Recensioni, segnalazioni, commenti Numero 6 – 6 Novembre 2013 MORIRE DI NON LAVORO. La crisi nella percezione soggettiva di Elena Marisol Brandolini Ediesse Editore, settembre 2013, 156 pp. «Volevo scrivere un libro sugli ultimi, su quelli che sono diventati gli ultimi con questa crisi e non ce la fanno più; oppure vanno avanti, inventandosi strategie di sopravvivenza. Volevo osservare, raccontare, non dare risposte, parlare di condizioni concrete, di donne e uomini concreti, provare a individuare alcune suggestioni. Volevo fare una denuncia delle classi dirigenti e di questa politica che non si occupa delle persone. Lo so, è qualcosa che mi riguarda, molto. È stata la mia personale strategia per resistere, fino a qui». Con queste parole, l’autrice introduce un punto di vista differente sulla crisi economica, quello delle persone che ne sono colpite, denunciando le politiche di rigore dell’Unione Europea che strangolano le economie dei paesi e peggiorano le condizioni di vita dei cittadini, minandone la salute psico-fisica. L’indagine sulla percezione soggettiva della crisi, proposta attraverso la tecnica del focus group, è applicata alle situazioni italiana e spagnola/catalana, permettendone una lettura comparata, da cui emergono similitudini, peculiarità e differenze di comportamento rispetto a politiche che producono sofferenza e umiliazione nelle popolazioni, incontrando rabbia nelle piazze e disperazione nell’isolamento. Fino al suicidio, come risposta individuale che si fa collettiva e riempie di sé la cronaca degli ultimi anni. Mentre si strutturano strategie singole e di gruppo messe in atto dalle persone per resistere. Leggi la recensione sul sito del Redattore Sociale IMMIGRAZIONE IRREGOLARE E WELFARE INVISIBILE. Il lavoro di cura attraverso le frontiere di Maurizio Ambrosini Il Mulino, settembre 2013, 296 pp. Benché avversata da politiche di contrasto sempre più decise, l’immigrazione irregolare ha continuato a riprodursi e ha richiesto ripetute misure di regolarizzazione. Ad alimentarla prima di tutto sono le famiglie, specialmente quelle impegnate nell’assistenza ai congiunti anziani. Non è possibile, infatti, tenere insieme la chiusura all’immigrazione e l’attribuzione alla famiglia dei principali compiti di cura delle persone. Così, nell’ambito familiare, i temuti immigrati irregolari diventano meritevoli assistenti a domicilio degli anziani. Il volume esplora risorse e pratiche di questa difficile esistenza precaria, al di fuori di ogni stereotipo che dipinge gli irregolari alternativamente come malfattori o vittime. Maurizio Ambrosini è docente di Sociologia delle migrazioni nell’Università di Milano. È responsabile scientifico del Centro studi Medì - Migrazioni nel Mediterraneo di Genova, dirige la rivista «Mondi migranti» e la Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni. L’esercito degli immigrati irregolari in Italia, in Europa e nel mondo è a quanto pare, un fenomeno destinato a crescere nonostante le politiche di restrizione che i governi si prefiggono di attuare… Leggi la recensione sul sito del Redattore Sociale UNA VOLTA ERA UN PAESE. La exJugoslavia vista dalle scuole di Stefano Tallia Scribacchini Editore, 2013, 96 pp. Nato dalle esperienze di Terre e Libertà, è un bellissimo testo raccontato dagli occhi di un volontario. Stefano Tallia, giornalista Rai, racconta infatti in questo libro tre viaggi fra la Serbia e il Kosovo svolti con Ipsia tra il 2011 e il 2012. Un diario dello stupore, non sempre positivo, che il viaggiatore dei Balcani prova ogni qualvolta si confronti con i residui bellici di un conflitto, nemmeno troppo distante nel tempo, che ha dilaniato quello che, una volta, era un paese. «La ex Jugoslavia – è scritto nella prefazione - è terra di gente aperta e ospitale. Gente che, fino al 1991, ha vissuto in pace ignorando le differenze tra cattolici, ortodossi, musulmani, serbi e croati. Tutti erano, semplicemente, cittadini della Jugoslavia. Molti di loro, orgogliosamente. Poi qualcuno, a un certo punto, ha iniziato ad agitare la bandiera dell’identità, disegnando confini che la storia aveva cancellato o che non erano mai esistiti e in nome di quei confini ha mosso gli eserciti e le armi. Allora quella terra pacifica, per quattro anni, è divenuta terra di odio e di guerra: centomila