Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque é morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì é nata la nostra costituzione.» P. Calamandrei “Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza” Questo opuscolo è stato redatto per il corso di “Cittadinanza e Costituzione” dai docenti Livia Dumontet. Lucia Prencipe. , Anna Schettino Iniziamo dalla Storia Antica … Nella Grecia antica intorno all‟ VIII secolo nasce la POLIS. Le poleis erano piccole comunità rette da governi autonomi: tanti piccoli stati indipendenti l'uno dall'altro. La conformazione geografica del territorio greco, prevalentemente montuoso, impediva facili scambi tra le diverse città e ciò favorisce il carattere autonomo delle poleis. La polis era il vero e proprio centro politico, economico e militare del mondo greco. Ogni polis era organizzata autonomamente, secondo le proprie leggi e le proprie tradizioni. La polis fu un modello di struttura tipicamente e solamente greca che prevedeva l'attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. In contrapposizione alle altre città-stato antiche, la caratteristica della polis non era tanto la forma di governo democratica od oligarchica, ma l'isonomia. (dal greco isos: uguale e nomos: legge rappresenta il concetto di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Tutti sono soggetti alla stessa legge; la rotazione e il sorteggio nella partecipazione alle cariche politiche stanno ad indicare che tutti hanno le stesse possibilità, e così trovano il loro senso nella partecipazione alla comunità. LA NASCITA DELLO STATO MODERNO L‟organizzazione politica chiamata "Stato moderno" si è sviluppata fra il 1400 e il 1600 in Europa. Attualmente è il tipo di organizzazione politica più diffuso nel mondo: ci siamo talmente abituati a essa che molti, sbagliando, credono sia sempre esistita. Al contrario, tra l‟epoca antica e quella moderna c‟è stato il Medioevo, periodo in cui l‟organizzazione degli Stati era di tipo feudale. Durante il feudalesimo sul territorio esistevano varie forme di potere organizzato: feudi, città, domini ecclesiastici. Spesso perciò si aveva sullo stesso territorio e sulle stesse persone la sovrapposizione e la concorrenza fra più poteri: il potere politico dei laici doveva fare i conti con quello della Chiesa; il potere economico dei nobili feudatari doveva fare i conti con quello dei vescovi e dell'imperatore. Rispetto a questa situazione, lo Stato moderno diventa l'unica organizzazione che accentra ed esercita il potere: prende decisioni impone regole e comportamenti che fa eseguire anche attraverso l‟uso legittimo della forza (polizia, esercito). Perché vi sia Stato in senso moderno debbono esserci: un'unica organizzazione politica che stabilisca le regole per la convivenza e le faccia osservare utilizzando eventualmente anche la forza; un popolo che abiti stabilmente su un territorio e sia sottoposto solo a questo potere. Nel nostro, come in molti altri Stati, questa organizzazione è una persona giuridica, quindi è un soggetto di diritti e doveri. LA PREMESSA DELLA NASCITA DELLO STATO ITALIANO: I MOTI RISORGIMENTALI In seguito ai moti risorgimentali (1821-1848) promossi dalle classi borghesi, cui talora partecipò anche l'aristocrazia, nelle principali città del Regno di Sardegna, Carlo Alberto prese una serie di provvedimenti di stampo liberale: nel 1837 emanò il Codice Civile nel 1839 il Codice Penale nel 1847 riformò la disciplina della censura permettendo la pubblicazione di giornali politici creò una Corte di Revisione (Cassazione) per assicurare una certa uniformità della giurisdizione nello Stato Aggiornò anche la composizione del Consiglio di Stato. Con i moti del 1820 inizia in Italia un lungo periodo di moti rivoluzionari che va sotto il nome di Risorgimento alla fine del quale il paese avrà la sua identità nazionale e si inserirà nel più ampio contesto politico europeo. Il fermento rivoluzionario in Italia ha inizio nel Regno delle