DEL POPOLO Nobiluna, sbarca a Fiume il prosecco veneto Pagina 2 Amfora, il vino che profuma di terra Pagina 3 La freschezza del cetriolo Ostriche, preziosa delizia Pagine 4 e 5 Sorbetti e granite: un sollievo per combattere la calura Pagine 6 e 7 Su Internet la guida alla gastronomia istriana Pagina 8 ce vo /la .hr dit w.e ww Attenzione anche all’amico gelato L’ANTIPASTO di Fabio Sfiligoi cucina An no III • 7 200 n. 6 • S o n g u abato, 30 gi Il caldo, nemico degli alimenti: come difenderci L’estate dal punto di vista dell’alimentazione è il periodo dell’anno che porta con sé i rischi maggiori per quanto riguarda l’intossicazione da cibo. Forse non ce ne rendiamo conto, ma siamo esposti a tutta una serie di pericoli che, se venissero ignorati, potrebbero intaccare la nostra salute anche in modo importante. Complice il caldo che fa moltiplicare i batteri nei cibi, a casa nostra come al ristorante. Il consumo di cibi crudi, creme e salse sottoposte a sbalzi di temperatura rischiosi, ma anche frigoriferi riempiti di cibo come fossero dispense, diventano ricettacolo di microrganismi pericolosi. I cibi più a rischio sono ovviamente tutti quelli più facilmente deperibili non conservati o non cotti correttamente, dalla carne, alle uova, passando per maionese e creme, latticini e pesce, soprattutto per quello consumato crudo. Ma sotto accusa anche la scarsa igiene, a cominciare dal lavaggio delle mani prima di preparare o manipolare qualsiasi alimento. Fra le tossinfezioni più frequenti quelle da salmonella, provocata da carni, uova, pollame, verdure, ma anche acqua contaminata. E ancora: botulismo (provocato soprattutto da conserve preparate in casa), intossicazioni da stafiloccocco aureus (da carni poco cotte e consumate fredde, latte, panna, formaggi freschi, gelati, maionese e salse), da escherichia coli o da bacillus cereus. Voglio proporvi una serie di consigli per evitare il peggio. Alcuni sono ovvi e risaputi alla maggior parte delle persone che si trovano giornalmente alle prese con la cucina. Altri, invece, sono sconosciuti ai più e quindi è bene conoscerli per evitarli. Iniziamo evitando l’acquisto di cibi deperibili (carne, pesce, gelati artigianali) in negozi o in rivendite che non garantiscano una corretta conservazione. È necessario accertarsi che le confezioni e gli imballaggi siano integri. In particolare, va verificato lo scatolame: non deve presentare parti gonfie, schiacciate o ammaccate e al momento dell’apertura non devono fuoriu- scire bollicine o gas particolari. Quando andiamo a fare la spesa i prodotti refrigerati e surgelati o congelati vanno acquistati per ultimi e, per cercare di non interrompere la catena del freddo, metteteli nelle apposite borse termiche (acquistabili negli stessi supermarket). Se la confezione appare “brinata” vuole dire che la catena del freddo si è interrotta e quindi avrebbero potuto subire alterazioni: vanno evitati! Controllate la temperatura dei banchi refrigerati nei supermercati: la merce, all’atto dell’acquisto, deve essere esposta a temperature non superiori a -18°C . In estate, specie durante il periodo di ferie, è abitudine consumare i pasti in luoghi prevalentemente sconosciuti. Per evitare brutte sorprese osservate l’aspetto di ristoranti e simili, inclusi i servizi igienici. I camerieri devono essere in ordine e i piatti, i bicchieri e le posate privi di macchie e segni di sporco: l’assenza di cura nella sala da pranzo è infatti indice di scarsa igiene in cucina. Controllate i buffet e le in- salate esposte: i cibi caldi dovrebbero fumare e quelli freddi dovrebbero essere mantenuti a bassa temperatura o nel ghiaccio. Evitate cibi crudi e prodotti preparati con latte non pastorizzato. Mangiare solo cibi cotti e ancora caldi, e frutta e verdura dopo averla sbucciata personalmente in quanto può essere stata lavata con acqua contaminata. Ricordare che le ciotole di prodotti esposti (noccioline, salatini e cracker per l’aperitivo) vengono toccate da molte persone e possono contenere batteri. Torniamo a casa. I cibi cucinati, se non consumati entro due o tre ore, devono essere raffreddati rapidamente e conservati in frigorifero. Il termostato del frigorifero deve essere mantenuto a una temperatura più bassa rispetto all’inverno. Il frigorifero deve restare chiuso il più possibile: apritelo solo quando necessario e richiudetelo al più presto. Le uova sono tra gli alimenti più facilmente contaminabili dalla salmonella. Se non le acquistate Segue a pagina 2 2 cucina PROSECCO Sabato, 30 giugno 2007 Presentato a Fiume il tipico spumante veneto Nobiluna: dammi tre parole... di Krsto Babić Conte Balbi Valier: vino pieno di grazia e di forza I l panorama enologico si arricchisce di un ulteriore prodotto italiano di qualità. Nei giorni scorsi al ristorante “Pepe rosso” di Fiume è stata presentata una nuova etichetta di prosecchi veneti. Il nome del marchio è Nobiluna (www.coldellaluna.com), brand nato dalla volontà di Fabio Agostinetto, Silvano Menin, Marco Miotto e Romano Vedova, con lo scopo di promuovere nel mondo la loro passione per il prosecco di qualità. Per i poco esperti va detto che il prosecco veneto nulla ha da vedere con il prosecco che viene prodotto in Croazia. Quest’ultimo è, infatti, un vino passito. Nel corso della presentazione fiumana del loro prodotto ci hanno spiegato che la Valdobbiadene in Veneto può essere considerata in un certo senso la culla del prosecco. “La nostra attività – aggiungono – si esprime in tre parole: passione, selezione e valorizzazione. La passione è lo stimolo che noi proviamo per questo prodotto, la selezione rappresenta lo sforzo che impieghiamo per individuare le uve migliori, mentre la valorizzazione consiste nella volontà di far conoscere la nostra terra a chiunque dimostri di apprezzare questo prodotto”. I titolari del marchio Nobiluna sostengono che il prosecco non sia una bibita da bere per dissetarsi, ma piuttosto una bevanda da assaporare o meglio ancora uno stile di vita. Riconoscono che in commercio si possono reperire prosecchi di diverse qualità e di diverse fasce di prezzo. Pertanto ci tengono a chiarire che il loro non sarà un prodotto reperibile nella grande distribuzione, bensì solo nelle enoteche e nei ristoranti orientati verso uno stile affine all’indole del vero prosecco. “Noi – sottolineano – puntiamo alla qualità”. Assicurano ad esempio che la fermentazione che conferisce l’effervescenza al loro prodotto è ottenuta in modo assolutamente naturale. Benché il marchio Nobiluna non possa contare su una forte tradizione, ha il vantaggio di disporre delle esperienze accumulate dai suoi creatori in circa un decennio di frequentazione di una delle più importanti sagre del ramo: la Mostra del vino di Saccol. Una fiera nella quale convergono moltissimi dei più significanti vinicoltori, specialmente quelli piccoli e medi che pertanto garantiscono tecniche di coltivazione genuine. Proprio nel corso di questo appuntamento i fondatori del marchio Nobiluna scelgo- no i fornitori ai quali rivolgersi per poi produrre il proprio prosecco. L’attenzione che i titolari del marchio prestano alla selezione delle uve migliori trova riscontro anche nella raffinatezza dei contenitori di vetro utilizzate per imbottigliare il prodotto. Sono tre le varianti di prosecco Nobiluna disponibili attualmente in commercio: Brut, Extra Dry e Superiore Cartizze (una bevanda rigorosamente Doc, ottenuto dalla lavorazione dell’omonima qualità d’uva che gli conferisce un gusto leggermente più dolce rispetto alle altre due varietà). Il prosecco, soprattutto se di qualità come nel caso dei Nobiluna, è un ottimo aperitivo. A tavola il prosecco può accompagnare gli antipasti e i primi piatti. Si sposa alla perfezione con i piatti a base di pesce. Si tratta pertanto di una bevanda perfetta per l’estate. Vitigno dalle origini antichissime Dalla prima pagina in negozio (le uova del contadino) è meglio consumarle cotte e non usarle per