O.D.A. -Opera Diocesana Assistenza- Fondo Sociale Europeo Ministero del Lavoro Regione Siciliana Assessorato Regionale del Lavoro La mediazione interculturale: appunti di un viaggio e proposte operative a cura di Paolo Donzelli Disegno in copertina: Carlo Barbato, “Il Ponte”, Urbino, 2002. Le immagini sull’intercultura sono state tratte da una ricerca effettuata utilizzando il portale http://www.flickr.com/ e dall’archivio immagini del motore di ricerca http://www.google.it/. © 2007 O.D.A. Centro Formazione Professionale Via Galermo, 173 - 90123 CATANIA (CT) Tel. 095.515822 - Fax 095.7143383 2 e-mail: [email protected] Questo volume nasce dal percorso di formazione in “Mediatore Interculturale” realizzato presso l’ODA -Opera Diocesana Assistenza- di Catania. Il progetto, di durata annuale, è stato promosso dalla Regione Siciliana -Assessorato Regionale del Lavoro, della Previdenza Sociale, della Formazione Professionale e dell’Emigrazione-, con l’intervento del Fondo Sociale Europeo. Lo svolgimento della didattica, centrata sulla conoscenza del fenomeno migratorio nel nostro Paese, sull’analisi delle differenze interculturali e sulle modalità di relazione interpersonale -comunicazione verbale, non verbale e possibili strategie di mediazione con la persona immigrata-, ha previsto numerose visite formativo-esperienziali presso gli Uffici della Questura, della Prefettura e del Comune di Catania; presso il Presidio Transculturale dell’USL di Catania; presso la Casa dei Popoli e gli Istituti di accoglienza per gli stranieri (Help Center della Caritas e Centro Astalli) per favorire l’incontro con le altre culture; presso Moschee, situate nel territorio, per potere incontrare l’Imam e stimolare nei corsisti la conoscenza delle diverse ideologie religiose; presso i Templi buddista e induista e presso l’Ambasciatore del Senegal. Si ringraziano le persone e tutti gli Enti sopra citati per la collaborazione, per la sensibilità nei confronti dei problemi dell’immigrazione, per l’accoglienza e per la disponibilità dimostrate. Si ringraziano, altresì, i partecipanti al corso, veri protagonisti del percorso e autori delle pagine che seguono, in quanto senza di loro il progetto di scrivere questa guida, strumento che ci auguriamo possa essere utile a tutti coloro che si occupano della mediazione interculturale, non si sarebbe potuto realizzare. Paolo Donzelli 3 Hanno partecipato: BRUNO CLAUDIA CONTADINO VALENTINA EL KADI HAISSAM FRAZZETTO GRAZIA KHURSHID NAWZAD LA NAIA NICOLA LEANZA MARIA TALESTRI LUCIFORA ELEONORA LUNELIO ANGELA MARRELLO MARIA GRAZIA MAUGERI IVANA MAZZARINO CRISTINA MENTO GIANFRANCO TILENNI DIANNI MORGAN 4 INDICE IL FENOMENO MIGRATORIO - Cenni storici Migrazioni degli ultimi anni Colonialismo, sfruttamento del territorio e disparità nella distribuzione delle ricchezze Neocolonialismo e debito estero Alcuni dati statistici sul fenomeno migratorio I fattori di spinta e di attrazione nel fenomeno migratorio Cause politiche e militari La situazione sanitaria Gli effetti dell’immigrazione: dal Paese di partenza al Paese di arrivo Possibili rimedi? Il modello bidimensionale dell’acculturazione L’immigrazione come opportunità pag. 9 pag. 9 pag. 12 pag. 16 pag. 19 pag. 21 pag. 27 pag. 28 pag. 30 pag. 33 pag. 35 pag. 37 pag. 40 IL MEDIATORE INTERCULTURALE: GUIDA PRATICA AL LAVORO DI MEDIAZIONE INTERCULTURALE pag. 41 - - Teorie ed evoluzioni della Mediazione Culturale: Multicultura - Intercultura Transcultura Educare all’interculturalità Metodi didattici pag. 42 pag. 45 pag. 49 5 - - - - - 6 Insegnanti, mediatori e formatori: quali differenze? I linguaggi dell’uomo: la relazione come processo di comprensione e di ascolto La comunicazione verbale/non verbale e la gestione dello spazio Ansia e stress nella comunicazione La distorsione dei messaggi Le differenze e gli stereotipi Il conflitto: studi a confronto I possibili sviluppi del conflitto Tecniche educative di mediazione e gestione dei conflitti Assertività ed ascolto attivo Il dialogo interculturale Strumenti pratici per il mediatore Alcuni esempi di opuscoli informativi L’identità del mediatore interculturale: cartellini di riconoscimento e segnaposti Protocollo per un primo colloquio: schede di accoglienza e possibili approfondimenti Frasi per volersi bene Aforismi Raccolta di fiabe multiculturali per favorire l’integrazione nella scuola Intercultura: viaggio tra le immagini del web pag. 53 pag. 55 pag. 57 pag. 63 pag. 65 pag. 66 pag. 70 pag. 75 pag. 78 pag. 82 pag. 83 pag. 87 pagg. 91/102 pag. 103 pag. 106 pag. 110 pag. 111 pag. 112 pag. 124 IL CITTADINO STRANIERO: GUIDA PRATICA PER IL CITTADINO IMMIGRATO - Indirizzi utili Indirizzi web di riferimento Bibliografia di approfondimento Materiali per la didattica I diritti del cittadino straniero: alcune leggi e norme di riferimento Guide utili sui diritti della persona immigrata Barchette di carta pag. 137 pag. 148 pag. 151 pag. 159 pag. 171 pag. 177 pag. 180 7 Al viaggio che ogni uomo deve compiere per diventare adulto 8 IL FENOMENO MIGRATORIO Cenni storici (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Da sempre, secondo le varie esigenze di vita (dal tipo di habitat alla ricerca di cibo, alle condizioni climatiche, alla conformazione del luogo), l’uomo ha sentito il bisogno di spostarsi. A volte questi spostamenti sono costati vite, guerre, sacrifici, ma spesso sono serviti alla salvezza e al benessere di un popolo. Facendo una ricognizione nella storia delle migrazioni ricordiamo: lo spostamento dei Semiti in Mesopotamia, che nel II millennio a.C., occuparono i territori imponendosi alle popolazioni sumeriche; la migrazione degli Indoeuropei, provenienti dalle steppe danubiane, che si mescolarono alle popolazioni dell'Europa centrale dando origine a grandi civiltà come quella greca; le invasioni barbariche che portarono 9 conflitti ed instabilità; gli spostamenti degli Arabi che si insediarono nella penisola Iberica e che hanno lasciato mirabili opere di architettura risalenti alla seconda metà del XIV secolo; l’invasione dei Turchi che, intorno al XV sec., entrarono in Europa arrivando, poi, sino a Vienna. Ancora, non possiamo non ricordare il massiccio movimento migratorio che si ebbe, nel XIX secolo, dall'Europa all'America: dal 1820 al 1914 circa 40 milioni di europei sbarcarono negli Stati Uniti d'America. Con il declino della società rurale dovuto allo sviluppo industriale, con la diminuzione del tasso di mortalità che portò ad una tendenza al sovrappopolamento, con l'offerta di lavoro nelle città industriali, i contadini lasciarono le loro campagne alla ricerca di fortuna nelle grandi città americane. Venivano soprattutto dall'Irlanda, dalla Polonia, dalla Germania e dal Sud dell'Europa. Nel caso dell'Irlanda il fenomeno fu incrementato da crisi locali: a causa della carestia, delle tasse e delle persecuzioni da parte del governo inglese, emigrò il 72 % degli irlandesi. Alla fine dell'‘800 anche l'Italia fu coinvolta in questo flusso: emigrarono 7 milioni di italiani provenienti soprattutto dalle regioni agricole del sud e del nord-est. Non esistono dati statistici completi sulla composizione professionale degli emigranti ma si può ritenere che fossero addetti all'agricoltura e alla manodopera poco qualificata in quanto decisero di dirigersi verso le immense distese coltivabili dell'Argentina e del Brasile o verso le periferie delle grandi metropoli statunitensi (New-York, Chigago) creando vasti fenomeni di insediamenti proletari nei quartieri più poveri dei Paesi d’oltremare. 10 Nel dopoguerra, con lo sviluppo dell'economia industriale, assistiamo a migrazioni da zone periferiche a zone a maggiore concentrazione di attività produttive, alla ricerca di un lavoro manuale dipendente. Le migrazioni sembrerebbero rappresentare la disomogeneità dello sviluppo nelle differenti zone del territorio. Da qui i flussi da campagna a città e dall'Europa meridionale all'Europa centro-settentrionale: dall'Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Turchia verso la Germania e verso i Paesi Bassi. Verso la metà degli anni '60 si riduce questo flusso a favore di quello proveniente dalle ex colonie. Dopo il 1973 la recessione economica porta all'assunzione di politiche immigratorie più restrittive; contemporaneamente i paesi dell'Europa del Sud mutano la situazione migratoria divenendo meta di immigrazione anziché paesi di emigrazione. Alla fine degli anni '80, con la caduta del Muro di Berlino, si assiste ad un importante flusso migratorio nel nostro Paese dall'Est Europeo. 11 Migrazioni degli ultimi anni (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) "Nell’epoca della globalizzazione e della formazione di poteri sovranazionali che sfuggono alle tradizionali autorità di governo, lo «spazio» che conta non è quello geopolitico, definito dagli Stati nazionali, ma quello economico-sociale, definito dallo sviluppo dualistico del sistema economico mondiale" (AA. VV. Un pianeta in movimento -viaggio nei fenomeni migratori-, MANITESE-CRES, Milano). Dal XIX secolo si evidenzia un fenomeno di migrazione dall'Europa -società urbanizzata ed evoluta- al Nord America e poi in Australia -ambienti destrutturati a vocazione rurale-. In questa situazione risultano fondamentali i contributi socioeconomici e culturali che le società di origine apportano in contesti immacolati. 12 Più di recente, invece, i flussi migratori vanno da realtà rurali molto popolate ad aree urbane ad intenso sviluppo tecnologico, ma con un’alta domanda di manodopera: il fenomeno è una conseguenza della rivoluzione agraria dell’‘800 e della contemporanea rivoluzione industriale. Negli ultimi anni sono in aumento anche le migrazioni da aree sviluppate ad altre analoghe, soprattutto per figure professionali molto qualificate, nonché all’interno delle aree sottosviluppate sia per eventi traumatici (calamità naturali, guerre, carestie) sia per la presenza di poli di relativa attrazione. L’attrazione e la conseguente migrazione nascono frequentemente dal divario fra risorse disponibili in un territorio (ricchezza) e quelle carenti in un altro (povertà); fra paesi del sud del mondo il divario è relativo, ma comunque esiste fra Stati diversi come pure fra città e campagne, all’interno dello stesso Stato. Ad esempio, "la Costa d’Avorio attrae lavoratori dal Burkina Faso e dal Mali; la Giordania dalla Siria e dall’Egitto; il Gambia dal Senegal, il Sudafrica dallo Zimbabwe, dallo Zambia e dal Malawi" (AA. VV. Un pianeta in movimento viaggio nei fenomeni migratori-, MANITESE-CRES, Milano). Non solo, ma anche all’interno dell’Europa stessa si verifica questo fenomeno. Persino all’interno dei singoli stati (basti pensare agli innumerevoli spostamenti dal sud al nord Italia). Ma perché tutto questo? Perché questa atavica propensione dell’uomo alla migrazione, che fa della storia un susseguirsi di viaggi e di spostamenti, di esodi e di peregrinazioni alla continua ricerca di un luogo confacente alle proprie esigenze? In parte per le vicissitudini che un singolo popolo può dover affrontare in un luogo che gli è ostile (che possono andare dallo scontro con un altro popolo alle catastrofi naturali e non); in 13 parte, sicuramente, perché l’uomo è comunque alla continua ricerca del meglio per sé e, per quanto un luogo possa apparire adeguato in tutte le sue caratteristiche, nel corso del tempo non lo sarà mai totalmente (non dimentichiamoci che l’uomo è un essere finito e imperfetto che ha però in sé l’idea e il concetto di infinito e di perfezione, croce e delizia della vita umana, ma anche obiettivo contingente e necessario affinché egli dia una meta, un orientamento, sulla lunga distanza, al suo cammino). Non dobbiamo quindi stupirci se oggi più che mai ci troviamo di fronte a uno dei più grandi fenomeni migratori del secolo. Da quanto sopra riportato, l’immigrazione sembra proprio essere una componente insita nella vita dell’uomo, indipendentemente dal periodo storico (considerato il fatto che non ci troviamo a vivere in un periodo particolarmente anomalo, finita quest’epoca, è estremamente probabile che si verificheranno altri flussi migratori). Eppure, di tutto questo, c’è chi ancora si stupisce. Molti credono assurdo il fatto che la nostra società si possa aprire sempre più al multiculturalismo e all’interscambio con culture diverse. Gli stessi considerano certi spostamenti delle vere e proprie invasioni, reputando questa imprescindibilità umana una diaspora apocalittica, quasi un segno ineluttabile di fine dei tempi e di incomprensione tra i popoli. Tutto ciò avrebbe probabilmente un senso se tale pensiero colpisse lo zoccolo ignorante del popolo, che forte del suo campanilismo patriottico preferirebbe davvero la fine dei tempi piuttosto che una mescolanza del genere ignorando anche altri aspetti della faccenda. Più grave diventa il fatto che sono proprio i politici dei vari paesi a fomentare questo tipo di pensieri xenofobi. 14 E ancor più grave è quando l’immigrato diventa la valvola di sfogo di governi che pensano “bene” di combattere i disagi sociali e la delinquenza partendo dal basso, dal lavavetri che dà fastidio, dal morto di fame (senza alcuna coloritura dispregiativa) che ruba per mangiare, dal mendicante che puzza. Premesso che nessuno di questi fenomeni è gradevole e che chi ruba commette comunque un illecito, ci sembra più opportuno cominciare dai piani alti, da chi, seduto in poltrona, ingurgita quattrini e permette tutto questo. Convivere con queste convinzioni non ci impedisce di essere obiettivi sulla questione e di capire a fondo le motivazioni e le dinamiche che hanno condizionato, che condizionano e che condizioneranno gli spostamenti migratori nelle varie parti del mondo. 15 Colonialismo, sfruttamento del territorio e disparità nella distribuzione delle ricchezze (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Di seguito, un piccolo accenno a quelli che possono essere i fattori (storici, ma anche economici e culturali) che hanno dato il via al fenomeno dell’immigrazione. L’andamento demografico della popolazione mondiale è stato ampiamente condizionato, in diversi periodi storici, da fenomeni quali il processo di colonizzazione e la spartizione del mondo in aree di influenza. Tali fenomeni sono responsabili: - dell’ingente calo della popolazione americana in seguito all’emigrazione europea oltreoceano (molti Amerindi vennero eliminati e le malattie importate dai coloni provocarono la morte di moltissimi popoli autoctoni), - del massiccio trasferimento coatto di popolazioni nere africane in America, - dell’origine del fenomeno del sottosviluppo nei paesi del sud del mondo. La spinta principale che portò gli europei a sconvolgere i sistemi politici, economici e sociali dei luoghi occupati fu la necessità di materie prime e di nuovi mercati per i prodotti finiti. Gli europei riuscirono, pertanto, in tempi brevi, ad acquisire un’egemonia mondiale attraverso gli scambi commerciali ed il progressivo dominio politico finalizzato a garantire gli interessi economici delle loro potenze in America, in Africa e in Asia. Caddero antiche civiltà, luoghi che sino ad allora erano rimasti vergini. In America centro-meridionale antichissime culture, con organizzazioni politiche ed economiche complesse, furono 16 spazzate via dai conquistadores in pochissimi anni, sconfitte dalla superiorità dei mezzi bellici, dalle malattie importate dagli europei e dall'organizzazione strettamente gerarchica della vita politica, facilmente alterata dalla subitanea eliminazione dei supremi sacerdoti. Nell'America del nord, popolata da un milione di indigeni, fu perpetuato un genocidio che venne protratto sino all'inizio del XX secolo, con interventi militari e con la distruzione delle risorse vitali per la sopravvivenza delle tribù nomadi (sterminio dei bisonti); gli Indiani furono alla fine rinchiusi nelle Riserve. In Africa, dall'incontro con gli europei si ebbero conseguenze terribili perché la risorsa esportata era quella "umana": la tratta degli schiavi. Le antiche civiltà evolutesi senza molti contatti con l'esterno (regni di Yoruba, del Benin, del Congo, Luba e Matabele) erano impreparate ad affrontare l'impatto con gli europei. Soltanto alcune di loro intrattenevano già rapporti commerciali con la cultura arabo-islamica, ne subivano l'influenza e conoscevano il commercio di schiavi che aveva portato alla rovina le civiltà di Axun e del Ghana. Era nulla, tuttavia, a confronto della “marcia europea” che, per quasi quattro secoli, rapì o barattò con mercanzia di infimo valore i giovani africani, speranza e futuro delle comunità a cui appartenevano. Inoltre, sfruttando e aizzando le rivalità fra le diverse tribù, gli europei deportarono milioni di neri in America, in condizioni disumane, per farli lavorare nelle piantagioni o nelle miniere. In Asia, invece, la situazione era diversa. Importantissime civiltà avevano da sempre partecipato al commercio mondiale; anche a causa degli enormi territori e della numerosa popolazione, i territori non vennero travolti dall’ondata di colonizzazione europea che si dovette accontentare di piccoli insediamenti: piccole basi commerciali sotto la bandiera di un qualche stato europeo. Fino al XVIII secolo i prodotti dell’Asia -tessuti in seta e cotone, spezie, thè- venivano acquistati 17 barattandoli con oro e argento. Fu l'avvento della rivoluzione industriale -quando le fabbriche inglesi cominciarono a produrre tessuti a basso costo- a determinare la crisi dell’industria tessile indiana, riducendo la colonia, fino ad allora benestante, a semplice fornitrice di materia prima. Il colonialismo fu caratterizzato, pertanto, dallo sfruttamento radicale di tutte le risorse del paese colonizzato (risorse agricole, minerarie, energetiche ed umane) relegando quindi il ruolo dei paesi dominati a fornitori di materie prime a costi molto bassi, usando la manodopera indigena o, allo scopo, deportata (schiavi). I paesi colonizzatori, con tecnologie più avanzate, produssero ed esportarono prodotti e manufatti industriali, costringendo poi i paesi colonizzati ad importare i prodotti stessi a costi elevati, perché imposti dal paese più "forte". Questo processo, inevitabilmente, portò le colonie a specializzarsi in pochissimi settori, coltivando o estraendo solo uno o due prodotti (monocoltura), riducendo le possibilità di soluzione in caso di crisi della loro economia e rendendoli completamente dipendenti dalle economie più evolute dei Paesi del Nord del mondo che, oltretutto, finirono per controllare i commerci a livello internazionale. 18 Neocolonialismo e debito estero (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Attorno alla metà del '900, si affermano, nelle colonie, i movimenti di liberazione nazionale e progressivamente, attraverso conflitti o in forma pacifica, molti Paesi del Sud del mondo acquistano l'indipendenza politica, a cui non corrisponde però l'indipendenza economica. Ci si trova, quindi, nella necessità di scegliere fra due modelli di sviluppo: capitalista occidentale o socialista sovietico. Comunque svantaggiati nei confronti delle economie del nord, i Paesi del Sud del mondo devono chiedere aiuto alle nazioni più ricche. Ne consegue un nuovo colonialismo di tipo economico: il neocolonialismo. Gli Stati del Sud non sono più occupati militarmente, ma presi d'assalto da imprese straniere transnazionali di grandi dimensioni: le multinazionali, colossi finanziari che investono in più settori e che, in regime monopolistico, dislocano il ciclo produttivo nei paesi che garantiscono i più bassi costi di produzione. Il meccanismo già esistente durante il colonialismo per il quale i Paesi del Sud vendono materie prime ed acquistano prodotti industriali viene esasperato: il potere di acquisto degli stessi diminuisce sempre più, i prezzi delle materie prime controllati dai paesi del Nord si abbassano, i prezzi dei prodotti industriali rimangono pressoché costanti (deterioramento dei termini di scambio). Succede quindi che, ad esempio, mentre nel 1970 la Malesia, vendendo 4 tonnellate di caucciù, poteva acquistare una jeep, nel 1977, aveva bisogno di 10 tonnellate di caucciù per potere acquistare la stessa jeep. Nel frattempo, peggiorano le condizioni di vita delle popolazioni e aumenta la disparità: il Sud del mondo dispone solo del 17 % del prodotto mondiale per il 78 % della popolazione del pianeta. 19 Fra il 1974 e il 1977 le Banche dei Paesi del Nord hanno a disposizione enormi quantità di denaro derivante dall'aumento del prezzo del greggio. Con i petrodollari, si pensa di investire imponendo numerosi prestiti ai Paesi del Sud. In qualche caso i capitali vengono investiti in progetti di sviluppo ispirati spesso dai paesi che li concedono e, quindi, inevitabilmente a loro tornaconto -o stimolando acquisti di beni da loro prodotti o stimolando produzione di beni e materie prime che il Paese industrializzato vuole importare. Famoso l'esempio del Brasile che, tuttora, distrugge parte della Foresta Amazzonica per sfruttarne le miniere. In altri casi, i prestiti vengono girati sui conti personali dei vari dittatori o usati per acquistare armi utili a causa delle continue lotte locali. Il calo dei prezzi delle materie prime e l'inflazione aumentano progressivamente il debito, tanto che, sin dagli anni '80, gli interessi risultano essere maggiori rispetto ai fondi ricevuti. In definitiva, il debito dei Paesi del Sud appare in vertiginoso aumento: già nel 1990 si ha una stima di 1.300 miliardi di dollari. Persino ai giorni nostri, numerose campagne di opinione si sono sviluppate per la cancellazione del debito ingiusto dei Paesi del Sud del mondo. 