DIFFRAZIONE DA RAGGI X NEI CRISTALLI DIFFRAZIONE DI RAGGI X Ulderico Wanderlingh 9 gennaio 2006 Ulderico Wanderlingh 1 dicembre 2005 Dipartimento di Fisica, Università di Messina – [email protected] IndiceIndice 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.1 Reticolo Cristallino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0.2 Produzione e rilevazione Reticolo Cristallino . . . .dei. Raggi . . . X. . .. .. . .. .. . . . .. 0.3 Diffrazione di raggi X da strutture cristalline . . . . Diffrazione di raggi X da strutture cristalline 0.4 Intensità della diffusione . . . . . . . . . . . . . . . . Intensità0.4.1 dellaFattori diffusione geometrici . . .. .. . .. .. . . . .. .. . .. .. . . . .. 0.4.2 Fattori di forma . . . . . . . . . . .. .. . .. .. . . . .. Analisi quantitativa e qualitativa 0.5 Analisi quantitativa e qualitativa . . . . . . . . . . . . . . .. . .. . . . . . . . . .. . .. .. . .. . . . . .. . . . .. .. . . . . .. . . . . . . .. . .. . . 2 . 9. 14 . 23 . . 23. . 24. 30 . . . . Produzione e rilevazione dei Raggi X . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 6 . 10 . 12 . 14 1 Reticolo Cristallino – Preparato il 27 Aprile 2002, ultima modifica 9 gennaio 2006– Uno dei modi di aggregazione della materia condensata è lo stato cristallino, più del 90% dei solidi si presentano in questa forma. Un cristallo è 1 formato macroscopicamente da un poliedro regolare la cui struttura interna è costituita dal ripetersi periodico di una struttura elementare, detta base o motivo, sui nodi di un reticolo tridimensionale. L’ordine interno si estende nel caso ideale su distanze infinite, nei casi reali tale ordinamento è invece limitato dai vari tipi di difetti reticolari. 0.1. Reticolo Cristallino 2 0.1 Reticolo Cristallino Uno dei modi di aggregazione della materia condensata è lo stato cristallino, più del 90% dei solidi si presentano infatti sotto questa forma. Un cristallo è formato macroscopicamente da un poliedro regolare la cui struttura interna è costituita dal ripetersi periodico di una unità elementare, detta base o motivo, sui nodi di un reticolo tridimensionale. L’ordine interno si estende nel caso ideale su distanze infinite, nei casi reali tale ordinamento è invece limitato dai vari tipi di difetti reticolari. Lo strumento principale per lo studio dei reticoli cristallini è la diffrazione di raggi X. Storicamente i primi studi di questo genere sono dovuti a Laue, che con i suoi esperimenti nel 1912 dimostrò simultaneamente la natura ondulatoria dei raggi X e la regolarità della struttura interna dei cristalli. Prima ancora della utilizzazione dei raggi X nello studio dei solidi cristallini sono stati definiti sei sistemi fondamentali di simmetria delle strutture cristalline, un elenco è dato in tabella 1 . Sistema Triclininico (1) Monoclininico (2) Ortorombico (4) Tetragonale (2) Esagonale (1) Romboedrico o Trigonale Cubico (1) (3) Assi e angoli a != b != c α != β != γ != 90◦ a != b != c α = γ = 90◦ != β a != b != c α = β = γ = 90◦ a = b != c α = β = γ = 90◦ a = b != c α = β = 90◦ γ = 120◦ a=b=c α = β = γ != 90◦ a=b=c α = β = γ = 90◦ Tabella 1: I 14 reticoli di Bravais Questo è stato reso possibile da considerazioni sulla struttura macroscopica esterna dei cristalli, considerazioni riguardanti la simmetrie, gli angoli tra le facce e i rapporti tra le dimensioni dei lati, che sono ovviamente legati alla forma della cella elementare. Di seguito sono sintetizzate alcune definizioni utili nella descrizione dei cristalli: 0.1. Reticolo Cristallino Figura 1: I 14 reticoli di Bravais 3 0.1. Reticolo Cristallino 4 – Reticolo spaziale diretto, o di Bravais. Questo è l’insieme dei punti nello spazio reale che individuano le posizioni della base. Se consideriamo un qualunque punto del reticolo come origine, tutti gli altri punti risultano raggiungibili con il vettore $l definito da $l = l1$a + l2$b + l3$c dove l1 , l2 , l3 sono numeri interi e $a, $b, $c sono i vettori fondamentali che definiscono le distanze e gli angoli tra il punto origine ed i suoi vicini. Il reticolo diretto è dunque l’insieme dei vettori $l. L’osservazione di un reticolo risulta uguale a se stessa quando è vista da punti che differicono per un vettore di reticolo $l. Si possono realizzare quattordici tipi diversi di struttrure reticolari tridimensionali che se impacchettate riempiono lo spazio (Bravais), figura 1. – Cella unitaria. Unendo tra loro i punti di un reticolo spaziale si ottengono dei parallelepipedi detti celle unitarie. La struttura cristallina è ottenuta dall’impacchettamento di tali celle unitarie. La scelta della cella unitaria non è unica, come si può vedere dalla figura 2, la scelta è fatta in base a considerazioni di simmetria e di semplicità matematica. Figura 2: Un reticolo spaziale con diverse celle unitarie alternative evidenziate. La cella unitaria definita dai vettori fondamentali di traslazione a, b, c è la cella primitiva, figura 3. Una cella primitiva ha volume minimo e contiene un solo punto di reticolo. Il suo volume è dato da V = |a ∧ b · c| – Cella di Wigner-Seitz. E’ così detto lo spazio intorno ad un punto del reticolo delimitato dai piani bisettori perpedicolari ai segmenti congiungenti quel punto con punti reticolare vicini. Il suo volume è uguale a quello della cella primitiva. 0.1. Reticolo Cristallino Figura 3: Reticolo cubico a corpo centrato: a) Cella unitaria, cubo con due punti per cella, b) Cella primitiva, romboedro con un punto per cella e volume la metà. – Gruppi puntuali. Oltre alla simmetrie traslazionali i reticoli posseggono anche simmetrie puntuali, ovvero relative all’intorno di un punto. Un gruppo puntuale è un insieme di operazioni di simmetria che lasciano invariato il sistema. Le principali operazioni di simmetria illustrate in fig.4 sono le seguenti: Figura 4: Principali operazioni di simmetria 1. Inversione: se esiste un punto (centro di inversione) per cui la sostituzione di $r (distanza dal punto) in −$r lascia invariato il reticolo 2. Riflessione: se esiste un piano per cui la sostituzione di d$ (distanza dal piano) in −d$ lascia invariato il reticolo 3. Rotazione: se esiste un asse per il quale una rotazione di 2π/n lascia invariato il reticolo, n è un intero che definisce il tipo di simmetria (unaria, binaria terneria ....) 