morti, la pulizia etnica, l’assedio feroce di Sarajevo, città simbolo del multiculturalismo. Oggi della guerra restano le ferite nel territorio e nelle persone, i buchi nei muri delle case che ricordano a ogni angolo i giorni della violenza e uno stato di calma apparente. Ed è per osservare le eredità di quel conflitto che aveva turbato i miei sogni di ragazzo che, per due estati, ho fatto il volontario nei Balcani. Il primo anno a Mostar, la bella e dolente città del ponte, il secondo nel Kosovo, colpito nel 1999 dalle nostre intelligentissime bombe all’uranio impoverito. Sono stato nelle scuole a fare animazione con i bambini, perché dalla fine della guerra sono passati dieci anni e chi è piccolo oggi non ha memoria degli spari e dell’odio. Anzi, pensavo non avesse memoria… Perché l’ho fatto? Non so dirlo meglio di Luca Rastello: «Bisogna finire in questo angolo malcapitato dell’Europa centrale per vedere con lucidità il disastro di casa nostra? Direi di sì: lo sguardo più acuto, quando si tratta di fenomeni storici, è probabilmente lo sguardo presbite, quello che deve allontanarsi dall’oggetto per meglio inquadrarlo, uno sguardo che si fa lucido agendo di sponda, puntando altro per meglio comprendere con lo strumento della comparazione». Recensioni, segnalazioni, commenti MIEI CARI FIGLI, VI SCRIVO di Lilia Bicec Einaudi, 2013, 192 pp. «Se fossi una poetessa, dedicherei un'ode alle donne che sono andate a lavorare all'estero. Ma sono solo una madre, come tante, lontana da tutto ciò che per lei è piú caro e prezioso». Può una madre abbandonare i figli ed emigrare, sola, in un paese straniero? Necessità, disperazione, fuga dalla violenza, desiderio di aiutare la famiglia: motivi come questi hanno costretto migliaia di donne a lasciare il proprio paese e prendere la via dell'Occidente. Questa è la storia vera di una di loro. È la storia del tentativo di piantare le proprie radici in una nuova terra, a volte dura e ostile. È la storia della tenacia della vita e di una nostalgia che è insieme desiderio. Una storia raccontata ai figli lontani per sentirli crescere, per sentirli ridere o piangere. Perché, a volte, solo scrivere la vita può curare la solitudine. «Non ero pronta a partire, ma ho dovuto abbandonare tutto e andarmene». Eppure Lilia, una giornalista moldava di trentacinque anni, una fredda mattina di dicembre decide di gettarsi alle spalle un marito indolente e violento e un paese soffocato dal caos e dalla povertà. Quando arriva in Italia non ha un lavoro né un posto dove stare, ma le strade sono illuminate come «palazzi dei grandi principi» e ovunque si legge la scritta «Buon Natale». Qui a nessuno importa della sua laurea e della sua istruzione, ma a poco a poco trova lavori e sistemazioni migliori e può fare i documenti per ottenere il permesso di soggiorno. La sua sete di conoscenza è fortissima: vorrebbe saperne di piú della storia e dell'arte italiana, vorrebbe leggere, studiare, ma la sera è cosí stanca da non riuscirci mai. Del resto, lei ha abbandonato da tempo il suo vero mestiere per i detersivi e i canovacci, e la sua vita interiore si è ridotta all'osso, assottigliata, proprio come il suo corpo che smagrisce sotto il peso della fatica e delle corse in bicicletta da un'abitazione all'altra. Non le resta che scrivere. Scrivere ogni volta che può. Scrivere ai suoi adorati bambini rimasti in Moldavia con il padre. Scrivere per sentirli crescere, per sentirli ridere e piangere. Scrivere perché raccontare ai figli la sua vita italiana è l'unica cura per la solitudine. Di pagina in pagina il racconto di Lilia si arricchisce di trame nuove e antiche, di storie del passato - dall'avventuroso esilio siberiano dei suoi nonni durante la Seconda guerra mondiale, alla campagna italiana di Russia di cui apprende da un anziano soldato e del presente: il pianto di una madre disperata incontrata in treno o la storia di un ragazzo rumeno arrestato per errore. E cosí, il suo racconto si popola di personaggi forti, determinati, alla conquista di un posto nel mondo: uomini, ma soprattutto donne, che come piante senza radici non si sentono piú a casa da nessuna parte e sono tormentate dal dor, la nostalgia che è anche desiderio. «Questa è la mia storia, - dice, - ma anche quella del mio Paese: è la mia tragedia, ma è anche la tragedia