20 Alcuni dati statistici sul fenomeno migratorio (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Qui di seguito riporteremo alcuni dati inerenti il fenomeno migratorio, sia a livello locale che a portata mondiale, anche per rendere chiaro come il fenomeno migratorio riguarda non solo il microcosmo di una cittadina siciliana, bensì una vasta area comprendente tutto il pianeta. Basti pensare che i 200 milioni di immigrati producono nel mondo una ricchezza pari a 1.67 miliardi di EURO e contribuiscono allo sviluppo del terzo mondo tre volte più di quanto facciano tutti i paesi industrializzati attraverso i loro programmi d’aiuto allo sviluppo. Per il resto lasciamo che parlino i dati… 21 Immigrati a Catania Rilevamento dati al 30.12.2006 Rilevamento dati al 30.12.2006 Stranieri appartenenti all’Unione Europea 22 Rilevamento dati al 30.12.2006 Stranieri non appartenenti all’Unione Europea 23 Popolazione residente straniera al 31.12.2006 per cittadinanza e sesso 24 Popolazione residente straniera al 31.12.2006 per cittadinanza e sesso 25 Popolazione residente straniera al 31.12.2006 per cittadinanza e sesso 26 I fattori di spinta e di attrazione nel fenomeno migratorio (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Le migrazioni sono condizionate da fattori dipendenti dalla realtà del paese che viene lasciato (fattori di spinta) e dalla differenza della realtà dei paesi che accolgono i migranti (fattori di attrazione). Il livello culturale della maggior parte delle popolazioni del sud del mondo si è indubbiamente elevato, senza corrispondere a maggiori possibilità di lavoro qualificato nei propri paesi (fattore di spinta); è naturale che laureati e diplomati cerchino all'estero, nei paesi del nord, possibilità per migliorare la propria condizione. Inoltre, il modello culturale ed economico dell'occidente opulento viene ampliato dai mass-media e proposto come unico degno di essere raggiunto per essere "evoluti" e, finalmente, omologati nella realtà economica vincente (fattore di attrazione). La facilità di diffusione delle informazioni, la sempre maggior presenza del turismo, i contatti con i simboli del benessere innescano “un’aspettativa crescente" fra i giovani, demoralizzati dall'assenza di un futuro nei loro paesi, attratti da un'immagine di mera "facciata" di paesi industrializzati, democratici, aperti a culture diverse, con disponibilità di posti di lavoro (fattori di attrazione); si ripresenta un po' l'immagine dell'America che, all'inizio del secolo, ha attirati i nostri emigranti. Questa lettura si è manifestata chiaramente con l'arrivo delle masse di profughi albanesi che, nell'agosto del 1991, ha preso d'assalto le coste pugliesi. 27 Cause politiche e militari (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Molti paesi del sud del mondo sono retti da dittature o regimi militari che restano al potere attraverso repressioni anche durissime nei confronti della popolazione, costringendo interi gruppi ad emigrare (fattore di spinta). Istigati dalle superpotenze, prima sotto forma di appartenenza ad uno dei due blocchi U.S.A - U.R.S.S., poi sotto forma di finanziamento, armamento e sostegno militare in cambio di posizioni strategiche o di convenzioni per lo sfruttamento esclusivo delle risorse naturali, nel sud del mondo sono sempre proliferati i conflitti (fattore di spinta). Una volta finita la guerra fredda, ancor di più sono state attizzate guerre civili fratricide con apparente motivazione religiosa o etnica, ma nella sostanza rivelatesi semplicemente lotte di potere e di supremazia economica "utili" fra l'altro, ai paesi industrializzati per fare "affari" con la vendita delle armi (l'Italia esporta massicci quantitativi di armi) e per investire nella ricostruzione. Gli esempi del conflitto nella ex-Jugoslavia ed in Rwanda sono illuminanti. Questa situazione provoca l'esodo di interi popoli: gruppi eterogenei di centinaia di migliaia di persone sono costrette a fuggire per sperare di salvare la propria vita; in fuga con poco o nulla, alla ricerca di rifugio o di asilo politico. Ma per poter ottenere il riconoscimento di rifugiato politico occorre, come minimo, possedere il passaporto, il cui costo è spesso fuori dalla portata della maggior parte delle popolazioni africane o asiatiche. Lo status di rifugiato viene generalmente riconosciuto ai sensi della Convenzione di Ginevra (art.1) che lo applica a coloro che: "avendo ragione di temere di essere perseguitati per la propria razza, la propria religione, la propria nazionalità, la propria appartenenza ad un gruppo sociale, o per le proprie 28 opinioni politiche, si trovano al di fuori dal Paese d'origine e non possono o non vogliono, per paura, chiedere protezione al proprio Paese; o a chi non avendo nessuna nazionalità e trovandosi fuori dal Paese di abituale residenza, in seguito a gravi avvenimenti, non può o non vuole, sempre per paura, ritornarci". Eppure oggi si verifica, a tal proposito, un paradosso. Un’incongruenza per cui la generosa circolazione di beni e di prodotti e, insomma, di vari fattori di produzione, è regolata da norme che non disciplinano altrettanto bene la circolazione di forza lavoro. Spostamento di beni, sì; spostamento di persone, no! Così, mentre esiste un consenso generalizzato per evitare i controlli (di frontiera) di merci, di capitali e di qualsiasi altro tipo di beni e di servizi, allorché si tratta di persone (immigrati e profughi) gli stati di quello che si definisce "il primo mondo", risultano chiusi, prepotentemente barricati, affermando ancora una volta il loro diritto sovrano di controllare le frontiere. Infatti i paesi ricchi impongono forti restrizioni agli spostamenti della popolazione, mentre esiste una libertà totale di movimento per le merci, il capitale ed i servizi. In definitiva, la globalizzazione dell’economia non è accompagnata da espansione/diffusione della ricchezza e del benessere ma, al contrario, rappresenta un processo a carattere doppio, che, piuttosto, contribuisce all’aumento delle disuguaglianze tra i paesi ricchi ed i paesi poveri, così come all’aumento della marginalizzazione interna in ogni paese di vasti strati di popolazione o di zone geografiche. 29 La situazione sanitaria (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Il diritto alla salute oggi, nel terzo millennio, si colloca tra i diritti di cittadinanza sociale, all’interno dei principali parametri di valutazione degli indici di sviluppo della civiltà di un Paese. E’ un diritto fondamentale che non può sottostare a criteri di scienze economiche che non siano strutturate prioritariamente sul valore e sul principio del rispetto della dignità umana, quale principio fondante della Società stessa. L’Economia, pertanto, deve essere una scienza che studia lo sviluppo per la ricchezza delle Nazioni e, quindi, per la felicità dei popoli, e non deve essere una scienza che si occupa solo dell’allocazione delle scarse risorse a livello individuale. Oggi, quindi, è necessario ridefinire le politiche economiche secondo i principi dello sviluppo sostenibile. E’ bene qualificare l’aggettivo sostenibile riferendosi alla persona umana che deve essere sempre al centro delle attenzioni dei modelli di organizzazione sociale. Tutelare la salute degli immigrati non è facile, non solo per il numero imprecisato di clandestini che sfuggono ai controlli sanitari, ma anche perché l’immigrato si rivolge ai servizi sanitari solo in casi urgenti ed ha spesso un diverso modo di intendere la salute che può essere causa di incomprensioni nelle relazioni con il medico. Le patologie acute più comuni sofferte dai cittadini immigrati sono quelle a carico degli apparati respiratorio, digerente, osteoarticolare (traumatismi), oltre a quelle legate alle complicanze della gravidanza e all’espletamento del parto. Si tratta, quindi, di disturbi e malattie dovute alle condizioni di vita nel nostro Paese (lavorative, abitative o igieniche). 30 E’ interessante anche il dato sulle patologie psichiatriche, pur trattandosi di un fenomeno di ridotte dimensioni. L’integrazione risulta essere un elemento cruciale per la stabilità psico-emotiva. Lo stress psicologico deriva dal fallimento o dalla minaccia di fallimento del progetto migratorio, dalla disoccupazione o precarietà occupazionale, dall’inadeguatezza degli alloggi, dalle carenze igieniche, dalla lontananza dagli affetti, dallo sradicamento culturale e ambientale, dalle difficoltà di inserimento sociale, dalla discriminazione nell’accesso e utilizzo dei servizi. In relazione a quest’ultimo problema, il Testo Unico sull’immigrazione, il decreto legislativo 286/98, nella parte che riguarda le disposizioni sanitarie, si ispira al principio secondo cui la piena integrazione dello straniero si realizza a patto che gli siano garantite le stesse opportunità di assistenza medica e di prevenzione delle malattie garantite ai cittadini italiani. In particolare, l’art. 34 prevede l’iscrizione obbligatoria al SSN come strumento per garantire la “parità di trattamento” per tutti gli stranieri presenti regolarmente e stabilmente nel nostro Paese. Inoltre, la legge prevede anche l’assistenza agli immigrati in condizione di irregolarità giuridica (art. 35). Già da diversi anni l’Istituto Italiano di Medicina Sociale ha riconosciuto la necessità di adottare una “medicina transculturale” che fornisca al medico gli strumenti necessari per comprendere il bisogno di individui la cui diversità non si esprime solo nel differente linguaggio usato, ma soprattutto negli atteggiamenti derivanti da una diversa esperienza culturale. Al medico non spetta, infatti, solo la conoscenza dell’aspetto strettamente sanitario della malattia; il medico deve tenere presente che l’extracomunitario, cambiando il contesto socio-culturale di riferimento, trova difficoltà nel confrontarsi con la nuova realtà, soprattutto quando la propria percezione dello stato di salute e di malattia non coincide con 31 quella ‘occidentale’. Per alcuni immigrati africani, ad esempio, la malattia e il dolore sono legati non tanto ad una patologia psico-corporale quanto ad un malessere sociale derivato dalla trasgressione di una norma della società di appartenenza; è chiaro, quindi, che il medico dovrà mettere in campo conoscenze e pratiche diverse per comprendere i bisogni dell’immigrato, nel rispetto della sua tradizione culturale. 32 Gli effetti delle migrazioni: dal Paese di partenza al Paese di arrivo (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Gli effetti sociali del fenomeno dell'immigrazione sono molteplici e, a volte, più negativi che positivi, soprattutto se la società di accoglienza è impreparata ad affrontare il fenomeno o è viziata da abitudini colonialiste o di chiusura culturale nei confronti della diversità. I paesi da cui provengono gli immigrati presentano spesso gravi problemi di disoccupazione o sottoccupazione. L'emigrazione di forza lavoro può allentare la pressione sul mercato del lavoro e l'invio dei guadagni degli emigrati alle comunità di origine può costituire un'entrata complessiva notevole in società che vivono con un reddito pro-capite di poche centinaia di dollari all'anno. Questi effetti positivi sono per lo più di breve durata; infatti, per contro, quando persone qualificate lasciano i paesi di origine, i costi per l'istruzione sostenuti dai paesi poveri vengono messi a frutto in paesi ricchi depauperando e creando vuoti nella classe dirigenziale del paese di invio. Quando le migrazioni, inoltre, si concentrano su alcuni settori della popolazione, ad es. uomini giovani o donne, possono esserci ripercussioni sull'economia locale. Per alcuni paesi (ad es. America Latina, Filippine) l'emigrazione femminile è considerata una risorsa fondamentale nell'aiutare le famiglie in patria, per altri essa viene per lo più dettata dal desiderio di ricongiungimento con il proprio marito. Quanto sin ora descritto è quel che succede nelle società di partenza. Nelle società di arrivo, invece, l'impatto iniziale risulta essere positivo in quanto la manodopera straniera copre 33 vuoti in ambito lavorativo. Tuttavia, l’inserimento avviene in settori pericolosi o nocivi per la salute, con orari più lunghi, turni notturni o durante le festività. Tutto questo diventa un problema in caso di assunzione illegale o di lavoro nero, sia per la "concorrenza sleale" con la manodopera locale, sia per la maggiore facilità con cui i datori di lavoro evadono contributi fiscali e previdenziali o non rinnovano impianti e tecnologie, creando quindi conseguenze negative nel lungo periodo. Tale situazione viene anche alimentata dal malcostume locale ed è un fenomeno che le società civili dovrebbero controllare con più attenzione cercandone una soluzione. Infatti, al fine di fornire servizi socio-assistenziali alle persone immigrate, i costi sociali sono notevoli: se l'immigrato lavora regolarmente, sostiene lui tali spese in prima persona con i contributi versati, se, al contrario, egli lavora illegalmente, tali costi ricadono sulla società. 34 Possibili rimedi? (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) La migrazione dai Paesi del Sud del mondo è un fenomeno di dimensione planetaria. Nel nostro Paese ed in Europa si sta pianificando l’inclusione sociale degli immigrati, al fine di promuovere una Società civile, strutturata su indicatori di qualità, in un ambito più vasto di affermazione dei diritti umani inviolabili. Ma ancora molta strada va percorsa per la promozione di una cultura della solidarietà sanitaria, religiosa e culturale verso gli immigrati. A livello internazionale, le Nazioni Unite si stanno dotando di organismi di coordinamento utili per promuovere un dialogo tra i vari Paesi, affinché siano diffuse le migliori pratiche per rendere il processo di globalizzazione più equo, come ad esempio il Global Contact, proposto per la prima volta da Kofi Annan, nel Forum Economico Mondiale del gennaio 1999, con cui è stato chiesto alle imprese aderenti a livello mondiale di cooperare nella realizzazione di pilastri sociali ed economici, per sostenere la nuova economia mondiale e far si che la globalizzazione sia proficua per tutti, nel pieno rispetto dei principi fondamentali della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Questa e’ sicuramente una valida azione di solidarietà sociale. Un maggiore impulso potrà essere dato dalla cosiddetta “economia di comunione”. L’economia di comunione ci invita a produrre ricchezza, non sottraendola ad altri e facendo in modo che anche gli altri ne producano; quindi, produrre ricchezza non solo tramite il lavoro fisico ed intellettuale dell’uomo, ma anche per mezzo della creatività e della capacità di immedesimazione nelle esigenze altrui, come supervalore dell’unità e della coesione sociale. 35 Chi pratica l’economia di comunione produce uno sviluppo sostenibile dalla natura e assicura l’evolversi della diversità delle culture e degli essere viventi. Questo tipo di economia assicura lo sviluppo di risorse e di culture diverse, mentre l’economia individualista non condivide nella solidarietà le proprie risorse ma mira al libero arricchimento personale. Libero, e forse proprio per questo, spesso, smisurato. Il modello relazionale che promuove l’economia di comunione è un parametro, nella nicchia culturale dell’uomo, che lo potrà far evolvere nel terzo millennio nell’uso delle risorse, in maniera da raggiungere uno sviluppo socio-economico sostenibile dalla natura, condizione necessaria alla permanenza dell’uomo all’interno di una futura società. Questo tipo di economia, fondata sulla cultura del dare e non dell’avere, se estesa su larga scala potrebbe eliminare i conflitti tra i popoli e portare la solidarietà tra le generazioni. A questo proposito, la legge Bossi-Fini n.189/2002 concentra l’attenzione sull’immigrato come lavoratore. Il lavoro è uno degli aspetti preminenti, ma l’immigrato è anche un cittadino portatore di bisogni socio-culturali. La difficoltà maggiore, in Italia, è quella di far convivere differenti tradizioni linguistiche, culturali, religiose e sociali. E’ proprio questa, infatti, la particolarità del caso italiano rispetto ad altri Paesi europei di più antica immigrazione: il carattere plurimo dell'immigrazione, cioè la presenza, nel nostro Paese, di etnie diverse. Eppure, se guardiamo la nostra storia d’Italia, noi italiani stessi, per primi, siamo sempre stati “un popolo-non popolo”. 36 Il modello bidimensionale dell’acculturazione (Paolo Donzelli) La migrazione rappresenta un processo psicosociale complesso. Gli effetti sull’identità della persona immigrata risultano spesso duraturi e significativi. Entrando in contatto con una nuova cultura, l’identità personale, gli schemi di riferimento, il contesto di cui ci si sente di far parte, direi “i punti cardinali della bussola della propria identità personale e culturale”, inizialmente vacillano. Avviene una sorta di riorganizzazione psico-sociale in cui il proprio e l’altrui comportamento diventano parte determinante del processo di integrazione. I cambiamenti che l’inserimento in una cultura diversa comporta sull’identità culturale di un soggetto possono essere riassunti nel concetto di acculturazione, utilizzato per la prima volta da Redfield, Linton e Herskovitz nel 1936. Esso viene caratterizzato da alcuni elementi chiave (Berry e al. 1999): - il contatto o interazione tra culture è continua e diretta. Ciò esclude contatti brevi, accidentali e la diffusione di singole pratiche culturali su lunghe distanze (Bochner, 1982); - ne risulta un cambiamento nei fenomeni culturali o psicologici fra le persone in contatto e, di solito, continua per generazioni; - è presente un’attività dinamica durante e dopo il contatto che dà origine a nuovi processi di interazione e di sviluppo della comunità. 37 Nel parlare di acculturazione, non possiamo non menzionare gli studi di Berry, nel 1980, e la sua teoria sul processo di integrazione dello straniero nel “nuovo contesto sociale in cui giunge”. Nell’interazione che si viene a creare può accadere che: 38 - la persona immigrata rinunci consciamente o inconsciamente all’appartenenza alla propria cultura di origine in favore di una più o meno completa assunzione dei valori e delle caratteristiche comportamentali del nuovo gruppo culturale. Si parlerà, in tal caso, di assimilazione; - il cittadino straniero, pur mantenendo una salda appartenenza alle tradizioni culturali originarie, incorpori i valori e le norme comportamentali della cultura in cui si viene a trovare. Si parlerà, pertanto, di integrazione, “scoperta di un senso di sé biculturale, che intrecci le caratteristiche uniche dei due gruppi culturali di cui si fa parte”; - lo straniero rifiuti e perda progressivamente il proprio patrimonio culturale, nel contesto del rifiuto complessivo, da parte della società ospitante, dei valori e delle norme comportamentali del suo gruppo di appartenenza originario. Inoltre, l’espressione della difficoltà ad integrarsi nella nuova cultura, viene evidenziata dalla fatica ad accettare i nuovi valori e le nuove norme di comportamento del “popolo ospitante”. Tale situazione determina il processo che Berry chiama emarginazione; - lo straniero desideri, sia consciamente che inconsciamente, conservare la propria integrità culturale resistendo attivamente all’adozione di valori e modelli di comportamento sociale della cultura ospitante e sottraendosi al contatto con essa e alla sua influenza. In tal caso, parleremo di tradizionale separazione (vedi figura 1). MODELLO BIDIMENSIONALE DELL’ DELL’ACCULTURAZIONE (Berry, , 1980) Berry PERDITA DELLA CULTURA INDIGENA SI SI ASSIMILATO NO INTEGRATO ACQUISIZIONE DELLA CULTURA OSPITE NO MARGINALIZZATO TRADIZIONALE SEPARAZIONE figura 1 39 L’immigrazione come opportunità (Nawzad Khurshid, Gianfranco Mento) Le società di accoglienza hanno l'opportunità di arricchimento culturale dato dalla presenza di componenti ricche e variegate, ma devono saper affrontare i conflitti che inevitabilmente tale co-presenza può scatenare; non sono sufficienti semplici regole di convivenza che, oltretutto, non riguardano solo i nuovi arrivati, ma entrambe le componenti. E’ necessario che il paese di arrivo di consistenti flussi migratori si dia regole e consuetudini che, disciplinando la convivenza, permettano e stimolino l'incontro, il dialogo, lo scambio fra le diverse componenti onde poter far evolvere una società semplicemente multiculturale in una società interculturale. Le migrazioni sono un fenomeno complesso che coinvolge singoli individui con le loro personalità e con le loro storie, intere società e meccanismi economici sovranazionali comprendendo contemporaneamente sia aspetti positivi che meno positivi. Spesso, affinché prevalgano gli aspetti positivi, occorre un concreto, serio e duraturo impegno. In conclusione, l’incontro con la persona immigrata, quando viene gestito nel rispetto degli spazi di ascolto, con raziocinio e curiosità viva, può acquistare il significato di occasione -donata- di recupero della propria identità di “cittadino del pianeta” e di salvataggio di tutte le risorse di cui è portatrice la diversità. L’immigrazione, pertanto, spesso considerata un problema, può costituire una risorsa se si guarda ad essa con occhi nuovi e lungimiranti. 