5 0.1. Reticolo Cristallino 6 4. Roto-inversione: una combinazione di 1 e 3. — Base e Struttura Cristallina. Ad ogni punto del reticolo si associano, come detto, uno o un gruppo di atomi che costituiscono la base, fig:5. Questa si ripete in ogni punto del reticolo con la stessa disposizione ed orientazione. La struttura cristallina risulta dall’aggiunta di una base su di un reticolo spaziale astratto. La posizione degli i-esimo atomo della base nella cella unitaria è definita dal vettore delle coordinate atomiche $ui$vi w $ i ; ciascuna di queste è un vettore le cui componenti sono una frazione della lunghezza dei vettori fondamentali e la cui direzione coincide con quella di questi. Figura 5: Struttura cristallina come risultato dell’aggiunta di una base ai punti del reticolo cristallino — Posizione di un piano in un cristallo, indici di Miller. Sui punti del reticolo spaziale si possono fare passare famiglie di piani paralleli detti piani reticolari. Ogni famiglia di piani è individuata da tre numeri interi, gli indici di Miller, ciascuno dei quali indica in quante parti è sezionato il corrispondente spigolo della cella elementare. Per stabilire gli indici di Miller, che permettono di individuare l’orientazione di un piano cristallino, si considerano le intercette pa, qb, rc del piano con i tre assi principali, individuati dai vettori (abc), come illustrato in figura 6. Si definiscono quindi gli indici di Miller per quel piano la terna formata dai più piccoli numeri interi (hkl) che soddisfa alla seguente relazione: h : k : l = 1/p : 1/q : 1/r che viene indicata con (hkl). L’insieme dei piani equivalenti dal punto di vista della simmetria viene indicato con {hkl}. Un evetuale segno negativo viene collocato sopra l’indice stesso. Gli indici di Miller sono legati ai coseni direttori della normale n al piano che rappresentano, tramite la relazione: cos α : cos β : cos γ = 1/pa : 1/qb : 1/rc = h/a : k/b : l/c In figura 7 sono indicati alcuni piani del reticolo cubico. Come si può notare le diverse famiglie di piani sono spaziate in maniera diversa, le formule per fornire la spaziatura d in funzione degli indici di Miller nei sei sistemi di struttura cristallina sono illustrate in tabella 2. 0.1. Reticolo Cristallino Figura 6: Procedura per determinare gli indici di Miller. Figura 7: Denominazione di alcuni piani di un reticolo cubico con gli indici di Miller. 7 0.1. Reticolo Cristallino 8 Tabella 2: Formule per il calcolo della spaziatura interplanare, dhkl . — Reticolo Reciproco. Il reticolo reciproco è un modo diverso di guardare al reticolo nello spazio reale, considerandolo in termini di periodicità piuttosto ($k) che di posizione ($x). Il reticolo reciproco puo ottenersi dal reticolo diretto sia tramite l’operazione della Trasformata di Fourier che tramite una costruzione geometrica. I punti che formano il reticolo reciproco risultano legati ai piani{hkl} del reticolo diretto. I due reticoli condividono un origine comune O, e ad una famiglia di piani nel reticolo diretto corrisponde un vettore nel reticolo reciproco, con la direzione della normale ai piani, passante per O e modulo inversamente proporzionale alla spaziatura tra la famiglia di piani {hkl}, vedi figura 8 Matematicamente questo corrisponde a definire la terna fondamentale A, B, C dei vettori del reticolo reciproco quella legata alla corrispondete terna nel reticolo diretto a, b, c dalle relazioni: A = 2π b∧c a · b ∧ c. B = 2π c∧a a · b ∧ c. C = 2π a∧b a · b ∧ c. Il reticolo reciproco è costruito dai punti la cui posizione è individuata dai vettori G = g1 A + g2 B + g3 C , con g1 , g2 , g3 interi. Se consideriamo li un vettore nello spazio spazio diretto e Gk uno nello spazio reciproco sussiste la relazione li · Gk = 2πδik 0.2. Produzione e rilevazione dei Raggi X Figura 8: Costruzione di un reticolo reciproco planare, e illustrazione di reticolo reciproco cubico. Si verifica inoltre che: • Il reticolo reciproco è dello stesso tipo di quello diretto, e l’applicazione della suddetta trasformazione al reticolo reciproco ricostruisce il reticolo diretto. • Il vettore di reticolo reciproco: G(g1 , g2 , g3 ) = g1 A+g2 B+g3 C è normale al piano individuato nel reticolo diretto dagli indici (g1 , g2 , g3 ) • Il modulo del vettore di reticolo reciproco G(g1 , g2 , g3 ) è legato all’inverso della spaziatura tra due successivi piani reticolari che individua nello spazio diretto: G(g1 , g2 , g3 ) = 2π d(g1 , g2 , g3 ) • Il volume della cella primitiva nel reticolo reciproco, Vr è legato al corripondente volume nella cella primitiva, Vd , del reticolo diretto dalla relazione: 8π 3 Vr = Vd 0.2 Produzione e rilevazione dei Raggi X — Origine dei raggi X. Il principale processo di produzione di raggi X è la collisione tra elettroni veloci e la materia (bersaglio). Questo da luogo a 9 0.2. Produzione e rilevazione dei Raggi X due fenomeni di irradiazione: la radiazione da frenamento e la radiazione caratteristica. La radiazione da frenamento è prodotta dal rallentamento delgli elettroni incidenti nell’attraversare il campo elettrico repulsivo degli atomi del bersaglio. Questo è un processo quantistico e la variazione di energia degli elettroni ∆E appare in forma di quanti di radiazione di frequenza ν = ∆E/h. La radiazione emessa è indipendente dal tipo di bersaglio ed appare come una banda continua di lunghezze d’onda la cui intensità ed il cui limite inferiore sono legati alla massima energia degli elettroni incidenti. Ne caso di un elettrone accelerato da un potenziale V si ha un perdita massima di energia: ∆E = V e da cui una radiazione di frequenza massima ν = V e/h e di lunghezza d’onda minima λmin = hc/V e ovvero λmin = 12.400/V con V in volt e λ in Å. La radiazione caratteristica è invece presente quando l’energia degli elettroni incidenti è sufficiente ad ionizzare l’atomo rimuovendo un elettrone dai livelli più interni. In questo caso un elettrone dai livelli più esterni và ad occupare l’orbita lasciata libera emettendo un quanto di radiazione di frequenza proporzionale al salto in energia tra i due livelli. Questa emis- Figura 9: Distribuzione della radiazione vs. λ per un bersaglio di Mobildeno ed uno di Cu con differenti tensioni