dottrina
A CIASCUNA VERIFICA IL SUO VERBALE DI CONSTATAZIONE
La Suprema Corte dice che la partecipazione del
contribuente alla fase istruttoria prevista dall’art. 12,
settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), e cioè la possibilità di
comunicare agli organi di controllo, al termine della
verifica da questi eseguita, le proprie osservazioni e
richieste, è una fase che insorge soltanto quando la
verifica si chiude con la redazione del verbale di constatazione.
Questa redazione, e qui sta il problema che intendiamo esaminare, sarebbe obbligatoria soltanto quando si
tratta di «ispezioni e verifiche fiscali eseguiti nei locali
destinati all’esercizio di attività commerciali industriali,
agricole, artistiche o professionali» (1).
Non sarebbe invece per nulla attuale nel caso delle c.d. verifiche «a tavolino», quando cioè si tratta di
controlli effettuati «a seguito di segnalazioni, rapporti,
comunicazioni ricevute da altri organismi od autorità,
nell’ambito dei rapporti di cooperazione, ovvero direttamente dalla Polizia giudiziaria … ovvero nel caso di accertamento effettuato … in base a documenti ed elementi
acquisiti a seguito di richieste, questionari od inviti».
Secondo alcune Commissioni tributarie (2), l’attività
di verifica deve invece sempre chiudersi, comunque si
svolga, con la redazione del processo verbale di constatazione. Per conseguenza, la fase istruttoria prevista
dal citato art. 12 della legge n. 212/2000 è un antecedente logico dell’avviso di accertamento.
Il divario di posizioni non è di poco conto, dipendendo da esso la legittimità dell’accertamento che non
sia stato preceduto da detta fase istruttoria.
Il processo verbale di cui si parla è un documento
ricognitivo di natura amministrativa (3). Di lui si oc(1) Così Cass., sez. trib., 26 settembre 2012, n. 16354, in
Boll. Trib. On-line.
(2) L’ultima tra queste, Comm. trib. prov. di Trento, sez.
I, 2 gennaio 2013, n. 1, in Corr. trib., 2013, 957, con nota di
F. TUNDO, Conferme sull’illegittimità dell’avviso di accertamento
notificato senza preventiva consegna del PVC. Nello stesso senso,
Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XII, 27 gennaio 2012, n.
4, in Boll. Trib., 2012, 947, secondo cui «qualunque attività di
natura istruttoria diretta alla verifica della dichiarazione tributaria o tale da comportare l’esame in ufficio dei documenti prodotti
dal contribuente stesso, su invito dell’Amministrazione finanziaria
è qualificabile come attività di verifica. In sostanza, ai fini dell’osservanza del principio del contraddittorio, il contribuente deve
essere posto in condizione di conoscere le rilevazioni eseguite e le
constatazioni effettuate, per consentire al contribuente stesso di
potersi difendere, presentando le opportune osservazioni».
(3) Cfr. Cass, sez. III pen., 13 maggio 1997, n. 4432, in Boll.
Trib. On-line. Il processo verbale di constatazione, redatto dalla
Guardia di finanza o dai funzionari degli Uffici finanziari, rientra nella categoria dei documenti extraprocessuali ricognitivi di
natura amministrativa (art. 234 c.p.p.). Non è, infatti, un atto
processuale, poiché non è previsto dal codice di rito o dalle
norme di attuazione (art. 207 disp. att. c.p.p.); né può essere
qualificato quale «particolare modalità di inoltro della notizia
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cupa il sesto comma dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633. «Di ogni accesso» si legge «deve essere
redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le
rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a
chi lo rappresenta e le risposte ricevute … Il contribuente ha diritto di averne copia». Anche l’art. 24 della legge
7 gennaio 1929, n. 4, sulla repressione delle violazioni
delle leggi finanziarie, si occupa del verbale: «le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono
constatate mediante processo verbale» (4).
Entrambe le norme dicono del modo in cui questa
attività di verifica, enumerata a mo’ di limite, deve essere verbalizzata (5). Nulla dicono in relazione al tema
che ci interessa, e cioè se esso verbale debba essere o
meno redatto anche in occasione delle verifiche senza
accesso nei locali del contribuente.
La soluzione del quesito richiede pertanto un’analisi
delle varie disposizioni che si interessano dell’argomento, non potendosi ritenere che il tutto possa risolversi
sulla base del contenuto letterale della norma dell’art.