40 IL MEDIATORE INTERCULTURALE GUIDA PRATICA AL LAVORO DI MEDIAZIONE INTERCULTURALE 41 Teorie ed evoluzioni della Mediazione Culturale: Multicultura – Intercultura − Transcultura (Maria Grazia Marrello, Angela Lunelio) Negli anni ‘80 l’Italia, in concomitanza con le nuove ondate migratorie che hanno investito l’Europa, provenienti da tutti i continenti compresa l’America Latina, da paese di emigrazione si è trasformata in paese di immigrazione. Mentre per altri paesi d’Europa (Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna) la presenza di immigrati era un dato ormai acquisito o per essere stati imperi coloniali (Inghilterra e Francia) o per essere poli industriali (Germania), per l’Italia, in effetti, si trattava di un fenomeno nuovo per la cui comprensione non bastava la memoria del proprio passato di “Paese di popolo emigrante”. Inizialmente, con i primi flussi migratori, sul piano sociale e politico si tentò faticosamente di regolamentare il fenomeno (fino al 1986 l’Italia non aveva ancora una legislazione in materia di immigrazione). Con la legge Martelli (legge 39) degli anni ’90, si cercò di abolire la riserva geografica per la concessione dell’asilo politico, prevedendo un’annuale regolamentazione dei flussi migratori, una repressione degli ingressi clandestini ed un superamento delle vecchie normative di epoca fascista per le concessioni dei permessi di soggiorno. Questa nuova realtà multietnica e multiculturale ha determinato un cambiamento sia sul versante economico-sociale del Paese, sia su quello culturale e formativo, cambiamento che prevede una nuova, continua e attenta riorganizzazione delle leggi e dei servizi. Il dilemma attuale è: i governi dell'Unione Europea saranno capaci di un'integrazione dinamica, quindi né assimilatoria né ghettizzante, dei cittadini di diversa nazionalità? 42 A questa situazione si aggiunge il concetto stesso di intercultura che non è semplice e univoco: esso fa subito pensare non solo ad una cultura che accomuna in sé più possibilità di scelta e di tentativi di cooperazione ma anche ad un sistema chiuso, che evidenzia differenze, distanze, separazioni e conflitti tra universi recintati quali sono le varie culture. Per progettare un percorso di educazione interculturale è necessario partire da una visione "etnoplurima", considerando, cioè, più punti di vista. Si tratta di un tipo di conoscenza estremamente complesso: entrare in relazione con altre culture, infatti, vuol dire promuovere atteggiamenti di disponibilità, di apertura e di dialogo nei confronti di esse anche quando vengano rilevati aspetti che le rendono "diverse" dalla propria. Spesso, la rappresentazione che ognuno di noi si fa della cultura "altra" non coincide necessariamente con quella che essa si fa di se stessa, né con le rappresentazioni che altre culture ancora si possono costruire della stessa. L’intreccio di queste rappresentazioni, che si manifestano spesso in forme di stereotipo, costituisce la trama complessa dell’interculturalità. Ci sono, infatti, rappresentazioni del mondo così diverse che invitano l’uomo alla cautela, al non giudizio affrettato, ad entrare nel regno delle possibilità conservando lo spirito dell’umiltà, della solidarietà e dell’accettazione. Risulta pertanto necessario dirigersi verso un’educazione alla varietà e alla molteplicità. Per realizzare questo, diventa indispensabile incentivare un apprendimento che fornisca ai cittadini gli strumenti e le flessibilità necessarie per passare da un'identità culturale all’altra senza timore. 43 Gli atteggiamenti della solidarietà e della condivisione, senza dubbio, si costruiscono a partire dalla scuola materna: è necessario, pertanto, che il bambino venga aiutato a superare le difficoltà dell'incontro con l'altro, sollecitando in lui il desiderio di conoscenza e di comprensione delle diversità. Il massimo successo dell’apporto di un’educazione interculturale è la creazione di una nuova cultura, frutto di una continua e attiva etnorelazionalità -relazione tra etnie diverse-. Il confronto, la relazione e la comunicazione diventano luoghi di apprendimenti reciproci. L'obiettivo primario dell'educazione interculturale, dunque, si delinea come la capacità di convivenza all’interno di un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa comporta non solo l'accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento. Volendo definire l’intercultura, Felice Rizzi scrive: "l'intercultura non è né una moda né un problema che riguarda un segmento della società, ma la connotazione della società del futuro, la scelta che (...) favorisce processi di emancipazione e di cooperazione". Rizzi, inoltre, la definisce una “nuova forma di pedagogia laica" nel senso pieno della parola: vale a dire, nel riconoscimento della pluralità delle risposte di senso ai problemi della vita e nella capacità di dialogo e di ricerca di obiettivi comuni per tutti i popoli. 44 Educare all’interculturalità (Maria Grazia Marrello) Sia i modelli assimilazionistici che quelli multiculturali non sembrano, attualmente, avere ancora risolto i problemi. Le politiche neoliberiste accrescono l’esclusione e la disuguaglianza in tutti gli ambiti della società e svuotano la scuola pubblica europea del suo ruolo di compensatrice di svantaggio. In costante aumento, inoltre, è la presenza di alunni stranieri. La scuola e le altre agenzie necessitano di percorsi, attrezzature e strumenti interculturali che possano attenuare il vuoto della “non azione”. Gli insegnanti sentono sempre più il bisogno di conoscere il fenomeno della multiculturalità e di avere indicazioni e mezzi sia per gestirlo sia per potere fornire informazioni adeguate a riguardo. La presenza sempre più numerosa di alunni stranieri in classe comporta la necessità di trasmettere adeguate conoscenze linguistiche, creare nuovi contesti di inserimento e di accoglienza, riconoscere e valorizzare le differenti culture. In questo dinamismo interculturale, il compito di promuovere riflessioni e di pensare modalità e strumenti per l’educazione interculturale in Italia è stato assunto da Università, da Associazioni, da alcune case editrici e da ONG che cooperano, convinte della necessità di stimolare un cambiamento profondo di mentalità nei cittadini al fine di far sentire accolti coloro che, da stranieri, diventano anch’essi “cittadini”. Qualsiasi forma di politica di integrazione è stata sempre accompagnata da interventi in campo formativo. Nasce così la pedagogia interculturale, al fine di costruire un terreno solido di convivenza civile tra autoctoni e cittadini immigrati. 45 Attualmente, in Italia, essa ricerca un proprio status autonomo, situandosi alla confluenza di diversi e complessi apporti e caratterizzandosi come una pedagogia di frontiera in cui si innestano non solo i saperi pedagogici, ma anche i saperi psicologici, antropologici, storici, geografici, economici, sociologici, letterari e linguistici. Già nei primi anni '80 comincia a definirsi la cosiddetta educazione allo sviluppo: il tentativo è quello di fare oggetto di insegnamento-apprendimento i valori, le conoscenze e le competenze riconducibili alla tematica dello sviluppo del Sud del mondo. La nozione di educazione allo sviluppo, sottoposta a un processo di trasformazione, viene assorbita, nel corso degli anni, da quella di educazione alla mondialità. Si tenta, così, di organizzare, per insegnarle nella scuola, le conoscenze e le competenze che si ritengono indispensabili al fine di possedere degli strumenti di comprensione rispetto alla mondializzazione dell'economia, della politica, della cultura, dell'informazione, ecc... Sempre negli anni ’80, si assiste all’incontro tra tale filone di ricerca e di pratica educativa -educazione alla mondialità- e la riflessione sui problemi posti dall’esistenza di immigrati stranieri nel Paese, la cui presenza richiede un significativo cambiamento della società e della scuola italiana, nei valori, nei linguaggi e nelle pratiche educative per lo più a stampo monoculturale. Si comincia, così, a parlare di educazione interculturale, da principio per consentire l'inserimento degli allievi stranieri nella scuola e, successivamente, per proporre un approccio educativo di tipo universalistico rivolto sia agli studenti stranieri che a quelli di nazionalità italiana. L'educazione interculturale, che rappresenta la "traduzione" didattica della pedagogia interculturale, nasce, come prospettiva di ricerca e di prassi pedagogica, dalla necessità di 46 un inserimento attivo degli allievi stranieri nella scuola e da una revisione critica dei saperi fondamentali attualmente insegnati. Essa non è una nuova materia né una pedagogia speciale per stranieri; si configura, piuttosto, come un nuovo asse educativo rivolto in primo luogo agli italiani e pensato al fine di modificare ambiti cognitivi e comportamentali di autoctoni e non, per una convivenza costruttiva tra differenti culture. L'educazione interculturale propone l'acquisizione di valori, di conoscenze e di competenze che possano contribuire a "decolonizzare" l'immaginario occidentale e a rimettere in discussione una tradizione, ponendola a servizio di una nuova civiltà in cammino. "La cultura, la conoscenza e la ricerca -scrive il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione- sono sempre più connotate da caratteri di internazionalità e di interdipendenza [...]. I processi migratori e la conseguente necessità di trovare nuove forme di convivenza [...] rivelano concretamente lo spessore dei problemi attuali e le gravi ingiustizie di cui sono espressione [...]. Le nuove generazioni maturano e studiano in questo nuovo clima. Il cambiamento, quindi, investe i contenuti da insegnare e i quadri di riferimento con cui interpretarli e trasmetterli [...]. Si chiede alla scuola -continua il documentodi assumere la dimensione del sempre più stretto intrecciarsi e condizionarsi a vicenda dei problemi relativi al mondo naturale ed al mondo dell'uomo e di fornire strumenti conoscitivi sempre più adeguati. Si chiede in particolare alla scuola di dotare le nuove generazioni di strumenti per combattere, sul piano intellettuale, culturale, etico, religioso e psicologico, quegli stereotipi che esasperano i conflitti ed allontanano le speranze di pace. La risposta [...] a queste sollecitazioni viene ricercata in un'area d'indagine che va sotto il nome di educazione interculturale […]. 47 Indipendentemente dalla presenza fisica nella scuola e nelle classi di ragazze e ragazzi appartenenti ad altre culture, un’educazione che sia all'altezza dei problemi di una società complessa e mobile come lo è la nostra non può che prospettarsi come interculturale, con tutte le valenze, in parte ancora inesplorate che questa prospettiva comporta". La legge sull'immigrazione (6/3/98, n. 40) sottolinea, in un articolo specifico (art. 36), l'importanza dell'educazione interculturale nella prospettiva della costruzione di una cultura dell'accoglienza. A livello europeo, nel Programma di azione comunitaria "Socrates", istituito dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel marzo del 1995, si chiede di "promuovere azioni di istruzione interculturale rivolte a tutti gli alunni, introducendo metodi pedagogici interculturali". 48 Metodi didattici (Maria Grazia Marrello) Nella nuova società multiculturale il compito educativo assume il carattere specifico di mediazione fra le diverse culture di cui siamo portatori: una mediazione non riduttiva degli apporti culturali diversi, bensì animatrice di un continuo, produttivo confronto fra differenti modelli. La diversità culturale, infatti, va pensata quale risorsa positiva per i complessi processi di crescita della società e delle persone. Pertanto, l'obiettivo primario dell'educazione interculturale si delinea come promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Bisogna scegliere l’intercultura come finalità positiva dell’educazione, in grado di assicurare un arricchimento cognitivo e antropologico, un ampliamento dell’orizzonte culturale a cui collegare l’intero processo di apprendimento che invita la persona ad un’identità migrante e di scambio. Se l’interculturalità è un “movimento di reciprocità”, allora non basta parlare all’altro, né parlare dell’altro, ma occorre ascoltare l’altro; non c’e’ metodo più caldo, accogliente e democratico per fare intercultura. L’altro, nell’educazione interculturale, diventa “attore” proprio come lo siamo noi. È necessario che anche l’altro parli a noi, che si manifesti, che si sveli, che ci partecipi il racconto della sua vita. Tanto un bambino quanto un adulto hanno una storia di vita da raccontare. Si può domandare di narrare una fiaba, un viaggio, un gioco, un sogno, un’avventura, un piatto tipico, un giorno di festa, un diario, un film, ecc. La mia convinzione è che la via narrativa rappresenti una delle metodologie più efficaci per l’educazione interculturale. 49 Attraverso la globalità dei linguaggi e il racconto diretto delle esperienze è possibile, infatti, realizzare uno scambio di valori culturali e confrontare i “punti di vista” sulla realtà.. Ascoltare storie di vita degli emigranti, biografie di testimoni, diari di viaggio, vedere films e documentari di autori stranieri, leggere poesie e drammatizzazioni, partecipare attivamente a forme di memoria collettiva, mettere a confronto due o più narrazioni o punti di vista o versioni su uno stesso oggetto, permettono di allargare la propria visione riduttiva delle cose. In questo modo si supera, insieme all’altro, un’impostazione unilaterale e unidimensionale dell’educazione. Educare al confronto interculturale significa, pertanto, stimolare la capacità di decentrarsi dal proprio punto di vista, imparando a considerare il proprio modo di pensare non l’unico possibile o l’unico legittimo, ma uno fra i tanti. Il valore antropologico ed educativo del decentramento risiede tutto nel cammino di uscita dall’egocentrismo e dall’etnocentrismo. Decentrandoci, scopriamo l’antidoto all’intolleranza e al razzismo. È un tirocinio democratico, un allenamento per imparare ad accettare la parzialità della propria verità, mai totalizzante, mai assoluta, mai definitiva. Per decentrarsi occorre accettare i propri limiti ed i propri errori, riconoscere di aver bisogno degli altri, essere disponibili all’ascolto e alla collaborazione. Tutto ciò richiede una disponibilità ed una sicurezza interiore che trovano la loro origine non sul piano della conoscenza ma in una serena maturazione al contempo sia affettiva che cognitiva. La magia dell’incontro permette la scoperta di nuovi punti di vista, la scoperta che, per l’altro, io sono l’altro… 50 Inoltre, essere visti e raccontati da altri ci aiuta a relativizzare il nostro punto di vista e, talvolta, a renderci più consapevoli di come siamo realmente. L’educazione interculturale, al di là delle conoscenze e degli atteggiamenti, deve saper valorizzare anche i gesti, le azioni, i comportamenti, ossia la via pragmatica dell’educazione alla cittadinanza attiva. Per formare nei giovani “menti più accoglienti” e atteggiamenti interculturali è importante anche promuovere iniziative e azioni, in quanto il gesto possiede in sé un grande valore educativo. Attraverso il gesto ci si può mettere in gioco mediante simulazioni, giochi di ruolo, danze, spettacoli teatrali, drammatizzazioni, ecc., tutto al fine di mescolarsi e confrontarsi con l’altro. In conclusione, ci sono molte ragioni per scegliere l’interculturalità e ci sono molteplici buone pratiche per realizzarla nella scuola e nella società: oggi (forse più di ieri) è una scelta culturale, antropologica, etica, politica e significa respingere un modello di società come spazio delle “Identità separate”, per costruire insieme una convivenza democratica, lo spazio della “Comunità pluralistica”. Prima ancora degli insegnanti, di tutti i mediatori culturali, dei formatori come agenti istituzionali di intercultura, delle figure professionali che si assumono il compito politico e sociale di elaborare interventi per giungere all’integrazione culturale fra bambine e bambini, ragazze e ragazzi, famiglie, comunità di appartenenza e la scuola, ognuno ha un ruolo indispensabile e sinergico nell’“educare all’interculturalità”. L’efficacia della strategie che coinvolgono queste figure e professionalità diverse risiede nella cooperazione. 51 Infine, una buona pratica consiste pure nel fare interculturalità impiegando correttamente i mediatori interculturali, ossia quelle nuove figure professionali che hanno il ruolo di ponte tra cultura immigrata e cultura del luogo, favorendo l’inclusione dell’immigrato, facilitandone lo scambio comunicativo a scuola, l’apprendimento della lingua, l’accompagnamento educativo, affiancandolo nei rapporti con gli Uffici e avvicinando tra loro le diverse culture. 52 Insegnanti, mediatori, formatori: quali differenze? (Maria Grazia Marrello) I tratti distintivi di ciascun ruolo possono essere così focalizzati: Insegnante Mediatore Formatore • compito asimmetrico • ponte tra interessi della persona e orientamento nel territorio • facilita gli apprendimenti partendo dagli errori, stimola la crescita e l’emancipazione dell’altro • tessitore di • mette mano e autonomie. La sua favorisce i transiti da posizione è di metauna forma ad livello. Si propone un’altra. La sua come compagno di azione è finalizzata a viaggio, stimolare la accompagna l’altro trasformazione senza sostituirsi. dell’altro • “segna dentro”, autorità necessaria • conversatore, non • mira a sostenere le parla per “segnare” conoscenze, le ma per “connettere” trasforma in capacità, lavora sulle “competenze” • supporta il riconoscimento di valori e conoscenze tacite Costruire un lavoro integrato fra insegnanti, mediatori e formatori significa attraversare, condividendoli, percorsi che tengano conto dell’elaborazione delle diverse dimensioni interattive fra i soggetti in azione. Il costituirsi di un gruppo di progetto o il lavorare semplicemente con un collega richiede il continuo 53 riconoscimento di alcune fasi operative 1. Significa, cioè, tenere conto della storia delle persone, della loro narrazione e della reiterazione delle esperienze; significa altresì evolvere da una dimensione emozionale e spesso densa di impliciti ad una dimensione di consapevolezza che permetta il pensare l’azione e il sentirla “possibile”: in fondo, ciò a cui invita il processo della multiculturalità. differenze FORMATORI integrazione MEDIATORI INSEGNANTI comunanze Per tale ragione l’interculturalismo non può che essere definito un movimento ideale e d’opinione, e interculturale non può che dirsi ogni incontro, contatto o occasione che suscitino forme e manifestazioni comunicative e di confronto. 1 54 Pichon Riviere E., Il processo gruppale, Libreria Editrice Lauretana, Loreto, 1985. I linguaggi dell’uomo: la relazione come processo di comprensione e di ascolto (Morgan Tilenni Dianni) Nell’arco di milioni di anni, le tre capacità fondamentali che l’uomo ha sviluppato maggiormente sono state la capacità di pensare, la capacità di lavorare e quella di comunicare. Attraverso il pensiero ha varcato i confini delle “possibilità” inventando oggetti e situazioni nuove, adoperandosi per la realizzazione di strumenti che gli facilitassero la vita; attraverso il lavoro è riuscito a realizzare quanto pensato; per mezzo del linguaggio l’ha raccontato, l’ha espresso e tramandato, ponendosi in relazione con gli altri. Potremmo allora domandarci cosa sia il linguaggio e come mai lo si ritiene così importante quando si parla di sviluppo di una comunità multiculturale. Attraverso i sensi ogni essere umano percepisce il mondo circostante, lo confronta con le conoscenze che possiede in memoria, lo distingue da ciò che conosce. Esistono linguaggi che non contemplano parole, linguaggi creati dal processo di relazione-interazione con “l’altrodiverso-da-noi”. Distinguiamo: - - linguaggi uditivi (suoni e rumori: la voce, le mani, gli strumenti musicali, il canto, le parole accompagnate dal tono della voce che conferisce ad esse un significato particolare di dolcezza, di tristezza, di paura, di ansia, di dolore, di gioia o di entusiasmo), linguaggi visivi (movimenti, atteggiamenti, posizioni del corpo, mimica, immagini, disegni o scrittura), 55 - - 56 linguaggi tattili (attraverso i quali ognuno di noi entra in relazione fisica con gli altri: la stretta di mano, i baci, le carezze, le pacche sulle spalle…), linguaggi olfattivi (odori). La comunicazione verbale/non verbale e la gestione dello spazio (Maria Talestri Leanza, Morgan Tilenni Dianni) COMUNICAZIONE VERBALE La comunicazione verbale ci permette, se utilizzata bene, di comunicare con gli altri in un modo adeguato e consono alle nostre esigenze e ci consente anche di sperimentare la nostra libertà di espressione in maniera assertiva, senza attaccare, difenderci o subire. Possiamo distinguere le capacità verbali in: - ABILITÁ DI COMUNICAZIONE - ABILITÁ DI PROTEZIONE Le abilità di comunicazione ci consentono di iniziare, mantenere e terminare una conversazione, di porre domande, di dare delle informazioni generiche o personali, attraverso domande chiuse o aperte. Le prime richiedono una risposta breve del tipo “sì” o “no”, ma non consentono uno scorrere della conversazione, se non con ulteriori domande. Le seconde permettono, invece, di ricavare una maggiore quantità di informazioni dal nostro interlocutore. Tra le abilità di comunicazione ricordiamo la libera informazione -definita come un’informazione che viene fornita senza essere sollecitata da domanda alcuna- e l’autoapertura -un tipo di informazione personale, libera o sollecitata, che noi diamo su noi stessi-. La tecnica dell’autoapertura, in una comunicazione con un cittadino immigrato, risulta necessaria in quanto permette di far percepire l’interazione come estremamente rilassata, accogliente e calorosa. 