PROGEST 2013-14 – Laboratorio di metodologia della ricerca II anno - M. Cacioppo e M. P. May
ASL PROVINCIA DI MILANO N.1
DIPARTIMENTO ASSI
DISTRETTO N.1
COMUNE DI MILANO
SCUOLA REGIONALE
OPERATORI SOCIALI
PER VALUTARE L’OGGI E
PROGETTARE IL DOMANI
Famiglie, disabili, operatori
nei casi di handicap medio-grave e psichico
Gennaio 1999
PROVINCIA DI MILANO
ASSESSORATO ALLE POLITICHE SOCIALI
U.O. FORMAZIONE
E DELEGHE REGIONALI IN MATERIA DI SERVIZI SOCIALI
1
PROGEST 2013-14 – Laboratorio di metodologia della ricerca II anno - M. Cacioppo e M. P. May
INDICE
____________________________________________________
INTRODUZIONE
di M.P.May, A.F.Quitadamo, A.Rota
1.Perché la ricerca?
2.La ricerca prende forma
3.L’universo e il campione
4.Le interviste
5.I risultati della rilevazione
pag. 1
Cap. 1 I DISABILI
di E.Ferraris, G.Lucchini, A.Rota
1.La collocazione attuale
2.Le autonomie
3.L’uso del tempo: la giornata, il week-end
4.Amicizie e sessualità
21
Cap. 2 LE FAMIGLIE
di A.F.Quitadamo, A.Rota
1.La cultura familiare
2.Il gruppo di cura
3.La giornata del caregiver
4.La vita di relazione
5.I costi
46
Cap. 3 I PERCORSI
di M.P.May, F.Piccinini
1.I percorsi dei “medio-gravi”
2.I percorsi degli “psichici”
69
Cap.4 I SERVIZI PER LE FAMIGLIE
di M.P.May, F.Piccinini
1.La rete dei servizi utilizzati
2.Come le famiglie vedono i servizi
98
Cap.5 I BISOGNI
di M.P.May
1.I disabili
2.Le famiglie
3.E in futuro?
118
CONCLUSIONI
di M.P.May. A.F.Quitadamo
132
Allegato 1 - Tracce delle interviste
Allegato 2 - Opuscolo informativo
BIBLIOGRAFIA
2
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INTRODUZIONE
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1. PERCHÉ LA RICERCA?
L’idea di effettuare un censimento sui bisogni dei soggetti portatori di handicap è nata all’interno
del Gruppo Orientamento Handicap1; gli operatori che ne fanno parte da alcuni anni si stanno
interrogando sulla loro capacità di fornire risposte adeguate ai bisogni dei soggetti portatori di
handicap del territorio, in particolare di quelli in età post obbligo scolastico.
Se infatti fino al termine della scuola media, con l’inserimento nella scuola materna e nella scuola
dell’obbligo, vi è un buon livello di risposta, dopo questo momento i percorsi si diversificano
canalizzandosi principalmente su due servizi, il Centro Socio Educativo e la Formazione
Professionale.
Spesso gli operatori si sono trovati a dire “...per questo ragazzo non va bene né l’uno né l’altro
servizio, ci sarebbe bisogno di altri servizi!”. Queste affermazioni spesso riguardavano persone con
handicap “ psichico” e “ medio-grave”.
Questa sensazione di disagio, di incapacità e di inadeguatezza degli operatori, vissuta come
rappresentativa del disagio e del malessere dei soggetti e delle loro famiglie, ha fatto emergere la
necessità di affrontare con modalità e strumenti adeguati la lettura dei bisogni reali non in modo
astratto, a partire dall’enunciazione dei diritti, ma in modo concreto e reale a partire da un’analisi
dell’hic et nunc, tenendo conto del contesto territoriale e del momento storico in cui i bisogni si
esprimono.
Non volendo rinunciare al proprio ruolo e alle proprie conoscenze, si è ritenuto opportuno non
commissionare una ricerca ad una società di consulenza, ma progettare un’attività di formazione
specifica che consentisse di mettere in comune punti di riferimento teorici e valoriali, linguaggi,
metodologie e prassi di lavoro e di acquisire nuove competenze al fine di conoscere meglio e in
modo più approfondito i bisogni dei soggetti portatori di handicap della zona come precondizione
per una corretta programmazione degli interventi sia preventivi che curativi e riparativi.
Questa esigenza dell’USSL ha incontrato:
il parere favorevole dell’Unità Operativa Formazione del Settore Servizi Sociali della Provincia
di Milano che da alcuni anni sta seguendo con interesse l’evolversi dei servizi per l’area
Handicap, prima con un approfondito lavoro di ricerca che ha preso in esame quattro Centri
Socio Educativi della provincia, (i cui risultati sono stati pubblicati nelle edizioni Unicopli con il
titolo “Molti soggetti per un percorso”), quindi con una ulteriore indagine sui Centri Socio
1
Per una definizione più precisa del Gruppo Orientamento Handicap si rimanda all’allegato 2.
4
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Educativi dal titolo “Handicap in movimento” e con altre attività di formazione rivolte ad
operatori dei servizi per l’handicap;
l’interesse della Scuola Regionale per Operatori Sociali che aveva collaborato con suoi esperti
alla prima ricerca promossa dalla provincia sui CSE ed era motivata a proseguire un’attività di
ricerca su problematiche affini .
La sfida che i consulenti e i partecipanti al corso si sono trovati ad affrontare è stata in primis quella
di tenere insieme tre dimensioni, la formazione, la ricerca in vista di un intervento e il modello
organizzativo che garantisse questa opzione.
Il primo significativo e necessario passaggio, pertanto, è stato quello di definire i ruoli nella ricerca
sia dei corsisti sia dei consulenti, concordando la costituzione di due gruppi: il gruppo di ricerca,
formato dai docenti della scuola, che ha avuto il compito di progettare il percorso di ricerca e
curarne l’esecuzione nelle diverse fasi, il gruppo di lavoro, formato da tutti i partecipanti, compreso
il gruppo di ricerca, che ha avuto il compito di seguire tutto il processo e di discuterne ogni scelta
significativa, in particolare nella fase di costruzione del disegno di ricerca.
