O.D.A.
-Opera Diocesana Assistenza-
Fondo Sociale Europeo
Ministero
del Lavoro
Regione Siciliana
Assessorato Regionale
del Lavoro
La mediazione interculturale:
appunti di un viaggio e proposte operative
a cura di Paolo Donzelli
Disegno in copertina: Carlo Barbato, “Il Ponte”, Urbino, 2002.
Le immagini sull’intercultura sono state tratte da una ricerca effettuata utilizzando il portale
http://www.flickr.com/ e dall’archivio immagini del motore di ricerca http://www.google.it/.
© 2007
O.D.A. Centro Formazione Professionale
Via Galermo, 173 - 90123 CATANIA (CT)
Tel. 095.515822 - Fax 095.7143383
2
e-mail: [email protected]
Questo volume nasce dal percorso di formazione in
“Mediatore Interculturale” realizzato presso l’ODA -Opera
Diocesana Assistenza- di Catania.
Il progetto, di durata annuale, è stato promosso dalla Regione
Siciliana -Assessorato Regionale del Lavoro, della Previdenza
Sociale, della Formazione Professionale e dell’Emigrazione-,
con l’intervento del Fondo Sociale Europeo.
Lo svolgimento della didattica, centrata sulla conoscenza del
fenomeno migratorio nel nostro Paese, sull’analisi delle
differenze interculturali e sulle modalità di relazione
interpersonale -comunicazione verbale, non verbale e possibili
strategie di mediazione con la persona immigrata-, ha previsto
numerose visite formativo-esperienziali presso gli Uffici della
Questura, della Prefettura e del Comune di Catania; presso il
Presidio Transculturale dell’USL di Catania; presso la Casa
dei Popoli e gli Istituti di accoglienza per gli stranieri (Help
Center della Caritas e Centro Astalli) per favorire l’incontro
con le altre culture; presso Moschee, situate nel territorio, per
potere incontrare l’Imam e stimolare nei corsisti la conoscenza
delle diverse ideologie religiose; presso i Templi buddista e
induista e presso l’Ambasciatore del Senegal.
Si ringraziano le persone e tutti gli Enti sopra citati per la
collaborazione, per la sensibilità nei confronti dei problemi
dell’immigrazione, per l’accoglienza e per la disponibilità
dimostrate.
Si ringraziano, altresì, i partecipanti al corso, veri protagonisti
del percorso e autori delle pagine che seguono, in quanto
senza di loro il progetto di scrivere questa guida, strumento
che ci auguriamo possa essere utile a tutti coloro che si
occupano della mediazione interculturale, non si sarebbe
potuto realizzare.
Paolo Donzelli
3
Hanno partecipato:
BRUNO CLAUDIA
CONTADINO VALENTINA
EL KADI HAISSAM
FRAZZETTO GRAZIA
KHURSHID NAWZAD
LA NAIA NICOLA
LEANZA MARIA TALESTRI
LUCIFORA ELEONORA
LUNELIO ANGELA
MARRELLO MARIA GRAZIA
MAUGERI IVANA
MAZZARINO CRISTINA
MENTO GIANFRANCO
TILENNI DIANNI MORGAN
4
INDICE
IL FENOMENO MIGRATORIO
-
Cenni storici
Migrazioni degli ultimi anni
Colonialismo, sfruttamento del territorio e
disparità nella distribuzione delle ricchezze
Neocolonialismo e debito estero
Alcuni dati statistici sul fenomeno
migratorio
I fattori di spinta e di attrazione nel
fenomeno migratorio
Cause politiche e militari
La situazione sanitaria
Gli effetti dell’immigrazione: dal Paese di
partenza al Paese di arrivo
Possibili rimedi?
Il modello bidimensionale
dell’acculturazione
L’immigrazione come opportunità
pag. 9
pag. 9
pag. 12
pag. 16
pag. 19
pag. 21
pag. 27
pag. 28
pag. 30
pag. 33
pag. 35
pag. 37
pag. 40
IL MEDIATORE INTERCULTURALE:
GUIDA PRATICA AL LAVORO DI MEDIAZIONE
INTERCULTURALE
pag. 41
-
-
Teorie ed evoluzioni della Mediazione
Culturale: Multicultura - Intercultura Transcultura
Educare all’interculturalità
Metodi didattici
pag. 42
pag. 45
pag. 49
5
-
-
-
-
-
6
Insegnanti, mediatori e formatori: quali
differenze?
I linguaggi dell’uomo: la relazione come
processo di comprensione e di ascolto
La comunicazione verbale/non verbale e
la gestione dello spazio
Ansia e stress nella comunicazione
La distorsione dei messaggi
Le differenze e gli stereotipi
Il conflitto: studi a confronto
I possibili sviluppi del conflitto
Tecniche educative di mediazione e
gestione dei conflitti
Assertività ed ascolto attivo
Il dialogo interculturale
Strumenti pratici per il mediatore
Alcuni esempi di opuscoli informativi
L’identità del mediatore interculturale:
cartellini di riconoscimento e segnaposti
Protocollo per un primo colloquio:
schede di accoglienza e possibili
approfondimenti
Frasi per volersi bene
Aforismi
Raccolta di fiabe multiculturali per
favorire l’integrazione nella scuola
Intercultura: viaggio tra le immagini del
web
pag. 53
pag. 55
pag. 57
pag. 63
pag. 65
pag. 66
pag. 70
pag. 75
pag. 78
pag. 82
pag. 83
pag. 87
pagg. 91/102
pag. 103
pag. 106
pag. 110
pag. 111
pag. 112
pag. 124
IL CITTADINO STRANIERO:
GUIDA PRATICA PER IL CITTADINO IMMIGRATO
-
Indirizzi utili
Indirizzi web di riferimento
Bibliografia di approfondimento
Materiali per la didattica
I diritti del cittadino straniero: alcune leggi
e norme di riferimento
Guide utili sui diritti della persona
immigrata
Barchette di carta
pag. 137
pag. 148
pag. 151
pag. 159
pag. 171
pag. 177
pag. 180
7
Al viaggio che ogni uomo deve compiere
per diventare adulto
8
IL FENOMENO MIGRATORIO
Cenni storici
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Da sempre, secondo le varie esigenze di vita (dal tipo di habitat
alla ricerca di cibo, alle condizioni climatiche, alla
conformazione del luogo), l’uomo ha sentito il bisogno di
spostarsi.
A volte questi spostamenti sono costati vite, guerre, sacrifici,
ma spesso sono serviti alla salvezza e al benessere di un
popolo.
Facendo una ricognizione nella storia delle migrazioni
ricordiamo: lo spostamento dei Semiti in Mesopotamia, che nel
II millennio a.C., occuparono i territori imponendosi alle
popolazioni sumeriche; la migrazione degli Indoeuropei,
provenienti dalle steppe danubiane, che si mescolarono alle
popolazioni dell'Europa centrale dando origine a grandi civiltà
come quella greca; le invasioni barbariche che portarono
9
conflitti ed instabilità; gli spostamenti degli Arabi che si
insediarono nella penisola Iberica e che hanno lasciato mirabili
opere di architettura risalenti alla seconda metà del XIV secolo;
l’invasione dei Turchi che, intorno al XV sec., entrarono in
Europa arrivando, poi, sino a Vienna.
Ancora, non possiamo non ricordare il massiccio movimento
migratorio che si ebbe, nel XIX secolo, dall'Europa
all'America: dal 1820 al 1914 circa 40 milioni di europei
sbarcarono negli Stati Uniti d'America.
Con il declino della società rurale dovuto allo sviluppo
industriale, con la diminuzione del tasso di mortalità che portò
ad una tendenza al sovrappopolamento, con l'offerta di lavoro
nelle città industriali, i contadini lasciarono le loro campagne
alla ricerca di fortuna nelle grandi città americane. Venivano
soprattutto dall'Irlanda, dalla Polonia, dalla Germania e dal Sud
dell'Europa.
Nel caso dell'Irlanda il fenomeno fu incrementato da crisi
locali: a causa della carestia, delle tasse e delle persecuzioni da
parte del governo inglese, emigrò il 72 % degli irlandesi.
Alla fine dell'‘800 anche l'Italia fu coinvolta in questo flusso:
emigrarono 7 milioni di italiani provenienti soprattutto dalle
regioni agricole del sud e del nord-est.
Non esistono dati statistici completi sulla composizione
professionale degli emigranti ma si può ritenere che fossero
addetti all'agricoltura e alla manodopera poco qualificata in
quanto decisero di dirigersi verso le immense distese coltivabili
dell'Argentina e del Brasile o verso le periferie delle grandi
metropoli statunitensi (New-York, Chigago) creando vasti
fenomeni di insediamenti proletari nei quartieri più poveri dei
Paesi d’oltremare.
10
Nel dopoguerra, con lo sviluppo dell'economia industriale,
assistiamo a migrazioni da zone periferiche a zone a maggiore
concentrazione di attività produttive, alla ricerca di un lavoro
manuale dipendente.
Le migrazioni sembrerebbero rappresentare la disomogeneità
dello sviluppo nelle differenti zone del territorio. Da qui i flussi
da campagna a città e dall'Europa meridionale all'Europa
centro-settentrionale: dall'Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e
Turchia verso la Germania e verso i Paesi Bassi.
Verso la metà degli anni '60 si riduce questo flusso a favore di
quello proveniente dalle ex colonie. Dopo il 1973 la recessione
economica porta all'assunzione di politiche immigratorie più
restrittive; contemporaneamente i paesi dell'Europa del Sud
mutano la situazione migratoria divenendo meta di
immigrazione anziché paesi di emigrazione.
Alla fine degli anni '80, con la caduta del Muro di Berlino, si
assiste ad un importante flusso migratorio nel nostro Paese
dall'Est Europeo.
11
Migrazioni degli ultimi anni
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
"Nell’epoca della globalizzazione e della formazione di poteri
sovranazionali che sfuggono alle tradizionali autorità di
governo, lo «spazio» che conta non è quello geopolitico,
definito dagli Stati nazionali, ma quello economico-sociale,
definito dallo sviluppo dualistico del sistema economico
mondiale" (AA. VV. Un pianeta in movimento -viaggio nei
fenomeni migratori-, MANITESE-CRES, Milano).
Dal XIX secolo si evidenzia un fenomeno di migrazione
dall'Europa -società urbanizzata ed evoluta- al Nord America e
poi in Australia -ambienti destrutturati a vocazione rurale-.
In questa situazione risultano fondamentali i contributi socioeconomici e culturali che le società di origine apportano in
contesti immacolati.
12
Più di recente, invece, i flussi migratori vanno da realtà rurali
molto popolate ad aree urbane ad intenso sviluppo tecnologico,
ma con un’alta domanda di manodopera: il fenomeno è una
conseguenza della rivoluzione agraria dell’‘800 e della
contemporanea rivoluzione industriale.
Negli ultimi anni sono in aumento anche le migrazioni da aree
sviluppate ad altre analoghe, soprattutto per figure
professionali molto qualificate, nonché all’interno delle aree
sottosviluppate sia per eventi traumatici (calamità naturali,
guerre, carestie) sia per la presenza di poli di relativa
attrazione.
L’attrazione e la conseguente migrazione nascono
frequentemente dal divario fra risorse disponibili in un
territorio (ricchezza) e quelle carenti in un altro (povertà); fra
paesi del sud del mondo il divario è relativo, ma comunque
esiste fra Stati diversi come pure fra città e campagne,
all’interno dello stesso Stato.
Ad esempio, "la Costa d’Avorio attrae lavoratori dal Burkina
Faso e dal Mali; la Giordania dalla Siria e dall’Egitto; il
Gambia dal Senegal, il Sudafrica dallo Zimbabwe, dallo
Zambia e dal Malawi" (AA. VV. Un pianeta in movimento viaggio nei fenomeni migratori-, MANITESE-CRES, Milano).
Non solo, ma anche all’interno dell’Europa stessa si verifica
questo fenomeno. Persino all’interno dei singoli stati (basti
pensare agli innumerevoli spostamenti dal sud al nord Italia).
Ma perché tutto questo? Perché questa atavica propensione
dell’uomo alla migrazione, che fa della storia un susseguirsi di
viaggi e di spostamenti, di esodi e di peregrinazioni alla
continua ricerca di un luogo confacente alle proprie esigenze?
In parte per le vicissitudini che un singolo popolo può dover
affrontare in un luogo che gli è ostile (che possono andare dallo
scontro con un altro popolo alle catastrofi naturali e non); in
13
parte, sicuramente, perché l’uomo è comunque alla continua
ricerca del meglio per sé e, per quanto un luogo possa apparire
adeguato in tutte le sue caratteristiche, nel corso del tempo non
lo sarà mai totalmente (non dimentichiamoci che l’uomo è un
essere finito e imperfetto che ha però in sé l’idea e il concetto
di infinito e di perfezione, croce e delizia della vita umana, ma
anche obiettivo contingente e necessario affinché egli dia una
meta, un orientamento, sulla lunga distanza, al suo cammino).
Non dobbiamo quindi stupirci se oggi più che mai ci troviamo
di fronte a uno dei più grandi fenomeni migratori del secolo.
Da quanto sopra riportato, l’immigrazione sembra proprio
essere una componente insita nella vita dell’uomo,
indipendentemente dal periodo storico (considerato il fatto che
non ci troviamo a vivere in un periodo particolarmente
anomalo, finita quest’epoca, è estremamente probabile che si
verificheranno altri flussi migratori).
Eppure, di tutto questo, c’è chi ancora si stupisce.
Molti credono assurdo il fatto che la nostra società si possa
aprire sempre più al multiculturalismo e all’interscambio con
culture diverse. Gli stessi considerano certi spostamenti delle
vere e proprie invasioni, reputando questa imprescindibilità
umana una diaspora apocalittica, quasi un segno ineluttabile di
fine dei tempi e di incomprensione tra i popoli.
Tutto ciò avrebbe probabilmente un senso se tale pensiero
colpisse lo zoccolo ignorante del popolo, che forte del suo
campanilismo patriottico preferirebbe davvero la fine dei tempi
piuttosto che una mescolanza del genere ignorando anche altri
aspetti della faccenda.
Più grave diventa il fatto che sono proprio i politici dei vari
paesi a fomentare questo tipo di pensieri xenofobi.
14
E ancor più grave è quando l’immigrato diventa la valvola di
sfogo di governi che pensano “bene” di combattere i disagi
sociali e la delinquenza partendo dal basso, dal lavavetri che dà
fastidio, dal morto di fame (senza alcuna coloritura
dispregiativa) che ruba per mangiare, dal mendicante che
puzza.
Premesso che nessuno di questi fenomeni è gradevole e che chi
ruba commette comunque un illecito, ci sembra più opportuno
cominciare dai piani alti, da chi, seduto in poltrona, ingurgita
quattrini e permette tutto questo.
Convivere con queste convinzioni non ci impedisce di essere
obiettivi sulla questione e di capire a fondo le motivazioni e le
dinamiche che hanno condizionato, che condizionano e che
condizioneranno gli spostamenti migratori nelle varie parti del
mondo.
15
Colonialismo, sfruttamento del territorio e disparità nella
distribuzione delle ricchezze
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Di seguito, un piccolo accenno a quelli che possono essere i
fattori (storici, ma anche economici e culturali) che hanno dato
il via al fenomeno dell’immigrazione.
L’andamento demografico della popolazione mondiale è stato
ampiamente condizionato, in diversi periodi storici, da
fenomeni quali il processo di colonizzazione e la spartizione
del mondo in aree di influenza.
Tali fenomeni sono responsabili:
- dell’ingente calo della popolazione americana in seguito
all’emigrazione europea oltreoceano (molti Amerindi
vennero eliminati e le malattie importate dai coloni
provocarono la morte di moltissimi popoli autoctoni),
- del massiccio trasferimento coatto di popolazioni nere
africane in America,
- dell’origine del fenomeno del sottosviluppo nei paesi del
sud del mondo.
La spinta principale che portò gli europei a sconvolgere i
sistemi politici, economici e sociali dei luoghi occupati fu la
necessità di materie prime e di nuovi mercati per i prodotti
finiti.
Gli europei riuscirono, pertanto, in tempi brevi, ad acquisire
un’egemonia mondiale attraverso gli scambi commerciali ed il
progressivo dominio politico finalizzato a garantire gli interessi
economici delle loro potenze in America, in Africa e in Asia.
Caddero antiche civiltà, luoghi che sino ad allora erano rimasti
vergini.
In America centro-meridionale antichissime culture, con
organizzazioni politiche ed economiche complesse, furono
16
spazzate via dai conquistadores in pochissimi anni, sconfitte
dalla superiorità dei mezzi bellici, dalle malattie importate
dagli europei e dall'organizzazione strettamente gerarchica
della vita politica, facilmente alterata dalla subitanea
eliminazione dei supremi sacerdoti.
Nell'America del nord, popolata da un milione di indigeni, fu
perpetuato un genocidio che venne protratto sino all'inizio del
XX secolo, con interventi militari e con la distruzione delle
risorse vitali per la sopravvivenza delle tribù nomadi (sterminio
dei bisonti); gli Indiani furono alla fine rinchiusi nelle Riserve.
In Africa, dall'incontro con gli europei si ebbero conseguenze
terribili perché la risorsa esportata era quella "umana": la tratta
degli schiavi. Le antiche civiltà evolutesi senza molti contatti
con l'esterno (regni di Yoruba, del Benin, del Congo, Luba e
Matabele) erano impreparate ad affrontare l'impatto con gli
europei. Soltanto alcune di loro intrattenevano già rapporti
commerciali con la cultura arabo-islamica, ne subivano
l'influenza e conoscevano il commercio di schiavi che aveva
portato alla rovina le civiltà di Axun e del Ghana. Era nulla,
tuttavia, a confronto della “marcia europea” che, per quasi
quattro secoli, rapì o barattò con mercanzia di infimo valore i
giovani africani, speranza e futuro delle comunità a cui
appartenevano. Inoltre, sfruttando e aizzando le rivalità fra le
diverse tribù, gli europei deportarono milioni di neri in
America, in condizioni disumane, per farli lavorare nelle
piantagioni o nelle miniere.
In Asia, invece, la situazione era diversa. Importantissime
civiltà avevano da sempre partecipato al commercio mondiale;
anche a causa degli enormi territori e della numerosa
popolazione, i territori non vennero travolti dall’ondata di
colonizzazione europea che si dovette accontentare di piccoli
insediamenti: piccole basi commerciali sotto la bandiera di un
qualche stato europeo. Fino al XVIII secolo i prodotti dell’Asia
-tessuti in seta e cotone, spezie, thè- venivano acquistati
17
barattandoli con oro e argento. Fu l'avvento della rivoluzione
industriale -quando le fabbriche inglesi cominciarono a
produrre tessuti a basso costo- a determinare la crisi
dell’industria tessile indiana, riducendo la colonia, fino ad
allora benestante, a semplice fornitrice di materia prima.
Il colonialismo fu caratterizzato, pertanto, dallo sfruttamento
radicale di tutte le risorse del paese colonizzato (risorse
agricole, minerarie, energetiche ed umane) relegando quindi il
ruolo dei paesi dominati a fornitori di materie prime a costi
molto bassi, usando la manodopera indigena o, allo scopo,
deportata (schiavi). I paesi colonizzatori, con tecnologie più
avanzate, produssero ed esportarono prodotti e manufatti
industriali, costringendo poi i paesi colonizzati ad importare i
prodotti stessi a costi elevati, perché imposti dal paese più
"forte".
Questo processo, inevitabilmente, portò le colonie a
specializzarsi in pochissimi settori, coltivando o estraendo solo
uno o due prodotti (monocoltura), riducendo le possibilità di
soluzione in caso di crisi della loro economia e rendendoli
completamente dipendenti dalle economie più evolute dei Paesi
del Nord del mondo che, oltretutto, finirono per controllare i
commerci a livello internazionale.
18
Neocolonialismo e debito estero
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Attorno alla metà del '900, si affermano, nelle colonie, i
movimenti di liberazione nazionale e progressivamente,
attraverso conflitti o in forma pacifica, molti Paesi del Sud del
mondo acquistano l'indipendenza politica, a cui non
corrisponde però l'indipendenza economica. Ci si trova, quindi,
nella necessità di scegliere fra due modelli di sviluppo:
capitalista occidentale o socialista sovietico. Comunque
svantaggiati nei confronti delle economie del nord, i Paesi del
Sud del mondo devono chiedere aiuto alle nazioni più ricche.
Ne consegue un nuovo colonialismo di tipo economico: il
neocolonialismo.
Gli Stati del Sud non sono più occupati militarmente, ma presi
d'assalto da imprese straniere transnazionali di grandi
dimensioni: le multinazionali, colossi finanziari che investono
in più settori e che, in regime monopolistico, dislocano il ciclo
produttivo nei paesi che garantiscono i più bassi costi di
produzione.
Il meccanismo già esistente durante il colonialismo per il quale
i Paesi del Sud vendono materie prime ed acquistano prodotti
industriali viene esasperato: il potere di acquisto degli stessi
diminuisce sempre più, i prezzi delle materie prime controllati
dai paesi del Nord si abbassano, i prezzi dei prodotti industriali
rimangono pressoché costanti (deterioramento dei termini di
scambio). Succede quindi che, ad esempio, mentre nel 1970 la
Malesia, vendendo 4 tonnellate di caucciù, poteva acquistare
una jeep, nel 1977, aveva bisogno di 10 tonnellate di caucciù
per potere acquistare la stessa jeep.
Nel frattempo, peggiorano le condizioni di vita delle
popolazioni e aumenta la disparità: il Sud del mondo dispone
solo del 17 % del prodotto mondiale per il 78 % della
popolazione del pianeta.
19
Fra il 1974 e il 1977 le Banche dei Paesi del Nord hanno a
disposizione enormi quantità di denaro derivante dall'aumento
del prezzo del greggio. Con i petrodollari, si pensa di investire
imponendo numerosi prestiti ai Paesi del Sud.
In qualche caso i capitali vengono investiti in progetti di
sviluppo ispirati spesso dai paesi che li concedono e, quindi,
inevitabilmente a loro tornaconto -o stimolando acquisti di beni
da loro prodotti o stimolando produzione di beni e materie
prime che il Paese industrializzato vuole importare. Famoso
l'esempio del Brasile che, tuttora, distrugge parte della Foresta
Amazzonica per sfruttarne le miniere.
In altri casi, i prestiti vengono girati sui conti personali dei vari
dittatori o usati per acquistare armi utili a causa delle continue
lotte locali. Il calo dei prezzi delle materie prime e l'inflazione
aumentano progressivamente il debito, tanto che, sin dagli anni
'80, gli interessi risultano essere maggiori rispetto ai fondi
ricevuti.
In definitiva, il debito dei Paesi del Sud appare in vertiginoso
aumento: già nel 1990 si ha una stima di 1.300 miliardi di
dollari.
Persino ai giorni nostri, numerose campagne di opinione si
sono sviluppate per la cancellazione del debito ingiusto dei
Paesi del Sud del mondo.
20
Alcuni dati statistici sul fenomeno migratorio
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Qui di seguito riporteremo alcuni dati inerenti il fenomeno
migratorio, sia a livello locale che a portata mondiale, anche
per rendere chiaro come il fenomeno migratorio riguarda non
solo il microcosmo di una cittadina siciliana, bensì una vasta
area comprendente tutto il pianeta.
Basti pensare che i 200 milioni di immigrati producono nel
mondo una ricchezza pari a 1.67 miliardi di EURO e
contribuiscono allo sviluppo del terzo mondo tre volte più di
quanto facciano tutti i paesi industrializzati attraverso i loro
programmi d’aiuto allo sviluppo. Per il resto lasciamo che
parlino i dati…
21
Immigrati a Catania
Rilevamento dati al 30.12.2006
Rilevamento dati al 30.12.2006
Stranieri appartenenti all’Unione Europea
22
Rilevamento dati al 30.12.2006
Stranieri non appartenenti all’Unione Europea
23
Popolazione residente straniera al 31.12.2006 per cittadinanza e sesso
24
Popolazione residente straniera al 31.12.2006 per cittadinanza e sesso
25
Popolazione residente straniera al 31.12.2006 per cittadinanza e sesso
26
I fattori di spinta e di attrazione nel fenomeno migratorio
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Le migrazioni sono condizionate da fattori dipendenti dalla
realtà del paese che viene lasciato (fattori di spinta) e dalla
differenza della realtà dei paesi che accolgono i migranti
(fattori di attrazione).
