INTERVISTA LE RETRIBUZIONI DEI TOP MANAGER Lo scandalo degli stipendi d’oro I dirigenti d’azienda non hanno nulla da spartire, in termini di tenore di vita e di compensi, con i pochi privilegiati che affollano le cronache mondane sui giornali. Ne parliamo con Sandro Catani, autore del libro Manager superstar Enrico Pedretti i troviamo nelle foto dei party più esclusivi del mondo, accanto ad attrici e calciatori, come se si trattasse di un’unica élite di miliardari privilegiati e sempre sotto i riflettori. Eccoli, i top manager: un pugno di professionisti strapagati che nulla hanno da spartire con il mondo L M reale della maggioranza dei dirigenti d’azienda. E se la parola manager è sempre più abusata e per l’opinione pubblica indica qualcuno che ha raggiunto un traguardo professionale importante e prestigioso guadagnando troppo, noi sappiamo bene che quelle didascalie sotto i reportage mondani sulle riviste patinate creano confusione tra ruoli in sostanza molto diversi. In un mercato del lavoro difficile come quello attuale i dirigenti sono i primi a subire le conseguenze dei tagli. E senza una buonuscita come quella di Alessandro Profumo. Il suo libro parla di top manager, una frangia di professionisti accostati ai divi di Hollywood, ai calciatori e agli sportivi più pagati. Perché questo titolo? «Le megaretribuzioni dei manager, così come quelle nel campo sportivo, artistico, letterario, possono essere spiegate dal talento e dalla reputazione di individui particolarmente dotati, le superstar, secondo l’ipotesi di Erwin Rosen, un grande economista di Chicago scomparso prematuramente, e condivisa da altri importanti economisti del capitale umano come Edward Lazear, Gary Becker, Andrew Huselid. La rarità di talento procura guadagni straordinari a chi lo possiede. È verosimile credere che il numero uno di un’azienda – o in altri campi Lionel Messi, Josè Mourinho, Daniel Barenboim, Angelina Jolie – possieda competenze superiori solo del 10% rispetto ai manager del suo primo livello, ma i benefici per i suoi guadagni saranno di gran lunga superiori. Vige la regola del torneo: “Il vincitore prende tutto”. Gli azionisti preferiscono pagare molto un personaggio reputato di talento rispetto a uno meno conosciuto, così come fanno i tifosi del calcio o gli spettatori al botteghino». Il libro punta l’obiettivo sulle megaretribuzioni dei top manager. Perché quei compensi possono essere considerati “scandalosi”? «I compensi sono scandalosi quando non sono correlati alle performance, quando sono espressione della forza contrattuale del manager rispetto al consiglio di amministrazione. Perché in questi casi l’azienda paga costi non dovuti (outrage cost). In secondo luogo, sono scandalosi quando il manager riceve 䊳 DIRIGENTE 11|2010 䡵 35 INTERVISTA un compenso elevato lasciando l’azienda, magari in condizioni non brillanti. In Italia il fenomeno della buonuscita d’oro colpisce l’opinione pubblica in occasione della pubblicazione dei bilanci annuali. Anche il caso recente della buonuscita di Profumo è poco edificante e solleva molti interrogativi sul rispetto degli standard del Financial stability board e delle direttive della Banca d’Italia. Un secondo livello di interrogativi riguarda la dimensione etica. La crisi e il problema della disoccupazione pongono il problema della compatibilità. Il tema non è sollevato solo dall’enciclica Caritas in Veritate, ma anche da molti notisti e da recenti saggi». Però stiamo parlando di poche mosche bianche, perché la stragrande maggioranza dei manager guadagna cifre ben più basse e si assume rischi quotidiani. «È vero, la retribuzione media dei dirigenti italiani è stimata in circa 100.000 euro all’anno lordi, perciò la maggior parte guadagna bene ma è distante dalle retribuzioni del vertice. In particolare in Italia, dove il modello manageriale è definito imperiale, la distanza retributiva tra l’amministratore delegato e il suo primo livello di riporto è di 6-8 volte. Si può stimare che un dirigente di prima nomina sia distante 30-40 volte rispetto al suo vertice. Le polemiche perciò non riguardano i dirigenti in senso generale anche se, paradossalmente, durante la fase acuta della crisi sono stati i dirigenti dei livelli più bassi e operativi a subire i rischi del bossnapping». Qual è il suo punto di vista sugli interventi governativi e le autorità di controllo sul tema della remunerazione dei manager? «Le polemiche nell’opinione pubblica hanno indotto i decision maker politici a occuparsi del problema della compensation con modalità e impegno inusuali. Il G20, la Commissione europea o le autorità di controllo dei mercati azionari sono intervenuti con una produzione di norme convergenti sulla responsabilità dei consigli Secondo Catani la rarità di talento procura guadagni straordinari a chi lo possiede: in azienda come in tanti altri campi avere competenze maggiori anche solo del 10% rispetto ai colleghi procura benefici e guadagni di gran lunga superiori. 