acceleratrici. sione si presenta come un intenso spettro a righe, sovrapposto alla banda continua della radiazione di frenamento (vedi fig. 9). La frequenza delle righe nella radiazione caratteristica è proporzionale al numero atomico del 10 0.2. Produzione e rilevazione dei Raggi X bersaglio e le righe sono identificate dal nome del livello da cui avviene la transizione elettronica, in analogia con il caso ottico (vedi fig. 10). Figura 10: Diagramma schematico delle transizioni delle shell più interne. — Generatori di raggi X. I più semplici generatori di raggi X sono formati da un tubo in vetro fornito di due elettrodi (Anodo e Catodo) riempiti di un gas alla pressione di qualche frazione di mm di mercurio. Quando una sufficientemente elevata tensione è applicata agli elettrodi gli elettroni e gli ioni, normalmente presenti in piccole quantità nel gas, si muovono verso i rispettivi elettrodi. Gli ioni positivi collidendo con il catodo e con le alre molecole del gas producono altri elettroni che vengono proiettati verso l’anodo o target. Nella collisione di quest’ultimi con l’anodo o le pareti stesse del vetro si ha la produzione di radiazione X. Il principale svantaggio di tali generatori sono l’interdipendenza della corrente dalla tensione, ed il fatto che la pressione del gas varia leggermente durante il funzionamento, alterando le caratteristiche del tubo. I vantaggi sono ll basso costo e l’economia di installazione e di manutenzione. Un notevole miglioramento di questi generatori è ottenuto con i tubi a catodo caldo. In questo caso il catodo e costituito da un filamento metallico portato ad incandescenza, e la produzione di elettroni avviene per effetto termoionico, come illustrato in fig. 11 . La corrente viene così variata agendo sulla temperatura del filamento e risulta indipendente dalla tensione. Inoltre la pressione può essere ridotta al minimo possibile non essendo necessario del gas residuo per avviare la produzione di elettroni. Questi tubi risolvono i problemi del caso precedente ma sono più costosi e meno robusti. Soffrono inoltre per l’inquinamento della superficie del bersaglio da parte dei vapori metallici prodotti dal filamento (generalmente Tungsteno). Nei moderni generatori di raggi X l’efficienza globale è migliorata utilizzando diversi accorgimenti quali: finestre di Berillio per la fuoriuscita della 11 0.2. Produzione e rilevazione dei Raggi X Figura 11: Schema di un moderno generatore di raggi X. radiazione con il minimo assorbimento; raffreddamento ad acqua del bersaglio o l’utilizzo di un bersaglio rotante per minimizzare gli effetti del eccessivo riscaldamento; una particolare forma per il catodo e per il bersaglio per focalizzare al meglio il fascio di radiazione prodotta ed infine la possibilità di disporre di più di un bersaglio per estendere il range di luinghezze d’onda disponibili. — Assorbimento dei raggi X. Nonostante i raggi X attraversino facilmente la maggior parte dei materiali essi sono anche in piccola percentuale assorbiti da questi. L’andamento dell’intensità trasmessa I rispetto a quella incidente I0 , è fornita dalla legge di Lambert-Beer: I = I0 exp (−µ(λ)/x) dove x è lo spessore attraversato e µ il coefficiente di assorbimento lineare. Una forma più conveniente per questa espressione è in termini del coefficiente di assorbimento di massa µm = µ/ρ: I = I0 exp (−µm (λ)ρ/x) Il coefficiente µm non dipende infatti dallo stato fisico chimico del materiale a differenza di µ. E’ questa una notevole proprietà che differenzia i raggi X dalla radiazione visibile. Ad esempio mentre il Carbonio nella forma di diamante e di grafite ha un comportamento totalmente opposto nei confronti della trasparenza alla luce visibile, per la radiazione X mostra invece lo stesso coefficiente di assorbimento di massa. Il coefficiente di assorbimento dipende dalla lunghezza d’onda e diminuisce con questa, a parte alcune discontinuità in corrispondenza agli spigoli di assorbimento a quelle energia capaci di ionizzare le shell interne dell’atomo, vedi fig. 12 12 0.2. Produzione e rilevazione dei Raggi X Figura 12: Andamento del coefficiente di assorbimento di massa vs. λ per il Platino, con evidenziati gli spigoli di assorbimento K ed L — Monocromatizzazione. In molti lavori di diffrazione si richiede la monocromatizzazione della radiazione incidente. Ovvero dallo spettro tipico di un dato bersaglio si deve selezionara un preciso valore di lunghezza d’onda, tipicamente la riga Kα . Questo viene fatto nella maggior parte dei casi con la tecnica del filtraggio, sfruttando l’andamento caratteristico degli spigoli di assorbimento in opportuni materiali. Ad esempio, come si vede in fig. 13, se la radiazione X prodotta con un bersaglio di Mobildeno viene filtrata facendole attraversare un opportuno spessore di Zirconio, solo la riga a λ = 0.63Å riesce ad attraversare il filtro. Quando è invece richiesta una elevata monocromaticità si ricorre ai cristalli monocromatori. La radiazione prodotta dal bersaglio viene fatta riflettere alla Bragg dai piani di un opportuno cristallo in modo da separare in angolo le varie componenti di λ, anche se con notevole perdita di intensita. Figura 13: Curva di assorbimento dello Zirconio, sovrapposta all radiazione del Mobildeno 13 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline 0.3 Diffrazione di raggi X da strutture cristalline Come è stato detto lo studio delle strutture cristalline si attua principalmente attraverso la diffrazione di raggi X. Questo è il processo in cui un fascio di fotoni X, incidente su un campione (cristallo singolo, policristallo o polvere policristallina), viene diffuso dagli elettroni di quest’ultimo (processo di scattering). Dallo studio della distribuzione angolare della radiazione diffratta si risale alla forma, dimensione ed orientazione della cella elementare. E’ inoltre possibile determinare le componenti (fasi) in una miscela di policristalli. — Geometria della diffrazione Da un punto di vista classico gli elettroni del materiale investito dal campo della radiazione elettro-magnetica dei raggi X sono forzati da questo ad oscillare alla sua stessa frequenza, diventando così sorgenti secondarie di radiazione X. In questo processo vi è una precisa