52 sopra riportata e, soprattutto, sulla base dell’idea
che la stessa esaurisca la problematica in discorso.
Ad esempio, i libri ed i registri in corso di scritturazione, dice l’art. 51, non possono formare oggetto
di esibizione. La facoltà, per l’organo procedente, di
«eseguirne o farne eseguire copie o estratti», attiene alla
conservazione della prova e non tanto all’ispezione in
quanto tale. Essi vanno dunque ispezionati all’interno
dell’azienda.
Ancorché non coercibile, nulla vieta che il contribuente possa produrre avanti all’Ufficio tali libri e registri per renderne possibile l’ispezione senza l’accesso
di reato» (art. 221 disp. att. c.p.p.), in quanto i connotati di
quest’ultima sono diversi. Nel momento in cui emergono indizi
di reato, e non meri sospetti, occorre, però, procedere secondo
le modalità prescritte dall’art. 220 disp. att. c.p.p. Ne deriva
che la parte di documento, compilata prima dell’insorgere degli
indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre
non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano
state rispettate le disposizioni del codice di rito.
(4) Cfr. circ. 29 dicembre 2008, n. 1/G.d.F., in Boll. Trib.,
2009, 378; e M. REGGI, Le nuove verifiche tributarie, Milano,
2000, 117.
(5) Sul punto cfr. B. AIUDI, Brevi osservazioni sul processo
verbale, in Boll. Trib., 1987, 561; e F. TUNDO, Processo verbale di constatazione a garanzia del contraddittorio nella fase di
verifica, in Corr. trib., 2011, 2089, in nota a Cass., sez. trib.,
12 maggio 2011, n. 10381, secondo cui «qualora sia stato effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività
o negli altri luoghi indicati dall’art. 52 Dpr 26 ottobre 1972 n.
633, i funzionari che hanno proceduto sono tenuti a redigere
processo verbale secondo le indicazioni contenute nel comma 6
del medesimo art. 52, che non prescrive affatto, tantomeno a
pena di nullità, che nello stesso debbano essere formulati rilievi
o addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata soltanto
all’acquisizione di dati, elementi, notizie, successivamente utilizzabili dall’Amministrazione per l’emanazione dell’eventuale avviso
di accertamento».
dottrina
nei suoi locali. Siccome all’interno della procedura di
accertamento dell’imposta, il processo verbale è l’unico atto che svolge la funzione di prova dei fatti che
in tale ispezione vengono acclarati, ne deriva che, se
al termine di questa ispezione il verbale non venisse
redatto, di questa non rimarrebbe alcuna traccia.
A parte questo, certo è che il contenuto e le modalità di tale ispezione sarebbero identiche a quelle
eseguite in occasione dell’accesso.
Ancora. L’art. 24 della legge n. 4/1929 sopra riportato non fa alcuna distinzione in relazione al modo
in cui le operazioni di verifica si svolgono. Dice solo
che le violazioni alle leggi finanziarie debbono essere
constatate mediante il processo verbale.
La norma di cui all’art. 5-bis del D.Lgs. 19 giugno
1997, n. 218, nel testo introdotto dal D.L. 25 giugno
2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla legge
6 agosto 2012, n. 133), prevede che «Il contribuente
può prestare adesione anche ai verbali di constatazione
in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore
aggiunto redatti ai sensi dell’articolo 24 della legge 7
gennaio 1929, n. 4».
Conditio sine qua non per usufruire di questa opportunità è l’esistenza di un verbale di constatazione.
Difficile pensare che questa norma, contenuta nel decreto sull’accertamento per adesione, le cui regole si
applicano «ad ogni controversia tributaria e, perciò, a
ogni questione di fatto e diritto di estimazione semplice
e complessa» (6), possa applicarsi soltanto alle violazioni che vengano accertate in occasione degli accessi
nei locali del contribuente.
La Corte di Cassazione è sempre stata restia a riconoscere l’obbligatorietà del contraddittorio amministrativo prima della notifica dell’avviso di accertamento (7).
Anche in questo caso, la sua posizione si ferma all’analisi letterale delle disposizioni normative, nessuna delle
quali impone all’Amministrazione finanziaria di farlo.
Per quanto a nostra conoscenza, questa posizione risale alla sentenza della Corte di Cassazione n.
11094/1999 (8). Si discuteva di un avviso di accertamento che si basava sulle presunzioni legali collegate
alle operazioni bancarie del contribuente. Durante la
verifica, la Guardia di finanza aveva chiesto al contribuente di dimostrare che la determinazione del reddito
imponibile teneva conto di tali operazioni.
