etnica del nome. PERSONAGGI: - Baldino De Salvo, 1117, è annoverato tra gli ambasciatori che trattarono per la pace con il re Guglielmo II di Sicilia. Tra i nomi noti, sono da ricordare Nicola e Bartolomeo. - Salvo D'Acquisto (Napoli, 15 ottobre 1920 – Torre di Palidoro, 23 settembre 1943) è stato un vice brigadiere dei Carabinieri, insignito di Medaglia d'oro al valor militare alla memoria per i fatti del 23 settembre 1943 che lo videro eroico protagonista. Salvo offrì la sua vita, in sostituzione di quella di 22 prigionieri e fu fucilato dai tedeschi a Torrimpietra, il 23 settembre del 43, aveva 22 anni. Gli stessi tedeschi riferirono: "Il vostro Briga-diere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte." Le sue spoglie sono conservate nella prima cappella sulla sinistra, adiacente all'ingresso, della Basilica di Santa Chiara di Napoli. (E’ una forzatura voluta il nome al posto del, cognome per poter parlare dell’eroico carabiniere) BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO Direzione e Redazione via Margotta,18 - tel. 089.797917 Antropos in the world DE SATHANA CUM VIRGINE IL LIBERO ARBITRIO Di Remato Nicodemo Il Diavolo, si sa, è il nuovo attore che comparve sulla scena della vicenda umana introducendovi il peccato e la morte (Gn 3,1 ss) ed è l’altro segno che apparve in cielo, pronto a divorare il figlio della donna appena fosse nato (Ap 12,3). Sempre in lotta con Cristo (Lc 10,18; Gv 12,31) e con i credenti in Cristo (2 Cor 11,14 s.; Gal 4,7; 1Pt 5,8 s.; Ap 12,17), contrariamente a quanto credono alcuni teologi, egli non è un mito o un simbolo del male in generale, ma persona; il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna, infatti, che “quando alla fine del Padre nostro si dice <ma liberaci dal male>, con male s’intende la persona del Maligno, non il male in generale” (CCC n. 2851). Egli è, come ebbe a dire Paolo VI, un agente perverso e pervertitore, libero, intelligente e dotato di spirito d’iniziativa ed i suoi fumi sono penetrati finanche nel tempio di Dio. Da grande falsario ha, inoltre, la grande abilità di presentare il male sotto forma di bene e di far credere addirittura di non esistere. Siccome nella Bibbia non mancano le sfide tra il cielo e l’inferno (cf, ad es., Gb 1,6; Gd 9) e la Vulgata indicava la Vergine come la donna destinata a contrastare il serpente ed a schiacciargli la testa (Gn 3,17), abbiamo avuto, soprattutto nella lette-ratura medievale, la descrizione di una serie di contrasti tra angeli, santi e demoni che si risolvono con l’inter-vento della Vergine. Dante Alighieri, nella Divina Commedia, dopo aver descritto il contrasto con san Francesco per il possesso dell’anima di Guido da Montefeltro, in cui il Demonio sfoggiò con compiaciuta ironia la sua competenza logica (If 27,112-129), ne riporta un altro con “l’angel di Dio”, nel quale “quel d’inferno” poté solo sfogare furiosamente con urla impotenti la propria rabbia, perché a Buonconte, figlio di Guido, era bastata una “lacrimetta” per morire nel nome di Maria (Pg 5, 101). Un ulteriore celebre contrasto è quello che Bonvesin de la Riva (1240 ca – 1315 ca) compose in versi alessandrini (doppi settenari ) e che così viene presentato in un’apprezzata Antologia della letteratura italiana (D’Anna, ME/FI 1977): “Tra i ‘volgari’ di Bonvesino certamente uno dei più notevoli (…) è quello che introduce a contrastare tra loro il Demonio e la Vergine. Luigi Russo ha posto acutamente in evidenza la vigoria con cui il Demonio si oppone alla sua antagoni- -7- sta, la loicità estrema e l’impegno del suo argomentare: del resto Satana,nelle pagine dei moralisti lombardi, non appare quasi mai come un essere inferiore, ma come un emulo pericoloso di Dio, una forza che domina implacabile su una gran parte del mondo creato. Il Demonio sarà alla fine sconfitto dalla Vergine; tuttavia per tutta la durata del componimento incalza senza requie. Perché la Vergine, regina di giustizia, lo perseguita, togliendogli la sua legittima preda, cioè i peccatori? Perché la Vergine continua a rinfacciargli il suo peccato antico, se proprio in seguito alla prima tentazione Cristo è disceso sulla terra e lei si è fatta madre di Dio? Perché Iddio non lo ha creato puro e santo come gli altri angeli? La Vergine ribatte che Iddio pose in lui il libero arbitrio, e come libero avrebbe potuto volgersi al bene invece che al male. Tuttavia Iddio sapeva che egli sarebbe caduto, che egli si sarebbe perso per un solo peccato. Perché dunque lo trasse dal nulla? Io non sarei ora demonio s’Egli non mi avesse creato”. “Forse non è stato posto sufficientemente in evidenza lo straordinario motivo che Bonvesino pone in bocca alla Vergine, quando la Vergine risponde all’ultima domanda. Poniamo che Dio, prevedendo la dannazione di Satana, avesse tralasciato di crearlo. Satana avrebbe potuto insorgere contro il Creatore, e dall’increato, dal nulla, dalla zona nubilosa della sua inesistenza, avrebbe potuto accusarlo di avergli negata la vita: Se tu, Iddio, dovevi crearmi, non mi dovevi far torto relegandomi nel nulla. Se tu sapevi che io sarei stato peccatore, e che perciò? Era forse ciò affare tuo? Forse che dovevi per questo tralasciare la tua opera? Forse era una sufficiente ragione perché io non vivessi? Crearmi tu dovevi ugualmente, trarmi dal nulla! e poi punirmi come meritavo se avessi peccato. Questo diritto della creatura (che è poi nella fattispecie il Maligno, il Demonio) a vivere, ad essere, al di là di ogni considerazione sulla sua sorte futura, sulla sua dannazione, questa sorta di medioevale esistenzialismo posto sulle labbra della Vergine, concludono - è di un tale rigore di un tal piglio drammatico, di una tale modernità e novità di accenti, che impressiona e sorprende il lettore”. E’ chiaro dunque – e lo diciamo in maniera temeraria – che forse Dio non sarebbe Dio se avesse tolto a una delle sue creature il dono della libertà. Antropos in the world QUEL CHE PENSANO I GIOVANI GIOVANI E POLITICA Le ultime elezioni europee hanno evidenziato il trionfo di uomini e partiti che, nel corso della loro campagna elettorale, spesso con eccessi demagogici, maggiormente hanno criticato l’operato dei politici che, negli ultimi anni, hanno guidato il paese. Tali risultati rappresentano un chiaro segnale della voglia dei cittadini, giovani in primo luogo, di affidarsi a persone nuove, che potessero dare maggiori speranze di ricostruzione politica e sociale de3l nostro paese. Tuttavia, la maggioranza dei partiti, contrariamente a ciò che questi risultati esprimono, continuano ad affidarsi a politici obsoleti, le cui motivazioni esondano esclusivamente nel conseguimento di potere, prestigio della poltrona ed irrinunciabili vantaggi economici. Tale situazione non ha fatto altro che dare vita ad una vera e propria diaspora politica giovanile. Le nuove generazioni, convinte che la politica sia una loggia nella quale esistono gerarchie immutabili di potere, hanno abbandonato qualsiasi attivismo politico riducendo, ad esempio, gran parte degli scioperi e delle occupazioni di istituti a meri pretesti per restare a letto o fare una passeggiata in compagnia. Ad