Nel procedere del lavoro sono emerse disponibilità differenziate a partecipare a specifici momenti e
fasi della ricerca anche al di fuori di questi due livelli. Di fatto la maggioranza dei partecipanti al
primo gruppo, con l’integrazione di alcuni operatori dei servizi e di alcuni tirocinanti della scuola
per educatori professionali, ha svolto anche la fase di esecuzione delle interviste alle famiglie, ai
disabili e agli operatori; il gruppo di ricerca, integrato dai responsabili dei CSE e dalla responsabile
dell’U.O. Handicap del Servizio Assistenza Sociale, ha curato prima la codifica e successivamente
l’analisi del materiale prodotto.
La scelta di effettuare una “ricerca partecipata” andava nella direzione di garantire un approccio
qualitativo in tutte le fasi della ricerca, riconoscendo ai partecipanti alla fase formativa un ruolo di
“ricercatori naturali”2, soggetti vicini che hanno esperienza e conoscenza del mondo dell’handicap e
delle risorse del territorio.
2. LA RICERCA PRENDE FORMA
2
La definizione di ricercatori naturali è stata adottata nella “Ricerca valutativa sui percorsi di
inserimento lavorativo e socializzante degli ex corsisti disabili della Formazione professionale in
Lombardia” commissionata dalla Regione Lombardia - Settore Giovani Formazione Professionale
Lavoro e Sport all’Università degli Studi di Milano - Istituto di Pedagogia sotto la direzione
scientifica di Duccio Demetrio
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All’avvio, come in ogni ricerca, particolare cura è stata riservata alla definizione dei principali
concetti che, come di consueto, risultavano inizialmente sfuocati e imprecisi. Inoltre, il fatto che si
trattasse di un gruppo numeroso che doveva giungere all’elaborazione di concetti e ipotesi comuni
ha reso più complessa questa fase. Ogni membro del gruppo aveva infatti concezioni proprie, tra
loro simili ma non identiche, non sempre facili da esprimere e confrontare. Si è così avviato un
lavoro di discussione e confronto che, a partire da specifiche relazioni presentate dal gruppo di
ricerca, ha condotto alla messa a punto per l’intero gruppo del significato che ciascun concetto
avrebbe assunto nel corso dell’indagine.
Chi sono i disabili “ medio-gravi” e “psichici”
I primi a venir presi in esame sono stati i due concetti chiave inclusi nell’interrogativo che gli
operatori si erano posti e che aveva dato origine alla ricerca stessa: “handicap medio-grave” e
“handicap psichico”.
Accordarsi sul significato di handicap non ha richiesto particolari discussioni, accettando
sostanzialmente tutti la definizione proposta dall’OMS nell’803 e ormai universalmente recepita
anche nella legislazione e nei documenti programmatori della Regione Lombardia 4. Tale
definizione afferma che “...l’handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad una
menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del
ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socio-culturali”. In base a tale
concezione, l’handicap non è essenzialmente uno stato, una condizione della persona, ma è frutto
del rapporto tra, da un lato, l’individuo e le sue caratteristiche, comprese eventuali disabilità, e,
dall’altro, le caratteristiche dell’ambiente in cui vive, per cui una medesima disabilità può
comportare, in contesti diversi, forme di handicap differenti.
Più complesso è stato giungere ad una definizione comune di handicap medio-grave e di handicap
psichico. Dato che l’obiettivo della ricerca era nato dalla percezione della carenza di risposte per
alcuni tipi di disabili, la via scelta per approfondire questi concetti non è stata quella di analizzare le
3
CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DELLE MENOMAZIONI, DELLE DISABILITA’ E DEGLI
SVANTAGGI ESISTENZIALI, Manuale per una classificazione riferita alle conseguenze della malattia, Edizione
Italiana a cura del Centro Lombardo per l’Educazione Sanitaria (C.L.E.S.) con il patrocinio della Regione Lombardia Settore Coordinamento per i Servizi Sociali e dell’Assessorato Servizi Sociali della Provincia di Bergamo, Milano,
1980.
4
Una prima definizione era già stata fornita dalla L.R.n.76 del 7 giugno 1980, “Promozione di servizi sociali a favore di
soggetti handicappati”. Successivamente, il documento programmatorio, “Progetto Obiettivo handicap” allegato al
Piano Regionale Socio-Assistenziale per il triennio 88-90, DCR 23 dicembre 1987, n.IV/871.
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diverse definizioni teoriche che ne venivano fornite, ma piuttosto di approfondire e “ripulire” il
concetto portato dagli operatori, procedendo per approssimazioni successive.5
Il punto nodale era costituito dalla concezione di gravità, da intendersi come recuperabilità /
irrecuperabilità piuttosto che come livello di autonomia funzionale. Optato per quest’ultima
accezione, a conclusione si è inteso per medio-grave un soggetto che “rispetto alle aree utilizzate
per la diagnosi funzionale (autonomie personali, linguaggio, interazione sociale, abilità sociali,
aspetti cognitivi, capacità di attivazione autonoma, comportamenti problematici), (...) non presenta,
in nessuna di tali aree, una compromissione tale da impedire di mettere in atto alcune autonomie
personali e sociali elementari”. Un disabile che in sintesi potrebbe essere definito come “armonico”
nel senso che, pur sussistendo notevoli compromissioni nelle diverse aree, non presenta picchi né in
positivo né in negativo, ma presenta una situazione alquanto omogenea rispetto ai diversi tipi di
capacità.
Le ipotesi formulate rispetto a questo gruppo di disabili riguardavano il peso che per tale tipo di
handicap riveste l’ambiente di vita (metropolitano, agricolo...); il fatto che, seppur inseribili a vari
livelli, lo possano essere solo in condizioni molto particolari e favorevoli, senza potersi mai
sganciare completamente dalla presa in carico di un servizio; il rischio che le famiglie, viste tali
potenzialità, nutrano aspettative eccessive, con conseguenti successive frustrazioni.
Quanto al concetto di handicap psichico, i problemi nascevano soprattutto dalla difformità tra le
definizioni ‘teoriche’ che i servizi psichiatrici e per l’handicap danno delle rispettive utenze e
competenze, e la loro applicazione pratica.