Il livello culturale della maggior parte delle popolazioni del sud
del mondo si è indubbiamente elevato, senza corrispondere a
maggiori possibilità di lavoro qualificato nei propri paesi
(fattore di spinta); è naturale che laureati e diplomati cerchino
all'estero, nei paesi del nord, possibilità per migliorare la
propria condizione.
Inoltre, il modello culturale ed economico dell'occidente
opulento viene ampliato dai mass-media e proposto come unico
degno di essere raggiunto per essere "evoluti" e, finalmente,
omologati nella realtà economica vincente (fattore di
attrazione).
La facilità di diffusione delle informazioni, la sempre maggior
presenza del turismo, i contatti con i simboli del benessere
innescano “un’aspettativa crescente" fra i giovani,
demoralizzati dall'assenza di un futuro nei loro paesi, attratti da
un'immagine di mera "facciata" di paesi industrializzati,
democratici, aperti a culture diverse, con disponibilità di posti
di lavoro (fattori di attrazione); si ripresenta un po' l'immagine
dell'America che, all'inizio del secolo, ha attirati i nostri
emigranti.
Questa lettura si è manifestata chiaramente con l'arrivo delle
masse di profughi albanesi che, nell'agosto del 1991, ha preso
d'assalto le coste pugliesi.
27
Cause politiche e militari
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Molti paesi del sud del mondo sono retti da dittature o regimi
militari che restano al potere attraverso repressioni anche
durissime nei confronti della popolazione, costringendo interi
gruppi ad emigrare (fattore di spinta).
Istigati dalle superpotenze, prima sotto forma di appartenenza
ad uno dei due blocchi U.S.A - U.R.S.S., poi sotto forma di
finanziamento, armamento e sostegno militare in cambio di
posizioni strategiche o di convenzioni per lo sfruttamento
esclusivo delle risorse naturali, nel sud del mondo sono sempre
proliferati i conflitti (fattore di spinta). Una volta finita la
guerra fredda, ancor di più sono state attizzate guerre civili
fratricide con apparente motivazione religiosa o etnica, ma
nella sostanza rivelatesi semplicemente lotte di potere e di
supremazia economica "utili" fra l'altro, ai paesi industrializzati
per fare "affari" con la vendita delle armi (l'Italia esporta
massicci quantitativi di armi) e per investire nella
ricostruzione. Gli esempi del conflitto nella ex-Jugoslavia ed in
Rwanda sono illuminanti.
Questa situazione provoca l'esodo di interi popoli: gruppi
eterogenei di centinaia di migliaia di persone sono costrette a
fuggire per sperare di salvare la propria vita; in fuga con poco o
nulla, alla ricerca di rifugio o di asilo politico. Ma per poter
ottenere il riconoscimento di rifugiato politico occorre, come
minimo, possedere il passaporto, il cui costo è spesso fuori
dalla portata della maggior parte delle popolazioni africane o
asiatiche.
Lo status di rifugiato viene generalmente riconosciuto ai sensi
della Convenzione di Ginevra (art.1) che lo applica a coloro
che: "avendo ragione di temere di essere perseguitati per la
propria razza, la propria religione, la propria nazionalità, la
propria appartenenza ad un gruppo sociale, o per le proprie
28
opinioni politiche, si trovano al di fuori dal Paese d'origine e
non possono o non vogliono, per paura, chiedere protezione al
proprio Paese; o a chi non avendo nessuna nazionalità e
trovandosi fuori dal Paese di abituale residenza, in seguito a
gravi avvenimenti, non può o non vuole, sempre per paura,
ritornarci".
Eppure oggi si verifica, a tal proposito, un paradosso.
Un’incongruenza per cui la generosa circolazione di beni e di
prodotti e, insomma, di vari fattori di produzione, è regolata da
norme che non disciplinano altrettanto bene la circolazione di
forza lavoro. Spostamento di beni, sì; spostamento di persone,
no! Così, mentre esiste un consenso generalizzato per evitare i
controlli (di frontiera) di merci, di capitali e di qualsiasi altro
tipo di beni e di servizi, allorché si tratta di persone (immigrati
e profughi) gli stati di quello che si definisce "il primo mondo",
risultano chiusi, prepotentemente barricati, affermando ancora
una volta il loro diritto sovrano di controllare le frontiere.
Infatti i paesi ricchi impongono forti restrizioni agli
spostamenti della popolazione, mentre esiste una libertà totale
di movimento per le merci, il capitale ed i servizi.
In definitiva, la globalizzazione dell’economia non è
accompagnata da espansione/diffusione della ricchezza e del
benessere ma, al contrario, rappresenta un processo a carattere
doppio, che, piuttosto, contribuisce all’aumento delle
disuguaglianze tra i paesi ricchi ed i paesi poveri, così come
all’aumento della marginalizzazione interna in ogni paese di
vasti strati di popolazione o di zone geografiche.
29
La situazione sanitaria
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Il diritto alla salute oggi, nel terzo millennio, si colloca tra i
diritti di cittadinanza sociale, all’interno dei principali
parametri di valutazione degli indici di sviluppo della civiltà di
un Paese.
E’ un diritto fondamentale che non può sottostare a criteri di
scienze economiche che non siano strutturate prioritariamente
sul valore e sul principio del rispetto della dignità umana, quale
principio fondante della Società stessa. L’Economia, pertanto,
deve essere una scienza che studia lo sviluppo per la ricchezza
delle Nazioni e, quindi, per la felicità dei popoli, e non deve
essere una scienza che si occupa solo dell’allocazione delle
scarse risorse a livello individuale.
Oggi, quindi, è necessario ridefinire le politiche economiche
secondo i principi dello sviluppo sostenibile. E’ bene
qualificare l’aggettivo sostenibile riferendosi alla persona
umana che deve essere sempre al centro delle attenzioni dei
modelli di organizzazione sociale.
Tutelare la salute degli immigrati non è facile, non solo per il
numero imprecisato di clandestini che sfuggono ai controlli
sanitari, ma anche perché l’immigrato si rivolge ai servizi
sanitari solo in casi urgenti ed ha spesso un diverso modo di
intendere la salute che può essere causa di incomprensioni
nelle relazioni con il medico.
Le patologie acute più comuni sofferte dai cittadini immigrati
sono quelle a carico degli apparati respiratorio, digerente,
osteoarticolare (traumatismi), oltre a quelle legate alle
complicanze della gravidanza e all’espletamento del parto. Si
tratta, quindi, di disturbi e malattie dovute alle condizioni di
vita nel nostro Paese (lavorative, abitative o igieniche).
30
E’ interessante anche il dato sulle patologie psichiatriche, pur
trattandosi di un fenomeno di ridotte dimensioni.
L’integrazione risulta essere un elemento cruciale per la
stabilità psico-emotiva. Lo stress psicologico deriva dal
fallimento o dalla minaccia di fallimento del progetto
migratorio, dalla disoccupazione o precarietà occupazionale,
dall’inadeguatezza degli alloggi, dalle carenze igieniche, dalla
lontananza dagli affetti, dallo sradicamento culturale e
ambientale, dalle difficoltà di inserimento sociale, dalla
discriminazione nell’accesso e utilizzo dei servizi. In relazione
a quest’ultimo problema, il Testo Unico sull’immigrazione, il
decreto legislativo 286/98, nella parte che riguarda le
disposizioni sanitarie, si ispira al principio secondo cui la piena
integrazione dello straniero si realizza a patto che gli siano
garantite le stesse opportunità di assistenza medica e di
prevenzione delle malattie garantite ai cittadini italiani. In
particolare, l’art. 34 prevede l’iscrizione obbligatoria al SSN
come strumento per garantire la “parità di trattamento” per tutti
gli stranieri presenti regolarmente e stabilmente nel nostro
Paese. Inoltre, la legge prevede anche l’assistenza agli
immigrati in condizione di irregolarità giuridica (art. 35).
Già da diversi anni l’Istituto Italiano di Medicina Sociale ha
riconosciuto la necessità di adottare una “medicina
transculturale” che fornisca al medico gli strumenti necessari
per comprendere il bisogno di individui la cui diversità non si
esprime solo nel differente linguaggio usato, ma soprattutto
negli atteggiamenti derivanti da una diversa esperienza
culturale. Al medico non spetta, infatti, solo la conoscenza
dell’aspetto strettamente sanitario della malattia; il medico
deve tenere presente che l’extracomunitario, cambiando il
contesto socio-culturale di riferimento, trova difficoltà nel
confrontarsi con la nuova realtà, soprattutto quando la propria
percezione dello stato di salute e di malattia non coincide con
31
quella ‘occidentale’. Per alcuni immigrati africani, ad esempio,
la malattia e il dolore sono legati non tanto ad una patologia
psico-corporale quanto ad un malessere sociale derivato dalla
trasgressione di una norma della società di appartenenza; è
chiaro, quindi, che il medico dovrà mettere in campo
conoscenze e pratiche diverse per comprendere i bisogni
dell’immigrato, nel rispetto della sua tradizione culturale.
32
Gli effetti delle migrazioni: dal Paese di partenza al Paese
di arrivo
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Gli effetti sociali del fenomeno dell'immigrazione sono
molteplici e, a volte, più negativi che positivi, soprattutto se la
società di accoglienza è impreparata ad affrontare il fenomeno
o è viziata da abitudini colonialiste o di chiusura culturale nei
confronti della diversità.
I paesi da cui provengono gli immigrati presentano spesso
gravi problemi di disoccupazione o sottoccupazione.
L'emigrazione di forza lavoro può allentare la pressione sul
mercato del lavoro e l'invio dei guadagni degli emigrati alle
comunità di origine può costituire un'entrata complessiva
notevole in società che vivono con un reddito pro-capite di
poche centinaia di dollari all'anno. Questi effetti positivi sono
per lo più di breve durata; infatti, per contro, quando persone
qualificate lasciano i paesi di origine, i costi per l'istruzione
sostenuti dai paesi poveri vengono messi a frutto in paesi ricchi
depauperando e creando vuoti nella classe dirigenziale del
paese di invio.
Quando le migrazioni, inoltre, si concentrano su alcuni settori
della popolazione, ad es. uomini giovani o donne, possono
esserci ripercussioni sull'economia locale. Per alcuni paesi (ad
es. America Latina, Filippine) l'emigrazione femminile è
considerata una risorsa fondamentale nell'aiutare le famiglie in
patria, per altri essa viene per lo più dettata dal desiderio di
ricongiungimento con il proprio marito.
Quanto sin ora descritto è quel che succede nelle società di
partenza. Nelle società di arrivo, invece, l'impatto iniziale
risulta essere positivo in quanto la manodopera straniera copre
33
vuoti in ambito lavorativo. Tuttavia, l’inserimento avviene in
settori pericolosi o nocivi per la salute, con orari più lunghi,
turni notturni o durante le festività. Tutto questo diventa un
problema in caso di assunzione illegale o di lavoro nero, sia per
la "concorrenza sleale" con la manodopera locale, sia per la
maggiore facilità con cui i datori di lavoro evadono contributi
fiscali e previdenziali o non rinnovano impianti e tecnologie,
creando quindi conseguenze negative nel lungo periodo. Tale
situazione viene anche alimentata dal malcostume locale ed è
un fenomeno che le società civili dovrebbero controllare con
più attenzione cercandone una soluzione. Infatti, al fine di
fornire servizi socio-assistenziali alle persone immigrate, i costi
sociali sono notevoli: se l'immigrato lavora regolarmente,
sostiene lui tali spese in prima persona con i contributi versati,
se, al contrario, egli lavora illegalmente, tali costi ricadono
sulla società.
34
Possibili rimedi?
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
La migrazione dai Paesi del Sud del mondo è un fenomeno di
dimensione planetaria. Nel nostro Paese ed in Europa si sta
pianificando l’inclusione sociale degli immigrati, al fine di
promuovere una Società civile, strutturata su indicatori di
qualità, in un ambito più vasto di affermazione dei diritti umani
inviolabili. Ma ancora molta strada va percorsa per la
promozione di una cultura della solidarietà sanitaria, religiosa e
culturale verso gli immigrati.
A livello internazionale, le Nazioni Unite si stanno dotando di
organismi di coordinamento utili per promuovere un dialogo
tra i vari Paesi, affinché siano diffuse le migliori pratiche per
rendere il processo di globalizzazione più equo, come ad
esempio il Global Contact, proposto per la prima volta da Kofi
Annan, nel Forum Economico Mondiale del gennaio 1999, con
cui è stato chiesto alle imprese aderenti a livello mondiale di
cooperare nella realizzazione di pilastri sociali ed economici,
per sostenere la nuova economia mondiale e far si che la
globalizzazione sia proficua per tutti, nel pieno rispetto dei
principi fondamentali della Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo.
Questa e’ sicuramente una valida azione di solidarietà sociale.
Un maggiore impulso potrà essere dato dalla cosiddetta
“economia di comunione”. L’economia di comunione ci invita
a produrre ricchezza, non sottraendola ad altri e facendo in
modo che anche gli altri ne producano; quindi, produrre
ricchezza non solo tramite il lavoro fisico ed intellettuale
dell’uomo, ma anche per mezzo della creatività e della capacità
di immedesimazione nelle esigenze altrui, come supervalore
dell’unità e della coesione sociale.
35
Chi pratica l’economia di comunione produce uno sviluppo
sostenibile dalla natura e assicura l’evolversi della diversità
delle culture e degli essere viventi. Questo tipo di economia
assicura lo sviluppo di risorse e di culture diverse, mentre
l’economia individualista non condivide nella solidarietà le
proprie risorse ma mira al libero arricchimento personale.
Libero, e forse proprio per questo, spesso, smisurato.
Il modello relazionale che promuove l’economia di comunione
è un parametro, nella nicchia culturale dell’uomo, che lo potrà
far evolvere nel terzo millennio nell’uso delle risorse, in
maniera da raggiungere uno sviluppo socio-economico
sostenibile dalla natura, condizione necessaria alla permanenza
dell’uomo all’interno di una futura società.
Questo tipo di economia, fondata sulla cultura del dare e non
dell’avere, se estesa su larga scala potrebbe eliminare i conflitti
tra i popoli e portare la solidarietà tra le generazioni.
A questo proposito, la legge Bossi-Fini n.189/2002 concentra
l’attenzione sull’immigrato come lavoratore.
Il lavoro è uno degli aspetti preminenti, ma l’immigrato è
anche un cittadino portatore di bisogni socio-culturali.
La difficoltà maggiore, in Italia, è quella di far convivere
differenti tradizioni linguistiche, culturali, religiose e sociali.
E’ proprio questa, infatti, la particolarità del caso italiano
rispetto ad altri Paesi europei di più antica immigrazione: il
carattere plurimo dell'immigrazione, cioè la presenza, nel
nostro Paese, di etnie diverse. Eppure, se guardiamo la nostra
storia d’Italia, noi italiani stessi, per primi, siamo sempre stati
“un popolo-non popolo”.
36
Il modello bidimensionale dell’acculturazione
(Paolo Donzelli)
La migrazione rappresenta un processo psicosociale
complesso. Gli effetti sull’identità della persona immigrata
risultano spesso duraturi e significativi.
Entrando in contatto con una nuova cultura, l’identità
personale, gli schemi di riferimento, il contesto di cui ci si
sente di far parte, direi “i punti cardinali della bussola della
propria identità personale e culturale”, inizialmente vacillano.
Avviene una sorta di riorganizzazione psico-sociale in cui il
proprio e l’altrui comportamento diventano parte determinante
del processo di integrazione.
I cambiamenti che l’inserimento in una cultura diversa
comporta sull’identità culturale di un soggetto possono essere
riassunti nel concetto di acculturazione, utilizzato per la prima
volta da Redfield, Linton e Herskovitz nel 1936.
Esso viene caratterizzato da alcuni elementi chiave (Berry e al.
1999):
- il contatto o interazione tra culture è continua e
diretta. Ciò esclude contatti brevi, accidentali e la
diffusione di singole pratiche culturali su lunghe
distanze (Bochner, 1982);
- ne risulta un cambiamento nei fenomeni culturali o
psicologici fra le persone in contatto e, di solito,
continua per generazioni;
- è presente un’attività dinamica durante e dopo il
contatto che dà origine a nuovi processi di
interazione e di sviluppo della comunità.
37
Nel parlare di acculturazione, non possiamo non menzionare
gli studi di Berry, nel 1980, e la sua teoria sul processo di
integrazione dello straniero nel “nuovo contesto sociale in cui
giunge”.
Nell’interazione che si viene a creare può accadere che:
38
-
la persona immigrata rinunci consciamente o
inconsciamente all’appartenenza alla propria cultura di
origine in favore di una più o meno completa
assunzione dei valori e delle caratteristiche
comportamentali del nuovo gruppo culturale. Si parlerà,
in tal caso, di assimilazione;
-
il cittadino straniero, pur mantenendo una salda
appartenenza alle tradizioni culturali originarie,
incorpori i valori e le norme comportamentali della
cultura in cui si viene a trovare. Si parlerà, pertanto, di
integrazione, “scoperta di un senso di sé biculturale,
che intrecci le caratteristiche uniche dei due gruppi
culturali di cui si fa parte”;
-
lo straniero rifiuti e perda progressivamente il proprio
patrimonio culturale, nel contesto del rifiuto
complessivo, da parte della società ospitante, dei valori
e delle norme comportamentali del suo gruppo di
appartenenza originario. Inoltre, l’espressione della
difficoltà ad integrarsi nella nuova cultura, viene
evidenziata dalla fatica ad accettare i nuovi valori e le
nuove norme di comportamento del “popolo ospitante”.
Tale situazione determina il processo che Berry chiama
emarginazione;
-
lo straniero desideri, sia consciamente che
inconsciamente, conservare la propria integrità culturale
resistendo attivamente all’adozione di valori e modelli
di comportamento sociale della cultura ospitante e
sottraendosi al contatto con essa e alla sua influenza. In
tal caso, parleremo di tradizionale separazione (vedi
figura 1).
MODELLO BIDIMENSIONALE DELL’
DELL’ACCULTURAZIONE
(Berry,
,
1980)
Berry
PERDITA DELLA CULTURA INDIGENA
SI
SI
ASSIMILATO
NO
INTEGRATO
ACQUISIZIONE DELLA
CULTURA OSPITE
NO
MARGINALIZZATO
TRADIZIONALE
SEPARAZIONE
figura 1
39
L’immigrazione come opportunità
(Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento)
Le società di accoglienza hanno l'opportunità di arricchimento
culturale dato dalla presenza di componenti ricche e variegate,
ma devono saper affrontare i conflitti che inevitabilmente tale
co-presenza può scatenare; non sono sufficienti semplici regole
di convivenza che, oltretutto, non riguardano solo i nuovi
arrivati, ma entrambe le componenti.
E’ necessario che il paese di arrivo di consistenti flussi
migratori si dia regole e consuetudini che, disciplinando la
convivenza, permettano e stimolino l'incontro, il dialogo, lo
scambio fra le diverse componenti onde poter far evolvere una
società semplicemente multiculturale in una società
interculturale.
Le migrazioni sono un fenomeno complesso che coinvolge
singoli individui con le loro personalità e con le loro storie,
intere società e meccanismi economici sovranazionali
comprendendo contemporaneamente sia aspetti positivi che
meno positivi. Spesso, affinché prevalgano gli aspetti positivi,
occorre un concreto, serio e duraturo impegno.
In conclusione, l’incontro con la persona immigrata, quando
viene gestito nel rispetto degli spazi di ascolto, con raziocinio e
curiosità viva, può acquistare il significato di occasione
-donata- di recupero della propria identità di “cittadino del
pianeta” e di salvataggio di tutte le risorse di cui è portatrice la
diversità.
L’immigrazione, pertanto, spesso considerata un problema, può
costituire una risorsa se si guarda ad essa con occhi nuovi e
lungimiranti.
40
IL MEDIATORE INTERCULTURALE
GUIDA PRATICA AL LAVORO DI
MEDIAZIONE INTERCULTURALE
41
Teorie ed evoluzioni della Mediazione Culturale:
Multicultura – Intercultura − Transcultura
(Maria Grazia Marrello, Angela Lunelio)
Negli anni ‘80 l’Italia, in concomitanza con le nuove ondate
migratorie che hanno investito l’Europa, provenienti da tutti i
continenti compresa l’America Latina, da paese di emigrazione
si è trasformata in paese di immigrazione.
Mentre per altri paesi d’Europa (Francia, Gran Bretagna,
Germania, Spagna) la presenza di immigrati era un dato ormai
acquisito o per essere stati imperi coloniali (Inghilterra e
Francia) o per essere poli industriali (Germania), per l’Italia, in
effetti, si trattava di un fenomeno nuovo per la cui
comprensione non bastava la memoria del proprio passato di
“Paese di popolo emigrante”.
Inizialmente, con i primi flussi migratori, sul piano sociale e
politico si tentò faticosamente di regolamentare il fenomeno
(fino al 1986 l’Italia non aveva ancora una legislazione in
materia di immigrazione). Con la legge Martelli (legge 39)
degli anni ’90, si cercò di abolire la riserva geografica per la
concessione dell’asilo politico, prevedendo un’annuale
regolamentazione dei flussi migratori, una repressione degli
ingressi clandestini ed un superamento delle vecchie normative
di epoca fascista per le concessioni dei permessi di soggiorno.
Questa nuova realtà multietnica e multiculturale ha determinato
un cambiamento sia sul versante economico-sociale del Paese,
sia su quello culturale e formativo, cambiamento che prevede
una nuova, continua e attenta riorganizzazione delle leggi e dei
servizi.
Il dilemma attuale è: i governi dell'Unione Europea saranno
capaci di un'integrazione dinamica, quindi né assimilatoria né
ghettizzante, dei cittadini di diversa nazionalità?
42
A questa situazione si aggiunge il concetto stesso di
intercultura che non è semplice e univoco: esso fa subito
pensare non solo ad una cultura che accomuna in sé più
possibilità di scelta e di tentativi di cooperazione ma anche ad
un sistema chiuso, che evidenzia differenze, distanze,
separazioni e conflitti tra universi recintati quali sono le varie
culture.
Per progettare un percorso di educazione interculturale è
necessario partire da una visione "etnoplurima", considerando,
cioè, più punti di vista.
Si tratta di un tipo di conoscenza estremamente complesso:
entrare in relazione con altre culture, infatti, vuol dire
promuovere atteggiamenti di disponibilità, di apertura e di
dialogo nei confronti di esse anche quando vengano rilevati
aspetti che le rendono "diverse" dalla propria.
Spesso, la rappresentazione che ognuno di noi si fa della
cultura "altra" non coincide necessariamente con quella che
essa si fa di se stessa, né con le rappresentazioni che altre
culture ancora si possono costruire della stessa. L’intreccio di
queste rappresentazioni, che si manifestano spesso in forme di
stereotipo, costituisce la trama complessa dell’interculturalità.
Ci sono, infatti, rappresentazioni del mondo così diverse che
invitano l’uomo alla cautela, al non giudizio affrettato, ad
entrare nel regno delle possibilità conservando lo spirito
dell’umiltà, della solidarietà e dell’accettazione.
Risulta pertanto necessario dirigersi verso un’educazione alla
varietà e alla molteplicità. Per realizzare questo, diventa
indispensabile incentivare un apprendimento che fornisca ai
cittadini gli strumenti e le flessibilità necessarie per passare da
un'identità culturale all’altra senza timore.
43
Gli atteggiamenti della solidarietà e della condivisione, senza
dubbio, si costruiscono a partire dalla scuola materna: è
necessario, pertanto, che il bambino venga aiutato a superare le
difficoltà dell'incontro con l'altro, sollecitando in lui il
desiderio di conoscenza e di comprensione delle diversità.