alimentare ulteriormente questo distacco giovanile dal discorso politico, oltre alla serie di scandali che hanno travolto e continuano a travolgere la politica italiana, hanno contribuito gli stessi partiti. Essi, infatti, anziché unire le proprie forze nella speranza di rilanciare la crescita del paese, hanno preferito piuttosto esprimere la loro autonomia rispetto ad altre fazioni; un’autonomia basata non tanto su differenze ideologiche fondamentali, quanto su marginali aspetti programmatici. Tutto ciò ha dato vita ad una frammentazione politica che ha avuto come maggiore, se non unico risultato la creazione di una miriade di partiti ideologicamente analoghi, che hanno finito col confondere gli stessi elettori, in particolare le nuove generazioni che si sono trovate ad affacciarsi per la prima volta alla politica. Noi giovani non possiamo però considerarci esenti da colpe. Sembra infatti essere ormai scomparsa in noi quella voglia di rivalsa e di cambiamento, quello spirito, a tratti patriottico, che animava invece i giovani intellettuali antifascisti e le giovani generazioni sessantottine, eppure sono passati meno di 50 anni da quelle proteste e quegli scioperi che, a detta di molti storici e non solo, hanno radical-mente cambiato la società mondiale e la dinamica delle relazioni interpersonali. -8- Questo spirito patriottico emerge sfortunatamente sempre più spesso nelle nuove generazioni solo in concomitanza con grandi manifestazioni sportive quali Mondiali ed Europei di calcio, a conferma di un luogo comune diffuso in tutto il mondo sugli italiani ed esplicitato chiaramente da un famoso aforisma di Winston Churchill: “Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Una svolta radicale alla politica italiana, che permetta anche alle giovani generazioni di potersi riavvicinare ad essa, non può che essere impressa dagli stessi partiti. Questi ultimi potrebbero rinunciare ad evidenziare quelle piccole differenze di cui si è parlato prima, ponendo invece l’accento su quelli che sono gli obiettivi e le ideologie comuni. Leggendo commenti sui social network e su altre piattaforme, infatti, risulta sempre più evidente come la maggioranza dei cittadini comuni, giovani e non, credano che la crisi della politica italiana sia dovuta ad una fine totale delle ideologie. Non dobbiamo invece dimenticare quella che è stata la lezione di un grande cantautore italiano, Giorgio Gaber, che, in un periodo difficile della storia della politica italiana, come quello degli anni successivi allo scandalo Tangentopoli, cantava, nella sua “Destra-Sinistra”:- … l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia…”. Paolo Zinna Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyiasque invenies: Hominem pagina nostra sapit Marziale Antropos in the world GRILLO: IL ROBESPIERRE TELEVISIVO CHE SPAVENTA GLI ITALIANI di Michele Rallo Perché Beppe Grillo non ha vinto? Perché, nel referendum fra la rabbia (rappresentata da lui stesso) e la speranza (rappresentata da Renzi), gli italiani hanno scelto la speranza. Molti, moltissimi, lo hanno fatto senza convinzione, quasi come il naufrago che si aggrappa a un relitto insicuro che difficilmente resisterà alle prossime ondate. Eppure, malgrado la flebilità della speranza e, al contrario, la forza della rabbia, a trionfare è stata la prima. Come mai? Per due motivi, a modesto parere dello scrivente: la paura e la “democrazia del web”. Procediamo con ordine: la paura, dunque. Ad istillarla è stato proprio lo stesso Grillo. Con le sue invettive fondatissime, sacrosante, ma gridate e non spiegate, pronunciate con una fastidiosa voce stridula, fino al falsetto, accompagnate da un ghigno giacobino e da minacce neanche tanto velate: i “saremo cattivissimi” (con l’aggiunta di un “senza violenza” che non ha convinto molto) e l’evocazione dei “tribunali del popolo” (e anche qui l’aggiunta “mediàtici” non è servita a ras-sicurare). Ciliegina sulla torta, infine, è stata la parteci-pazione dello stesso Grillo a “Porta a Porta”. Una partecipazione che sarebbe dovuta servire a conquistare il pubblico dei “pensionati”, e che invece ha ottenuto l’esatto contrario: allontanare anche una parte del pubblico meno attempato, che non ha apprezzato la performance dell’ex comico, che ne è rimasta scossa, sgomenta. Molti “uomini della strada”, anche tra i più arrabbiati, all’indomani dell’ospitata da Vespa si dicevano preoccupati del futuro dell’Italia se le elezioni fossero state vinte da Grillo. Eppure a “Porta a Porta” il leader di Cinque Stelle aveva detto molte cose giuste, giustissime; ma le aveva dette col tono sbagliato, tra il minaccioso e l’apocalittico. Sull’Europa, in particolare: «Noi andremo a Bruxelles insieme alla Spagna e agli altri paesi mediterranei e stracceremo il Fiscal Compact. Il debito di tutti i paesi deve essere spalmato e condiviso da tutta l’Unione Europea. Altrimenti ce ne andiamo. Sull’Euro devono decidere gli italiani e non quattro coglionetti.» Come dargli torto? Ma, all’indomani della trasmissione, anche fra la piccola borghesia antieuropeista erano in molti ad interrogarsi sulla prospettiva di un’Italia che, uscita ipoteticamente dall’Unione Europea, fosse stata governata da Grillo e dal suo partito. E a lasciare sgomenti quei piccoli borghesi – ancorché non “moderati” – non era la prospettiva di un “dittatore” (che in molti anzi si auguravano), quanto piuttosto quella di un capo rivoluzionario incapace di ridare ordine e normalità al Paese. Sbagliato evocare Hitler (come ha fatto Berlusconi) o Mussolini (come hanno fatto gli antifascisti doc) o anche Lenin o Stalin (come hanno fatto molti a destra). Grillo, in realtà, ricorda piuttosto Robespierre “l’incorruptible”, la sua crudele persecuzione degli avversari, il suo violento estremismo giaco- -9- giacobino. E tutto questo non è piaciuto agli italiani; anzi, li ha spaventati. Ma c’è stato anche un altro fattore che ha contribuito alla sconfitta di Grillo: la cosiddetta “democrazia del web” che – in assenza delle strutture di un partito – decide non soltanto delle candidature e di altre piccole cose, ma anche delle scelte fondamentali del movimento. E chi è disposto ad affidare i destini suoi e della sua famiglia ad una ristretta cerchia di smanettoni che, peraltro, non sono assolutamente rappresentativi della realtà italiana? Tanto per dirne una: pochi mesi fa i succitati smanettoni hanno deciso – contro il parere di Grillo – che si doveva so-stenere l’abolizione del reato di immigrazione clan-destina. E i deputati grillini hanno votato di conseguenza, accomunati a PD e Forza Italia in quella medesima ondata di masochistico buonismo che ha generato la marea migratoria di questi giorni. Ora, vi immaginate se, in un ipotetico domani con Grillo al potere, le scelte fondamentali, vitali per questo Paese (la permanenza nell’Unione Europea, la politica monetaria, la fiscalità, lo Stato sociale, per tacere della difesa dall’ondata migratoria), se le decisioni vitali per il Paese – dicevo – dovessero essere determinate da una votazione di pochi intimi, come per Miss Italia o per il Grande Fratello? E se a prevalere dovessero