Anno III – Numero 342
Mercoledì 5 Febbraio 2014, S. Agata
AVVISO
Proverbio di oggi……..
oggi……..
Ordine
1. In riscossione la
quota sociale 2014.
2. Corsi ECM: FAD e
residenziali
’A gatta scippa pure quanno l'accarizze.
La gatta graffia anche quando la si accarezza.
CORSI ECM 2014: RESIDENZIALI E FAD
Notizie in Rilievo
AVVISO
Prevenzione e
Salute
Si informa che da Mercoledì 5 Febbraio è possibile prenotare i
3. Grassi nella dieta,
meglio «buoni» che
pochi
Scienza e Salute
4. Quando vanno tolte
le tonsille?
5. Vitamine C ed E
peggiorano
performance in gare
di resistenza
Governo e Salute
6. Farmaci. Nasce il
tavolo Federfarma e
Sifo sulla
distribuzione diretta
Domande e
Risposte
7. Funzionano i metodi
anti-singhiozzo?
Corsi ECM Gratuiti 2014
COME PRENOTARSI:
12345-
collegarsi sul sito dell’Ordine www.ordinefarmacistinapoli.it
home page del sito dell’Ordine/sezione ECM
Prenotazioni
Accesso all’area riservata mediante username e password
Scegliere i corsi da prenotare
CORSI FAD: 30 CREDITI
A fianco al catalogo dei Corsi Residenziali, per soddisfare anche le
esigenze dei Colleghi che hanno difficoltà a frequentare i corsi,
quest’anno sono disponibili anche due Corsi con modalità FAD.
[email protected] o tel. 348.3995113
Funzionano i metodi ANTI-SINGHIOZZO?
Sì, i cosiddetti “rimedi della nonna” funzionano.
Il più famoso (trattenere il fiato per 15-20 secondi), per es.,
funziona perché permette di rilassare il diaframma e
favorisce l’interruzione delle contrazioni.
Anche bere, starnutire, succhiare un cucchiaino di zucchero e
uno spavento improvviso hanno un effetto sul diaframma e
quindi facilitano la scomparsa del disturbo.
Come funzionano? Fanno effetto perché influenzano il
ritmo della respirazione: il singhiozzo, infatti, è una
contrazione ritmica e involontaria del diaframma, il muscolo che determina
l’espansione della cassa toracica quando si respira. (Focus)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 342
GOVERNO E SALUTE
FARMACI. NASCE IL TAVOLO FEDERFARMA E SIFO SULLA
DISTRIBUZIONE DIRETTA
L’obiettivo è trovare una soluzione condivisa sulle modalità di distribuzione dei
medicinali del PHT. Per i farmacisti ospedalieri “alcuni farmaci potrebbero essere
distribuiti nelle farmacie di comunità”. Ma “altri, che necessitano di un monitoraggio più
puntuale devono restare di competenza delle farmacie ospedaliere”.
Il tema della distribuzione diretta dei farmaci del PHT non sarà più affrontato con un botta e risposta a
distanza tra i farmacisti del territorio e quelli ospedalieri. Fedefarma e Sifo hanno infatti deciso di
sedersi allo stesso tavolo e trovare, insieme, quale sia la modalità di distribuzione più corretta e
adeguata dei farmaci del prontuario per la continuità assistenziale ospedale-territorio una volta che il
paziente è tornato a casa dopo un ricovero.
Il nuovo tavolo tecnico, spiegano le organizzazioni, si basa sul presupposto della necessità di una
maggiore sinergia tra professionisti che svolgono un’analoga attività ma in contesti operativi diversi:
la farmacia di comunità, la farmacia ospedaliera e il servizio farmaceutico distrettuale.
Si tratta della prima tappa di cooperazione professionale tra le due organizzazioni su un tema che a
volte ha visto farmacisti territoriali e farmacisti ospedalieri contrapposti.