Il massimo successo dell’apporto di un’educazione
interculturale è la creazione di una nuova cultura, frutto di una
continua e attiva etnorelazionalità -relazione tra etnie diverse-.
Il confronto, la relazione e la comunicazione diventano luoghi
di apprendimenti reciproci.
L'obiettivo primario dell'educazione interculturale, dunque, si
delinea come la capacità di convivenza all’interno di un tessuto
culturale e sociale multiforme. Essa comporta non solo
l'accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il
riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana
ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una
prospettiva di reciproco arricchimento.
Volendo definire l’intercultura, Felice Rizzi scrive:
"l'intercultura non è né una moda né un problema che
riguarda un segmento della società, ma la connotazione della
società del futuro, la scelta che (...) favorisce processi di
emancipazione e di cooperazione". Rizzi, inoltre, la definisce
una “nuova forma di pedagogia laica" nel senso pieno della
parola: vale a dire, nel riconoscimento della pluralità delle
risposte di senso ai problemi della vita e nella capacità di
dialogo e di ricerca di obiettivi comuni per tutti i popoli.
44
Educare all’interculturalità
(Maria Grazia Marrello)
Sia i modelli assimilazionistici che quelli multiculturali non
sembrano, attualmente, avere ancora risolto i problemi. Le
politiche neoliberiste accrescono l’esclusione e la
disuguaglianza in tutti gli ambiti della società e svuotano la
scuola pubblica europea del suo ruolo di compensatrice di
svantaggio. In costante aumento, inoltre, è la presenza di alunni
stranieri.
La scuola e le altre agenzie necessitano di percorsi, attrezzature
e strumenti interculturali che possano attenuare il vuoto della
“non azione”. Gli insegnanti sentono sempre più il bisogno di
conoscere il fenomeno della multiculturalità e di avere
indicazioni e mezzi sia per gestirlo sia per potere fornire
informazioni adeguate a riguardo. La presenza sempre più
numerosa di alunni stranieri in classe comporta la necessità di
trasmettere adeguate conoscenze linguistiche, creare nuovi
contesti di inserimento e di accoglienza, riconoscere e
valorizzare le differenti culture.
In questo dinamismo interculturale, il compito di promuovere
riflessioni e di pensare modalità e strumenti per l’educazione
interculturale in Italia è stato assunto da Università, da
Associazioni, da alcune case editrici e da ONG che cooperano,
convinte della necessità di stimolare un cambiamento profondo
di mentalità nei cittadini al fine di far sentire accolti coloro che,
da stranieri, diventano anch’essi “cittadini”.
Qualsiasi forma di politica di integrazione è stata sempre
accompagnata da interventi in campo formativo. Nasce così la
pedagogia interculturale, al fine di costruire un terreno solido
di convivenza civile tra autoctoni e cittadini immigrati.
45
Attualmente, in Italia, essa ricerca un proprio status autonomo,
situandosi alla confluenza di diversi e complessi apporti e
caratterizzandosi come una pedagogia di frontiera in cui si
innestano non solo i saperi pedagogici, ma anche i saperi
psicologici, antropologici, storici, geografici, economici,
sociologici, letterari e linguistici.
Già nei primi anni '80 comincia a definirsi la cosiddetta
educazione allo sviluppo: il tentativo è quello di fare oggetto di
insegnamento-apprendimento i valori, le conoscenze e le
competenze riconducibili alla tematica dello sviluppo del Sud
del mondo. La nozione di educazione allo sviluppo, sottoposta
a un processo di trasformazione, viene assorbita, nel corso
degli anni, da quella di educazione alla mondialità. Si tenta,
così, di organizzare, per insegnarle nella scuola, le conoscenze
e le competenze che si ritengono indispensabili al fine di
possedere degli strumenti di comprensione rispetto alla
mondializzazione dell'economia, della politica, della cultura,
dell'informazione, ecc...
Sempre negli anni ’80, si assiste all’incontro tra tale filone di
ricerca e di pratica educativa -educazione alla mondialità- e la
riflessione sui problemi posti dall’esistenza di immigrati
stranieri nel Paese, la cui presenza richiede un significativo
cambiamento della società e della scuola italiana, nei valori,
nei linguaggi e nelle pratiche educative per lo più a stampo
monoculturale. Si comincia, così, a parlare di educazione
interculturale, da principio per consentire l'inserimento degli
allievi stranieri nella scuola e, successivamente, per proporre
un approccio educativo di tipo universalistico rivolto sia agli
studenti stranieri che a quelli di nazionalità italiana.
L'educazione interculturale, che rappresenta la "traduzione"
didattica della pedagogia interculturale, nasce, come
prospettiva di ricerca e di prassi pedagogica, dalla necessità di
46
un inserimento attivo degli allievi stranieri nella scuola e da
una revisione critica dei saperi fondamentali attualmente
insegnati.
Essa non è una nuova materia né una pedagogia speciale per
stranieri; si configura, piuttosto, come un nuovo asse educativo
rivolto in primo luogo agli italiani e pensato al fine di
modificare ambiti cognitivi e comportamentali di autoctoni e
non, per una convivenza costruttiva tra differenti culture.
L'educazione interculturale propone l'acquisizione di valori, di
conoscenze e di competenze che possano contribuire a
"decolonizzare" l'immaginario occidentale e a rimettere in
discussione una tradizione, ponendola a servizio di una nuova
civiltà in cammino.
"La cultura, la conoscenza e la ricerca -scrive il Consiglio
Nazionale della Pubblica Istruzione- sono sempre più
connotate da caratteri di internazionalità e di interdipendenza
[...]. I processi migratori e la conseguente necessità di trovare
nuove forme di convivenza [...] rivelano concretamente lo
spessore dei problemi attuali e le gravi ingiustizie di cui sono
espressione [...]. Le nuove generazioni maturano e studiano in
questo nuovo clima. Il cambiamento, quindi, investe i contenuti
da insegnare e i quadri di riferimento con cui interpretarli e
trasmetterli [...]. Si chiede alla scuola -continua il documentodi assumere la dimensione del sempre più stretto intrecciarsi e
condizionarsi a vicenda dei problemi relativi al mondo
naturale ed al mondo dell'uomo e di fornire strumenti
conoscitivi sempre più adeguati. Si chiede in particolare alla
scuola di dotare le nuove generazioni di strumenti per
combattere, sul piano intellettuale, culturale, etico, religioso e
psicologico, quegli stereotipi che esasperano i conflitti ed
allontanano le speranze di pace. La risposta [...] a queste
sollecitazioni viene ricercata in un'area d'indagine che va sotto
il nome di educazione interculturale […].
47
Indipendentemente dalla presenza fisica nella scuola e nelle
classi di ragazze e ragazzi appartenenti ad altre culture,
un’educazione che sia all'altezza dei problemi di una società
complessa e mobile come lo è la nostra non può che
prospettarsi come interculturale, con tutte le valenze, in parte
ancora inesplorate che questa prospettiva comporta".
La legge sull'immigrazione (6/3/98, n. 40) sottolinea, in un
articolo specifico (art. 36), l'importanza dell'educazione
interculturale nella prospettiva della costruzione di una cultura
dell'accoglienza.
A livello europeo, nel Programma di azione comunitaria
"Socrates", istituito dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel
marzo del 1995, si chiede di "promuovere azioni di istruzione
interculturale rivolte a tutti gli alunni, introducendo metodi
pedagogici interculturali".
48
Metodi didattici
(Maria Grazia Marrello)
Nella nuova società multiculturale il compito educativo assume
il carattere specifico di mediazione fra le diverse culture di cui
siamo portatori: una mediazione non riduttiva degli apporti
culturali diversi, bensì animatrice di un continuo, produttivo
confronto fra differenti modelli. La diversità culturale, infatti,
va pensata quale risorsa positiva per i complessi processi di
crescita della società e delle persone. Pertanto, l'obiettivo
primario dell'educazione interculturale si delinea come
promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un
tessuto culturale e sociale multiforme.
Bisogna scegliere l’intercultura come finalità positiva
dell’educazione, in grado di assicurare un arricchimento
cognitivo e antropologico, un ampliamento dell’orizzonte
culturale a cui collegare l’intero processo di apprendimento che
invita la persona ad un’identità migrante e di scambio.
Se l’interculturalità è un “movimento di reciprocità”, allora non
basta parlare all’altro, né parlare dell’altro, ma occorre
ascoltare l’altro; non c’e’ metodo più caldo, accogliente e
democratico per fare intercultura.
L’altro, nell’educazione interculturale, diventa “attore” proprio
come lo siamo noi.
È necessario che anche l’altro parli a noi, che si manifesti, che
si sveli, che ci partecipi il racconto della sua vita. Tanto un
bambino quanto un adulto hanno una storia di vita da
raccontare. Si può domandare di narrare una fiaba, un viaggio,
un gioco, un sogno, un’avventura, un piatto tipico, un giorno di
festa, un diario, un film, ecc.
La mia convinzione è che la via narrativa rappresenti una delle
metodologie più efficaci per l’educazione interculturale.
49
Attraverso la globalità dei linguaggi e il racconto diretto delle
esperienze è possibile, infatti, realizzare uno scambio di valori
culturali e confrontare i “punti di vista” sulla realtà..
Ascoltare storie di vita degli emigranti, biografie di testimoni,
diari di viaggio, vedere films e documentari di autori stranieri,
leggere poesie e drammatizzazioni, partecipare attivamente a
forme di memoria collettiva, mettere a confronto due o più
narrazioni o punti di vista o versioni su uno stesso oggetto,
permettono di allargare la propria visione riduttiva delle cose.
In questo modo si supera, insieme all’altro, un’impostazione
unilaterale e unidimensionale dell’educazione.
Educare al confronto interculturale significa, pertanto,
stimolare la capacità di decentrarsi dal proprio punto di vista,
imparando a considerare il proprio modo di pensare non
l’unico possibile o l’unico legittimo, ma uno fra i tanti.
Il valore antropologico ed educativo del decentramento risiede
tutto nel cammino di uscita dall’egocentrismo e
dall’etnocentrismo. Decentrandoci, scopriamo l’antidoto
all’intolleranza e al razzismo. È un tirocinio democratico, un
allenamento per imparare ad accettare la parzialità della propria
verità, mai totalizzante, mai assoluta, mai definitiva. Per
decentrarsi occorre accettare i propri limiti ed i propri errori,
riconoscere di aver bisogno degli altri, essere disponibili
all’ascolto e alla collaborazione. Tutto ciò richiede una
disponibilità ed una sicurezza interiore che trovano la loro
origine non sul piano della conoscenza ma in una serena
maturazione al contempo sia affettiva che cognitiva.
La magia dell’incontro permette la scoperta di nuovi punti di
vista, la scoperta che, per l’altro, io sono l’altro…
50
Inoltre, essere visti e raccontati da altri ci aiuta a relativizzare il
nostro punto di vista e, talvolta, a renderci più consapevoli di
come siamo realmente.
L’educazione interculturale, al di là delle conoscenze e degli
atteggiamenti, deve saper valorizzare anche i gesti, le azioni, i
comportamenti, ossia la via pragmatica dell’educazione alla
cittadinanza attiva.
Per formare nei giovani “menti più accoglienti” e atteggiamenti
interculturali è importante anche promuovere iniziative e
azioni, in quanto il gesto possiede in sé un grande valore
educativo. Attraverso il gesto ci si può mettere in gioco
mediante simulazioni, giochi di ruolo, danze, spettacoli teatrali,
drammatizzazioni, ecc., tutto al fine di mescolarsi e
confrontarsi con l’altro.
In conclusione, ci sono molte ragioni per scegliere
l’interculturalità e ci sono molteplici buone pratiche per
realizzarla nella scuola e nella società: oggi (forse più di ieri) è
una scelta culturale, antropologica, etica, politica e significa
respingere un modello di società come spazio delle “Identità
separate”, per costruire insieme una convivenza democratica, lo
spazio della “Comunità pluralistica”.
Prima ancora degli insegnanti, di tutti i mediatori culturali, dei
formatori come agenti istituzionali di intercultura, delle figure
professionali che si assumono il compito politico e sociale di
elaborare interventi per giungere all’integrazione culturale fra
bambine e bambini, ragazze e ragazzi, famiglie, comunità di
appartenenza e la scuola, ognuno ha un ruolo indispensabile e
sinergico nell’“educare all’interculturalità”.
L’efficacia della strategie che coinvolgono queste figure e
professionalità diverse risiede nella cooperazione.
51
Infine, una buona pratica consiste pure nel fare interculturalità
impiegando correttamente i mediatori interculturali, ossia
quelle nuove figure professionali che hanno il ruolo di ponte tra
cultura immigrata e cultura del luogo, favorendo l’inclusione
dell’immigrato, facilitandone lo scambio comunicativo a
scuola, l’apprendimento della lingua, l’accompagnamento
educativo, affiancandolo nei rapporti con gli Uffici e
avvicinando tra loro le diverse culture.
52
Insegnanti, mediatori, formatori: quali differenze?
(Maria Grazia Marrello)
I tratti distintivi di ciascun ruolo possono essere così
focalizzati:
Insegnante
Mediatore
Formatore
•
compito
asimmetrico
•
ponte tra interessi
della persona e
orientamento nel
territorio
•
facilita gli
apprendimenti
partendo dagli
errori, stimola la
crescita e
l’emancipazione
dell’altro
•
tessitore di
• mette mano e
autonomie. La sua
favorisce i transiti da
posizione è di metauna forma ad
livello. Si propone
un’altra. La sua
come compagno di
azione è finalizzata a
viaggio,
stimolare la
accompagna l’altro
trasformazione
senza sostituirsi.
dell’altro
•
“segna dentro”,
autorità
necessaria
•
conversatore, non
• mira a sostenere le
parla per “segnare”
conoscenze, le
ma per “connettere”
trasforma in capacità,
lavora sulle
“competenze”
• supporta il
riconoscimento di
valori e conoscenze
tacite
Costruire un lavoro integrato fra insegnanti, mediatori e
formatori significa attraversare, condividendoli, percorsi che
tengano conto dell’elaborazione delle diverse dimensioni
interattive fra i soggetti in azione.
Il costituirsi di un gruppo di progetto o il lavorare
semplicemente con un collega richiede il continuo
53
riconoscimento di alcune fasi operative 1. Significa, cioè, tenere
conto della storia delle persone, della loro narrazione e della
reiterazione delle esperienze; significa altresì evolvere da una
dimensione emozionale e spesso densa di impliciti ad una
dimensione di consapevolezza che permetta il pensare l’azione
e il sentirla “possibile”: in fondo, ciò a cui invita il processo
della multiculturalità.
differenze
FORMATORI
integrazione
MEDIATORI
INSEGNANTI
comunanze
Per tale ragione l’interculturalismo non può che essere definito
un movimento ideale e d’opinione, e interculturale non può che
dirsi ogni incontro, contatto o occasione che suscitino forme e
manifestazioni comunicative e di confronto.
1
54
Pichon Riviere E., Il processo gruppale, Libreria Editrice Lauretana,
Loreto, 1985.
I linguaggi dell’uomo: la relazione come processo di
comprensione e di ascolto
(Morgan Tilenni Dianni)
Nell’arco di milioni di anni, le tre capacità fondamentali che
l’uomo ha sviluppato maggiormente sono state la capacità di
pensare, la capacità di lavorare e quella di comunicare.
Attraverso il pensiero ha varcato i confini delle “possibilità”
inventando oggetti e situazioni nuove, adoperandosi per la
realizzazione di strumenti che gli facilitassero la vita;
attraverso il lavoro è riuscito a realizzare quanto pensato; per
mezzo del linguaggio l’ha raccontato, l’ha espresso e
tramandato, ponendosi in relazione con gli altri.
Potremmo allora domandarci cosa sia il linguaggio e come mai
lo si ritiene così importante quando si parla di sviluppo di una
comunità multiculturale.
Attraverso i sensi ogni essere umano percepisce il mondo
circostante, lo confronta con le conoscenze che possiede in
memoria, lo distingue da ciò che conosce.
Esistono linguaggi che non contemplano parole, linguaggi
creati dal processo di relazione-interazione con “l’altrodiverso-da-noi”.
Distinguiamo:
-
-
linguaggi uditivi (suoni e rumori: la voce, le mani, gli
strumenti musicali, il canto, le parole accompagnate dal
tono della voce che conferisce ad esse un significato
particolare di dolcezza, di tristezza, di paura, di ansia,
di dolore, di gioia o di entusiasmo),
linguaggi visivi (movimenti, atteggiamenti, posizioni
del corpo, mimica, immagini, disegni o scrittura),
55
-
-
56
linguaggi tattili (attraverso i quali ognuno di noi entra
in relazione fisica con gli altri: la stretta di mano, i baci,
le carezze, le pacche sulle spalle…),
linguaggi olfattivi (odori).
La comunicazione verbale/non verbale e la gestione dello
spazio
(Maria Talestri Leanza, Morgan Tilenni Dianni)
COMUNICAZIONE VERBALE
La comunicazione verbale ci permette, se utilizzata bene, di
comunicare con gli altri in un modo adeguato e consono alle
nostre esigenze e ci consente anche di sperimentare la nostra
libertà di espressione in maniera assertiva, senza attaccare,
difenderci o subire.
Possiamo distinguere le capacità verbali in:
- ABILITÁ DI COMUNICAZIONE
- ABILITÁ DI PROTEZIONE
Le abilità di comunicazione ci consentono di iniziare,
mantenere e terminare una conversazione, di porre domande,
di dare delle informazioni generiche o personali, attraverso
domande chiuse o aperte. Le prime richiedono una risposta
breve del tipo “sì” o “no”, ma non consentono uno scorrere
della conversazione, se non con ulteriori domande. Le seconde
permettono, invece, di ricavare una maggiore quantità di
informazioni dal nostro interlocutore.
Tra le abilità di comunicazione ricordiamo la libera
informazione -definita come un’informazione che viene fornita
senza essere sollecitata da domanda alcuna- e l’autoapertura
-un tipo di informazione personale, libera o sollecitata, che noi
diamo su noi stessi-. La tecnica dell’autoapertura, in una
comunicazione con un cittadino immigrato, risulta necessaria
in quanto permette di far percepire l’interazione come
estremamente rilassata, accogliente e calorosa.
57
Le abilità di protezione ci consentono, invece, di rispondere
assertivamente ad una critica, ad una manipolazione o ad
un’aggressione non costruttiva. L’immagine che daremo di noi
sarà un’immagine non rigida, tale da non venire messa in
discussione da un solo errore.
Le tecniche che servono per mantenere il controllo della
situazione, non adottando comportamenti di fuga, adattamenti
passivi o reazioni di attacco, sono la persistenza -chiamata
anche “tecnica del disco rotto” in quanto consiste nel ripetere
in modo quasi coattivo ciò che si vuole, senza aggressione o
irritazione ma con tranquillità-; l’annebbiamento -che consiste
nel comprendere il punto di vista dell’altro pur non
tralasciando il proprio punto di vista o la propria decisione:
“capisco che il tuo punto di vista sia quello di…, ma io…”-;
l’asserzione negativa -tramite la quale, per fronteggiare un
proprio errore, lo si ammette senza ansia e senza diminuire la
propria immagine personale: “sì, è vero, avrei potuto stare
attento in questa circostanza, avrei potuto fare meglio”-;
l’inchiesta negativa -che consiste nel chiedere informazioni
guidando attraverso la critica: “non vi è piaciuto il mio
comportamento? Che cosa non ti è piaciuto? Come avresti
voluto che io mi comportassi?”-; la discriminazione selettiva che invita a cogliere, in un messaggio negativo, critico, soltanto
quella parte sulla quale si è disposti a discutere, a dare delle
giustificazioni o delle spiegazioni-; il disarmo dell’aggressivtà
-apponendo ad una critica che abbia delle connotazioni
particolarmente violente, un comportamento di estrema calma-.
COMUNICAZIONE NON VERBALE
La comunicazione è un processo sia consapevole che
inconsapevole. Il linguaggio della comunicazione ci insegna
che per il 70% essa è determinata dai segnali che il nostro
58
corpo invia all’interlocutore. Quando si comunica, infatti,
soltanto il 30% del messaggio è verbale.
Ognuno utilizza un proprio stile comportamentale che
favorisce o deteriora, amplifica o riduce, il passaggio delle
informazioni nella relazione comunicativa.
Ogni individuo, attraverso la postura del corpo, l’espressione
del viso, il modo di gesticolare, l’intonazione e il tono della
voce, costruisce il proprio ponte verso l’altro.
Tra le componenti non verbali della comunicazione,
ricordiamo:
1) il contatto visivo o oculare -tramite lo sguardo
esprimiamo sentimenti ed emozioni che fanno anch’essi
parte determinante della comunicazione. La difficoltà
nell’esercitare il contatto visivo con l’interlocutore può
esprimersi sia come carenza, nel non riuscire a
mantenere il contatto visivo con l’altro, sia come
eccesso, quando uno sguardo troppo fisso e prolungato
può determinare nell’altro una percezione di invasione
e conseguente fastidio-;
2) l’espressione facciale -tramite la mimica, i sentimenti e
le emozioni che si vogliono esprimere assumono un
senso. Tecnicamente essa si manifesta anche con
leggeri movimenti delle parti del viso: alzare o
abbassare un sopracciglio, la contrazione delle pupille,
il movimento delle guance o delle labbra…
L’espressione facciale è un’abilità sociale non
separabile dalle altre, soprattutto dalla postura e dalla
gestualità. Addirittura, potremmo affermare che quanto
più coerente è la mimica facciale con il messaggio
espresso verbalmente e col tono della voce con la quale
esso viene trasmesso, tanto più risulta efficace la
comunicazione-;
3) la postura -la posizione del corpo esprime ciò che il
linguaggio verbale non dice o dice solo in parte. A
59
volte, ci capita di parlare assumendo una postura non
coerente con le parole che esprimiamo; il messaggio
verbale, pertanto, risulta artefatto, poco sincero,
incongruente; la simpatia e l’affetto che diciamo di
provare per l’altro, spesso sono in contrasto con la
chiusura del corpo, il blocco degli arti, la non
partecipazione, l’isolamento. In una comunicazione
interpersonale risulta, quindi, essenziale la capacità di
riuscire a guardarsi dall’esterno, in quanto una postura
rigida, sia di tipo passivo che aggressivo, può
influenzare, nel bene e nel male, il contenuto della
comunicazione;
4) lo spazio corporeo -ovvero, l’ambito spaziale entro cui
ognuno di noi si muove interagendo con gli altri. Esso è
composto sia dalle distanze tra il corpo proprio e quello
dell’interlocutore, sia dall’orientamento che i corpi,
durante l’interazione, assumono. Entrambi questi
elementi vengono costantemente influenzati dai
condizionamenti sociali e culturali.
5) il contatto corporeo -canale privilegiato, nelle relazioni
interpersonali, per esprimere le nostre emozioni e i
nostri sentimenti all’interlocutore: stringendo le mani,
abbracciando, baciando, ponendo la mano su una spalla,
accarezzando, cingendo la vita manifestiamo la nostra
partecipazione. Spesso, le persone non assertive,
avvertendo la frustrazione e l’ansia della loro
incapacità, si irrigidiscono e si ritraggono di fronte al
toccare il corpo di un’altra persona. Anche un eccessivo
uso del contatto corporeo può rivelarsi inadeguato ed
essere vissuto come un’imbarazzante o, addirittura,
aggressiva invasione dello spazio personale;
6) la stretta di mano -che risulta essere un’abilità
indispensabile al fine di poter iniziare (presentarsi),
intrattenere (complimentarsi) o concludere (salutarsi)
60
una comunicazione. Quando la stretta di mano risulta
troppo molle o fuggente, a punta di dita, con le dita
rivolte verso il basso, o troppo vigorosa, stritolante o
prolungata oltre il sopportabile, come una prova di
forza, trasferisce una sensazione di fastidio. Al
contrario, una stretta di mano ferma, calorosa e
accogliente risulta essere il migliore atteggiamento per
chi desidera trasmettere all’altro una sensazione di
piacevolezza e di rassicurazione-;
7) la gestualità delle mani -ovvero, “il linguaggio delle
mani”: alcuni lo usano in maniera inadeguata, altri non
lo usano... Una gestualità eccessiva può comportare
distrazione, rendere più difficile la decodifica del
messaggio interpersonale o essere interpretata con delle
connotazioni di minaccia. Invece, un uso misurato ed
espressivo del gesto, che viene utilizzato per descrivere,
sottolineare cose, emozioni o concetti, arricchisce la
comunicazione e provoca una sensazione di piacevole
coinvolgimento nell’interlocutore 2-.