57 Le abilità di protezione ci consentono, invece, di rispondere assertivamente ad una critica, ad una manipolazione o ad un’aggressione non costruttiva. L’immagine che daremo di noi sarà un’immagine non rigida, tale da non venire messa in discussione da un solo errore. Le tecniche che servono per mantenere il controllo della situazione, non adottando comportamenti di fuga, adattamenti passivi o reazioni di attacco, sono la persistenza -chiamata anche “tecnica del disco rotto” in quanto consiste nel ripetere in modo quasi coattivo ciò che si vuole, senza aggressione o irritazione ma con tranquillità-; l’annebbiamento -che consiste nel comprendere il punto di vista dell’altro pur non tralasciando il proprio punto di vista o la propria decisione: “capisco che il tuo punto di vista sia quello di…, ma io…”-; l’asserzione negativa -tramite la quale, per fronteggiare un proprio errore, lo si ammette senza ansia e senza diminuire la propria immagine personale: “sì, è vero, avrei potuto stare attento in questa circostanza, avrei potuto fare meglio”-; l’inchiesta negativa -che consiste nel chiedere informazioni guidando attraverso la critica: “non vi è piaciuto il mio comportamento? Che cosa non ti è piaciuto? Come avresti voluto che io mi comportassi?”-; la discriminazione selettiva che invita a cogliere, in un messaggio negativo, critico, soltanto quella parte sulla quale si è disposti a discutere, a dare delle giustificazioni o delle spiegazioni-; il disarmo dell’aggressivtà -apponendo ad una critica che abbia delle connotazioni particolarmente violente, un comportamento di estrema calma-. COMUNICAZIONE NON VERBALE La comunicazione è un processo sia consapevole che inconsapevole. Il linguaggio della comunicazione ci insegna che per il 70% essa è determinata dai segnali che il nostro 58 corpo invia all’interlocutore. Quando si comunica, infatti, soltanto il 30% del messaggio è verbale. Ognuno utilizza un proprio stile comportamentale che favorisce o deteriora, amplifica o riduce, il passaggio delle informazioni nella relazione comunicativa. Ogni individuo, attraverso la postura del corpo, l’espressione del viso, il modo di gesticolare, l’intonazione e il tono della voce, costruisce il proprio ponte verso l’altro. Tra le componenti non verbali della comunicazione, ricordiamo: 1) il contatto visivo o oculare -tramite lo sguardo esprimiamo sentimenti ed emozioni che fanno anch’essi parte determinante della comunicazione. La difficoltà nell’esercitare il contatto visivo con l’interlocutore può esprimersi sia come carenza, nel non riuscire a mantenere il contatto visivo con l’altro, sia come eccesso, quando uno sguardo troppo fisso e prolungato può determinare nell’altro una percezione di invasione e conseguente fastidio-; 2) l’espressione facciale -tramite la mimica, i sentimenti e le emozioni che si vogliono esprimere assumono un senso. Tecnicamente essa si manifesta anche con leggeri movimenti delle parti del viso: alzare o abbassare un sopracciglio, la contrazione delle pupille, il movimento delle guance o delle labbra… L’espressione facciale è un’abilità sociale non separabile dalle altre, soprattutto dalla postura e dalla gestualità. Addirittura, potremmo affermare che quanto più coerente è la mimica facciale con il messaggio espresso verbalmente e col tono della voce con la quale esso viene trasmesso, tanto più risulta efficace la comunicazione-; 3) la postura -la posizione del corpo esprime ciò che il linguaggio verbale non dice o dice solo in parte. A 59 volte, ci capita di parlare assumendo una postura non coerente con le parole che esprimiamo; il messaggio verbale, pertanto, risulta artefatto, poco sincero, incongruente; la simpatia e l’affetto che diciamo di provare per l’altro, spesso sono in contrasto con la chiusura del corpo, il blocco degli arti, la non partecipazione, l’isolamento. In una comunicazione interpersonale risulta, quindi, essenziale la capacità di riuscire a guardarsi dall’esterno, in quanto una postura rigida, sia di tipo passivo che aggressivo, può influenzare, nel bene e nel male, il contenuto della comunicazione; 4) lo spazio corporeo -ovvero, l’ambito spaziale entro cui ognuno di noi si muove interagendo con gli altri. Esso è composto sia dalle distanze tra il corpo proprio e quello dell’interlocutore, sia dall’orientamento che i corpi, durante l’interazione, assumono. Entrambi questi elementi vengono costantemente influenzati dai condizionamenti sociali e culturali. 5) il contatto corporeo -canale privilegiato, nelle relazioni interpersonali, per esprimere le nostre emozioni e i nostri sentimenti all’interlocutore: stringendo le mani, abbracciando, baciando, ponendo la mano su una spalla, accarezzando, cingendo la vita manifestiamo la nostra partecipazione. Spesso, le persone non assertive, avvertendo la frustrazione e l’ansia della loro incapacità, si irrigidiscono e si ritraggono di fronte al toccare il corpo di un’altra persona. Anche un eccessivo uso del contatto corporeo può rivelarsi inadeguato ed essere vissuto come un’imbarazzante o, addirittura, aggressiva invasione dello spazio personale; 6) la stretta di mano -che risulta essere un’abilità indispensabile al fine di poter iniziare (presentarsi), intrattenere (complimentarsi) o concludere (salutarsi) 60 una comunicazione. Quando la stretta di mano risulta troppo molle o fuggente, a punta di dita, con le dita rivolte verso il basso, o troppo vigorosa, stritolante o prolungata oltre il sopportabile, come una prova di forza, trasferisce una sensazione di fastidio. Al contrario, una stretta di mano ferma, calorosa e accogliente risulta essere il migliore atteggiamento per chi desidera trasmettere all’altro una sensazione di piacevolezza e di rassicurazione-; 7) la gestualità delle mani -ovvero, “il linguaggio delle mani”: alcuni lo usano in maniera inadeguata, altri non lo usano... Una gestualità eccessiva può comportare distrazione, rendere più difficile la decodifica del messaggio interpersonale o essere interpretata con delle connotazioni di minaccia. Invece, un uso misurato ed espressivo del gesto, che viene utilizzato per descrivere, sottolineare cose, emozioni o concetti, arricchisce la comunicazione e provoca una sensazione di piacevole coinvolgimento nell’interlocutore 2-. I canali della comunicazione non verbale ci permettono, pertanto, di comprendere meglio i messaggi di coloro che entrano in comunicazione con noi, al di là di ogni limite linguistico che, potenzialmente, può creare separazione, incomprensioni e difficoltà di relazione. L’antropologo Edward T. Hall, nel 1963, introdusse, a tal proposito, il termine prossemica, al fine di indicare la scienza che si occupa dello studio dello spazio personale e sociale e il modo in cui l’uomo li percepisce. 2 Bonenti D., Meneghelli A., Assertività e training assertivo. Guida per l'apprendimento in ambito professionale, 2ª ed., Franco Angeli, 1999. 61 Secondo il suo pensiero, è possibile distinguere quattro zone interpersonali: - sociale -gli incontri appaiono formali, la distanza tra le due persone va dai 3 metri in su-; - pubblica -relazioni di lavoro, da 1,5 metri a 3 metri-; - personale -spazio delle amicizie, da 50 cm a 1,5 metri-; - intima -luogo delle relazioni intime, da 0 a 50cm. 62 Ansia e stress nella comunicazione (Grazia Frazzetto) L’ansia è un’emozione che s’innesca irrimediabilmente quando ci troviamo di fronte ad una situazione, a persone, immagini o pensieri che ci travolgono. Essa provoca forti sensazioni di disagio e di sofferenza alla persona. Si può manifestare con improvvise vampate di calore in tutto il corpo, aumento del battito cardiaco, tremori, blocco delle funzioni cognitive con conseguente prevaricazione, su di esse, del pensiero emotivo. L’ansia è spesso correlata allo stress che, a sua volta, non è altro che il frutto di una “cultura che scappa”, in maniera frenetica, alla ricerca di ciò da cui, inconsapevolmente, ci si va sempre più allontanando: la serenità. La velocità della vita, le continue delusioni provocate dai rapporti interpersonali poco appaganti, la mancanza di contemplazione e di stupore, l’insoddisfazione generica che si respira nelle grandi metropoli, sono tutte caratteristiche di quel fenomeno dilagante che è la “comunicazione preoccupata”. Tale fenomeno comporta spesso la veloce prolificazione di pensieri disfunzionali, seguiti da fenomeni fisici quali insonnia, nausea, fame nervosa, ipertensione, tremori. Le false soluzioni che vengono intraprese spesso diventano l’alcool e la droga. Ogni “comunicazione preoccupata” segue le regole dell’interscambio: se la conversazione viene sperimentata con una persona tendenzialmente aggressiva, sentiremo imposte le decisioni dell’altro, i suoi giudizi, il dialogo diventerà unilaterale e l’ascolto avrà soltanto il sapore di un’eco lontana. L’interlocutore che non riesce a manifestare liberamente le proprie opinioni o disapprovazioni e che viene sopraffatto dalla situazione, finisce per avvertire un forte stato d’insofferenza. 63 Lo stesso accade a colui che, avendo una scarsa competenza linguistica, cerca di comunicare il proprio bisogno o esigenza fin quando, sentendosi incompreso, prova in automatico un forte stato di agitazione. Per evitare che “la comunicazione preoccupata” prenda il sopravvento nelle comunicazioni interpersonali, è necessario allenarsi all’autocontrollo, giorno dopo giorno, puntando sull’accrescimento della propria autostima, rivolgendo lo sguardo sempre avanti e ricordandoci che da ogni avvenimento negativo, da cui ci si può sentire travolti, si ha la possibilità di giungere ad una grande crescita interiore. 64 La distorsione dei messaggi (Grazia Frazzetto) L’essere umano, sin dalla primissima infanzia, assorbe come una spugna i comportamenti delle persone che lo circondano, i loro atteggiamenti, i modi di fare, di dire e anche le loro modalità di pensiero. Tramite il processo di imprinting e quello di modeling (modellamento in base alle proprie figure di riferimento), gli esseri umani reiterano azioni e comportamenti già visti, vissuti e ben conosciuti in precedenza. Il tipo di carattere dell’individuo, che viene forgiato dagli apprendimenti nel tempo, influenza, a sua volta, i nuovi apprendimenti. Un episodio poco piacevole ha in sé il potere di rievocare, nella mente della persona, sentimenti di tristezza e pensieri che in passato erano stati già messi in atto e, presumibilmente, abbandonati. Se non si cerca di essere obiettivi sugli avvenimenti e sui fatti che, quotidianamente, siamo portati a vivere, si corre il rischio di generalizzare, dicotomizzare il mondo in “tutto buono” o “tutto cattivo”, personalizzare e catastrofizzare gli eventi. Se non spingiamo oltre i nostri orizzonti e parametri mentali, spesso ben costruiti, rischiamo di non comprendere il reale significato del messaggio che ci viene “donato” dal nostro interlocutore. Pertanto, soltanto un’elevata consapevolezza (imparando che ogni essere umano è diverso nel suo modo di pensare), una grande conoscenza (imparando a conoscere le diverse culture per evitare possibili fraintendimenti) e una viva abilità (rendendo pratico ciò che si è detto), possono aiutare la persona a comunicare con gli altri in maniera rilassata. 65 Le differenze e gli stereotipi (Grazia Frazzetto) La convivenza tra persone di culture diverse (per cultura intendiamo i concetti di abitudini, usanze, famiglie, modalità di relazione e di rielaborazione delle informazioni) è sempre stata complicata, ma non impossibile. Spesso, dissapori, incomprensioni, idee contrapposte, modi di fare differenti, generano incomprensioni. Altrettanto frequentemente non si è in grado di accettare le differenze che, distinguendoci gli uni gli altri, ci rendono particolari ed unici. Nella nostra società, diventando sempre più una società multietnica e multi-culturale, risulta fondamentale un’educazione di base al rispetto della persona. Qualunque sia il colore della pelle, la lingua e la religione, ognuno di noi è uguale in quanto detentore di pensieri, immagini, ricordi, sentimenti ed emozioni. Per accettare le differenze che ci caratterizzano, è necessario abbattere i modelli e gli stereotipi che i mass media, l’ambiente e il periodo storico ci hanno via via inculcato. Pregiudizio, ignoranza, stereotipi: sono questi i veri nemici dell’uomo che non ci permettono di vivere insieme in maniera pacifica. Accettare le differenze non vuol dire cambiare modo di pensare, ma vuol dire crescere, apprendere nuovi modi di pensare e di agire, incrementando il nostro bagaglio cognitivo, emotivo , comportamentale, relazionale, sociale e culturale. Ciò comporta un vero e proprio arricchimento della persona. La domanda che sorge spontanea è: “ma da cosa nasce lo stereotipo?” Dalle tradizioni, dalle idee preconfezionate, dai processi di categorizzazione e di generalizzazione che invitano a fare di 66 tutta l’erba un fascio. Gli stereotipi sono ideali rigidi. Il pregiudizio nasce come un’idea, un giudizio emesso a priori, senza conoscere né valutare realmente i fatti. Esso è, quindi, una modalità per risparmiare nella messa in discussione, nella riflessione e nel lavorio mentale; l’etichettare l’altro potrebbe pur sembrare una modalità protettiva, tuttavia la presunzione finisce per creare razzismo. Spesso ci sentiamo migliori, superiori per il modo di vestire, per i locali che frequentiamo, per le amicizie che abbiamo, ma è necessario spogliarsi di queste superficialità per giungere a nuove scoperte. Bisogna andare oltre l’apparenza, superando tanto le barriere del timore, quanto quelle dell’ignoranza. È necessario combattere il timore di essere sopraffatti da altre comunità e di perdere le proprie tradizioni. Superare questi limiti, vuol dire imparare ad avere più sicurezza in se stessi, cercando di aprire la propria mente alle “possibilità altre”, cercando di capire che la diversità è solo un bene. Scheda di approfondimento “Riflessioni di un mediatore” (Eleonora Lucifera) Un giorno entra in ufficio una donna di nazionalità rumena e “cultura rom”. Appare disperata e, in un italiano stentato, riferisce di essere stata sfrattata dalla sua dimora abituale. Spiega che la sua “dimora abituale” non è un campo nomadi, così come io da subito avevo pensato, bensì una vera e propria “casa” fatta di mattoni e cemento, non dotata di tutti le comodità, ma comunque “casa” nel senso strutturale e materiale del termine. 67 Riferisce di avere due figli e di dovere lasciare l’abitazione entro la fine della settimana. Innanzitutto, la cosa che immediatamente mi colpisce è che, probabilmente, non avevo mai pensato che dei Rom potessero vivere al di fuori del proprio campo nomadi. La signora lavora in nero adoperandosi come può per provvedere al proprio sostentamento e a quello dei propri figli. Il marito le è morto da un anno appena, e nè lei nè i figli hanno il permesso di soggiorno. La signora chiede aiuto affinché possa trovare un altro luogo che possa diventare (speriamo per un bel po’ di tempo) la loro nuova “casa”. Cosa mi colpisce? Ho di fronte una donna che ha probabilmente deciso di cambiare (già da tempo) la propria vita per potere assicurare una fissa dimora e la sopravvivenza alla propria famiglia. Ho nella mia mente il pregiudizio che un ROM è un ROM e resta ROM per sempre. Questo pensiero automatico spunta velocemente, in maniera repentina e senza che io possa fermarlo. Ho sempre pensato ai rom con l’idea distorta che essi siano “persone bisunte dai denti d'oro, suonatori di fisarmoniche e fattucchiere per le nostre strade, lavavetri e mendicanti ai nostri semafori, i bambini dei quali siano sporchi e laceri”. Ho sempre conosciuto di loro l’idea di una cultura “chiusa”, impenetrabile, poco incline all’integrazione con il mondo circostante “ospitante”. Magari, la “signora rom” non è la sola, probabilmente altri rom sono nelle sue stesse condizioni, hanno fatto la medesima scelta o stanno pensando di farla. L’immaginario collettivo vuole che i rom vivano da secoli ai margini delle nostre città, pronti a rapire bambini e ad importunare i passanti. Si spostano rapidamente e riescono a dileguarsi nell’ombra se le circostanze lo richiedono. Fanno 68 disperare i sindaci ed alzare il livello di conflittualità tra gli abitanti dei quartieri popolari. Naturalmente la realtà è molto più complessa di quello che si immagina, e la "verità" storica sull'origine degli "Zingari" è ancora più difficile stabilirla. Un dato è pero certo: il nostro modo di pensare condiziona le nostre azioni e gli "zingari", gli “africani”, i “cinesi”, i “polacchi” diventano contenitori già imballati e legati stretti ad un giudizio falso ma che rende ognuno di noi forte delle proprie pretese. Non c’è rischio più grande dell’intolleranza all’apertura mentale. Libertà Noi zingari abbiamo una sola religione: la libertà. In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza e alla gloria. Viviamo ogni giorno come fosse l'ultimo. Quando si muore si lascia tutto: un miserabile carrozzone come un grande impero. E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati zingari che re. Noi non pensiamo alla morte. Noi la temiamo, ecco tutto. Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare: una mattina di sole, un bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama. È difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce. Ci piace camminare sotto le stelle. Si raccontano strane storie su di noi. Si dice che leggiamo l'avvenire nelle stelle e che possediamo il filtro dell'amore. E perché no? La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi. Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo. La nostra è una vita semplice, primitiva. Ci basta avere per tetto il cielo, un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni, quando siamo tristi. 69 Il conflitto: studi a confronto (Morgan Tilenni Dianni) Si parla di conflitto, nel linguaggio psicologico, quando due o più qualità o elementi psichici risultano collegati fra loro in una relazione nella quale prevalgono aspetti di discrepanza, dissonanza, opposizione, disarmonia, forte contrasto. A seconda della natura delle qualità o degli elementi fra loro discordanti, si sperimentano conflitti emotivi (disaccordo fra desideri, bisogni, istanze, tendenze, valenze affettive: come quando, per esempio, si ama e si odia simultaneamente la stessa persona); oppure conflitti cognitivi 3 (disaccordi fra aspetti conoscitivi: come quando, per esempio, si individua un elemento come dotato del carattere di figura e nello stesso 3 Circa cinquanta anni fa, un movimento scientifico che ha integrato le prospettive di diverse discipline quale la psicologia, la linguistica, l’intelligenza artificiale e la neuroscienza, ha preso piede con il nome di scienza cognitiva. Nel 1937 Piaget sosteneva che “l’intelligenza organizza il mondo organizzando se stessa”, quindi la conoscenza è caratterizzata dalla scoperta e dall’esperienza ed è costruita nella presa di coscienza della interazione fra la mente e l’ambiente esterno. Quindi il bambino è parte attiva nella costruzione del reale. Secondo la psicologia cognitiva l’attività principale della nostra mente è quella di mettere in atto un processo di rielaborazione in base a strutture e schemi che, di volta in volta, ci creiamo. Ossia, la mente processa e trasforma le informazioni. La ritenzione dei concetti avviene attraverso il riconoscimento di idee áncora, cioè la nostra mente, nell’apprendere nuovi processi, si aggancia ad elementi specifici, che poi vengono sistematizzati nella struttura gerarchica. I processi successivi sono quelli della differenziazione (riorganizzazione dei concetti in una struttura coerente) e dell’integrazione (sistematizzazione di nuovi concetti sulla conoscenza preesistente). Psicologi cognitivisti hanno individuato l’aspetto emotivo di ogni individuo come una vera intelligenza da sviluppare e Gardner, nell’elaborare la sua teoria delle Intelligenze Multiple, ha visto nell’intelligenza emotiva una particolare forma sia dell’intelligenza intrapersonale che di quella interpersonale. 