Nutrizione applicata allo sport
a cura del dott. Fabrizio Spataro e del dott. Antonio Sartini
Le “diete alla moda” nello sport,
tra falsi miti e verità
L
Le diete alla moda hanno avuto, in alcuni casi, il pregio di
richiamare l’attenzione del mondo scientifico su particolari concetti da applicare all’alimentazione. Tra le numerose
“innovazioni” nutrizionali proposte negli anni per favorire la prestazione sportiva, merita una citazione particolare il programma
alimentare che prevede una costante suddivisione tra i nutrienti, in
modo che ad ogni pasto i carboidrati rappresentino il 40% dell’energia, le proteine il 30% ed i grassi il restante 30%. Tale “Nutrition
Program 40/30/30”, nato nel 1992 ad opera di alcuni nutrizionisti
della Bio-Foods, un’azienda americana produttrice di integratori,
venne successivamente sviluppato e commercializzato da Barry Sears, tramite il best sellers “The zone” a partire dal 1995. Più che
una semplice dieta, è proposto come un vero e proprio stile di vita,
infatti per Sears ‘zona’ significa “essere in quei rari momenti in cui
vi sentite proprio bene, pieni di ottimismo, tutto vi riesce facilmente, il vostro corpo è pieno di energia, vi sentite forti, infaticabili,
probabilmente siete nella ‘zona’”. Da allora ad oggi, questo modello
alimentare è stato accompagnato da una forte pressione me- diatica, trovando molti seguaci, sia fra i sedentari, sia fra gli
atleti. Gli effetti proposti dagli ideatori della zona
prevedono: la riduzione dell’infiammazione, la
perdita di massa grassa ed il mantenimento
della massa magra, efficienza fisica aumentata, favorevole azione sul GH. Inizialmente questa ‘alimentazione’ venne
proposta specialmente per gli atleti di
endurance, i quali tuttavia ci misero
poco a percepire la necessità di modificarla per ottimizzare la prestazione.
Infatti gli adattamenti della “zona” agli
sport di fondo, prevedono la possibilità di
utilizzare precise quantità di carboidrati prima, durante e/o subito dopo l’allenamento o
la competizione. Tuttavia, con tali accorgimenti,
non viene più rispettato il rapporto calorico co-
stante 40/30/30, quindi, a
rigore di logica, la “zona modificata” non è più la “dieta
a zona”. Questo programma
alimentare, diff uso da Barry
Sears, nonostante tutto, ha
avuto il pregio di focalizzare
l’attenzione su alcuni aspetti
che tutt’ora fanno stabilmente parte delle scienze tecniche
dietetiche applicate, come
l’indice e il carico glicemico. Per dovere di cronaca, tale indice, fu
proposto, per la prima volta, nel 1981, quando, l’ideatore, il Prof.
D. J. Jenkins, pubblicò il suo lavoro sull’American Journal of Clinical Nutrition. La dieta a “zona”, pertanto, presenta qualche aspetto
positivo e alcune zone d’ombra, ma potrebbe, all’occorrenza, essere
applicata in determinati atleti ed in specifici momenti della stagione. Tuttavia, affinché l’intervento nutrizionale nello sportivo abbia
successo, è necessario che venga deciso non tanto in base al nome,
più o meno accattivante, di una dieta, né sugli effetti reclamizzati
dagli ideatori (che spesso hanno interessi commerciali su i prodotti
correlati ) quanto, piuttosto, sulle caratteristiche genetiche
e del somatotipo, sulla composizione corporea (grasso, muscoli e liquidi corporei), sul metabolismo
e sul dispendio energetico dell’atleta (misurati e non stimati), e, non ultimo, sul suo
stile di vita. Tutte queste informazioni
devono essere analizzate, interpretate e
valutate da professionisti che si occupano, nello specifico, di nutrizione applicata allo sport. Solo in questo caso
si possono superare le pressioni mediatiche e gli interessi dell’industria
alimentare, selezionando, sulla base delle
evidenze scientifiche, il meglio che l’atleta ha
a disposizione per ottimizzare la propria performance, garantendo, prima di tutto, il suo stato
di salute e benessere.
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