Lo scopo, però, è assicurare ai pazienti farmaci appropriati e una migliore aderenza alle terapie. Per
questo le due associazioni hanno convenuto sulla necessità di collaborare su un tema che rappresenta
per gli operatori anche una nuova opportunità di ulteriori forme di partecipazione professionale.
Ma il tavolo sui farmaci del PHT, affermano Federfarma e Sifo in una nota congiunta, “oltre che
rappresentare un importante momento di arricchimento e di scambio professionale, intende anche
essere un contributo per l’Aifa che, in base alla legge di stabilità, ha assunto l’impegno di aggiornare
annualmente il PHT”. “Come società scientifica che rappresenta i farmacisti delle Aziende Sanitarie che
operano negli Ospedali e nei Distretti Sanitari riteniamo che una collaborazione costante con i colleghi
delle farmacie di comunità possa dare ottimi risultati; siamo tutti parte di un unico SSN e una delle
nostre missioni è quella di assicurare al paziente la continuità assistenziale ospedale-territorio”, ha
dichiarato Laura Fabrizio, presidente Sifo.
“Tutti i farmacisti devono garantire, secondo le proprie specifiche competenze, un’assistenza
accessibile e di qualità ai pazienti, soprattutto a quelli affetti da particolari patologie e che necessitano
di farmaci innovativi mettendo in atto appropriate modalità di erogazione”. Per Fabrizio “alcuni
farmaci del PHT, ad es., potrebbero essere distribuiti nelle farmacie di comunità, mentre altri, che
necessitano di un monitoraggio più puntuale, come gli oncologici orali, debbono restare di
competenza delle farmacie ospedaliere, per consentire al paziente un appropriato follow up e la
massima sicurezza, prima, durante e dopo la terapia”.
“La collaborazione con Sifo, oltre a permettere un grande arricchimento culturale derivante dallo
scambio tra professionisti con esperienze operative diverse sul campo, potrà consentire di delineare le
soluzioni più adeguate per fare arrivare il farmaco al cittadino nella maniera più agevole e più sicura e
per facilitare il monitoraggio da parte del Ssn di spesa e consumi”, ha commentato la presidente di
Federfarma, Annarosa Racca. “La collaborazione – permetterà di supportare l’autorità sanitaria nel
processo di adeguamento del PHT alle esigenze dei pazienti, valorizzando le professionalità del
farmacista sia ospedaliero che territoriale”.
I Farmacisti Napoletani saranno ampiamente rappresentati al tavolo tecnico da Ugo Trama, referente
sifo nazionale per i rapporti con fofi/federfarma, consigliere dell'ordine dei farmacisti della provincia di
Napoli, e da Simona Creazzola in veste di componente del consiglio direttivo della Sifo e responsabile
della comunicazione. (Farmacista online)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 342
SCIENZA E SALUTE
QUANDO VANNO TOLTE LE TONSILLE?
Nei bambini si opta per l’intervento chirurgico solo con problemi di respirazione e molte
infezioni
Oggi, l’asportazione delle tonsille è meno diffusa di un tempo, ma a
volte è necessaria, non solo per le tonsilliti ricorrenti, ma anche
perché queste piccole strutture ai lati della bocca possono assumere
dimensioni tali da interferire con la respirazione.
«Le tonsille, come le adenoidi, sono costituite da tessuto linfatico e
svolgono una funzione difensiva verso le infezioni respiratorie, specie
nel primo anno di vita, in cui il sistema immunitario è ancora in fase di
sviluppo - spiega il prof. G. Felisati, dir. del Dip. testa e collo del Polo Univ. Osp. San Paolo di Milano -.
Le tonsille, per la loro posizione nel cavo orale, possono entrare in contatto con i germi molto
facilmente e così andare incontro a infiammazioni, le tonsilliti appunto. Mentre il raffreddore è quasi
sempre virale e l’otite di solito batterica, le tonsilliti possono essere sia virali sia batteriche. Sapere che
cosa ha causato l’infezione è importante per individuare la terapia corretta, il problema è che ciò non
può essere fatto con assoluta certezza sulla sola base dei sintomi».