I canali della comunicazione non verbale ci permettono,
pertanto, di comprendere meglio i messaggi di coloro che
entrano in comunicazione con noi, al di là di ogni limite
linguistico che, potenzialmente, può creare separazione,
incomprensioni e difficoltà di relazione.
L’antropologo Edward T. Hall, nel 1963, introdusse, a tal
proposito, il termine prossemica, al fine di indicare la scienza
che si occupa dello studio dello spazio personale e sociale e il
modo in cui l’uomo li percepisce.
2
Bonenti D., Meneghelli A., Assertività e training assertivo. Guida per
l'apprendimento in ambito professionale, 2ª ed., Franco Angeli, 1999.
61
Secondo il suo pensiero, è possibile distinguere quattro zone
interpersonali:
- sociale -gli incontri appaiono formali, la distanza tra le
due persone va dai 3 metri in su-;
- pubblica -relazioni di lavoro, da 1,5 metri a 3 metri-;
- personale -spazio delle amicizie, da 50 cm a 1,5 metri-;
- intima -luogo delle relazioni intime, da 0 a 50cm.
62
Ansia e stress nella comunicazione
(Grazia Frazzetto)
L’ansia è un’emozione che s’innesca irrimediabilmente quando
ci troviamo di fronte ad una situazione, a persone, immagini o
pensieri che ci travolgono. Essa provoca forti sensazioni di
disagio e di sofferenza alla persona.
Si può manifestare con improvvise vampate di calore in tutto il
corpo, aumento del battito cardiaco, tremori, blocco delle
funzioni cognitive con conseguente prevaricazione, su di esse,
del pensiero emotivo.
L’ansia è spesso correlata allo stress che, a sua volta, non è
altro che il frutto di una “cultura che scappa”, in maniera
frenetica, alla ricerca di ciò da cui, inconsapevolmente, ci si va
sempre più allontanando: la serenità.
La velocità della vita, le continue delusioni provocate dai
rapporti interpersonali poco appaganti, la mancanza di
contemplazione e di stupore, l’insoddisfazione generica che si
respira nelle grandi metropoli, sono tutte caratteristiche di quel
fenomeno dilagante che è la “comunicazione preoccupata”.
Tale fenomeno comporta spesso la veloce prolificazione di
pensieri disfunzionali, seguiti da fenomeni fisici quali insonnia,
nausea, fame nervosa, ipertensione, tremori. Le false soluzioni
che vengono intraprese spesso diventano l’alcool e la droga.
Ogni “comunicazione preoccupata” segue le regole
dell’interscambio: se la conversazione viene sperimentata con
una persona tendenzialmente aggressiva, sentiremo imposte le
decisioni dell’altro, i suoi giudizi, il dialogo diventerà
unilaterale e l’ascolto avrà soltanto il sapore di un’eco lontana.
L’interlocutore che non riesce a manifestare liberamente le
proprie opinioni o disapprovazioni e che viene sopraffatto dalla
situazione, finisce per avvertire un forte stato d’insofferenza.
63
Lo stesso accade a colui che, avendo una scarsa competenza
linguistica, cerca di comunicare il proprio bisogno o esigenza
fin quando, sentendosi incompreso, prova in automatico un
forte stato di agitazione.
Per evitare che “la comunicazione preoccupata” prenda il
sopravvento nelle comunicazioni interpersonali, è necessario
allenarsi all’autocontrollo, giorno dopo giorno, puntando
sull’accrescimento della propria autostima, rivolgendo lo
sguardo sempre avanti e ricordandoci che da ogni avvenimento
negativo, da cui ci si può sentire travolti, si ha la possibilità di
giungere ad una grande crescita interiore.
64
La distorsione dei messaggi
(Grazia Frazzetto)
L’essere umano, sin dalla primissima infanzia, assorbe come
una spugna i comportamenti delle persone che lo circondano, i
loro atteggiamenti, i modi di fare, di dire e anche le loro
modalità di pensiero.
Tramite il processo di imprinting e quello di modeling
(modellamento in base alle proprie figure di riferimento), gli
esseri umani reiterano azioni e comportamenti già visti, vissuti
e ben conosciuti in precedenza.
Il tipo di carattere dell’individuo, che viene forgiato dagli
apprendimenti nel tempo, influenza, a sua volta, i nuovi
apprendimenti. Un episodio poco piacevole ha in sé il potere di
rievocare, nella mente della persona, sentimenti di tristezza e
pensieri che in passato erano stati già messi in atto e,
presumibilmente, abbandonati.
Se non si cerca di essere obiettivi sugli avvenimenti e sui fatti
che, quotidianamente, siamo portati a vivere, si corre il rischio
di generalizzare, dicotomizzare il mondo in “tutto buono” o
“tutto cattivo”, personalizzare e catastrofizzare gli eventi.
Se non spingiamo oltre i nostri orizzonti e parametri mentali,
spesso ben costruiti, rischiamo di non comprendere il reale
significato del messaggio che ci viene “donato” dal nostro
interlocutore.
Pertanto, soltanto un’elevata consapevolezza (imparando che
ogni essere umano è diverso nel suo modo di pensare), una
grande conoscenza (imparando a conoscere le diverse culture
per evitare possibili fraintendimenti) e una viva abilità
(rendendo pratico ciò che si è detto), possono aiutare la
persona a comunicare con gli altri in maniera rilassata.
65
Le differenze e gli stereotipi
(Grazia Frazzetto)
La convivenza tra persone di culture diverse (per cultura
intendiamo i concetti di abitudini, usanze, famiglie, modalità di
relazione e di rielaborazione delle informazioni) è sempre stata
complicata, ma non impossibile.
Spesso, dissapori, incomprensioni, idee contrapposte, modi di
fare differenti, generano incomprensioni. Altrettanto
frequentemente non si è in grado di accettare le differenze che,
distinguendoci gli uni gli altri, ci rendono particolari ed unici.
Nella nostra società, diventando sempre più una società multietnica e multi-culturale, risulta fondamentale un’educazione di
base al rispetto della persona. Qualunque sia il colore della
pelle, la lingua e la religione, ognuno di noi è uguale in quanto
detentore di pensieri, immagini, ricordi, sentimenti ed
emozioni.
Per accettare le differenze che ci caratterizzano, è necessario
abbattere i modelli e gli stereotipi che i mass media, l’ambiente
e il periodo storico ci hanno via via inculcato.
Pregiudizio, ignoranza, stereotipi: sono questi i veri nemici
dell’uomo che non ci permettono di vivere insieme in maniera
pacifica. Accettare le differenze non vuol dire cambiare modo
di pensare, ma vuol dire crescere, apprendere nuovi modi di
pensare e di agire, incrementando il nostro bagaglio cognitivo,
emotivo , comportamentale, relazionale, sociale e culturale.
Ciò comporta un vero e proprio arricchimento della persona.
La domanda che sorge spontanea è: “ma da cosa nasce lo
stereotipo?”
Dalle tradizioni, dalle idee preconfezionate, dai processi di
categorizzazione e di generalizzazione che invitano a fare di
66
tutta l’erba un fascio. Gli stereotipi sono ideali rigidi. Il
pregiudizio nasce come un’idea, un giudizio emesso a priori,
senza conoscere né valutare realmente i fatti. Esso è, quindi,
una modalità per risparmiare nella messa in discussione, nella
riflessione e nel lavorio mentale; l’etichettare l’altro potrebbe
pur sembrare una modalità protettiva, tuttavia la presunzione
finisce per creare razzismo.
Spesso ci sentiamo migliori, superiori per il modo di vestire,
per i locali che frequentiamo, per le amicizie che abbiamo, ma
è necessario spogliarsi di queste superficialità per giungere a
nuove scoperte. Bisogna andare oltre l’apparenza, superando
tanto le barriere del timore, quanto quelle dell’ignoranza. È
necessario combattere il timore di essere sopraffatti da altre
comunità e di perdere le proprie tradizioni.
Superare questi limiti, vuol dire imparare ad avere più
sicurezza in se stessi, cercando di aprire la propria mente alle
“possibilità altre”, cercando di capire che la diversità è solo un
bene.
Scheda di approfondimento
“Riflessioni di un mediatore”
(Eleonora Lucifera)
Un giorno entra in ufficio una donna di nazionalità rumena e
“cultura rom”. Appare disperata e, in un italiano stentato,
riferisce di essere stata sfrattata dalla sua dimora abituale.
Spiega che la sua “dimora abituale” non è un campo nomadi,
così come io da subito avevo pensato, bensì una vera e propria
“casa” fatta di mattoni e cemento, non dotata di tutti le
comodità, ma comunque “casa” nel senso strutturale e
materiale del termine.
67
Riferisce di avere due figli e di dovere lasciare l’abitazione
entro la fine della settimana.
Innanzitutto, la cosa che immediatamente mi colpisce è che,
probabilmente, non avevo mai pensato che dei Rom
potessero vivere al di fuori del proprio campo nomadi.
La signora lavora in nero adoperandosi come può per
provvedere al proprio sostentamento e a quello dei propri figli.
Il marito le è morto da un anno appena, e nè lei nè i figli hanno
il permesso di soggiorno.
La signora chiede aiuto affinché possa trovare un altro luogo
che possa diventare (speriamo per un bel po’ di tempo) la loro
nuova “casa”.
Cosa mi colpisce?
Ho di fronte una donna che ha probabilmente deciso di
cambiare (già da tempo) la propria vita per potere assicurare
una fissa dimora e la sopravvivenza alla propria famiglia.
Ho nella mia mente il pregiudizio che un ROM è un ROM e
resta ROM per sempre. Questo pensiero automatico spunta
velocemente, in maniera repentina e senza che io possa
fermarlo. Ho sempre pensato ai rom con l’idea distorta che
essi siano “persone bisunte dai denti d'oro, suonatori di
fisarmoniche e fattucchiere per le nostre strade, lavavetri e
mendicanti ai nostri semafori, i bambini dei quali siano
sporchi e laceri”.
Ho sempre conosciuto di loro l’idea di una cultura “chiusa”,
impenetrabile, poco incline all’integrazione con il mondo
circostante “ospitante”.
Magari, la “signora rom” non è la sola, probabilmente altri
rom sono nelle sue stesse condizioni, hanno fatto la medesima
scelta o stanno pensando di farla.
L’immaginario collettivo vuole che i rom vivano da secoli ai
margini delle nostre città, pronti a rapire bambini e ad
importunare i passanti. Si spostano rapidamente e riescono a
dileguarsi nell’ombra se le circostanze lo richiedono. Fanno
68
disperare i sindaci ed alzare il livello di conflittualità tra gli
abitanti dei quartieri popolari.
Naturalmente la realtà è molto più complessa di quello
che si immagina, e la "verità" storica sull'origine degli
"Zingari" è ancora più difficile stabilirla. Un dato è pero certo:
il nostro modo di pensare condiziona le nostre azioni e gli
"zingari", gli “africani”, i “cinesi”, i “polacchi” diventano
contenitori già imballati e legati stretti ad un giudizio falso ma
che rende ognuno di noi forte delle proprie pretese.
Non c’è rischio più grande dell’intolleranza all’apertura
mentale.
Libertà
Noi zingari abbiamo una sola religione: la libertà.
In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza e alla
gloria.
Viviamo ogni giorno come fosse l'ultimo.
Quando si muore si lascia tutto: un miserabile carrozzone come un grande
impero.
E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati zingari
che re.
Noi non pensiamo alla morte. Noi la temiamo, ecco tutto.
Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci
offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare: una mattina di sole, un
bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama.
È difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce.
Ci piace camminare sotto le stelle.
Si raccontano strane storie su di noi.
Si dice che leggiamo l'avvenire nelle stelle e che possediamo il filtro
dell'amore. E perché no?
La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi.
Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo.
La nostra è una vita semplice, primitiva.
Ci basta avere per tetto il cielo, un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni,
quando siamo tristi.
69
Il conflitto: studi a confronto
(Morgan Tilenni Dianni)
Si parla di conflitto, nel linguaggio psicologico, quando due o
più qualità o elementi psichici risultano collegati fra loro in
una relazione nella quale prevalgono aspetti di discrepanza,
dissonanza, opposizione, disarmonia, forte contrasto.
A seconda della natura delle qualità o degli elementi fra loro
discordanti, si sperimentano conflitti emotivi (disaccordo fra
desideri, bisogni, istanze, tendenze, valenze affettive: come
quando, per esempio, si ama e si odia simultaneamente la
stessa persona); oppure conflitti cognitivi 3 (disaccordi fra
aspetti conoscitivi: come quando, per esempio, si individua un
elemento come dotato del carattere di figura e nello stesso
3
Circa cinquanta anni fa, un movimento scientifico che ha integrato le
prospettive di diverse discipline quale la psicologia, la linguistica,
l’intelligenza artificiale e la neuroscienza, ha preso piede con il nome di
scienza cognitiva. Nel 1937 Piaget sosteneva che “l’intelligenza organizza
il mondo organizzando se stessa”, quindi la conoscenza è caratterizzata
dalla scoperta e dall’esperienza ed è costruita nella presa di coscienza della
interazione fra la mente e l’ambiente esterno. Quindi il bambino è parte
attiva nella costruzione del reale. Secondo la psicologia cognitiva l’attività
principale della nostra mente è quella di mettere in atto un processo di
rielaborazione in base a strutture e schemi che, di volta in volta, ci creiamo.
Ossia, la mente processa e trasforma le informazioni. La ritenzione dei
concetti avviene attraverso il riconoscimento di idee áncora, cioè la nostra
mente, nell’apprendere nuovi processi, si aggancia ad elementi specifici,
che poi vengono sistematizzati nella struttura gerarchica.
I processi successivi sono quelli della differenziazione (riorganizzazione
dei concetti in una struttura coerente) e dell’integrazione (sistematizzazione
di nuovi concetti sulla conoscenza preesistente).
Psicologi cognitivisti hanno individuato l’aspetto emotivo di ogni individuo
come una vera intelligenza da sviluppare e Gardner, nell’elaborare la sua
teoria delle Intelligenze Multiple, ha visto nell’intelligenza emotiva una
particolare forma sia dell’intelligenza intrapersonale che di quella
interpersonale.
70
tempo di sfondo, come in certe raffigurazioni di “oggetti
impossibili”; oppure come quando si confrontano opinioni
divergenti emesse da più persone su un problema); conflitti
motori (discrepanze fra azioni motorie: come quando, per
esempio, si cerca di correre e nello stesso tempo di tenere in
equilibrio un vassoio con bicchieri riempiti di acqua sino
all’orlo).
Un’ulteriore distinzione è quella fra conflitti centrali o consci
(in cui entrambi gli elementi o aspetti dissonanti appaiono
chiari nella coscienza della persona) e conflitti marginali,
preconsci o inconsci, (in cui almeno uno degli elementi non è
presente alla chiara auto-consapevolezza di colui che vive la
situazione di conflitto).
Infine un’altra distinzione è quella fra conflitti intra-personali
(confitti fra elementi limitati alla sfera operativa del singolo
individuo) e conflitti inter personali (conflitti fra elementi dei
quali almeno uno si riferisce alla sfera operativa di un diverso
individuo; come appunto nel conflitto di opinioni).
Come è stato da tempo riconosciuto a livello clinico e a livello
sperimentale, caratteristica delle varie forme di conflitti è
quella di produrre uno stato di tensione, o ansietà, nella
persona.
71
Kurt Zadek Lewin
(Mogilno, 9 settembre 1890 - Newtonville, 12 febbraio 1947)
K. Lewin, psicologo tedesco, pioniere della psicologia sociale,
ha centrato la sua attenzione su varie forme di competizione fra
tendenze, da cui possono dipendere stati conflittuali,
distinguendo:
a) conflitto doppiamente adiente -si ha fra due tendenze
appetitive, allorché il soggetto è attirato da due mete
diverse ed opposte, ma di pari intensità attrattiva, come
quando una persona deve scegliere fra due professioni,
entrambe molto desiderate ma inconciliabili-;
b) conflitto doppiamente vitante -si ha fra due tendenze
avversative, allorché il soggetto viene respinto da due mete
diverse ed opposte, ma aventi pari intensità repulsiva, come
quando una persona deve scegliere fra due attività entrambe
sgradevoli ma inevitabili, o fra un dovere odiato ed una
punizione temuta (i conflitti di questo tipo risultano più
intensi di quelli di tipo “adiente”)-;
c) conflitto adiente-vitante -si ha fra una tendenza appetitiva
ed una avversativa, allorché il soggetto ha di fronte una
meta ambivalente, cioè una meta che presenta aspetti
opposti, attrattivi e repulsivi, coesistenti, come quando una
72
persona prende in considerazione una professione
sgradevole ma altamente remunerativa-;
d) conflitto doppiamente adiente / doppiamente vitante -si
costituisce in una situazione più complessa, nella quale il
soggetto è incerto fra due mete entrambe ambivalenti,
ciascuna delle quali presenta sia aspetti positivi sia aspetti
negativi, come quando una persona deve scegliere fra due
attività, l’una delle quali sia molto gradevole ma
scarsamente remunerativa, l’altra molto sgradevole ma
altamente remunerativa.
Studi sul conflitto da opposti apprendimenti, mediante tecniche
molto perfezionate, sono stati compiuti in soggetti umani negli
Stati Uniti e in vari paesi europei, da K. R. Hammond e da
altri; in Italia, da G. B. Bartoli e da P. Bonaiuto.
È stata dimostrata la possibilità di manipolare anche
farmacologicamente l’intensità dei conflitti psichici
sperimentali. Secondo alcuni autori (come L. Festinger) il
comportamento umano sarebbe volto al continuo tentativo di
ridurre ed eliminare i conflitti.
Infine, ricordiamo gli studi di K. Goldstein, C. Buhlar, D. E.
Berlyne, P. Mc Reynolds e P. Bonaiuto, che hanno messo in
luce il fatto che il conflitto, e la conseguente tensione emotiva,
possono venire desiderati e attivamente ricercati dal bambino e
dall’adulto, così da portare a configurare una vera e propria
motivazione al conflitto (“motivazione all’avventura”).
Le immagini conflittuali e le situazioni di problema attirano
l’attenzione e impegnano alla ricerca di una soluzione; esse
vengono quindi adoperate nella pubblicità, nella didattica e
nelle arti visive. Difficilmente una persona riesce a permanere
a lungo in condizione di neutralità e di piattezza emotiva se
esposta ad un conflitto. Addirittura, certe situazioni di rischio
73
reale, come il gioco d’azzardo, gli sport violenti e pericolosi, le
violazioni di regole e di tabù, vengono appositamente scelte,
allestite ed apprezzate dagli individui e dai gruppi.
Frequentemente, inoltre, si coltiva l’identificazione con
personaggi protagonisti di situazioni altamente conflittuali:
negli spettacoli, nei racconti, nei romanzi…
Il conflitto risulta, pertanto, un importante motore
motivazionale al quale l’uomo risponde, in maniera più o meno
funzionale, al fine di trovare una risoluzione dello stesso.
74
I possibili sviluppi del conflitto
(Maria Talestri Leanza)
Il conflitto nasce spesso dall’aggressività e si alimenta con
essa. Tanto il concetto di conflitto quanto quello di aggressività
hanno interessato e continuano ad interessare la maggior parte
delle scienze umane, soprattutto la sociologia e la psicologia,
trovando ultimamente sempre più spazio anche nel settore
pedagogico.
L’aggressività umana è stata trattata sotto un profilo
prettamente
negativo,
considerando
soprattutto
gli
innumerevoli danni che essa ha prodotto. È stato merito della
psicologia, e in particolare delle scuole di psicoterapia, l’avere
colto, nella capacità di valutare positivamente i conflitti, la
migliore condizione per lo sviluppo della personalità.
Essere in grado di gestire il conflitto rappresenta un elemento
cardine dell’educazione interculturale.
Nel gergo comune, l’aggressività e i conflitti vengono
considerati principalmente come qualcosa di negativo, da
evitare, da reprimere e da nascondere. Di per sé, il significato
etimologico del termine “aggressione” si rifà all’etimo latino
ad e gredior (dirigersi). In latino ad può significare “contro”:
in questo caso potrebbe effettivamente riferirsi a
quell’aggressività negativa (assalire, distruggere) di cui è piena
la letteratura occidentale. Tuttavia ad richiama anche un
atteggiamento positivo: “andare verso”, ovvero crescere,
sentirsi vitali, muoversi in modo deciso per raggiungere un
obiettivo e per farlo proprio, affrontare la realtà, dominarla
positivamente e propositivamente, orientarsi.
Pertanto, nell’educare all’intercultura, occorre muoversi dal
presupposto che l’aggressività di base, nonostante alcune
“utopie pacifistiche”, è una tendenza ineliminabile dell’essere
75
umano. Essa non può essere né repressa né lasciata manifestare
in maniera incontrollata e distruttiva ma, come direbbe la
pedagogia, “dinamicamente indirizzata al fine di promuovere
un giusto quantitativo di aggressività difensiva, così come un
giusto quantitativo di aggressività costruttiva”.
Il conflitto, scrive Gandhi, convive con la pace, non nel senso
di aiutare chi commette il male a continuare a farlo, né di
tollerarlo passivamente, bensì, nel senso di saperlo conoscere
ed esplicitare, cercando di gestirlo nel modo più attento
possibile al fine di non renderlo distruttivo per sé e per i propri
simili.
Quando si accetta il confronto, pur litigando, si trasmette
all’altro il messaggio che il suo punto di vista interessa e che si
è disponibili a mettere in discussione il proprio.
Comunemente, i conflitti vengono vissuti dalle persone come
qualcosa di fastidioso o, addirittura, di distruttivo, qualcosa da
evitare in tutti i modi. Di fatto, però, in forza alle suddette
riflessioni in ambito pedagogico e psicologico, i conflitti
dovrebbero essere considerati un segnale importante di
qualcosa che non va più e che deve essere modificato.
Se è vero che i conflitti mal gestiti possono determinare
negativismo e distruttività, è altrettanto vero che essi possono
costituire un’opportunità di crescita personale e sociale,
rappresentando un vero e proprio campanello di allarme pronto
a richiamare l’attenzione sulle differenze che cercano un
contenitore comune e scambio reciproco.
Pertanto, se i conflitti determinano effetti distruttivi o
miglioramenti nella comunicazione, questo dipenderà
soprattutto dalle modalità di comprensione e di gestione che si
possiedono.
76
Alcuni esempi di gestione negativa o distruttiva del conflitto
sono: identificare nell’altro il problema, non considerare le
motivazioni che spingono all’azione il nostro interlocutore,
accusare e pretendere che l’altro sia come noi lo vogliamo,
diminuire l’ascolto e la relazione. Il risultato di tali
atteggiamenti è giungere ad un binario morto, da dove non si
riesce più ad uscire con le proprie forze. Spesso, il risultato si
traduce in spirali di aggressività e di violenza in cui ognuno
cerca di collocare l’altro in un piano inferiore, ma dove alla
fine risultano perdenti tutti, serbando forti sentimenti di
frustrazione, di rabbia e di risentimento.
Di contro, alcuni esempi di evoluzione positiva o costruttiva
del conflitto sono: la discussione assertiva, l’assunzione di
responsabilità condivise, l’accoglienza, il chiarimento e la
collaborazione (cercando di riconoscere la natura, i motivi e
l’entità del problema) e la proposta di possibili soluzioni che
tengano conto di entrambi i punti di vista 4.
4
Portera A.- Dusi P., Gestione dei conflitti e mediazione interculturale,
Franco Angeli, Milano, 2005.