due Sicilie, dove viene chiesta al re Ferdinando I la concessione di una Costituzione. Ferdinando I concede la Costituzione, ma in seguito invoca l„aiuto militare dell'Austria. Nel marzo 1821 un esercito austriaco invade il regno di Napoli e rovescia il governo costituzionale. Nel marzo 1821 insorge il Piemonte. Viene concessa una Costituzione. Vittorio Emanuele I abdica. Il successore è Carlo Felice, uomo particolarmente reazionario, in quel momento assente da Torino. Viene quindi nominato reggente il principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano. Carlo Alberto concede lo Statuto, ma ne condiziona l‟entrata in vigore dopo la firma del re. Al suo rientro Carlo Felice sconfessa l'operato di Carlo Alberto e restaura il regime assolutista. Nel 1830 scoppiano nuovi moti, questa volta di carattere liberale. I moti del 1848 in Italia coincidono con la Prima guerra di Indipendenza. Il re piemontese, Carlo Alberto, dopo le incertezze del 1821, si dichiarava adesso più vicino alle idee liberali e sembrava volersi impegnare per l'Italia. Dopo i primi avvenimenti tutti i sovrani italiani concessero le Costituzioni. La Costituzione piemontese fu detta Statuto Albertino e divenne la legge fondamentale del futuro Regno d'Italia. Queste costituzioni erano state concesse dai sovrani e non votate dai cittadini, ma, in quel momento, costituirono un deciso passo in avanti. Tra il 1848 e il 1849 si combatte la I guerra di Indipendenza. Questa fallisce e si firma un armistizio con l‟Austria. Vittorio Emanuele II succede a Carlo Alberto e mantiene in vigore lo Statuto albertino. Nel 1859 scoppia la II guerra di Indipendenza. La guerra viene guidata dal Piemonte con l‟aiuto della Francia. Negli Stati italiani vennero votati dei plebisciti per l' annessione al Regno di Sardegna. L'Italia centrale approvò con il 97% di sì l'annessione al Regno di Sardegna. Per conquistare l‟Italia meridionale fu organizzata la spedizione dei mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. I Mille sbarcarono a Marsala e in pochi giorni occuparono Palermo. In seguito le truppe garibaldine sbarcarono in Calabria. Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò a Napoli. L'esercito piemontese, evitando Roma, si impadronì delle Marche e dell‟Umbria. Il 26 settembre 1860 Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrarono presso Teano (Caserta) dove Garibaldi salutò il sovrano come re d'Italia, e gli offrì tutti i territori liberati. Il nuovo Parlamento italiano si riunì per la prima volta a Torino il 17 marzo 1861. Fu proclamato il Regno d'Italia, con capitale Torino. Lo Statuto albertino venne esteso a tutta l'Italia. Lo Statuto era diviso in due parti: nella prima gli articoli più importanti sancivano l'autorità della monarchia e della figura del re riaffermando l'importanza della religione cattolica, considerata l'unica religione ufficiale dello Stato. Nella seconda parte altri articoli riportavano tutte le garanzie: diritti e libertà già sancite dalle costituzioni francese, inglese e americana. IL NUOVO STATO Che tipo di Stato era? Ecco alcune caratteristiche generali: Economia: quasi esclusivamente agricola, di tipo tradizionale e poco produttiva. Sviluppo industriale: appena agli inizi e limitato ad alcune regioni settentrionali. Rete ferroviaria: quasi inesistente. Debito pubblico: molto elevato, conseguenza delle spese sostenute per le guerre di indipendenza. La Costituzione del nuovo Stato si chiamava Statuto Albertino ed era un'eredità del Regno di Sardegna. In esso era prevista una posizione centrale per il Re rispetto agli altri organi costituzionali. Nel corso dei decenni successivi, tuttavia, il potere del sovrano venne notevolmente ridotto a favore del Parlamento senza che fosse necessario modificare lo Statuto (data la sua flessibilità). Il Governo, anche se continuò a essere nominato dal Re, poté governare solo con la fiducia del Parlamento. La Camera dei Deputati elettiva divenne sempre più