la maionese. Pulite coperchio e bordo delle lattine, perché la bevanda viene a contatto con le sostanze che vi possono essere depositate: sostanze di origine ambientale (polvere, batteri, muffe), animale (roditori, insetti, animali domestici) e umana (le mani di chi le maneggia e di voi stessi). Inoltre, vi è la possibilità, anche se remota, che le lattine siano contaminate da insetticidi, prodotti per la pulizia, ecc. Fate molta attenzione al cibo venduto per strada. Per esempio, controllate che i gelati artigianali siano serviti con palette distinte per ogni gusto, nel massimo rispetto dell’igiene delle attrezzature e del personale che, in caso di manipolazione di cibi non preconfezionati, dovrebbe avere l’obbligo di usare guanti a perdere. Il prosecco è un vino di antica origine e la sua storia è univocamente legata con la zona di produzione e alle vicende che hanno caratterizzato il trascorrere delle generazioni di produttori nel territorio. Un vino per essere “grande” deve essere intimamente legato con il territorio di produzione valorizzandone la storia, la cultura, la tradizione. Il prosecco prima di un vino è un vitigno e come tale può essere coltivato in ogni parte del mondo, con risultati che non possono essere paragonati con quelli del ConeglianoValdobbiadene in cui questo vitigno regna principe da almeno 300 anni. La zona del Conegliano Valdobbiadene è rappresentata dalla fascia collinare della Marca Trevigiana che comprende i comuni di: Conegliano, Feletto, Refrontolo, Vittorio Veneto, Miane, Valdobbiadene, Vidor, Farra di Soligo, Pieve di Soligo e Susegana. Il prosecco è un vitigno di antichissime origini addirittura precedente alla colonizzazione dei Romani, avvenuta circa 200 anni a.C. anche se esso è documentato soltanto dagli ultimi anni della Repubblica di Venezia e quindi vive tra le colline venete da almeno 300 anni. Nel 100 a.C. era avvenuta la centuriazione del territorio trevigiano attorno a Treviso, Oderzo, Conegliano, Ceneda ed Asolo e i coloni Romani avevano piantato sia in collina che in pianura le viti. Non è immediato stabilire una data di inizio della coltivazione della vite nella zona di ConeglianoValdobbiadene, alcuni poeti latini passando in questa zona portano testimonianza che già più di 2000 anni fa sulle colline di ConeglianoValdobbiadene si coltivava la vite. Virgilio (70-19 a.c.) di passaggio tra queste terre afferma: “Adspice, ut, autrum silvestris raris sparsit lambrusca recemis” “guarda come la vite selvatica, la lambrusca, ha ricoperto qua e là la grotta con i suoi grappoli”. Pochi anni più tardi il poeta può invece cantare: “Lentae textunt umbracula vites” “le viti flessibili tessono ombre leggere”, ma non vi è certezza sulla tipologia di vitigno utilizzato. A partire dal XIX secolo, con la fondazione a Conegliano della “Scuola di Viticoltura ed Enologia” e della “Stazione Sperimentale per la Viticoltura”, gli studi sul prosecco si sono molto sviluppati. Certo è che da oltre due secoli questo vitigno ha trovato nelle colline di Conegliano Valdobbiadene l’habitat ideale di coltivazione, dove si sono diffusi diversi biotipi di cui uno ancora oggi coltivato, opera di una selezione fatta nella seconda metà del secolo scorso dal conte Balbi Valier: il prosecco Balbi. Il conte dà alle stampe nel 1868 un libretto composto “Per le auspicatissime nozze Bianchini-Dubois” in cui descrive le proprie coltivazioni che si trovano a metà tra Conegliano e Valdobbiadene a Pieve di Soligo. Scrive: “Un quarto delle suddette Pertiche cen. 380, non potendosi con esattezza precisare la quantità, è tutta a vigneto, che piantai a viti prosecche, più sicure ed ubertose di ogni altra qualità, e che danno un vino bianco sceltissimo, pieno di grazia e di forza”. Nasce in questi anni la moderna avventura di un vino che in un secolo ha saputo conquistare il mondo grazie alla perizia di viticoltori, vignaioli ed istituzioni che lo hanno saputo esaltare al meglio. Il prosecco è rustico e vigoroso, con tralci color nocciola e grappoli piuttosto grandi, lunghi, spargoli ed alati, con acini di un bel giallo dorato immersi nel verde brillante delle grandi foglie. Ma quali vitigni concorrono alla produzione del prosecco? È il vitigno che garantisce la struttura base al vino di Conegliano Valdobbiadene, ma verdiso, perera e bianchetta, vitigni considerati minori utilizzabili per un massimo del 15 p.c. nella produzione del prosecco DOC, possono, in alcune annate ed in alcune zone, contribuire con le loro specificità a mantenere l’equilibrio organolettico del vino. In questi anni il prosecco è divenuto il vino bianco più richiesto in Italia e nel mondo. Lo descrive in maniera eccellente Tullio De Rosa, ricercatore tra i più preparati ed intelligenti usciti dalla Scuola di Conegliano: “Dalle colline da cui nasce esso diffonde la sottile malia su quanti lo ricercano nelle tiepide giornate di primavera, quando il suo profumo di fiori, il suo profumo di miele selvatico si mescola con i cento, coi mille profumi di fiori che allora innondano le rive. Un calice di prosecco, dal bel paglierino leggero, scrico di tinta, con qualche perla gassosa che si svolge nel bicchiere, è un compiacimento, è un godere le piccole gioie che ancora riusciamo a strappare alle preoccupazioni di tutti i giorni. Così dev’essere un bianco: un invito a bere, un poco d’umanità a nostra disposizione”. cucina 3 Sabato, 30 giugno 2007 ENOLOGIA Marino Markežić e il vino macerato in contenitori d’argilla «Amfora», dalla terra con amore L’ La Contadi Castaldi a Rovigno «Gioco delle cuvée» team istriano ad Adro Parafrasando il film di Martin Scorsese, “Re per una notte”, potremmo dire ... “Enologo per una serata”: così si può definire il “Gioco delle cuvée”, evento ludico itinerante ideato da Contadi Castaldi, una delle griffe italiane più apprezzate e conosciute della Franciacorta. Una competizione a squadre formate da sommelier, enotecari, ristoratori e consumatori che, per una sera, si calano nel ruolo di enologi per impegnarsi a realizzare una cuvée. È successo anche all’albergo “Park” di Rovigno ed è stato un evento eccezionale perchè è stata la prima volta che ha varcato i confini d’Italia (oltre alle tappe in sei differenti regioni d’Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Puglia e Sicilia). La cuvée è l’unione di diverse specie di vini di un determinato territorio che con il suo prodotto finale – lo spumante – rappresenta nella manierà più adeguata la regione di provenienza. Ed è per questo che il fattore umano assume un’importanza primaria perché va scelto quanto di meglio viene offerto dalla natura, e non sempre è un compito facile. A Rovigno sono stati presentati sei vini di base, per la maggior parte chardonnay, tutti provenienti dalla Franciacorta. I partecipanti ci hanno messo tanto impegno e tutte le conoscenze in campo enologico, alla fine ha vinto la squadra composta da Ivan Širola, Mirna Širola, Giancarlo Zigante, Giorgio Klaj, Sergio Jugovac e Glauco Bevilacqua, quest’ultimo, fra l’altro, organizzatore dell’evento. L’équipe istriana, assieme ai vincitori delle altre tappe del “Gioco delle cuvée”, il prossimo 2 luglio sarà ospite della cantina della Contadi Castaldi ad Adro dove verrà scelto il vincitore finale del concorso. Un “format” quello del “Gioco delle cuvée” di grande originalità ed appeal che, dal 2001 ad oggi, ha ottenuto un grande successo: 700 partecipanti, 4.500 basi assaggiate, 150 cuvée preparate. “È straordinario vedere come molti produttori che prendono stabilmente parte a questo gioco si misurino in un’esperienza, quella della creazione della cuvée, che risulta per loro sempre nuova ed originale”, ha detto Mario Falcetti, l’enologo dell’azienda franciacortina. L’entrata della tenuta Contadi Castaldi ad Adro dove si cimenterà la squadra istriana insieme agli altri vincitori del “Gioco delle cuvée” Marino Markežić originalità non ha confini. Potrebbe essere il motto di Marino