relazione di fase tra il campo incidente e quello diffuso e lo scattering è detto essere coerente. I fronti d’onda irradiati da tutti gli elettroni in un atomo si compongono per formare una nuova sorgente elementare di diffusione, che può essere Figura 14: Principio di Huygens. considerata quasi puntiforme. Il campo così generato si somma a quello di tutti gli altri atomi componenti il sistema e a causa della spaziatura regolare tra le sorgenti elementari di diffusione si avranno fenomeni di interferenza costruttiva o distruttiva dipendendo dall’angolo di osservazione del fascio diffratto. Nella figura 15 è mostrata la differenza di cammino tra due centri di diffusione contigui. A seconda della relazione di fase nei due differenti percorsi si avranno, nella direzioni di osservazione, fenomeni di interferenza che consistono nell’aumento diminuizione o totale cancellazione dell’intensità. Nel caso di una distribuzione lineare regolare di atomi l’interferenza sarà costruttiva per quelle direzioni in cui la differenza di fase tra i fronti diffusi da due atomi consecutivi e pari a nλ, dove n è un intero che definisce l’ordine di diffrazione. 14 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline Figura 15: Differenza di cammino tra i raggi diffratti da due centri di diffusione contigui. — Condizioni di diffrazione da un reticolo tridimensionale Per trattare il caso più generale di reticolo cubico, consideriamo dapprima un reticolo lineare con spaziatura a0 . Siano ∆ e * gli angoli ripettivamente formati dal reticolo con la direzione del fascio X incidente e la direzione di osservazione, come in figura 16. Figura 16: Condizioni di diffrazione per una schiera lineare di atomi. Affinchè nella direzione di * ci sia interferenza costruttiva deve essere OA − BP = mλ ovvero: a0 (cos * − cos ∆) = mλ da cui si può ricavare la direzione dell m-esimo ordine di diffrazione: cos * = cos ∆ + mλ a0 15 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline Per un dato valore di a0 e di λ solo alcuni valori di m (intero) rendono possibile la soluzione di tale equazione per *. Inoltre, data la simmetria dell’angolo * rispetto la direzione della schiera lineare, le soluzioni dell’equazione generano dei coni intorno a tale direzione. Per generalizzare al reticolo cubico dobbiamo considerare gli angoli formati dalla direzione del fascio incidente con i tre assi del reticolo: ∆1 , ∆2 , ∆3 , e dalla direzione del fascio diffratto con gli stessi tre assi: *1 , *2 , *3 ; vedi figura 17. Figura 17: Condizioni di diffrazione per un reticolo cubico semplice. ni: In questo caso dovranno essere verificate simultaneamente le tre relazioa0 (cos *1 − cos ∆1 ) = mλ a0 (cos *2 − cos ∆2 ) = pλ a0 (cos *3 − cos ∆3 ) = qλ Le espressioni sopra scritte sono note come condizioni di Laue e gli interi m, p, q sono gli ordini di diffrazione dai tre reticoli lineari lungo gli assi OX, OY e OZ. I tre coseni di ∆ e di * non sono altro che i coseni direttori per le direzioni del fascio incidente e del fascio difratto rispettivamente. Una formulazione più istruttiva delle condizioni di Laue si ottiene considerando l’angolo formato 16 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline dalla direzione del fascio incidente con quello diffratto. Per convenzione tale angolo si indica con 2θ e vale: cos 2θ = (cos *1 · cos ∆1 + cos *2 · cos ∆2 + cos *3 · cos ∆3 ) Quadrando e sommando le tre condizioni di Laue si ottiene: 2a0 λ= ! sin θ m2 + p2 + q 2 che lega l’angolo di diffrazione alle traslazioni primitive del reticolo (a0 ). O anche, se m, p, q hanno un massimo comun divisore m = n·m0 , p = n·p0 , q = n · q0 , si ha: 2a0 nλ = ! 2 sin θ m0 + p20 + q02 Dove n rappresenta l’ordine di diffrazione. Una volta scritte le condizioni di Laue in termini di θ conviene rappresentare la geometria di diffrazione nel piano formato dal fascio incidente e dal fascio diffratto, come illustrato in figura 18. . Figura 18: Relazione tra il fascio incidente, il fascio diffratto e il piano di riflessione.. Come si vede il fascio incidente appare come riflesso specularmente da un piano perpendicolare al piano di diffrazione e che lo interseca sulla retta RR" . Bragg ha dimostrato (1913) che tale piano di riflessione coincide con un piano reticolare del cristallo i cui indici di Miller (hkl) sono proprio m0 , p0 , q0 e possiamo scrivere: 2a0 sin θ nλ = √ h2 + k 2 + l2 ed identificare ogni raggio diffratto come una riflessione da una famiglia di piani reticolari identificati dagli indici di Miller. 17 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline 18 0 Inoltre per il caso considerato di sistema cubico si vede che il termine √h2 2a +k2 +l2 rappresenta la distanza interplanare d tra i piani reticolari con indici (hkl). Possiamo quindi scrivere in forma compatta: nλ = 2d sin θ nota come equazione o legge di Bragg che, anche se è stata ottenuta nel caso del reticolo dubico, è di carattere del tutto generale. Un’altra maniera di ricavare l’equazione di Bragg si ottiene considerando direttamente le riflessioni del fascio incidente da parte di una serie di piani del cristallo con spaziatura d. Con riferimento alla figura 19. siano Figura 19: Riflessione della radiazione incidente sui piani reticolari. p, p1 , p2 etc. le tracce dei piani reticolari e θ l’angolo da questi formato rispettivamente con il fascio incidente e con quello riflesso. Affinchè nella direzione di D ci sia interferenza costruttiva deve essere B " C − BC = nλ dato che: B"C = d sin θ e BC = B " C cos 2θ = (d cos 2θ) sin θ si ottiene: d d (1 − cos 2θ) = (2 sin2 θ) = nλ sin θ sin θ da cui la legge di Bragg: 2d sin θ = nλ che mostra nuovamente che per una data spaziatura d e lunghezza d’onda λ i vari ordini di riflessione n si realizzano solo per precisi valori dell’angolo 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline θ che soddisfa la legge di Bragg, nelle altre direzioni l’interferenza annulla la riflessione. Un’altra interessante considerazione che deriva dalla legge di Bragg può essere fatta descrivendo l’interazione tra radiazione e materia in termini dei vettori d’onda della radiazione incidente e diffratta e dei vettori del reticolo reciproco. Come mostrato in figura 20 il fascio incidente può essere descritto in dal Figura 20: Geometria di scattering in termini di momento scambiato. suo vettore d’onda $k che ha la direzione della radiazione incidente e modulo 2π/λ. Il vettore d’onda del fascio diffratto ha lo stesso modulo, dato che non vi è variazione di lunghezza d’onda, ma solo diversa direzione, formando con il primo un angolo 2θ. La variazione di direzione corrisponde ad una $ = !