Lo strutturalismo SdC - Unisalento Psicopedagogia dei linguaggi comunicativi 2012/13 Caratteri generali Lo strutturalismo è una tendenza metodologica che, nata originariamente in ambito linguistico si è estesa ben presto ad altri settori (dall'antropologia alla critica letteraria) dando luogo, negli anni Sessanta e Settanta, ad una specifica «atmosfera culturale», avente il suo centro di irradiazione in Francia. Tale atmosfera non si è storicamente incarnata in un movimento teorico omogeneo e compatto, ma ha dato luogo ad una serie di dottrine diverse fra di loro. Orientamento comune • Lo strutturalismo afferma che la realtà è un sistema di relazioni i cui elementi non esistono di per se stessi, ma solo in connessione fra di loro. • Gli strutturalisti difendono il primato della struttura sull'uomo, sostenendo che l'individuo non è il libero e consapevole autore di se medesimo, ma il risultato di strutture che agiscono per lo più a livello inconscio. Da ciò la teoria della «dissoluzione» o della «morte» dell'uomo, che rappresenta il tema filosoficamente più caratteristico e provocatorio dell'intero movimento. Orientamento comune Lo Strutturalismo pensa la storia come un insieme discontinuo di processi retti da un sistema impersonale di strutture psicoantropologiche, culturali, economiche ecc. Da ciò la preferenza, nello studio dei sistemi, del punto di vista sincronico (cioè statico o simultaneo) rispetto a quello diacronico (cioè dinamico o processuale) e la propensione a considerare le vicende storiche come qualcosa di superficiale e di secondario nei confronti della realtà «profonda» e primaria delle strutture. La struttura La struttura, pur implicando l'idea di sistema, e quindi di coesione di parti, non si identifica con il sistema stesso, ma con l'ordine interno del sistema e con il gruppo di relazioni possibili che lo caratterizzano. La struttura Ogni struttura è auto-centrata e auto-regolata, in quanto ha come fine il funzionamento e la conservazione di se medesima. In prima approssimazione una struttura è un sistema di relazioni, che comporta delle leggi e che si conserva o si arricchisce grazie al gioco stesso delle sue trasformazioni. Esempio del gioco degli scacchi Ad un osservatore inesperto le diverse configurazioni dei pezzi sulla scacchiera risultano «incomprensibili». Invece, per chi conosce la «struttura» del gioco, cioè l'insieme delle regole che disciplinano i rapporti e le combinazioni dei pezzi, i movimenti della partita e le loro possibili varianti appaiono non solo «intelligibili» ma anche logicamente «prevedibili». Inoltre, come le leggi che regolano la struttura hanno come scopo intrinseco il funzionamento e la conservazione della struttura, così le regole del gioco hanno come scopo intrinseco il funzionamento e la conservazione del gioco stesso. Ferdinand De Saussure Ferdinand de Saussure (1857-1913) Secondo Saussure la lingua è un «sistema di segni esprimenti delle idee». L'oggetto specifico della linguistica non è tuttavia la totalità del linguaggio bensì quella sua parte essenziale e costitutiva che è la lingua. A questo punto, troviamo la prima e basilare dicotomia saussuriana: quella fra lingua e parola. La lingua rappresenta il momento sociale del linguaggio ed è costituita dal codice di regole e strutture che ogni individuo assimila dalla comunità in cui vive, senza poterle inventare o alterare. La parola è invece il momento individuale, mutevole e creativo del linguaggio, cioè il modo con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua. Saussure argomenta che il segno linguistico non unisce una cosa ad un nome, bensì un concetto ad un'immagine acustica. Da ciò la coppia significato (= ciò che il segno esprime: il concetto, l'idea) e significante (il mezzo o il veicolo impiegato per esprimere il significato: l'immagine acustica). Significato e significante sono inseparabili, come due facce (il «recto» e il «verso») di uno stesso foglio. Ciò non toglie che il rapporto fra significato e significante sia «arbitrario». Come dimostra il fatto che per esprimere uno stesso significato le diverse lingue si servono di significanti differenti. Claude Lévi-Strauss Lévi-Strauss (1908-2009) Per Lévi-Strauss la struttura si identifica con l'ordine interno dei sistemi, ovvero con l'insieme delle regole di relazione e di combinazione che connettono i membri di un insieme manifesto e che permettono di comprenderne le possibili trasformazioni o varianti. Dal punto di vista antropologico le «strutture» si identificano con il quadro delle forme e delle categorie invarianti che governano, sin dalla notte dei tempi, le azioni degli individui, costituendo, nel loro insieme, ciò che lo studioso francese chiama lo «spirito umano» e che identifica con l'Inconscio. Lévi-Strauss ha applicato la sua metodologia strutturalistica soprattutto a due ambiti di ricerca: i legami di parentela e i miti. In Le strutture elementari della parentela (1949), Lévi-Strauss ha ricondotto la complessità apparente dei rapporti di parentela ad un ordine strutturale di base, rispetto a cui i vari sistemi di parentela particolari-concreti non sono che delle «trasformazioni» in senso algebrico. Egli ha inoltre mostrato come la logica dei rapporti di parentela obbedisca