I servizi per l’handicap dovrebbero occuparsi solo di soggetti in cui, alla base dello svantaggio, vi è
una qualche forma di menomazione organica cui ricondurre direttamente o indirettamente anche il
problema di tipo psichico-relazionale. Di fatto vi sono casi in cui non si ha alcuna certezza
dell’esistenza di specifiche menomazioni, ma si è solo in presenza di sintomi interpretabili come
origine o conseguenza di una possibile menomazione. Non è così facilmente distinguibile, ad
esempio, il caso in cui vi sia una menomazione che comporta un ritardo mentale su cui si è in
seguito ‘innestato’ un problema relazionale, da quello in cui il ritardo mentale sia conseguente ad un
originario problema di ordine psicologico. Se a ciò si aggiunge che l’origine organica o meno di
patologie importanti quale l’autismo è tuttora oggetto di ricerca e di dibattito, si vedrà come
l’attribuzione ai servizi per l’handicap o ai servizi psichiatrici di una certa parte dell’utenza non
possa avvenire che in base ad una prassi consolidata.
Ai fini della ricerca si sono quindi definiti come disabili “psichici” quel gruppo di disabili, di fatto
in carico all’area dell’handicap, con problemi di tipo psichico oltre che di ritardo mentale,
5
Le definizioni di “medio-grave” e “psichico” adottate sono perciò specifiche di questa ricerca.
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caratterizzati dall’essere “persone anche (relativamente) capaci intellettivamente, ma che presentano
forti problemi di relazione, molto più forti del ritardo mentale, con una compromissione fisica
relativamente bassa”. Più analiticamente: persone con una certa autonomia di base, con competenze
elementari quali mangiare, bere, vestirsi, con già maggiori difficoltà laddove si tratta di spostarsi,
orientarsi; persone instabili, con alternanza di periodi di tranquillità e di crisi, con scarso controllo
delle emozioni e forti squilibri. All’opposto dei medio-gravi, questi disabili potrebbero essere
chiamati “disarmonici”, nel senso che alcune potenzialità di autonomia e di apprendimento, pur
presenti, vengono contrastate e rese difficilmente sviluppabili dai problemi di ordine psichicorelazionale.
Le famiglie dei disabili
Questo stesso titolo è frutto di una prima, significativa ridefinizione dell’oggetto di ricerca. Il
problema, si è detto, è quello che ruota intorno ai disabili medio-gravi e psichici, ai loro bisogni,
alla loro collocazione.
Le famiglie, certo, non possono essere lasciate da parte. Ma con quale ruolo? Sicuramente come
risorse, a volte anche come elemento di vincolo rispetto all’intervento degli operatori e dei servizi, e
infine come oggetto di attenzione e di intervento. Questa la prospettiva iniziale del gruppo di
lavoro. Ma le famiglie sono anche cruciali soggetti, attori di primo piano dell’attività di “cura”, con
strategie e punti di vista specifici rispetto ai bisogni e alle prospettive di vita sia proprie che del
figlio disabile. Questo più ampio taglio con cui considerare le famiglie dei disabili all’interno
dell’indagine, anzi, di porle al centro della rilevazione, è stato frutto anche del dibattito apertosi tra
le due componenti del gruppo di lavoro, gli operatori e i ricercatori. Questi ultimi erano orientati, in
base a precedenti percorsi di ricerca, a dar spazio e voce alle famiglie, ad ascoltarne i punti di vista,
le richieste, le valutazioni, a conoscerne le condizioni di vita, i vincoli, i progetti. Questa
impostazione, accolta dal gruppo di lavoro nel suo complesso, ha fatto emergere ed esplicitare nel
corso del dibattito linee di tendenza a volte già presenti nella prassi degli operatori, non solo di
comprensione e di aiuto nei confronti delle esigenze e delle condizioni di vita delle famiglie, ma
anche di attenzione e confronto in un rapporto di partnership.
Parlare di famiglie in quest’ottica ha anche significato affrontare la questione delle cure informali: il
“care”, per usare il termine inglese che meglio esprime questa realtà, o “lavoro di cura”, è un tema
relativamente recente soprattutto nel contesto italiano, un concetto complesso in cui si intrecciano
l’aspetto pratico del “fare” e dell’accudire; l’aspetto dell’essere responsabili, del “farsi carico”
complessivamente di una persona, di una situazione; e la dimensione affettiva, parentale o amicale,
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all’interno della quale tale attività si colloca. Toccare il tema della cura significa descriverne e
approfondirne i contenuti, diversi a seconda della specifica realtà di bisogno che viene affrontata, di
accudimento, di cure parasanitarie e riabilitative prestate, di costante opera di custodia quando non
di controllo; significa coglierne la rilevanza, ma anche i costi che investono il caregiver e la sua
famiglia in termini non solo di tempo, fatica, denaro, ma anche di equilibri relazionali complessivi.
Le famiglie sono state quindi poste al centro della rilevazione nel senso che a loro è stata rivolta
un’intervista in profondità in cui da un lato hanno potuto esprimere valutazioni, punti di vista,
aspettative, problemi, dall’altro è stato loro richiesto di descrivere e ricostruire ritmi e attività della
vita quotidiana. Due vie, quella dell’espressione diretta e quella legata alla ricostruzione delle
condizioni di vita, da usare congiuntamente in vista di un’analisi dei bisogni.
Lavoro ed età adulta
Già dall’interrogativo da cui la ricerca era nata era chiaro che il problema per questi gruppi di
disabili emergeva con particolare forza intorno alla fine della scuola dell’obbligo, quando si trattava
di individuare specifiche collocazioni e percorsi, non più in qualche modo assimilabili a quelli
seguiti della c.d. “normalità”: dai quindici, sedici anni in avanti, attraverso la giovinezza e l’età
adulta, i percorsi di questi disabili sembravano agli operatori divenire sempre più problematici. Di
qui la scelta di occuparci dei disabili che avevano completato, o comunque non potevano più
frequentare, la scuola dell’obbligo, per fermarci, come limite massimo, ai disabili di quarant’anni.
E’ stato questo un limite scelto non certo perché, più oltre, non si riteneva vi fossero problemi, ma
perché gli ultraquarantenni erano stati ritenuti più difficilmente contattabili da parte dei servizi, e
con percorsi qualitativamente troppo distanti da quelli degli attuali ventenni per poterli utilmente
analizzare in vista della progettazione di nuove risposte per le attuali generazioni di giovani e adulti.
Ipotizzare risposte, percorsi per giovani ed adulti significa anche porsi il problema delle diverse
componenti che qualificano oggi, nella nostra società, un individuo come adulto, e significa porsi
innanzitutto il problema del ruolo e del significato del “lavoro”.