($ki − $kf ), perpendicolare ai piano reticolari e variazione di momento !Q di modulo pari a: 4π !Q = 2!k sin θ = ! sin θ λ e facendo uso dell’equazione di Bragg si ha: !Q = n 2π ! d che ricordando la definizione di vettori di reticolo reciproco mostra che si ha diffrazione solo se il momento scambiato tra la radiazione incidente ed il sistema è esattamente uguale ad uno dei momenti disponibili per il sistema, definiti proprio dai suoi vettori di reticolo reciproco. — La Sfera di Edwald Gli angoli 2θ permessi con una data lunghezza d’onda e un certo angolo di 19 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline incidenza possono essere ottenute facilmente analizzando l’evendo di diffusione nel reticolo reciproco. Consideriamo nello spazio reciproco con origine in O , vedi figura 21, il vettore OA, corrispondente al vettore d’onda della Figura 21: Costruzione di Edwald nello spazio reciproco. radiazione incidente $k = 2π/λ. Con centro in A disegnamo la circonferenza di raggio k; i punti del reticolo reciproco che cadranno sulla circonferenza tracciata sono quelli che daranno luogo alle riflessioni e forniscono la direzione dei raggi diffratti, come ad esempio OB oppure OB " . I corrispondenti piani nello spazio diretto sono quelli i cui indici di Miller coincidono con le terna che individua il vettore OB o OB " . In definitiva la distribuzione angolare dell’intensità della radiazione X diffusa, in termini di direzione e modulo del momento scambiato Q, permette di ricostruire il reticolo reciproco e dalla inversione di questo si ottiene direttamente il reticolo spaziale. Le informazioni circa la struttura degli atomi/molecole che formano la base è invece contenuta nella intensità dei picchi di diffrazione, in particolare nel Fattore di Struttura di cui tratteremo nella prossima sezione. Ovviamente le condizioni sperimentali quali monocromaticità, intensità, divergenza della radiazione incidente, accuratezza nella misura degli angoli, limitatezza del range di momento scambiato, purezza dei campioni e così via, sarranno fattori limitanti nell’accuratezza con cui può essere ricostruita la struttura del reticolo cristallino reale. Prima di procedere all’analisi dei fattori che influenzano l’intensità della diffusione consideriamo rapidamente i più comuni strumenti e metodi per la diffrazione. La strumentazione necessaria alla realizzazione di una misura di diffrazione X consiste, in linea di massima, dei seguenti elementi: 20 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline Sorgente di raggi X Tipicamente1 un moderno tubo radiogeno (eventualmete ad anodo rotante), dotato di un sistema monocromatizzazione e di un insieme di fenditure per la collimazione del fascio. Alloggiamento campione Una opportuno portacampione dotato di un sistema di posizionamento e/o orientazione, comprendente eventualmente la possibilità di modificare alcuni parametri della misura, quali temperatura, pressione, campo magnetico e/o elettrico e via dicendo. Sistema di rivelazione Un dispositivo sensibile alla radiazione X corredato di un opportuno sistema di registrazione del segnale. Storicamente le prime registrazioni venivano fatte su lastre fotografiche, protette dalla radiazione visibile, che al termine della misura venivano poi sviluppate; di fatto, anche al giorno d’oggi, questo metodo viene ancora utilizzato. Sono anche in uso dei tubi fotomoltiplicatori, sensibili nel visibile, previa conversione della radiazione X tramite dei materiali detti scintillatori2 ; in questo caso viene registrato il conteggio dei fotoni X in funzione dell’angolo in cui è posizionato il detector. Più recentemente si fà uso di detector bidimensionali realizzati tramite camere CCD, analoghe a quelli presenti nelle telecamere digitali; in questi sistemi l’immagine viene direttamente registrata in formato digitale. I vari metodi di diffrazione sono tutti finalizzati a registrare il maggior numero di riflessioni infatti la probabilità di rivelare una riflessione è generalmente bassa. Nel caso ideale di un cristallo perfetto e di una infinita precisione nella determinazione dei vettori d’onda incidente e diffuso, i punti del reticolo reciproco sono di dimensione zero e la sfera di Ewald sarà una superficie di spessore nullo. Nel metodo di von Laue, un pennello di radiazione X, con uno spettro continuo di lunghezze d’onda, incide su un monocristallo, come in figura 22. Il cristallo seleziona le lunghezze d’onda per cui esistono piani con spaziatura d e angoli di incidenza che soddisfino alla relazione di Bragg. Il pattern di diffrazione così ottenuto rappresenta una proiezione su un piano di tutti i punti del reticolo reciproco che cadono all’interno delle sfere di Ewald relative al λmin e λmax . Il metodo si rivela utile per determinare con rapidità l’orientazione del cristallo e la sua simmetria oltre che per studiare le imperfezioni dei cristalli indotte da trattamenti termici o meccanici. 1 Presso le facility internazionali di luce di sincrotrone sono disponibili sorgenti di raggi X estremamente intense e altamente collimate e monocromatiche. L’accesso a tali sorgenti è regolato opportuni protocolli di collaborazionie scientifica internazionalie. 2 Questi materiali assorbono un quanto di radiazione X e tramite processi di fluorescenza emettono un quanto di radiazione nel visibile, in tempi dell’ordine di 10−8 ÷ 10−9 secondi. 