Pareva dunque normale che l’Ufficio non fosse obbligato a ripetere la fase dialettica che si era già svolta
avanti a quest’ultima (9). A parte i principi di economicità dell’azione amministrativa, è certo che l’art.
63 del D.P.R. n. 633/1972 attribuisce alla Guardia di
(6) Così F. GALLO, La natura giuridica dell’accertamento con
adesione, in Riv. dir. trib., 2002, 435.
(7) In relazione a queste problematiche cfr. F. FIORDALISI,
Sull’applicabilità del termine di 60 giorni ex art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, agli avvisi di recupero di crediti
d’imposta indebitamente utilizzati, in Boll. Trib., 2012, 1247, con
ivi gli opportuni richiami alla giurisprudenza e alla dottrina.
(8) Così Cass., sez. I, 6 ottobre 1999, n. 11094, in Boll.
Trib., 2000, 220; questa la massima: «nessuna norma impone
la convocazione del contribuente in sede amministrativa, prima
dell’accertamento, per giustificare le operazioni bancarie oggetto di
verifica; ciò in quanto l’ufficio può sicuramente agire, con il ritiro eventuale del provvedimento nella fase di autotutela, in caso
di osservazioni e/o giustificazioni proposte dall’interessato anche
dopo il suo intervento nella stesura del verbale di constatazione
della Guardia di finanza».
(9) Cfr. B. AIUDI, Rilevanza presuntiva delle movimentazioni
bancarie ed interpello del contribuente, in Boll. Trib., 2000, 165.
finanza il potere di procedere «secondo le norme e con
le facoltà di cui agli articoli 51 e 52 alle operazioni ivi
indicate» (10).
Per strano che possa sembrare, la sentenza è poi
divenuta il paradigma della tesi volta a negare tout
court la necessità del preventivo interpello del contribuente. Si è venuto così affermando che la legittimità
dell’accertamento non è per nulla subordinata al preventivo interpello del contribuente volto a instaurare
il contraddittorio amministrativo.
Posizione, questa, da ultimo confermata dalla Corte
di Cassazione (11) secondo cui l’accertamento basato
sulla utilizzazione dei dati relativi alle movimentazioni
bancarie è legittima «ancorché senza previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase
dell’accertamento, atteso che la legge tributaria lo prevede come mera facoltà dell’amministrazione tributaria e
non già come obbligo» (12).
Se la convocazione del contribuente non condiziona
dunque l’applicazione della presunzione legale prevista
dall’art. 52, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972
(13), ciò significa che questa fase volta a consentire al
contribuente di fornire i necessari chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei suoi conti bancari, deve
essere necessariamente effettuata in sede contenziosa.
Un accertamento che scambia, ad esempio, per ricavi tutte le operazioni finanziarie annotate nelle colonne
“dare” e “avere” di un mastro di conto corrente, volutamente omettendo l’accertamento della condizione di
legge per rendere operante una tale presunzione, questo impone: ricorrere al giudice tributario per risolvere
una questione prettamente amministrativa (14).
(10) Cfr. circ. 19 ottobre 2006, n. 32/E, in Boll. Trib., 2006,
1617, «qualora tale fase dialettica sia stata svolta con l’intervento
di altro organo competente e, segnatamente, dalla Guardia di
finanza, il contributo offerto da tale contraddittorio, se ritenuto
appagante per l’analisi dell’ufficio, esonera quest’ultimo dalla successiva ripetizione dell’esperimento, semprechè formalizzato in un
processo verbale. Peraltro siffatta interpretazione, oltre a rispettare
i principio di economicità, efficienza, efficacia e trasparenza dell’azione amministrativa, si rivela altresì coerente con lo stesso
dettato normativo che prevede - sia d’iniziativa che su richiesta
dell’ufficio - la collaborazione della Guardia di finanza, tanto ai
fini istruttori che repressivi, estendendole norme e le facoltà di
cui agli artt. 51 e 52 del Dpr n. 633 del 1972 e dell’art. 32 del
Dpr n. 600 del 1973 e, quindi, chiaramente, coinvolgendola anche
per l’instaurazione del contraddittorio».
(11) Cfr. Cass., sez. trib., 10 gennaio 2013, n. 446, in Boll.
Trib. On-line.