70 tempo di sfondo, come in certe raffigurazioni di “oggetti impossibili”; oppure come quando si confrontano opinioni divergenti emesse da più persone su un problema); conflitti motori (discrepanze fra azioni motorie: come quando, per esempio, si cerca di correre e nello stesso tempo di tenere in equilibrio un vassoio con bicchieri riempiti di acqua sino all’orlo). Un’ulteriore distinzione è quella fra conflitti centrali o consci (in cui entrambi gli elementi o aspetti dissonanti appaiono chiari nella coscienza della persona) e conflitti marginali, preconsci o inconsci, (in cui almeno uno degli elementi non è presente alla chiara auto-consapevolezza di colui che vive la situazione di conflitto). Infine un’altra distinzione è quella fra conflitti intra-personali (confitti fra elementi limitati alla sfera operativa del singolo individuo) e conflitti inter personali (conflitti fra elementi dei quali almeno uno si riferisce alla sfera operativa di un diverso individuo; come appunto nel conflitto di opinioni). Come è stato da tempo riconosciuto a livello clinico e a livello sperimentale, caratteristica delle varie forme di conflitti è quella di produrre uno stato di tensione, o ansietà, nella persona. 71 Kurt Zadek Lewin (Mogilno, 9 settembre 1890 - Newtonville, 12 febbraio 1947) K. Lewin, psicologo tedesco, pioniere della psicologia sociale, ha centrato la sua attenzione su varie forme di competizione fra tendenze, da cui possono dipendere stati conflittuali, distinguendo: a) conflitto doppiamente adiente -si ha fra due tendenze appetitive, allorché il soggetto è attirato da due mete diverse ed opposte, ma di pari intensità attrattiva, come quando una persona deve scegliere fra due professioni, entrambe molto desiderate ma inconciliabili-; b) conflitto doppiamente vitante -si ha fra due tendenze avversative, allorché il soggetto viene respinto da due mete diverse ed opposte, ma aventi pari intensità repulsiva, come quando una persona deve scegliere fra due attività entrambe sgradevoli ma inevitabili, o fra un dovere odiato ed una punizione temuta (i conflitti di questo tipo risultano più intensi di quelli di tipo “adiente”)-; c) conflitto adiente-vitante -si ha fra una tendenza appetitiva ed una avversativa, allorché il soggetto ha di fronte una meta ambivalente, cioè una meta che presenta aspetti opposti, attrattivi e repulsivi, coesistenti, come quando una 72 persona prende in considerazione una professione sgradevole ma altamente remunerativa-; d) conflitto doppiamente adiente / doppiamente vitante -si costituisce in una situazione più complessa, nella quale il soggetto è incerto fra due mete entrambe ambivalenti, ciascuna delle quali presenta sia aspetti positivi sia aspetti negativi, come quando una persona deve scegliere fra due attività, l’una delle quali sia molto gradevole ma scarsamente remunerativa, l’altra molto sgradevole ma altamente remunerativa. Studi sul conflitto da opposti apprendimenti, mediante tecniche molto perfezionate, sono stati compiuti in soggetti umani negli Stati Uniti e in vari paesi europei, da K. R. Hammond e da altri; in Italia, da G. B. Bartoli e da P. Bonaiuto. È stata dimostrata la possibilità di manipolare anche farmacologicamente l’intensità dei conflitti psichici sperimentali. Secondo alcuni autori (come L. Festinger) il comportamento umano sarebbe volto al continuo tentativo di ridurre ed eliminare i conflitti. Infine, ricordiamo gli studi di K. Goldstein, C. Buhlar, D. E. Berlyne, P. Mc Reynolds e P. Bonaiuto, che hanno messo in luce il fatto che il conflitto, e la conseguente tensione emotiva, possono venire desiderati e attivamente ricercati dal bambino e dall’adulto, così da portare a configurare una vera e propria motivazione al conflitto (“motivazione all’avventura”). Le immagini conflittuali e le situazioni di problema attirano l’attenzione e impegnano alla ricerca di una soluzione; esse vengono quindi adoperate nella pubblicità, nella didattica e nelle arti visive. Difficilmente una persona riesce a permanere a lungo in condizione di neutralità e di piattezza emotiva se esposta ad un conflitto. Addirittura, certe situazioni di rischio 73 reale, come il gioco d’azzardo, gli sport violenti e pericolosi, le violazioni di regole e di tabù, vengono appositamente scelte, allestite ed apprezzate dagli individui e dai gruppi. Frequentemente, inoltre, si coltiva l’identificazione con personaggi protagonisti di situazioni altamente conflittuali: negli spettacoli, nei racconti, nei romanzi… Il conflitto risulta, pertanto, un importante motore motivazionale al quale l’uomo risponde, in maniera più o meno funzionale, al fine di trovare una risoluzione dello stesso. 74 I possibili sviluppi del conflitto (Maria Talestri Leanza) Il conflitto nasce spesso dall’aggressività e si alimenta con essa. Tanto il concetto di conflitto quanto quello di aggressività hanno interessato e continuano ad interessare la maggior parte delle scienze umane, soprattutto la sociologia e la psicologia, trovando ultimamente sempre più spazio anche nel settore pedagogico. L’aggressività umana è stata trattata sotto un profilo prettamente negativo, considerando soprattutto gli innumerevoli danni che essa ha prodotto. È stato merito della psicologia, e in particolare delle scuole di psicoterapia, l’avere colto, nella capacità di valutare positivamente i conflitti, la migliore condizione per lo sviluppo della personalità. Essere in grado di gestire il conflitto rappresenta un elemento cardine dell’educazione interculturale. Nel gergo comune, l’aggressività e i conflitti vengono considerati principalmente come qualcosa di negativo, da evitare, da reprimere e da nascondere. Di per sé, il significato etimologico del termine “aggressione” si rifà all’etimo latino ad e gredior (dirigersi). In latino ad può significare “contro”: in questo caso potrebbe effettivamente riferirsi a quell’aggressività negativa (assalire, distruggere) di cui è piena la letteratura occidentale. Tuttavia ad richiama anche un atteggiamento positivo: “andare verso”, ovvero crescere, sentirsi vitali, muoversi in modo deciso per raggiungere un obiettivo e per farlo proprio, affrontare la realtà, dominarla positivamente e propositivamente, orientarsi. Pertanto, nell’educare all’intercultura, occorre muoversi dal presupposto che l’aggressività di base, nonostante alcune “utopie pacifistiche”, è una tendenza ineliminabile dell’essere 75 umano. Essa non può essere né repressa né lasciata manifestare in maniera incontrollata e distruttiva ma, come direbbe la pedagogia, “dinamicamente indirizzata al fine di promuovere un giusto quantitativo di aggressività difensiva, così come un giusto quantitativo di aggressività costruttiva”. Il conflitto, scrive Gandhi, convive con la pace, non nel senso di aiutare chi commette il male a continuare a farlo, né di tollerarlo passivamente, bensì, nel senso di saperlo conoscere ed esplicitare, cercando di gestirlo nel modo più attento possibile al fine di non renderlo distruttivo per sé e per i propri simili. Quando si accetta il confronto, pur litigando, si trasmette all’altro il messaggio che il suo punto di vista interessa e che si è disponibili a mettere in discussione il proprio. Comunemente, i conflitti vengono vissuti dalle persone come qualcosa di fastidioso o, addirittura, di distruttivo, qualcosa da evitare in tutti i modi. Di fatto, però, in forza alle suddette riflessioni in ambito pedagogico e psicologico, i conflitti dovrebbero essere considerati un segnale importante di qualcosa che non va più e che deve essere modificato. Se è vero che i conflitti mal gestiti possono determinare negativismo e distruttività, è altrettanto vero che essi possono costituire un’opportunità di crescita personale e sociale, rappresentando un vero e proprio campanello di allarme pronto a richiamare l’attenzione sulle differenze che cercano un contenitore comune e scambio reciproco. Pertanto, se i conflitti determinano effetti distruttivi o miglioramenti nella comunicazione, questo dipenderà soprattutto dalle modalità di comprensione e di gestione che si possiedono. 76 Alcuni esempi di gestione negativa o distruttiva del conflitto sono: identificare nell’altro il problema, non considerare le motivazioni che spingono all’azione il nostro interlocutore, accusare e pretendere che l’altro sia come noi lo vogliamo, diminuire l’ascolto e la relazione. Il risultato di tali atteggiamenti è giungere ad un binario morto, da dove non si riesce più ad uscire con le proprie forze. Spesso, il risultato si traduce in spirali di aggressività e di violenza in cui ognuno cerca di collocare l’altro in un piano inferiore, ma dove alla fine risultano perdenti tutti, serbando forti sentimenti di frustrazione, di rabbia e di risentimento. Di contro, alcuni esempi di evoluzione positiva o costruttiva del conflitto sono: la discussione assertiva, l’assunzione di responsabilità condivise, l’accoglienza, il chiarimento e la collaborazione (cercando di riconoscere la natura, i motivi e l’entità del problema) e la proposta di possibili soluzioni che tengano conto di entrambi i punti di vista 4. 4 Portera A.- Dusi P., Gestione dei conflitti e mediazione interculturale, Franco Angeli, Milano, 2005. 77 Tecniche educative di mediazione e gestione dei conflitti (Morgan Tilenni Dianni) Attraverso la mediazione è possibile individuare e risolvere i conflitti, poiché in essa si “progettano le soluzioni” e si ha l’occasione di crescita e di arricchimento, insita nei conflitti stessi. Se il conflitto si risolve senza violenza né potere, ma attraverso la mediazione, non solo si trova la soluzione al problema, ma si prevengono anche quelli futuri, promuovendo la reciproca condivisione e crescita. Ricordiamo i principali autori che si sono occupati di tecniche di medizione del conflitto: E. G. Cohen, C. McMahon, D. W. Johnson e R. T. Johnson, S. Lamberti, P. Batelaan, C. van Hoof. Nella risoluzione dei conflitti, la mediazione tiene conto sia della componente oggettiva dell’entrare in relazione con l’altro che di quella emotiva. Attraverso il coaching -forma di consulenza a singole persone attraverso un trainer personale- è possibile migliorare le proprie competenze relazionali. E. G. Cohen, prendendo in esame un gruppo di allievi immigrati, ha parlato di complex instruction. L’obiettivo di una pedagogia interculturale, egli afferma, consiste nello stimolare il concetto di uguaglianza all’interno di una classe. Egli propone la creazione di gruppi eterogenei e l’assegnazione, ad ogni discente, di un compito specifico, al fine di far dialogare e interagire gli alunni tra loro, facendo capire loro che, per risolvere compiti complessi, sono necessarie abilità differenti. 78 C. Mc Mahon, invece, ha elaborato un programma sperimentale, in dodici tappe, dopo averlo applicato in alcune scuole di Birsbarne. Egli finalizza l’intervento educativo allo sviluppo di tre grandi categorie educative: - win/win -la considerazione dei bisogni di ognuno, utilizzando assertività appropriata, volontà di risolvere il conflitto, abilità di negoziazione (il motto del discente dovrebbe essere: “duri col problema, soffici con le persone”)- creative response -la comprensione del problema da parte di ognuno, al fine di trovare soluzioni per risolvere il conflitto sotto tutti i punti di vista- empathy -la gestione delle proprie emozioni, stimolando il decentramento e verificando la situazione anche dal punto di vista degli altri. Laddove i conflitti appaiono irrisolti l’autrice suggerisce l’intervento di un mediatore. D. W. Johnson ed R. T. Johnson hanno proposto un programma a cui hanno dato il nome di Teaching student to be peacemakers. Una prima tappa prevede la creazione di situazioni in cui gli alunni devono assumersi alcune responsabilità. A questa segue la fase II: gli alunni devono riflettere sul valore, l’entità e il significato di un conflitto. Nella fase III ci si confronta sulla negoziazione di un conflitto: gli alunni possono esprimere il proprio punto di vista liberamente e avanzare tre proposte di soluzione, fra cui si sceglierà la migliore. La IV fase contempla la scelta, da parte dell’insegnante, di due alunni che svolgono il ruolo di mediatore. 79 Nella V fase vengono proposti due giorni settimanali, durante i quali la classe si esercita con le procedure di negoziazione e di mediazione. La VI fase prevede la ripetizione del lavoro precedente svolto e l’evoluzione, a spirale, dello stesso. Il programma Teaching student to be peacemakers consiste in una proposta educativa che evolve nell’arco di dodici anni, periodo durante il quale gli studenti diventano sempre più abili nella risoluzione dei conflitti. Infatti, è stato dimostrato che mentre prima, di fronte ad un conflitto, gli studenti ricorrono soprattutto agli insegnanti, dopo tale training, essi risolvono il conflitto auto-organizzandosi e positivamente, ricorrendo raramente agli adulti. Altra strategia per la gestione dei conflitti, elaborata sempre da D. W. Johnson e da R. T. Johnson, è quella della negoziazione. Tale processo prevede che le parti siano assertive, mantengano la collaborazione e facciano confluire il proprio punto di vista con quello dell’altro, accettando le proprie e le altrui ragioni evitando di far prevalere le une sulle altre e viceversa. Tale strategia prevede i seguenti passaggi: - individuare i motivi del conflitto e discuterli per superarlo; - capire i propri scopi e cosa ci si aspetta dall’altro; - comprendere le ragioni dell’altro; - confrontarsi, discutere sul problema e non sulla persona; - ricercare soluzioni favorevoli ad entrambe le parti. I due autori hanno proposto, infine, anche la tecnica della controversia; ovvero: sviluppare tesi opposte su un argomento, dividersi in gruppi e confrontare le opinioni. 80 S. Lamberti si è occupata della gestione interculturale dei conflitti parlando di Cooperative Learning, una metodologia per promuovere l’educazione interpersonale. Il metodo da lei proposto si fonda su cinque elementi: 1. interdipendenza positiva; 2. interazione promozionale faccia a faccia; 3. insegnamento diretto e uso di abilità sociali; 4. revisione e valutazione del lavoro sia di gruppo che individuale; 5. lavoro in piccoli gruppi eterogenei. Ogni alunno non solo interagisce, ma diventa anche risorsa per l’altro. 81 Assertività ed ascolto attivo (Grazia Frazzetto) Per riuscire ad instaurare buoni rapporti e ad essere soddisfatti di se stessi, si deve raggiungere l’assertività che rappresenta la via di mezzo tra un comportamento passivo ed uno aggressivo. Essa è la capacità di esprimere i propri bisogni, di far valere i propri diritti senza offendere o ledere i diritti altrui. Per diventare assertivi serve, innanzitutto, avere un buon livello di autocritica, poi imparare a controllare le proprie emozioni, saper esprimere il proprio disaccordo, saper ascoltare, ammettere i propri errori e riuscire anche ad essere autoironico. Certo, non si può pretendere che nell’immediato si possa raggiungere un tale stato, ma piuttosto, invece di provar a cambiare gli altri, possiamo iniziare da noi stessi, cercando di migliorare i nostri difetti. Riuscendo a raggiungere un equilibrio sia mentale che fisico, e riscoprendo, soprattutto, la felicità e la soddisfazione nei confronti del proprio “sentirsi” parte del mondo, è possibile comprendere come ogni comunicazione rappresenti uno dei tanti aspetti del comunicare. Anche l’ascolto attivo può essere considerato un elemento di fondamentale importanza al fine di migliorare la nostra capacità di comunicazione. Comprendere l’altro vuol dire ascoltarne i messaggi del corpo, il tono della voce, la postura, in quanto, come scrive Watzlawick, non si può non comunicare; pertanto, tutto è comunicazione. Serve avere, quindi, un’ampia apertura mentale che consenta di decentrarsi per provare ad “indossare i panni dell’altra persona”. Dal confronto e dallo scambio di idee si ha poi, in automatico, un arricchimento personale, un aumento dell’autostima ed una maggiore fiducia in se stessi. 82 Il dialogo interculturale (Morgan Tilenni Dianni) Ogni diversità rappresenta una potenziale minaccia nei confronti di un processo di stabilità interiore al quale l’essere umano è portato quotidianamente ad affidarsi. Quando l’interesse nei confronti dell’altro-diverso-da-noi cede il passo alla paura dell’ignoto si giunge al conflitto. Allora, potremmo porre a noi stessi queste domande: - è davvero possibile superare il pregiudizio? - come si possono affrontare i sentimenti di incertezza, l’ambiguità, le possibili incomprensioni, tenendo sempre presente l’obiettivo che è la mediazione? Ebbene, il dialogo ci viene in aiuto in quanto moderatore, ponte di mediazione e, pertanto, ponte di relazione con l’altrodiverso-da-noi. Soltanto attraverso il dialogo la potenza dello scambio è in grado di abbattere false certezze cognitive, dogmi ed intolleranze. La comunicazione r-esiste quando si è pronti a riconoscere nell’altro qualche aspetto di se stessi avente il plusvalore della diversità. La mediazione interculturale, infatti, entra in gioco al fine di riconoscere e salvaguardare l’identità dell’altro. Anche l’interculturalismo rappresenta un modello antropologico, sociale, politico e culturale in cui la conoscenza e lo scambio reciproco determinano ascolto, dignità, collaborazione, solidarietà e crescita. L’integrazione, in tale prospettiva, diventa quindi un processo di accrescimento e di arricchimento collettivo in cui si riconosca parità di diritti a tutti i “cittadini del mondo”. 83 M. Abdallah Pretceille, nel suo libro L’éducation interculturelle, suggerisce di aprire la mente ad un orizzonte più vasto attraverso: - l’insegnamento delle civiltà; - l’educazione ai diritti dell’uomo; - le azioni di riflessione sul terzo mondo; - gli scambi linguistici. H. Essinger in The education and cultural development of migrants ribadisce l’importanza dell’educazione: - all’empatia; - alla solidarietà; - al rispetto interculturale; - al pensiero non nazionalistico. Risulta pertanto necessario (Geertz, 1998) 5: - riconoscere il valore dei contributi culturali provenienti da contesti sociali extraoccidentali, - superare l’etnocentrismo relativizzando la propria cultura, - liberarsi da pregiudizi e stereotipi per ampliare le proprie limitate vedute, - non cedere alle pratiche più comuni nell’affrontare le differenze, cioè al paternalismo, all’indifferenza e all’arroganza, - sviluppare competenze comunicative interculturali, empatia, tolleranza critica e capacità di superamento delle situazioni di conflitto causate da fraintendimenti interculturali, scoprendo una nuova cultura e, al contempo, imparando a vedere la propria da una diversa prospettiva. 5 Geertz C., Mondo globale, mondi locali, Il Mulino, Bologna, 84 Comunità non coese possono condurre facilmente a conflitti interculturali. Potrebbe essere molto utile coinvolgere i giovani per creare quartieri fondati su valori e somiglianze condivise, per far fronte ai fenomeni del razzismo e del patriarcalismo. Tuttavia, la prima tentazione delle classi dominanti è quella di imporre l’assimilazione della cultura del Paese ospitante a persone di altre origini culturali. Compito della formazione interculturale consiste, pertanto, nel favorire la convivenza sociale invitando alla condivisione, all’accettazione e alla considerazione della “cultura altra” come elemento di ricchezza per la propria. Ogni differenza non vuol dire necessariamente impossibilità di coesione, bensì possibilità di sviluppo. Bisogna, però, stare attenti a non cadere nel baratro della tolleranza passiva, in quanto la tolleranza come sopportazione di una devianza non farebbe altro che comportare ipocrisia, razzismo e/o buonismo. Il riconoscimento dell’altro comporta rispetto, apertura allo scambio, reciproco apprendimento, autoconsapevolezza emozionale e gestione creativa dei conflitti, accogliendo l’altrui punto di vista pur non tralasciando il proprio. Diventare cittadino di una società multiculturale e sentirsi tale vuol dire decolonizzare il pensiero, cioè saper guardare oltre i propri circoscritti e limitati orizzonti. Essendo il divario della società multiculturale legato ad un quadro socio-politico complesso, occorre creare spazi in cui potere e sapere comunicare, lavorare per una vera e propria politica dell’educazione, una pedagogia che miri ai problemi del presente e che ci abitui ad incontrare, come suggerisce lo stesso Gadamer, “noi stessi nell’altro”. 85 Altri elementi fondanti di una politica interculturale sono: - la soppressione dell’etnocentrismo -atteggiamento per cui si tende ad attribuire un carattere di superiorità al proprio gruppo etnico e ai propri valori-; - l’abbattimento dello stereotipo -percezione o concetto relativamente rigido ed eccessivamente semplificato o distorto di un aspetto della realtà-. 