essere “quattro coglionetti”? Grillo e Casaleggio devono decidersi: se vogliono continuare a fare politica ad un certo livello, devono rassegnarsi a creare un partito, un partito vero, serio, con gli attributi che si convengono, con una classe dirigente selezionata, con i suoi consiglieri comunali competenti, con i suoi parlamentari rappresentativi del territorio, con una base depurata da violenti e disadattati che potrebbero allignare in un grande partito “populista”. Non si può fare politica senza un partito, così come non si può giocare a calcio senza un pallone. Né sono possibili surrogati: la “democrazia del web” non esiste, è un “non partito”, è una convenzione, è un’ipocrisia; è, soprattutto, una cosa profondamente sbagliata in sé. Quando il cittadino dà un voto, deve poter guardare in faccia il suo prescelto, deve essere sicuro delle sue idee, e deve essere sicuro che quelle idee non saranno cambiate domani, magari a seguito di una consultazione via internet Antropos in the world Far West Trapani, tra immigranti facinorosi e bulletti nostrani Va dato atto al Prefetto di Trapani, dottor Leopoldo Falco, di aver avuto il coraggio di dire – pur senza travalicare di un millimetro il proprio ruolo – alcune verità scomode sull’immigrazione e sul suo impatto sul territorio. E tuttavia – intervenendo al corso di formazione per giornalisti tenutosi presso la Prefettura venerdì scorso – la sua relazione mi è sembrata peccare per eccessivo ottimismo. Attenzione, è certamente vero che le lungaggini burocratiche esasperino i migranti che, nei centri d’accoglienza, attendono di conoscere l’esito delle loro richieste d’asilo. E, tra parentesi, dirò che queste lungaggini, oltre ad esasperare i “richiedenti asilo” e gli abitanti delle località interessate (che non ne possono più), favoriscono un giro d’affari che vede protagonisti anche soggetti non limpidissimi. E non guasterebbe, forse, una qualche indagine della magistratura al riguardo. Chiusa parentesi. Lo stress dell’attesa, comunque, non mi sembra possa giustificare la violenta rivolta (con corredo di gravi danneggiamenti alle strutture) al CIE di Milo, causata dal guasto dell’apparecchiatura televisiva; né, per fare un altro esempio, i furti a tappeto (compresa la biancheria stesa ad asciugare) registrati nel territorio prossimo al CARA di Salinagrande; e neppure le pesanti molestie – quando non altro – di cui sono oggetto le ragazze che si trovino a transitare in piazzale Ilio (di giorno) e a piazza Vittorio (di sera). Sono anche costoro – i protagonisti di questi episodi – delle “persone per bene”? Agiscono così perché stressati dalla lunga attesa? Credo proprio di no. Credo che si debba onestamente prendere atto di due cose. Primo: che i rifugiati sono coloro che scappano perché, se restassero a casa loro, sarebbero massacrati: per esempio, i cristiani in fuga dai “liberatori” della Siria o dall’Iraq; gli altri, i tunisini o i ganesi o i senegalesi in cerca di “una vita migliore” – come si dice – sono normali migranti economici, che possono – non devono – essere accolti in Paesi economicamente floridi (e non è certamente il nostro caso). Secondo: che tra i migranti economici travestiti da profughi v’è una certa aliquota di violenti, di mascalzoni e di delinquenti. Questi violenti, questi mascalzoni e questi delinquenti vanno identificati e – se la nostra permissivissima normativa lo consente – processati per direttissima ed esclusi dalla possibilità di ottenere ogni presente o futuro beneficio. Ciò comporta che i nostri poliziotti, i nostri carabinieri, i nostri vigili urbani debbano intervenire con decisione ogni qual volta si trovino di fronte ad un qualunque “segnale” di pericolo, anche per un piccolo furto o per una avance troppo spinta. E ciò, però, comporta pure che i nostri tutori dell’ordine debbano sentirsi a loro volta tutelati, debbano sapere che – se qualche imbecille dovesse accusarli di razzismo per aver fatto soltanto il proprio dovere – troveranno i Corpi e le Istituzioni al loro fianco, pronti a difenderli con le unghie e con i denti. Altrimenti, sarà fatale che il poliziotto lasci correre, si giri dall’altra parte, finga di non vedere. Chi glielo fa fare di andare incontro a guai e processi, chi glielo fa fare di rischiare addirittura il posto di lavoro? Mi dicono – relata refero – che un poliziotto trapanese che avrebbe usato il manganello su un immigrato, forse un po’ troppo esuberante, sia stato denunziato all’autorità giudiziaria e che gli siano stati richiesti danni per 70.000 euro. Non so se le cose siano andate veramente così; ma, se così fosse, credete voi che, in futuro, quell’agente o i colleghi del suo Reparto faranno mai più uso del manganello, anche se ciò dovesse essere necessario? E voltiamo pagina, perché i problemi per l’ordine pubblico non vengono soltanto dagli immigrati, ma anche dalla piccola delinquenza locale. Non mi riferisco tanto alla microcriminalità classica (furti in appartamento, scippi e cose del genere), quanto piuttosto ad episodi di bullismo violento, messi in atto da giovani e da giovanissimi, episodi che negli ultimi tempi si sono andati moltiplicando con un ritmo allarmante. È di pochi giorni fa una nota dell’Osservatorio per la Legalità che segnala aggressioni e danneggiamenti nel lungomare Dante Alighieri, in Viale Marche, a Villa Rosina e nel quartiere Sant’Alberto. Episodi che vanno ad aggiungersi agli altri, di poco precedenti, avvenuti nel centro storico. Senza considerare, poi, i pestaggi del sabato - 10 - Antropos in the world notte, all’uscita dalle discoteche, in una città dove un paio di volanti (sopravvissute ai “tagli lineari” del governo) non possono fare miracoli. Ma, anche di giorno, la città (e per “città” intendo Trapani ed Erice) è sempre più insicura. Adesso, sembra che ci si debba preoccupare anche di bande di ragazzini che – sicuri di farla franca – aggrediscono dei loro coetanei (ma, dicono, anche anziani isolati) senza alcun motivo, li picchiano a sangue, e immortalano il tutto con i selfi del telefonino, possibilmente da far circolare poi su Facebook. Per dirla tutta, la nostra bella città è diventata un piccolo Far West, dove immigrati facinorosi e bulletti nostrani sono ogni giorno di più aggressivi e prepotenti, mettendo in atto compor-tamenti che fino a qualche anno fa sarebbero stati semplicemente impensabili. In questa situazione, i nostri “sceriffi” fanno quello che possono, stretti fra una normativa “buonista” e una demenziale riduzione di fondi e di personale. Fanno quello che possono – dicevo – e lo fanno molto bene. Ma, purtroppo, non basta. Il Far West avanza, e tanti banditi – grandi e piccoli, bianchi e neri – sono liberi di fare quello che vogliono. La gente è esasperata, e la situazione potrebbe precipitare da un momento M. Rallo MOMENTO TENERO ζωή ωραία είναι La tua vita si spegne, spedita corre la mia, insensate speranze tra sterili litanie. Un travaglio senza senso, stravolge ciò che penso. Tra pareti senza colore, anche i santi disertano il dolore. Se si potesse centellinare l’istante e persino il baleno, che ancora c’è dato, saremmo almeno ombre, nel flusso