21 0.3. Diffrazione di raggi X da strutture cristalline Figura 22: Sezione in due dimensioni del metodo di Laue ed esempio di diffrattogramma. Nel metodo del cristallo rotante, un monocristallo viene fatto ruotare intorno ad un asse mentre un fascio monocromatico di raggi X incide su di esso. La variazione dell’angolo Ω porta differenti piani nelle condizioni di riflessione, ovvero porta gli equivalenti punti nel reticolo reciproco ad attraversare la sfera di Ewald, vedi figura 23. . Il campione è ovviamente Figura 23: Metodo del cristallo rotante e relativo diffrattogramma. allogiato in un accurato sistema goniometrico che lo ruota intorno a due o a tre assi e ne registra l’orientazione. Nel metodo delle polveri, un fascio di raggi X monocromatico incide su un campione in polvere o policristallino, formato dunque da un infinità di microcristalli con tutte le possibili orientazioni. I raggi vengono diffratti da quei singoli cristalli che si trovano nella giusta orientazione per soddisfare alla legge di Bragg. Nella diffrazione da polveri, a causa della simmetria nella distribuzione delle orientazioni dei microcristalli intorno alla direzione del fascio incidente, i raggi diffratti diventano dei coni con cen- 22 0.4. Intensità della diffusione tro nell’origine ed asse nella direzione del fascio incidente, detti coni di Debye-Scherrer, vedi figura 24. Figura 24: Coni di Debye-Scherrer e relativo diffrattogramma. 0.4 Intensità della diffusione L’effettiva intensità relativa dei vari picchi di diffrazione dipende da vari fattori che sono legati all’interazione radiazione-materia. Alcuni di questi sono essenzialmente legati alla geometria della diffrazione mentre altri sono legati ai vari livelli della struttura in cui sono organizzati i centri elementari di diffusione ovvero gli elettroni. 0.4.1 Fattori geometrici — Il fattore di polarizzazione. Il fascio di raggi X incidente è in genere non polarizzato, ovvero il campo EM oscilla in tutte le direzioni perpendicolari alla direzione di propagazione, con una distribuzione casuale. Nell’interazione con gli elettroni conviene scomporre la polarizzazione istantanea incidente in due componenti tra loro ortogonali, una nel piano di scattering l’altra perpendicolare a questo. Vedi figura 25. . Gli elettroni oscillano lungo queste due direzioni e riemettono radiazione EM, ma mentre per la componente perpendicolare al piano di scattering l’intensità diffusa nella direzione del fasco diffratto è costante (tale direzione è sempre perpedicolare alla direzione del moto oscillatorio), per la componente parallela al piano di scattering l’intensità varia con il coseno dell’angolo di diffrazione (l’elettrone non irradia nella direzione del proprio moto oscillatorio). In una radiazione non polarizzata due qualunque direzioni di polazizzazione tra loro perpendicolari sono presenti con 23 0.4. Intensità della diffusione Figura 25: Polarizzazione della radiazione X diffratta. uguale peso (50% ciascuna), cosicchè l’intensità in funzione di θ è data da: I ∝ 21 (1 + cos2 θ). — Il fattore di Lorentz. Questo termine tiene conto di diversi fattori che hanno luogo nel caso di un reale esperimento. Tali sono: la non perfetta monocromaticità della radiazione incidente, la leggera divergenza inerente al fascio incidente e diffratto, la diversa orientazione dei microcristalli nei campioni policristallini e in polvere o la velocità con cui viene attraversata la sfera di ewald nel metodo del cristallo rotante. Tutti questi fattori contribuiscono ad una diversa efficienza per i diversi punti di reticolo reciproco nel contribuire all’intensità diffusa. La correzione introdotta, nel caso di polveri è: 1/(sin(θ) sin(2θ) mentre nel caso del cristallo rotante 1/ sin(2θ). — Il fattore di molteplicità . Nel fenomeno della diffrazione da un reticolo accade che diversi piani reticolari diffondano un qualche ordine di diffrazione allo stesso valore di θ, in particolare nel caso di polveri o policristalli. Infatti dalla legge di Bragg 2d sin θ = nλ con (nel caso di sistema cubico) √ 2 d(hkl) = a0 / h + k 2 + l2 , diverse combinazioni degli indici di Miller realizzano la stessa spaziatura. Ad esempio: (111) e (1̄11̄) oppure (300) e (221) e così via. L’intensità diffusa ad un dato angolo risulta così aumentata, di una quantità che può essere calcolata a partire dalla particolare struttura cristallina. 0.4.2 Fattori di forma I centri di diffusione non sono in realtà puntiformi, come fin’ora supposti, ma hanno una struttura estesa nello spazio. Le varie parti di tale forma danno luogo a effetti di interferenza che modulano l’intensità diffusa in fun- 24 0.4. Intensità della diffusione zione di Q conducendo ad un decremento, in genere monotono, dell’intensità stessa, vedi fig.26. Di seguito descriveremo questi effetti per il singolo Figura 26: Differenze di fase generate dalle diverse parti della distibuzione elettronica. elettrone, l’insieme di questi nell’atomo e l’insieme di atomi nella molecola. — Il fattore di Debye-Waller Questo, detto anche fattore di temperatura, tiene conto del moto di agitazione termica degli atomi, e quindi degli elettroni a questi legati. Gli elettroni quindi non possono essere considerati come diffusori puntiformi, ma come distribuiti su una regione di spazio (eventualmente asimmetrica) proporzionale allo spostamento del centro di massa degli atomi nelle tre direzioni spaziali. Nel caso più generale (distribuzione isotropica e gaussiana del moto di agitazione termica) l’intensità risulta diminuita di un fattosinθ ed &u2 ' lo re exp(−Q2 &u2 ' /3) dove Q è il vettore d’onda scambiato 4π λ scarto quadratico medio rispetto alla posizione di equilibrio. Nella figura 27 sono illustrati gli ellisoidi termici del SiO4 e lo spostamento quadratico medio nel Kr in funzione della temperatura. — Il fattore di Forma Atomico. Nell’interazione con i raggi X anche gli atomi a maggior ragione non possono essere considerarti puntiformi dato che le loro dimensioni sono all’incirca dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda della radiazione incidente. Di conseguenza i fronti d’onda elementari diffusi dai diversi elettroni, distribuiti intorno al nucleo dell’atomo, presenteranno differenze di fase generando interferenze che producono una ulteriore monotona diminuzione dell’intensità diffusa in funzione di sin θ/λ, come mostrato in figura 28. . 