86 Strumenti pratici per il mediatore (Gianfranco Mento) Per una figura professionale in via di riconoscimento come lo è quella del mediatore interculturale, l’autopromozione risulta necessaria. È importante farsi conoscere, definire i propri “spazi personali”, sensibilizzare al proprio operato i cittadini, le Istituzioni e gli Enti di formazione sia pubblici che privati. Vengono di seguito riportati alcuni esempi di materiale, fotocopiabile, utile al fine di creare un’identità alla figura del mediatore interculturale. Come presentarsi? La figura del Mediatore Interculturale – - Chi Siamo - La Nostra attività - I nostri obiettivi 87 Chi Siamo z z z 88 Il Mediatore Interculturale si pone come ponte tra l’immigrato e le istituzioni. Favorisce l’interscambio tra i popoli da un punto di vista culturale, ma lo regola secondo principi di reciproca e pacifica convivenza. E’ una professione riconosciuta, in una realtà in cui la mescolanza di etnie e la loro relativa coabitazione è ormai esperienza quotidiana. La Nostra attività Ci poniamo come “luogo di incontro”. Il nostro non e’ un mero lavoro di officianti o di impiegati su una sedia logora. Il mediatore opera dentro e fuori, a contatto umano con l’immigrato e preciso con le istituzioni, e sempre mettendo a disposizione il suo sapere a servizio di chi ne necessita. 89 I nostri obiettivi I nostri obiettivi non sono certo semplici nè facili da realizzare. Quantomeno possiamo suddividerli in: 90 • obiettivi a breve termine riuscire ad integrare, nel modo migliore, il cittadino immigrato nel tessuto sociale del paese di arrivo; • obiettivo a lungo termine favorire un dialogo e un incontro costruttivo tra i popoli. Alcuni esempi di opuscoli in-formativi. (Claudia Bruno, Valentina Contadino, Paolo Donzelli, Haissam El Kadi, Grazia Frazzetto, Nawzad Khurshid, Maria Talestri Leanza, Eleonora Lucifora, Angela Lunelio, Maria Grazia Marrello, Ivana Maugeri, Cristina Mazzarino, Gianfranco Mento, Morgan Tilenni Dianni) S Se eii u un n cciitttta ad diin no o ssttrra an niie erro o?? H Haaii bbiissooggnnoo ddii iinnffoorrm maazziioonnii?? V Vuuooii ccoonnoosscceerree ii sseerrvviizzii ddeellllaa cciittttàà?? C Ceerrcchhii llaavvoorroo?? C Ceerrcchhii uunnaa ccaassaa?? P Pu uo oii rriiv vo ollg ge errttii a ad du un n m me ed diia atto orre e iin ntte errccu ullttu urra alle e Guida per una consapevole richiesta di aiuto 91 Il Mediatore Interculturale… è un esperto in comunicazione il cui obiettivo è quello di facilitare l’integrazione dei cittadini immigrati. Si occupa di promuovere una relazione positiva tra persone di culture diverse al fine di evitare conflitti o incomprensioni. Accoglie le richieste dei cittadini immigrati e accompagna gli stessi facendo conoscere i servizi del territorio che possano essere loro di riferimento. Collabora con gli operatori degli uffici pubblici e privati (scuole, ospedali, questure, Direzioni provinciali del lavoro…) nelle attività di consulenza, informazione, formazione, orientamento e accompagnamento rivolte al cittadino straniero, promuovendo un lavoro di rete che accolga quest’ultimo e lo accompagni in un processo di scambio e di integrazione culturali. 92 La Mediazione interculturale... è uno strumento chiave nel processo di integrazione del cittadino straniero. Non consiste in una semplice azione di interpretariato linguistico, bensì in una vera e propria ricerca di situazioni e contesti che possano essere di aiuto al cittadino immigrato. “Non esiste condivisione senza accoglienza, scambio senza differenze, integrazione senza partecipazione” 93 Ruoli del mediatore interculturale - Creare le condizioni, per tutti, di pari opportunità nell’accesso ai servizi; - favorire la conoscenza delle culture degli immigrati ed il mantenimento della loro identità culturale; - accompagnare il cittadino immigrato in un percorso di integrazione e partecipazione attiva alla vita comunitaria; - collaborare con le istituzioni per il coordinamento delle attività e per la realizzazione di un flusso informativo costante; - suggerire possibili soluzioni, adeguate agli specifici contesti, finalizzate a far emergere la concretezza dei valori e delle diversità delle culture; - costruire una rete di comunicazione con i Paesi d’origine e l’avvio di rapporti con le ambasciate. 94 I diritti del cittadino straniero GZ,’06 A tutti i cittadini stranieri, anche non in regola con il permesso di soggiorno, sono garantiti: il Diritto alla SALUTE - le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o essenziali, anche continuative, per malattia e infortunio, gli interventi di medicina preventiva, la tutela della gravidanza e della maternità, la tutela della salute del minore, le vaccinazioni e gli interventi di profilassi internazionale. Il Diritto allo STUDIO - l’istruzione e la partecipazione alla vita scolastica per i ragazzi stranieri fino alla scuola dell’obbligo. Il Diritto alla DIFESA - gli stranieri che dimostrino di non avere un reddito sufficiente per pagarsi un avvocato hanno diritto a chiedere il gratuito patrocinio. 95 Alcuni servizi offerti da un mediatore interculturale: - Accoglienza e ascolto - Analisi dei bisogni, delle aspettative e delle richieste della persona - Orientamento ai servizi del territorio - Accompagnamento presso i servizi assistenziali, scolastici, sociali, di pubblica sicurezza - Accompagnamento al lavoro - Corsi di lingua italiana - Informazioni sulle procedure per la richiesta di rilascio/rinnovo permessi di soggiorno e/o asilo politico - Orientamento alle consulenze legali PER INFORMAZIONI www.mediatoreinterculturale.org (sito internet in lingua italiana, inglese, francese) 96 (Nawzad Khurshid) “Il Ponte” Carlo Barbato, Urbino, 2002 Il Mediatore Interculturale 97 Il fenomeno dell’immigrazione: la figura professionale del mediatore interculturale. In questi ultimi anni, nel nostro Paese, si è assistito ad un notevole incremento del fenomeno dell’immigrazione. Risulta necessario, pertanto, trovare strumenti adeguati al fine di favorire l'inserimento, la partecipazione e l’integrazione dei cittadini immigrati nel nostro contesto sociale, rispettandone i costumi, i valori e le differenti usanze. La condivisione di modelli interculturali può rappresentare una grande risorsa quando armonia e collaborazione si incontrano in un progetto di convivenza e sviluppo di nuove “comunità” a misura d’uomo, di qualsiasi provenienza esso sia. La figura del Mediatore Interculturale nasce, pertanto, dall'esigenza di conciliare più di un interesse e di salvaguardare alcuni valori culturali e religiosi e alle peculiarità delle numerose comunità immigrate presenti sul territorio. 98 Il Mediatore interculturale è una figura professionale che, agendo con imparzialità, svolge attività di collegamento tra persone immigrate appartenenti a culture straniere e associazioni, strutture sociosanitarie, servizi e istituzioni locali, nazionali ed internazionali, con l’obiettivo di fornire risposte quanto più conformi alle esigenze di integrazione di ogni singolo individuo. Pertanto, in una società multietnica e multiculturale come la nostra, diventa sempre più una figura indispensabile. Il ruolo del mediatore, la cui funzione necessita di vaste e ricche conoscenze pedagogiche, sociali, storiche e culturali, nonché di capacità e tecniche di mediazione e di conciliazione, è determinante al fine dell’integrazione socio-culturale dei cittadini immigrati. 99 “Il valore della libertà” Carlo Barbato, Urbino, 2002 Le azioni che disconoscono i diritti umani, che inneggiano alla violenza, che attuano discriminazioni, vanno modificate e finalizzate al rispetto della dignità e delle libertà fondamentali della persona. 100 Dove opera il mediatore interculturale? Le principali strutture pubbliche presso le quali la presenza dei mediatori risulta indispensabile sono: - i Centri di prima accoglienza, di informazione e di consulenza - gli Uffici Pubblici - i Servizi Sociali - i Provveditorati agli Studi (per l’accompagnamento e l’inserimento degli alunni immigrati nella scuola) - i Tribunali - gli Ospedali - le carceri Quali sono i requisiti fondamentali di un mediatore interculturale nel nostro Paese? 1. padronanza della lingua italiana e, almeno, di una lingua straniera, 2. buona conoscenza della storia, della cultura e della religione sia italiana che del paese di provenienza di coloro che sono immigrati, 3. conoscenza di base della legislazione italiana, 4. solida formazione culturale e conoscenza dei meccanismi della comunicazione, 5. pazienza e capacità di mediazione, 6. elasticità nell'interpretazione del proprio ruolo, 7. possibilità di accesso ai servizi e alle modalità di espletamento delle principali pratiche burocratiche del nostro Paese 101 Azadì L’associazione umanitaria e indipendente per la solidarietà con il popolo kurdo e gli immigrati in genere è stata fondata in Italia nel 1993. Scopo principale dell'associazione è sensibilizzare l'opinione pubblica alle problematiche dell'immigrazione, alle situazioni dei popoli del sud del mondo e alle continue violazioni dei diritti umani. Azadì (libertà in lingua kurda) si impegna nella ricerca dei modi e dei mezzi più idonei per l'aiuto e la solidarietà verso i popoli immigrati, si attiva in un lavoro di rete al fine di permettere l'integrazione e la partecipazione attiva dei cittadini stranieri, promuove la raccolta di fondi, materiali e beni da inviare al popolo kurdo, indipendentemente dai confini statali o amministrativi in cui si trova a vivere. Per tali scopi è pronta ad aiutare e incoraggiare organismi nazionali, internazionali e organizzazioni non governative che rappresentano e tutelano gli interessi dei popoli del sud del mondo. 102 Per informazioni: w .azaazd Per inw fowrm ioì-nkiurdistan.org www.mediatoreinterculturale.org (sito internet in lingua italiana, inglese, francese) e-mail: [email protected] cell. 348 2859901 L’identità del mediatore interculturale: cartellini di riconoscimento e segnaposti 103 GZ,’06 Mediatore Interculturale 104 Mediatore Interculturale 105 Protocollo per un primo colloquio: schede di accoglienza e possibili approfondimenti (Eleonora Lucifora, Grazia Frazzetto) Durante i primi incontri con i cittadini stranieri è necessario raccogliere informazioni orali sulla loro storia e sulle loro condizioni di vita. Vengono qui di seguito presentati un protocollo per l’accoglienza, un protocollo di primo colloquio, pratico strumento di lavoro quotidiano che accompagna la relazione con il migrante, nella comprensione di ciò che sono le sue richieste, e una scheda generica da utilizzare ad un primo approccio con il cittadino straniero. Naturalmente, il tutto andrà unito ai sorrisi e alla delicatezza degli operatori. ACCOGLIENZA 1) Come si chiama? 2) Quanti anni ha? 3) Da dove viene? 4) Quando è arrivato in Italia? 5) E’ da solo o c’è qualcun’altro con lei? 6) Dove abita ora? 7) Ha problemi di salute? 8) Come posso aiutarla? 106 PROTOCOLLO DI PRIMO COLLOQUIO Nome ____________________________________________ Cognome ________________________________________ Nato a ___________________________ il _____________ 1) Qual è la sua provenienza? 2) Quando è arrivato in Italia? 3) Come e perchè è arrivato in Italia? 4) Come vive il distacco dalla sua terra e dai suoi familiari? 5) Quale lingua parla abitualmente? 6) Dove vive in Italia? 7) L’abitazione è fornita dei servizi necessari? 8) Vive da solo o ci sono altre persone con lei? 9) Che tipo di legame c’è tra i conviventi? 10) Ognuno ha la sua camera o vivete in molti nella stessa camera? 11) Quale scuola ha frequentato? 12) Che titolo di studio ha conseguito? 13) Svolge qualche attività lavorativa? 14) Ha un regolare contratto di lavoro? 15) Con chi viveva nel paese d’origine? 107 16) Quali sono le sue abitudini: cibo, sonno, preferenze, giornata tipo? 17) In Italia ha occasioni di scambio? Quando? Con chi? 18) Come si trova in Italia? 19) Qual è la sua condizione di salute? 20) Qual è quella dei suoi conviventi? 21) E’ iscritto all’assistenza sanitaria nazionale? 22) Ha particolari esigenze? 23) Nell’ambiente di lavoro vive in un clima sereno? 24) I rapporti con i colleghi di lavoro sono collaborativi e di scambio o conflittuali? 25) Frequenta circoli ricreativi e quale tipo di rapporto ha con gli altri? 26) Ha instaurato dei rapporti di amicizia nell’ambiente in cui vive? 27) Pratica sport? 28) Ha dei figli? Se sì, che scuola frequentano? Hanno interessi fuori dalla scuola? Quale è lo stato della loro salute? … 108 SCHEDA GENERICA ETÁ PROVENIENZA TITOLO DI STUDIO TRASFERIMENTO IN ITALIA RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI RAPPORTO CON I CITTADINI LOCALI FRUIZIONE OSPEDALI o STRUTTURE DEL S.S.N. FAMIGLIA RELIGIONE VARIE 109 FRASI PER VOLERSI BENE in lingua italiana, rumena e araba (Haissam El Kadi) Per potere convivere si ha bisogno di regole: l’ambiente può sicuramente facilitarne la conoscenza. Vengono suggerite, di seguito, alcune frasi da poter dare alle persone immigrate o apporre alle pareti di un Centro per immigrati o di un Ente che eroga servizi finalizzati alla loro integrazione. RISPETTIAMO LA CASA COME SE FOSSE CASA NOSTRA RESPECTATI ORDINE IN CASA PRECUMAR EI CASA TA SE DESIDERIAMO VIVERE BENE IN UNA CASA È IMPORTANTE RISPETTARNE LE REGOLE VA RUGAM RESPECTATII REGULA CASEII RISPETTIAMOCI GLI UNI GLI ALTRI AFI RESPECTAT RESPECTA SITU SIAMO TUTTI UNA FAMIGLIA SIANTEM TOTI O FAMILIE 110 AFORISMI (Angela Lunelio) • La scoperta dell’alterità è quella di un rapporto, non di una barriera. (C.Levi-Straus) • Non voglio che la mia casa sia cinta da un muro su tutti i lati e le mie finestre sbarrate. Voglio che le culture di tutte le terre circolino nella mia casa con la massima libertà. Ma mi rifiuto di farmi dominare da una sola di queste. (Gandhi) • Il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada. (Sudan) • A poco a poco, “poco” diventa di più; (Costa d’Avorio) • Un vecchio saggio vede in lontananza un’ombra, si allarma e dice con enfasi: “vedo una bestia feroce che arriva”. La figura si avvicina e il vecchio dice: “mi sembra di vedere un uomo”. Dopo un po’, il vecchio esclama: “ho un nuovo amico alla mia tavola”! (anonimo senegalese) 111 Raccolta di fiabe multicuLturali per favorire l’integrazione nella scuola. (Angela Lunelio) Le Fiabe sono lo specchio del mondo e della vita degli uomini; appartengono ad un immaginario collettivo in cui la cultura e le tradizioni dei popoli diventano tangibili. Esse rappresentano il simbolo dello sviluppo della persona. Ogni cultura ha i suoi miti e li tramanda di generazione in generazione. La fiaba è un genere letterario universale che si presta a numerosissimi itinerari didattici e percorsi immaginativi, grazie alla sua struttura familiare che stimola la curiosità del bambino in modo spontaneo ed invita ad intraprendere percorsi evolutivi sempre nuovi perché “interpretabili a seconda del periodo di sviluppo di chi le ascolta”. Le fiabe permettono ai bambini di costruire il proprio mondo interiore apprendendo, tramite simboli, i possibili percorsi di vita. In esse non mancano, infatti, le sorprese, i pericoli, gli incontri piacevoli o quelli indesiderati. Viaggiare attraverso i racconti permette, pertanto, di conoscere e di conoscersi, offrendo un terreno d’incontro che non ha barriere né temporali né etniche. La fiaba, scrive Calvino, riesce a “realizzare massimi risultati servendosi di pochissimi mezzi”. Ogni bambino ha bisogno della sua fiaba, quella che inconsapevolmente lo rassicura, lo fa crescere, l’aiuta ad affrontare i nodi cruciali dell’esistenza con un maggior controllo sulle pulsioni interiori e sugli eventi esterni, offrendo una realtà multisfaccettata. Rielaborando e meditando tutti i contenuti ed i messaggi che si trovano all’interno delle fiabe, egli troverà nuove dimensioni per il proprio immaginario e potrà scoprire nuovi orizzonti e nuove direzioni da dare alla propria vita. Sono queste le caratteristiche 112 che conferiscono alla fiaba la capacità di legare culture e storie diverse e, nello stesso tempo, di raccontare delle loro specificità. Attraverso la fiaba si possono trasmettere idee, sentimenti, valori, di cui ognuno si può idealmente alimentare per arricchire la propria personalità. La dimensione dell’immaginario apre le porte a nuovi sentieri, favorisce scelte, prospetta percorsi evolutivi, riproducendo tappe fondamentali dello sviluppo individuale. A tal proposito, tramite la fiaba è spesso possibile rilevare i tratti della personalità infantile per avere un quadro sulla maturazione dell’individuo riguardo, ad esempio, la capacità di ampliare il proprio punto di vista e di arricchire la propria dimensione emotiva. Lavorare con la fiaba multietnica diventa allora un’esperienza educativa molto significativa, che aiuta a costruire orizzonti comuni partendo da storie diverse e favorisce l’affermarsi di valori sociali come la tolleranza e la multiculturalità. Il racconto, per i bambini stranieri, diventa un ponte di comunicazione, accompagnandoli nel processo di integrazione e scambio con la nuova cultura. Il bambino, infatti, si sente veramente accolto quando lo si invita a creare, insieme ai compagni, una favola di gruppo. Anche l’ascolto delle fiabe della propria terra, che l’insegnante legge alla classe, gli permette di esprimere affetti, nostalgie, ricordi, recuperare esperienze passate in vista di bisogni presenti, sentendosi esistere senza rinnegare le proprie origini. Viene riportata, di seguito, una raccolta di favole, tipiche di diverse zone del mondo, da poter considerare come possibile percorso di lettura da potere proporre nelle classi primarie e secondarie per stimolare l’educazione alla multiculturalità. 113 LA GIRAFFA VANITOSA (fiaba africana) Ai limiti di una grande foresta, in Africa, viveva tra gli altri animali una giraffa bellissima, agile e snella, più alta di qualunque altra. Sapendo di essere ammirata non solo dalle sue compagne ma anche da tutti gli animali, era diventata superba e non aveva più rispetto per nessuno, né dava aiuto a chi glielo chiedeva. Anzi, se ne andava in giro tutto il santo giorno per mostrare la sua bellezza, agli uni e agli altri, dicendo: “Guardatemi, io sono la più bella”. Gli altri animali, stufi di udire le sue vanterie, finirono per prenderla in giro, ma la giraffa vanitosa era troppo occupata a rimirarsi per dar loro retta. Un giorno, la scimmia decise di darle una lezione e si mise a blandirla con parole che le accarezzavano le orecchie: - Ma come sei bella! Ma come sei alta! La tua testa arriva dove nessuno altro animale può giungere... E così dicendo, la condusse verso la palma della foresta. Quando furono giunti là, la scimmia chiese alla giraffa di prendere i datteri che stavano in alto e che erano i più dolci. Tuttavia, malgrado il collo della giraffa fosse lunghissimo, per quanto si sforzasse di allungarlo ancora di più, non riuscì a raggiungere il frutto. Allora la scimmia, con un balzo, saltò sul dorso della giraffa, poi sul suo collo e finalmente si issò sulla sua testa riuscendo ad afferrare il frutto desiderato. Una volta tornata a terra, la scimmia disse alla giraffa: - Vedi, cara mia, sei la più alta, la più bella, però non puoi vivere senza gli altri, né fare a meno degli altri animali -. La giraffa imparò la lezione e da quel giorno cominciò a collaborare con gli altri animali e a rispettarli. 114 IL MATRIMONIO DEL TOPO (fiaba sudafricana) C'era una volta un bellissimo topolino bianco. E mentre cresceva diventava sempre più bello. I suoi genitori si chiedevano spesso: “Dove troveremo una moglie degna per lui?” Quando arrivò il momento di cercargli una moglie, decisero che solo nella famiglia di Dio poteva esserci una topina giusta per lui. Così, come era d'uso, tre vecchi componenti della famiglia andarono da Dio a chiedergli una moglie per il bel topolino. Giunti alla casa di Dio, i tre entrarono e dissero: “Veniamo per conto del bellissimo topolino bianco, a cercare una moglie degna di lui: solo tu puoi trovarcela!” Dio allora disse: “Grazie per essere venuti, ma siete nel posto sbagliato: dovete andare a casa del vento! Il vento è più forte di me, perché mi soffia la polvere negli occhi!" A quel punto i tre messaggeri decisero di andare nella casa del Vento. Ma giunti là, il Vento disse loro: "Vi ringrazio, ma la Montagna è più forte di me: io non riesco a scalfirla, malgrado soffi con tutta la mia forza!” A quel punto, i tre topi andarono dalla Montagna, che però disse loro: “Grazie per essere venuti sin qua, ma c'è una creatura più potente, che mi sbriciola dalle fondamenta: abita là, andate a trovarla!”e indicò loro il luogo. I tre andarono nella casa che gli era stata indicata e videro che era la casa di un Topo. I tre anziani dissero tra loro: “Abbiamo trovato la moglie per il nostro bellissimo topolino bianco”. E così il bellissimo topolino bianco trovò una moglie degna di lui… 115 I DUE FRATELLI (fiaba cinese) Molto tempo fa, in un piccolo paese abitavano due fratelli che erano molto diversi tra loro. Il piu' grande, Noa, era conosciuto per essere antipatico e scontroso. Hua, invece, era un giovane cortese e onesto. Dopo la morte dei genitori, Noa aveva iniziato ad occuparsi dell'azienda di famiglia ma, in poco tempo, a causa di un'amministrazione avventata, arrivò alla bancarotta. Visto che era disonesto, aveva fatto in modo di tenere per sè parte della fortuna del padre senza dare niente al fratello. Hua, invece, che aveva una grande famiglia con 10 figli e figlie, era rimasto senza denaro e viveva in miseria. Un giorno, Hua andò a casa di suo fratello per chiedere un po' di riso. Gli aprì la porta la moglie del fratello e Hua la salutò con affetto e le chiese: "Mi dai un po' di riso per sfamare la mia famiglia?". Per tutta risposta, lei lo colpì sulla guancia con un mestolo sporco di riso. Hua, per nulla arrabbiato, anzi ringraziandola per il riso che era rimasto attaccato al suo viso, se ne andò. Tornando a casa, scoprì che una rondine, che aveva fatto il nido sotto il tetto del fratello, era stata attaccata da un serpente ed era ferita ad una zampa. Così la prese in mano e la mendicò, in modo da permetterle di tornare a volare per potere migrare. Passò un anno e la rondine tornò. Aveva portato con sè un seme e lo fece cadere davanti alla capanna di Hua. Quest’ultimo, trovato il seme, lo mise sotto terra. Nacquero delle zucche giganti, che, con grande sorpresa di Hua e della sua famiglia, contenevano molti tesori. La famiglia di Hua diventò così la famiglia più ricca del villaggio. 