Nessuno intende qui mettere in discussione l’importanza a livello generale dell’accesso al mercato
del lavoro, che costituisce una delle più difficili sfide che la società oggi si trova di fronte. E’ però
vero che la tradizionale concezione monolitica e rigida del “lavoro”, riferita di fatto ai maschi
adulti, è andata progressivamente articolandosi e differenziandosi in funzione dei diversi soggetti
collettivi rispetto ai quali la questione stessa del lavoro veniva ponendosi. Già negli anni ’70,
affrontando la realtà del lavoro delle donne, erano state messe in luce diverse possibili modalità di
presenza sul mercato in termini di flessibilità, orari, luoghi, timing; e si era inoltre attribuita la
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qualifica di “lavoro” alla produzione di beni e servizi all’interno della famiglia, necessari al
soddisfacimento dei bisogni dei vari membri, al punto che l’identità stessa della donna adulta era
stata definita, in base alla presenza di entrambe tali esperienze, col termine di “doppia presenza”.
L’emergere poi degli anziani della “terza età” come soggetto collettivo ha inoltre rimesso in
discussione il rapporto tra presenza sul mercato del lavoro e integrazione sociale. Da un lato, il
rapporto con il “lavoro per il mercato” da parte di molti anziani passa attraverso forme articolate e
differenziate; dall’altro, molte attività svolte al di fuori del mercato risultano cruciali per il
mantenimento dell’attuale equilibrio tra risorse e bisogni, e potrebbero legittimamente essere
qualificate in termini di “lavoro”, o comunque potrebbero venir riconosciute come utili e necessarie
e come fonti di legittimazione e integrazione; e soprattutto vi è la domanda sempre più estesa di
cittadinanza piena, indipendentemente da come e quanto si è in grado di produrre.
Un concetto quindi di lavoro non rigido e univoco, ma da rivedere e ridefinire in funzione dei
diversi soggetti cui si intende riferirlo. E per i disabili?
La concezione tradizionale (anche se di tradizione giovane si tratta) ha visto nel lavoro la chiave di
accesso non solo alla vita adulta, ma anche a una adeguata integrazione sociale, al punto che l’unico
servizio previsto per i disabili adulti “non gravi” è il servizio per gli inserimenti lavorativi. A partire
dalle riflessioni precedenti e dalle esperienze riportate dagli operatori, il gruppo di lavoro ha scelto
di dare spazio e rilievo nell’ambito della ricerca non solo alle diverse forme di attività lavorative,
ma anche a tutte quelle attività e situazioni rivolte a favorire il processo di socializzazione e
integrazione, allo scopo di verificarne la tenuta nel tempo e il ruolo svolto nei percorsi di vita dei
disabili.
In conclusione, nel processo di messa a punto del disegno di ricerca si sono integrate riflessioni
legate al dibattito su tematiche generali e riflessioni su esperienze, osservazioni, intuizioni nate
dall’esperienza quotidiana degli operatori, che hanno trovato così un luogo in cui assumere spessore
e sistematicità.
Il disegno di ricerca che ne è nato è essenzialmente qualitativo in quanto intende descrivere e
approfondire un numero limitato di storie di vita di disabili e delle loro famiglie. Disabili, come si è
detto, medio-gravi e psichici, giovani e adulti; e, per mantenere una certa omogeneità, disabili dalla
nascita o dai primi anni di vita, e non per trauma o incidente avvenuto dopo un significativo lasso di
vita “normale”.
Per meglio riflettere sulla complessità delle situazioni oggetto di ricerca sono stati raccolti tre
diversi punti di vista per ciascun caso: quello dei genitori, quello degli operatori e quello dei disabili
stessi. E per dare voce e spazio alla diversità e specificità delle esperienze, si scelto di utilizzare
come strumento di rilevazione l’intervista semistrutturata. Sono state approntate quindi le tracce
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d’intervista che verranno in seguito illustrate e allegate al rapporto; interviste che sono state
registrate e trascritte, e infine analizzate.
3. L’UNIVERSO E IL CAMPIONE
La presenza dei ricercatori naturali si è rivelata determinante nella fase di ricostruzione
dell’universo oggetto/soggetto dell’indagine e in quella successiva di costruzione del campione.
Infatti, data la nostra definizione di handicap medio-grave e psichico il passo successivo è stato
quello di ricostruire la realtà dei disabili medio-gravi e psichici nell’area territoriale dell’Azienda
USSL n. 32. Ripercorrendo le diverse fasi di lavoro, si è trattato di:
individuare le possibili fonti utili per una conoscenza e una ricostruzione dell’universo handicap
nelle diverse aree territoriali, attraverso la raccolta di informazioni relative alle ricerche già
effettuate e ai dati raccolti dai servizi, associazioni o altri organismi;
costruire una scheda di segnalazione, attraverso cui raccogliere le informazioni relative
all’insieme dei soggetti ricompresi nell’indagine;
presentare la ricerca e le definizioni di handicap date agli operatori delle possibili fonti;
raccogliere e valutare le segnalazioni pervenute;
codificare le segnalazioni pervenute;
definire i criteri di costruzione del campione;
individuare il campione .
L’universo
Entrando nel merito della ricostruzione dell’universo ci sembra opportuno sottolineare che i servizi
segnalanti sono stati diversi: servizi sociali comunali e distrettuali, CSE, CFP, SIL. Alcune
segnalazioni sono pervenute da più di un servizio, evidenziando una convergenza di valutazione da
parte dei servizi, mentre di converso la molteplicità dei canali informativi può aver determinato una
applicazione non omogenea dei criteri di segnalazione forniti, tant’è che per ovviare a questo
problema alcune situazioni sono state verificate con i segnalanti ed eliminate dall’elenco. E’
possibile, invece, che altre situazioni non siano state segnalate, in particolare può essere stato
sottostimato, proprio per la sua caratteristica di scarso approccio ai servizi, il sottogruppo dei
soggetti a casa senza supporti.
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Molto spesso il segnalante è risultato essere anche la figura che ha mediato la comunicazione fra
intervistatori e famiglia, svolgendo il delicato ruolo di garante della ricerca oltre che di tramite fra
soggetti diversi, fra i quali avrebbero potuto crearsi dei problemi, se l’arrivo degli intervistatori non
fosse stato ben motivato e preparato.
Una riflessione va fatta a posteriori per quanta riguarda i disabili psichici. In questa classe sono stati
inseriti soggetti con livelli di problematicità e di bisogni estremamente eterogenei fra loro. Nella
classe dei medio-gravi si verifica una maggiore omogeneità: probabilmente per gli psichici ha
inciso la carenza di strutture adeguate per i diversi livelli di gravità sia all’interno del territorio che
al di fuori della zona.