Markežić, rinomato ristoratore di Cremegne (la trattoria “Marino” è uno dei must dell’Istria) e da qualche anno apprezzato produttore di vini (prima vendemmia nel 2003). Nella sua tenuta di Stanzia Kabola, Markežić ha presentato il vino “Amfora” (malvasia, vendemmia 2005), versione esclusiva di malvasia che viene tenuta a dimora per un anno sotto terra in autentiche anfore di argilla importate dalla Georgia. “È un ritorno alla natura”, ha detto Markežić ai presenti in occasione della presentazione del vino. L’uso di contenitori in argilla permette di elevare la qualità del prodotto: dopo una breve fermentazione di circa un mese il vino novello viene messo a “macerare” in amfore ermeticamente chiuse, senza rimuovere le bucce fino a primavera, quando poi viene messo a stagionare in botti di rovere. Si tratta di una tecnica millenaria, ma non è un brevetto esclusivo di Markežić che lo ha “importato” da quello Joško Gravner, che può venir liberamente definito il mago del Collio e di questa metodologia di preparazione. Va anche detto che l’idea di Markežić è stata applicata per la prima volta alla specie di uva regina dell’Istria. Proprio per evidenziare le differenza del prodotto, durante le presentazione Markežić ha prima fatto provare agli invitati una malvasia 2006 prodotta in botti di inox e quindi una malvasia reserve 2005 stagionata in botti di rovere. Alla fine è arrivata la ciliegina sulla torta, ossia il vino in... anfora. Il nuovo prodotto del marchio Kabola viene descritto in maniera esauriente da Daniela Kramarić, uno dei top sommelier croati. “Struttura complessa, ma al tempo stesso equilibrata – ha scritto la proprietaria del ristorante “Plavi podrum” di Volosca nel suo intervento sullo “Jutarnji list” –. Il colore è più intenso rispetto alla malvasia normale, ma è una consuetudine per i vini macerati. L’ultimo nato di Markežić è un vino limpido, pulito anche nei profumi, che sono precisi e ben definiti: si sentono quelli di albicocche essiccate, mandorle tostate, note balsamiche di agrumi su una base di acacia e forte presenza di minerali. In bocca il vino ha un gusto carnoso, corposo e gustoso, ma privo di qualsiasi aggressività. Potremmo dire che si tratta di un vino che per le sue caratteristiche, va bevuto e... mangiato allo stesso tempo”. La Kramarić, inoltre, è rimasta positivamente colpita e impressionata dall’enorme divario qualitativo fra questo tipo di malvasia rispetto alla produzione classica e tecnologica del marchio che fa capo a Marino Markežić. Per la malvasia istriana, invece, si tratta di un nuovo capitolo che si apre. (fas) Stagionato per un anno in fondo al mare «Valomet», a Verbenico lo spumante di capitan Nemo Gli enologi della regione istroquarnerina non finiscono mai di stupire. Quelli dell’azienda agricola di Verbenico, sull’Isola di Veglia, hanno pensato di far stagionare il loro spumante “Valomet” (da uva della specie “žlahtina”) in fondo al mare, a 35 metri di profondità dove la temperatura in media è stabile intorno ai 12° C. Dopo un anno i contenitori in rete metallica nei quali c’erano circa mille bottiglie, sono stati riportati a terra. Per evitare uno shock termico che avrebbe potuto avere effetti dannosi, i dipendenti della cooperativa hanno dovuto fare in fretta e trasportare il prezioso contenuto nelle cantine sotterranee dell’azienda. Comunque c’è stato il tempo per provarlo, considerata anche la grande dose di curiosità presente fra gli ideatori del progetto. Le prime bottiglie hanno superato le previsioni degli esperti della cooperativa agricola isolana, lo spumante è veramente di qualità eccelsa. “La differenza fra lo spumante stagionato in mare e quello in cantina con metodologia classica è davvero enorme”, è stato il commento di Slavko Zuhija, responsabile della cooperativa agricola di Verbenico. Il “Valomet” ha conservato tutti i sapori fruttati e a degustarlo, però, si può notare una dose maggior di freschezza rispetto al prodotto di... terra. “Un risultato che supera di molto le nostre più rosee aspettative”, ha concluso Zuhija. Dal punto di vista del design lo spumante di Verbenico, presentato ufficialmente il 22 giugno, verrà messo in vendita così come è uscito dal mare, con unica aggiunta una targhetta in sasso sulla quale verrà inciso il nome del prodotto e l’anno di produzione. Purtroppo il “Valomet” sarà accessibile solo a pochi, si parla di mille kune a bottiglia, prezzo forse esagerato, anche se si tratta di un prodotto esclusivo. Lo spumante sottomarino verrà prodotto anche quest’anno. (fas) 4 cucina VERDURE Sabato, 30 giugno 2007 Il «cucumero» è originario delle regioni himalayane Cetriolo, come ti rinfresco l’estate S Barchette di cetriolo al formaggio Ingredienti: Quattro cetrioli 170 grammi di formaggio morbido tipo Philadelphia Trito aromatico (prezzemolo, salvia, maggiorana) Ravanelli Sale e pepe q.b. Senza pelare i cetrioli, spuntateli e apriteli a metà per il lungo. Da ogni pezzo ricavate dei tocchetti lunghi 6 centimetri ciascuno (in tutto otto). Affettateli dal lato vivo (cioè bianco) ottenendo da ognuno una fettina di 2 millimetri di spessore, che non staccherete però completamente dal pezzo di cetriolo; formerà la vela della barchetta. Scavate la parte di cetriolo dalla quale avete staccato la vela formando un inca- vo: sarà la barchetta. Alzate le vele “al vento”, fermandole con gli stecchini. Raccogliete il formaggio morbido in una ciotola e mescolatela con una cucchiaiata di trito aromatico, un pizzico di sale e uno di pepe. Trasferite il composto in una tasca di tela da pasticcere munita di bocchetta rotonda spizzata e riempite le barchette. Guarnite ciascuna con una sottile rondella di ravanello e servite. Minestra fredda di cetrioli e yogurt alle erbe Ingredienti: 500 grammi di yogurt intero Tre cetrioli, circa 400 grammi Aglio Olio extravergine d’oliva Menta Basilico Sale e pepe q.b. Sbucciate i cetrioli e, con uno scavino, eliminate i semi. Tenetene da parte mezzo per la decorazione e tagliate a dadi tutto il resto. Mettete i dadi nel frullatore, unite lo yogurt, mezzo spicchio d’aglio, due cucchiaiate d’olio, un pizzico di sale e alcune foglioline di menta e basilico. Azionate quindi il frullatore finché avrete ottenuto una crema perfettamente omogenea. Versatela in una zuppiera o nei piatti fondi individuali e completatela con il cetriolo tenuto da parte, tagliato a dadini, una macinata di pepe e un po’ di menta e basilico tritati. Per una minestra più fredda, mescolatevi poco ghiaccio tritato. Pomodori ricomposti con feta e cetriolo Ingredienti: 200 grammi di formaggio feta Quattro pomodori ramati medi Un cetriolo Un vasetto di yogurt bianco Basilico fresco Olio extravergine Sale e pepe bianco q.b. Lavate i pomodori, asciugateli, poi tagliateli orizzontalmente ricavando da ognuno 4 “ruote”. Riducete il cetriolo a rondelle sottilissime usando la mandolina, poi tagliate a fettine la feta. Ri- componete i pomodori partendo dal basso: sovrapponete alle prime tre “ruote” delle fettine di formaggio e di cetriolo, quindi chiudeteli con il loro “cappellino”; per far stare tutto insieme, infilate ogni pomodoro ricomposto con uno steccone di legno. Preparate la salsa frullando brevemente, a bassa velocità, lo yogurt con sale, pepe, un filo d’olio e qualche foglia di basilico tritato. Servite i pomodori appena pronti accompagnati dalla salsa allo yogurt, di cui ognuno si servirà a piacere. pesso poco considerato per i problemi che crea nella digestione, il cetriolo, il nostro “cucumero” o “cucumaro”, per la sua freschezza e croccantezza risulta essere una delle verdure più usate in cucina durante il periodo estivo. Appartiene alla famiglia delle cucurbitacee, è una pianta annuale a fusto strisciante o rampicante, che produce frutti lunghi dai 20 ai 30 centimetri, ed è originaria delle regioni himalayane. La sua diffusione è avvenuta prima in India poi in Egitto e da lì in tutta l’Europa. Il cetriolo è cilindrico, più o