di tante altre madri». Recensioni, segnalazioni, commenti IL TEMPIO NASCOSTO. La cappella italiana sul Leitenberg a Dachau di Claudio Cumani COM.IT.ES. Monaco di Baviera, 2013, 47 pp. In occasione del 50 anniversario della Cappella Italiana sul Colle del Leitenberg a Dachau, il Comites di Monaco di Baviera ha curato una pubblicazione sulla storia del monumento, frutto del lavoro di ricerca - in archivi italiani e tedeschi - del presidente del Comites, Claudio Cumani. Il volumetto, in italiano e tedesco, è introdotto dai messaggi dell'Ambasciatore italiano in Germania, Ezio Menzione, e della direttrice del Memoriale dell'ex Campo di Concentramento di Dachau, Gabriele Hammermann. Può essere richiesto al al Comites o venire scaricata - in formato pdf - all'indirizzo www.comitesmonaco.de/documentazione/ReginaPacis.pdf. Di seguito, l’incipit del volume “Verso la fine della guerra, col mancare del carbone necessario al funzionamento dei forni crematori, il comando del campo di concentramento di Dachau decide di disfarsi dei prigionieri deceduti seppellendoli in alcune fosse comuni sulla collina del Leitenberg, a Dachau-Etzenhausen. 4.318 sono i corpi che vi vengono sepolti prima della liberazione del campo, avvenuta il 29 aprile del 1945. Altri 1.879 corpi di internati e soldati tedeschi caduti nei combattimenti vi saranno seppelliti fino al 18 maggio 1945. Su ordine della 7° armata americana sono gli stessi cittadini di Dachau che devono trasportare i morti fino ai luoghi di sepoltura, attraversando la città con le salme deposte su carri, affinché tutti vedano quanto è successo nel campo. I corpi di detenuti di altri campi di concentramento in Baviera vi saranno sepolti negli anni successivi. Negli anni ’50 le salme delle vittime di cittadinanza francese vengono riesumate e trasferite nella madrepatria. Oggi vi riposano 7.439 salme, la maggior parte delle quali non sono state identificate…”. EURO E CITTADINANZA. L’anello mancante Giovanni Moro (a cura di) Donzelli Editore, 2013, XII-260 pp. Introdotto nel 2002 al posto delle valute nazionali, l’euro è oggi la moneta comune di diciassette paesi e di trecentotrentacinque milioni di persone. Si è trattato del più grande cambiamento che ha coinvolto i cittadini nella storia dell’Unione europea. La moneta unica è inoltre al centro del dibattito sulla crisi dell’Eurozona, al punto che, se molti dicono che essa è solo un capro espiatorio per le istituzioni comunitarie e i governi nazionali, molti altri si domandano se, dopo più di dieci anni, vada celebrata o piuttosto commemorata. Recensioni, segnalazioni, commenti In ogni caso, mentre dell’euro si discute quasi soltanto in termini macroeconomici e di finanza globale, poca o nessuna attenzione è riservata alla sua relazione con la cittadinanza. Il volume, che raccoglie saggi di ricercatori ed esperti europei e americani, approfondisce questa visione non convenzionale della moneta unica. Il rapporto con gli individui che sono e si sentono europei viene in evidenza proprio non appena si smette di considerare la moneta unica come una «cosa». Invece, questo rapporto si rivela se si guarda l’euro come crogiolo di simboli, come linguaggio comune, come base di un sistema di comunicazione, come deposito di valore e strumento di calcolo e di scambio di beni e servizi, come nucleo di uno spazio pubblico europeo e come veicolo della costruzione delle istituzioni comunitarie. Tutti elementi che costituiscono e danno forma alla cittadinanza europea, istituita nel 1993 nel Trattato di Maastricht ed evidentemente attiva, se l’euro gode ancora di quel patrimonio di fiducia sociale che lo fa funzionare come moneta. La moneta unica porta con sé rischi e vantaggi per i cittadini, ma il suo legame con la cittadinanza europea non può essere ignorato. Il volume è stato presentato dall’autore alla trasmissione radiofonica “Un libro per l’Europa” registrata il 21 ottobre 2013, nel Chiostro San Paolo a Ferrara durante il Festival di Internazionale. Ascolta la puntata (sito della Commissione europea – Rappresentanza per l’Italia). URLA DALLA MINIERA Centocinquant’anni di vita mineraria in Sardegna attraverso tre documentari di Salvatore Sardu 2013 Centocinquant’anni di vita mineraria sono una memoria che resta ancora viva in quelle aree della Sardegna - il