Alcune segnalazioni, che non sono state incluse nel nostro universo, hanno riguardato soggetti con
esiti da trauma in età giovanile o adulta, in quanto si è ritenuto che questi non rientrassero nella
definizione di handicap data, esprimendo potenzialità e bisogni fortemente diversi. Inoltre su questi
casi le strutture di riabilitazione intervengono con una lettura del bisogno, formulano delle proposte
di organizzazione di servizi e avviano ricerche per il loro reinserimento lavorativo.
Di seguito riportiamo una sintetica tabella con i dati maggiormente significativi sull’universo,
indicando per le due sottoclassi il totale e la distribuzione tra maschi e femmine, nonché la loro
collocazione attuale.
disabili
medio-gravi
collocazione
totali
maschi
psichici
femmine totali
maschi
femmine
la 2a media
6
5
1
5
2
3
il centro di
formazione professionale
7
6
1
11
al lavoro da meno
di 3 anni
10
7
3
2
2
-
al lavoro da oltre 3 anni
13
1
12
8
1
7
il centro socio-educativo
12
6
6
7
1
6
6
5
12
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altri centri
20
11
9
11
6
5
a casa con supporti
11
7
4
3
1
2
9
6
3
11
5
6
88
49
39
58
24
34
a casa senza supporti
Totale
Come si può rilevare dalla tabella l’universo è composto da 146 persone, il sottogruppo
maggiormente numeroso è costituito dai “medio-gravi”, formato da 88 persone, rispetto a quello
degli psichici costituito da 58 persone ; rispetto al sesso le femmine sono maggiormente numerose
nei “medio-gravi”, i maschi negli “psichici”.
Gli psichici nella maggior parte hanno un’età compresa tra i 15 e i 25 anni, mentre i medio gravi
sono distribuiti nelle diverse fasce d’età.
Solo due persone vivono da sole, tre sono inserite in strutture comunitarie o riabilitative, tutte le
altre vivono in famiglia, che in maggioranza dispongono di risorse economiche ritenute adeguate.
Il campione
Se all’inizio del paragrafo abbiamo ricostruito la scansione temporale e operazionale di questa fase
di lavoro, ci sembra utile precisare quali siano stati i criteri di costruzione del campione.
La scelta è stata quella di costruire un campione per dimensione per metà di “medio- gravi” e per
metà di “psichici”, così come definiti dal gruppo di lavoro, tenendo conto della loro collocazione ,
oltre che del sesso e dell’età.
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Disabili
medio-gravi
collocazione
totali femmine
psichici
maschi
totali femmine maschi
la 2a media
2
2
-
2
-
2
il centro di
formazione professionale
2
2
-
2
-
2
al lavoro da meno di 3 anni
2
1
1
1
1
-
al lavoro da oltre 3 anni
2
-
2
2
-
2
il centro socio-educativo
2
2
-
2
-
2
altri centri
2
1
1
2
1
1
a casa con supporti
2
2
-
1
-
1
a casa senza supporti
2
1
1
2
-
2
Totale
16
11
5
14
2
12
4. LE INTERVISTE
Come si è già detto nella parte riguardante il campione, sono stati 30 i soggetti complessivamente
presi in esame.
Di questi 30 nuclei familiari, 23 si sono resi disponibili ad essere intervistati mentre per gli altri 7
sono state utilizzate alcune famiglie previste come riserva.
E’ stata la stessa figura del tramite a comunicarci la non disponibilità all’intervista da parte di
queste 7 famiglie e conseguentemente il ricorso alle riserve.
Per quanto riguarda le interviste agli operatori va precisato che su 30, un solo operatore non ha dato
la propria disponibilità.
Per i disabili la situazione si è presentata nel modo seguente:
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24 soggetti sono stati intervistati mentre per 6 (sui complessivi 30), l’operatore che segue il disabile
ha ritenuto non opportuna l’intervista.
Comunicato il progetto alle 30 famiglie e richiesta la collaborazione mediante il tramite, gli
intervistatori hanno proceduto nel contattare telefonicamente le famiglie e quasi tutte - tranne 3 sono state intervistate nella loro abitazione. Questo ha permesso la compilazione della scheda
relativa all’abitazione che, come si può vedere in allegato, vuole raccogliere qualche informazione
sull’unità abitativa.6
Le diverse fasi della rilevazione sul campo hanno avuto luogo nel periodo dal marzo 1996 al giugno
dello stesso anno.
Come è già stato detto, l’ampiezza e l’articolazione del progetto di ricerca ha suggerito
l’opportunità/necessità di individuare più di una fonte di informazione, sia perché una sola di queste
non sembrava essere esaustiva, sia per poter raccogliere, sui temi più rilevanti, i punti di vista dei
principali soggetti interessati.
Sono stati a tal fine approntati 3 strumenti di rilevazione, strutturati in base al potenziale
informativo stimato, alle caratteristiche dell’intervistato e, nel caso dei soggetti medio-gravi e
psichici, tenendo appunto conto della disabilità. Per la rilevazione sono quindi state previste per
ciascun soggetto esaminato:
- l’intervista alla famiglia, in particolare al caregiver principale
- l’intervista all’operatore di riferimento
- l’intervista al disabile, quando questa è stata possibile.
A rilevazione ultimata, 30 sono state le famiglie realmente intervistate, 29 gli operatori di
riferimento e 24 disabili.
L’intervista alla famiglia
La traccia di intervista alla famiglia è stata quella più articolata e complessa e pertanto anche la più
lunga nella gestione; i tempi variavano da un minimo di 45 minuti ad un massimo di due ore circa,
soprattutto in quei casi dove l’intervista si configurava come intervista/sfogo. E’ sempre stata
registrata, non avendo mai problemi a tale riguardo salvo in qualche caso, dove, per alcune
affermazioni è stato chiesto che il registratore venisse spento. L’intervista alle famiglie ha toccato le
seguenti aree tematiche che qui riportiamo per sommi capi:
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Le tracce usate per l’intervista alla famiglia, all’operatore e al disabile, possono essere esaminate
nel dettaglio nell’Allegato 1. Così come le schede compilate per la composizione familiare,
l’abitazione e la scheda relativa all’intervista (tempi, modalità, eventuali note etc.)