116 Venuto a conoscenza della storia, Noa cercò una rondine, le ruppe la zampa e la medicò. L'anno dopo, la rondine posò un seme davanti alla casa di Noa, che lo seminò. Crebbero zucche enormi, dalle quali uscirono decine di folletti che rubarono tutti i tesori della sua famiglia e Noa si ritrovò senza nulla. Hua, vedendo come il fratello si era ridotto, gli diede metà delle proprie ricchezze e le due famiglie vissero a lungo in prosperità. 117 LA CREAZIONE DEGLI ANIMALI (fiaba indiana) C'era una volta Napi, che era l'aiutante del Sole. Il Sole riscaldava la Terra mentre Napi faceva tutti i lavori di manutenzione. Un giorno, Napi terminò presto i suoi lavori e, dato che non era abituato a tenere le mani ferme, prese un blocco di argilla e cominciò a modellarla. Con essa fece, una dopo l'altra, le forme di tutti gli animali della Terra. Era molto soddisfatto del suo lavoro, così soffiò sopra ogni forma, dando a ciascun animale un nome e un luogo da popolare sulla Terra. Alla fine, era rimasto soltanto un piccolo blocchetto di argilla. Napi lo pasticciò un po', poi fece una strana forma e disse: “Ti chiamerai uomo, ed abiterai tra i lupi”. Così, soffiando, gli diede vita. Dopo aver creato tutte le creature, Napi tornò al suo lavoro. Tuttavia, un giorno, gli animali andarono da Napi per protestare: il bisonte non riusciva a vivere in montagna perché era troppo ripida, le capre della prateria non amavano vivere nell'acqua, la tigre non si adattava vicino al mare e così via. Allora Napi ridiede a tutti nuove abitazioni, e questa volta furono tutti soddisfatti. Tutti, tranne l'uomo, che vaga dappertutto per trovare un luogo che lo soddisfi. 118 IL CAMMELLO E LA FORMICA (fiaba araba) Una volta un cammello, mentre attraversava la steppa, vide ai suoi piedi, tra l'erba, una minuscola formica. La piccolina trasportava un grosso fuscello, dieci volte più grosso di lei. Il cammello, incuriosito, rimase un bel po’ a guardare come la formica si dava da fare, poi disse: - “Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se niente fosse, un carico dieci volte più grosso di te. Lo, invece, non porto che un sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come mai?” - “Come mai?” rispose la formica, fermandosi un momento; “ma è semplice: io lavoro per me stessa, mentre tu lavori per conto di altri, sei costretto da un padrone”. Così dicendo, si rimise il fuscello sulle spalle e riprese il suo cammino. 119 PERCHÉ L’ELEANTE È COSÍ GRANDE? (leggenda africana) Narra una leggenda africana che, all'origine del mondo, l'elefante aveva la statura degli altri animali, nonostante ciò era il più prepotente, voleva comandare su tutti ed essere servito e riverito come un re. Gli abitanti della savana, stanchi delle sue prepotenze, si riunirono di nascosto in assemblea e dissero: - “Non vogliamo più sopportare le angherie dell'elefante, tutti noi viviamo nel terrore! É ora di fare qualcosa per fargli capire le nostre ragioni!” Discussero a lungo fino a che, di comune accordo, decisero di dargli una sonora lezione. Invitarono, così, il prepotente in un'ampia radura dove gli avevano preparato un ricco banchetto per abbonirlo e per tenerlo occupato. L'elefante aveva accettato ben volentieri, tutto contento di essere così ossequiato. Mentre era assorto a gustare il pranzo, gli animali lo circondarono e cominciarono a dargli tante botte con le zampe sino a gonfiarlo tutto, da capo a piedi! Il malcapitato, alquanto malconcio, andò a tuffarsi nel vicino fiume per dare refrigerio alle tante ferite che aveva sul corpo. Gli ci vollero parecchi giorni per guarire e, quando i dolori furono passati, l'elefante, specchiandosi nell'acqua del fiume, vide che il suo corpo era rimasto tutto gonfio, enorme, pesante! Soltanto le orecchie erano rimaste come prima e certamente non facevano bella figura in quel suo grande testone! Era diventato il più grande animale della savana, ma il suo potere era finito! Ora non avrebbe più potuto comandare nemmeno sugli animali più piccoli perché la sua grande mole avrebbe ricordato a tutti la lezione avuta nella radura. E fu così che l'elefante, da quel giorno, prese a camminare con le orecchie abbassate… per la vergogna. 120 CAMMINA CAMMINA di G. Caliceti C’era una volta un omino con gli occhiali che non sopportava di vivere insieme alle persone che non portavano gli occhiali. Cammina cammina, l’omino arrivò in una città dove abitavano solo persone con gli occhiali e, a quel punto, si accorse che non sopportava di vivere insieme alle persone nere, perché naturalmente lui era bianco. Cammina cammina, l’omino trovò un quartiere in cui abitavano solo persone bianche con gli occhiali e, a quel punto, si accorse che non sopportava le donne, perché naturalmente lui era un uomo. Cammina cammina, l’omino arrivò davanti ad un grattacielo pieno di uomini bianchi con gli occhiali e, a quel punto, si accorse che non sopportava di vivere con le persone che non avevano la cravatta, perché naturalmente lui portava sempre la cravatta. Cammina cammina, l’omino arrivò all’ultimo piano del grattacielo, dove c’erano solo uomini bianchi con gli occhiali e la cravatta e, a quel punto, si accorse che non sopportava di vivere con le persone con i capelli neri, perché naturalmente lui era biondo. Cammina cammina, l’omino trovò una stanza piena di uomini bianchi con i capelli biondi, gli occhiali e la cravatta e, a quel punto, si accorse di non poter vivere con le persone con i capelli lunghi, perché naturalmente lui aveva i capelli corti. Cammina cammina, l’omino trovò una stanza più piccola piena di uomini bianchi con i capelli biondi corti, con gli occhiali e la cravatta e, a quel punto, si accorse che non sopportava di vivere con le persone che erano più basse di lui, perché lui si sentiva molto alto. Cammina cammina, l’omino trovò una stanza ancor più piccola, piena di uomini alti bianchi con i capelli biondi corti, gli occhiali e la cravatta, e, a quel punto, si accorse che non 121 sopportava di vivere con le persone che non credevano in Dio, perché naturalmente lui era credente. Cammina cammina, l’omino trovò una stanza minuscola piena di uomini alti bianchi, con i capelli biondi corti, gli occhiali e la cravatta che credevano in Dio, e, a quel punto, si accorse di non poter vivere con le persone che non avevano tre unghie della mano sinistra pitturate di verde, perché naturalmente lui aveva tre unghie della mano sinistra pitturate di verde. Cammina cammina, l’omino trovò una porta alta più o meno come una finestra e sopra la porta c’era scritto: “Club degli uomini alti, bianchi, in cravatta, con gli occhiali, i capelli biondi corti, che credono in Dio e hanno tre unghie della mano sinistra pitturate di verde” “Ecco il posto giusto per me”, pensò l’omino, “finalmente troverò degli amici simpatici e potrò vivere felice!”. Ma quando aprì la porta, si accorse che la stanzetta era vuota e c’era posto solo per lui. 122 L’UCCELLO A DUE TESTE (Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola, La Nuova Italia) C'era una volta un uccello con un corpo a due teste: la testa di destra era vorace e abilissima nella ricerca di cibo, mentre quella di sinistra, altrettanto ghiotta, era maldestra. La testa di destra riusciva sempre a nutrirsi a sazietà, mentre quella di sinistra era incessantemente tormentata dalla fame. E così, un giorno, la testa di sinistra disse a quella di destra: “Conosco, qui vicino, un'erba squisita di cui ti delizieresti: vieni, ti conduco dove cresce”. In realtà, sapeva che quell'erba era velenosa e voleva, con questo stratagemma, uccidere l'altra testa, per poter mangiare a piacimento. La testa di destra mangiò l'erba, tuttavia il veleno uccise l'uccello dalle due teste. Riflessioni Questa metafora trasmette, con grande efficacia, almeno due messaggi: 1) abbiamo bisogno del “diverso da noi” poiché senza di lui moriamo 2) l'invidia (la paura) uccide anche la parte più buova, intraprendente, attiva di noi stessi 123 Intercultura: viaggio tra le immagini del web “Il vero viaggio di scoperta non è vedere nuove terre, ma avere nuovi occhi” M. Proust Spesso, una semplice immagine invita la mente di chi osserva a porsi delle domande, abitando gli spazi di quelle “alterità” che, altrimenti, non si conoscerebbero. “E’ più difficile disintegrare un pregiudizio che un atomo” Albert Einstein 124 Le immagini raccontano, trasmettono odori, comunicano attraverso le emozioni e i sentimenti. Il motivo di questa sezione risiede proprio nel desiderio di far conoscere, attraverso le immagini, alcuni passaggi del processo interculturale intesi come “possibilità umane”. Ogni cultura, infatti, apprende determinati schemi in base alle tradizioni del posto in cui si struttura, al tempo storico e alle contingenze ambientali. La cultura risponde a quel criterio, tanto caro all’uomo, che è la sopravvivenza. Le immagini che seguono rappresentano un invito all’apertura mentale, all’umiltà e al desiderio di conoscenza, presentando un sentiero verso il più alto modello multiculturale che è l’accoglienza della “diversità” intesa come “potenziale risorsa”. 125 “Se un uomo può essere non violento perché non può esserlo una famiglia? E perché non può esserlo un paese? E perché non può esserlo una città? Perché non può esserlo uno Stato? Perché non può esserlo una Nazione? E perché non il mondo?” Mahatma Gandhi 126 “La cultura è rappresentata da tutti gli schemi di vita, determinati storicamente, espliciti ed impliciti, razionali, irrazionali e non razionali, che esistono ad ogni epoca, come guide potenziali per il comportamento degli uomini e che tendono ad essere condivisi entro un dato gruppo di persone o società” Clyde Kluckhon, William Kelly, The Concept of Culture in Linton R., The Scence of Man in the World Crisis, New York, Columbia Univ. Press, 1945, pp. 78-106. 127 128 “La cultura è un meccanismo di adattamento all’ambiente. Ogni società possiede la propria, cercando di assicurare la sopravvivenza, in un dato luogo, ad una data società”. 129 130 “Le culture sono apprese; non sono trasmesse geneticamente come le caratteristiche razziali. I popoli sono diversi perché educati in modo dissimile”. Beals Ralph L., Hoijer Harry, Introduzione all’antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, 1987. 131 132 «Un essere umano è parte di un tutto che noi definiamo "universo", una parte limitata nel tempo e nello spazio. L'uomo sperimenta se stesso, i suoi pensieri ed emozioni come qualcosa di separato da tutto il resto; in effetti si tratta proprio di una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è simile ad una prigione, che ci costringe a pensare unicamente ai nostri desideri personali e limita il nostro affetto solo a poche persone che ci sono vicine. Il nostro compito dovrebbe essere quello di liberarci da questa prigione, ampliando il raggio della nostra compassione in modo da includere tutte le creature viventi e l'intero mondo della natura, in tutta la loro bellezza». Albert Einstein 133 “Ogni lungo viaggio comincia da un passo” Lao Tse 134 135 Carlo Barbato “Dalle radici al cielo” 136 Urbino, 2006 IL CITTADINO STRANIERO GUIDA PRATICA PER IL CITTADINO IMMIGRATO INDIRIZZI UTILI (Cristina Mazzarino, Valentina Contadino) D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE FFA AR REE M MEEN NSSA A?? HELP CENTER CARITAS Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N°1 – CATANIA Tel. 095/530126 Colazione: tutti i giorni ore 08:00/09:00 Cena:Lunedì, martedì, mercoledì, venerdì ore 20:00/21:00 MENSA SS. SACRAMENTO RITROVATO Parrocchia SS. Sacramento Ritrovato Via VI Aprile – CATANIA Giovedì ore 17:30 CASA DONO DI GIOIA - MISSIONARIE DELLA CARITA’ Suore di Madre Teresa di Calcutta Via Giuseppe Verdi N°144 – CATANIA Tel. 095/539999 Tutti i giorni, escluso il giovedì, ore 17:30 137 ISTITUTO SUORE CAPPUCCINE DEL SACRO CUORE Viale Mario Rapisardi N ° 27 – CATANIA Tel. 095/7311979 - 095/354274 Mercoledì ore 12:00 PARROCCHIA S. MARIA DELLA CONSOLAZIONE AL BORGO Via Milo 11/A – CATANIA Tel. 095/437894 Tutti i giorni, inclusi il sabato e la domenica, ore 12:00 CASA DELLA MERCEDE Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA Tel. 095/532753 Dal lunedì al sabato ore 14:00 138 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O A C C O G L I E N Z A ? ACCOGLIENZA? ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE R RIIC CEEV VEER REE HELP CENTER CARITAS Sede colloquio: Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N°1 – CATANIA Tel. 095/530126 Accoglienza serale e notturna per uomini e donne presso le relative strutture. I servizi sono sempre attivi. CASA DONO DI GIOIA - MISSIONARIE DELLA CARITA’ Suore di Madre Teresa di Calcutta Via Giuseppe Verdi 144 – CATANIA Tel. 095/539999 Accoglienza serale e notturna per sole donne e /o con bambini. I servizi sono sempre attivi. CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Sede colloquio: Via Malta N ° 17 – CATANIA Tel. 095/7225175 Accoglienza serale e notturna per soli uomini immigrati e rifugiati. I servizi sono sempre attivi. COOPERATIVA STRADA VIVA – C. ACCOGLIENZA “LA DIMORA” Sede colloquio: Via Acquicella Porto 37/A – CATANIA (raggiungibile con il bus AMT N ° 439). Accoglienza serale e notturna per soli uomini italiani e stranieri. I servizi sono sempre attivi. 139 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O SSII EEFFFFEETTTTU UA A LLA AD DIISSTTR RIIBBU UZZIIO ON NEE D I A L I M E N T I ? DI ALIMENTI? HELP CENTER CARITAS Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA Tel. 095/530126 Tutti i giorni CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Via Malta N ° 17 – CATANIA Tel. 095/7225175 Sabato ore 09:00/12:00 e 16:00/18:00 (previo tesseramento) CASA DELLA MERCEDE Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA Tel. 095/532753 Giovedì ore 17:00 CASA DONO DI GIOIA – MISSIONARIE DELLA CARITA’ Suore di madre Teresa di Calcutta Via Giuseppe Verdi N ° 144 – CATANIA Tel. 095/095/539999 Una volta al mese e in ogni caso di estremo bisogno. 140 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE R RIIC CEEV VEER REE V VEESSTTIITTII EE C O P E R T E ? COPERTE? HELP CENTER CARITAS Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA 095/530126 Dal lunedì al venerdì ore 09:00/13:00 CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Per uomini tutti i giorni; per donne lunedì pomeriggio ore 16:00/19:00 e giovedì mattina ore 09:00/12:00. Via Malta N ° 17 – CATANIA 095/7225175 CASA DELLA MERCEDE Dal lunedì al sabato ore 10:00 e ore 19:30 Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA 095/532753 GGV. GRUPPO S. LUISA Mercoledì ore 08:00/13:00; Sabato ore 08:00/11:00 Via San Pietro N ° 49 – CATANIA 141 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE FFA AR REE LLA AD DO OC CC CIIA A?? HELP CENTER CARITAS Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA Tel. 095/530126 Lunedì, martedì e giovedì ore 09:30/11:30 CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Via Malta N ° 17 – CATANIA Tel. 095/7225175 Tutti i giorni, eccetto giovedì mattina, ore 09:00/12:00 ore 16:00/19:00 CASA DELLA MERCEDE Via Antonino di San Giuliano N ° 56 – CATANIA Tel. 095/532753 Dal Lunedì al sabato ore 10:00/20:00 142 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE FFA AR REE U UN NA AV VIISSIITTA A M E D I C A D I P R I M O A M B U L A T O R I O ? MEDICA DI PRIMO AMBULATORIO? HELP CENTER CARITAS Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA Tel. 095/530126 Lunedì e Venerdì ore 16:00/18:00 CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Via Malta N ° 17 – CATANIA Tel. 095/7225175 Tutti i giorni, escluso il sabato, ore 09:00/12:00 e 16:00/19:00 CASA DELLA MERCEDE Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA Tel. 095/532753 Lunedì e mercoledì ore 11:00/19:00 Ambulatorio di medicina generale, odontoiatria, pediatria, ginecologia, dermatologia. CASA DONO DI GIOIA – MISSIONARIE DELLA CARITA’ Suore Di Madre Teresa di Calcutta Via Giuseppe Verdi N ° 144 – CATANIA Tel. 095/539999 Sabato ore 17:00 143 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ C O N S U L E N Z A L E G A CONSULENZA LEGALLEE?? PPO OSSSSIIBBIILLEE R RIIC CEEV VEER REE HELP CENTER CARITAS Piazza Giovanni XXIII angolo Viale Africa N ° 1 – CATANIA Tel. 095/530126 Venerdì ore 10:00/12:00 ASSESSORATO ALLA PROMOZIONE SOCIALE E ALL’IMMIGRAZIONE Centro Interculturale “Casa dei Popoli” Sportello CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati ONLUS Via Museo Biscari N ° 16 – CATANIA Tel. 095/7428056 095/7428061 CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Via Malta N ° 17 CATANIA Tel. 095/7225175 Martedì e Giovedì ore 16:00/19:00 PATRONATO ACLI - SPORTELLO AGLI IMMIGRATI Via Crociferi N ° 67 CATANIA Tel. 095/315397 Lunedì ore 09:00/13:00 Corso Sicilia N ° 111 CATANIA Tel. 095/321286 Giovedì ore 15:30/19:30 ARCI COMITATO TERRITORIALE CATANIA Via Lanolina N ° 41 – CATANIA Tel. 095/7152270 Venerdì ore 17:00 144 CASA DELLA MERCEDE Via Antonino Di San Giuliano N ° 56 – CATANIA Tel. 095/532753 Mercoledì ore 13:30 145 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE O R I E N T A M E N T O A L L A V O R O ORIENTAMENTO AL LAVORO?? R RIIC CEEV VEER REE HELP CENTER CARITAS Viale Africa N ° 1 – CATANIA Tel. 095/530126 Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ore 09:30/12:00 CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Via Malta N ° 17 – CATANIA Tel. 095/7225175 Lunedì, mercoledì, venerdì ore 16:00/19:00 ARCI CATANIA Via Landolina N ° 41 – CATANIA Tel. 095/7152270 Venerdì ore 16:30 146 D DO OV VEE EE Q QU UA AN ND DO O ÈÈ PPO OSSSSIIBBIILLEE IIM MPPA AR RA AR REE LLA A LLIIN G U A I T A L I A N A ? NGUA ITALIANA? HELP CENTER CARITAS Viale Africa N ° 1 – CATANIA Tel. 095/530126 Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ore 18:30/19:30 CENTRO ASTALLI PER IMMIGRATI E RICHIEDENTI ASILO Via Malta N ° 17 – CATANIA Tel. 095/7225175 Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ore 16:00/18:00 ARCI CATANIA Via Landolina N ° 41 – CATANIA Tel. 095/7152270 Dal lunedì al venerdì ore 18:30/20:00 ASSESSORATO PROMOZIONE ALL’IMMIGRAZIONE Centro Interculturale “Casa dei Popoli” Via Museo Biscari N ° 16 CATANIA Tel. 095/7428056 095/7428061 ore 20:30/22:00 SOCIALE ED 147 INDIRIZZI WEB DI RIFERIMENTO (Paolo Donzelli) www.cestim.org www.dossierimmigrazione.it (documentazione sui fenomeni migratori) www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it (Ministero dell’Interno) www.solidarietasociale.gov.it/SolidarietaSociale (Ministero della Solidarietà Sociale) www.stranieri.it www.meltingpot.org www.portaleimmigrazione.it www.migrare.it (immigrazione e legislazione) 148 www.naga.it (guida per lo straniero non in regola) www.stranieriinitalia.it www.piemonteimmigrazione.it (stranieri in Italia) www.romamultietnica.it (Roma multietnica) www.caritasitaliana.it (solidarietà e intercultura) www.alisei.org (Associazione per la Cooperazione Internazionale e l’Aiuto Umanitario) http://www.azadi-kurdistan.org/ (Associazione per la solidarietà con il popolo kurdo) www.mediatoreinterculturale.org (…sul mediatore interculturale) www.arab.it www.arab.it/favole/giuha.htm (mondo e cultura araba) www.sufismo.it (religione, arte e cultura islamica) http://digilander.libero.it/century1/pluralista2.htm www.interculturando.it www.cem.coop 149 (multiculturalità ed educazione interculturale) www.socrates-me-too.org (Multimedialità per il plurilinguismo e l'interculturalità nelle scuole) www.interculturemap.org/EN/interculturemap.php (Interculture map. 