“Come sull’orlo del mare un volto di sabbia”
Sono ancora possibili le scienze umane?
Piacenza, 23 Febbraio 2003
una domanda:
Sono ancora possibili
“scienze umane”
?
Cioè:
scienze che indagano l’umano senza smarrire
l’umano
Un’altra domanda
Le scienze umane
hanno ancora il loro oggetto
?
Cioè:
Esiste ancora l’uomo?
Ma uomo in che senso?
A.I. Intelligenza artificiale (S.Spielberg, USA
2001)
L’uomo bicentenario (C.Columbus, USA
1999)
Blade Runner (R. Scott, USA 1982)
INTERMEZZO:
La cultura umana è uno sguardo particolare sul
mondo. E’ tanto importante quello che questo
sguardo illumina, quanto quello che nasconde.
Un esempio:
Velàzquez, Las Meninas (1656)
In questo quadro tutti gli sguardi
dei personaggi convergono su un
soggetto invisibile.....
Una riflessione importante:
Secondo il filosofo francese Michel Foucault
(1926-1984) questo quadro è
emblematico: la centralità dell’uomo nel
sapere era assente, è comparsa in un
tempo recente e ora si avvia a scomparire
assieme all’idea ad esso contemporanea
di soggettività…
…e con essi entrano in crisi le scienze
umane, che, del resto, secondo Foucault,
non sono affatto scienze.
Altre domande:
Qual è il percorso che produce queste idee?
E che conseguenze queste idee
producono?
Chi è il soggetto nella tradizione culturale
occidentale e in che modo si rapporta con
l’umano?
una prima risposta:
Nella cultura occidentale il soggetto è stato
inteso come
Individualità
Coscienza
Libertà
…e la realizzazione del soggetto in quanto
soggetto unico, cosciente e libero è
considerata il valore “umanistico” centrale.
“Che cosa ti dice la tua
coscienza? Tu devi diventare
colui che sei”
F. Nietzsche, La gaia scienza
Ma “chi” siamo?
I profeti di una crisi: Nietzsche
L’autore della citazione appena riportata, F.
Nietzsche (1844-1900), è in realtà uno dei
principali responsabili della messa in crisi
dell’ idea occidentale di “soggetto” e
“umano” , sviluppata nell’età moderna, nel
corso dei XX secolo. Molti aspetti del
pensiero di Foucault si ispirano a lui.
Osserviamo queste citazioni:
Io vi insegno il superuomo. L'uomo è
qualcosa che deve essere superato.
L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il
superuomo, – un cavo al di sopra di un
abisso.
(F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra , Prologo, 3; 4; trad. M.Montinari, Adelphi, Milano
1986 )
e questa:
Un quantum di forza è esattamente un tale
quantum di istinti, di volontà, d’attività – anzi
esso non è precisamente null’altro che questi
istinti, questa volontà, quest’attività stessa, e
può apparire diversamente soltanto sotto la
seduzione della lingua (e degli errori radicali, in
essa pietrificatisi, della ragione), che intende e
fraintende ogni agire come condizionato da un
agente, da un «soggetto».
F.Nietzsche, Genealogia della Morale, tr. di
Ferruccio Masini, Adelphi, Milano 1984, I, 13.
Foucault, ne Le parole e le cose (1966) dirà
dunque:
«il pensiero di Nietzsche<...>annunciò nella forma
dell'evento imminente della Promessa-Minaccia,
che presto non sarebbe più esistito l'uomo, ma il
superuomo; il che in una filosofia del Ritorno
voleva dire che l'uomo, già da tempo ormai, era
scomparso e non cessava di scomparire»
I profeti di una crisi: Freud
Sigmund Freud (1856-1939), che conosceva
l’opera di Nietzsche, ha contribuito a
questa eclissi del soggetto mostrando che
l'uomo non è più padrone della sua
coscienza per la forza condizionante
dell'inconscio, che determina il soggetto
umano a sua insaputa.
A cavallo fra Nietzsche e Freud, dunque, lo
psichiatra e psicanalista Jacques Lacan
(1901-1981) descriverà l’inconscio come
un linguaggio senza soggetto:“Ca parle”.