77
Tecniche educative di mediazione e gestione dei conflitti
(Morgan Tilenni Dianni)
Attraverso la mediazione è possibile individuare e risolvere i
conflitti, poiché in essa si “progettano le soluzioni” e si ha
l’occasione di crescita e di arricchimento, insita nei conflitti
stessi.
Se il conflitto si risolve senza violenza né potere, ma attraverso
la mediazione, non solo si trova la soluzione al problema, ma si
prevengono anche quelli futuri, promuovendo la reciproca
condivisione e crescita.
Ricordiamo i principali autori che si sono occupati di tecniche
di medizione del conflitto: E. G. Cohen, C. McMahon, D. W.
Johnson e R. T. Johnson, S. Lamberti, P. Batelaan, C. van
Hoof.
Nella risoluzione dei conflitti, la mediazione tiene conto sia
della componente oggettiva dell’entrare in relazione con l’altro
che di quella emotiva.
Attraverso il coaching -forma di consulenza a singole persone
attraverso un trainer personale- è possibile migliorare le proprie
competenze relazionali.
E. G. Cohen, prendendo in esame un gruppo di allievi
immigrati, ha parlato di complex instruction. L’obiettivo di
una pedagogia interculturale, egli afferma, consiste nello
stimolare il concetto di uguaglianza all’interno di una classe.
Egli propone la creazione di gruppi eterogenei e
l’assegnazione, ad ogni discente, di un compito specifico, al
fine di far dialogare e interagire gli alunni tra loro, facendo
capire loro che, per risolvere compiti complessi, sono
necessarie abilità differenti.
78
C. Mc Mahon, invece, ha elaborato un programma
sperimentale, in dodici tappe, dopo averlo applicato in alcune
scuole di Birsbarne.
Egli finalizza l’intervento educativo allo sviluppo di tre grandi
categorie educative:
- win/win -la considerazione dei bisogni di ognuno,
utilizzando assertività appropriata, volontà di risolvere
il conflitto, abilità di negoziazione (il motto del discente
dovrebbe essere: “duri col problema, soffici con le
persone”)- creative response -la comprensione del problema da
parte di ognuno, al fine di trovare soluzioni per
risolvere il conflitto sotto tutti i punti di vista- empathy -la gestione delle proprie emozioni,
stimolando il decentramento e verificando la situazione
anche dal punto di vista degli altri.
Laddove i conflitti appaiono irrisolti l’autrice suggerisce
l’intervento di un mediatore.
D. W. Johnson ed R. T. Johnson hanno proposto un
programma a cui hanno dato il nome di Teaching student to
be peacemakers.
Una prima tappa prevede la creazione di situazioni in cui gli
alunni devono assumersi alcune responsabilità.
A questa segue la fase II: gli alunni devono riflettere sul valore,
l’entità e il significato di un conflitto.
Nella fase III ci si confronta sulla negoziazione di un
conflitto: gli alunni possono esprimere il proprio punto di vista
liberamente e avanzare tre proposte di soluzione, fra cui si
sceglierà la migliore.
La IV fase contempla la scelta, da parte dell’insegnante, di due
alunni che svolgono il ruolo di mediatore.
79
Nella V fase vengono proposti due giorni settimanali, durante i
quali la classe si esercita con le procedure di negoziazione e di
mediazione.
La VI fase prevede la ripetizione del lavoro precedente svolto e
l’evoluzione, a spirale, dello stesso.
Il programma Teaching student to be peacemakers consiste in
una proposta educativa che evolve nell’arco di dodici anni,
periodo durante il quale gli studenti diventano sempre più abili
nella risoluzione dei conflitti. Infatti, è stato dimostrato che
mentre prima, di fronte ad un conflitto, gli studenti ricorrono
soprattutto agli insegnanti, dopo tale training, essi risolvono il
conflitto auto-organizzandosi e positivamente, ricorrendo
raramente agli adulti.
Altra strategia per la gestione dei conflitti, elaborata sempre da
D. W. Johnson e da R. T. Johnson, è quella della negoziazione.
Tale processo prevede che le parti siano assertive, mantengano
la collaborazione e facciano confluire il proprio punto di vista
con quello dell’altro, accettando le proprie e le altrui ragioni
evitando di far prevalere le une sulle altre e viceversa.
Tale strategia prevede i seguenti passaggi:
- individuare i motivi del conflitto e discuterli per
superarlo;
- capire i propri scopi e cosa ci si aspetta dall’altro;
- comprendere le ragioni dell’altro;
- confrontarsi, discutere sul problema e non sulla
persona;
- ricercare soluzioni favorevoli ad entrambe le parti.
I due autori hanno proposto, infine, anche la tecnica della
controversia; ovvero: sviluppare tesi opposte su un argomento,
dividersi in gruppi e confrontare le opinioni.
80
S. Lamberti si è occupata della gestione interculturale dei
conflitti parlando di Cooperative Learning, una metodologia
per promuovere l’educazione interpersonale.
Il metodo da lei proposto si fonda su cinque elementi:
1. interdipendenza positiva;
2. interazione promozionale faccia a faccia;
3. insegnamento diretto e uso di abilità sociali;
4. revisione e valutazione del lavoro sia di gruppo che
individuale;
5. lavoro in piccoli gruppi eterogenei.
Ogni alunno non solo interagisce, ma diventa anche risorsa per
l’altro.
81
Assertività ed ascolto attivo
(Grazia Frazzetto)
Per riuscire ad instaurare buoni rapporti e ad essere soddisfatti
di se stessi, si deve raggiungere l’assertività che rappresenta la
via di mezzo tra un comportamento passivo ed uno aggressivo.
Essa è la capacità di esprimere i propri bisogni, di far valere i
propri diritti senza offendere o ledere i diritti altrui.
Per diventare assertivi serve, innanzitutto, avere un buon livello
di autocritica, poi imparare a controllare le proprie emozioni,
saper esprimere il proprio disaccordo, saper ascoltare,
ammettere i propri errori e riuscire anche ad essere autoironico.
Certo, non si può pretendere che nell’immediato si possa
raggiungere un tale stato, ma piuttosto, invece di provar a
cambiare gli altri, possiamo iniziare da noi stessi, cercando di
migliorare i nostri difetti.
Riuscendo a raggiungere un equilibrio sia mentale che fisico, e
riscoprendo, soprattutto, la felicità e la soddisfazione nei
confronti del proprio “sentirsi” parte del mondo, è possibile
comprendere come ogni comunicazione rappresenti uno dei
tanti aspetti del comunicare.
Anche l’ascolto attivo può essere considerato un elemento di
fondamentale importanza al fine di migliorare la nostra
capacità di comunicazione. Comprendere l’altro vuol dire
ascoltarne i messaggi del corpo, il tono della voce, la postura,
in quanto, come scrive Watzlawick, non si può non
comunicare; pertanto, tutto è comunicazione.
Serve avere, quindi, un’ampia apertura mentale che consenta di
decentrarsi per provare ad “indossare i panni dell’altra
persona”.
Dal confronto e dallo scambio di idee si ha poi, in automatico,
un arricchimento personale, un aumento dell’autostima ed una
maggiore fiducia in se stessi.
82
Il dialogo interculturale
(Morgan Tilenni Dianni)
Ogni diversità rappresenta una potenziale minaccia nei
confronti di un processo di stabilità interiore al quale l’essere
umano è portato quotidianamente ad affidarsi.
Quando l’interesse nei confronti dell’altro-diverso-da-noi cede
il passo alla paura dell’ignoto si giunge al conflitto.
Allora, potremmo porre a noi stessi queste domande:
- è davvero possibile superare il pregiudizio?
- come si possono affrontare i sentimenti di incertezza,
l’ambiguità, le possibili incomprensioni, tenendo
sempre presente l’obiettivo che è la mediazione?
Ebbene, il dialogo ci viene in aiuto in quanto moderatore,
ponte di mediazione e, pertanto, ponte di relazione con l’altrodiverso-da-noi. Soltanto attraverso il dialogo la potenza dello
scambio è in grado di abbattere false certezze cognitive, dogmi
ed intolleranze.
La comunicazione r-esiste quando si è pronti a riconoscere
nell’altro qualche aspetto di se stessi avente il plusvalore della
diversità. La mediazione interculturale, infatti, entra in gioco al
fine di riconoscere e salvaguardare l’identità dell’altro.
Anche l’interculturalismo rappresenta un modello
antropologico, sociale, politico e culturale in cui la conoscenza
e lo scambio reciproco determinano ascolto, dignità,
collaborazione, solidarietà e crescita.
L’integrazione, in tale prospettiva, diventa quindi un processo
di accrescimento e di arricchimento collettivo in cui si
riconosca parità di diritti a tutti i “cittadini del mondo”.
83
M. Abdallah Pretceille, nel suo libro L’éducation
interculturelle, suggerisce di aprire la mente ad un orizzonte
più vasto attraverso:
- l’insegnamento delle civiltà;
- l’educazione ai diritti dell’uomo;
- le azioni di riflessione sul terzo mondo;
- gli scambi linguistici.
H. Essinger in The education and cultural development of
migrants ribadisce l’importanza dell’educazione:
- all’empatia;
- alla solidarietà;
- al rispetto interculturale;
- al pensiero non nazionalistico.
Risulta pertanto necessario (Geertz, 1998) 5:
- riconoscere il valore dei contributi culturali provenienti
da contesti sociali extraoccidentali,
- superare l’etnocentrismo relativizzando la propria
cultura,
- liberarsi da pregiudizi e stereotipi per ampliare le
proprie limitate vedute,
- non cedere alle pratiche più comuni nell’affrontare le
differenze, cioè al paternalismo, all’indifferenza e
all’arroganza,
- sviluppare competenze comunicative interculturali,
empatia, tolleranza critica e capacità di superamento
delle situazioni di conflitto causate da fraintendimenti
interculturali, scoprendo una nuova cultura e, al
contempo, imparando a vedere la propria da una diversa
prospettiva.
5
Geertz C., Mondo globale, mondi locali, Il Mulino, Bologna,
84
Comunità non coese possono condurre facilmente a conflitti
interculturali.
Potrebbe essere molto utile coinvolgere i giovani per creare
quartieri fondati su valori e somiglianze condivise, per far
fronte ai fenomeni del razzismo e del patriarcalismo.
Tuttavia, la prima tentazione delle classi dominanti è quella di
imporre l’assimilazione della cultura del Paese ospitante a
persone di altre origini culturali.
Compito della formazione interculturale consiste, pertanto, nel
favorire la convivenza sociale invitando alla condivisione,
all’accettazione e alla considerazione della “cultura altra” come
elemento di ricchezza per la propria.
Ogni differenza non vuol dire necessariamente impossibilità di
coesione, bensì possibilità di sviluppo.
Bisogna, però, stare attenti a non cadere nel baratro della
tolleranza passiva, in quanto la tolleranza come sopportazione
di una devianza non farebbe altro che comportare ipocrisia,
razzismo e/o buonismo.
Il riconoscimento dell’altro comporta rispetto, apertura allo
scambio, reciproco apprendimento, autoconsapevolezza
emozionale e gestione creativa dei conflitti, accogliendo l’altrui
punto di vista pur non tralasciando il proprio.
Diventare cittadino di una società multiculturale e sentirsi tale
vuol dire decolonizzare il pensiero, cioè saper guardare oltre i
propri circoscritti e limitati orizzonti.
Essendo il divario della società multiculturale legato ad un
quadro socio-politico complesso, occorre creare spazi in cui
potere e sapere comunicare, lavorare per una vera e propria
politica dell’educazione, una pedagogia che miri ai problemi
del presente e che ci abitui ad incontrare, come suggerisce lo
stesso Gadamer, “noi stessi nell’altro”.
85
Altri elementi fondanti di una politica interculturale sono:
- la soppressione dell’etnocentrismo -atteggiamento per
cui si tende ad attribuire un carattere di superiorità al
proprio gruppo etnico e ai propri valori-;
- l’abbattimento dello stereotipo -percezione o concetto
relativamente rigido ed eccessivamente semplificato o
distorto di un aspetto della realtà-.
86
Strumenti pratici per il mediatore
(Gianfranco Mento)
Per una figura professionale in via di riconoscimento come lo è
quella del mediatore interculturale, l’autopromozione risulta
necessaria. È importante farsi conoscere, definire i propri
“spazi personali”, sensibilizzare al proprio operato i cittadini, le
Istituzioni e gli Enti di formazione sia pubblici che privati.
Vengono di seguito riportati alcuni esempi di materiale,
fotocopiabile, utile al fine di creare un’identità alla figura del
mediatore interculturale.
Come presentarsi?
La figura del Mediatore
Interculturale
–
- Chi Siamo
- La Nostra attività
- I nostri obiettivi
87
Chi Siamo
z
z
z
88
Il Mediatore Interculturale si pone come ponte tra
l’immigrato e le istituzioni.
Favorisce l’interscambio tra i popoli da un punto
di vista culturale, ma lo regola secondo principi di
reciproca e pacifica convivenza.
E’ una professione riconosciuta, in una realtà in
cui la mescolanza di etnie e la loro relativa
coabitazione è ormai esperienza quotidiana.
La Nostra attività
Ci poniamo come “luogo di incontro”. Il
nostro non e’ un mero lavoro di officianti
o di impiegati su una sedia logora. Il
mediatore opera dentro e fuori, a contatto
umano con l’immigrato e preciso con le
istituzioni, e sempre mettendo a
disposizione il suo sapere a servizio di chi
ne necessita.
89
I nostri obiettivi
I nostri obiettivi non sono certo semplici nè facili da
realizzare. Quantomeno possiamo suddividerli in:
90
•
obiettivi a breve termine
riuscire ad integrare, nel modo migliore, il cittadino
immigrato nel tessuto sociale del paese di arrivo;
•
obiettivo a lungo termine
favorire un dialogo e un incontro costruttivo tra i
popoli.
Alcuni esempi di opuscoli in-formativi.
(Claudia Bruno, Valentina Contadino, Paolo Donzelli,
Haissam El Kadi, Grazia Frazzetto, Nawzad Khurshid,
Maria Talestri Leanza, Eleonora Lucifora, Angela Lunelio,
Maria Grazia Marrello, Ivana Maugeri, Cristina
Mazzarino, Gianfranco Mento, Morgan Tilenni Dianni)
S
Se
eii u
un
n cciitttta
ad
diin
no
o ssttrra
an
niie
erro
o??
H
Haaii bbiissooggnnoo ddii iinnffoorrm
maazziioonnii??
V
Vuuooii ccoonnoosscceerree ii sseerrvviizzii ddeellllaa cciittttàà??
C
Ceerrcchhii llaavvoorroo?? C
Ceerrcchhii uunnaa ccaassaa??
P
Pu
uo
oii rriiv
vo
ollg
ge
errttii a
ad
du
un
n
m
me
ed
diia
atto
orre
e iin
ntte
errccu
ullttu
urra
alle
e
Guida per una consapevole richiesta di aiuto
91
Il Mediatore Interculturale…
è un esperto in comunicazione il cui obiettivo è
quello di facilitare l’integrazione dei cittadini
immigrati.
Si occupa di promuovere una relazione positiva
tra persone di culture diverse al fine di evitare
conflitti o incomprensioni.
Accoglie le richieste dei cittadini immigrati e
accompagna gli stessi facendo conoscere i
servizi del territorio che possano essere loro di
riferimento.
Collabora con gli operatori degli uffici pubblici
e privati (scuole, ospedali, questure, Direzioni
provinciali del lavoro…) nelle attività di
consulenza,
informazione,
formazione,
orientamento e accompagnamento rivolte al
cittadino straniero, promuovendo un lavoro di
rete che accolga quest’ultimo e lo accompagni
in un processo di scambio e di integrazione
culturali.
92
La Mediazione interculturale...
è uno strumento chiave nel processo di
integrazione del cittadino straniero.
Non consiste in una semplice azione di
interpretariato linguistico, bensì in una vera
e propria ricerca di situazioni e contesti che
possano essere di aiuto al cittadino
immigrato.
“Non esiste condivisione senza accoglienza,
scambio senza differenze,
integrazione senza partecipazione”
93
Ruoli del mediatore interculturale
- Creare le condizioni, per tutti, di pari
opportunità nell’accesso ai servizi;
- favorire la conoscenza delle culture degli
immigrati ed il mantenimento della loro
identità culturale;
- accompagnare il cittadino immigrato in un
percorso di integrazione e partecipazione
attiva alla vita comunitaria;
- collaborare con le istituzioni per il
coordinamento delle attività e per la
realizzazione di un flusso informativo
costante;
- suggerire possibili soluzioni, adeguate agli
specifici contesti, finalizzate a far
emergere la concretezza dei valori e delle
diversità delle culture;
- costruire una rete di comunicazione con i
Paesi d’origine e l’avvio di rapporti con le
ambasciate.
94
I diritti del cittadino straniero
GZ,’06
A tutti i cittadini stranieri, anche non in
regola con il permesso di soggiorno, sono
garantiti:
il Diritto alla SALUTE
- le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti
o essenziali, anche continuative, per
malattia e infortunio, gli interventi di
medicina preventiva, la tutela della
gravidanza e della maternità, la tutela
della salute del minore, le vaccinazioni e
gli interventi di profilassi internazionale.
Il Diritto allo STUDIO
-
l’istruzione e la partecipazione alla vita
scolastica per i ragazzi stranieri fino alla
scuola dell’obbligo.
Il Diritto alla DIFESA
- gli stranieri che dimostrino di non avere
un reddito sufficiente per pagarsi un
avvocato hanno diritto a chiedere il
gratuito patrocinio.
95
Alcuni servizi offerti
da un mediatore interculturale:
-
Accoglienza e ascolto
-
Analisi dei bisogni, delle aspettative e
delle richieste della persona
-
Orientamento ai servizi del territorio
-
Accompagnamento presso i servizi
assistenziali, scolastici, sociali, di
pubblica sicurezza
-
Accompagnamento al lavoro
-
Corsi di lingua italiana
-
Informazioni sulle procedure per la
richiesta di rilascio/rinnovo permessi di
soggiorno e/o asilo politico
-
Orientamento alle consulenze legali
PER INFORMAZIONI
www.mediatoreinterculturale.org
(sito internet in lingua italiana, inglese, francese)
96
(Nawzad Khurshid)
“Il Ponte”
Carlo Barbato, Urbino, 2002
Il Mediatore Interculturale
97
Il fenomeno dell’immigrazione: la figura
professionale del mediatore interculturale.
In questi ultimi anni, nel nostro Paese, si è assistito
ad un notevole incremento del fenomeno
dell’immigrazione. Risulta necessario, pertanto,
trovare strumenti adeguati al fine di favorire
l'inserimento, la partecipazione e l’integrazione dei
cittadini immigrati nel nostro contesto sociale,
rispettandone i costumi, i valori e le differenti
usanze.
La condivisione di modelli interculturali può
rappresentare una grande risorsa quando armonia e
collaborazione si incontrano in un progetto di
convivenza e sviluppo di nuove “comunità” a misura
d’uomo, di qualsiasi provenienza esso sia.
La figura del Mediatore Interculturale nasce,
pertanto, dall'esigenza di conciliare più di un
interesse e di salvaguardare alcuni valori culturali e
religiosi e alle peculiarità delle numerose comunità
immigrate presenti sul territorio.
98
Il Mediatore interculturale è una figura professionale
che, agendo con imparzialità, svolge attività di
collegamento tra persone immigrate appartenenti a
culture straniere e associazioni, strutture sociosanitarie, servizi e istituzioni locali, nazionali ed
internazionali, con l’obiettivo di fornire risposte
quanto più conformi alle esigenze di integrazione di
ogni singolo individuo. Pertanto, in una società
multietnica e multiculturale come la nostra, diventa
sempre più una figura indispensabile.
Il ruolo del mediatore, la cui funzione necessita di
vaste e ricche conoscenze pedagogiche, sociali,
storiche e culturali, nonché di capacità e tecniche di
mediazione e di conciliazione, è determinante al fine
dell’integrazione socio-culturale dei cittadini
immigrati.
99
“Il valore della libertà” Carlo Barbato, Urbino, 2002
Le azioni che disconoscono i diritti umani, che
inneggiano alla violenza, che attuano discriminazioni,
vanno modificate e finalizzate al rispetto della dignità
e delle libertà fondamentali della persona.
100
Dove opera il mediatore interculturale?
Le principali strutture pubbliche presso le quali la
presenza dei mediatori risulta indispensabile sono:
- i Centri di prima accoglienza, di informazione e di
consulenza
- gli Uffici Pubblici
- i Servizi Sociali
- i Provveditorati agli Studi (per l’accompagnamento e
l’inserimento degli alunni immigrati nella scuola)
- i Tribunali
- gli Ospedali
- le carceri
Quali sono i requisiti fondamentali di un mediatore
interculturale nel nostro Paese?
1. padronanza della lingua italiana e, almeno, di una
lingua straniera,
2. buona conoscenza della storia, della cultura e della
religione sia italiana che del paese di provenienza
di coloro che sono immigrati,
3. conoscenza di base della legislazione italiana,
4. solida formazione culturale e conoscenza dei
meccanismi della comunicazione,
5. pazienza e capacità di mediazione,
6. elasticità nell'interpretazione del proprio ruolo,
7. possibilità di accesso ai servizi e alle modalità di
espletamento delle principali pratiche burocratiche del
nostro Paese
101
Azadì
L’associazione umanitaria e indipendente per la
solidarietà con il popolo kurdo e gli immigrati in
genere è stata fondata in Italia nel 1993. Scopo
principale dell'associazione è sensibilizzare l'opinione
pubblica
alle problematiche
dell'immigrazione,
alle situazioni dei popoli del sud del mondo e alle
continue violazioni dei diritti umani.
Azadì (libertà in lingua kurda) si impegna nella ricerca
dei modi e dei mezzi più idonei per l'aiuto e la
solidarietà verso i popoli immigrati, si attiva in un
lavoro di rete al fine di permettere l'integrazione e la
partecipazione attiva dei cittadini stranieri, promuove
la raccolta di fondi, materiali e beni da inviare al
popolo kurdo, indipendentemente dai confini statali o
amministrativi in cui si trova a vivere. Per tali scopi è
pronta ad aiutare e incoraggiare organismi nazionali,
internazionali e organizzazioni non governative che
rappresentano e tutelano gli interessi dei popoli del sud
del mondo.
102
Per informazioni:
w
.azaazd
Per inw
fowrm
ioì-nkiurdistan.org
www.mediatoreinterculturale.org
(sito internet in lingua italiana, inglese, francese)
e-mail: [email protected] cell. 348 2859901
L’identità del mediatore interculturale: cartellini di
riconoscimento e segnaposti
103
GZ,’06
Mediatore
Interculturale
104
Mediatore
Interculturale
105
Protocollo per un primo colloquio: schede di accoglienza e
possibili approfondimenti
(Eleonora Lucifora, Grazia Frazzetto)
Durante i primi incontri con i cittadini stranieri è necessario
raccogliere informazioni orali sulla loro storia e sulle loro
condizioni di vita.
Vengono qui di seguito presentati un protocollo per
l’accoglienza, un protocollo di primo colloquio, pratico
strumento di lavoro quotidiano che accompagna la relazione
con il migrante, nella comprensione di ciò che sono le sue
richieste, e una scheda generica da utilizzare ad un primo
approccio con il cittadino straniero.
Naturalmente, il tutto andrà unito ai sorrisi e alla delicatezza
degli operatori.
ACCOGLIENZA
1) Come si chiama?
2) Quanti anni ha?
3) Da dove viene?
4) Quando è arrivato in Italia?
5) E’ da solo o c’è qualcun’altro con lei?
6) Dove abita ora?
7) Ha problemi di salute?
8) Come posso aiutarla?
106
PROTOCOLLO DI PRIMO COLLOQUIO
Nome ____________________________________________
Cognome
________________________________________
Nato a ___________________________ il _____________
1) Qual è la sua provenienza?
2) Quando è arrivato in Italia?
3) Come e perchè è arrivato in Italia?
4) Come vive il distacco dalla sua terra e dai suoi
familiari?
5) Quale lingua parla abitualmente?