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- caratteristiche socio-anagrafiche (composizione, provenienza, abitabilità in zona della
famiglia);
- storia della disabilità (dalla formulazione della diagnosi iniziale via via lungo il percorso
sanitario/riabilitativo, formativo e lavorativo). Nella ricostruzione del percorso clinico si è
cercato, per quanto è stato possibile, di far emergere l’eventuale ruolo dei servizi e
soprattutto il rapporto/vissuto della famiglia con tali offerte;
- la cura e la vita quotidiana oggi, che mirava a cogliere gli aspetti che qualificano la
famiglia come risorsa e come lavoro di cura (chi si prende cura del disabile, familiari,
parenti, amici, vicini, associazioni);
- la giornata del caregiver e il fine settimana;
- la giornata del disabile e il fine settimana;
- la socializzazione, intesa sia come luoghi frequentati, come sport praticati od altre attività
svolte, sia come affettività/sessualità, amicizie, rapporti con l’altro sesso etc.;
- le vacanze, intese sia come vacanze della famiglia sia del disabile;
- il futuro, inteso come problemi che pone il futuro del disabile soprattutto per quei nuclei
familiari la cui età dei componenti rende più vicino e quindi più impegnativo ”il domani”,
anche dal punto di vista di eventuali sostegni in termini di servizi;
- l’uso e la valutazione dei servizi (servizi usati al presente e valutazione sugli stessi,
eventuali proposte circa i supporti che ancora non esistono od eventuali correttivi da
apportare ai servizi già esistenti).
Complessivamente le interviste alle famiglie sono andate molto bene, ricco ed articolato il materiale
informativo raccolto, salvo due casi dove l’intervista si è esaurita in breve tempo e poco è stato
ricavato per lo scarso interesse dimostrato dai componenti al progetto di ricerca. Alle volte, come è
stato già detto precedentemente, si è trattato di un’intervista/sfogo e non sono mancate situazioni
dove alcuni caregivers hanno ringraziato calorosamente l’intervistatore di aver offerto loro
l’opportunità di raccontare la loro vita in rapporto alla disabilità del proprio figlio.
L’intervista all’operatore
Se l’intervista alla famiglia ha quindi comportato tempi lunghi, è stata spesso impegnativa sia nel
primo contatto sia nella gestione successiva, non altrettanto si può dire dell’intervista all’operatore
che, così come si può vedere in allegato, risulta sicuramente “più leggera”. Ha comportato tempi più
brevi, mediamente entro l’ora, un solo operatore si è dilungato per circa due ore su un caso
particolarmente problematico.
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Dopo aver chiesto il nome, la qualifica ed il servizio di appartenenza, notizie queste relative
all’operatore stesso, si è entrati nel merito del disabile, indagando rispetto alla storia, ai livelli di
autonomia raggiunti al presente e soprattutto alle potenzialità future. Si è poi chiesto il tipo di
progetto di intervento (educativo, lavorativo, abitativo, assistenziale), i tempi ed i vincoli alla
realizzazione dello stesso.
Rispetto al servizio dove è inserito il disabile, si è chiesto all’operatore una valutazione circa
l’idoneità o meno di questa collocazione e se, a suo giudizio, il disabile avrebbe bisogno di altri
interventi.
Infine si è indagato rispetto ai rapporti con i familiari, sia in termini quantitativi (la frequenza), sia
in termini qualitativi e soprattutto come l’operatore vede la famiglia in generale dal punto di vista
delle potenziali risorse a cui può accedere - parenti, amici, associazionismo etc. piuttosto che ai
bisogni ancora insoddisfatti.
I risultati delle interviste agli operatori, pur essendo in tutti i 29 casi soddisfacenti, si presentano più
ricchi nelle situazioni seguite da lungo tempo da un solo operatore e dove il ruolo di quest’ultimo,
nelle rete complessiva dei supporti, risulta essere significativo. Va inoltre segnalato che alcuni di
questi operatori partecipavano al progetto di formazione/ricerca e pertanto sono risultati più
preparati e motivati al disegno complessivo.
L’intervista al disabile
Come abbiamo già detto precedentemente, le interviste realmente fattibili ai disabili sono state 24 e
la non opportunità per gli altri 6 è stata formulata dall’operatore che segue direttamente il caso. I
soggetti scelti, dopo essere stati contattati dall’operatore di riferimento, sono stati intervistati presso
il Centro frequentato, solo in pochi casi presso l’abitazione.
Rispetto all’intervistatore si è scelto chi, per competenza e dimestichezza rispetto ai problemi della
disabilità, potesse meglio entrare in rapporto con i nostri soggetti e metterli a proprio agio durante
l’intervista. Anche le domande previste, come si può vedere nella traccia in allegato, sono state
formulate per facilitare il rapporto con i disabili e soprattutto per non caricarli di inutili ansie
rispetto ad alcune risposte da fornire.
Domande facili, “leggere”, e tutte volte al presente del tipo: “Come ti chiami, quanti anni hai, cosa
fai di solito?”. Si sono chieste valutazioni sul centro, scuola o lavoro frequentato, la vita familiare
come si svolge così come quella amicale, gli altri ambiti di socializzazione, i vicini, l’eventuale
fidanzata/o, gli sports. Si chiedeva di descrivere la giornata (“Cosa hai fatto ieri, da quando ti sei
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alzato fino a sera”), piuttosto che descrivere il fine settimana precedente. E infine la descrizione
delle vacanze.
Anche la rilevazione ai disabili è stata positiva ed i soggetti hanno risposto con interesse e
partecipazione. Hanno spesso manifestato soddisfazione per essere stati consultati direttamente,
hanno fornito un’enorme quantità di informazioni. Ci sono state alle volte ripetizioni o anche
affermazioni poco credibili, ma complessivamente riteniamo attendibili le informazioni fornite.
5. I RISULTATI DELLA RILEVAZIONE
Le informazioni che sono emerse dalle interviste sopra descritte sono state lette e codificate dal
gruppo di ricerca allargato ad alcuni responsabili dell’area handicap che si erano dichiarati
disponibili a seguire fino in fondo il percorso di ricerca. Se questo è stato garanzia di ricchezza di
contenuti proprio per i diversi ruoli e la diversa formazione dei componenti il gruppo, d’altro canto
ha comportato tempi più lunghi per il confronto tra i diversi approcci e la loro unificazione in un
linguaggio comune . I contenuti dei diversi capitoli che seguono sono pertanto stati confrontati e
sono sempre stati oggetto di dibattito all’interno del gruppo, anche se poi la stesura concreta è stata
affidata a ciascun componente.