al concetto di «scambio», ossia alla necessità di assicurare la circolazione delle donne all'interno della società, impedendo che ogni singolo clan familiare si isoli in se stesso, chiudendosi ai rapporti di collaborazione con gli altri. Su questa base, egli ha pure tentato di risolvere il problema antropologico della proibizione dell'incesto, mostrando come l'aspetto superficiale del tabù vada integrato con il suo aspetto profondo: ossia con la rivendicazione delle donne delle altre famiglie: «La proibizione dell'incesto non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella e la figlia. È la regola del dono per eccellenza». Altro aspetto caratteristico del pensiero di Lévi-Strauss è la distinzione fra «società fredde» e «società calde». Le prime sono le società primitive, impermeabili al divenire e alla storia. Le seconde sono le società evolute, che si fondano sul mutamento incessante dei modi di vita. Le prime sono svantaggiate sul piano culturale, poiché producono meno progresso, ma avvantaggiate sul piano sociale, in quanto generano meno conflitti al proprio interno. In Lévi-Strauss troviamo pure una delle più appassionate polemiche contro «l'etnocentrismo», ossia contro la credenza nella «superiorità» della propria cultura rispetto a tutte le altre. Anzi, i «primitivi» in Lévi-Strauss sono visti talora come l'incarnazione di un'umanità più vergine e più pura, capace di fungere da vivente antitesi alla civiltà sempre più alienata e denaturalizzata dell'Occidente. Michel Foucault Michel Foucault (1926 -1984) Alla base del suo pensiero sta l'idea di una «indagine archeologica» (archeologia del sapere) volta a mettere in luce le basi teorico-concettuali di alcune pratiche di fondo dell'età moderna. Documenti rilevanti di questo indirizzo sono la Storia della follia nell'età classica (1961), che tratta della progressiva emarginazione della malattia di mente e del finale assoggettamento dei «folli» agli uomini «di ragione», e la Nascita della clinica (1963), che studia l'avvento del sapere medico. Le parole e le cose Ma il capolavoro di Foucault è Le parole e le cose. Una archeologia delle scienze umane (1966), in cui il filosofo francese si propone di portare alla luce quelle grandi infrastrutture mentali «a partire da cui conoscenze e teorie sono state possibili» dal '500 in poi. Le «griglie» epistemiche distinte da Foucault sono fondamentalmente tre: quella «rinascimentale», quella «classica» (che va da Cartesio alla fine del secolo XVIII) e quella «moderna». Di queste tre epistemi, che si succedono senza continuità alcuna, quella su cui insiste maggiormente Foucault è l'ultima. Infatti, è proprio nel suo ambito che troviamo quell'avvenimento basilare che è la «nascita» dell'uomo. Quando Foucault scrive che «prima della fine del secolo XVIII l'uomo non esisteva» o che «l'uomo è un'invenzione recente»; egli intende dire che in precedenza non esisteva la peculiare figura moderna dell'uomo come oggettosoggetto di scienza. Questa «nascita» epistemica dell'uomo, affidata alla tutela di presunte «scienze» umane, ha tuttavia qualcosa di paradossale, in quanto non può fare a meno di accompagnarsi ad una simultanea «morte» epistemica dell'uomo. Infatti, nella misura in cui l'uomo viene reso «oggetto» di scienza autentica, cioè di tipo strutturalistico (Foucault ha in mente soprattutto quelle contro-scienze umane che sono la psicanalisi, l'etnologia e la linguistica), l'uomo cessa immediatamente, per ciò stesso, di essere «soggetto». Questa dissoluzione dell'uomo-soggetto trova il suo esito più emblematico nel dominio del linguaggio, in cui è apparso finalmente chiaro che «chi parla» non è l'individuo ma «la Parola stessa». Negli anni Settanta, insistendo in modo sempre più risoluto sui nessi esistenti fra sapere e potere, Foucault è andato mettendo a punto una «genealogia del potere» impegnata a portare alla luce la dinamica dei microsistemi di potere operanti nella società. Innanzitutto, contro l'idea del potere come «sovrastruttura», Foucault rivendica il carattere strutturale ed originario di esso (da cui tutto dipende, compresa l'economia). In secondo luogo, contro l'impostazione «macrofisica» di Marx, portata a vedere solo i grandi rapporti di forza (incarnati dalle classi e dallo Stato) Foucault fa valere un'impostazione «microfisica» che scorge il potere ovunque, ossia in tutti i pori della società, a cominciare dalle relazioni quotidiane fra gli individui. Del resto, puntualizza il nostro autore, «lo Stato non può funzionare che sulla base di relazioni di potere preesistenti. Lo Stato è sovrastrutturale in rapporto a tutt'una serie di reti di potere che passano attraverso i corpi, la sessualità, la famiglia, gli atteggiamenti, i saperi, le tecniche...». Ma se il potere è ovunque e abita in ognuno (non solo nei «capitalisti»), i punti di resistenza ad esso risiedono dappertutto (e non solo nel proletariato o negli emarginati) in quanto si identifica con ciò che Foucault denomina l'elemento «plebeo» presente in ogni individuo o gruppo. Ovviamente, tale resistenza «decentrata» al Potere non è qualcosa che possa concludersi ad un certo punto (come sarebbe un'ipotetica società completamente disalienata) ma si identifica con un processo mai concluso.