Quali sono le manifestazioni tipiche della tonsillite? «Dolore alla gola, tonsille rosse, ingrossate
e ricoperte di placche biancastre, difficoltà a deglutire, ingrossamento dei linfonodi del collo e febbre,
in genere alta, sono i sintomi tipici delle tonsilliti acute. Nelle forme croniche, in cui il tessuto tonsillare
è costantemente malato, i disturbi, in caso di riacutizzazione, sono in genere più blandi, ma non per
questo da sottovalutare. Tonsille costantemente malate possono infatti costituire un focolaio di
infezione con potenziali ripercussioni negative su tutto l’organismo, come febbre reumatica, problemi
renali, febbricole persistenti, ascessi peritonsillari».
Come si cura la tonsillite? «Se è di origine batterica, con gli antibiotici; se è virale si può solo
cercare di attenuare i disturbi con antipiretici e antinfiammatori. I sintomi possono orientare sulla
causa, ma non danno risposte certe. La strategia più utilizzata per distinguere le due forme è il
tampone orale rapido, che individua l’eventuale presenza di streptococchi, batteri spesso chiamati in
causa in queste infezioni».
Quando è necessaria l’asportazione chirurgica?: «Nel bambino più di cinque tonsilliti nell’anno
precedente o la presenza di apnea respiratoria notturna a causa dell’ingrossamento delle tonsille sono
riconosciuti come motivi validi per valutare l’eventualità dell’operazione.
Nell’adulto l’intervento può essere considerato anche se le tonsilliti sono meno frequenti, a patto che
le tonsille siano veramente in cattive condizioni, perché atrofiche e costantemente malate.
Nel bambini la tonsillite è spesso accompagnata dall’adenoidite, infiammazione delle adenoidi che
causa ostruzione nasale. Adenoidi e tonsille vengono in molti casi tolte insieme.
D’altro canto, nei bambini con ostruzione respiratoria nasale e tonsille solo lievemente ipertrofiche e
senza frequenti infezioni si tende a rimuovere solo le adenoidi, perché l’operazione è meno invasiva e
con meno strascichi.
La rimozione in endoscopia - permette di vedere bene quello che si asporta, mentre l’approccio
tradizionale espone al rischio di non recidere tutto il tessuto e di avere ricadute». (Salute, Corriere)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 342
ALIMENTAZIONE E SALUTE
GRASSI NELLA DIETA, MEGLIO «BUONI» CHE POCHI
Le regole per non fare sacrifici sbagliati. Ora si dà più importanza alla qualità che alla
(ridotta) quantità
Se fino a poco tempo fa, quando si parlava
di grassi, la prima raccomandazione era di
utilizzarne «pochi», adesso si sottolinea
invece che devono essere «buoni».
Che non si debbano limitare troppo i
grassi lo conferma anche un documento
appena pubblicato negli USA dall’Academy
of Nutrition and Dietetics che ribadisce come, nella dieta dell’adulto, non meno del 20% e fino al 35%
delle calorie giornaliere debbano provenire da queste sostanze nutritive.
Per un adulto, con un fabbisogno energetico medio di 2000 kcal, questa percentuale si traduce da un
minimo di 44 grammi (pari, per es., ai grassi contenuti in 3 cucchiai di olio, una tazza di latte intero e 4
noci), a un massimo di 78 grammi di grassi al giorno.
«Contrariamente a quanto spesso si pensa — conferma Francesco Sofi, ricercatore nutrizionista
dell’Università di Firenze — una dieta a basso contenuto di grassi non è la più vantaggiosa dal punto di
vista nutrizionale, dal momento che la riduzione dei grassi si accompagna di solito a una sostituzione
con altri nutrienti (quali zuccheri e proteine) che potrebbe avere ripercussioni negative sulla salute».
LA QUALITA’ DEI GRASSI - Per quanto riguarda, invece, la qualità, fra le prime fonti di grassi
«buoni» consigliate nel documento ci sono i pesci grassi (come salmone e sgombri), la frutta secca a
guscio e i semi.