meno allungato, di colore verde o bianco, giallo a maturità, liscio o munito di piccole protuberanze terminanti con una papilla rugosa di colore scuro, la polpa è di colore verde chiaro che racchiude semi bianchi. I frutti si consumano quando sono ancora immaturi, allo stato fresco o conservati sott’aceto. Quando l’acquistate prediligete esemplari né troppo piccoli né troppo grandi, verificate che la buccia sia di colore verde intenso, che non siano avvizziti né ammaccati o con striature più chiare. Se non amate particolarmente i semi contenuti nella polpa, scegliete cetrioli di piccolo taglio, che ne avranno meno rispetto a quelli di taglio maggiore. Fate attenzione che i cetrioli siano sodi: se la polpa è molla, vuol dire che è acquosa e ricca di semi, per questo motivo risulterà insipida. I cetrioli vanno conservati in frigorifero nel reparto delle verdure fino ad un massimo di 10 giorni, anche se è preferibile consumarli immediatamente così godrete pienamente del loro sapore. Possono inoltre essere conservati a fette, sotto sale. Sono ricchi di acqua quindi risultano essere rinfrescanti e depurativi. Il cetriolo viene consumato quasi esclusivamente crudo, da solo o mescolato con lattuga, pomodori, cipolle o altre verdure; si possono però realizzare anche delle minestre, calde o fredde. Svuotati, i cetrioli possono fungere da “barchette-contenitore” per sfiziose ricette estive. È consigliabile sbucciare i cetrioli, togliendo la buccia a strisce, da un’estremità all’altra con un coltello o pelapatate. Per eliminare i semi, si taglia in due il cetriolo per il lungo, e quindi si svuota con un cucchiaino. I cetrioli sono poco calorici (14 calorie per 100 grammi), quindi molto usati nelle cure dimagranti, quasi del tutto privi di sostanze nutritive, un modesto contenuto di vitamina C, ma ricchi di potassio e di acqua; questa qualità aiuta l’attività dei reni. Il cetriolo ha proprietà diuretiche, rinfrescanti, ma risulta di non facile digestione. Per migliorare questo aspetto, si può tagliarlo a rondelle e metterlo sotto sale perchè perda il liquido amarognolo. Occorre inoltre fare attenzione nel condirlo, poiché ha un alto potere assorbente. Il cetriolo è molto utilizzato nella preparazione di maschere di bellezza, usato da solo o insieme con altre sostanze quali ad esempio il miele o il bianco dell’uovo non troppo sbattuto. Cetriolo a frutto grosso: Cetriolo Ashley: molto produttivo, dai frutti affusolati lunghi 20 centimetri coltivato anche in serra. Cetriolo corto bianco o palla di neve: a frutto bianco. Cetriolo Cubit: di origine americana, a frutto medio corto. Cetriolo lungo della Cina: dai frutti lunghi e sottili a polpa tenera, con pochi semi e dal sapore fresco e dolce. Cetriolo Marketer: molto vigoroso e produttivo di origine americana, di colore verde scuro, leggermente papilloso. Cetriolo Rollison’s Telegraph: molto vigoroso a frutto lunghissimo di colore verde scuro, liscio. Cetriolo Torpedo: a frutto corto. Cetrioli a frutto piccolo Cetriolino piccolo verde di Parigi: cultivar da sott’aceti, rustica e molto produttiva. Cetriolino bianco da sott’aceti: cultivar a frutto piccolo con polpa soda, adattissimo per sott’aceti. Carpaccio di orata in crema di cetriolo Ingredienti Quattro orate (da circa 400 grammi a persona) Quattro cetrioli Quattro spicchi d’aglio Quattro limoni Quattro cucchiaini di aceto di vino rosso Otto cucchiai di olio extravergine d’oliva Due vasetti di yogurt bianco Dodici cucchiai di panna fresca Sale e pepe q.b. Preparate una marinata con due spicchi d’aglio, quattro cucchiai d’olio extravergine d’oliva ed il succo di quattro limoni, aggiungetevi del sale e del pepe. Preparate le vostra orate sfilettandole e mettendo i filetti ottenuti a marinare per circa 15-20 minuti. Nel contempo potrete preparare un mini tzatziki per il pesce. In un tritatutto frullate i cetriole, meglio se privati dei semi, senza sbucciarli, aggiungetevi via via l’olio rimanente, l’aceto, i due spicchi d’aglio, lo yogurt, sale e pepe. Frullate fino a raggiungere la consistenza di una crema non troppo densa (se il mixer non è capiente, fate l’operazione in due volte e ovviamente dimezzate le quantità indicate). Se la crema risulterà troppo densa, allungatela con lo yogurt. Scolate i filetti di orata dalla marinatura, spennellateli con dell’olio extravergine d’oliva e coprite il vostro carpaccio con lo tzatziki. Oppure vi consigliamo di servire l’orata con la salsa accanto in modo da poter far gustare ai commensali la salsa nella quantità desiderata. Per dare una nota di freschezza al piatto aggiungete qualche fogliolina di menta selvatica. E per un tocco esotico grattugiate un po’ di zenzero fresco e mettetelo nello tzatziki. Immancabile tzatziki Chi è stato in Grecia, non ha assolutamente potuto evitare lo tzatziki, tipico antipasto usato anche come salsa. La parola greca deriva dal turco cacï. È preparato con yogurt, generalmente di pecora o di capra, cetrioli, in forma di purea o finemente spezzettati, cipolla e aglio secondo il proprio gusto, particolarmente abbondante in Grecia. Viene general- mente arricchito con olio d’oliva e varie erbe, tra cui l’aneto e la menta. Si aggiunge, inoltre, un cucchiaio di aceto. Viene spesso servito, accompagnato da pita, come il primo piatto di un pasto, con olive nere su di esso o a parte. È uno dei componenti principali del kebab turco e dei souvlaki e gyros greci. In Bulgaria lo stesso piatto è conosciuto come tarator secco ed è servito come antipasto. Per la sua preparazione lo yogurt viene appeso per varie ore al fine di fargli perdere circa metà del suo contenuto di acqua. In seguito vengono aggiunti cetrioli, aglio, noci spezzettate, sale e pepe. cucina 5 Sabato, 30 giugno 2007 FRUTTI DI MARE I gourmet preferiscono le tonde alle allungate Ostriche, preziose e gustose L’ ostrica è apparsa sul nostro pianeta circa cento milioni di anni fa, e un raro e prezioso esemplare è stato rinvenuto con una perla di ben 10 milioni di anni. I greci le apprezzavano molto e l’entità del consumo è indicata dal fatto che usavano i suoi gusci nelle votazioni pubbliche. I romani concepirono il primo sistema per allevarle. Questo gustoso mollusco vive in una conchiglia a valve asimmetriche e rugose dal diametro di dimensioni variabili fino a La colazione di Casanova La fama delle ostriche fra gli afrodisiaci sembra essere dovuta più alla forma (richiama gli organi genitali), che alle sostanze contenute. Tuttavia in questo mollusco si trova lo zinco, stimolatore della funzionalità degli ormoni e del testosterone. I buongustai consigliavano di non mangiare le ostriche nei mesi in cui non c’è la “R” (caratteristiche climatiche). Giacomo Casanova ne degustava cinquanta a colazione, mentre alla Corte d’Austria si era soliti aprirvi i banchetti. 