eterno dell’universo. LA VITA E’… di Franco Pastore ________________ da “OMBRE DI SOGNO” - 11 - Antropos in the world DA ERICE Ugo Antonio Amico letterato ericino Ugo Antonio Amico è stato sicuramente uno dei cittadini ericini più emeriti non solo per la cospicua produzione di opere letterarie lasciate ma per l’immenso amore alla sua Città, prodigo come fu a dare il suo contributo non solo a parole ma con i fatti per la risoluzione di problemi che la riguardavano. Antonio Rizzuto, nipote dell’Amico nella sua opera “Si riparano bambole” ricorda spesso il nonno descrivendolo, attraverso racconti e aneddoti della sua infanzia, come un uomo pacato, sereno ed orgoglioso della sua Città natale. La sua fu veramente una vita serena, nonostante alcune vicissitudini, una vita dedita allo studio, alla sua attività di professore prima nei Licei e dopo all’Università. Ad Erice ritornava ogni anno, d’estate, nella sua casa di via Vittorio Emanuele che fu del patriota ericino Rocco La Russa, medico, fratello della moglie di Amico, morto a Ponte dell’Ammiraglio durante la spedizione dei Mille. Nella sua Città amava incontrare i suoi concittadini e disquisire con loro degli argomenti più svariati senza ostentazione e senza sfoggio della sua immensa cultura classica. Era nato il 6 settembre del 1831. Conseguita la laurea in lettere con la lode a Palermo, si trasferì a Torino e fu segretario particolare di Carlo Matteucci, lo scienziato che aveva conseguito obiettivi ragguardevoli nel campo dell’elettronica e che poi, senatore dal 1860 era stato Ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Rattazzi. Cessato l’incarico ministeriale del Matteucci, l’Amico, senza un’attività lavorativa, visse di lezioni private e collaborazioni a giornali o ad editori fra Pisa e Firenze. Vinto il concorso per l’insegnamento nei Licei si trasferì a Bologna per ricoprire la cattedra di lettere all’Istituto Galvani, cattedra che fu di Giosuè Carducci che nel frattempo era passato all’insegnamento universitario. Fra lui e il Carducci si instaurò da subito una profonda amicizia che durò a lungo e continuò anche quando Amico si trasferì a Palermo. Non mancava, infatti, di inviare tutti i suoi scritti a Carducci per il suo autorevole giudizio ed i giudizi che il famoso Poeta espresse furono sempre positivi e lusinghieri. Quando, negli anni 1866-67, il Governo disponeva l’applicazione in tutti i Comuni della legge Casati sull’istruzione primaria obbligatoria, ad Erice come in altri Comuni della Sicilia dove vigeva un’istruzione affidata ad istituti religiosi o precettori, questa riforma costituì un serio problema da affrontare. Si trattava di rivoluzionare tutto il sistema di insegnamento sia della docenza che dei giovani. Era necessario individuare bravi insegnanti che riuscissero ad adeguarsi ai nuovi programmi scolastici molto più articolati che andavano oltre le semplici lezioni di lettura e scrittura elementare o della piccola contabilità. L’Amministrazione Comunale chiese ad Ugo Antonio Amico, il cittadino che era vissuto per tanti anni nelle grandi città ed aveva conosciuto grandi personalità della cultura, di intervenire per l’individuazione di eccellenti insegnanti. Amico si rivolse quindi al Carduc- ci che mandò ad Erice il fratello Valfredo e il cugino Valerio. Dal 1863 al 1868 tenne la cattedra di letteratura italiana nell’Università di Palermo. Studioso e profondo conoscitore delle letterature classiche - sapeva a memoria “La Divina Commedia” e l’Eneide”- fu apprezzato per le traduzioni di Claudio Claudiano e degli Inni attribuiti ad Omero. Delicato poeta, diede il massimo della sua vena artistica e versatilità nella raccolta “ Elegie ericine” pubblicata a Firenze nel 1892 alla quale seguirono, nel 1896, i Canti di Bonagia” e “ Sole sub occidio” versioni dal latino pubblicate a Palermo nel 1912. Curò attentamente le tradizioni popolari, gli usi e costumi, la storia della città e del territorio ericino in “Leggende popolari ericine” e “Cronistoria ericina” edite a Palermo nel 1910. Lasciò anche numerose opere di storia e critica letteraria: Nicolò Palmeri, pubblicata a Torino nel 1862 e Sebastiano Bagolino, poeta latino del sec. XVI pubblicata a Palermo nel 1880. Altre sue opere “ Per la solennità centenaria di Antonio Veneziano” discorso letto alla Regia Accademia di Scienze, lettere e belle arti di Palermo. “ Note sul Petrarca” del 1898 e “Memorie sopra Francesco Baronio” pubblicate nell’Archivio Storico Siciliano. Dalla seconda metà del secolo XIX Erice subì uno spopolamento allarmante che preoccupava non poco i cittadini che si vedevano sempre più isolati. Padre Giuseppe Castronovo, insigne storico e direttore della Biblioteca Civica, in un estratto delle sue “Memorie Storiche” sotto il titolo “ Le colonie agricole di Erice”, confortato dallo sviluppo delle frazioni, prospettava il trasferimento globale della popolazione a Ragosia. L’opuscolo si chiudeva con una supplica firmata dai cittadini più in vista. Amico si mostrò scettico alla proposta del Castronovo e con argomentazioni persuasive e circostanziate rigettava con garbo la tesi dello storico. Egli poneva l’accento sul pro-blema della distanza sostenendo come i nuovi abitanti di Ragosia non potevano essere né quelli che abitavano la pianura dove vivevano e lavoravano né quelli dei luoghi più lontani soprattutto in una fase dove venivano sviluppati i mezzi di comunicazione, le strade e i collegamenti anche con i centri più lontani erano più numerosi. Inoltre – sosteneva ancora l’Amico – questa proposta giungeva in un momento in cui il Comune, non riusciva a garantire i servizi vitali quali scuole, uffici, chiese per mancanza di fondi economici. Non sussistevano quindi né ragioni né mezzi. L’argomento scottante discusso in Consiglio fu rinviato sine die e mai più affrontato. Si spense a Palermo il 24 aprile del 1917. - 12 - ANNA BURDUA Antropos in the world IL CACCIATORE di Egidio Siviglia Giovanni aveva deciso di andare in campagna per dare sfogo al suo istinto venatorio. Volendo concedersi il meritato riposo domenicale dopo una lunga settimana di lavoro, si recò dal suo caro amico e padrino, Bartolomeo. “Compare non ti vedevo da molto, sentivo il bisogno di trascorrere un po’ di tempo con te e, se me lo concedi, profitterò di trovare qualche piacevole preda nel tuo campo e soddisfare la mia passione vanatoria”. “Potrai assecondare tutte le tue voglie, ma prima gusteremo insieme un goccio di una deliziosa bevanda preparata dalla mia consorte”. I due, nell’atmosfera di una piacevole amicizia, bevvero e si raccontarono eventi relativi al tempo in cui non si erano visti. Dopodiché Giovanni si rimise il grosso cappello e si inoltrò nella proprietà del compare col segreto desiderio di abbattere qualche volpe o qualche volatile. Il cane di Bartolomeo aveva seguito l’intero quadro di tutto quanto era successo e, chissà perché, contrariamente alle istintive abitudini canine, invece di starsene col padrone, seguì l’ospite attraverso le diverse fasi della cacciagione. Al primo colpo il cane espresse il suo dissenso e fece sentire i suoi latrati fino alla casa colonica. Giovanni, irritato