La lettura delle diverse parti ed il dibattito che ne è seguito ha permesso di articolare ed organizzare
i seguenti capitoli.
Il primo capitolo riguarda il disabile visto innanzi tutto nella sua collocazione attuale con
attenzione anche all’operatore di riferimento. Sono poi state esaminate le autonomie, l’uso del
tempo all’interno della giornata normale e durante il fine settimana ed infine l’area della
socializzazione, indagando rispetto alle amicizie e alla sessualità.
Il secondo capitolo è dedicato alla famiglia, che nella nostra ricerca ha rappresentato un punto
fondamentale. Inizia delineando quella che abbiamo definito la cultura familiare, per passare al
gruppo di cura che si struttura attorno alla disabilità e quindi agli aspetti più concreti legati
all’organizzazione della giornata del caregiver, alla vita relazionale della famiglia per concludere
con i costi, intesi non solo come costi economici, ma anche relazionali ed emotivi.
Il terzo capitolo è dedicato ai percorsi intesi come rielaborazione dei racconti sulla “storia”
dell’handicap. Questi racconti sono stati raggruppati attraverso le variabili del tipo di disabilità medio/gravi e psichici - e della linearità/discontinuità dei percorsi e dell’appartenenza, per
quanto
attiene
alla
politica
dei
servizi
per
l’handicap,
alla
fase
della
separazione/specializzazione piuttosto che a quella della integrazione sociale.
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La rete dei servizi utilizzati dalle famiglie occupa il quarto capitolo. Nella prima parte viene
ricostruita la rete dei servizi utilizzati dalle famiglie nella loro ricerca di soluzioni ai problemi dei
loro figli. Ne emerge un panorama ricco ed articolato che viene sintetizzato in una tavola alla
fine del paragrafo. Nella seconda parte dello stesso capitolo viene esaminato il rapporto tra
famiglia e servizi attraverso gli indicatori della soddisfazione/insoddisfazione e del livello di
collaborazione e grado di iniziativa espressi dalle famiglie.
Infine il quinto ed ultimo capitolo, dedicato ai bisogni, riprende e analizza nel primo paragrafo
le esigenze dei disabili che sono spesso verbalizzate più dalla famiglia o dall’operatore che non
da loro stessi. Nel secondo paragrafo vengono invece sottolineati i bisogni delle famiglie. Infine
viene affrontata la questione del “futuro” che provoca, soprattutto nelle coorti più anziane,
incertezza e preoccupazione.
Nelle conclusioni vengono riepilogati i principali problemi emersi nei capitoli precedenti,
mettendo a fuoco eventuali indicazioni utili al programmatore locale, sottolineando in particolare
i bisogni espressi dalle famiglie e formulando possibili soluzioni.
Infine, due allegati: il primo contiene le tracce d’intervista utilizzate nel corso dell’indagine, il
secondo, con funzioni di supporto e documentazione per la comprensione dei diversi servizi
presenti sul territorio, riproduce l’opuscolo “....e dopo la III media? Informazioni sui servizi
scolastici e socio-educativi per allievi disabili dopo la scuola dell’obbligo” che veniva distribuito
alle scuole medie dell’USSL.
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TRACCE DELLE INTERVISTE
TRACCIA FAMIGLIE
LA FAMIGLIA
Mi può dire per favore come è composta la sua famiglia?
La sua famiglia che origini ha? Ha parenti in questa zona? Da quanti anni siete qui?
LA STORIA
Cominciamo dall’inizio.
Come ha saputo che suo figlio/a aveva questo problema, questo handicap?
E poi cosa è successo?
(farsi raccontare:
*primi anni di vita
*scuola obbligo/ scuola speciale
|
| rispetto a:
| - ricerca informazioni / avute da chi
| - quali aiuti ha cercato/trovato (parenti,
| amici, assoc.)
| - quali servizi sociali, sanitari, educativi
| in particolare: accesso riabilitazione /
| sostegno a scuola...
E dopo la scuola (dell’obbligo, speciale) che cosa è successo?
(accesso a servizi: CFPH, CSE, altro...; lavoro...; comunità...; famiglia....)
C’era stato qualcuno che vi aveva aiutato a trovare una soluzione?
C’era stato un momento di contatto con il servizio di orientamento?
Che consigli vi avevano dato?
LA CURA E LA VITA QUOTIDIANA OGGI
Oggi, chi si occupa principalmente di.......?
Chi altro interviene, dà una mano? (familiari, parenti, amici, vicini, associazioni)
Nel caso lei abbia un impegno, un impedimento (es. una visita medica, una malattia), chi la può
sostituire?
Mi potrebbe ora descrivere come passa la giornata suo figlio (ad esempio ieri)?
E come si svolge, invece, una sua giornata?
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E il sabato, la domenica, come la passate?
(cosa fa suo figlio, cosa fa lei, gli altri membri della famiglia)
Oltre a quanto mi ha già detto, in che cosa ha bisogno suo figlio di essere aiutato?
(es:
per vestirsi: bisogna preparargli gli abiti...
per lavarsi: bisogna dirglielo, stargli dietro...
la colazione: se la prepara da solo o .....
esce da solo......... usa mezzi pubblici da solo........
va a fare delle spese, conosce i soldi, ha dei soldi suoi)
(se non è emerso dal racconto della giornata):
Suo figlio pratica dello sport?
C’è qualche luogo particolare che frequenta? (es. oratorio, bar, salagiochi, centri
di aggregazione...)
AFFETTIVITÀ, SESSUALITÀ
Ha comunque degli amici, delle persone con cui si vede? Con chi si trova?
Tra gli amici, le persone che frequenta, c’è qualche ragazza / ragazzo per cui ha una particolare
simpatia?
Ne parla in casa?
(se no): Mostra comunque interesse per i ragazzi, le ragazze?
Lei ha timore che possa essere oggetto di eccessive attenzioni da parte dei ragazzi/degli uomini?
Lei cosa ne pensa?
LE VACANZE - GLI STACCHI - GLI AMICI - L’ASSOCIAZIONISMO
Voi abitualmente andate in vacanza?
In quali periodi? Dove andate di solito, con chi?
Capita che suo figlio vada via senza di voi?
Riuscite qualche volta ad andarvene per vostro conto?
A lei ( e a suo marito), capita di uscire per conto vostro, di trovarvi con amici ?
(non so, a mangiare insieme, per andare al cinema, a fare una gita..........)
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Avete occasione di partecipare a qualche riunione (della scuola, della parrocchia, ecc.) ?