20 centimetri. L’ostrica produce un’enorme quantità di uova che restano nella conchiglia fino ad uno stadio di larva, successivamente le larve vengono espulse ed iniziano un periodo di vita libera: fornite di una sottile conchiglia iniziano a nuotare alla ricerca di un corpo sommerso sul quale fissarsi. Mentre il mollusco cresce, cresce anche la sua conchiglia tramite la deposizione di cristalli di carbonato di calcio al di sopra di una struttura di proteine chiamata conchiolina,. Si crea così il guscio duro atto a proteggere le parti molli dell’organismo. Il tessuto che secerne queste sostanze è un tessuto foliato e soffice, detto mantello che è situato tra la conchiglia e gli organi più interni. Esse vivono per lo più a banchi saldamente ancorati ai fondali rocciosi a profondità variabile a seconda della specie e molte ostriche presentano, sulle loro valve dei caratteristici anelli di crescita che somigliano a quelli che si possono vedere quando si taglia un tronco. Nel Mediterraneo e nell’Adriatico settentrionale vive l’ostrica comune (ostra edulis) che viene allevata per la sua gustosità. Nelle acque del Pacifico invece si trova l’ostrica perlife- Ostriche alla Napoleone Ingredienti 24 ostriche Due bicchieri di cognac Otto foglie di lattuga Quattro cucchiai di olio extravergine Pepe bianco Sale Succo di due limoni Ghiaccio Mettete in un piatto del ghiaccio tritato e disponeteci sopra le ostriche. In una ciotola mescolate il pepe bianco macinato di fresco, il succo dei limoni, il cognac e un pizzico di sale, poi goccia a goccia aggiungete l’olio. Versate il condimento da voi così emulsionato sulle ostriche e servite subito. Ostriche in salsa vellutata Ingredienti 24 ostriche Un bicchiere di vino rosso Per la salsa vellutata 40 grammi di burro 40 grammi di farina Due cucchiai di panna Due cucchiai di prezzemolo tritato ra (pinctada margaritifera), conosciuta fin dall’antichità per la produzione di perle. Gastronomicamente parlando le ostriche più pregiate sono quelle tonde, in particolare il tipo detto belon che può arrivare anche a 15 centimetri di diametro, ma i cui esemplari normali stanno tra i 7 e i 10 centimetri. La differenza tra ostriche tonde e allungate, a parte la forma, sta nell’aroma più morbido delle prime, salmastro ma armonico in quelle allungate. L’ostrica si mangia normalmente cruda. Al momento dell’apertura della conchiglia deve essere viva, cioè reagire quando la si tocca. Sia che la si consumi cruda, sia La scorza di mezzo limone Un mestolino di brodo Sale Pepe Aprite le ostriche con l’apposito utensile; raccogliete il liquido contenuto nei gusci e unitelo al vino; aggiungete le ostriche e cuocete per 10 minuti. Poi filtrate attraverso un colino e fatelo ridurre della metà. Preparate la salsa: stemperate la farina nel burro, unite il brodo, aggiungete il composto al vino, salate, pepate, aromatizzate con la scorza grattugiata di limone e cuocete per 10 minuti. Quindi unite la panna, amalgamate per bene e irrorate le ostriche; spolverizzate di prezzemolo tritato e disponete in frigo per almeno un’ora prima di servire. Ostriche mare e orto Ingredienti 700 grammi di patate di media grandezza 100 grammi di ostriche sgusciate 100 grammi di lenticchie 120 grammi di gamberetti piccoli freschi 10 grammi di erba cipollina 10 grammi di carota 10 grammi di sedano 5 grammi di pomodori secchi Un limone che la si cuocia, l’ostrica è molto digeribile, e la porzione normale quando la si serve come antipasto è di 6 a testa anche se si dice che Balzac riuscisse a consumare oltre 40 in apertura di pranzo. Il modo migliore di preparare le ostriche è di aprirle con un coltello apposito, corto spesso e munito di un guardamano, al momento di mangiarle: il coltello va inserito nella cerniera delle valve e si può proteggere la mano che regge l’ostrica con un asciugamano ripiegato o con un apposito guanto. Eliminata la valva superiore si mettono le ostriche su un letto di ghiaccio tritato in un piatto di servizio largo e fondo. Ogni ospite deve avere una forchettina piatta con un lato tagliente, per raccogliere l’ostrica nel guscio e portarla alla bocca. In altri piatti si mettono quarti di limone, pane bianco o integrale a fette, riccioli di burro: la fetta di pane imburrata è l’accompagnamento ideale, insieme allo champagne. A tavola deve esserci il macinapepe, mentre altri condimenti come il ketchup, che pure si usa servire insieme alle ostriche, specialmente negli Stati Uniti, sono decisamente sconsigliabili perchè coprenti il gusto naturale. Dato il suo pregio gastronomico come mollusco da consumarsi vivo non c’è da meravigliarsi che le ricette di ostriche cotte siano tutto sommato così rare, ma è possibile trovarle cucinate al gratin al forno o fritte. Oltre ad essere di gusto stuzzicante l’ostrica è un’importante fonte di zinco, sostanziale per il funzionamento del nostro sistema immunitario, ma anche di ferro e calcio. Contiene inoltre una buona quantità di acidi grassi polinsaturi. Tradizionalmente le ostriche vengono considerate un alimento afrodisiaco, ma ricerche scientifiche condotte negli anni passati hanno mostrato dati discordanti che non ne hanno sempre confermato l’efficacia. Per chi non le ama crude Per chi non intende degustare le ostriche crude, esistono varie ricette da testare: possono essere passate in forno ricoperte di un trito composto da pangrattato, basilico e prezzemolo. O fare da base a un risotto in bianco giustamente mantecato. O ancora, per i più temerari, entrare nella farcia di ravioli di pesce di misura extra-large, serviti con una salsa delicata al caviale. L’importante è non sminuzzarle finemente, causa la perdita di sapidità, con il rischio che la componente aromatica diventi solo un pallido ricordo. Ostriche da Guinness I francesi e le ostriche: un amore mai interrotto. Lo scrittore Honoré de Balzac ne mangiò fino a 100 in una volta, ma c’è chi ha fatto di meglio: Mirabeau ne divorò addirittura 360 ed Enrico IV fece una storica indigestione. Alloro 5 cl di olio extravergine di oliva, Sale Sbucciare le patate, lessarle, tagliarle a tre quarti di lunghezza, svuotarle dall’interno quindi passare la polpa ricavata al disco fine del passaverdura o allo schiacciapatate. Unire alla purea ottenuta 2 cl di olio, 5 grammi di erba cipollina tritata e 70 grammi di ostriche tagliate a pezzettini.Amalgamare bene il tutto regolando di sale, rimettere il composto nelle patate scavate e coprire con il pezzetto di patata che era stato asportato inizialmente. Sgusciare i gamberetti, metterli in una ciotola e farli marinare con il succo di limone e olio extravergine. Tagliare il sedano e la carota a dadini piccolissimi quindi soffriggerli in un cucchiaio di olio. Unire l’alloro e le lenticchie (ammollate per un paio d’ore in acqua fredda e scolate), lasciare insaporire qualche istante poi coprire con acqua e cuocere per circa un quarto d’ora. Mettete le patate farcite in una teglia oliata, scaldarle in forno a 200 gradi per tre minuti poi sistemarle sui piatti dopo aver formato un letto di lenticchie. Guarnire con i gamberetti marinati e le ostriche rimaste, spolverizzare con erba cipollina tritata, condire con un filo d’olio e servire. Ostriche al naturale Ingredienti 24 ostriche Due limoni tagliati a spicchi Ghiaccio tritato Comprate le ostriche dal vostro pescivendolo di fiducia; potete tenerle in frigorifero a 3 gradi per due giorni senza problemi. Se dovete trasportarle in un posto lontano da quello dell’acquisto, è importante che le trasportiate in una borsa termica. Data la difficoltà nell’aprirle, si consiglia di acquistare l’attrezzo che facilita l’operazione. Una volta aperte, adagiatele su un vassoio ricoperto di ghiaccio tritato e, al momento di portarle alla bocca, spruzzatele col limone. Mangiate solo quelle che si sono contratte, perché vuol dire che sono vive. Per mangiarle potete aiutarvi con una forchettina oppure portarle direttamente alle labbra succhiando il mollusco, che comprimerete per qualche minuto contro il palato e poi ingoierete senza masticare. È l’unico modo in cui vengono mangiate dai veri intenditori. 