(12) Nello stesso senso, tra le altre, era andata Cass., sez. trib.,
7 settembre 2007, n. 18868, e, prima ancora, Cass., sez. trib., 16
settembre 2005 n. 18421, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(13) Così Cass., sez. trib., 2 dicembre 2005, n. 26293, in
Boll. Trib. On-line.
(14) Vero quanto afferma (è possibile dubitare?) Corte Cost.
24 luglio 2009, ord. n. 244, in Boll. Trib., 2009, 1724, con nota di F. BRIGHENTI, Avviso di accertamento anticipato: è nullo
se manca la motivazione sull’urgenza, che il procedimento di
accertamento tributario non ha natura processuale, esso dovrebbe concludersi nella fase amministrativa senza appendici
o code obbligatorie nella fase processuale. Il ricorso che ne
segue non si caratterizza pertanto come libera espressione del
diritto di difesa, ma come strumento atto a completare l’istruttoria deputata alla emanazione dell’atto impositivo. E ciò senza
dire che quando la legge dispone l’applicabilità di determinate
presunzioni: «se il contribuente non dimostra, che ne ha tenuto conto, ecc.» ci si trova di fronte ad un periodo ipotetico
costituito da una proposizione subordinata condizionale «se il
contribuente non dimostra», e dalla sua reggente «i dati sono
posti a base delle rettifiche». In tale periodo, la proposizione
condizionale che contiene l’ipotesi esprime la condizione da
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Un atto di questo genere è tutt’altro rispetto al principio di legalità e imparzialità dell’azione amministrativa
(15), e stravolge il principio secondo cui l’accertamento
è l’anello finale di un’attività istruttoria condotta sulla base delle regole di cui agli artt. 37 del D.R.R. 29
settembre 1973, n. 600, e 51 del D.P.R. n. 633/1972.
Condizione che di certo non ricorre se l’Amministrazione finanziaria rimette deliberatamente alla fase contenziosa, con ciò rendendola obbligatoria, l’acquisizione di
quelle circostanze di fatto, positive o negative, necessarie a rendere compiuto il suo argomentare.
E questo senza dire che, così facendo, si fa correre
al contribuente un rischio del tutto nuovo e singolare:
non riuscire a dimostrare, per ragioni di stampo prettamente processuali, l’onere probatorio che gli compete. Chi pratica il processo tributario conosce perfettamente l’attualità di questo asserto.
Rischio, questo che mal si concilia, sul piano della
parità di trattamento, rispetto a chi questo onere è invece chiamato ad assolvere di fronte ad un funzionario
dell’Amministrazione che si apre alla conoscenza delle
circostanze che il contribuente gli sottopone con spirito di leale collaborazione e senza i condizionamenti e
le formalità che caratterizzano il processo.
Il fatto che, come prova a minimizzare la Corte di
Cassazione (16), il contribuente potrebbe fornire all’Ufficio dati e informazioni anche dopo la notifica delcui dipende quanto si afferma nella proposizione reggente; nel
caso specifico, «i dati sono posti a base delle rettifiche», esprime
la conseguenza che deriva dal realizzarsi della condizione «se
il contribuente non dimostra». In un periodo così congegnato,
l’ordine cronologico delle due azioni vuole dunque che l’ipotesi prevista nella proposizione reggente, e cioè l’utilizzazione
dei dati bancari ai fini dell’accertamento, segua la mancata
dimostrazione da parte del contribuente della circostanza sopra
riferita e cioè che le operazioni bancarie hanno partecipato al
calcolo della base imponibile ovvero che non avevano rilevanza
a questo fine. In questo senso pare evidente che l’asserto della
Corte di Cassazione, laddove tende a svalutare l’ordine temporale delle due azioni, indifferente essendo il fatto che i dati
bancari siano posti a base delle rettifiche e degli accertamenti
prima ancora che al contribuente sia stata offerta l’opportunità
di «conciliarli» con il contenuto della sua dichiarazione, si pone
in contrasto con il tenore letterale della norma.
(15) A questo proposito F. TESAURO, Istituzioni di diritto
tributario, Torino, 2011, 167, dice che «il contraddittorio nei
procedimenti amministrativi è … obbligatorio secondo il diritto
dell’Unione europea. Ed è tale anche secondo il diritto interno
perché l’art. 1 della legge 241 richiama i principi dell’ordinamento
comunitario. Inoltre, l’obbligatorietà del contraddittorio deriva dai
principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione
sanciti dall’art. 97 Cost.». Sulle garanzie del contribuente derivanti dai principi generali dell’ordinamento, e in particolare sul
principio di coerenza (ex art. 3 Cost.), di legalità (ex art. 23
Cost.) e di imparzialità (ex art. 97 Cost.) cfr. F. MOSCHETTI, Procedimenti tributari e garanzie del cittadino, Padova, 1984, 48.