6) Dove vive in Italia?
7) L’abitazione è fornita dei servizi necessari?
8) Vive da solo o ci sono altre persone con lei?
9) Che tipo di legame c’è tra i conviventi?
10) Ognuno ha la sua camera o vivete in molti nella stessa
camera?
11) Quale scuola ha frequentato?
12) Che titolo di studio ha conseguito?
13) Svolge qualche attività lavorativa?
14) Ha un regolare contratto di lavoro?
15) Con chi viveva nel paese d’origine?
107
16) Quali sono le sue abitudini: cibo, sonno, preferenze,
giornata tipo?
17) In Italia ha occasioni di scambio? Quando? Con chi?
18) Come si trova in Italia?
19) Qual è la sua condizione di salute?
20) Qual è quella dei suoi conviventi?
21) E’ iscritto all’assistenza sanitaria nazionale?
22) Ha particolari esigenze?
23) Nell’ambiente di lavoro vive in un clima sereno?
24) I rapporti con i colleghi di lavoro sono collaborativi e di
scambio o conflittuali?
25) Frequenta circoli ricreativi e quale tipo di rapporto ha
con gli altri?
26) Ha instaurato dei rapporti di amicizia nell’ambiente in
cui vive?
27) Pratica sport?
28) Ha dei figli? Se sì, che scuola frequentano? Hanno
interessi fuori dalla scuola? Quale è lo stato della loro
salute? …
108
SCHEDA GENERICA
ETÁ
PROVENIENZA
TITOLO DI STUDIO
TRASFERIMENTO IN ITALIA
RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI
RAPPORTO CON I CITTADINI
LOCALI
FRUIZIONE OSPEDALI
o STRUTTURE DEL S.S.N.
FAMIGLIA
RELIGIONE
VARIE
109
FRASI PER VOLERSI BENE
in lingua italiana, rumena e araba
(Haissam El Kadi)
Per potere convivere si ha bisogno di regole: l’ambiente può
sicuramente facilitarne la conoscenza.
Vengono suggerite, di seguito, alcune frasi da poter dare alle
persone immigrate o apporre alle pareti di un Centro per
immigrati o di un Ente che eroga servizi finalizzati alla loro
integrazione.
™ RISPETTIAMO LA CASA COME SE FOSSE CASA NOSTRA
RESPECTATI ORDINE IN CASA PRECUMAR EI CASA TA
™ SE DESIDERIAMO VIVERE BENE IN UNA CASA È
IMPORTANTE RISPETTARNE LE REGOLE
VA RUGAM RESPECTATII REGULA CASEII
™ RISPETTIAMOCI GLI UNI GLI ALTRI
AFI RESPECTAT RESPECTA SITU
™ SIAMO TUTTI UNA FAMIGLIA
SIANTEM TOTI O FAMILIE
110
AFORISMI
(Angela Lunelio)
•
La scoperta dell’alterità è quella di un rapporto, non di
una barriera.
(C.Levi-Straus)
•
Non voglio che la mia casa sia cinta da un muro su tutti
i lati e le mie finestre sbarrate. Voglio che le culture di
tutte le terre circolino nella mia casa con la massima
libertà. Ma mi rifiuto di farmi dominare da una sola di
queste.
(Gandhi)
•
Il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma
l’anziano conosce la strada.
(Sudan)
•
A poco a poco, “poco” diventa di più;
(Costa d’Avorio)
•
Un vecchio saggio vede in lontananza un’ombra, si
allarma e dice con enfasi: “vedo una bestia feroce che
arriva”. La figura si avvicina e il vecchio dice: “mi
sembra di vedere un uomo”. Dopo un po’, il vecchio
esclama: “ho un nuovo amico alla mia tavola”!
(anonimo senegalese)
111
Raccolta di fiabe multicuLturali per favorire
l’integrazione nella scuola.
(Angela Lunelio)
Le Fiabe sono lo specchio del mondo e della vita degli uomini;
appartengono ad un immaginario collettivo in cui la cultura e le
tradizioni dei popoli diventano tangibili. Esse rappresentano il
simbolo dello sviluppo della persona. Ogni cultura ha i suoi
miti e li tramanda di generazione in generazione.
La fiaba è un genere letterario universale che si presta a
numerosissimi itinerari didattici e percorsi immaginativi, grazie
alla sua struttura familiare che stimola la curiosità del bambino
in modo spontaneo ed invita ad intraprendere percorsi evolutivi
sempre nuovi perché “interpretabili a seconda del periodo di
sviluppo di chi le ascolta”.
Le fiabe permettono ai bambini di costruire il proprio mondo
interiore apprendendo, tramite simboli, i possibili percorsi di
vita. In esse non mancano, infatti, le sorprese, i pericoli, gli
incontri piacevoli o quelli indesiderati. Viaggiare attraverso i
racconti permette, pertanto, di conoscere e di conoscersi,
offrendo un terreno d’incontro che non ha barriere né temporali
né etniche.
La fiaba, scrive Calvino, riesce a “realizzare massimi risultati
servendosi di pochissimi mezzi”. Ogni bambino ha bisogno
della sua fiaba, quella che inconsapevolmente lo rassicura, lo fa
crescere, l’aiuta ad affrontare i nodi cruciali dell’esistenza con
un maggior controllo sulle pulsioni interiori e sugli eventi
esterni, offrendo una realtà multisfaccettata. Rielaborando e
meditando tutti i contenuti ed i messaggi che si trovano
all’interno delle fiabe, egli troverà nuove dimensioni per il
proprio immaginario e potrà scoprire nuovi orizzonti e nuove
direzioni da dare alla propria vita. Sono queste le caratteristiche
112
che conferiscono alla fiaba la capacità di legare culture e storie
diverse e, nello stesso tempo, di raccontare delle loro
specificità.
Attraverso la fiaba si possono trasmettere idee, sentimenti,
valori, di cui ognuno si può idealmente alimentare per
arricchire
la
propria
personalità.
La
dimensione
dell’immaginario apre le porte a nuovi sentieri, favorisce
scelte, prospetta percorsi evolutivi, riproducendo tappe
fondamentali dello sviluppo individuale. A tal proposito,
tramite la fiaba è spesso possibile rilevare i tratti della
personalità infantile per avere un quadro sulla maturazione
dell’individuo riguardo, ad esempio, la capacità di ampliare il
proprio punto di vista e di arricchire la propria dimensione
emotiva.
Lavorare con la fiaba multietnica diventa allora un’esperienza
educativa molto significativa, che aiuta a costruire orizzonti
comuni partendo da storie diverse e favorisce l’affermarsi di
valori sociali come la tolleranza e la multiculturalità.
Il racconto, per i bambini stranieri, diventa un ponte di
comunicazione, accompagnandoli nel processo di integrazione
e scambio con la nuova cultura. Il bambino, infatti, si sente
veramente accolto quando lo si invita a creare, insieme ai
compagni, una favola di gruppo.
Anche l’ascolto delle fiabe della propria terra, che l’insegnante
legge alla classe, gli permette di esprimere affetti, nostalgie,
ricordi, recuperare esperienze passate in vista di bisogni
presenti, sentendosi esistere senza rinnegare le proprie origini.
Viene riportata, di seguito, una raccolta di favole, tipiche di
diverse zone del mondo, da poter considerare come possibile
percorso di lettura da potere proporre nelle classi primarie e
secondarie per stimolare l’educazione alla multiculturalità.
113
LA GIRAFFA VANITOSA
(fiaba africana)
Ai limiti di una grande foresta, in Africa, viveva tra gli altri
animali una giraffa bellissima, agile e snella, più alta di
qualunque altra.
Sapendo di essere ammirata non solo dalle sue compagne ma
anche da tutti gli animali, era diventata superba e non aveva più
rispetto per nessuno, né dava aiuto a chi glielo chiedeva. Anzi,
se ne andava in giro tutto il santo giorno per mostrare la sua
bellezza, agli uni e agli altri, dicendo: “Guardatemi, io sono la
più bella”.
Gli altri animali, stufi di udire le sue vanterie, finirono per
prenderla in giro, ma la giraffa vanitosa era troppo occupata a
rimirarsi per dar loro retta.
Un giorno, la scimmia decise di darle una lezione e si mise a
blandirla con parole che le accarezzavano le orecchie:
- Ma come sei bella! Ma come sei alta! La tua testa arriva dove
nessuno altro animale può giungere... E così dicendo, la condusse verso la palma della foresta.
Quando furono giunti là, la scimmia chiese alla giraffa di
prendere i datteri che stavano in alto e che erano i più dolci.
Tuttavia, malgrado il collo della giraffa fosse lunghissimo, per
quanto si sforzasse di allungarlo ancora di più, non riuscì a
raggiungere il frutto. Allora la scimmia, con un balzo, saltò sul
dorso della giraffa, poi sul suo collo e finalmente si issò sulla
sua testa riuscendo ad afferrare il frutto desiderato.
Una volta tornata a terra, la scimmia disse alla giraffa: - Vedi,
cara mia, sei la più alta, la più bella, però non puoi vivere senza
gli altri, né fare a meno degli altri animali -.
La giraffa imparò la lezione e da quel giorno cominciò a
collaborare con gli altri animali e a rispettarli.
114
IL MATRIMONIO DEL TOPO
(fiaba sudafricana)
C'era una volta un bellissimo topolino bianco. E mentre
cresceva diventava sempre più bello. I suoi genitori si
chiedevano spesso: “Dove troveremo una moglie degna per
lui?”
Quando arrivò il momento di cercargli una moglie, decisero
che solo nella famiglia di Dio poteva esserci una topina giusta
per lui. Così, come era d'uso, tre vecchi componenti della
famiglia andarono da Dio a chiedergli una moglie per il bel
topolino. Giunti alla casa di Dio, i tre entrarono e dissero:
“Veniamo per conto del bellissimo topolino bianco, a cercare
una moglie degna di lui: solo tu puoi trovarcela!”
Dio allora disse: “Grazie per essere venuti, ma siete nel posto
sbagliato: dovete andare a casa del vento! Il vento è più forte
di me, perché mi soffia la polvere negli occhi!"
A quel punto i tre messaggeri decisero di andare nella casa del
Vento. Ma giunti là, il Vento disse loro: "Vi ringrazio, ma la
Montagna è più forte di me: io non riesco a scalfirla, malgrado
soffi con tutta la mia forza!”
A quel punto, i tre topi andarono dalla Montagna, che però
disse loro: “Grazie per essere venuti sin qua, ma c'è una
creatura più potente, che mi sbriciola dalle fondamenta: abita
là, andate a trovarla!”e indicò loro il luogo.
I tre andarono nella casa che gli era stata indicata e videro che
era la casa di un Topo.
I tre anziani dissero tra loro: “Abbiamo trovato la moglie per il
nostro bellissimo topolino bianco”.
E così il bellissimo topolino bianco trovò una moglie degna di
lui…
115
I DUE FRATELLI
(fiaba cinese)
Molto tempo fa, in un piccolo paese abitavano due fratelli che
erano molto diversi tra loro. Il piu' grande, Noa, era conosciuto
per essere antipatico e scontroso. Hua, invece, era un giovane
cortese e onesto.
Dopo la morte dei genitori, Noa aveva iniziato ad occuparsi
dell'azienda di famiglia ma, in poco tempo, a causa di
un'amministrazione avventata, arrivò alla bancarotta. Visto che
era disonesto, aveva fatto in modo di tenere per sè parte della
fortuna del padre senza dare niente al fratello.
Hua, invece, che aveva una grande famiglia con 10 figli e
figlie, era rimasto senza denaro e viveva in miseria.
Un giorno, Hua andò a casa di suo fratello per chiedere un po'
di riso. Gli aprì la porta la moglie del fratello e Hua la salutò
con affetto e le chiese: "Mi dai un po' di riso per sfamare la mia
famiglia?".
Per tutta risposta, lei lo colpì sulla guancia con un mestolo
sporco di riso. Hua, per nulla arrabbiato, anzi ringraziandola
per il riso che era rimasto attaccato al suo viso, se ne andò.
Tornando a casa, scoprì che una rondine, che aveva fatto il
nido sotto il tetto del fratello, era stata attaccata da un serpente
ed era ferita ad una zampa. Così la prese in mano e la mendicò,
in modo da permetterle di tornare a volare per potere migrare.
Passò un anno e la rondine tornò. Aveva portato con sè un
seme e lo fece cadere davanti alla capanna di Hua.
Quest’ultimo, trovato il seme, lo mise sotto terra. Nacquero
delle zucche giganti, che, con grande sorpresa di Hua e della
sua famiglia, contenevano molti tesori.
La famiglia di Hua diventò così la famiglia più ricca del
villaggio.
116
Venuto a conoscenza della storia, Noa cercò una rondine, le
ruppe la zampa e la medicò. L'anno dopo, la rondine posò un
seme davanti alla casa di Noa, che lo seminò. Crebbero zucche
enormi, dalle quali uscirono decine di folletti che rubarono tutti
i tesori della sua famiglia e Noa si ritrovò senza nulla.
Hua, vedendo come il fratello si era ridotto, gli diede metà
delle proprie ricchezze e le due famiglie vissero a lungo in
prosperità.
117
LA CREAZIONE DEGLI ANIMALI
(fiaba indiana)
C'era una volta Napi, che era l'aiutante del Sole. Il Sole
riscaldava la Terra mentre Napi faceva tutti i lavori di
manutenzione. Un giorno, Napi terminò presto i suoi lavori e,
dato che non era abituato a tenere le mani ferme, prese un
blocco di argilla e cominciò a modellarla. Con essa fece, una
dopo l'altra, le forme di tutti gli animali della Terra. Era molto
soddisfatto del suo lavoro, così soffiò sopra ogni forma, dando a
ciascun animale un nome e un luogo da popolare sulla Terra.
Alla fine, era rimasto soltanto un piccolo blocchetto di argilla.
Napi lo pasticciò un po', poi fece una strana forma e disse: “Ti
chiamerai uomo, ed abiterai tra i lupi”. Così, soffiando, gli
diede vita.
Dopo aver creato tutte le creature, Napi tornò al suo lavoro.
Tuttavia, un giorno, gli animali andarono da Napi per
protestare: il bisonte non riusciva a vivere in montagna perché
era troppo ripida, le capre della prateria non amavano vivere
nell'acqua, la tigre non si adattava vicino al mare e così via.
Allora Napi ridiede a tutti nuove abitazioni, e questa volta
furono tutti soddisfatti.
Tutti, tranne l'uomo, che vaga dappertutto per trovare un luogo
che lo soddisfi.
118
IL CAMMELLO E LA FORMICA
(fiaba araba)
Una volta un cammello, mentre attraversava la steppa, vide ai
suoi piedi, tra l'erba, una minuscola formica. La piccolina
trasportava un grosso fuscello, dieci volte più grosso di lei.
Il cammello, incuriosito, rimase un bel po’ a guardare come la
formica si dava da fare, poi disse:
- “Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se
niente fosse, un carico dieci volte più grosso di te. Lo, invece,
non porto che un sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come
mai?”
- “Come mai?” rispose la formica, fermandosi un momento;
“ma è semplice: io lavoro per me stessa, mentre tu lavori per
conto di altri, sei costretto da un padrone”. Così dicendo, si
rimise il fuscello sulle spalle e riprese il suo cammino.
119
PERCHÉ L’ELEANTE È COSÍ GRANDE?
(leggenda africana)
Narra una leggenda africana che, all'origine del mondo, l'elefante
aveva la statura degli altri animali, nonostante ciò era il più
prepotente, voleva comandare su tutti ed essere servito e riverito
come un re.
Gli abitanti della savana, stanchi delle sue prepotenze, si riunirono di
nascosto in assemblea e dissero:
- “Non vogliamo più sopportare le angherie dell'elefante, tutti noi
viviamo nel terrore! É ora di fare qualcosa per fargli capire le
nostre ragioni!”
Discussero a lungo fino a che, di comune accordo, decisero di dargli
una sonora lezione.
Invitarono, così, il prepotente in un'ampia radura dove gli avevano
preparato un ricco banchetto per abbonirlo e per tenerlo occupato.
L'elefante aveva accettato ben volentieri, tutto contento di essere così
ossequiato. Mentre era assorto a gustare il pranzo, gli animali lo
circondarono e cominciarono a dargli tante botte con le zampe sino a
gonfiarlo tutto, da capo a piedi!
Il malcapitato, alquanto malconcio, andò a tuffarsi nel vicino fiume
per dare refrigerio alle tante ferite che aveva sul corpo.
Gli ci vollero parecchi giorni per guarire e, quando i dolori furono
passati, l'elefante, specchiandosi nell'acqua del fiume, vide che il suo
corpo era rimasto tutto gonfio, enorme, pesante! Soltanto le orecchie
erano rimaste come prima e certamente non facevano bella figura in
quel suo grande testone! Era diventato il più grande animale della
savana, ma il suo potere era finito! Ora non avrebbe più potuto
comandare nemmeno sugli animali più piccoli perché la sua grande
mole avrebbe ricordato a tutti la lezione avuta nella radura.
E fu così che l'elefante, da quel giorno, prese a camminare con le
orecchie abbassate… per la vergogna.
120
CAMMINA CAMMINA
di G. Caliceti
C’era una volta un omino con gli occhiali che non sopportava
di vivere insieme alle persone che non portavano gli occhiali.
Cammina cammina, l’omino arrivò in una città dove
abitavano solo persone con gli occhiali e, a quel punto, si
accorse che non sopportava di vivere insieme alle persone nere,
perché naturalmente lui era bianco.
Cammina cammina, l’omino trovò un quartiere in cui
abitavano solo persone bianche con gli occhiali e, a quel punto,
si accorse che non sopportava le donne, perché naturalmente
lui era un uomo.
Cammina cammina, l’omino arrivò davanti ad un grattacielo
pieno di uomini bianchi con gli occhiali e, a quel punto, si
accorse che non sopportava di vivere con le persone che non
avevano la cravatta, perché naturalmente lui portava sempre la
cravatta.
Cammina cammina, l’omino arrivò all’ultimo piano del
grattacielo, dove c’erano solo uomini bianchi con gli occhiali e
la cravatta e, a quel punto, si accorse che non sopportava di
vivere con le persone con i capelli neri, perché naturalmente lui
era biondo.
Cammina cammina, l’omino trovò una stanza piena di uomini
bianchi con i capelli biondi, gli occhiali e la cravatta e, a quel
punto, si accorse di non poter vivere con le persone con i
capelli lunghi, perché naturalmente lui aveva i capelli corti.
Cammina cammina, l’omino trovò una stanza più piccola
piena di uomini bianchi con i capelli biondi corti, con gli
occhiali e la cravatta e, a quel punto, si accorse che non
sopportava di vivere con le persone che erano più basse di lui,
perché lui si sentiva molto alto.
Cammina cammina, l’omino trovò una stanza ancor più
piccola, piena di uomini alti bianchi con i capelli biondi corti,
gli occhiali e la cravatta, e, a quel punto, si accorse che non
121
sopportava di vivere con le persone che non credevano in Dio,
perché naturalmente lui era credente.
Cammina cammina, l’omino trovò una stanza minuscola
piena di uomini alti bianchi, con i capelli biondi corti, gli
occhiali e la cravatta che credevano in Dio, e, a quel punto, si
accorse di non poter vivere con le persone che non avevano tre
unghie della mano sinistra pitturate di verde, perché
naturalmente lui aveva tre unghie della mano sinistra pitturate
di verde.
Cammina cammina, l’omino trovò una porta alta più o meno
come una finestra e sopra la porta c’era scritto:
“Club degli uomini alti, bianchi, in cravatta, con gli
occhiali, i capelli biondi corti, che credono in Dio
e hanno tre unghie della mano sinistra pitturate di
verde”
“Ecco il posto giusto per me”, pensò l’omino, “finalmente
troverò degli amici simpatici e potrò vivere felice!”.
Ma quando aprì la porta, si accorse che la stanzetta era vuota e
c’era posto solo per lui.
122
L’UCCELLO A DUE TESTE
(Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola, La Nuova Italia)
C'era una volta un uccello con un corpo a due teste: la testa di
destra era vorace e abilissima nella ricerca di cibo, mentre
quella di sinistra, altrettanto ghiotta, era maldestra. La testa di
destra riusciva sempre a nutrirsi a sazietà, mentre quella di
sinistra era incessantemente tormentata dalla fame. E così, un
giorno, la testa di sinistra disse a quella di destra:
“Conosco, qui vicino, un'erba squisita di cui ti delizieresti:
vieni, ti conduco dove cresce”.
In realtà, sapeva che quell'erba era velenosa e voleva, con
questo stratagemma, uccidere l'altra testa, per poter mangiare a
piacimento.
La testa di destra mangiò l'erba, tuttavia il veleno uccise
l'uccello dalle due teste.
Riflessioni
Questa metafora trasmette, con grande efficacia, almeno due
messaggi:
1) abbiamo bisogno del “diverso da noi” poiché senza di lui
moriamo
2) l'invidia (la paura) uccide anche la parte più buova,
intraprendente, attiva di noi stessi
123
Intercultura: viaggio tra le immagini del web
“Il vero viaggio di scoperta non è vedere nuove terre,
ma avere nuovi occhi”
M. Proust
Spesso, una semplice immagine invita la mente di chi osserva a
porsi delle domande, abitando gli spazi di quelle “alterità” che,
altrimenti, non si conoscerebbero.
“E’ più difficile disintegrare un pregiudizio che un atomo”
Albert Einstein
124
Le immagini raccontano, trasmettono odori, comunicano
attraverso le emozioni e i sentimenti.
Il motivo di questa sezione risiede proprio nel desiderio di far
conoscere, attraverso le immagini, alcuni passaggi del processo
interculturale intesi come “possibilità umane”. Ogni cultura,
infatti, apprende determinati schemi in base alle tradizioni del
posto in cui si struttura, al tempo storico e alle contingenze
ambientali. La cultura risponde a quel criterio, tanto caro
all’uomo, che è la sopravvivenza.
Le immagini che seguono rappresentano un invito all’apertura
mentale, all’umiltà e al desiderio di conoscenza, presentando
un sentiero verso il più alto modello multiculturale che è
l’accoglienza della “diversità” intesa come “potenziale risorsa”.
125
“Se un uomo può essere non violento
perché non può esserlo una famiglia?
E perché non può esserlo un paese?
E perché non può esserlo una città?
Perché non può esserlo uno Stato?
Perché non può esserlo una Nazione?
E perché non il mondo?”
Mahatma Gandhi
126
“La cultura è rappresentata da tutti gli schemi di vita,
determinati storicamente, espliciti ed impliciti, razionali,
irrazionali e non razionali, che esistono ad ogni epoca, come
guide potenziali per il comportamento degli uomini e che
tendono ad essere condivisi entro un dato gruppo di persone o
società”
Clyde Kluckhon, William Kelly, The Concept of Culture in Linton R., The
Scence of Man in the World Crisis, New York, Columbia Univ. Press, 1945,
pp. 78-106.
127
128
“La cultura è un meccanismo di adattamento all’ambiente.
Ogni società possiede la propria, cercando di assicurare la
sopravvivenza, in un dato luogo, ad una data società”.
129
130
“Le culture sono apprese; non sono trasmesse geneticamente
come le caratteristiche razziali. I popoli sono diversi perché
educati in modo dissimile”.
Beals Ralph L., Hoijer Harry, Introduzione all’antropologia culturale, Il
Mulino, Bologna, 1987.
131
132
«Un essere umano è parte di un tutto che noi definiamo
"universo", una parte limitata nel tempo e nello spazio. L'uomo
sperimenta se stesso, i suoi pensieri ed emozioni come
qualcosa di separato da tutto il resto; in effetti si tratta proprio
di una specie di illusione ottica della coscienza. Questa
illusione è simile ad una prigione, che ci costringe a pensare
unicamente ai nostri desideri personali e limita il nostro affetto
solo a poche persone che ci sono vicine. Il nostro compito
dovrebbe essere quello di liberarci da questa prigione,
ampliando il raggio della nostra compassione in modo da
includere tutte le creature viventi e l'intero mondo della
natura, in tutta la loro bellezza».