Sulcis, l’Iglesiente, il Guspinese - dove l’industria estrattiva ha inciso maggiormente nel corso della sua attività determinando profondi mutamenti nella vita sociale ed estese trasformazioni del territorio. E’ stata un’epopea che ha visto la classe operaia nascere e prendere coscienza di sé nell’alternarsi di periodi di prosperità e di crisi profonde che sotto certi versi hanno anticipato gli attuali difficili momenti. Di quegli anni ci parla Salvatore Sardu attraverso tre filmati: “Addì 11 maggio”, “Buggerru, dove nacque la speranza” e “Carbonia, una città che resiste”. Addì 11 Maggio. Data cara agli Iglesienti, poiché ricordava i 7 minatori uccisi dalle forze dell’ordine in una protesta per il pane. Scheda del documentario dal sito della Cineteca sarda – Società umanitaria Buggerru - Dove nacque la speranza. Approfondimenti delle tematiche di “ADDI’” analizzando la nascita del movimento sindacale nella zona, con la strage di tre minatori e le ripercussioni in Italia, dove, in risposta a tale eccidio, si tenne il primo sciopero generale nazionale. Scheda del documentario dal sito della Cineteca sarda – Società umanitaria Carbonia. Una città che resiste. Narra le origini della città mineraria e le drammatiche lotte per la sopravvivenza, quando il carbone Sulcis non serviva più. Scheda del documentario dal sito della Cineteca sarda – Società umanitaria Recensioni, segnalazioni, commenti CAMPI D’ORO E STRADE DI FERRO. Il Sudafrica e l’immigrazione italiana tra Ottocento e Novecento di Valentina Iacoponi XL Edizioni, 2013, 192 pp. Negli ultimi anni l'interesse per il Sudafrica è cresciuto: i mondiali di calcio del 2010, l'entrata del paese tra i Brics, la scoperta delle risorse turistiche, hanno stimolato il bisogno di conoscere un paese noto solo per l'apartheid. La storia dell'emigrazione italiana in Sudafrica è uno dei tasselli che va a comporre questa storia. In un giorno di novembre particolarmente piovoso del 1896, un contadino si trovò, come spesso faceva, ad annotare sulle pagine del suo diario quel che accadeva nelle sue campagne e nel suo paese. E così, tra una registrazione dei prezzi delle uve e una delle farine, scrisse pure che l'intero suo paese del Levante ligure si era mosso per andare al Capo buona speranza perché si diceva che lì vi fossero "molti guadagni". I liguri non furono un caso isolato: il Sudafrica fu una destinazione per i piemontesi, per i friulani, per i lombardi come per i toscani, per gli abruzzesi. Non ne furono del tutto estranei neppure i salernitani, i calabresi, i pugliesi e i siciliani. PRIMI DELLA KLASSE. La crisi europea e il ruolo della Germania di Krali Alberto Cairo Editore, 2012, 176 pp. Sembrano lontani anni luce gli entusiasmi europeisti dei primi anni Ottanta, mai come ora l'idea stessa di Europa, non solo della moneta unica, è in crisi. Il problema è che abbiamo sempre pensato a un insieme di uguali, ma le difficoltà dei paesi della periferia meridionale e dell'Irlanda ci dicono che non è così. Qualcosa nell'idea di Europa unita si è rotto. E, in questo momento di forte crisi, la Germania ritorna protagonista della politica europea, dopo essere stata per decenni solo gigante economico. Molti tedeschi si stanno chiedendo perché ora devono pagare per errori altrui. C'è, latente, una sorta di rifiuto che si fa strada nell'elettorato, una deriva euroscettica che a Berlino trova ascolto. Tuttavia, solo dopo tentennamenti vari, Angela Merkel è arrivata là dove gli addetti ai lavori erano approdati da tempo: l'uscita dalla moneta comune costerebbe a ogni cittadino tedesco ben di più del salvataggio dei paesi in crisi. Ma questa consapevolezza dove porterà? Quali conseguenze avrà per l'Italia? "Primi della klasse", con un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, offre risposte chiare alle tante domande sul futuro dell'euro e ci guida nei retroscena della politica e dell'economia europee. Il volume è stato presentato dall’autore alla trasmissione radiofonica “Un libro per l’Europa” del 27 settembre 2013. Ascolta la puntata (sito della Commissione europea – Rappresentanza per l’Italia). Recensioni, segnalazioni, commenti CINEMA E AUTORI SULLE TRACCE DELLE MIGRAZIONI di Andrea Corrado e Igor Mariottini Ediesse, giugno 2013, 160 pp. Cinema e migrazioni sono apparsi in Italia più o meno nello