L'occhio e gli strumenti ottici. L'occhio è un sistema ottico che forma sulla retina un'immagine reale dell'oggetto da esaminare. Una delle principali funzioni dell'occhio è quindi di rifrangere i raggi di luce in modo tale che vadano a fuoco sulla retina: il sistema ottico dell'occhio (il cui elemento essenziale è il cristallino, una lente convergente con distanza focale variabile) deve essere quindi molto potente per focalizzare i raggi di luce in un breve spazio. Il cristallino è una lente biconvessa ad assetto variabile, che serve per l'accomodamento dell'occhio: infatti il suo spessore può variare grazie a muscoli specifici, i muscoli ciliari, in modo che l'immagine si formi sempre sulla retina. Quando i muscoli sono a riposo il cristallino mette a fuoco sulla retina oggetti molto lontani; per focalizzare oggetti più vicini i muscoli si contraggono aumentando così la curvatura della superficie del cristallino. La formazione dell'immagine sulla retina non è comunque sufficiente a spiegare la visione, che in realtà è un fenomeno molto complesso e necessita dell'intervento del cervello. Le immagini raccolte dalla retina passano, sotto forma di impulsi nervosi, nei due nervi ottici e raggiungono le cellule dell'area visiva della corteccia cerebrale dove le immagini vengono raddrizzate. Grazie al suo potere di accomodamento, il cristallino di un occhio normale e senza difetti riesce a mettere a fuoco distintamente ed immediatamente qualunque oggetto posto tra l'infinito e una distanza di circa 25 cm, detta distanza della visione distinta, che è la più favorevole distanza alla quale un oggetto può essere focalizzato sulla retina senza sensibile sforzo di adattamento. L'occhio però può vedere distintamente anche a distanze minori. Le distanze estreme per le quali è ancora possibile una visione distinta sono dette punto remoto e punto prossimo dell'occhio. Il punto remoto di un occhio normale è l'infinito. La posizione del punto prossimo dipende dalla massima curvatura che può assumere il cristallino durante il processo di accomodamento e varia da persona a persona; con l'età (intorno ai 45 anni) si allontana in quanto il cristallino perde in parte la sua capacità di adattamento (presbiopia). In tutte le situazioni in cui i raggi luminosi, per svariati motivi, non sono focalizzati sulla retina si configura pertanto un errore di rifrazione. I più comuni difetti ottici dell'occhio si hanno quando i raggi luminosi provenienti dall'infinito non vanno a fuoco sulla retina, ma davanti (miopia) o dietro (ipermetropia e presbiopia), oppure parte sulla retina e parte davanti o dietro (astigmatismo). Difetti che dipendono dalla struttura dell'occhio sono la miopia e l'ipermetropia. La miopia è associata ad un allungamento del bulbo oculare in conseguenza del quale l'immagine di un oggetto posto all'infinito non si focalizza sulla retina, ma davanti ad essa. Il punto remoto è a una distanza finita dall'occhio e il punto prossimo è ulteriormente ravvicinato rispetto al valore normale. La miopia non richiede correzione per la visione ravvicinata, mentre per la visione a grande distanza esige l'uso di lenti divergenti. In un occhio ipermetrope il bulbo oculare è accorciato rispetto a quello normale e perciò i raggi provenienti da un punto all'infinito cadono oltre la retina. L'ipermetropia si corregge con l'uso di lenti convergenti, che permettono di focalizzare gli oggetti all'infinito sulla retina. Altri difetti dell'occhio, che dipendono dal cristallino, sono la presbiopia e l'astigmatismo. La presbiopia consiste nell'incapacità di contrarre e di distendere il cristallino per realizzare l'accomodamento più opportuno. Un occhio presbite perciò vede distintamente gli oggetti all'infinito, mentre non è più, o quasi, in grado di focalizzare gli oggetti vicini. La presbiopia non richiede correttivi per la visione a grande distanza, mentre per la visione a piccola distanza richiede lenti convergenti