importante rispetto al Senato di nomina regia. Contemporaneamente la società italiana cambiò: si formarono i primi sindacati e i partiti politici, e progressivamente fu ampliato il diritto di voto. I primi anni del nuovo Regno sono caratterizzati da un‟alternanza al potere di governi appartenenti alla Destra e alla Sinistra storica. La loro azione politica si differenziava più nelle modalità che nei contenuti di programma: i primi portavano avanti una politica moderata, mentre i secondi erano più radicali. Con il nuovo secolo la politica italiana è caratterizzata dall‟Età giolittiana. L‟Italia vive una fase di sviluppo industriale di progresso economico. La società italiana, come quelle degli altri stati europei, sta diventando rapidamente una società di massa. Nascono i primi partiti politici di massa, organizzazioni che nascono ed operano con l'intento di rappresentare ampie fasce della società e di collegarle con le istituzioni. Pertanto, si propongono di farsi concretamente portatori della volontà, degli interessi e delle prospettive di una classe sociale o comunque di quote significative della popolazione, per la quale cercheranno di soddisfare le necessità all'interno delle istituzioni. (*1) Nel 1912 viene varata la legge sul suffragio universale maschile. Nel 1913 si svolgono le elezioni a suffragio universale maschile. Giolitti si dimette nel 1914. Nel 1914 in Europa scoppia la I guerra mondiale alla quale partecipa, dal 1915, anche l‟Italia. Il dopoguerra, nonostante la vittoria, è caratterizzato da un diffuso malcontento che porta in pochi anni all‟avvento del fascismo. L’ITALIA FASCISTA Il Fascismo è un movimento politico autoritario sviluppatosi in Italia e in altri paesi europei a partire dal 1919. Rappresentò la reazione ai profondi mutamenti politici e sociali dovuti alla Prima Guerra Mondiale e al diffondersi delle dottrine socialiste. Il Fascismo avrebbe protetto l‟Italia e la monarchia dal comunismo. Benito Mussolini fondò il movimento “Fasci di combattimento” da cui nacque il partito fascista. Nel 1925 Mussolini emanò le Leggi “Fascistissime” con le quali vennero messi al bando tutti i partiti tranne quello Fascista. La Camera dei Deputati venne sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni che rimarrà fino al 1943. Mussolini creò attorno alla sua persona e al suo programma politico il consenso, cioè l‟approvazione degli italiani, sia eliminando ogni forma di opposizione, sia controllando la cultura e l‟informazione. Dal 1926 in Italia l‟opposizione al Fascismo diventa un delitto contro lo Stato. L‟Italia era diventata un paese a regime dittatoriale. Il 1° settembre 1939 scoppia la SECONDA GUERRA MONDIALE. L‟Italia entra in guerra il 10 giugno 1940 al fianco della Germania. Nel luglio 1943 gli alleati, cioè le forze anglo – americane, sbarcano in Sicilia, accolti dalla popolazione come dei liberatori. Mussolini viene messo in minoranza e il maresciallo Pietro Badoglio diventa capo del governo, mentre il duce è arrestato. Il 3 settembre 1943 Badoglio firma l‟armistizio con gli alleati che viene reso noto l’8 settembre 1943. L‟Italia non è più alleata della Germania e i tedeschi assumono il controllo militare nel Nord della penisola. Il re fuggì a Brindisi e gli italiani si trovarono in una condizione drammatica: divisi in due, senza patria, senza guide, occupati da eserciti stranieri: gli anglo-americani a Sud, i tedeschi a Nord. L‟idea stessa di Patria sembrava crollare… ma gruppi di uomini diedero vita alla Resistenza. Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu organizzato in brigate e divisioni dal Comitato di liberazione nazionale (CLN). Nella primavera del 1944 si costituì il primo governo di unità nazionale che comprendeva il CNL e i partiti antifascisti. Durante la primavera del 1945 vennero liberate molte città dell‟Italia settentrionale. Il 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia emanò da Milano un proclama con cui assumeva tutti i poteri civili e militari nelle regioni liberate. La guerra era finita e l’Italia era libera. L’ITALIA REPUBBLICANA I partiti animatori della Resistenza avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra. L'Assemblea costituente, eletta nel 1946 contestualmente allo svolgimento del referendum istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN che, in tale veste, elaborarono la Costituzione della Repubblica Italiana, ispirata ai principi della democrazia e dell'antifascismo. Il 2 giugno 1946 in Italia si svolse un referendum istituzionale indetto per determinare la forma dello Stato dopo la fine del fascismo e della II guerra mondiale. Per la prima volta in Italia votarono anche le donne. Il risultato del referendum vide la vittoria della Repubblica che fu proclamata ufficialmente il 18 giugno 1946. Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello stato, i cittadini italiani elessero anche i componenti dell‟Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova Carta Costituzionale e che fino all'elezione del primo Parlamento della Repubblica svolse anche le funzioni di assemblea legislativa. L‟ Assemblea Costituente sotto la presidenza di Giuseppe Saragat iniziò ufficialmente i lavori il 25 giugno 1946, il primo Presidente della Repubblica fu Enrico De Nicola, la nuova Costituzione repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio 1948. la Costituzione dava vita ad un sistema di tipo parlamentare, il governo era responsabile davanti alla Camera dei deputati e al Senato. Le due camere erano elette a suffragio universale e avevano il potere legislativo. Art. 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. L‟articolo 1 fissa in modo solenne il risultato del referendum del 2 giugno 1946: l‟Italia è una repubblica. I caratteri che distinguono la forma repubblicana da quella monarchica sono soprattutto due: L‟elettività La temporaneità delle cariche pubbliche. L‟accesso ad esse non avviene per ereditarietà e per appartenenza dinastica, ma, appunto, per elezione, e la durata in carica non può mai essere vitalizia (se si esclude il caso particolare dei pochi senatori a vita) ma limitata ad un tempo fissato dalla legge, si tratti del Sindaco di un piccolo Comune o del Presidente della Repubblica. Diventa chiaro, in questo modo, anche il significato etimologico della parola repubblica: lo Stato non è un patrimonio familiare e dinastico che si possa trasmettere ereditariamente come un bene qualsiasi, ma è invece una “res publica”, appunto una cosa di tutti. Coloro che sono temporaneamente chiamati a svolgervi un importante ruolo di direzione politica non ne sono i proprietari, ma i servitori. I governati non sono sudditi, ma cittadini che devono essere messi in condizione di esercitare la loro sovranità. Per questo l‟articolo 1 stabilisce il carattere democratico della repubblica. Con esso, conformemente all‟etimologia del termine democrazia (dal greco: demos, popolo e kratìa, potere), si intende che la sovranità, cioè il potere di comandare e di compiere le scelte politiche che riguardano la comunità, appartiene al popolo. È naturale che un simile ruolo non possa essere esercitato in forma arbitraria. L‟inciso “nelle forme e nei limiti della Costituzione” sta a indicare proprio questo fatto. Più precisamente, l‟esercizio effettivo della sovranità popolare avviene in varie forme, specie il diritto di voto (art. 48 Cost.), mediante il quale ogni cittadino sceglie i propri rappresentanti a cui viene delegata non la sovranità, ma la cura effettiva degli affari pubblici. Il modello appena delineato prende perciò il nome di democrazia rappresentativa e deve essere tenuto distinto da quello della cosiddetta democrazia diretta, che di fatto può essere praticato soltanto in comunità molto piccole. Mentre nel primo caso, proprio delle grandi democrazie moderne, il cittadino è rappresentato dagli eletti, nel secondo caso l‟esercizio della sovranità è diretto e non richiede il meccanismo della delega