I profeti di una crisi. Marx
A sua volta Karl Marx (1818-1883) dimostra
che tutto ciò che nella nostra cultura
facciamo appartenere alla profondità
dell’umano (ovvero le idee, i valori, le
religioni, le espressioni artistiche)
appartiene in realtà alla superficie, è
“sovrastruttura” di una struttura profonda
reale di rapporti socioeconomici.
Per Louis Althusser (1918-1990) il
“materialismo storico” di Marx è una teoria
scientifica della storia intesa come
processo senza soggetto e senza fini
predeterminati. Le ideologie sono “sistemi
di rappresentazioni” che condizionano
senza passare attraverso la coscienza”. Il
“soggetto” della storia sono in realtà
“rapporti di produzione”, e gli individui
sono “effetti della struttura”.
A fare un bilancio di quanto abbiamo detto, il
filosofo francese Paul Ricoeur(1913-2005)
afferma l’esistenza di una “scuola del
sospetto” che, a cavallo tra ottocento e
novecento apre il varco per la crisi della
nostra concezione del soggetto e
dell’umano. Marx, Nietzsche e Freud ne
sarebbero i “maestri”.
Marx, Nietzsche e Freud affermano infatti che
l’uomo può venire rappresentato come un
essere
determinato da forze impersonali
che si situano al di là della sua
consapevolezza
piuttosto che
libero, individuo e cosciente
Fare i conti: Levi-Strauss
Di conseguenza l’antropologo Claude LeviStrauss (1900-) giunge ad affermare che
“Le scienze umane possono divenire
scienze solo cessando di essere umane”
“Il fine ultimo delle scienze umane non
consiste nel costituire l’uomo, ma nel
dissolverlo”.
Fare i conti: Foucault
Assieme a Lacan, Althusser, Levi-Strauss, Foucault
porta a sua volta alle estreme conseguenze il
“sospetto” sul soggetto e sull’uomo. Ne Le parole e le
cose. Una archeologia delle scienze umane, afferma
senz’altro che
«L'uomo è un'invenzione di cui l 'archeologia del nostro
pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse
la fine prossima. Se tali disposizioni dovessero sparire
come sono apparse, se a seguito di qualche
evento<...> precipitassero<...>, possiamo senz'altro
scommettere che l'uomo sarebbe cancellato, come
sull'orlo del mare un volto di sabbia»
(Ivi, p. 415)
Ad avviso di Foucault l’uomo delle scienze
umane, dotato di una specifica “ natura umana”,
è soltanto un «indicatore epistemologico», ossia
una nozione utilizzata in modo diverso dagli
studiosi a seconda delle epoche storiche. In
questo senso la centralità dell’uomo è
un'invenzione recente, che risale agli inizi del
1800. Da Kant in poi il pensiero filosofico ha
indicato nell'uomo la matrice dei valori positivi,
della conoscenza e della verità, e ha fatto
intravedere nell'emancipazione dell'uomo la
possibilità del ritorno di un regno propriamente
umano.
Per questo Foucault invita al risveglio dal
«sonno antropologico», di cui sono
responsabili le scienze umane che fanno
dell'uomo il fulcro della ricerca per la
conoscenza: l'uomo è solo una figura
transitoria, un fugace passaggio destinato
ad essere presto dimenticato.
Per Foucault, poi, le scienze umane
esistono solo all’interno di un “triedro” di
saperi costituito dalle scienze fisicomatematiche, empiriche e dalla filosofia:
esse, dunque, “non sono affatto scienze”.
Inoltre, secondo Foucault, le scienze umane si sono
rese responsabili di diventare “tecnologie del
potere” al servizio della società, riproducono la
«favola» rassicurante di un'organizzazione
omogenea e razionale del sociale. Lo
psicanalista, il sociologo, l'antropologo hanno la
funzione sociale di sostituire, integrandolo, il ruolo
svolto dal prete cristiano nel controllo del corpo e
della sessualità. Con l'unica eccezione della
psicanalisi di Lacan, che non riconduce l'Es all'Io,
ma si pone completamente all'ascolto del primo,
rispettandone l'alterità.
Dunque:
<<Oggi piuttosto che l'assenza o la morte di
Dio viene proclamata la fine dell'uomo...
L'uomo sta per scomparire>>…
…quindi oggi è possibile pensare
<<solamente entro il vuoto dell'uomo
scomparso>> .