per aver mancato la preda e, reso più nervoso dal latrato del cane, inveì: “Per tutti gli dei! Se non vai via ti faccio fuori!” Il cane con i suoi occhioni guardò Giovanni e, fingendo di aver appreso la lezione, si fermò in posizione di attesa. Al secondo colpo, anche questo sparato a vuoto, il cane si scagliò contro Giovanni, e addentandolo, gli staccò mezzo polpaccio e, dopo aver dilaniato la parte posteriore dei pantaloni, assaggiò con gli incisivi la profondità della massa glutea del malcapitato cacciatore che, per il dolore e per lo spavento, aveva gridato tanto forte da richiamare l’attenzione di Bartolomeo. Bartolomeo, che non aveva nessuna stima per l’arte venatoria, in un primo momento si limitò a dire: “Se tu, per santificare la festa avessi scelto qualche cosa di più utile o di più nobile, non ti saresti cacciato nei guai”. Ma Giovanni continuò: “Ma che razza di cane à il tuo! Questo sarebbe l’amico fedele? Questa bestia non rispetta neppure l’amicizia”. Di questo tono il discorso precipitò e volarono parole grosse, tanto grandi che rasentarono le offese; scomodarono addirittura i ricordi della vita passata e ricordarono persino notizie spiacevoli dei propri avi. Con queste premesse i due, tra minacce e insulti, giurarono che la questione avrebbe avuto un seguito. La controversia finì in tribunale: il dibattimento accese gli animi e bellissime furono le arringhe degli avvocati dei due contendenti. Alla fine apparve il giudice per la lettura della sentenza. Gli animi erano tesi e restarono tali fino alla fine quando Bartolomeo capì che la sentenza per lui era stata infausta. A Giovanni con la ragione si doveva corrispondere anche un indennizzo per il danno subito e per le spese affrontate. Quando la corte si ritirò, scomparvero anche gli avvocati che si erano precipitati in Cancelleria per percepire quanto i loro clienti avevano sottoscritto al momento di richiesta di patrocinio. Giovanni al culmine della gioia attese il suo avvocato per sapere quanto gli era dovuto. Intanto l’avvocato si era dileguato, ma Giovanni lo attese davanti all’ingresso del Palazzo di Giustizia. Quando lo vide prima ancora che gli potesse parlare, disse: “Giovanni, hai visto, quanta bravura e di quale destrezza mi sono servito per la celebrazione del processo?”. Giovanni voleva interloquire, ma imperterrito, il legale aggiunse: “fra qualche giorno vieni allo studio per la regolarizzazione del mio onorario”. Giovanni allora, timidamente e con fare incerto, domandò: “Avvocato, ma di tutti i soldi contenuti nella sentenza, quale sarà la mia parte?” La risposta fu netta: “Giovanni, hai avuto ragione, perché avevi avuto i morsi dal cane; ora cos’altro vuoi?”. - 13 - Antropos in the world I GRANDI ITALIANI RAIMONDO SCINTU Viene costituita ai primi del 1915 a Tempio Sinnai, il comando brigata e il 152° reggimento dal deposito del 45° fanteria (Ozieri S.), il 151° dal deposito del 46° fanteria (Ozieri C.). Il 24 luglio reparti della brigata passano l’Isonzo, iniziando quella lunga marcia sulla strada del sacrificio e della gloria che farà guadagnare due Medaglie d’Oro al Valor Militare ai reggimenti della “Sassari”. Tra la prima e la seconda guerra mondiale la brigata cambia più volte fisionomia, seguendo i mutamenti ordinativi voluti dalle nuove dottrine. Nel 1926 assume la denominazione di XII Brigata di Fanteria e inquadra, oltre al 151° e al 152°, anche il 12° Fanteria della disciolta Brigata “Casale”. Succes-sivamente la XII Brigata ed il 23° (già 34°) artiglieria da campagna entrano a far parte della Divisione di Fanteria del Timavo (12ª). Nel 1939, in relazione al nuovo programma di trasformazione dell’Esercito, si ricostituisce la Divisione di Fanteria “Sassari” (12ª), ordinata sui due reggimenti della vecchia brigata e sul 34° artiglieria. Nel 1941 alla divisione viene assegnata la 73ª Legione CC NN nell’ambito dei provvedimenti organici che vedono i battaglioni CC NN alle dipendenze dei reggimenti di fanteria. La “Sassari”, allo scoppio del conflitto con la Jugoslavia, opera prima alla frontiera orientale (i reggimenti 151° e il 152° sono sempre stati dislocati nella Venezia Giulia), e poi nelle logoranti azioni di rastrellamenti, guerriglie e conflitti civili in Slovenia, Croazia e Dalmazia. Rientrata in Italia nell’aprile 1943, viene dislocata nel Lazio e impiegata principalmente per la difesa della città di Roma, ove si scioglie il 10 settembre 1943, dopo aver partecipato ai due giorni di lotta, successivi all’armistizio, contro i tedeschi per la difesa della Capitale. Alla Brigata Sassari apparteneva Raimondo Scintu, nato a Guasilia il 29 settembre del 1889. “ «Caporale ciclista di un battaglione, in un momento critico del combattimento si offriva spontaneamente per recarsi da solo nella trincea nemica, allo scopo di prendere prigionieri,per illuminare sulla situazione il proprio Comandante. Con mirabile ardimento, ne catturava cinque successivamente. Ritornava, poi, in compagnia di pochi coraggiosi, nel trinceramento avversario, e vi catturava altri quaranta nemici. Spingendosi quindi in una caverna, ove erano ricoverati degli ufficiali, intimava loro la resa e, ferito gravemente al petto da due pallottole tirategli a bruciapelo da un ufficiale superiore, aveva l'indomita forza di ucciderlo e catturare un altro ufficiale. Sempre ed ovunque luminosissimo esempio a tutti del più fulgido eroismo di soldato e delle più belle qualità della gente di Sardegna.» Medaglia d’oro al valor militare, l’eroico Caporale moriva a Roma nel 1968. Il 19 maggio 2011 la Giunta regionale della Sardegna, guidata da Ugo Cappellacci, ha intitolato al Maresciallo Scintu una delle due navi traghetto noleggiate dalla Saremar, la Scintu, mentre l'altra è stata dedicata ai Dimonios della Brigata Sassari. Giovedì 26 Giugno 2014, presso il Teatro Fratelli Medas - Piazza Municipio, il Comune di Guasila, in collaborazione con l’Associazione Figli d’Arte Medas,ha dedicato all’eroico caporale guasilese della Brigata Sassari, una giornata celebrativa dal titolo “Guasila ricorda Raimondo Scintu”. Lo Spettacolo: In un’Europa devastata dalla Guerra, nella quale i Confini si confondono e il Senso di Appartenenza si disperde, un Ragazzo del cuore della Trexenta si trova nel bel mezzo di uno scontro di portata mondiale. La storia di una Medaglia al Valore, quella data al Caporale ciclista del 151° Reggimento Fanteria della Brigata Sassari, viene raccontata, dalla voce intrigante di Gianluca Medas, dalle note elegiache della chitarra di Andrea Congia e dalla tromba di Riccardo Pittau. - 14 - ASSOCIAZIONE LUCANA “G.Fortunato” Presidente Rocco Risolia Via Cantarella Salerno LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos LA FIBROSI CISTICA Da alcuni anni la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica si è data l'obiettivo di contribuire a sconfiggere la malattia genetica più diffusa nel nostro Paese. Il traguardo si sta avvicinando, ma non sappiamo ancora quando si potrà cantare vittoria, nel frattempo ci siamo resi conto che si è avviato un percorso di ricerca ad altissimo livello che può avere ricadute positive che vanno anche oltre