6 cucina Sabato,30 giugno 2007 SORBETTO Un’ondata di freschezza, dessert o intervallo che sia «Oh, come scricchiola tra i denti…» Sorbetto di limone L o sapevate che il sorbetto può essere considerato il progenitore del gelato? I suoi ingredienti principali (acqua, zucchero, frutta) rendono questo prodotto molto leggero e adatto a “separare” i sapori delle diverse pietanze di un pranzo. Pare che il sorbetto fosse già conosciuto in Cina nel VII secolo a.C. In quest’area avevano scoperto come conservare il ghiaccio invernale, costruendo depositi dove veniva mantenuto freddo per evaporazione. Il consumo di bevande ghiacciate si è diffuso dall’Estremo Oriente per giungere dal Medio Oriente in Europa, visto che il termine sorbetto deriva dal turco “sherbet” che significa bevanda fresca e che a sua volta deriva dall’arabo “sharab” ossia “sorbire”. Il sorbetto sembra che trovò la sua prima affermazione sociale nei banchetti De’ Medici, ma è certo che a partire dalla metà del Cinquecento, iniziò a diffondersi in Italia e Francia. La più antica ricetta di una preparazione che possiamo definire “sorbetto” è riportata nel libro di Bartolomeo Scappi. All’epoca diversi medici sconsigliavano comunque il “cibo freddo”, per gli effetti che poteva arrecare all’organismo, e testimonianze di questa tesi le rintracciamo nei trattatelli: “Il discorso Sorbetto al pistacchio Ingredienti 220 grammi di zucchero Mezzo litro di acqua La scorza di 2 limoni 150 ml di succo di limone 150 ml di succo d’arancia 35 grammi di pistacchi tritati 2 bianchi d’uovo Mettete lo zucchero in un pentolino con l’acqua. Mescolate con un cucchiaio di legno facendo sciogliere lo zucchero. Fate cuocere fino a quando lo zucchero non si é sciolto completamente poi per altri 10 minuti, sempre a pentola scoperta e senza far bollire. Spegnete, fate raffreddare. Aggiungete a questo sciroppo gli altri ingredienti. La scorza di due limoni, il succo dei limoni, quello di arancia e i pistacchi tritati. (volendo potete usare anche succo di arancia confezionato) Mettetelo in un contenitore da freezer (per esempio uno capiente da plum cake) o nel contenitore della vostra gelatiera. Lasciatelo in freezer per almeno 1 ora. Sbattete i bianchi d’uovo in un frullatore o nel mixer, tirate fuori il sorbetto (che nel frattempo non si sarà congelato del tutto) e mixatelo o frullatelo insieme ai bianchi d’uovo per qualche istante ed aggiungete qualche goccia di colorante verde se vi piace. Riportate il sorbetto nel contenitore e rimettetelo in frigo per un paio d’ore poi servite. Sorbetto alla fragola sopra il bever fresco” del 1602 di Jacopo da Castiglione, e “Del bever freddo” del 1627 di Peccana. Già a metà Seicento il sorbetto era venduto in apposite botteghe, a Venezia e sopratutto a Napoli, con esiti di grande raffinatezza. Le prime ricette complete di ingredienti e lavorazioni sui sorbetti vennero redatte da Antonio Latini, cuoco presso la corte partenopea dal 1659, che a fine carriera realizzò un breve tattato su: “Sorbette o acque agghiacciate”. Nello stesso secolo, con l’ampliarsi delle conoscenze tecnologiche il sorbetto arrivò anche sulle tavole borghesi, conquistando pagine di lode addirittura dal Redi che nel Bacco in Toscana inneggiava: “Oh come scricchiola tra i denti, e sgretola quindi dall’ugola giù per l’esofago freschezza sdrucciola fin nello stomaco”. Durante il 1775 venne pubblicato, sempre a Napoli, il primo libro interamente dedicato a quest’arte: “De’ sorbetti”, autore Filippo Baldini, che teorizza l’esistenza di vari sorbetti, alcuni realizzati con frutti “subacidi” (limone, arancio, fragola), altri con ingredienti aromatici (cioccolato, cannella, caffé, pistacchi o pinoli). Un capitolo a parte della pubblicazione è dedicata ai “sorbetti lattiginosi” cioè i gelati, dei quali sono decantate le formidabili virtù medicamentose. Se è vero che il sorbetto trova la sua prima affermazione nei fastosi quanto famosi banchetti fiorentini e toscani dell’epoca medicea, è anche vero che a Parigi fu diffuso grazie all’attività del siciliano Procopio de’ Coltelli, uomo assai intraprendente giunto nella capitale francese nell’anno 1660 per aprire il primo caffè il “Procope”, appunto: un locale elegante sorto di fronte alla Ancienne Ingredienti 50 grammi di fragole 250 grammi di zucchero Il succo di mezzo li mone 100 grammi di panna Pulite accuratamente le fragole e cuocetele per 5 minuti in mezzo litro di acqua bollente in cui avrete fatto sciogliere lo zucchero. Passate quindi il tutto al setaccio, raccogliete il ricavato in una terrina e aggiungetevi il succo di limone. Versate il passato nelle vaschette del ghiaccio, contenenti le “griglie” che normalmente servono a separare i cubetti di ghiaccio, e passate nel freezer per 3 ore. Nel frattempo montate la panna. Trascorso il tempo indicato, levate i cubetti di ghiaccio dalle vaschette, suddivideteli in coppe individuali e decorateli con ciuffi di panna. Comédie Française in cui oltre al caffè venivano serviti sorbetti e gelati dalle forme molto variate e fantasiose. Il “Procope” ha fortuna, diviene un locale à la page, e passa alla storia per essere centro di incontro di intellettuali e scrittori fra i quali sono da ricordare Rousseau e Voltaire, tanto per fare un esempio. Ancora oggi il “Caffè Procope” è attivo con il vanto di essere la più antica brasserie della città. Il sorbetto veniva e viene servito nei pranzi importanti in momenti diversi: ad esempio fra un piatto di pesce e uno di carne o fra un piatto molto saporito (ad esempio la cacciagione) e un dessert sostanzioso. Ha anche la funzione di “attesa”, indispensabile nei pranzi che prevedono molte portate e che pertanto abbisognano di tempi prolungati adatti ad una digestione rilassante. Potete servire il sorbetto in coppe, modellandolo a palline, operazione per cui utilizzerete l’apposito utensile da gelati. Per una migliore presentazione potete “cristallizzare” il bordo di ciascuna coppa bagnandolo prima con del succo di limone e quindi immergendolo nello zucchero, in modo che quest’ultimo rimanga leggermente attaccato tutt’intorno alla coppa. Sorbetto di albicocche Sorbetto alla cannella Ingredienti: 750 ml di acqua 200 grammi di zucchero Mezzo cucchiaio di farina di mais (granoturco) Mezzo cucchiaio di succo di limone Mezza stecca di cannella Fate bollire l’acqua con la cannella. Lasciate sul fuoco a lungo, facendo evaporare buona parte dell’acqua e fino a che non abbia assunto il sapore ed il colore della cannella. Aggiungete quindi lo zucchero e lasciate bollire per altri 5 minuti. Sciogliete la farina di mais in due cucchiai di acqua calda, dopodiché versate nella pentola assieme agli altri ingredienti. Fate cuocere ancora 5 minuti, togliete dal fuoco e fate raffreddare un po’. Unite il cucchiaio di succo di limone e filtrate. Lasciate raffreddare a temperatura ambiente, travasate in un apposito contenitore (es. quelli di plastica per alimenti) e poi mettete il composto nel congelatore. Mentre si solidifica, mescolate più volte (in tutto tre o quattro) il sorbetto, che è quindi pronto per essere servito. Ingredienti 500 grammi di albicocche ben mature Il succo di un limone 200 grammi di zucchero Immergete per un attimo le albicocche in acqua bollente, scolatele e privatele della buccia e dei noccioli. La polpa di albicocche che otterrete dovrà pesare circa 250 grammi netti. Passate quindi questa polpa nel frullatore oppure al setaccio; raccogliete il ricavato in una terrina e incorporatevi il succo di limone. Mettete lo zucchero in una casseruolina, unitevi circa un bicchiere d’acqua e fate cuocere a fiamma bassa fino a quando inizierà una leggera ebollizione. Levate il recipiente dal fuoco e, quando lo sciroppo si sarà raffreddato, unitevi il passato di albicocche e mescolate accuratamente. Versate il composto così ottenuto nel contenitore della gelatiera e sistemate l’apparecchio nel freezer per far consolidare il sorbetto. Se non avete la gelatiera potrete ugualmente preparare il sorbetto utilizzando le vaschette del freezer (o altro recipiente metallico) e lasciando gelare il composto per 23 ore. Quando il composto sarà ghiacciato, toglietelo dal freezer, spezzatelo in blocchi con l’aiuto di un paio di forbici e passate questi ultimi nel frullatore fino a ridurli in crema. Sistemate nuovamente il composto nel freezer per altri 30 minuti. cucina 7 Sabato, 30 giugnoo 2007 GRANITA In passato neve e frutta venivano usati per dissetarsi L’arte siciliana del bere freddo C ome dissetarsi nelle calde giornate estive? Ci vorrebbe una granita, la specialità siciliana che non è ancora approdata dalle nostre parti, ma che spesso abbiamo potuto gustare nelle giornate calde, magari durante una gita nella vicina Italia. La granita è una preparazione ottenuta dalla miscelazione di succhi di frutta, misti di acqua e frutta, purea di frutti ad alto contenuto idrico come le fragole, infusi, sciroppi e zuccheri sottoposte