Per Foucault restano aperti all’indagine, al
posto dell’uomo, oggetti come l’ <<ordine
dei discorsi>> entro cui si struttura ciò che
è pensabile e ciò che possiamo giudicare
vero, e la <<microfisica del potere>>, la
rete acentrica dei rapporti di forza in cui si
produce la realtà sociale.
L’ultimo Foucault, tuttavia, apre al recupero di una
nuova idea di soggettività, successiva alla
“scomparsa dell’uomo”. Nei suoi due ultimi
scritti, L'uso dei piaceri e La cura di sè , ipotizza
la costruzione di una ' estetica dell'esistenza
individuale ', basata su 'tecnologie del sè',
dedicate all'autocostituzione del soggetto. Si
tratta di una paidéia fisica e spirituale realizzata
con un complesso lavoro di perfezionamento di
se stessi, inaugurato da Socrate.
L’assoluto della tecnica
Un elemento che rimane in ombra nel
discorso di Foucault, tuttavia, è il ruolo
giocato dalla tecnica nella definizione della
realtà culturale, della realtà dell’umano e
del soggetto in cui viviamo.
L’assoluto della tecnica: Heidegger
Di questo tema si è occupato un filosofo centrale
nel XX secolo, Martin Heidegger (1889-1976),
che collega la tecnica con il destino
dell’Occidente e il nichilismo. All’origine del
nichilismo egli individua l’oblio dell’essere
radicato nella nostra cultura attraverso la
"metafisica" ossia quella tradizione di pensiero
che pone il problema dell'essere dell'essente.
Sconfinando in questa dimensione l'essere
stesso non viene più preso in considerazione,
dacché vengono messi a fuoco unicamente gli
enti.
Nietzsche mostrava l'illusorietà dei valori
tradizionali, finendo per porre come unico
valore la volontà di potenza. Heidegger
sostiene che proprio la volontà di potenza
diventa il luogo del compimento della
metafisica, dove l’esistenza viene spogliata di
tutto: alla fine rimane la pura volontà che vuole
solo se stessa. Il paradigma nichilista trova
quindi per Heidegger la sua massima
espressione nel cieco funzionare della tecnica.
Nella conferenza La questione della tecnica,
tenuta nel 1953, Heidegger afferma che nel
dominio della tecnica il nostro sguardo, nel
momento stesso in cui si pone sulle cose, le
consideri risorse da sfruttare: il bosco è una
riserva di legname, la montagna una cava di
pietra….
Inoltre con la tecnica moderna il vecchio ideale
artigiano del “saper fare” si è capovolto nella
coazione a “dover fare” della produzione
industriale; e conseguentemente il “mondo
naturale” viene conosciuto ormai soltanto come
“fondo per l’impiego” e non più come semplice
“physis”
Nel mondo della tecnica
“tutto funziona (...) [e] il funzionamento spinge
sempre oltre verso un ulteriore funzionare”
In questo quadro l’uomo è la materia prima più
importante, è ciò di cui la tecnica si serve per
funzionare. La scienza, da quando è al
servizio della tecnica e del suo procedere, non
è più al servizio dell’uomo, piuttosto è l’uomo
al servizio della tecno-scienza e non solo
come funzionario dell’apparato tecnico, ma
come materia prima.
Di fronte a tutto questo
“Il modo di pensare della filosofia moderna non
offre più alcuna possibilità di fare esperienza col pensiero - dei lineamenti fondamentali
dell’età della tecnica che è soltanto al suo
inizio”.
“Ciò che è veramente inquietante non è che il
mondo si trasformi in un dominio completo della
tecnica. Più inquietante è che l’uomo non sia
preparato a questo radicale mutamento.”
Né si può chiedere aiuto alla scienza: per
Heidegger “la scienza non pensa”, in
conseguenza del suo modo di procedere e dei
suoi strumenti, non può pensare nel modo in cui
pensa il pensiero meditativo.
Nulla dunque sopraggiunge a interrompere il
meccanismo di funzionamento della tecnica,
così da far affiorare una domanda sull'essenza
della tecnica stessa.
“Ormai solo un dio ci può salvare”.