la Fibrosi Cistica. Un altro fatto che ci ha colpito è stato l'interesse dimostrato per la ricerca, le sue metodologie e la sua organizzazione da parte di vari mezzi di comunicazione che stanno dedicando a questi argomenti spazi sempre più ampi. In medicina si definisce fibrosi il processo per il quale in un organo o in un tessuto aumentano le componenti connettivali rispetto a quelle parenchimali. La fibrosi determina importanti conseguenze sulla struttura e sulla funzione specifiche di quell'organo o tessuto. La fibrosi si verifica attraverso due principali vie patogenetiche. Nella prima si osserva un aumento primitivo delle cellule del tessuto connettivo (fibroblasti, adipociti e, più raramente, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, istiociti e altre cellule connettivali) e delle molecole della matrice extracellulare (collagene, glicoproteine, proteoglicani e altre molecole); le cause e la progressione di questo tipo di fibrosi sono legate a un'alterazione dell'equilibrio tra produzione e demolizione dei componenti connettivali. Nella seconda via patogenetica le cellule specifiche di un organo o di un tessuto vengono danneggiate fino alla necrosi e sono gradualmente sostituite da tessuto connettivo; la progressione di questo tipo di fibrosi, che pertanto è secondario alla risposta riparativa attivata in seguito a un danno prolungato oppure cronico del tessuto parenchimale, è connessa con il persistere del danno e il perdurare della risposta riparativa. A un certo punto del processo, le due vie patogenetiche possono coesistere e potenziarsi a vicenda. Le cellule del tessuto connettivo propriamente detto (v. connettivo) sono i fibroblasti che producono la matrice connettivale, una sostanza con costituenti amorfi e fibrillari, che rappresenta l'asse portante e nutritivo degli altri tessuti. Una quota rilevante (circa 1%) di queste cellule è costituita da una popolazione staminale ad alto potenziale proliferativo, capace di differenziarsi in fibrociti maturi (specializzati nella produzione di matrice connettivale) e in altre cellule di derivazione connettivale, come angioblasti (da cui derivano i nuovi vasi), cellule muscolari lisce, adipociti, istiociti ecc. I fibroblasti produ-cono la maggior parte delle molecole della matrice connettivale. - 15 - Una quota più piccola è prodotta dalle altre cellule connettivali e dalle cellule epiteliali. Le molecole della matrice comprendono collagene, glicoproteine, proteoglicani ed elastina. Dal momento che la fibrosi è un processo che si svolge nell'arco di un lungo periodo di tempo, è necessario per qualunque intervento farmacologico agire tempestivamente, prima che la componente fibrosa abbia sostituito il parenchima specifico. Per questo è necessario anzitutto riconoscere precocemente il danno che uccide le cellule ed eliminarlo, o almeno minimizzarlo, in maniera da permettere al ricambio cellulare di sostituirle efficacemente. Un secondo aiuto può derivare dalla stimolazione specifica alla crescita e alla proliferazione della componente staminale del parenchima. Specialmente in organi e sistemi in cui le cellule staminali sono abbondanti, come il sistema immunitario, il fegato e molti tipi di epitelio, questa via è diventata praticabile, almeno in linea teorica o in animali da esperimento, grazie alle citochine e ai fattori di crescita ricombinanti messi a disposizione dalla moderna biologia molecolare. Recentemente, inoltre, è stato evidenziato il grande ruolo dell'apoptosi nel controllo negativo delle cellule staminali, per cui è stata anche prospettata la possibilità di controllare l'equilibrio tra proliferazione e apoptosi, a favore della prima, mediante l'uso di fattori di sopravvivenza cellulare o di inibitori farmacologici dell'apoptosi. L'uso dei glicocorticoidi, empirico fino a pochi anni fa, trova alcune basi di utilizzazione razionale, nell'inibizione del processo di riparazione mediato dal TGF-β e dalla regolazione del processo di apoptosi, soprattutto nei fibroblasti. Inoltre, si stanno esplorando altre vie (anticorpi e ligandi inibenti) che agiscono sui recettori del TGF-β, maggiormente interessati nella neoformazione del tessuto connettivale fibroso. Le cure per la fibrosi cistica vengono impostate e mo-nitorate presso centri specializzati e, in base alla legge nazionale 548/1993, ogni Regione dispone di un centro specializzato per la patologia. La fibrosi cistica è dovuta ad alterazioni del gene CFTR, che codifica per una proteina coinvolta nella regolazione del flusso di acqua e ioni attraverso la membrana cellulare. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva: per manifestarla bisogna ereditare un gene difettoso da ciascuno dei genitori, entrambi portatori sani (e che non manifestano alcuna sintomatologia). In Italia si stima che ci sia un portatore sano del gene della fibrosi cistica ogni 25-30 persone. A ogni gravidanza una coppia di portatori sani ha una probabilità su quattro di avere un figlio affetto da fibrosi cistica. Antropos in the world NOTE SOCIOLOGICHE E’ TEMPO DI TRAGEDIE E’ un tempo vestito rosso scarlatto, di tragedie e angoli bui, un tempo in cui non è salutare per niente rimuovere per dimenticare, dunque sarà bene ricordare fino all’ultimo pugno nello stomaco. Donne a morire, a lasciare spazi vuoti, momenti di vita dilaniati dallo strapotere e dal delirio di onnipotenza maschile. Donne, ridotte a cose, a oggetti, a insopportabili presenze, non soltanto da spostare, allontanare, sostituire, bensì, da annientare, devastare, ridurre a un buco nero profondo, dove non vi è più possibilità di accesso, di un ritorno. Donne,compagne,mogli,diventate parti offese della inadeguatezza maschile, donne a perdere nella ragione, donne sconfitte dalla fiducia spogliata di ogni onore, figuriamoci di un qualche amore. Donne e madri accasciate, con gli occhi sgranati, le mani a proteggersi, supplicando la pietà ammutolita e in ritirata. Donne e madri insufficienti a pagare dazio, divenute insostenibili, irrappresentabili, congrue assenze a rappresentare una ignobile “liberazione”. A quelle madri colpite, dilacerate, niente va lasciato al caso, neppure i propri figli, i bambini, innocenti, quelli che ancora non fanno carico di colpa, di giustificazione, di pesi e di misure mai concordate. Bambini fatti a pezzi in tanti modi differenti, un rituale dove la mamma è protagonista designata da accompagnare alle altre vittime sacrificali, bambini che s’accorgono delle bestemmie, delle offese, delle violenze, bambini che ascoltano e tacciono per paura e per amore. Uomini che non possono esser declinati semplicemente delle bestie, infatti gli animali non fanno di questo male il proprio agire, piuttosto sono persone che non sanno più coniugare l’istinto alla ragione, non riescono più a collocare nel posto dovuto la compassione, si tratta di uomini che non hanno i polsi legati dalle periferie ben note, dai portoni blindati, dalle celle chiuse, uomini che non sono di un ambiente sub-urbano ben conosciuto, sono persone vestite di agio, di benessere, di normalità, di stima tutto intorno. Uomini di una tranquilla esistenza, dove ogni