e della rappresentanza. Se ne può avere un esempio nella democrazia ateniese del V secolo a.C., purché non si dimentichi che la diretta partecipazione di tutti gli uomini liberi agli affari dello Stato era resa possibile anche dall‟esclusione legale delle donne, degli schiavi e degli stranieri da ogni forma di attività politica. Una Repubblica fondata sul lavoro Il primo articolo sottolinea in modo particolare, oltre l'identità repubblicana dello Stato, come la Nazione sia fondata sul lavoro. Prima di arrivare alla forma tuttora vigente, vennero esposte varie proposte. La prima, presentata dal deputato Mario Cevolotto ometteva la formula "...fondata sul lavoro" e venne presentata il 28 novembre 1946. Questa, però, non piacque alla quasi totalità dei membri dell'Assemblea e venne definita algida e carente dei tratti precisi del nascente Stato Italiano. Fu Aldo Moro a chiedere di inserire un riferimento al lavoro. Palmiro Togliatti presentò una seconda proposta: "L'Italia è una Repubblica democratica di lavoratori". Ma anche questo emendamento venne bocciato. Ma fu il democristiano Amintore Fanfani a presentare la formula attuale che fu appoggiata dal Partito Comunista Italiano e dal Partito Socialista Italiano. L'articolo 1 della Costituzione Italiana venne approvato nella sua interezza il 22 marzo 1947 dando finalmente un'identità alla nascente Repubblica. Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Viene qui affermato il principio personalista, che colloca la persona umana, nella sua dimensione individuale così come in quella sociale, al vertice dei valori riconosciuti dall‟ordinamento giuridico. L‟individuo è considerato parte integrante della comunità, inserito perciò in una rete di rapporti sociali, nel cui ambito si creano le condizioni per lo sviluppo della sua personalità. Le “formazioni sociali” come la scuola, i partiti, i sindacati, le collettività locali, le confessioni religiose, la famiglia) risultano, dunque, fondamentali per la crescita dell‟individuo e questo spiega perché, sulla base del principio pluralista, ad esse vengono riconosciuti e garantiti gli stessi diritti dell‟individuo. In pratica, risulterebbe contraria alla Costituzione qualsiasi legge destinata a sottoporre a controlli di polizia le attività di una qualsiasi associazione. La norma, comunque, ponendo sullo stesso piano i singoli e le formazioni sociali, presuppone anche l‟idea che nessuna libertà collettiva possa prescindere dalla libertà dei singoli. Nella parte finale dell‟articolo viene affermato il principio solidarista, in virtù del quale ogni cittadino ha il dovere di operare a vantaggio della comunità (ad esempio, rispettando l‟obbligo di contribuire alle spese pubbliche, sancito dal successivo art. 53), partecipando attivamente alla vita politica, economica e sociale del Paese. Proprio l‟adempimento di questi doveri “inderogabili” trasforma l‟individuo in cittadino responsabile. Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Con la fine della seconda guerra mondiale e il tramonto del Fascismo, nasce in Italia l‟esigenza di costruire uno Stato capace di garantire ai cittadini non già una semplice uguaglianza formale (tipica dei sistemi liberali), bensì un‟uguaglianza che potesse in questi termini permettere agli stessi di godere effettivamente di una parità, altrimenti sostanzialmente negata dai sistemi costituzionali formalistici come, per esempio, nello Statuto Albertino. Così, in sede costituente, venne elaborato il princìpio di cui all‟art. 3 Un princìpio importante, poiché supera il criterio dell‟uguaglianza formale e definisce un nuovo criterio di parità fra i cittadini: quello dell‟uguaglianza sostanziale. A questo punto ci si domanda: che differenza c‟è? Anche lo Statuto Albertino (che era uno statuto liberale), garantiva l‟uguaglianza fra i cittadini. E dunque? Dove ha innovato effettivamente la Costituzione repubblicana? Be‟, chiaramente una cosa è dire “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, senza