a raffreddamento e successiva granulazione. Questo composto non è tanto più freddo del sorbetto e del gelato, ma è soprattutto più denso perché essendo essenzialmente un liquido congelato e poi macinato, praticamente non contiene aria. Quindi, la granita è quella che risulta più fredda al palato e pertanto tende ad essere consumata con panna, brioche e altri lieviti che hanno l’effetto di ricondurla a qualcosa di simile ad un semifreddo. La storia della granita trova la sua genesi sin da quando gli antichi greci e romani si dilettavano nel preparare le prime rudimentali versioni di questa squisita “bevanda gelata”. Diverse varianti esistevano, ma fondamentalmente erano versioni a base di neve, succhi di frutta e ghiaccio che non erano altro che quei pochi ingredienti presenti a quell’epoca utili per poter realizzare in quei tempi andati delle granite “ante litteram”. Questa ipotesi storica trova addirittura una prova reale grazie agli scavi effettuati presso Pompei, nelle cui taverne erano presenti dei banconi chiamati allora “Thermopolia” in cui i “baristi” di allora mantenevano fredde , mediante l’impiego di ghiaccio, delle “misture a base di neve e succhi di frutta”, le future granite. La storia racconta anche che addirittura il famoso condottiero Alessandro Magno era un golosone di un composto a base di neve, miele, spezie e frutta fresca. È però quasi sicuro che il merito della svolta nella preparazione della attuale granita spettò agli arabi, i quali ebbero il merito e la capacità di introdurre in tutta la Sicilia la coltura del limone e della canna da zucchero. Fin dal Medioevo a Messina esisteva la professione del “nevarolu”, cioè un Granita al limone Granita all’albicocca Ingredienti: 200 grammi di zucchero 400 grammi di albicocche Una bustina di vanillina Il succo di un limone. Fate bollire in una casseruola smaltata, lo zucchero con un bicchiere di acqua, mescolando di tanto in tanto. Lavate le albicocche, snocciolatele e riducetele in pezzi minuti; mettetele nella casseruola con lo sciroppo e fatele cuocere, a recipiente scoperto e a fiamma bassissima, per circa 30 minuti. Quindi togliete dal fuoco e fatele raffreddare completamente. Passate la frutta al setaccio, con lo sciroppo di cottura, e raccogliete la purea in una terrina, dove la mescolerete con la vanillina ed il succo di limone. Versate il composto nelle vaschette del ghiaccio e tenetelo in freezer per 2-3 ore, mescolando con un cucchiaio di legno ogni 30 minuti. Trascorso il tempo stabilito, distribuite le granite nei bicchieri e servitele subito. Ingredienti: 150 grammi di zucchero semolato Il succo di tre limoni Un albume 50 grammi di zucchero vanigliato Due bicchieri di rum Mettete lo zucchero in una casseruola con un bicchiere di acqua e portate ad ebollizione, mescolando spesso con un cucchiaio di legno per far bene sciogliere lo zucchero. Togliete lo sciroppo dal fuoco, aggiungetevi il succo di limone e fate raffreddare completamente. Passate il composto attraverso un telo a trama sottile, versatelo nelle vaschette del ghiaccio e tenetelo in free- palermitano Francesco Procopio dei Coltelli (lo stesso dei sorbetti) che con il sogno di conquistare Parigi, esportò in Francia la celeberrima granita. Il suo sogno di estasiare il palato dei francesi riuscì in pieno ed il suo celebre Caffè parigino detto “Le Procope” ebbe un sorprendente successo da quando cominciò a servire le cosiddette “acque gelate” siciliane cioè le granite aromatizzate sia ai fiori che alla frutta al punto che il re Luigi XIV in persona concedette al giovane palermitano l’esclusivissima “patente reale” in pratica una sorta di copyright per la produzione esclusiva di questi pregiati dolci gelati. I sapori tradizionali della granita non variano nel tempo: limone, Granita al tè Ingredienti 800 ml di tè 80 grammi di zucchero Preparate del tè e zuccheratelo quando è ancora caldo, mescolando bene fino a scioglierlo completamente. Versatelo in una vaschetta e mettetela nel freezer per alcune d’ore, mescolando di tanto in tanto per evitare che si formino grossi cristalli di ghiaccio. Servite in coppette guarnite con qualche fetta di limone. Granita di limone al rum Ingredienti 180 grammi di zucchero Quattro bicchieri di acqua Due bicchieri di succo di limone Mettete acqua e zucchero in un pentolino e portate a bollore, facendo bollire lo sciroppo per circa 5 minuti. Togliete dal fuoco, fate raffreddare ed unite il succo dei limoni, mescolate con cura, quindi versate il composto in un recipiente metallico e mettete in freezer. Per ottenere una buona granita ci vorranno circa 4 ore, ma ogni venti minuti circa va mescolato. uomo che si occupava di conservare la neve tutto l’anno. Si possono ancora trovare sui Peloritani, i monti che sovrastano la città, le buche che dovrebbero essere state usate per la conservazione del ghiaccio, rifinite di mattoncini o di pietra. I nobili messinesi, con l’avvento delle temperature calde compravano la neve dal nevarolu e ci spremevano dentro il limone. Anche sull’Etna in passato sono esistiti i nevaroli, che trasportavano la neve sino in riva al mare. Una volta, nelle famiglie patrizie, si usava conservare per la stagione estiva la neve dell’Etna in apposite “case neviere”, anfratti naturali particolarmente freschi, per ripararla dal caldo e utilizzarla all’occorrenza nella preparazione di sorbetti e gelati. Ed è proprio dalla Sicilia che, nella seconda metà del Seicento, un giovane mandorla, gelsi e poi caffè ma anche fiori di gelsomino. In Sicilia esistono tanti modi per indicare la granita. Uno ad esempio è particolare: la “mezza”, termine usato nelle gelaterie modicane. Pare che questo modo di definirla sia legata al fatto che per preparare questa granita occorreva soltanto il succo di mezzo limone. Le prime macchine rudimentali per produrre granite in una certa quantità si componevano di una tinozza che veniva fatta girare a mano dentro un pozzetto. Tra tinozza e pozzetto si formava il ghiaccio che veniva mischiato col sale grosso (due parti di sale ed una di ghiaccio). La granita fatta con queste rudimentali macchine era per lo più destinata alle grandi feste nobiliari. Oggi, nelle moderne macchine dette mantecatrici, tinozza e pozzetto sono un tutt’uno e funzionano automaticamente. Granita alle fragole zer per 3 ore, mescolando con un cucchiaio di legno ogni 30 minuti. Trascorso il tempo unite alla granita l’albume montato a neve ben ferma e lo zucchero vanigliato. Mescolate accuratamente, poi aggiungete il rum e mettete in freezer ancora per 1 ora. Distribuite la granita in quattro bicchieri e servite imediatamente. Ingredienti: 300 grammi di fragole Due limoni, succo q.b. Tre arance, succo q.b. Portate all’ebollizione, in una casseruola, lo zucchero con un quarto di acqua, mescolando di tanto in tanto, finché lo zucchero non si sarà sciolto. Togliete poi lo sciroppo dal fuoco e lasciatelo raffreddare. Lavate le fragole, privatele del picciolo e passatele al setaccio, raccogliendole in una terrina: unitevi prima il succo di limone e quello di arancia, mescolando accuratamente, poi lo sciroppo ormai freddo.Versate ora il composto, che avrete ben amalgamato, nelle vaschette del ghiaccio e tenetelo con un cucchiaio di legno. Trascorso il tempo stabilito, distribuite la granita in quattro bicchieri e servitela subito. 