che forniscono l'opportuno accomodamento. Questo difetto progredisce con l'avanzare dell'età poiché il potere di accomodamento si riduce e il punto prossimo si allontana. Anche l'astigmatismo è un difetto del cristallino che si presenta quando le superfici del cristallino hanno un raggio di curvatura diverso nei differenti piani meridiani e presentano un potere diottrico differente per i raggi luminosi contenuti in piani meridiani diversi. Questo difetto può essere corretto con lenti i cui raggi di curvatura formano con il cristallino un sistema avente la stessa distanza focale in tutti i piani meridiani. Lenti di questo tipo sono dette cilindriche perché, in casi particolari, sono tagliate da un blocco di vetro cilindrico anziché sferico. Quando si vuole esaminare un piccolo oggetto nei suoi dettagli, lo si avvicina il più possibile agli occhi, affinché l'angolo di osservazione sia il più piccolo possibile e l'immagine retinica la più grande possibile, ma la minima distanza alla quale l'occhio può adattarsi è quella del punto prossimo, quindi si deve ricorrere all'uso di sistemi di lenti ed in particolare al microscopio semplice o a quello composto. Il microscopio semplice è una lente convergente posta tra l'occhio e l'oggetto da osservare in modo che quest'ultimo si trovi in posizione intermedia tra il primo piano focale e la lente stessa. In tali condizioni la lente fornisce un'immagine virtuale, diritta e ingrandita dell'oggetto osservabile dall'occhio anche se si trova ad una distanza dall'oggetto inferiore alla distanza di visione distinta. Per le immagini retiniche non si parla di ingrandimento lineare, dato dal rapporto fra le dimensioni lineari dell'immagine e dell'oggetto, perché il cristallino non è una lente sottile e non gli si possono applicare relazioni semplificate (equazione delle lenti sottili). L'ingrandimento angolare, ottenuto osservando con una lente convergente (d'ingrandimento) un oggetto posto tra il fuoco e la lente stessa, è misurato dal rapporto fra l'angolo visuale sotteso dall'immagine dell'oggetto e l'angolo visuale sotteso dall'oggetto posto alla distanza della visione distinta M= θ . θ0 Se l'oggetto è posto molto vicino al fuoco (p ≈ f), l'angolo θ sotto cui l'occhio vede l'immagine virtuale dell'oggetto è approssimativamente dato da θ ≈ h' / d ≈ h / p ≈ h / f , dove h è l'altezza dell'oggetto, h' l'altezza dell'immagine virtuale, f la lunghezza focale della lente e d la distanza della visione distinta, circa 25 cm. (Da considerazioni di carattere trigonometrico, sarebbe tan θ = h' / d, ma essendo tali angoli in genere piccoli, si può approssimare il valore della tangente dell'angolo con il valore dell'angolo misurato in radianti.) L'angolo θ0 sotto cui l'occhio vedrebbe lo stesso oggetto, qualora non si facesse uso della lente ed esso fosse disposto alla distanza della visione distinta (d = 25 cm), è dato da θ0 = h / d. Il rapporto tra tali angoli dà una misura di quanto siano aumentate le corrispondenti immagini retiniche e rappresenta l'ingrandimento angolare M. Si ha quindi M= θ h/ f 25 cm = = θ0 h / d f Dalla relazione risulta che l'ingrandimento angolare di una lente convergente è tanto più grande quanto più piccola è la sua lunghezza focale. Praticamente però, a causa delle aberrazioni che intervengono, non si possono utilizzare lenti con lunghezza focale inferiore a 20-30 mm. Di conseguenza il massimo ingrandimento angolare ottenibile con una singola lente è di 8-10 volte. Il fenomeno dell'aberrazione cromatica è dovuto al fatto che la luce bianca è composta di radiazioni elettromagnetiche di varie frequenze che si manifestano agli occhi con vari colori. Il fenomeno della rifrazione è diverso per radiazioni di colori diversi. La luce rossa viene deviata da una lente meno della luce violetta. Il risultato di questo fenomeno è che si hanno in realtà più fuochi, uno per ogni colore e quindi l'immagine risulta sfuocata. Ingrandimenti