Albert Einstein
133
“Ogni lungo viaggio comincia da un passo”
Lao Tse
134
135
Carlo Barbato “Dalle radici al cielo”
136
Urbino, 2006
IL CITTADINO STRANIERO
GUIDA PRATICA PER IL CITTADINO IMMIGRATO
INDIRIZZI UTILI
(Cristina Mazzarino, Valentina Contadino)
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ PPO
OSSSSIIBBIILLEE FFA
AR
REE M
MEEN
NSSA
A??
HELP CENTER CARITAS
Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N°1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Colazione: tutti i giorni ore 08:00/09:00
Cena:Lunedì, martedì, mercoledì, venerdì ore 20:00/21:00
MENSA SS. SACRAMENTO RITROVATO
Parrocchia SS. Sacramento Ritrovato
Via VI Aprile – CATANIA
Giovedì ore 17:30
CASA DONO DI GIOIA - MISSIONARIE DELLA
CARITA’
Suore di Madre Teresa di Calcutta
Via Giuseppe Verdi N°144 – CATANIA
Tel. 095/539999
Tutti i giorni, escluso il giovedì, ore 17:30
137
ISTITUTO SUORE CAPPUCCINE DEL SACRO CUORE
Viale Mario Rapisardi N ° 27 – CATANIA
Tel. 095/7311979 - 095/354274
Mercoledì ore 12:00
PARROCCHIA S. MARIA DELLA CONSOLAZIONE AL
BORGO
Via Milo 11/A – CATANIA
Tel. 095/437894
Tutti i giorni, inclusi il sabato e la domenica, ore 12:00
CASA DELLA MERCEDE
Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA
Tel. 095/532753
Dal lunedì al sabato ore 14:00
138
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O
A
C
C
O
G
L
I
E
N
Z
A
?
ACCOGLIENZA?
ÈÈ
PPO
OSSSSIIBBIILLEE
R
RIIC
CEEV
VEER
REE
HELP CENTER CARITAS
Sede colloquio: Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa
N°1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Accoglienza serale e notturna per uomini e donne presso le
relative strutture.
I servizi sono sempre attivi.
CASA DONO DI GIOIA - MISSIONARIE DELLA
CARITA’
Suore di Madre Teresa di Calcutta
Via Giuseppe Verdi 144 – CATANIA
Tel. 095/539999
Accoglienza serale e notturna per sole donne e /o con bambini.
I servizi sono sempre attivi.
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Sede colloquio: Via Malta N ° 17 – CATANIA
Tel. 095/7225175
Accoglienza serale e notturna per soli uomini immigrati e
rifugiati.
I servizi sono sempre attivi.
COOPERATIVA STRADA VIVA – C. ACCOGLIENZA
“LA DIMORA”
Sede colloquio: Via Acquicella Porto 37/A – CATANIA
(raggiungibile con il bus AMT N ° 439).
Accoglienza serale e notturna per soli uomini italiani e
stranieri.
I servizi sono sempre attivi.
139
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O SSII EEFFFFEETTTTU
UA
A LLA
AD
DIISSTTR
RIIBBU
UZZIIO
ON
NEE
D
I
A
L
I
M
E
N
T
I
?
DI ALIMENTI?
HELP CENTER CARITAS
Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Tutti i giorni
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Via Malta N ° 17 – CATANIA
Tel. 095/7225175
Sabato ore 09:00/12:00
e
16:00/18:00
(previo
tesseramento)
CASA DELLA MERCEDE
Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA
Tel. 095/532753
Giovedì ore 17:00
CASA DONO DI GIOIA – MISSIONARIE DELLA
CARITA’
Suore di madre Teresa di Calcutta
Via Giuseppe Verdi N ° 144 – CATANIA
Tel. 095/095/539999
Una volta al mese e in ogni caso di estremo bisogno.
140
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ PPO
OSSSSIIBBIILLEE R
RIIC
CEEV
VEER
REE V
VEESSTTIITTII
EE C
O
P
E
R
T
E
?
COPERTE?
HELP CENTER CARITAS
Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA
095/530126
Dal lunedì al venerdì ore 09:00/13:00
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Per uomini tutti i giorni; per donne lunedì pomeriggio ore
16:00/19:00 e giovedì mattina ore 09:00/12:00.
Via Malta N ° 17 – CATANIA
095/7225175
CASA DELLA MERCEDE
Dal lunedì al sabato ore 10:00 e ore 19:30
Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA
095/532753
GGV. GRUPPO S. LUISA
Mercoledì ore 08:00/13:00; Sabato ore 08:00/11:00
Via San Pietro N ° 49 – CATANIA
141
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ PPO
OSSSSIIBBIILLEE FFA
AR
REE LLA
AD
DO
OC
CC
CIIA
A??
HELP CENTER CARITAS
Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Lunedì, martedì e giovedì ore 09:30/11:30
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Via Malta N ° 17 – CATANIA
Tel. 095/7225175
Tutti i giorni, eccetto giovedì mattina, ore 09:00/12:00
ore 16:00/19:00
CASA DELLA MERCEDE
Via Antonino di San Giuliano N ° 56 – CATANIA
Tel. 095/532753
Dal Lunedì al sabato ore 10:00/20:00
142
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ PPO
OSSSSIIBBIILLEE FFA
AR
REE U
UN
NA
AV
VIISSIITTA
A
M
E
D
I
C
A
D
I
P
R
I
M
O
A
M
B
U
L
A
T
O
R
I
O
?
MEDICA DI PRIMO AMBULATORIO?
HELP CENTER CARITAS
Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Lunedì e Venerdì ore 16:00/18:00
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Via Malta N ° 17 – CATANIA
Tel. 095/7225175
Tutti i giorni, escluso il sabato, ore 09:00/12:00 e 16:00/19:00
CASA DELLA MERCEDE
Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA
Tel. 095/532753
Lunedì e mercoledì ore 11:00/19:00
Ambulatorio di medicina generale, odontoiatria, pediatria,
ginecologia, dermatologia.
CASA DONO DI GIOIA – MISSIONARIE DELLA
CARITA’
Suore Di Madre Teresa di Calcutta
Via Giuseppe Verdi N ° 144 – CATANIA
Tel. 095/539999
Sabato ore 17:00
143
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ
C
O
N
S
U
L
E
N
Z
A
L
E
G
A
CONSULENZA LEGALLEE??
PPO
OSSSSIIBBIILLEE
R
RIIC
CEEV
VEER
REE
HELP CENTER CARITAS
Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Venerdì ore 10:00/12:00
ASSESSORATO ALLA PROMOZIONE SOCIALE E
ALL’IMMIGRAZIONE
Centro Interculturale “Casa dei Popoli”
Sportello CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati ONLUS
Via Museo Biscari N ° 16 – CATANIA
Tel. 095/7428056 095/7428061
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Via Malta N ° 17 CATANIA
Tel. 095/7225175
Martedì e Giovedì ore 16:00/19:00
PATRONATO ACLI - SPORTELLO AGLI IMMIGRATI
Via Crociferi N ° 67 CATANIA
Tel. 095/315397
Lunedì ore 09:00/13:00
Corso Sicilia N ° 111 CATANIA
Tel. 095/321286
Giovedì ore 15:30/19:30
ARCI COMITATO TERRITORIALE CATANIA
Via Lanolina N ° 41 – CATANIA
Tel. 095/7152270
Venerdì ore 17:00
144
CASA DELLA MERCEDE
Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA
Tel. 095/532753
Mercoledì ore 13:30
145
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ PPO
OSSSSIIBBIILLEE
O
R
I
E
N
T
A
M
E
N
T
O
A
L
L
A
V
O
R
O
ORIENTAMENTO AL LAVORO??
R
RIIC
CEEV
VEER
REE
HELP CENTER CARITAS
Viale Africa N ° 1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ore 09:30/12:00
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Via Malta N ° 17 – CATANIA
Tel. 095/7225175
Lunedì, mercoledì, venerdì ore 16:00/19:00
ARCI CATANIA
Via Landolina N ° 41 – CATANIA
Tel. 095/7152270
Venerdì ore 16:30
146
D
DO
OV
VEE EE Q
QU
UA
AN
ND
DO
O ÈÈ PPO
OSSSSIIBBIILLEE IIM
MPPA
AR
RA
AR
REE LLA
A
LLIIN
G
U
A
I
T
A
L
I
A
N
A
?
NGUA ITALIANA?
HELP CENTER CARITAS
Viale Africa N ° 1 – CATANIA
Tel. 095/530126
Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ore 18:30/19:30
CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI
ASILO
Via Malta N ° 17 – CATANIA
Tel. 095/7225175
Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ore 16:00/18:00
ARCI CATANIA
Via Landolina N ° 41 – CATANIA
Tel. 095/7152270
Dal lunedì al venerdì ore 18:30/20:00
ASSESSORATO
PROMOZIONE
ALL’IMMIGRAZIONE
Centro Interculturale “Casa dei Popoli”
Via Museo Biscari N ° 16 CATANIA
Tel. 095/7428056 095/7428061
ore 20:30/22:00
SOCIALE
ED
147
INDIRIZZI WEB DI RIFERIMENTO
(Paolo Donzelli)
www.cestim.org
www.dossierimmigrazione.it
(documentazione sui fenomeni migratori)
www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it
(Ministero dell’Interno)
www.solidarietasociale.gov.it/SolidarietaSociale
(Ministero della Solidarietà Sociale)
www.stranieri.it
www.meltingpot.org
www.portaleimmigrazione.it
www.migrare.it
(immigrazione e legislazione)
148
www.naga.it
(guida per lo straniero non in regola)
www.stranieriinitalia.it
www.piemonteimmigrazione.it
(stranieri in Italia)
www.romamultietnica.it
(Roma multietnica)
www.caritasitaliana.it
(solidarietà e intercultura)
www.alisei.org
(Associazione per la Cooperazione Internazionale e l’Aiuto
Umanitario)
http://www.azadi-kurdistan.org/
(Associazione per la solidarietà con il popolo kurdo)
www.mediatoreinterculturale.org
(…sul mediatore interculturale)
www.arab.it
www.arab.it/favole/giuha.htm
(mondo e cultura araba)
www.sufismo.it
(religione, arte e cultura islamica)
http://digilander.libero.it/century1/pluralista2.htm
www.interculturando.it
www.cem.coop
149
(multiculturalità ed educazione interculturale)
www.socrates-me-too.org
(Multimedialità per il plurilinguismo e l'interculturalità nelle
scuole)
www.interculturemap.org/EN/interculturemap.php
(Interculture map. In lingua inglese)
www.bibmondo.it/bmarks/edicolele/indexstampa.html
(Tutti i giornali del mondo online)
150
BIBLIOGRAFIA DI APPROFONDIMENTO
(Paolo Donzelli)
™ AA.VV., Collana Quaderni dell’Interculturalità, EMI,
Bologna, 1997-1999.
™ AA.VV., Dalla tolleranza alla solidarietà, Franco
Angeli, Milano, 1990.
™ AA.VV., Il pianeta immigrazione, Edb, Bologna, 1990.
™ AA.VV., Il progetto migratorio tra aspettative
collettive e libertà individuali, L’Harmattan, Torino,
1999.
™ AA.VV., Immagini dell'altro nella cultura europea
contemporanea, L’Harmattan, Torino, 1997.
™ AA.VV.,
Immigrazione.
Una
nuova
fase:
dall'accoglienza all'integrazione, EMI, Bologna, 1995.
™ AA.VV., Italia, Europa e nuove
Fondazione Agnelli, Torino, 1990.
immigrazioni,
™ AA.VV., L’educazione all’interculturalità. Premesse e
sperimentazioni, EGA (Gruppo Abele), Torino, 1995.
™ AA.VV., Popoli in festa, EMI, Bologna, 2000.
™ Abdallah-Pretceille M., L’éducation interculturelle,
Puf, Paris, 1999.
151
™ Amselle J., Connessioni. Antropologia dell'universalità
delle culture, Bollati Boringhieri, Torino, 2001.
™ Angioni G., "Ethnic Groups", in Europaea, IV, 2, pp.17, 1998.
™ Balboni P. E., Parole comuni culture diverse. Guida
alla comunicazione interculturale, Marsilio, Venezia,
1999.
™ Baroncelli F., Il razzismo è una gaffe, Donzelli, Roma,
1996.
™ Bauman Z., La società dell'incertezza, Il Mulino,
Bologna, 1999.
™ Beals Ralph L., Hoijer H., Introduzione
all’antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, 1987.
™ Beretta Podini W., Fame e squilibri internazionali, ed.
Bulgarini, Firenze, 1995.
™ Bettini M., Lo straniero ovvero l'identità culturale a
confronto, Laterza, Bari, 1992.
™ Bosio R., Una pietra al collo, ed. EMI, Bologna, 1998.
™ Cirese A. M., Cultura egemonica e culture subalterne,
Palumbo, Palermo, 1971.
™ Cirese A. M., Dislivelli di cultura e altri discorsi
inattuali, Meltemi, Roma, 1997.
152
™ Bolaffi G., Una politica per gli immigrati, Il Mulino,
Bologna, 1996.
™ Bonazzi T., Dunne M., Cittadinanza e diritti nelle
società multiculturali, Il Mulino, Bologna, 1994.
™ Callari Galli M., Antropologia culturale e processi
educativi, La Nuova Italia, Firenze, 1993.
™ Cambi F., La sfida della differenza, CLUEB, Bologna,
1987.
™ Campani G., Carchedi F., Tassinari G.,
L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia,
Fondazione G. Agnelli, Torino, 1996.
™ Collinson S., Le migrazioni internazionali e l'Europa,
Il Mulino, Bologna, 1994.
™ Camilletti E., Castelnuovo A., L’identità multicolore.
I codici di comunicazione interculturali nella scuola
dell’infanzia, Franco Angeli, Milano, 1994.
™ Compagnoni E., Pregreffi V., Di tutti i colori.
Educare all’identità e all’intercultura nella scuola
multietnica e dell’autonomia, La Meridiana, Bari, 2001.
™ Delle Donne M., Relazioni etniche, stereotipi e
pregiudizi. Fenomeno immigratorio ed esclusione
sociale, Edup, 1998.
™ Demetrio D., Agenda interculturale. Quotidianità e
immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Meltemi,
Roma, 1997.
153
™ Demetrio D., Nel tempo, della pluralità: educazione
interculturale in discussione e ricerca, La Nuova Italia,
Firenze, 1997.
™ Demetrio D., Favaro G., Immigrazione e pedagogia
interculturale, La Nuova Italia, Firenze, 1992.
™ Demetrio D., Favaro G., “Bambini stranieri a
scuola”, accoglienza e didattica interculturale nella
scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, La
Nuova Italia, Firenze, 1997.
™ Demetrio D., Favaro G., Didattica interculturale.
Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Franco Angeli,
Milano, 2002.
™ Douglas M., Purezza e pericolo, Il Mulino, Bologna,
1993 (ed. or. 1970).
™ Durino Allegra A., Verso una scuola interculturale, La
Nuova Italia, Firenze, 1993.
™ Essinger
H.,
“Intercultureller
Erziehung
in
multiethnischen Gesellschaften“ in: G. Pommerin, Und
im Ausland sind die Deutsche auch Fremde, Frankfurt,
1988.
™ Fabietti U., L'identità etnica, (seconda edizione),
Carocci, Roma, 1998.
™ Fabietti U., Remotti F., Dizionario di Antropologia,
Zanichelli, Bologna,1996.
154
™ Farello P., Bianchi F., Laboratorio dell'autobiografia:
ricordi e progetto di sè, Erickson, Trento, 2001.
™ Favaro G., Alfabeti interculturali, Guerini, Milano,
2001.
™ Favaro G., Colombo T., I bambini della nostalgia,
Mondadori, Milano, 1993.
™ Gallissot R., Rivera A., L’imbroglio etnico in
quattordici parole-chiave, Dedalo, 2001
™ Gambino A., Gli altri e noi: la sfida
multiculturalismo, Il Mulino, Bologna, 1996.
del
™ George S., Il boomerang del debito, Lavoro/ISCOS,
Roma, 1989.
™ George S., Il debito del Terzo Mondo, Lavoro/ISCOS,
Roma, 1992.
™ Geertz C., Mondo globale, mondi locali, Il Mulino,
Bologna, 1998.
™ Giusti M., Ricerca interculturale e metodo
autobiografico. Bambini e adulti immigrati: un
progetto, molte storie, La Nuova Italia, Firenze, 1998.
™ Giusti M., L’educazione interculturale nella scuola di
base, La Nuova Italia, Firenze, 1995.
™ Giustinelli F., Razzismo scuola società: le origini
dell’intolleranza e del pregiudizio, La Nuova Italia,
Firenze, 1991.
155
™ Gobbo F., Pedagogia interculturale. Il progetto
educativo nelle società complesse, Carocci, Roma,
2000.
™ Gobbo F., Antropologia dell’educazione. Scuola,
cultura, educazione nella società multiculturale,
Unicopli, Milano, 1996.
™ Guigoni A., Internet per l'antropologia. Risorse e
strumenti per la ricerca etnografica nel cyberspazio,
Genova, Name, 2001.
™ Lévi-Strauss C., "Razza e Storia", in Antropologia
culturale due, Il Saggiatore, Milano, 1990, pp. 366-408
(ed. or. 1973).
™ Marazzi A., Lo sguardo antropologico. Processi
educativi e multiculturalismo, Carocci, Roma, 1998.
™ Martiniello M., Le società multietniche, Il Mulino,
Bologna, 2000 (ed. or. 1999).
™ Mazzara B. M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino,
Bologna, 1997.
™ Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Il
Mulino, Bologna, 1999.
™ Mazzara B. M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino,
Bologna, 1997.
™ Melegari C., Ragionando pacatamente di immigrazione,
EMI, Bologna, 1999.
156
™ Moffa C., L'etnia fra invenzione e realtà, L'Harmattan,
Torino, 1999.
™ Nanni A., Abbruciati S., Il mio zaino interculturale,
EMI, Bologna, 1997
™ Negrini A., Migrazioni in Europa e formazione
interculturale, EMI, Bologna, 1997.
™ Perotti A., La via obbligata dell’interculturalità, EMI,
Bologna, 1994.
™ Pichon Riviere E., Il processo gruppale, Libreria
Editrice Lauretana, Loreto, 1985.
™ Pinto Minerva F., L’Intercultura, Laterza, Roma,
2002.
™ Poletti F., L’educazione interculturale, La Nuova
Italia, Firenze, 1992.
™ Portera
A.,
Globalizzazione
e
interculturale, Erickson, Trento, 2006.
pedagogia
™ Portera A.- Dusi P., Gestione dei conflitti e
mediazione interculturale, Franco Angeli, Milano,
2005.
™ Remotti F., Contro l'identità, Laterza, Bari, 1996.
™ Sartori G., Pluralismo, Multiculturalismo e estranei,
Rizzoli, Milano, 2000.
157
™ Sundermeier T., Comprendere lo straniero, Queriniana,
Brescia, 1999.
™ Susi F., Come si è stretto il mondo. L’educazione
interculturale in Italia
e in Europa: teorie,
esperienze e strumenti, Armando Editore, Roma, 1999.
™ Taguieff P. A., Il razzismo. Pregiudizi, teorie,
comportamenti, Raffaello Cortina, Milano, 1999 (ed.
or. 1997).
™ Taguieff P. A., La forza del pregiudizio. Saggi sul
razzismo e sull’antirazzismo, Il Mulino, Bologna, 1994.
™ Tassinari G., Scuola e società multiculturale: elementi
di analisi multidisciplinare, La Nuova Italia, Firenze,
1992.
™ Tosi A., Imparare dalla diversità, Eurydice, Firenze,
dicembre 1996.
™ Zanchetta P. L., Essere stranieri in Italia, Franco
Angeli, Milano, 1991.
™ Zavatti P., Qui fa molto freddo, EMI, Bologna 1994.
158
MATERIALI PER LA DIDATTICA
(Paolo Donzelli)
™ AA. VV., Un mondo per giocare, La Coccinella,
Milano, 1998.
Il libro-gioco, cartonato, adatto ai bambini dai 3 agli 8
anni, presenta un percorso per imparare ad
incontrarsi, a conoscersi, a giocare insieme.
Partendo dalle differenze tra i bimbi di una stessa
comunità, riscontrabili da un semplice autoritratto, il
percorso proposto invita ognuno a riconoscere le
diversità degli altri e a rispettarle, per poi giungere
all’accettazione.
™ AA.VV., Imparolando, supporto all’insegnamento
della lingua italiana per bambini stranieri, Guerra,
Perugia, 2003.
In cd-rom. Fornisce la possibilità agli alunni stranieri,
della scuola elementare, di apprendere la lingua
italiana. L’alunno viene assistito e accompagnato da
una guida vocale realizzata in 6 lingue -italiano, arabo,
spagnolo, cinese, francese, inglese- per consentire una
piena comprensione del contesto e degli esercizi a
partire dalla prima unità didattica.
™ Barilla G., Benzo M., Porta R., Così giocano i
bambini del mondo, EMI, Bologna, 2001.
Il testo presenta 18 giochi (kelb, dama araba…), di
diversa provenienza, accompagnati da regole e
illustrazioni.
I giochi vengono introdotti dal racconto della nascita
del deserto e dalla spiegazione della vita beduina.
159
™ Baroncelli C., Didattica interculturale delle scienze,
EMI, Bologna, 2000.
Il libro, facendo riferimento al rapporto fra mondo
semitico, islam e scienza, presenta una rilettura del
ruolo e del significato della scienza in chiave
interculturale.
™ Bevilacqua G., Didattica interculturale dell’arte, EMI,
Bologna, 2001.
Il libro fornisce delle chiavi di lettura e valide
metodologia per progettare percorsi di educazione
all’immagine e storia dell’arte nella scuola.
™ Cappelletti A. M., Didattica interculturale della
geometria, EMI, Bologna, 2000.
Cappelletti A. M., Didattica interculturale della
matematica, EMI, Bologna, 2000.
I testi, accennando alle origini interculturali delle
discipline, propongono un viaggio tra le culture, nello
spazio-tempo delle prime scoperte. Vi si trovano
accenni alla matematica fra gli arabi, alla scoperta del
metodo posizionale e alla numerazione indiana.
™ CESVI, Io gioco così, V unità di lavoro per la scuola
di base, Trecentosessantagradi, collana di strumenti per
l'educazione allo sviluppo, Bergamo, 2003.
Rassegna di giochi di vari paesi del mondo, spiegati nei
particolari, con materiali da costruire, accompagnata
da alcune fotografie esplicative.
™ Favaro G., Amici venuti da lontano, Nicola Milano
Editore, Bologna, 1996.
Il testo, fornendo informazioni sulla cultura araboislamica attraverso le storie di alcuni bambini,
160
affronta diverse tematiche in chiave interculturale
(nomi, famiglia, festa, cibo, giochi, vestiti).
™ Ferracin L., Porcelli M., Al cinema con il mondo,
EMI, Bologna, 2000.
Il volume presenta una ricca rassegna di schede su film
selezionati per percorsi interculturali.
™ Fucecchi A., Didattica interculturale della lingua e
della letteratura, EMI, Bologna, 1998.
Il libro, contenendo utili suggerimenti per progettare
percorsi interculturali con le fiabe, presenta percorsi
didattici sulla lingua e sulla letteratura in chiave
interculturale.
™ Golfo M., Suoni del deserto, la musica nel mondo
arabo, Ananke, Torino, 1998.
Il testo offre la possibilità di scoprire, in modo semplice
ma completo, la storia e le caratteristiche della musica
araba. Invita, inoltre, a riflettere sul rapporto esistente
tra musica ed islam. Viene, infine, accompagnato da un
cd contenente i suoni degli strumenti tipici del mondo
arabo.
™ Grillo G., “Noi” visti dagli altri, EMI, Bologna, 1998.
Il manuale, proponendo degli "esercizi" di
decentramento narrativo (l'Europa vista dagli Arabi, la
cultura metropolitana vista dai Tuareg…), rappresenta
un valido contributo all’insegnamento di un metodo di
lettura non eurocentrico o etnocentrico dei libri di
testo.