8 cucina NOVITÀ Sabato, 30 giugno 2007 È nato il sito www.istria-gourmet.com Su Internet tutto il «mangiar bene» istriano di Fabio Sfiligoi S u iniziativa dell’Ente turismo e dell’Ufficio per il turismo della Regione Istria, è nato da poco su Internet il sito www.istria-gourmet.com, dedicato interamente all’offerta enogastronomica della penisola, diventata ormai un preciso punto di riferimento per le le buone forchette di tutto il mondo. Nel messaggio introduttivo firmato dall’Ufficio per il turismo della Regione Istria del sito si spiega che “puntando all’obiettivo finale di far diventare l’Istria una regione turistica di alta qualità, il turismo enogastronomico fa parte di un progetto di sviluppo che nel corso del suo processo è diventato un marchio con il quale identificare l’Istria. Con i suoi effetti molteplici è andato a integrarsi con gli altri progetti come agriturismo, strade del vino, giornate del tartufo, cicloturismo, ecc.. Questo sito Internet nasce considerato l’interesse suscitato dalla ‘cultura della tavola’, la passione per la cucina istriana a livello nazionale e internazionale e parallelamente a una crescita qualitativa del settore ristorazione. L’obiettivo che si pone www.istria-gourmet.com è di diventare nel tempo un punto di riferimento per gli amanti della gastronomia”. Il sito si presenta di facile consultazione, in cinque lingue diverse (inglese, tedesco, italiano, sloveno e francese) oltre al croato. Purtroppo quando lo abbiamo visitato la versione in italiano non era ancora disponibile. Sono di- Stuzzichinews Oro al dignanese Chiavalon a NY Non solo un olio extravergine di alta qualità (fra i 24 oli croati inseriti nella guida “L’Extravergine”), ma anche un design di livello mondiale: “Graphis”, concorso di design che viene allestito a New York, ha assegnato la medaglia d’oro al già affermato produttore dignanese Sandi Chiavalon. Il “look” dell’olio firmato da Chiavalon è stato creato dall’agenzia di marketing zagabrese Bruketa&ŽinićOM e ora verrà inserito nell’edizione 2008 dell’annuario Graphis Design. La scheda verse le sezioni che portano il visitatore ad una conoscenza capillare del territorio. Per gli amanti del vino vengono indicati tutti i produttori (indirizzo, numero telefonico) presenti sul territorio, a sua volta diviso per zone. Lo stesso discorso vale per i produttori di olio extravergine d’oliva, riconosciuto ormai a livello mondiale. C’è una sezione molto dettagliata sul tartufo, immancabile la foto del tartufo da Guinness Il ristorante del mese «Gonar» di Arbe: più che una «konoba» Nel nostro giro tra i “posti di ristoro” della Croazia la scelta cade a volte magari su una “konoba” che dall’aspetto “ambientale” potrebbe non sembrare granché ma che, alla fine, risponde alle nostre esigenze di aspettativa che comprende non soltanto il cibo (anche se questo è di primaria importanza) ma anche l’aria che si respira… come potete controllare da vari parametri cui si riferisce il giudizio finale. Così è stato per esempio arrivando ad Arbe. Le tre catene collinari che attraversano Arbe condizionano la meteorologia della quarta isola del Quarnero. Se nella parte orientale, verso il Velebit, l’isola non è per nulla accogliente, nella parte occidentale si gode di un clima ottimo e anche la vegetazione è sorprendentemente rigogliosa. Arbe è il paradiso dei naturisti (ricordiamo che fu nientepopodimeno che il re Edoardo III d’Inghilterra a incignare la moda dei nudisti, già nel 1936, dopo aver chiesto il permesso alle autorità locali). L’isola è anche il paradiso dei diportisti e Supetarska Draga è sicuramente uno degli approdi più frequentati. È qui che, al centro di un panorama magnifico, trovate una “konoba”, che di “normale” ha soltanto il caminetto; caminetto che non usa soltanto come decorazione, ma anche per cucinarvi normalmente tutte le specialità marinare dell’isola e anche la carne di agnello (qui buona come a Cherso). Il sistema è quello della cottura sulle brace, sotto la campana di ghisa (la peka o čripnja), il modo migliore per conservare sapori, profumi e morbidezza delle carni o del pesce. Tre tipi di peka sono abitualmente in funzione; la richiesta maggiore è quella del polipo. Mentre Nada sta in cucina con il figlio Marijan, il “paron” Josip esce in mare con il suo barcone (con il quale trasporta anche i turisti in cerca di emozioni); il figlio Robert e la moglie Iva si occupano di mettere a loro agio i clienti. Un buon bicchiere di vino e il miracolo si è compiuto. A disposizione anche alcune camere per la notte. Un particolare: il locale è attrezzato anche per gli handicappati. Sostene Schena Nome e indirizzo: Gonar (konoba) - Supetarska Draga, 32B 51280 Rab-Arbe. Telefono e fax +385/51-776638 Apertura: da Pasqua a ottobre dalle 10 alle 24. Su prenotazione sempre. Coperti: 65 all’interno Gestione: Nada Durmišić. Lingue parlate: tutte (ma poco italiano) Pagamento: anche Amex, Diners, Master, Visa Prenotazione: consigliabile Distanze: 90 km da Fiume (via Veglia- Besca ); 120 da Fiume via Segna-Jablanac. Come arrivarci: da Fiume prendere la strada per Spalato fino a Kraljevica (23 km) e qui o scendere a Jablanac o attraversare Veglia; a Jablanac trovate il traghetto (15’) ogni ora fuori stagione (tel. +385/51-721873) e più frequentemente in estate (72 kune per auto e autista + 10 kune per passeggero. Camper 115; in stagione 10 kune in più). Seguite la strada per Arbe; al bivio per Supetarska Draga girate a destra e al bivio per Lopar girate a sinistra; proseguite per altri 3 km. La seconda possibilità: superare i due ponti (15 kune), attraversare tutta Veglia (53 km) e raggiungere Besca (72 km.) Da qui si prende il traghetto (ma solo dal 1° giugno fino a settembre, 110 kune) e dopo un’ora e 15’ si è a Lopar; per Gonar sono altri 7 km. di 1,31 chilogrammi scoperto nel 1999 da Giancarlo Zigante. Molto dettagliata e con dovizia di particolari e dati la guida a ristoranti, konobe e agriturismo. Alla voce gastronomia vengono indicati i piatti che vanno per la maggiore in Istria. Molto interessante il calendario degli appuntamenti gastronomici in calendario nei prossimi mesi. Ne approfitiamo per segnalarne alcuni: il 14 luglio a Medolino si terrà il Brodet Cup, gara di preparazione del brodetto riservato ai VIP. Il giorno dopo a Fasana è in programma la festa della minestra istriana. Appuntamento da non mancare per gli amanti del pesce azzurro il 20 luglio a Vabriga dove si terrà la Festa dei sardoni. Gli appuntamenti di agosto si aprono il giorno 2 con la Festa del pomodoro di Umago, evento che l’anno scorso ha riscosso notevole successo. Qualche cifra: sono state preparate 5.000 porzioni di quattro tipi di pasta: alla bolognese, vegetariana, ai frutti di mare e al tonno. Fra tutti gli ingredienti sono stati usati 350 chilogrammi di pasta e 200 chilogrammi di pomodori. Sempre il 2 agosto (fino al 4) in Punta a Umago parte l’iniziativa “Istria terra magica”, riservata alle tradizioni culinarie istriane e ai prodotti autoctoni. Dal 3 al 5 agosto la piazza di Castellier ospita la Festa della patata, in dialetto “gramper”. Tradizionale appuntamento il 4 agosto a Fasana con l’ormai notissima Festa delle sardelle, mentre l’11 agosto Vabriga organizza la Festa dei pedoci (cozze). Insomma un programma intenso che permetterà di soddisfare chi la cucina istriana la conosce già e chi si appresta a farlo. Grazie anche al sito www.istria-gourmet.com. In Italia i funghi della Lika Prima un’attività artigianale in scala ridotta, poi un aumento più sensibile della produzione. È stato questo il passo decisivo che ha permesso alla ditta Špilnik di Otočac di fare breccia sul mercato gastronomico italiano. L’azienda della Lika si occupa di raccolta e trasformazione di funghi (porcini, gallinacci, trombette dei morti), l’offerta riguarda principalmente funghi secchi, ma anche polvere di funghi, il tutto con un design innovativo e moderno, che non guasta. La nostra pagella Ambiente Atmosfera Servizio Qualità Vino Prezzo Rapporto Q/P Giudizio finale Anno III / n. 6 29 giugno 2007 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: CUCINA Redattore esecutivo: Fabio Sfiligoi / Impaginazione: Tiziana Raspor Collaboratori: Krsto Babić e Sostene Schena. Foto: Goran Žiković, Krsto Babić e archivio. Il supplemento esce con il sostegno finanziario della Regione Istriana, Assessorato alla Comunità nazionale italiana e altri gruppi etnici. Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n. 1868 del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana. 87 87 80 87 79 79 82 86