però prevedere strumenti tali a garantire in concreto questa uguaglianza; altra cosa è affermare “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e lo Stato si impegna a rimuovere tutti gli ostacoli economici e sociali che impediscono questa uguaglianza”. La differenza dunque sussiste ed è una differenza fondamentale. Lo Statuto Albertino garantiva l‟uguaglianza, ma lasciava al mercato, alla libertà e volontà del singolo, e in ultimo alla società, il compito di eliminare gli ostacoli che impedivano in concreto l‟effettivo raggiungimento del risultato egualitario. Così veniva a verificarsi il paradosso di una società formalmente egualitaria, ma sostanzialmente diseguale. Il regime fascista, d‟altro canto, non attenuò certamente le profonde diseguaglianze sociali, sebbene molte misure adottate dal sistema corporativo avevano proprio un simile obiettivo. E questo perché il Fascismo partiva da un‟ideologia che tendeva ad appiattire il sistema sociale ed economico al princìpio dello Stato Etico. Perciò, comprimendo la libertà e l‟iniziativa, comprimendo l‟autotutela dei lavoratori e dunque delle classi più deboli, impediva in concreto lo sviluppo di tutti quei meccanismi poi attuati nel più progredito sistema repubblicano, informato al princìpio dello Stato Sociale. Ecco dunque che arriviamo all‟art. 3 della Carta Costituzionale, del quale un primo importante metaprincìpio desumibile è l‟impedimento per il legislatore di emanare norme che creino diseguaglianza fra i cittadini in base al sesso (e all‟orientamento sessuale), alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche e alle condizioni personali e sociali. In questi termini, qualsiasi provvedimento legislativo violativo di un sifatto princìpio può e deve essere tacciato di incostituzionalità (da qui l‟illegittimità costituzionale di molte leggi del sistema corporativo e del precedente sistema liberale). D‟altro canto, il princìpio di uguaglianza sostanziale, previsto dalla nostra costituzione, non si traduce affatto – come apparentemente potrebbe credersi – in un‟uguaglianza assoluta che alla fine andrebbe a negare lo stesso princìpio. Infatti, al princìpio stesso è sottesa la consapevolezza che l‟uguaglianza potrà essere garantita effettivamente solo se si prende coscienza che tutti i casi uguali devono essere trattati in modo eguale e che tutti i casi diversi devono – per converso – essere trattati in modo diverso. Eppure, anche questa consapevolezza non è sufficiente. Non a caso, il secondo comma dell‟art. 3 estende e concretizza il princìpio di uguaglianza, rendendolo effettivamente perseguibile. La norma infatti stabilisce che lo Stato (e pure le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti pubblici) deve rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che di fatto limitano l‟uguaglianza e la libertà dei cittadini, e che impediscono perciò la realizzazione della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione politica, economica e sociale della nazione. Il che significa che l‟uguaglianza non può essere vista solo come limitazione negativa all‟azione statale (lo Stato non può emanare leggi che creino diseguaglianze!), bensì pure come una imposizione allo Stato e agli enti pubblici di compiere azioni positive volte alla rimozione delle diseguaglianze (l‟autorità pubblica deve emanare leggi che elimino discriminazione e ineguaglianze). Ciò significa, in altre parole, che non è sufficiente che in una società ogni cittadino sia eguale dinanzi alla legge (uguaglianza formale), è pure necessario che tale uguaglianza sia effettiva (uguaglianza sostanziale). Esempio: l‟istruzione. Non è abbastanza che ogni ragazzino abbia il diritto di istruirsi e andare a scuola, ma è necessario che lo possa fare concretamente. Perciò, se la famiglia non ha le risorse economiche per mandare il proprio figlio a scuola, lo Stato deve prevedere risorse economiche per tali famiglie disagiate (borse di studio, libri