cosa evidentemente non è al suo posto, non quadra più, qualcosa manca all’appello. Innumerevoli donne maltrattate sono la traccia marcata di una cultura del possesso, del dominio, del sopruso, cultura di una libertà costretta come una puttana. Quei bambini azzerati senza un sussulto di pietà, non sono il frutto di una cultura dell’iracondia delinquenziale, di una legge di sangue omertosa, ma il risultato di una inutilità personale-esistenziale, come se a ogni piè sospinto, fosse in agguato la ferocia di una relazione incompiuta, di un amore idealizzato in divieto di sosta, una affettività emozionale inesistente, una spietatezza incolore, dentro una calma piatta, dove chi agisce e si muove non si aspetta più nulla dal presente, perché è già futuro scalzato all’indietro. Ho chiesto lumi a Massimo, uno mio amico psicologo assai perspicace, il quale alla mia domanda: come è possibile toccare l’intoccabile? Mi ha risposto: è la solitudine, quella dimensione che ti fa sentire solo, che non ti chiama alla responsabilità, ti disgiunge dalla fortezza del sapere chiedere aiuto, ti inchioda nella trappola di una “scissione” silenziosa e opprimente, che scalza ogni emozione approdando a una scelta folle e imperdonabile. Mi ha fatto l’esempio dei binari, l’equilibrio delle distanze parallele, finchè la solitudine più acciaiosa, non consente più di sopportare il peso del proprio malessere, inadeguatezza, rifiuto, improvvisamente le linee s’allargano, biforcano, si sovrappongono, contorcendosi, dimenandosi, lamentandosi, con l’unico risultato del silenzio nella follia sopraggiunta. Noi continueremo a parlare di colpa inusitata, di inasprimento delle pene, di fiamme dell’inferno senza possibilità di comprendere questi comportamenti, forse occorrerà parlarne di più e meglio, con un senso ritrovato sugli stili vita, non tanto e non solo legati al vivere civile, ma al modo in cui fare davvero comunità. Cesare Pavese poco prima del suo lungo viaggio ebbe a dire: “ Domani tornerà l’alba tiepida con la diafana luce e tutto sarà come ieri, e mai nulla accadrà”. - 16 - Andraous Antropos in the world Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput XXXVIII DE MODO EDENDI ET BIBENDI Inter prandendum sir saepe parumque bibendum: ut minus aegrotes, non inter fercula potes. Ut vites poenam, de potibus incipit coenam. Singula post ova pocula sume nova. Post pisces nux sit: post carnes caseus adsit. Unica nux prodest, nocet altera, tertia mors est. Mentre pranzi allegramente, // bevi poco ma sovente: // perché il corpo men si guasti, mai poi bere fra i due pasti. // Da col ber principio a cena,//se non vuoi pagar le pene. al di sopra ciascun uovo, // bevi sempre un bicchier nuovo. // Pon la noce sopra i pesci, alle carni il cacio accresci; // una noce ai ghiotti arride,// due nuocion, la terza uccide. DALLA REDAZIONE DI PAGANI PAGANI FESTEGGIA DON FLAVIANO Don Flaviano Calenda, ordinato sacerdote nel 1974, attualmente parroco del SS.mo Corpo di Cristo, domenica 29 giugno, festeggia i quarant’anni di sacerdozio. Quarant’anni di fuoco, a mio avviso, perché vissuti all’insegna della cultura, dell’operatività concreta e della lotta alla tipica staticità di certe istituzioni, più disposte all’attesa ed alla cura del tempo, che alla concretezza del fare. Responsabile del Servizio di Musica Sacra, Presidente del Carminello ad Arco, padre amorevole di un’ampia comunità bisognevole, ha dato, in ogni circostanza, il meglio di sé. Nato nell’anno referendario del 1948, dopo di aver completato, cum laude, gli studi ecclesiastici, si è dedicato alla filosofia ed alla pedagogia, conseguendo il dottorato in filosofia presso l’Ateneo napoletano e quello in pedagogia presso l’Ateneo salernitano. Dunque, ha insegnato, ha elargito un pensiero illuminato dalla cultura, è stato mecenate dell’arte e del teatro, insomma, ha migliorato tutto ciò cui - 17 - si è avvicinato, compreso la bella Chiesa Madre di Pagani, destreggiandosi abilmente tra invidie e cattiverie, tipiche della paesanità. Nonostante una palese avversione di squallide figure di una infima politichese, ha fatto a Pagani il più bel regalo che una città potesse avere: LA MENSA DI TOMMASO. L’istituzione, perfettamente operante, provvede a centinaia di bisognosi, divenendo un supporto inusitato per numerosissime famiglie di Pagani e dell’Agro nocerino-sarnese. Allora, va da sé che dir male di don Flaviano, vuol dire appartenere al gregge degli stolti, che rubano il pane agli uomini ed i giorni al Buon Dio. Franco Pastore ēthos anthrōpō daimōn Il carattere è il destino dell'uomo Antropos in the world LA STRAGE DI USTICA Chi sa e non parla non è un uomo,chi sa e nasconde ha ucciso per la seconda volta. I morti gridano vendetta ed essa. prima o poi, giungerà inesorabile:. E’ il 27 giugno del 1980. Ottantuno passeggeri, madri con bambini, adolescenti e giovani coppie, si imbarcano sul volo IH870 diretto da Bologna a Palermo. Sono le venti ed otto minuti, con due ore di ritardo, rispetto all’orario previsto. Le operazioni di partenza avvengono normalmente e con il permesso della torre di controllo l’aereo si alza in volo, iniziando a procere agevolmente per la sua rotta. Nella cabina, il comandante ed Enzo Fontana, il suo pilota, sono di buon umore, del resto, quello era un volo di routine e non vi era alcun motivo di preoccupazione. Anche i passeggeri sono tranquilli: i più giovani sono allegri ed eccitati, Paola osserva dall’oblò i colori della prima sera, mentre Tiziana e Daniela fanno piccoli progetti per l’indomani. Alle venti e cinquantotto, avviene l'ultimo contatto radio con il controllore procedurale di Roma: tutto regolare, un volo come tanti, solo un poco più vivo, per la presenza di tredici bambini. La signora Marianna si sta riposando con gli occhi chiusi, dietro di lei, Luciana ha in grembo la pagella di quinta elementare, tra breve la mostrerà al papà che l’attende a Palermo, mentre l’aereo scivola sull’aria con il suo bagaglio d’uomini e di sogni. Sono le 20 e ventisei, da Ciambino: - Qui Ciambino identificatevi!-. - Qui Ciambino, il segnale è piuttosto confuso!Siamo allineati con il radiofaro di Firenze! – risponde il volo IH770 – - Si, vediamo che state rientrando, mantenete la rotta!- - Non ce ne siamo mai allontanati! – replicano dall’aereo. Cosa stava succedendo? Alle ventuno e 04, chiamato per l'autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il Dc-9 non risponde. L'operatore di Roma replica le chiamate, ma invano, l’aereo sembra scomparso nel nulla. Inutili i tentativi di contatto dai due voli dell'Air Malta, che seguono sulla stessa rotta. I minuti scorrono inesorabi-li, continuano le chiamate dal radar militare di Marsala e dalla torre di controllo di Palermo … nessuna risposta. Alle ventuno e tredici, l’ora prevista per l’arrivo, l’aereo non atterra. Agitazione nell’aeroporto di Palermo, cresce l’asia dei parenti in attesa. Le prime notizie incerte, mentre qualcuno incomincia a piangere. Altri si precipitano all’aeroporto e la speranza è l’ultima a morire. Improvvisamente esplode la notizia: l’aereo è disperso!- Che significa disperso?