36 䡵 DIRIGENTE 11|2010 d’amministrazione, la prevenzione del rischio, la trasparenza. Le norme hanno investito in primo luogo il settore finanziario in cui i sistemi di incentivazione erano sospettati di aver indotto comportamenti troppo rischiosi, successivamente i regolatori hanno dedicato la loro attenzione alle società quotate in generale. In Italia siamo indietro, salvo Bankitalia, nel fronteggiare la lezione. La revisione del Codice di autodisciplina delle aziende quotate non ha fatto grandi passi avanti. Le aziende e le loro rappresentanze sono poco attive. Il pericolo si è visto nella formulazione della legge Comunitaria, dove un voto bipartisan del Senato aveva fissato un tetto delle retribuzioni collegato alle retribuzioni dei parlamentari. Per fortuna la Camera dei deputati ha cancellato la norma e ha fissato in sua vece una delega al governo per regolare la relazione all’assemblea degli azionisti sulle politiche retributive dell’anno e di quello successivo. Credo che prevedere un voto consultivo dell’assemblea sui compensi sia un atto non rinviabile, in accordo con quanto ha ap- provato Obama in luglio e a quanto accade da tempo in paesi come Regno Unito, Svezia, Svizzera». Forse in Italia il vero problema riguarda la scarsa presenza di manager nell’economia: abbiamo solo 125mila dirigenti privati e non ci sono dubbi che la nostra economia, rispetto ai paesi più avanzati, soffra di un endemico gap manageriale. «La dirigenza è fondamentale. Il termine deriva dal latino dirigere e, come regere, aveva il senso di procedere in linea retta. Il re aveva il compito di tracciare i confini, diritti, retti, per assicurare il futuro della città. Per questo accanto alle competenze tecniche di cui il dirigente era, e dovrebbe rimanere un presidio fondamentale, i dirigenti hanno il ruolo di garanti del progresso e del bene comune. Ma la dirigenza non dovrebbe essere uno status raggiunto il quale l’individuo si adagia e diventa “fedele”, come ipotizza una recente ricerca della Fondazione DeBenedetti. Non è solo un problema di formazione, buona o cattiva che sia, i dirigenti che non vogliono diventare non utili al mercato del lavoro devono ricordarsi delle basi della loro legittimazione». La vita professionale dei manager è caratterizzata da rischi e sfide continue per raggiungere traguardi che l’azienda fissa sempre più in alto. Cosa pensa della retribuzione variabile legata alla performance e in che modo questa può effettivamente compensare il raggiungimento di risultati? «Il vero problema è che il pacchetto medio dei dirigenti italiani, tranne nelle grandi aziende o nelle multinazionali, ha una componente fissa troppo importante rispetto al variabile. Questo vale anche per i top manager rispetto ai loro omologhi di altri paesi, così come le altre categorie di lavoratori. La struttura retributiva deve misurare e collegare la produttività personale, dell’unità organizzativa di appartenenza e quella dell’azienda al compenso del dirigente». Spesso i manager sono tutt’altro che semidei e hanno così a cuore le sorti della propria impresa che sono disposti a fare tagli sui loro compensi. Ci può raccontare un caso che l’ha colpita? «Ho visto in alcune realtà (i nomi sono apparsi sui giornali) casi di rinuncia dei dirigenti a benefit o a tagli della retribuzione variabile (per effetto del non raggiungimento dei target) o di quella fissa. Ma nelle aziende quotate e note sono stati casi isolati. Forse sarebbe bene ripensare la struttura della retribuzione, dedicando più attenzione al variabile o al fondo pensione, che non proseguire nella ricerca di incrementi lenti ma costanti e nella richiesta di fringe benefit, come quello molto popolare presso i dirigenti delle auto, sempre più belle e ricche di optional». Nel libro cita i dati sui licenziamenti dei dirigenti forniti da Manageritalia durante l’apice della crisi e racconta i drammi di chi perde all’improvviso il lavoro. Cosa si sente di dire a queste persone e cosa riserveranno i trend occupazionali per il management nei prossimi mesi? «Nel libro racconto il caso paradigmatico di un dirigente che ha vissuto questa situazione. Da una grande multinazionale dove ricopriva un ruolo importante e ben retribuito a una situazione di grande difficoltà psicologica e sociale prima che economica. Come rapportarsi a vicini, amici, familiari? È un evento ahimè ormai diffuso e forse per alcuni aspetti più difficile per un dirigente che crolla improvvisamente che per altre categorie. Che suggerire? Che se è diventato un dirigente, superando la selezione per merito, ha certo capacità superiori che non sono andate perdute e tra queste capacità la voglia di rialzarsi e di riprendere un ruolo e un lavoro di soddisfazione come è accaduto al personaggio nel caso ricordato». 䡵 Sandro Catani lavora alla European House-Ambrosetti come responsabile della practice executive compensation nella consulenza per l'alta direzione. Sandro Catani Manager superstar Merito, giusto compenso e disuguaglianza sociale Prefazione di Luigi Zingales Garzanti Libri, 288 pagine, € 16.60 «Affermare che lo stipendio di Cristiano Ronaldo è eccessivo è come affermare che un quadro di Picasso vale troppo o che J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, guadagna troppo. Questi compensi sono il risultato della legge della domanda e dell’offerta: talenti scarsi ricevono compensi eccezionali. Ma perché negli ultimi tre decenni lo stipendio di manager, calciatori e attori è aumentato così a dismisura non solo in termini assoluti ma anche in termini relativi? Forse che Gigi Riva era meno bravo di Cristiano Ronaldo?» (dalla prefazione di Luigi Zingales) DIRIGENTE 11|2010 䡵 37