di testo gratuiti ecc...). E questo affinché si attui l‟effettiva uguaglianza tra chi – benestante – non ha problemi economici che gli impediscono di istruirsi e chi, invece, per simili problemi, in concreto non può. In conclusione, il princìpio di uguaglianza è un fattore di estrema civilità che già costituì nell‟ottocento una vera rivoluzione nella società, poiché di fatto veniva superato il sistema assolutistico che invece fomentava profonde diseguaglianze classiste (nobili, clero, borghesia e contadini/operai). Eppure, sebbene fortemente innovativo, tale princìpio – formalisticamente inteso – non era di fatto soddisfacente, perché garantiva soltanto le classi medie (borghesia), le uniche dotate di sufficiente autonomia economica per far valere i propri diritti. Ecco perché – dopo il culmine dei regimi nazifascisti – tale princìpio ha trovato nuova linfa, evolvendosi ulteriormente verso una sostanzialità che di fatto ha sancito il definitivo progresso sociale e l‟innalzamento del livello di benessere dell‟intera collettività. Non a caso, il secondo comma parla di sviluppo della persona umana e di partecipazione di tutti i lavoratori (si presume di ogni livello) all‟organizzazione sociale, politica ed economica del paese Italia. (*1) Approfondimento sui partiti di massa Il XX secolo è stato caratterizzato, tra le altre cose, dall‟avvento dei partiti di massa che hanno avuto la caratteristica di essere “pluriclasse” per taluni versi come i movimenti di ispirazione cristiana e quelli socialisti. Questi partiti sono organizzati e stabili competono per garantirsi la “appartenenza” degli elettori mediante una comunicazione essenziale e semplificata, per slogan e manifesti, fondata su meccanismi identitari elementari. Ma questo concetto meglio si adattava ad un elettorato semialfabeta o fortemente dipendente da richiami etico-religiosi o ideologicizzati ed ebbero l‟effetto porre un limite al sistema democratico di derivazione liberale in quanto fecero emergere, fra le due guerre mondiali, i totalitarismi che imposero una rottura autoritaria dei concetti e delle idee che si erano formati tra l‟800 e il „900. Un partito politico è un'associazione tra persone accomunate da una medesima finalità politica ovvero da una comune visione su questioni fondamentali dello gestione dello Stato e della società o anche solo su temi specifici e particolari. L'attività del partito politico si esplica nello spazio della vita pubblica e, nelle attuali democrazie rappresentative, ha per "ambito prevalente" quello elettorale. I partiti nascono nel momento dell‟affermazione della democrazia e quindi quando il governo diventa responsabile verso il voto degli elettori. Nascono con la Rivoluzione inglese del „600, ma si affermano con il diffondersi della Rivoluzione industriale, la formazione di una società di massa e l'allargamento del suffragio elettorale fino ad essere universale. Si distinguono generalmente in partiti di centro, destra e sinistra. Questa distinzione trova la sua origine nella collocazione dei deputati negli emicicli parlamentari fin adi tempi della Rivoluzione francese: il centro era sinonimo di "moderazione", la destra di "conservazione" e la sinistra di "progresso". Nella storia politica europea, ed in particolare quella italiana, dalla metà dell'800 agli inizi del '900 la scena politica era dominata da partiti politici tutti di stampo "liberale". Tali partiti, in quanto espressione dei ceti sociali medio-alti, erano attenti, in particolar modo, a ridurre il potere statale ed ad accentuare la libera iniziativa locale. Con la crescita del proletariato, composto soprattutto da piccoli artigiani, braccianti ed operai, cominciano a diffondersi le teorie socialiste che troveranno, poi, in Karl Marx il loro più compiuto teorizzatore. Nasce così l'idea di uno Stato laico, se non ateo, svincolato dalla tradizione borghese, unico detentore del potere e attento ad assicurare la più completa uguaglianza tra i cittadini.