- chiede qualcuno. Ventidue minuti dopo, il comando del Soccorso Aereo di Martina Franca assume la direzione delle operazioni di ricerca, allerta il 15º Stormo a Ciampino ed alle 21 e 55 il primo elicottero decolla per perlustrare l'area presunta dell'eventuale incidente, ma dell’aereo nessuna traccia. Si crea un’atmosfera di mistero, che alimenta l’inquietudine di tutti. Le ricerche procedono per tutta la notte, senza venire a capo di una benché minima traccia. Sul far dell'alba, un HH-3F del Soccorso - 18 - Antropos in the world Aereo, scopre una chiazza oleosa ad alcune decine di miglia a nord di Ustica e, quando iniziano ad affiorare i primi relitti e i primi corpi, si ha la conferma che che lì in quella zona del Tirreno è precipitato l’aereo. Alla fine delle operazioni, solo trentotto corpi di furono recuperati.Quarantatrè vittime rimasero sepolti in mare, e tra essi, quei bambini che le mamme tenevano fermi a fatica sulle poltroncine dell’aereo. Da quel momento, inizia il vortice assurdo delle bugie, delle verità mezze dette, per nascondere chissà quali fatti e quali vergogne. Alla fine, un povero muratore aspetta ancora la sua famiglia ed Antonella, Vincenzo e Giuseppe, in tre non facevano 18 anni. E che dire di Francesco, un ragazzone di appena vent’anni, convinto di andare in licenza premio, invece che incontro alla morte? Il 26 gennaio del 2006, i pezzi dell’aereo ritornarono, sui tir, nel luogo di provenien-. za, sotto la plastica trasparente, sembravano immobili spettri all’ultimo viaggio. Quello di Ustica è un atto di guerra in tempo di pace? Da Cossiga l’ultima fandonia: È stato un attentato fallito ad un aereo che si riteneva portasse Cheddafi. Sono parole che non fanno storia, son so-lo il termometro del nostro tempo, ove che gli uomini tacciono e bestie senza scrupoli seguono le orme di Caino. [ Da ”Il gusto della vita”, di Franco Pastore, II edizione A.I.T.W. - Salerno 2014] L’ANGOLO DEL CUORE IL SAPORE DEL NULLA Soccombe ogni progetto fiero, quando il cuore s’adagia nel limbo del mio pensiero. L’anima corre, dove non può: soggiace ai tempi l’amore, lo scempio la scorza devasta e tu vivi quel tanto che basta. Mi fa male il ricordo, ora, che non è più tempo di sogni. Com’è cara l’estate, quando la pioggia impantana, ed ogni ora lontana ha l’amaro sapore del nulla. Franco Pastore - 19 - Membership in the GNS Press Association Reg. ID 7676 8 – IPC / Richiesta autorizz.ne al Tribunale di Salerno del 25.03.2008 / Patrocinio Comune di Salerno prot. P94908 – 27.05.2009 / Patrocinio Prov. Avellino – prot. 58196 – 16.10.2012 / Patroc. Com. Pagani – prot. 0023284 – 29.07.2008 / Patroc. Prov. Salerno – prot. 167/st – 23.09.2009 / Patroc. Com. di S. Valentino Torio – 24.05.2008 – Acquisto Spazio/web del 26/04/06-Aruba S.P.A. ANTROPOS IN THE WORLD, Rivista e Teleweb, hanno, inoltre , il patrocinio degli Enti Carminello e SS. Corpo di Cristo. Il giornale è a disposizione dei nostri lettori sul portale: http://www.andropos.eu/antroposintheworld.html Rivista e tele-web omonima: ma può essere richiesto anche in forma cartacea, previo la sottoscrizione di un abbonamento annuale http://www.andropos.it http://www.andropos.eu Canale videoYutube La teleweb ANTROPOS IN THE WORLD e la sua rivista non hanno finalità lucrative, né sono esse legate ad ideologie politiche. Perciò, agiscono nella totale libertà di pensiero, in nome di una cultura, che ha a cuore i valori che rappresentano il cardine della società civile e della vita,nel pieno rispetto per la persona umana e contro ogni forma di idiosincrasia. Pro pace, sempre contra bellum. http://www.youtube.com/user/MrFrancopastore Direzione e gestione Via Posidonia, 171/h, Salerno telefono/segr.tel: 089.723814 Fax: 089.723814 – ECDL:IT1531440 Contatti telematici: [email protected] Distribuzione: Lettura on line Ai sensi e per gli effetti del D. Lg. 196/03, le informazioni contenute in queste pagine sono dirette esclusivamente al destinatario. È Vietato, pertanto, utilizzarne il contenuto, senza autorizzazione, o farne usi diversi da quelli giornalistici . Fondatore/Editore/Dir.responsabile: Member of G.N.S PRESS Association European Journalist dott. Prof. Franco Pastore [email protected] http://www.andropos.it/Biografia.html http://andropou.blogspot.it/ I collaboratori, volontari, non percepiscono compenso alcuno e si assumono le responsabilità di quanto riportato nei propri elaborati. Direttore: Rosa Maria Pastore [email protected] [email protected] http://rosemaryok.skyrock.com/ Dal Dettato costituzionale: - Tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure - (Art. 21) - La Costituzione italiana assume la cultura come valore fondamentale e inserisce tra i principi fondamentali la disposizione che impegna la Repubblica a promuoverne lo sviluppo. “Il patrimonio culturale di un Paese rappresenta la testimonianza visibile e tangibile della storia di quella Nazione …” - (art.9) Redazione di Salerno Via Camillo Sorgenti, 21 (tel.089.223738) dott. Renato Nicodemo dott. Ing. Giuffrida Farina dott. Raffaele Villani Mario Bottiglieri Paolo Zinna Redazione di Pagani Piazza Corpo di Cristo 84016 dott. Flaviano Calenda [email protected] Gli indirizzi e-mail in nostro possesso, in parte ci sono stati comunicati, in parte provengono da elenchi di pubblico dominio in Internet, altri sono stati prelevati, da messaggi e-mail a noi pervenuti. Secondo l'articolo n. 1618 Par. 111 deliberato al 105° congresso USA, in conformità alla D.Lgs. 196/2003 ed a norma della Leg. 675/96, nel rispetto del trattamento dei dati personali, il suo indirizzo è stato utilizzato esclusivamente per l’invio della presente rivista. Redazione di Angri Via Badia, 6 Angri (Sa) (081.946895) Geometrra Carlo D’Acunzo [email protected] Redazione di San Valentino Torio (Sa) Via Curti, 8 – tel. 081.9555408 dott. Avv.Vincenzo Soriente [email protected] Redazione di Torre del Lago Puccini Comune di Viareggio - Via F.Dell’Aquila, 29/b Silvestri Pastore Cesare [email protected] Regalate un abbonamento gratuito alla rivista, a parenti, amici e conoscenti interessati, segnalandoci la loro e-mail. Infatti, il giornale viene inviato solo ad email segnalate ed opportunamente selezionate. Redazione di Bergamo Via Perosi, 20 (cell:3470706133) Dott.Prof.ssa Maria Imparato [email protected] Su www.andropos.eu, in News, i numeri della rivista degli ultimi tre anni. Per comunicazioni, invio di materiali, richieste di pubblicità e collaborazioni: 089.223738 – Fax: 089.723814 – Cellulare: 3771711064 Collaborazioni: E-MAILS : [email protected] [email protected] – [email protected] dott. Vincenzo Andraous (Pavia) dott.ssa Anna Burdua (Erice) dott. Marco De Boris (Milano) dott.arch. Aniello Palumbo (Salerno) on. dott. Michele Rallo (trapani) dott.Umberto Vitiello (Napoli) Spedizione virtuale on line Consulente musicale Per spedizione virtuale omaggio, massimo 3 mesi Per copia cartacea: € 1,50 più spese di spedizione. Per abbonamento annuo al cartaceo: € 25,00 Per abbonamento annuo al virtuale: € 20,00 M.tro Ermanno Pastore Consulente grafico Paolo Liguori Webmaster Pastore Rosa Maria Realizzazione cartacea Via Posidonia 213/215 (Sa) - tel. 089 759725 - 20 -