25 0.4. Intensità della diffusione Figura 27: Ellisoidi termici del quarzo e &u2 ' nelle tre direzioni del Kripton Figura 28: Ellisoidi termici del quarzo e &u2 ' nelle tre direzioni del Kripton L’esatta formulazione della dipendenza da θ dell’intensità dipende dalla forma del particolare atomo, forma che dipende anche al suo stato di legame chimico. Questa può essere calcolata teoricamente con diversi metodi che descrivono la densità elettronica dei nuclei (Hartee-Fock e Thomas-Fermi) ed i risultati sono tabulati in letteratura. — Il Fattore Struttura Intramolecolare. Nel caso, piuttosto generale, che la base della struttura reticolare sia formata da una molecola composta da diversi atomi, bisogna considerare anche gli effetti di interferenza derivanti dalla distribuzione spaziale di questi. Questi effetti sono decisamente rilevanti dato che le distanze tra gli atomi nella molecola son ben confrontabili con le distanze della struttura reticolare da 26 0.4. Intensità della diffusione queste formata. Molto spesso è proprio il dato sulla posizione relativa degli atomi nella base quella più interessante poichè fornisce dettagliate informazioni sulla struttura della molecola3 , non altrimenti ottenibili con altre tecniche. Gli effetti dovuti all’organizzazione della molecola appaiono, nell’intensità diffusa, tramite il quadrato del cosidetto Fattore di Struttura. Questo consiste, in pratica, in una trasformata di fourier della densità elettronica ρ(x, y, z) nella cella elementare. Per una particolare riflessione il Fattore di Struttura è un numero complesso dato da: Fh,k,l = N " j=1 fj · exp [2πı (huj + kvj + lwj )] dove fi rappresenta il fattore di forma dell i-esimo di N atomi, h, k, l sono gli indice della riflessione mentre ui , vi , wi sono le coordinate dell’atomo nella cella elementare. Possiamo in un certo senso dire che l’intensità di ciascuna riflessione porta l’informazione su una particolare componente della transformata di fourier della densità elettronica, quella con vettore d’onda pari al corrispondente vettore di reticolo reciproco della riflessione. Dobbiamo inoltre osservare che alcuni casi i fenomeni di interferenza nella cella elementare possono anche cancellare alcune riflessioni del reticolo diretto.4 Questa circostanza è molto utile in quanto permette di determinare rapidamente la struttura reticolare in base a sistematiche assenze di alcune riflessioni nel pattern di diffrazione. Il fatto che la quantità misurabile sperimentalmente sia il quadrato del Fattore di Struttura impedisce una sua diretta inversione di fourier per ottenere la densità elettronica 1 " Fh,k,l · exp [−2πı (hx + ky + lz)] ρ(x, y, z) = V h,k,l questo fatto è noto come problema della fase, in quanto è proprio la fase espressa dalla parte complessa del Fattore di Struttura che viene persa nel processo di misura. Possiamo in effetti riscrivere l’espressione precedente nella forma: 3 Questa informazione è fondamentale nello studio delle molecole complesse quali polimeri e biomolecole. 4 Infatti considerando, ad esempio, il caso del reticolo cubico a facce centrate (fcc) formato da quattro atomi nelle posizioni (0, 0, 0), ( 12 , 12 , 0), ( 12 , 0, 12 ) e (0, 12 , 12 , ), si ottiene per il fattore di struttura Fhkl = f [1+eπı(h+k) +eπı(h+l) +eπı(k+l) ] != 0 solo se h, k, l sono tutti pari o tutti dispari. In modo analogo si ottiene per un reticolo a corpo centrato (bcc) Fhkl != 0 solo se (h + k + l) è pari. 27 0.4. Intensità della diffusione ρ(x, y, z) = 1 " |Fh,k,l | exp [−2πı (hx + ky + lz − αh,k,l )] V h,k,l che mostra come sia necessario determinare il termine αh,k,l , oltre al modulo del fattore di struttura, per calcolare la densità elettronica. Il contributo alla fase totale portato da ciascun atomo componente la molecola è legato alla sua distanza dal piano reticolare coinvolto in una certa riflessione, come illustrato nella fig.29 . Gli atomi posti sui piani reticolari infatti diffondono Figura 29: Relazione tra ritardo di fase e distanza dal piano reticolare. con fase zero, il ritardo di fase aumenta con la distanza dal piano fino a valere 2π per una distanza pari alla spaziatura interplanare. Data la grande importanza della conoscenza della struttura molecolare, il problema della ricostuzione della fase è stato affrontato con diversi approcci, di cui illustreremo i principi generali. I primi tre di questi sono applicabili a molecole non troppo grandi (fino ad un centinaio di atomi) mentre i restanti sono applicati a molecole biologiche, come proteine o acidi nucleici, formati da molte migliaia di atomi. Tirare a indovinare La ricostruzione della densità elettronica comincia con una stima della disposizione (angoli e distanze) degli atomi nella molecola basata su considerazioni generali sugli atomi che la constituiscono (lunghezze, orientazioni e numero dei legami). La transformata di fourier di tale stima si confronta con il dato sperimentale e dalle differenze e somiglianze tra i due si migliora la stima iniziale. Con un processo iterativo e molta pazienza ci si avvicina sempre più alla densità elettronica corretta. 28 0.4. Intensità della diffusione Metodo di Patterson La trasformata di fourier del quadrato del fattore di stuttura, che è la quantità misurata sperimentalmente, è chiamata funzione di Patterson e presenta interessanti proprietà. Si dimostra che questa consiste nella densità elettronica convoluta con il suo inverso: $ e fornisce una mappa di tutte le N 2 possibili distanze ρ($r) ⊗ ρ(−r), tra gli N atomi nella molecola. In tale mappa gli atomi più pesanti si presentano con maggiore intensità, risulta così possibile valutare facilmente la posizione di questi e quindi risalire anche alla posizione di quelli più leggeri. Metodo diretto Questo si basa su proprietà matematiche del fattore di struttura, dovute alla periodicità del cristallo, per cui esistono relazioni statistiche tra la fase e l’intensità dei picchi. Valutando queste relazioni su terne di picchi (tre riflessioni la cui intensità e fase di una è calcolata da quella delle restanti due è detta avere una relazione tripla) e facendo uso di delle appropriate procedure matematiche si perviene alla ricostruzione delle fasi delle riflessioni presenti. Sostituzione molecolare Consiste nel costruire la densità elettronica partendo da una molecola simile a quella in esame, usata in particolare per le proteine. Se due proteine hanno una sequenza simile al 40-50% anche la loro struttura sarà molto simile. Si tratta quindi di trovare la posizione e l’orientazione per la proteina nota nella cella, in modo da riprodurre il più