maggiori si possono raggiungere grazie al microscopio composto, un sistema di due lenti convergenti dette, rispettivamente, obiettivo e oculare. L'oggetto da osservare O viene posto davanti all'obiettivo (ad una distanza maggiore della sua lunghezza focale), che ne fornisce un'immagine I1 reale, capovolta e ingrandita. Questa immagine viene fatta cadere davanti all'oculare a distanza opportuna (minore della distanza focale dell'oculare), che ne dà un'altra I2, virtuale, ingrandita e capovolta rispetto all'originale. In pratica queste due lenti sono a loro volta costituite da combinazioni di lenti diverse tali da correggere e ridurre al minimo le aberrazioni, ma dal punto di vista funzionale il discorso non muta. Un'altra applicazione delle leggi dell'ottica geometrica si ha nella costruzioni di telescopi, cannocchiali e binocoli, tutti strumenti utili ad ingrandire oggetti lontani. Si chiamano telescopi rifrattori o rifrangenti se, essendo formati da lenti, sfruttano il fenomeno della rifrazione; telescopi riflettori o riflettenti se utilizzano uno specchio per la convergenza dei raggi di luce. I telescopi galileiano e kepleriano sono rifrattori, il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a riflessione. Galileo, negli anni 1609 e 1610, costruì ed utilizzò, prima per uso terrestre-militare e poi astronomico, il telescopio (o cannocchiale) che porta il suo nome utilizzando la tecnologia delle lenti che stava nascendo in quegli anni in Olanda. Galileo non fu quindi l'inventore del telescopio, ma è riconosciuto essere stato il primo che lo utilizzò per osservare il cielo. Il telescopio galileiano utilizza una lente convergente come obiettivo ed una lente divergente come oculare e permette di ottenere immagini virtuali, diritte ed ingrandite. Il telescopio kepleriano utilizza due lenti convergenti: la prima immagine I1 dell'oggetto luminoso prodotta dall'obiettivo, reale, capovolta e rimpicciolita, si forma oltre il fuoco Fo dell'obiettivo. L'oculare ha il proprio fuoco Fe posto in modo che la prima immagine I 1 sia posizionata fra Fe stesso e l'oculare. Si forma perciò una seconda immagine I2 virtuale, diritta (rispetto ad I1) ed ingrandita. L'osservatore vede perciò una immagine virtuale, rovesciata ed ingrandita dell'oggetto. L'ingrandimento è dato dal rapporto fra la focale dell'obiettivo e la focale dell'oculare. Diminuendo, a parità di focale dell'obiettivo, la focale dell'oculare, in teoria, si potrebbero ottenere quindi immagini ingrandite quanto si vuole, ma aumentando l'ingrandimento oltre certi limiti, si ottengono immagini sempre peggiori a causa della diminuzione della luminosità e dell'aberrazione cromatica. Newton conosceva i fenomeni di dispersione della luce (scomposizione nei vari colori) per cui pensò di utilizzare uno specchio concavo per fare convergere i raggi di luce. In questo modo, non usando più il fenomeno della rifrazione, si ottiene una prima immagine presso il fuoco dello specchio non soggetta ad aberrazione cromatica. Con una lente convergente, usata come oculare, si ottiene poi l'immagine finale ingrandita (ingrandimento però soggetto alle limitazioni dei fenomeni di diminuzione della luminosità e dell'aberrazione cromatica causata dall'oculare). I raggi riflessi dallo specchio concavo (specchio primario) del telescopio (di solito parabolico o sferico di piccola apertura) vengono deviati lateralmente da uno specchio piano (specchio secondario) ed inviati all'oculare per l'ingrandimento dell'immagine. Per questo motivo, una parte centrale dello specchio non viene utilizzata per l'osservazione (lo specchio secondario copre la parte centrale dello specchio primario). Il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a specchio. Successivamente vennero fatte molte modifiche migliorative al telescopio newtoniano originario che portarono alla creazione di diverse tipologie di telescopi a riflessione il cui principio di funzionamento è analogo.