(16) Cfr. Cass., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14026, in Boll.
Trib. On-line, secondo cui «è legittima l’utilizzazione da parte
dell’Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti
bancari … intercorsi tra la banca ed il contribuente anche se
questo non è stato previamente convocato per giustificare le operazioni oggetto di verifica, sia perché nessuna norma impone in via
generale l’obbligo di previa convocazione prima dell’accertamento,
sia perché non subisce pregiudizi il diritto di difesa del contribuente, che può essere esercitato non solo nella fase contenziosa,
ma anche subito dopo l’accertamento, mediante la procedura di
definizione con adesione, durante la quale sono sospesi il termine per l’impugnazione dell’avviso di accertamento, il termine per
eseguire il pagamento dell’imposta e la stessa iscrizione a ruolo
delle somme liquidate, così da consentire al contribuente di fornire
dati ed informazioni al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri
di autotutela della p.a.».
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l’accertamento, per «sollecitare l’attivazione dei poteri in
autotutela», elude semplicemente il problema. Di certo,
non lo risolve.
Ancora. A differenza di quanto avviene nel processo
civile, il cui giudice è chiamato ad accertare, in reciproca posizione di parità fra le parti, la consistenza
del rapporto oggetto di giudizio, nel processo tributario
entra in gioco un atto impositivo capace sin da subito
di incidere nella sfera patrimoniale del contribuente attraverso l’immediata riscossione dell’imposta accertata.
Un effetto di questo genere presuppone evidentemente
che l’iter amministrativo che ha portato alla emanazione dell’atto impositivo si sia svolto in conformità alle
norme e ai principi sopra menzionati.
La posizione assunta dalle Commissioni di merito,
per cui l’attività di verifica deve sempre concludersi
con la redazione del verbale di constatazione, e questo
sia quando essa verifica si svolge presso la sede del
contribuente che presso l’Ufficio impositore, rappresenta una sorta di rivoluzione copernicana.
Se, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di
Cassazione nella sentenza n. 16354/2012 sopra citata,
la redazione del verbale di constatazione diventa un
obbligo che si collega ad ogni verifica, e dunque non
soltanto a quelle che si svolgono previo accesso degli
agenti presso la sede del contribuente, la questione
della effettività del contraddittorio intesa come forma
di partecipazione del contribuente al procedimento di
accertamento, può dirsi risolta.
Il passaggio chiave della questione è questo. Se il
contribuente viene posto nella condizione di conoscere
le risultanze a suo carico attraverso la consegna del
verbale di constatazione, egli può utilizzare la facoltà
prevista dall’art. 12 della legge n. 212/2000 con la presentazione di eventuali memorie, documenti e quant’altro da lui ritenuto necessario per l’accertamento della
realtà dei fatti (17).
Sul contraddittorio si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (18). Si
discuteva degli studi di settore, ma il monito finale
ne supera di gran lunga i confini. Il contraddittorio,
si legge, «deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima
l’azione amministrativa». L’inciso fra parentesi «anche
in assenza di una espressa previsione normativa», deve
essere opportunamente evidenziato.
Se il contatto dialettico con il contribuente è un
«elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento», questo significa che solo offrendo a quest’ultimo l’occasione per allegare quanto necessario per far
emergere la realtà economica della sua attività, l’azione amministrativa diventa legittima.
Se questo non si fa, se si fa strada l’idea che le
(17) Per F. TUNDO, Illegittimo l’avviso di accertamento emanato dopo gli accessi in assenza del verbale di chiusura, in Corr.
trib., 2013, 28, «attraverso il micro procedimento introdotto
dallo Statuto il contribuente può, con uno sforzo più intenso,
introdurre elementi valutativi più articolati di quelli offerti in
sede di verifica nonché argomentazioni in diritto, precedenti giurisprudenziali, punti di vista della dottrina, al fine di convincere
l’Amministrazione della correttezza del proprio comportamento e
della fondatezza delle scelte effettuate».
(18) Così Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll.
Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici
quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente
orientata delle Sezioni Unite.
dottrina
ragioni dell’erario consentono l’immediata notifica
dell’avviso di accertamento, si finisce con lo scaricare
sul giudice tributario funzioni e competenze diverse
da quelle che gli appartengono, quali quelle di amministrazione attiva. Funzioni che, come la Consulta ha
ricordato nella citata ordinanza n. 244/2009, per nulla
gli competono.
Non per niente, la novella dell’art. 7 del D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, sul contenzioso gli ha sottratto
i poteri istruttori del vecchio testo, limitandoli a quelli
necessari a conoscere «i fatti dedotti dalle parti». Così
rendendo chiaro che il suo compito è soltanto quello
di valutare le ragioni ed il profilo probatorio che sono
alla base dell’accertamento oggetto di giudizio (19).
Nel codice di procedura penale, alla cui disciplina
l’art. 70 del D.P.R. n. 600/1973 rinvia «per quanto non
è diversamente disposto», è previsto che la conclusione
delle indagini preliminari venga comunicata al soggetto indagato con apposito avviso. In questo avviso, dice
l’art. 415-bis c.p.p., deve essere espressamente specificato «che l’indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti,
depositare documentazione relativa ad investigazioni del
difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento
di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad
interrogatorio».
Si dirà che il pubblico ministero deve svolgere, in
ottemperanza dell’art. 358 c.p.p., anche «accertamenti
su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini». Il fatto che l’indagato sia chiamato a
contribuire a queste indagini con eventuali allegazioni,
rientra dunque a pieno titolo in questo spirito di ricerca della realtà dei fatti.
Se questo è vero, è altrettanto vero che anche l’Amministrazione finanziaria deve cercare la verità quando
indaga sul presupposto d’imposta previsto dalla legge.
A fronte dell’art. 2 Cost., laddove si richiede al cittadino «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», c’è infatti l’art. 23
(19) Sui poteri istruttori delle Commissioni tributarie cfr. E.A.
SEPE, in A. AMATUCCI - F.M. D’IPPOLITO (a cura di), Sistema di
garanzie e processo tributario, Napoli, 2005, 245; e B. AIUDI, I
poteri istruttori delle commissioni tributarie. Osservazioni sulla
prova testimoniale, in Boll. Trib., 1993, 1349.
il quale aggiunge che questi doveri di solidarietà non
possono essere imposti «se non in base alla legge».
L’art. 12 della legge n. 212/2000 laddove prevede che
«il contribuente può comunicare entro sessanta giorni
osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori» ricalca esattamente questa logica. Anche qui,
al pari di quanto avviene avanti al magistrato penale,
si vuole garantire che la notifica dell’avviso di accertamento avvenga previa la opportuna valutazione critica
delle osservazioni del contribuente (20).
Per ottenere ciò, per garantire l’opportuna cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente,
bisogna superare l’idea che il contraddittorio sia legato alle sole ipotesi in cui la legge esplicitamente lo
richiama, come ad esempio nell’art. 37-bis del D.P.R.
n. 600/1973 sulle disposizioni antielusive. La corretta
applicazione del principio alla base dell’art. 12 della
legge n. 212/2000 vuole che, come ha anche ricordato
la Corte di Giustizia europea (21), i soggetti destinatari
di provvedimenti impositivi siano «messi in condizione
di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito
agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare
la sua decisione».
L’obbligo di procedere in questo modo, prosegue la
Corte, incombe sulle Amministrazioni «quand’anche la
normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità».
In conclusione, se da un lato è vero che il primo
obiettivo del contraddittorio è quello di tutelare il contribuente nei confronti di pretese erariali non debitamente istruite, è altrettanto vero che questo è anche
l’esatto interesse dell’Amministrazione finanziaria la
quale ha tutto il vantaggio, attraverso la partecipazione
attiva del contribuente al procedimento di formazione
dell’atto definitivo, di pervenire in tempi rapidi alla determinazione dell’obbligazione tributaria in conformità
alla reale capacità contributiva del medesimo.
Bruno Aiudi
(20) Sulla illegittimità dell’avviso di accertamento che omette di valutare le memorie difensive, cfr. Comm. trib. prov. di
Reggio Emilia, sez. IV, 1° febbraio 2012, n. 10, in Boll. Trib.
On-line.
(21) Cfr. Corte Giust. UE, sez. II, 18 dicembre 2008, causa
C-349/07, in Boll. Trib. On-line.
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