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Partendo dalle differenze tra i bimbi di una stessa comunità, riscontrabili da un semplice autoritratto, il percorso proposto invita ognuno a riconoscere le diversità degli altri e a rispettarle, per poi giungere all’accettazione. AA.VV., Imparolando, supporto all’insegnamento della lingua italiana per bambini stranieri, Guerra, Perugia, 2003. In cd-rom. Fornisce la possibilità agli alunni stranieri, della scuola elementare, di apprendere la lingua italiana. L’alunno viene assistito e accompagnato da una guida vocale realizzata in 6 lingue -italiano, arabo, spagnolo, cinese, francese, inglese- per consentire una piena comprensione del contesto e degli esercizi a partire dalla prima unità didattica. Barilla G., Benzo M., Porta R., Così giocano i bambini del mondo, EMI, Bologna, 2001. Il testo presenta 18 giochi (kelb, dama araba…), di diversa provenienza, accompagnati da regole e illustrazioni. I giochi vengono introdotti dal racconto della nascita del deserto e dalla spiegazione della vita beduina. 159 Baroncelli C., Didattica interculturale delle scienze, EMI, Bologna, 2000. Il libro, facendo riferimento al rapporto fra mondo semitico, islam e scienza, presenta una rilettura del ruolo e del significato della scienza in chiave interculturale. Bevilacqua G., Didattica interculturale dell’arte, EMI, Bologna, 2001. Il libro fornisce delle chiavi di lettura e valide metodologia per progettare percorsi di educazione all’immagine e storia dell’arte nella scuola. Cappelletti A. M., Didattica interculturale della geometria, EMI, Bologna, 2000. Cappelletti A. M., Didattica interculturale della matematica, EMI, Bologna, 2000. I testi, accennando alle origini interculturali delle discipline, propongono un viaggio tra le culture, nello spazio-tempo delle prime scoperte. Vi si trovano accenni alla matematica fra gli arabi, alla scoperta del metodo posizionale e alla numerazione indiana. CESVI, Io gioco così, V unità di lavoro per la scuola di base, Trecentosessantagradi, collana di strumenti per l'educazione allo sviluppo, Bergamo, 2003. Rassegna di giochi di vari paesi del mondo, spiegati nei particolari, con materiali da costruire, accompagnata da alcune fotografie esplicative. Favaro G., Amici venuti da lontano, Nicola Milano Editore, Bologna, 1996. Il testo, fornendo informazioni sulla cultura araboislamica attraverso le storie di alcuni bambini, 160 affronta diverse tematiche in chiave interculturale (nomi, famiglia, festa, cibo, giochi, vestiti). Ferracin L., Porcelli M., Al cinema con il mondo, EMI, Bologna, 2000. Il volume presenta una ricca rassegna di schede su film selezionati per percorsi interculturali. Fucecchi A., Didattica interculturale della lingua e della letteratura, EMI, Bologna, 1998. Il libro, contenendo utili suggerimenti per progettare percorsi interculturali con le fiabe, presenta percorsi didattici sulla lingua e sulla letteratura in chiave interculturale. Golfo M., Suoni del deserto, la musica nel mondo arabo, Ananke, Torino, 1998. Il testo offre la possibilità di scoprire, in modo semplice ma completo, la storia e le caratteristiche della musica araba. Invita, inoltre, a riflettere sul rapporto esistente tra musica ed islam. Viene, infine, accompagnato da un cd contenente i suoni degli strumenti tipici del mondo arabo. Grillo G., “Noi” visti dagli altri, EMI, Bologna, 1998. Il manuale, proponendo degli "esercizi" di decentramento narrativo (l'Europa vista dagli Arabi, la cultura metropolitana vista dai Tuareg…), rappresenta un valido contributo all’insegnamento di un metodo di lettura non eurocentrico o etnocentrico dei libri di testo. Lazzarato F., Ongini V., L'erede dello sceicco, Mondadori, Milano, 1992. 161 Il testo, indicato soprattutto per i bambini dal secondo ciclo delle elementari in poi, presenta una serie di storie in lingua italiana provenienti dal Marocco, dalla Tunisia e dall’Algeria. Ad esse sono affiancate delle spiegazioni molto semplici sugli aspetti geografici, storici, religiosi e culturali dal luogo di provenienza. Loos S., Il giro del mondo in 101 giochi, Gruppo Abele, Diegaro di Cesena, 1998. Dopo un'introduzione di carattere antropologico sul gioco, il testo, organizzato in schede guida, presenta una raccolta di giochi divisi per continenti (Asia, Africa, Oceania, Americhe, Europa). Maniotti P., Il mondo in gioco, Gruppo Abele, Diegaro di Cesena, 1997. Il volume contiene una riflessione teorica sul rapporto fra gioco e intercultura, una serie di possibili percorsi didattici sul gioco ed un repertorio di giochi dal mondo (per ognuno viene indicato il paese di provenienza). Nanna A., Economi C., Didattica interculturale della storia, EMI, Bologna, 1997. Un’analisi della storia (le crociate, l’islam, il colonialismo dell'Italia in Africa) attraverso occhi non eurocentrici. Picaro A., Didattica interculturale della geografia, EMI, Bologna, 2000. Attraverso l’analisi della geografia, presenta utili metodologie di approccio transculturale. Ouagandar A., Gioca e impara, corso bilingue italiano arabo, Vannini, Brescia, 2004. 162 Il cd-rom contiene due corsi di lingua, italiano e arabo, strutturati secondo la metodologia che viene utilizzata nei laboratori bilingue gestiti dal Cospe di Firenze. È strutturato in tre livelli sempre a partire da un livello zero di conoscenza dell’italiano. Vi si ritrovano anche fiabe, filastrocche e schede di scrittura stampabili. Querzè A., I fili di Arianna, Centro Documentazione Educativa, Comune di Modena, 1996. Raccolta di esperienze didattiche molto ben documentate e accuratamente presentate, svolte presso le scuole del Comune di Modena. Ogni esperienza è affiancata da una scheda tecnica esplicativa. Rabozzi M., Stranieri sotto lo stesso cielo, L'Harmattan Italia, Torino, 1996. Il testo raccoglie in sé riflessioni e attività tratte da un'esperienza fatta con immigrati maghrebini. Si struttura in due parti: la prima presenta una serie di brevi racconti originali del mondo arabo-islamico, la seconda propone alcuni testi scritti da persone immigrate. Serra M., Il giro del mondo in 80 film, Il Castoro, Milano, 2003. Raccolta e presentazione di films che possono essere utilizzati per percorsi di educazione interculturale . Materiale audiovisivo: Lettere dal Sahara, De Seta V., Italia, 2006. Il viaggio di un ragazzo senegalese, Assane, che costretto a lasciare l'università perchè bisognoso di 163 lavorare, decide di partire per l'Italia, affrontando uno dei tanti viaggi clandestini... Mississipi burning - Le radici dell’odio, Parker A., USA, 1989. Il 21.6.1964 tre giovani attivisti dei diritti civili furono assassinati e sepolti vicino a Philadelphia (Mississippi). Due agenti FBI indagano per far luce sull’accaduto. Film di denuncia sul razzismo negli stati del Sud. Altri possibili spunti: AA.VV., All’ombra dell’olivo, il Maghreb in 29 filastrocche, Mondadori, Milano, 2002. AA.VV., Apriti Sesamo. Per un’alfabetizzazione sociolinguistica di immigrati adulti, CIDIS, Perugia, 1996. AA.VV., Fiabe e leggende dal mondo islamico, Editori Riuniti, Roma, 2001. AA.VV., L’italiano dalla A alla Z. Dizionario illustrato di base per stranieri, Guerini, Milano, 1995 AA.VV., Tessere di quotidianità interculturale, EMI, 2000. Alessandrini D., Giochi del mondo, L'Airone, 1998. Biancardi G., Galeotti P., Pasqualini G., Materiali didattici sull'Immigrazione, CESTIM - MLAL, Verona, 1994. 164 Bonenti D., Meneghelli A., Assertività e training assertivo. Guida per l'apprendimento in ambito professionale, 2ª ed., Franco Angeli, 1999. Borruso A., Dall’India a Parigi, motivi orientali e arabo-islamici nelle letterature europee, Franco Angeli, Milano, 2001. Brugnatelli V., Fiabe algerine, Mondadori, Milano, 1996. Bushnaq I., Favole del mondo arabo (tr. di F. Foresti), Arcana, Milano, 1987. Caliceti G., Un bambino arabo in Italia, Einaudi ragazzi, Trieste, 1995. Carta M. A., Fiabe siriane, Mondadori, Milano, 1997. Corte M., Immigrazione, Mass media e pedagogia interculturale, CEDAM, Padova 2002. Corte M., Comunicazione e giornalismo interculturale. Pedagogia interculturale e ruolo dei mass media in una società pluralistica, CEDAM, Padova, 2006. Dal Lago A., Non-persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano, 2001. Delle Donne M., Relazioni etniche, stereotipi e pregiudizi. Fenomeno immigratorio ed esclusione sociale, Edup, Roma, 1998. 165 Demarchi C., Papa N., Raccontafiaba, Guerini Studio, Milano, 1996. 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Ziauddin S., Maometto : per cominciare, Feltrinelli, Milano, 1995. Tworuschka M., Tworuschka U., Le religioni del mondo spiegate ai bambini dai bambini, Zephyro, Milano, 2001. 170 I diritti del cittadino straniero: alcune leggi e norme di riferimento (Ivana Maugeri) Abitare un luogo straniero necessita di un periodo iniziale di adattamento (nuove condizioni climatiche, nuove abitudini alimentari, regole, norme comunitarie, nuovi paesaggi, costumi, modelli psicologici e antropologici differenti dai propri…). Il cittadino immigrato desidera accoglienza in quanto si colloca nella “terra di nessuno”, né propria in quanto sconosciuta, né di altri, in quanto sconosciuti. In tale situazione è auspicabile, nonché indispensabile, che il mediatore interculturale possa fornire alla persona immigrata quante più informazioni possibili sulle leggi che regolano la sua permanenza, i doveri e i diritti di cui dispone, per accompagnarlo nella costruzione dei tasselli necessari al fine di facilitare il suo cammino verso l’integrazione. Ogni essere umano viene tutelato dai diritti sanciti dalla Costituzione Italiana. Questo vale, indistintamente, per tutti: uomini, donne, giovani, adulti, anziani, cristiani, musulmani, induisti, buddisti, italiani, stranieri, ricchi, poveri… Oltre a questi diritti di base, la persona immigrata gode di altri diritti più specifici: “il diritto all’unità familiare”, “il diritto alla salute”, “il diritto all’istruzione” e “il diritto al lavoro”. Diritto all’unità familiare (artt.28, 29 e 30 del T.U. - 25 luglio 1998, n° 286). Il nucleo familiare, essendo di fondamentale importanza, viene tutelato, oltre che dalla Costituzione, anche dal Testo Unico per l’immigrazione. 171 Questo diritto viene riconosciuto agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Tali documenti possono essere rilasciati per diverse ragioni: per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per asilo politico, per studio o per motivi religiosi. Con l’entrata in vigore del d.lgs. n° 5 del 2007 si dispone che il ricongiungimento familiare possa essere richiesto: per il coniuge; per i figli minori anche se adottati, affidati o sottoposti a tutela; per i figli maggiorenni “a carico”; per i genitori ultra sessantacinquenni. Inoltre, la persona immigrata che presenta la richiesta per il ricongiungimento deve dimostrare di possedere: un alloggio conforme ai parametri dell’edilizia residenziale pubblica e l’idoneità igienico-sanitaria accertata dall’ASL di competenza; un reddito annuo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari; la certificazione anagrafica che attesti il legame di parentela; il contratto di lavoro. La domanda di nulla osta per il ricongiungimento va presentata allo sportello unico per l’immigrazione, presso la Prefettura UTG competente per il luogo di dimora del richiedente. Il permesso di soggiorno per motivi familiari viene rilasciato: 172 agli stranieri entrati in Italia tramite il ricongiungimento familiare; agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia che abbiano contratto matrimonio o con un cittadino italiano, o con un cittadino dell’unione europea o con un cittadino straniero regolarmente soggiornante; al familiare regolarmente soggiornante. In tal caso il permesso del familiare viene convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare; al genitore straniero di minore italiano residente in Italia, purché non sia stato privato, secondo la legge italiana, della patria potestà. In tutti i procedimenti, siano essi amministrativi o giurisdizionali, che hanno come scopo l’unità familiare e che coinvolgono i minori, va sempre tenuto presente il superiore interesse del fanciullo (favor minoris), vale a dire: attuare la condizione più idonea e più favorevole per il benessere e per lo sviluppo del minore. Diritto alla salute (artt.34, 35 e 36 del T.U. - 25 luglio 1998, n° 286). Il tema dell’assistenza sanitaria agli stranieri è stato oggetto, negli ultimi anni, di una completa revisione normativa da cui si delineano, per l’Italia, precisi indirizzi di politica sanitaria. La svolta è avvenuta con l’emanazione della legge 40 del 1998 poi confluita nel d.lgs. 286 del 1998, il Testo Unico per l’immigrazione. 173 La legge prevede che tutti gli stranieri legalmente e stabilmente presenti nel territorio siano iscritti al Servizio Sanitario Nazionale. Per favorire il diritto all’assistenza sono stati inseriti correttivi quali il permanere della validità dell’iscrizione al SSN nel periodo in cui sono in corso le procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno. La residenza non è più condizione indispensabile per l’iscrizione al SSN, il cittadino straniero viene iscritto regolarmente negli elenchi degli assistibili dell’Azienda Sanitaria Locale di competenza anche quando non residente. L’iscrizione può essere obbligatoria o volontaria: la prima riguarda gli stranieri in regola con le norme relative all’ingresso in Italia o che abbiano richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno; la seconda avviene dietro un pagamento forfettario annuo per i cittadini stranieri extracomunitari con permesso di soggiorno superiore ai tre mesi o anche di durata inferiore, nel caso di studenti che non rientrano tra coloro che sono iscritti, di diritto, al SSN. Gli studenti, in particolar modo, possono richiedere un periodo inferiore corrispondendo un contributo ridotto. L’iscrizione è obbligatoria per gli immigrati: - disoccupati iscritti alle liste di collocamento, - lavoratori autonomi, - lavoratori dipendenti, - detenuti o internati, - coniugati con cittadini italiani, - minori in affidamento o in attesa di adozione, - dipendenti di ambasciata, - sacerdoti stranieri non comunitari che svolgono attività lavorativa per le Diocesi del Lazio, - presenti in Italia per motivi familiari o per ricongiungimento familiare, 174 - rifugiati politici o apolidi, presenti in Italia per asilo o per richiesta di asilo, sia politico che umanitario, in attesa di acquisizione della cittadinanza italiana, con permesso di soggiorno per residenza elettiva, regolarmente soggiornanti in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, ospitati in centri di accoglienza, con proroga del permesso di soggiorno per motivi di salute. L’iscrizione è volontaria per: - studenti, - persone alla pari, - religiosi, - stranieri accreditati dal nostro Paese che lavorano in Ambasciata. L’iscrizione va effettuata presso l’ASL della zona in cui si risiede ed i documenti necessari sono: permesso di soggiorno valido o richiesta di rinnovo dello stesso; certificato di residenza o dichiarazione di effettiva dimora o autocertificazione; codice fiscale o autocertificazione dello stesso. Con l’iscrizione viene rilasciata la tessera sanitaria, indispensabile per ottenere le prestazioni ed i servizi erogati dall’ASL e dai presidi medici convenzionati. Inoltre, l’iscrizione al SSN ha validità dalla data d’ingresso in Italia fino alla scadenza del permesso di soggiorno e viene estesa ai familiari a carico. 175 Diritto all’istruzione e al lavoro Il nostro ordinamento assicura la parità di trattamento tra la persona immigrata e il cittadino italiano. Tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione si applicano anche ai minori stranieri. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi e programmi culturali per apprendere meglio la lingua e la cultura ospitante e per valorizzare la loro cultura indigena ritenendola “ricchezza per il nostro Paese”. Per quanto concerne lo straniero che desidera lavorare in Italia esso dovrà iscriversi alle liste tenute presso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nel suo paese. I datori di lavoro possono far richiesta di un lavoratore straniero di loro conoscenza o, in mancanza di un soggetto di riferimento, possono attingere alle liste. Solo il datore di lavoro può dare inizio alla procedura presentando la domanda presso lo sportello unico, non prima del giorno di pubblicazione del decreto flussi sulla Gazzetta Ufficiale. 176 Guide utili sui diritti della persona immigrata (Paolo Donzelli) Di seguito vengono riportate alcune indicazioni per potere reperire, su internet, alcune guide utili, tradotte in più lingue, relative ai diritti della persona immigrata e alle leggi di riferimento. Viene riportata, per ogni guida, una breve descrizione seguita dall’indirizzo internet al quale collegarsi per poterla leggera, scaricare o stampare con facilità. Guida alle nuove procedure che regolano il diritto di soggiorno dei cittadini comunitari e dei loro familiari Scritta dall´associazione di volontariato Città Meticcia, in collaborazione con il Comune di Ravenna (U.O. Politiche per l´immigrazione), la guida presenta con chiarezza le tematiche delle condizioni e dei requisiti di accesso, prestazioni di assistenza sociale e sanitarie, documentazione richiesta al cittadino immigrato. Il volume, scritto in 6 lingue (italiano, francese, inglese, spagnolo, polacco, rumeno), si rivela strumento molto utile non soltanto per i cittadini comunitari e i loro familiari, ma anche per i Comuni, le Associazioni e coloro che lavorano a stretto contatto con gli immigrati. http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasocial e/news/2007/settembre/17_guidadirittosoggiorno.htm 177 Vademecum per l’assistenza familiare e la collaborazione domestica La figura della badante, così com’è intesa dalla legge 189/2002, è una figura professionale piuttosto recente. Si tratta di una tipologia lavorativa estremamente diffusa, alla cui base c’è l’invecchiamento della popolazione nel nostro Paese e la crescente richiesta di assistenza da parte delle famiglie che trovano un aiuto da collaboratrici straniere. Esistono scarse e frammentarie informazioni circa la normativa che disciplina il lavoro di “assistente familiare”. Pertanto, questa guida è stata creata dall’Istituzione Centro Nord Sud di Pisa, al fine di colmare tale disinformazione. http://www.centronordsud.it/materiale/Guida%20badanti.pdf Immigrazione: come, dove, quando. Manuale d’uso per l’integrazione Promosso dal Ministero della Solidarietà Sociale di Roma, è uno strumento sintetico, pratico, il più possibile esaustivo e consultabile in 11 lingue (albanese, arabo, cinese, francese, inglese, italiano, polacco, rumeno, russo, serbo, spagnolo). Affronta i seguenti temi: - ingresso - soggiorno - lavoro - sistema previdenziale e assicurativo 178 - anagrafe - alloggio - sanità - istruzione - dichiarazione dei redditi - Banca - Altri servizi Questa guida, che è stata pensata sia per chi ancora non si trova in Italia ed ha bisogno di capire come si possa entrare o per chi già vi si trova, sia per datori di lavoro italiani e/o stranieri, associazioni di categoria e famiglie che desiderano accompagnare il cittadino straniero nel suo percorso d'integrazione, può aiutare a risolvere i problemi che possono presentarsi quotidianamente (dal contratto di lavoro all'iscrizione dei figli a scuola, dal rilascio della patente all'apertura di un conto corrente in banca). http://www.solidarietasociale.gov.it/SolidarietaSociale/tematiche /Immigrazione/pubblicazioni/Presentazione_Vademecum_Immi grazione.htm 179 Barchette di carta (R. Tagore) Ogni giorno faccio galleggiare le mie barche di carta ad una ad una giù per la corrente del fiume. Su di esse scrivo il mio nome e il nome del villaggio dove vivo in grandi lettere nere. Io spero che un giorno qualcuno in qualche paese straniero le trovi e sappia chi sono. Carico le mie barchette con fiori di shiuli, colti dal nostro giardino e spero che quei fiori del mattino sian portati nel paese della notte. Io spingo le mie barchette di carta e osservo nel cielo le nuvolette che accompagnano le loro bianche vele. Non so quale mio compagno di giochi su in cielo le mandi giù per l’aria a gareggiare con le mie barchette! Quando scende la notte affondo la faccia nelle braccia e comincio a sognare che le mie barchette di carta galleggiano sotto le stelle. In esse viaggian le fate del sonno, e il carico è cesti pieni di sogni. 180 “Ogni Uomo è un mondo” Evghenij Evtusenko 181 182 Paolo Donzelli Psicologo, teatroterapeuta, specializzando in psicoterapia cognitivo-comportamentale. Si occupa di formazione collaborando con enti pubblici e privati. Ha collaborato con l’O.D.A., in qualità di docente e supervisore in itinere, nel progetto “Mediatore Interculturale”. È autore di numerosi articoli su riviste specialistiche. Svolge attività clinica sia presso enti pubblici (CInAP -Centro per l’Integrazione Attiva e Partecipata- e C.O.F. -Centro Orientamento e Formazione- dell’Università degli Studi di Catania) che nel privato ed è docente presso alcune scuole di formazione in Teatroterapia. 183