L’assoluto della tecnica: Severino
Secondo Emanuele Severino, continuatore
di questa prospettiva e autore de Il destino
della tecnica
“La tecnica è destinata a diventare lo scopo
supremo.”
“L’apparato scientifico e tecnologico sta
diventando adesso il signore che non deve
più accontentarsi del riconoscimento di un
servo”.
Lo scopo distintivo della tradizione
occidentale è quello di plasmare il mondo,
e lo strumento principe per ottenere
questo risultato è la tecnica. E’ allora
inevitabile che la tecnica, per servire tali
forze, debba essere la più efficace e
potente possibile. È quindi inevitabile che
si produca quel rovesciamento per cui lo
strumento diventa lo scopo delle forze che
vorrebbero servirsi di esso per realizzare i
loro scopi.
Parallelamente nella storia dell’Occidente è
accaduto un capovolgimento: l’impossibilità di
un limite, cu si ancoravano i confini tra il naturale
e l’artificiale. Il limite era posto dalla sapienza e
dalla tradizione dell’Occidente, era l’ordinamento
necessario del mondo a cui l’agire umano
doveva adeguarsi. Con la cultura del nostro
tempo affiora invece alla luce l’impossibilità di
ogni limite di questo genere. Stando così le
cose, i confini tra la natura, che era appunto ciò
che sottostava all’ordinamento assoluto del
mondo e l’artificiale tendono a non distinguersi
più nel senso che tutto diventa aggredibile, tutto
diventa dominabile, nulla rimane come naturale
e quindi come inviolabile, inoltrepassabile.
Se da una parte, tuttavia, la tendenza del
nostro tempo va verso il dominio della
tecnica, dall’altra noi siamo ancora fatti
secondo la vecchia maniera, siamo
educati secondo valori che appartengono
alla tradizione, quella tradizione che
stabilisce un limite inoltrepassabile rispetto
all’attività tecnologica. e quindi siamo
impreparati a essere uomini della tecnica.
L’assoluto della tecnica: Galimberti
Psiche e techne di Umberto Galimberti,riprende e
amplifica alcuni di questi concetti.
Oggi la tecnica ha sostituito la natura: siamo di
fronte all’assoluto tecnico, dove l’uomo non è più
al centro, non è più soggetto: il soggetto è la
tecnica, l’uomo ne è predicato.
Noi però ci muoviamo nell’ambiente tecnologico
con i tratti tipici dell'uomo pre-tecnologico, con
una visione umanistica, soggettocentrica.
Questa visione intende ancora la tecnica come
un insieme di mezzi neutrali per raggiungere i
propri scopi, mezzi che l'uomo può controllare
con la volontà .
Ma la tecnica, oggi, non è più un mezzo
perché, essendo diventata la condizione
universale per realizzare qualsiasi scopo,
essa diventa il primo scopo. Tutto rientra
nel sistema tecnico: se l’uomo vuole
salvare se stesso e il pianeta dalle
conseguenze del predominio della tecnica
lo può fare solo con l’aiuto della tecnica: Il
circolo è vizioso.
Solo che, quando questo mezzo diventa scopo, si
rivela anche un mezzo senza scopi: la tecnica,
semplicemente "funziona" e tende
esclusivamente al proprio potenziamento:
"vuole se stessa".Come "analfabeti emotivi",
dunque, assistiamo all'irrazionalità che
scaturisce dalla perfetta razionalità
dell'organizzazione tecnica, priva ormai di
qualunque senso riconoscibile. Il progresso
tecnico-scientifico provoca l'irreversibile
decadenza dell'umanesimo: il pensiero viene
sottomesso alla potenza della tecnica.
Così viviamo in una società al servizio
dell’apparato tecnologico e non abbiamo i
mezzi per contrastarlo, soprattutto perché
abbiamo la stessa etica di cent’anni fa. E
allora ci troviamo nella posizione patetica
per cui l'etica invoca la tecnica di non fare
ciò che può. L'etica può dire quello che
vuole la tecnica va avanti e fa. Perché il
motto della tecnica è che «si deve fare
tutto quello che si può fare».
Certo la tecnica non è ancora la forma universale del
mondo, innanzitutto perché la tecnica è un evento
solo occidentale. Inoltre, anche all'interno
dell'occidente ci sono dei residuati antropologici,
delle scelte possibili su quali aree della tecnica
potenziare: "non si è ancora fatta sera".