Fate parte di qualche gruppo, di qualche associazione?
Vi sono dei momenti di ritrovo, di incontro......
(se fanno parte di un’associazione legata all’handicap):
Cosa comporta far parte di questa associazione?
(in termini di tempo, energie, ma anche di sostegno, aiuti, amicizia....)
FUTURO
Si parla molto del futuro di questi ragazzi, di quanto sono dipendenti dalle loro famiglie, ma anche
di come renderli almeno parzialmente autonomi (anche per quando i genitori non saranno in grado
di curarli).
Come vede questo problema?
Ci sono dei sostegni, dei servizi che lei riterrebbe utili?
E sotto il profilo dell’autonomia economica, ci avete pensato?
USO E VALUTAZIONE DEI SERVIZI
Passiamo ad un altro argomento.
Per quanto riguarda la salute, suo figlio che servizi utilizza? Come si trova complessivamente?
C’è qualcuno che lo segue in particolare sotto questo profilo?
Sta facendo delle cure particolari, della riabilitazione?
Lei mi ha detto che suo figlio...... (sintetizzare quanto emerso sull’uso dei servizi sociali ed
educativi)
Ci sono altri centri, altri servizi che suo figlio frequenta, utilizza?
(se non frequenta nulla e non è già emerso):
Il fatto che non frequenta alcun servizio è legato ad una scelta o a difficoltà
incontrate?
Tutti sappiamo che questo è un momento difficile per la sanità e per i servizi sociali.
Ha dei suggerimenti, delle proposte a proposito dei servizi che ha utilizzato ( o che vorrebbe
utilizzare), o anche più in genere?
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TRACCIA DISABILE
Come ti chiami?
Quanti anni hai?
Cosa fai di solito?
(vai a scuola, al lavoro, al CFPH, al CSE, stai in casa...)
(Se va a scuola, al lavoro, al CFPH, al CSE...):
Come ci vai? con il pulmino? accompagnato (da chi, come, es: in macchina con il papà),
da solo (a piedi, con l’autobus)?
Cosa fai a....
Frequenti attività particolari, magari come tirocinio? (vai in cooperativa..., quante volte
alla settimana)
Al lavoro, CFPH, CSE ....ci vai volentieri? Ti trovi bene? Hai degli amici?
C’è un educatore/operatore/insegnante/prof. con cui passi più tempo?
Vai al CPS? Per fare cosa (visita, prendere le medicine, gioco, gruppo, ecc)?
Con chi ci vai?
Quando sei a casa, cosa fai ?
Alla mattina, ti lavi e ti vesti da solo? (se no, chi ti aiuta) Chi sceglie i vestiti da
mettere?
Aiuti in casa? Fai piccoli lavori? Apparecchi? Cucini ? Sai accendere il gas?
Fai la spesa? Vai a comperare il pane, il latte, il giornale...?
Ti danno mai dei soldi? Quando vai nei negozi, paghi tu? Come fai? (farsi descrivere
nel dettaglio la transazione)
Esci da solo? Dove vai ? (bar, mercato, giardinetto, oratorio, CAG, ecc...)
Quando sei a casa, come passi il tempo?
Ascolti la musica?
Guardi la TV? Cosa guardi, quali sono i tuoi programmi preferiti? chi sceglie cosa
guardare? La guardi da solo o con i tuoi?
Cosa leggi, come? (guardi le figure.... leggi... sfogli...)
In quale stanza stai di più? (cucina, soggiorno, una tua stanza...)
Quale stanza ti piace di più?
Con quale dei tuoi familiari passi più tempo?
Con chi esci?
Con chi giochi?
Con chi chiacchieri? E più volentieri?
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Conosci i tuoi vicini?
Cosa fate? Parlate? Giocate, per es. a carte?
Ti vengono a trovare a casa?
Ti accompagnano? Dove? (al cinema, all'oratorio, al centro sociale, al CAG)
Chi sono i tuoi amici? (compagni di scuola, di CSE, volontari, ecc)
Quando vi vedete?
Cosa fai con loro (giardinetti, oratorio, gite, CAG, centro sociale, sport)
Hai la ragazza, ragazzo? Chi è? Come si chiama?
Ci esci, la vedi....?
Prova a raccontare quello che hai fatto ieri (da quando ti sei alzato...)
Cosa ti è piaciuto di più? Di meno? Cosa ti piacerebbe fare di diverso?
Cosa hai fatto sabato scorso? e domenica scorsa?
Quest’estate sei stato in vacanza? Con chi? Dove? Ti sei divertito?
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TRACCIA OPERATORI
Mi può presentare il caso di......., per quanto a sua conoscenza.
Per prima cosa, la storia di questo caso....
Che livello di autonomia ha oggi.... Che potenzialità, che problemi...
E’ stato messo a punto un progetto d’intervento nei suoi confronti, di che tipo? (educativo,
lavorativo, abitativo, assistenziale...)
Che tempi sono previsti? Ci sono vincoli, ostacoli alla sua realizzazione?
Secondo lei, oggi nel servizio in cui si trova (o rispetto al progetto educativo formulato; o nella
situazione in cui si trova) è al “posto giusto” o no?
In che senso? Avrebbe bisogno di altri
interventi?
Lei, che rapporti ha/ha avuto con i familiari (frequenti, rari, nessuno..) ?
Dal suo punto di vista, come vede questa famiglia...............
Secondo lei, a quali risorse parentali, sociali, amicali, associative può o potrebbe ricorrere questa
famiglia?
Sempre secondo lei, questa famiglia avrebbe bisogno di un aiuto? Di che tipo?
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RICERCA DISABILITA’
IDENTIKIT FAMIGLIA
Caso n._____
1 – Il disabile
sesso - età – disabilità – situazione attuale handicap
se intervistato o no
2 – Soluzione attuale
3 – La famiglia
comune di residenza – eventuali spostamenti
padre:
età – luogo di nascita – da quanto risiede nel comune – istruzione – occupazione
madre
idem
figli: per ciascuno:
nome
età – luogo nascita – scuola frequentata/occupazione – situazione attuale
parenti:
relaz parentela - dove abitano – rapporti con la famiglia
4 – Abitazione
5 – Condizioni economiche
occupazione padre
occupazione / percorso lavorativo / abbandono lavoro madre
riferimenti a costi (es.: delle terapie) – a difficoltà economiche
6 Altri problemi
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Ricerca disabilita - presentazione e