™ Lazzarato F., Ongini V., L'erede dello sceicco,
Mondadori, Milano, 1992.
161
Il testo, indicato soprattutto per i bambini dal secondo
ciclo delle elementari in poi, presenta una serie di
storie in lingua italiana provenienti dal Marocco, dalla
Tunisia e dall’Algeria. Ad esse sono affiancate delle
spiegazioni molto semplici sugli aspetti geografici,
storici, religiosi e culturali dal luogo di provenienza.
™ Loos S., Il giro del mondo in 101 giochi,
Gruppo Abele, Diegaro di Cesena, 1998.
Dopo un'introduzione di carattere antropologico sul
gioco, il testo, organizzato in schede guida, presenta
una raccolta di giochi divisi per continenti (Asia,
Africa, Oceania, Americhe, Europa).
™ Maniotti P., Il mondo in gioco, Gruppo Abele, Diegaro
di Cesena, 1997.
Il volume contiene una riflessione teorica sul rapporto
fra gioco e intercultura, una serie di possibili percorsi
didattici sul gioco ed un repertorio di giochi dal mondo
(per ognuno viene indicato il paese di provenienza).
™ Nanna A., Economi C., Didattica interculturale della
storia, EMI, Bologna, 1997.
Un’analisi della storia (le crociate, l’islam, il
colonialismo dell'Italia in Africa) attraverso occhi non
eurocentrici.
™ Picaro A., Didattica interculturale della geografia,
EMI, Bologna, 2000.
Attraverso l’analisi della geografia, presenta utili
metodologie di approccio transculturale.
™ Ouagandar A., Gioca e impara, corso bilingue italiano
arabo, Vannini, Brescia, 2004.
162
Il cd-rom contiene due corsi di lingua, italiano e arabo,
strutturati secondo la metodologia che viene utilizzata
nei laboratori bilingue gestiti dal Cospe di Firenze. È
strutturato in tre livelli sempre a partire da un livello
zero di conoscenza dell’italiano. Vi si ritrovano anche
fiabe, filastrocche e schede di scrittura stampabili.
™ Querzè A., I fili di Arianna, Centro Documentazione
Educativa, Comune di Modena, 1996.
Raccolta di esperienze didattiche molto ben
documentate e accuratamente presentate, svolte presso
le scuole del Comune di Modena. Ogni esperienza è
affiancata da una scheda tecnica esplicativa.
™ Rabozzi M., Stranieri sotto lo stesso cielo, L'Harmattan
Italia, Torino, 1996.
Il testo raccoglie in sé riflessioni e attività tratte da
un'esperienza fatta con immigrati maghrebini. Si
struttura in due parti: la prima presenta una serie di
brevi racconti originali del mondo arabo-islamico, la
seconda propone alcuni testi scritti da persone
immigrate.
™ Serra M., Il giro del mondo in 80 film, Il Castoro,
Milano, 2003.
Raccolta e presentazione di films che possono essere
utilizzati per percorsi di educazione interculturale .
Materiale audiovisivo:
™ Lettere dal Sahara, De Seta V., Italia, 2006.
Il viaggio di un ragazzo senegalese, Assane, che
costretto a lasciare l'università perchè bisognoso di
163
lavorare, decide di partire per l'Italia, affrontando uno
dei tanti viaggi clandestini...
™ Mississipi burning - Le radici dell’odio, Parker A.,
USA, 1989.
Il 21.6.1964 tre giovani attivisti dei diritti civili furono
assassinati e sepolti vicino a Philadelphia (Mississippi).
Due agenti FBI indagano per far luce sull’accaduto.
Film di denuncia sul razzismo negli stati del Sud.
Altri possibili spunti:
™ AA.VV., All’ombra dell’olivo, il Maghreb in 29
filastrocche, Mondadori, Milano, 2002.
™ AA.VV., Apriti Sesamo. Per un’alfabetizzazione sociolinguistica di immigrati adulti, CIDIS, Perugia, 1996.
™ AA.VV., Fiabe e leggende dal mondo islamico, Editori
Riuniti, Roma, 2001.
™ AA.VV., L’italiano dalla A alla Z. Dizionario illustrato
di base per stranieri, Guerini, Milano, 1995
™ AA.VV., Tessere di quotidianità interculturale, EMI,
2000.
™ Alessandrini D., Giochi del mondo, L'Airone, 1998.
™ Biancardi G., Galeotti P., Pasqualini G., Materiali
didattici sull'Immigrazione, CESTIM - MLAL, Verona,
1994.
164
™ Bonenti D., Meneghelli A., Assertività e training
assertivo. Guida per l'apprendimento in ambito
professionale, 2ª ed., Franco Angeli, 1999.
™ Borruso A., Dall’India a Parigi, motivi orientali e
arabo-islamici nelle letterature europee, Franco
Angeli, Milano, 2001.
™ Brugnatelli V., Fiabe algerine, Mondadori, Milano,
1996.
™ Bushnaq I., Favole del mondo arabo (tr. di F. Foresti),
Arcana, Milano, 1987.
™ Caliceti G., Un bambino arabo in Italia, Einaudi
ragazzi, Trieste, 1995.
™ Carta M. A., Fiabe siriane, Mondadori, Milano, 1997.
™ Corte M., Immigrazione, Mass media e pedagogia
interculturale, CEDAM, Padova 2002.
™ Corte M., Comunicazione e giornalismo interculturale.
Pedagogia interculturale e ruolo dei mass media in una
società pluralistica, CEDAM, Padova, 2006.
™ Dal Lago A., Non-persone. L'esclusione dei migranti in
una società globale, Feltrinelli, Milano, 2001.
™ Delle Donne M., Relazioni etniche, stereotipi e
pregiudizi. Fenomeno immigratorio ed esclusione
sociale, Edup, Roma, 1998.
165
™ Demarchi C., Papa N., Raccontafiaba, Guerini Studio,
Milano, 1996.
™ Draghicchio E., Ziglio L., Il progetto Gulliver:
didattica per un´educazione interculturale e allo
sviluppo, CESVI, Bergamo, 1999.
™ Favaro G., Un libro lungo un mondo, Giunti, Firenze,
1994.
™ Favaro G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri,
La Nuova Italia, Roma, 2002.
™ Favero L., La mia casa è il mondo (Itinerario di
formazione interculturale per docenti), EMI, Bologna,
1997.
™ Gazerro V., L’insegnamento della lingua italiana in
Europa: emigrazione, lingua, intercultura in Germania
e in Svizzera, Armando, Roma, 1996
™ Geertz C., Interpretazione di culture, Il Mulino,
Bologna, 1987
™ Gioda P., Merana C., Varano M., Fiabe e intercultura,
EMI, Bologna, 1998.
™ Giovannini G., Allievi in classe, stranieri in città. Una
ricerca sugli insegnanti di scuola elementare di fronte
all’immigrazione, Fondazione Cariplo per le Iniziative
e lo studio della Multietnicità, Franco Angeli, Milano,
1998.
166
™ Giusti M., L’educazione interculturale nella scuola di
base. Risultati di una ricerca e indicazioni per gli
insegnanti, La Nuova Italia, Firenze, 1995.
™ Giusti M., Una scuola tante culture. Un percorso di
autoformazione interculturale, Fatatrac, Firenze, 1996.
™ Gusso M., Nadin L., Serra M., Culture e identità a
confronto (Percorso interculturale per adulti), EMI,
Bologna, 1995.
™ Hammad R., Palestina nel cuore (testo bilingue),
Sinnos, Roma, 1999.
™ Ieroni, Non solo noi (ricerca sul razzismo), EMI,
Bologna, 1997.
™ Jabbar A., Si racconta che...: leggende arabe e
trentine, L’Editore, Trento, 1992.
™ Lamberti S., Cooperative Learning e pedagogia
interculturale, CEDAM, Padova, 2006.
™ Londei, D., Identità/Identificazione di una cultura.
Definizione e approcci metodologici nell’insegnamento
della lingua 2, Pitagora, Bologna, 1996.
™ Lynch, J., Educazione multiculturale in una società
globale, Armando Editore, Roma, 1993.
™ Mazzara B. M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino,
Bologna, 1997.
167
™ Mugolino M., Piccolo dizionario dell'Islam, EDUP,
Roma, 2001.
™ Muzi J., Storie del mondo arabo, Fabbri Editore,
Milano, 2002.
™ Pagano G., Perillo E., Memoria, Ragione,
Immaginazione (Percorso interculrturale per la scuola
media superiore), EMI, Bologna, 1995.
™ Portera A., Educazione interculturale nella teoria e
nella pratica. Stereotipi, pregiudizi e pedagogia
interculturale nei libri di testo della scuola elementare.
CEDAM, Padova, 2000.
™ Portera A., Pedagogia interculturale in Italia e in
Europa. Vita e Pensiero, Milano 2003.
™ Portera A., Educazione interculturale in famiglia. La
scuola, Brescia 2004.
™ Portera A., Educazione interculturale nel contesto
internazionale, Guerini, Milano, 2006.
™ Sanna G., Storie del mondo. Letterature, musiche e
culture del Sud del mondo, Artemide, Roma, 1994.
™ Secco L., Portera A., L'educazione umanistica
interculturale nelle agenzie educative. CEDAM,
Padova, 1999.
™ Susi F., I problemi formativi e culturali degli alunni
stranieri, Angeli, Milano, 1988.
168
™ Ventura G., Lexico minimo: il giro del mondo in 320
parole. Vocabolario interculturale illustrato per
bambini e bambine dai 2 ai 14 anni. In lingua araba,
EMI, Bologna, 1998.
™ Wiedemann H., A scuola di mondo (percorsi didattici
per capire e vivere il mondo globale), EMI, Bologna,
1998.
™ Zavalloni G., Papetti R., Giocattoli dei popoli:
manuale per conoscere e creare giocattoli di ogni
cultura, Macro Edizioni, Diegaro di Cesena, 1995.
Cucina e Intercultura:
™ Rundo J., Ricette con il Cous Cous, Sonda, Torino,
2000.
™ Rundo J., Cucina Araba, 2ª ed., Sonda, Torino, 1998.
™ Vitali B., Un libro buono un mondo, Giunti, Firenze,
1995.
™ Young C., Il mondo in cucina, Usborne, Londra, 1993.
™ Zignani M., Oriente - Occidente a tavola insieme: 7
cene salutari per amici, (con audiocassetta), Zanetel
Katrib, Padova, 1988.
169
Religione:
™ Jelloun T. B., Il razzismo spiegato a mia figlia, ed.
Bompiani, Milano, 1998.
™ Jelloun T. B., L'Islam spiegato ai nostri figli, ed.
Bompiani, Milano, 2001.
™ Vercellin G., Tra veli e turbanti, Marsilio, Venezia,
2000.
™ Ziauddin S., Maometto : per cominciare, Feltrinelli,
Milano, 1995.
™ Tworuschka M., Tworuschka U., Le religioni del
mondo spiegate ai bambini dai bambini, Zephyro,
Milano, 2001.
170
I diritti del cittadino straniero: alcune leggi e norme di
riferimento
(Ivana Maugeri)
Abitare un luogo straniero necessita di un periodo iniziale di
adattamento (nuove condizioni climatiche, nuove abitudini
alimentari, regole, norme comunitarie, nuovi paesaggi,
costumi, modelli psicologici e antropologici differenti dai
propri…).
Il cittadino immigrato desidera accoglienza in quanto si colloca
nella “terra di nessuno”, né propria in quanto sconosciuta, né di
altri, in quanto sconosciuti.
In tale situazione è auspicabile, nonché indispensabile, che il
mediatore interculturale possa fornire alla persona immigrata
quante più informazioni possibili sulle leggi che regolano la
sua permanenza, i doveri e i diritti di cui dispone, per
accompagnarlo nella costruzione dei tasselli necessari al fine di
facilitare il suo cammino verso l’integrazione.
Ogni essere umano viene tutelato dai diritti sanciti dalla
Costituzione Italiana. Questo vale, indistintamente, per tutti:
uomini, donne, giovani, adulti, anziani, cristiani, musulmani,
induisti, buddisti, italiani, stranieri, ricchi, poveri…
Oltre a questi diritti di base, la persona immigrata gode di altri
diritti più specifici: “il diritto all’unità familiare”, “il diritto alla
salute”, “il diritto all’istruzione” e “il diritto al lavoro”.
Diritto all’unità familiare
(artt.28, 29 e 30 del T.U. - 25 luglio 1998, n° 286).
Il nucleo familiare, essendo di fondamentale importanza, viene
tutelato, oltre che dalla Costituzione, anche dal Testo Unico per
l’immigrazione.
171
Questo diritto viene riconosciuto agli stranieri titolari di carta
di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore
ad un anno. Tali documenti possono essere rilasciati per
diverse ragioni: per lavoro subordinato, per lavoro autonomo,
per asilo politico, per studio o per motivi religiosi.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n° 5 del 2007 si dispone che il
ricongiungimento familiare possa essere richiesto:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
per il coniuge;
per i figli minori anche se adottati, affidati o sottoposti
a tutela;
per i figli maggiorenni “a carico”;
per i genitori ultra sessantacinquenni.
Inoltre, la persona immigrata che presenta la richiesta per il
ricongiungimento deve dimostrare di possedere:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
un alloggio conforme ai parametri dell’edilizia
residenziale pubblica e l’idoneità igienico-sanitaria
accertata dall’ASL di competenza;
un reddito annuo non inferiore all’importo annuo
dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di
un solo familiare, al doppio dell’importo annuo
dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di
due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo
dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di
quattro o più familiari;
la certificazione anagrafica che attesti il legame di
parentela;
il contratto di lavoro.
La domanda di nulla osta per il ricongiungimento va presentata
allo sportello unico per l’immigrazione, presso la Prefettura
UTG competente per il luogo di dimora del richiedente.
Il permesso di soggiorno per motivi familiari viene rilasciato:
172
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
agli stranieri entrati in Italia tramite il ricongiungimento
familiare;
agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia che
abbiano contratto matrimonio o con un cittadino
italiano, o con un cittadino dell’unione europea o con
un cittadino straniero regolarmente soggiornante;
al familiare regolarmente soggiornante. In tal caso il
permesso del familiare viene convertito in permesso di
soggiorno per motivi familiari. La conversione può
essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del
titolo di soggiorno originariamente posseduto dal
familiare;
al genitore straniero di minore italiano residente in
Italia, purché non sia stato privato, secondo la legge
italiana, della patria potestà.
In tutti i procedimenti, siano essi amministrativi o
giurisdizionali, che hanno come scopo l’unità familiare e che
coinvolgono i minori, va sempre tenuto presente il superiore
interesse del fanciullo (favor minoris), vale a dire: attuare la
condizione più idonea e più favorevole per il benessere e per lo
sviluppo del minore.
Diritto alla salute
(artt.34, 35 e 36 del T.U. - 25 luglio 1998, n° 286).
Il tema dell’assistenza sanitaria agli stranieri è stato oggetto,
negli ultimi anni, di una completa revisione normativa da cui si
delineano, per l’Italia, precisi indirizzi di politica sanitaria.
La svolta è avvenuta con l’emanazione della legge 40 del 1998
poi confluita nel d.lgs. 286 del 1998, il Testo Unico per
l’immigrazione.
173
La legge prevede che
tutti gli stranieri legalmente e
stabilmente presenti nel territorio siano iscritti al Servizio
Sanitario Nazionale. Per favorire il diritto all’assistenza sono
stati inseriti correttivi quali il permanere della validità
dell’iscrizione al SSN nel periodo in cui sono in corso le
procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno.
La residenza non è più condizione indispensabile per
l’iscrizione al SSN, il cittadino straniero viene iscritto
regolarmente negli elenchi degli assistibili dell’Azienda
Sanitaria Locale di competenza anche quando non residente.
L’iscrizione può essere obbligatoria o volontaria:
ƒ
ƒ
la prima riguarda gli stranieri in regola con le norme
relative all’ingresso in Italia o che abbiano richiesto il
rinnovo del permesso di soggiorno;
la seconda avviene dietro un pagamento forfettario
annuo per i cittadini stranieri extracomunitari con
permesso di soggiorno superiore ai tre mesi o anche di
durata inferiore, nel caso di studenti che non rientrano
tra coloro che sono iscritti, di diritto, al SSN. Gli
studenti, in particolar modo, possono richiedere un
periodo inferiore corrispondendo un contributo ridotto.
L’iscrizione è obbligatoria per gli immigrati:
- disoccupati iscritti alle liste di collocamento,
- lavoratori autonomi,
- lavoratori dipendenti,
- detenuti o internati,
- coniugati con cittadini italiani,
- minori in affidamento o in attesa di adozione,
- dipendenti di ambasciata,
- sacerdoti stranieri non comunitari che svolgono attività
lavorativa per le Diocesi del Lazio,
- presenti in Italia per motivi familiari o per
ricongiungimento familiare,
174
-
rifugiati politici o apolidi,
presenti in Italia per asilo o per richiesta di asilo, sia
politico che umanitario,
in attesa di acquisizione della cittadinanza italiana,
con permesso di soggiorno per residenza elettiva,
regolarmente soggiornanti in attesa del rinnovo del
permesso di soggiorno,
ospitati in centri di accoglienza,
con proroga del permesso di soggiorno per motivi di
salute.
L’iscrizione è volontaria per:
- studenti,
- persone alla pari,
- religiosi,
- stranieri accreditati dal nostro Paese che lavorano in
Ambasciata.
L’iscrizione va effettuata presso l’ASL della zona in cui si
risiede ed i documenti necessari sono:
ƒ
ƒ
ƒ
permesso di soggiorno valido o richiesta di rinnovo
dello stesso;
certificato di residenza o dichiarazione di effettiva
dimora o autocertificazione;
codice fiscale o autocertificazione dello stesso.
Con l’iscrizione viene rilasciata la tessera sanitaria,
indispensabile per ottenere le prestazioni ed i servizi erogati
dall’ASL e dai presidi medici convenzionati.
Inoltre, l’iscrizione al SSN ha validità dalla data d’ingresso in
Italia fino alla scadenza del permesso di soggiorno e viene
estesa ai familiari a carico.
175
Diritto all’istruzione e al lavoro
Il nostro ordinamento assicura la parità di trattamento tra la
persona immigrata e il cittadino italiano.
Tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione
si applicano anche ai minori stranieri. L’effettività del diritto
allo studio è garantita dallo Stato, dalle regioni e dagli enti
locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi e
programmi culturali per apprendere meglio la lingua e la
cultura ospitante e per valorizzare la loro cultura indigena
ritenendola “ricchezza per il nostro Paese”.
Per quanto concerne lo straniero che desidera lavorare in Italia
esso dovrà iscriversi alle liste tenute presso le rappresentanze
diplomatiche o consolari italiane nel suo paese.
I datori di lavoro possono far richiesta di un lavoratore
straniero di loro conoscenza o, in mancanza di un soggetto di
riferimento, possono attingere alle liste.
Solo il datore di lavoro può dare inizio alla procedura
presentando la domanda presso lo sportello unico, non prima
del giorno di pubblicazione del decreto flussi sulla Gazzetta
Ufficiale.
176
Guide utili sui diritti della persona immigrata
(Paolo Donzelli)
Di seguito vengono riportate alcune indicazioni per potere
reperire, su internet, alcune guide utili, tradotte in più lingue,
relative ai diritti della persona immigrata e alle leggi di
riferimento.
Viene riportata, per ogni guida, una breve descrizione seguita
dall’indirizzo internet al quale collegarsi per poterla leggera,
scaricare o stampare con facilità.
Guida alle nuove procedure che regolano il diritto di
soggiorno dei cittadini comunitari e dei loro familiari
Scritta dall´associazione di volontariato Città Meticcia, in
collaborazione con il Comune di Ravenna (U.O. Politiche per
l´immigrazione), la guida presenta con chiarezza le tematiche
delle condizioni e dei requisiti di accesso, prestazioni di
assistenza sociale e sanitarie, documentazione richiesta al
cittadino immigrato.
Il volume, scritto in 6 lingue (italiano, francese, inglese,
spagnolo, polacco, rumeno), si rivela strumento molto utile non
soltanto per i cittadini comunitari e i loro familiari, ma anche
per i Comuni, le Associazioni e coloro che lavorano a stretto
contatto con gli immigrati.
http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasocial
e/news/2007/settembre/17_guidadirittosoggiorno.htm
177
Vademecum per l’assistenza familiare e la collaborazione
domestica
La figura della badante, così com’è intesa dalla legge
189/2002, è una figura professionale piuttosto recente. Si tratta
di una tipologia lavorativa estremamente diffusa, alla cui base
c’è l’invecchiamento della popolazione nel nostro Paese e la
crescente richiesta di assistenza da parte delle famiglie che
trovano un aiuto da collaboratrici straniere.
Esistono scarse e frammentarie informazioni circa la normativa
che disciplina il lavoro di “assistente familiare”.
Pertanto, questa guida è stata creata dall’Istituzione Centro
Nord Sud di Pisa, al fine di colmare tale disinformazione.
http://www.centronordsud.it/materiale/Guida%20badanti.pdf
Immigrazione: come, dove, quando. Manuale d’uso per
l’integrazione
Promosso dal Ministero della Solidarietà Sociale di Roma, è
uno strumento sintetico, pratico, il più possibile esaustivo e
consultabile in 11 lingue (albanese, arabo, cinese, francese,
inglese, italiano, polacco, rumeno, russo, serbo, spagnolo).
Affronta i seguenti temi:
- ingresso
- soggiorno
- lavoro
- sistema previdenziale e assicurativo
178
- anagrafe
- alloggio
- sanità
- istruzione
- dichiarazione dei redditi
- Banca
- Altri servizi
Questa guida, che è stata pensata sia per chi ancora non si
trova in Italia ed ha bisogno di capire come si possa entrare o
per chi già vi si trova, sia per datori di lavoro italiani e/o
stranieri, associazioni di categoria e famiglie che desiderano
accompagnare il cittadino straniero nel suo percorso
d'integrazione, può aiutare a risolvere i problemi che possono
presentarsi quotidianamente (dal contratto di lavoro
all'iscrizione dei figli a scuola, dal rilascio della patente
all'apertura di un conto corrente in banca).
http://www.solidarietasociale.gov.it/SolidarietaSociale/tematiche
/Immigrazione/pubblicazioni/Presentazione_Vademecum_Immi
grazione.htm
179
Barchette di carta
(R. Tagore)
Ogni giorno faccio galleggiare
le mie barche di carta ad una ad una
giù per la corrente del fiume.
Su di esse scrivo il mio nome
e il nome del villaggio dove vivo
in grandi lettere nere.
Io spero che un giorno qualcuno
in qualche paese straniero le trovi e sappia chi sono.
Carico le mie barchette con fiori di shiuli,
colti dal nostro giardino
e spero che quei fiori del mattino
sian portati nel paese della notte.
Io spingo le mie barchette di carta
e osservo nel cielo le nuvolette
che accompagnano le loro bianche vele.
Non so quale mio compagno di giochi
su in cielo le mandi giù per l’aria
a gareggiare con le mie barchette!
Quando scende la notte affondo la faccia
nelle braccia e comincio a sognare
che le mie barchette di carta
galleggiano sotto le stelle.
In esse viaggian le fate del sonno,
e il carico è cesti pieni di sogni.
180
“Ogni Uomo è un mondo”
Evghenij Evtusenko
181
182
Paolo Donzelli
Psicologo, teatroterapeuta, specializzando in psicoterapia
cognitivo-comportamentale.
Si occupa di formazione collaborando con enti pubblici e
privati. Ha collaborato con l’O.D.A., in qualità di docente e
supervisore in itinere, nel progetto “Mediatore Interculturale”.
È autore di numerosi articoli su riviste specialistiche. Svolge
attività clinica sia presso enti pubblici (CInAP -Centro per
l’Integrazione Attiva e Partecipata- e C.O.F. -Centro
Orientamento e Formazione- dell’Università degli Studi di
Catania) che nel privato ed è docente presso alcune scuole di
formazione in Teatroterapia.
183
Scarica

La Mediazione Interculturale