possibile il dato sperimentale relativo alla proteina incognita. Si riesce così a localizzare il maggior numero di atomi rendendo facile la localizzazione di quelli restani. Sostituzione multipla isomorfa L’idea è di perturbare parzialmente ed in vari modi la struttura della macromolecola in esame in modo da modificarne il fattore di struttura, dalle variazioni osservate si fanno deduzioni sulle possibili fasi iniziali. In genere si aggiungono o sostituiscono atomi con altri ben più pesanti in modo che le differenze siano più evidenti. Diventa anche possibile fare delle mappe differenza da studiare con i metodi precedenti. Dispersione anomala Concettualmente simile alla precedente ma in questo caso viene variata l’efficenza di diffusione degli atomi presenti sfruttando la dispersione anomala. Questa consiste in una sostanziale variazione dell’intensità diffusa a certe lunghezze d’onda, quelle con energia prossima ad uno spigolo di assorbimento. Anche in questo caso dalle modifiche del fattore di struttura con la lunghezza donda usata si deducono informazioni sulla fase degli atomi in dispersione 29 0.5. Analisi quantitativa e qualitativa anomala. Questa tecnica è forse la più efficace anche se necessita di sorgenti a lunghezza d’onda variabile quali i sincrotroni. 0.5 Analisi quantitativa e qualitativa — Analisi qualitativa. La possibilità di effettuare un analisi qualitativa tramite diffrazione a raggi X da polveri si basa sulle due seguenti considerazioni: • ogni elemento o composto chimico capace di assumere forma cristallina da luogo ad una figura (pattern) di diffrazione differente da quello di altre sostanze; • in una miscela di differenti componenti cristallini ciascun componente da luogo al proprio pattern di diffrazione indipendante dagli altri. Dei limiti sono ovviamente posti dalla possibilità di rilevare basse intensità delle riflessioni dovute a basse concentrazioni di materiale, e dalla eccesiva complessità del pattern di diffrazione nel caso di un troppo elevato numero di componenti presenti. I vantaggi di tale tecnica sono la rapidità della misura e l’esigua quantità di campione richiesto. Di fatto per riconoscere la presenza di una data sostanza nella miscela si confrontano i riflessi rilevati nei dati sperimentali con una lista contenente l’insieme dei riflessi generati da ciascuna delle sostanze note. La lista più usata è quella prodotta dall’American Society for Testing Materials, contenete circa 4000 voci, da cui deriva il nome assegnato a questa procedura; ovvero metodo A.S.T.M. Di seguito sono mostrate alcune di questa schede, in cui sono contenute informazioni circa la sostanza catalogata, le distanze reticolari, i relativi indici di Miller e una scala relativa di intensità (da 1 a 100) per ciascuna riflessione. Figura 21. Esempi di schede dell’American Society for Testing Materials. – Analisi quantitativa. Dopo aver rilevato le sostanze presenti in un dato campione tramite l’analisi qualitativa è possibile svolgere un analisi quantitativa per risalire alla concentrazione delle stesse. Questo viene fatto tramite una valutazione dell’intensità delle riflessioni dovute a ciascuna specie confrontandola con opportuni standard. In tale analisi entra in gioco il fattore di assorbimento che tiene conto della frazione di intensità che viene assorbita nell’attraversamento dei raggi X da parte del campione. L’intensità dell’i-esimo riflesso di una miscela è dato (nella geometria BraggBentano) da: 1 xα 1 M L P |Fiα |2 Iiα = I0 A 2 2Vc ρα µM 30 0.5. Analisi quantitativa e qualitativa 31 I0 l’intensità del fascio incidente A costante dello strumento Vc volume della cella unitaria della fase α xα frazione in peso della fase α ρα densità della fase α µM coefficiente di assorbimento di massa della miscela M molteplicita del riflesso L P fattore di Lorentz e di polarizzazione Fiα Fattore di Struttura del riflesso. Dei termini considerati, a parte la costante dello strumento e l’intensità del fascio incidente, il coefficiente µM dipende dalla composizione dell’intera miscela e i restanti dipendono solo dalla particolare fase presa in considerazione. Conviene perciò riscrivere l’espressione nella forma: Iiα = Kiα xα 1 ρα µM dove Kiα comprende sia la parte strumentale che le caratteristiche proprie dell’i-esimo riflesso della componente α. Questa espressione è alla base dell’analisi qualitativa. Difatti se conosciamo quale sia la componente α, e dunque la sua densità ed il suo coefficiente di assorbimento, possiamo valutare il termine Kiα da una misura dell’i-esimo riflesso nel componente puro xα = 1 ed utilizzarla per calcolarne la sua frazione nella miscela. Questo però a patto di conoscere il coefficente di assorbimento della miscela che può essere ricavato da misure di trasmissione sulla miscela. Tale procedura è definita come metodo del componente noto. Un altro sistema più spesso utilizzato è il metodo dello standard interno. Questo metodo consiste nell’aggiungere alla miscela in questione una determinata frazione x0 di un altro componente, ovviamente noto. In tale caso " si misurano le intensità dell’i-esimo riflesso per il componente α: Iiα , ed il j-esimo riflesso per il componente noto: Ij0 . Nel rapporto tra le due quantità viene eliminato il termine legato al coefficente di assorbimento; che ora si riferisce alla nuova miscela. Possiamo dunque scrivere: " Kiα x"α ρ0 xα Iiα = = K" Ij0 Kj0 x0 ρα x0 0.5. Analisi quantitativa e qualitativa con ovvio significato del termine K " che si riferisce solo alle densità dei due componenti in questione ed alle caratteristiche dei loro riflessi selezionati e non dipende dalla costante dello strumento. Il termine K " viene valutato preparando una terza miscela composta solo dal componente α e dal componente noto. Su questa terza miscela si ripetono le misure dell’intensità dei riflessi considerati, e dato che le frazioni in peso sono ora note si risale al valore di K " . Questo chiaramente permette di ottenere la frazione in peso della componente α per la seconda miscela x"α che è legata alla relativa frazione nella miscela originaria dalla relazione: xα = x"α 1 − x0 Procedendo allo stesso modo per tutte le componenti si determina infine l’esatta composizione della miscela in studio. 32