stesso periodo. Nei primi anni del Novecento schermi e pellicole si moltiplicavano nelle città e nei paesi, con visioni e sogni destinati sia all’aristocrazia intellettuale sia al popolo. Nel frattempo, l’emigrazione offriva altri sogni e visioni, ma solo in determinate aree della penisola, dove le condizioni di vita spingevano un numero crescente di persone a imbarcarsi per terre straniere e lontane, in cerca di pane e futuro. Da allora, storie e immagini di migranti hanno attraversato il cinema italiano in un rapporto spesso discontinuo, a volte controverso, ma sempre ricco. Tra cronaca e finzione, spunti di riflessione e magia dei fotogrammi, il volume percorre le tappe di questo rapporto, con una panoramica sui film italiani che hanno raccontato le migrazioni e i loro protagonisti. Dagli italiani in partenza di Pane e cioccolata e di Nuovomondo, agli esodi interni da Sud a Nord di Rocco e i suoi fratelli e di Napoletani a Milano, con un breve viaggio nella «migrazione da ridere» di tante commedie, da Alberto Sordi di Bello, onesto, emigrato Australia… a Paolo Villaggio di Sistemo l’America e torno. Per chiudere il cerchio con i titoli degli ultimi venti anni, che portano anche sul grande schermo la dilagante e problematica presenza di cittadini stranieri nel nostro paese. Loro come noi un secolo fa, costretti a lasciare la propria terra, in cerca di pane e futuro. Il volume è stato presentato dall’autore alla trasmissione radiofonica “Un libro per l’Europa” registrata il 20 settembre 2013. Ascolta la puntata (sito della Commissione europea – Rappresentanza per l’Italia). CONTAINER 158 Un film di Stefano Liberti e Enrico Parenti Italia, 2013 Durata: 62 min. Produzione: ZaLab Giuseppe si alza ogni mattina e va in giro col furgone a cercare il ferro. Remi è un meccanico senza officina: aspetta che qualcuno gli porti una macchina da aggiustare. Miriana aspetta invece che nascano le sue due gemelle. Brenda vorrebbe un lavoro ma è senza documenti: è nata in Italia, ma non ha la nazionalità italiana, né quella del suo paese di origine, il Montenegro, che l’ha “scancellata”, come dice lei. Sasha, Diego, Marta, Cruis vanno a scuola ogni mattina, ma non arrivano mai in tempo: il campo dove vivono è a chilometri di distanza, il pulmino fa ritardo e rimane spesso imbottigliato nel traffico. Attraverso le loro storie, “Container 158” racconta la vita quotidiana al “villaggio Recensioni, segnalazioni, commenti attrezzato” di via di Salone, un campo in cui l’amministrazione di Roma ha raggruppato più di 1000 cittadini di etnia rom. Fuori dal raccordo anulare, lontano da tutto e da tutti. Note di regia. Quando si pensa al popolo Rom prevalgono due modi di immaginare la loro cultura. Una è quella romantica: nomadi ed anarchici che viaggiano per l’Europa cantando antiche canzoni ed incrociandosi con parenti gitani in Spagna o in villaggi Balcani alla “Kusturica” (sempre ballando e bevendo). L’altra è quella negativa: ladri, nullafacenti, parassiti, rubabambini, droga-bambini, chiedi-elemosina, violenti, ecc, ecc. La realtà non è né da una parte né dall’altra, i Rom ormai sono in qualche modo incasellati e resi sedentari da decenni. Per quanto riguarda l’idea criminosa dei Rom, in parte è verità, in parte è frutto di pregiudizio: si scopre che la maggior parte delle famiglie sono indirettamente vittime di micro-mafie e che lottano ogni giorno per portare attraverso lavori umili il pane quotidiano a casa. Otto famiglie rom su 10 sono a rischio povertà. Solo un rom su sette ha terminato le scuole di secondo grado. E in Europa le comunità rom si collocano al di sotto di quasi tutti gli indici di sviluppo sui diritti umani. La storia che abbiamo voluto raccontare parte dunque dalle persone comuni e mira a scardinare i pregiudizi e mostrare cosa vuol dire essere realmente Rom oggi, evidenziare le controversie di questa popolazione “indomabile” e riflettere sul meccanismo che da tempo li forza e li porta sempre più lontano da una riconciliazione con gli altri cittadini. I protagonisti raccontano storie che partiranno dalle semplici attività alla base di ogni essere umano e sono esaminate ed approfondite attraverso le varie fasi e stagioni della vita: infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità e anzianità. Recensioni, segnalazioni, commenti