Ciò di cui necessitiamo è però un ampliamento psichico
capace di compensare la nostra attuale
inadeguatezza, una sorta di educazione alle
consapevolezza che le categorie umanistiche oggi
non funzionano più, cioè sono disadatte ad
interpretare questo mondo.
A differenza di Heidegger e Severino, Galimberti
ritiene che una speranza sarebbe quella di
riuscire a salvaguardare una differenza tra il
pensare e il fare, in cui la scienza potrebbe
diventare l´etica della tecnica. La tecnica
procede la sua corsa sulla base del "si fa tutto
ciò che si può fare". La scienza, che è il luogo
pensante, potrebbe diventare, invece, il luogo
etico della tecnica, quello che pone un limite. In
questo senso va recuperato il valore umanistico
della scienza: la scienza al servizio dell’umanità
e non al servizio della tecnica.
Esiste ancora uno spazio per le
scienze umane?
Ma al di là del valore umanistico, le scienza
“umane” che non “dissolvano” l’umano sono
ancora possibili?
Come abbiamo visto, a giudizio di strutturalisti e
poststrutturalisti come Lacan, Althusser, LeviStauss, Foucault, no.
Secondo autori come Galimberti, invece, sì.
Questo studioso ha affrontato tale problema
soprattutto a proposito della psicologia e della
psichiatria.
Osserviamo questa citazione:
"A evitare ambiguita' e oscurita' impiegheremo sempre
l'espressione 'comprendere' [verstehen] per la
visione intuitiva dello spirito, dal di dentro. Non
chiameremo mai comprendere, ma 'spiegar'
[erklaeren] il conoscere i nessi causali oggettivi che
sono sempre visti dal di fuori. [...] E' dunque possibile
spiegare qualcosa senza comprenderlo" .
(Karl Jaspers, Psicopatologia generale (1913-1959))
Galimberti ritiene dunque che sia possibile chiarire la
posizione epistemologica della psicologia nella serie
di quelle scienze il cui intento e' la 'comprensione'
dell'uomo e non la 'spiegazione' del suo
comportamento. Questa differenza non consente
un'innocua trasposizione a livello umano dei modelli
concettuali e dei metodi che si sono rivelati idonei
nelle scienze della natura, a meno di ridurre l'uomo a
evento naturale come hanno fatto la psichiatria
classica e la 'teoria' psicoanalitica in contraddizione
con la 'prassi' terapeutica.
Dunque:
sono ancora possibili delle scienze umane,
purchè costruiscano il loro vertice sul
“comprendere” piuttosto che sullo
“spiegare”….
Oppure?
Oppure possiamo approdare ad una
prospettiva di POSTUMANO o
TRANSUMANO….
Il termine postumano descrive una condizione o
una prospettiva che pongono radicalmente in
discussione il concetto di umano e che si
collocano nel futuro (come condizioni
ipoteticamente realizzabili) o anche nel presente
(come stato della soggettività attuale).
Tema comune è l’assenza di demarcazioni nette e
di differenze essenziali tra umani e macchine, e
in generale tra meccanismo cibernetico e
organismo biologico. Quest’ultima concezione è
stata resa possibile, a partire dagli anni
Quaranta del secolo scorso, da discipline quali
la teoria dell’informazione, la cibernetica e
l’intelligenza artificiale (ia).
Il termine transhuman (forma abbreviata per
transitional human) fu coniato nel 1966 dal
futurologo Fereidoun M. Esfandiary. Correnti di
pensiero tecno-ottimistiche che si
autodefiniscono postumane o transumane
prevedono la trasformazione dell’umanità in
trans- e post-umanità tramite lo sviluppo di
biotecnologie e nano-tecnologie e considerano
la specie umana come il primo gradino di una
nuova era evoluzionistica post-darwiniana
guidata dalla specie umana stessa.
E’ possibile individuare una significativa
sovrapposizione concettuale tra
postumano e cyborg. Cyborg e postumano
condividono l’idea di una ibridazione di
organico e inorganico e di una
trasgressione del confine natura/cultura e
di altri binarismi razionalistici.
Ma uomo in che senso?
Grazie
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