A proposito di questi, uno studio recentemente pubblicato su Hypertension ha messo in evidenza che il
consumo di semi di lino (per 6 mesi, 30 g al giorno inglobati in alimenti come pane e pasta) ha
un’azione antiipertensiva nei soggetti con pressione alta.
«Al di là di questo dato interessante, ma che necessita di conferme, — sottolinea Sofi — i semi oleosi
di lino, sesamo, girasole, zucca, come del resto i pesci grassi e la frutta secca a guscio, ci danno
l’opportunità di ribadire che la ricchezza in grassi di un alimento può rivelarsi un pregio quando la
qualità dei grassi è buona».
MIGLIORARE LA DIETA - Come possiamo, allora, migliorare la qualità dei grassi della dieta?
«Favorendo il consumo di grassi polinsaturi della serie omega 3 (presenti in particolare nel pesce,
nelle noci, nei semi di lino) e di monoinsaturi (di cui è ricco l’olio di oliva), limitando invece i grassi
saturi (presenti principalmente negli alimenti di origine animale), che non dovrebbero fornire più del
7-10% delle calorie totali — risponde l’esperto —.
Il più basso possibile deve poi essere il consumo di grassi trans, che si formano in particolare durante
alcuni trattamenti industriali per trasformare oli vegetali in grassi solidi: scegliere prodotti che
riportano in etichetta “senza grassi idrogenati” aiuta a evitarli. Un nostro studio, su ragazzi delle
superiori, ha rilevato, un elevato consumo di acidi grassi trans, a causa soprattutto di snack,
merendine e patatine». (salute, Corriere)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 342
SCIENZA E SALUTE
VITAMINE C ED E PEGGIORANO PERFORMANCE IN GARE
DI RESISTENZA
Secondo uno studio norvegese, modificano la reazione del muscolo
Un'insospettabile controindicazione prima di affrontare le gare di resistenza è l'assunzione delle
vitamine C ed E. Sì, perché modificano il modo in cui il muscolo
reagisce agli allenamenti. A rivelarlo è uno studio
della Norwegian School of Sport Sciencesdi Oslo pubblicato
sul Journal of Physiology.
La velocità non ne risente - Nel test, durato undici settimane,
54 atleti hanno ricevuto prima di ogni allenamento una pillola
con un g. di vitamina C e 235 mg di vitamina E o un placebo.
Al termine dello studio, i soggetti hanno effettuato un test di
velocità, in cui non sono state però rilevate differenze.
Meno mitocondri nei muscoli - In seguito, i volontari sono stati sottoposti all'analisi del sangue e
di un campione di tessuto muscolare. Gli atleti che hanno assunto le vitamine hanno mostrato un
numero minore di nuovi mitocondri, gli organelli che all'interno delle cellule sono deputati alla
produzione di energia.
Goran Paulsen, tra gli autori della ricerca, spiega: "Questo indica che supplementi di vitamina C ed E
debbano essere usati con cautela se si fa un allenamento di resistenza. Per capire il meccanismo
serviranno studi ulteriori, ma l'ipotesi è che le vitamine interferiscano con l'espressione di alcuni geni".
(Salute, Tgcom24)
GRAVIDANZA: DOPO 35 ANNI MENO RISCHI
MALFORMAZIONI NEONATO
Le donne che partoriscono a piu' di 35 anni hanno un rischio minore di avere figli con
anomalie congenite.
A dirlo, un nuovo studio che sara' presentato
durante il Pregnancy Meeting della Society for
Maternal-Fetal Medicine, condotto da ricercatori
della Washington University in St. Louis School of
Medicine.
Gli scienziati hanno riportato che donne con
almeno 35 anni hanno una ridotto rischio di avere
bambini con importanti malformazioni congenite,
al netto di anomalie cromosomiche.
Tradizionalmente, le donne con oltre 35 anni hanno una maggiore probabilita' di avere bambini con
anomalie cromosomiche, come quelle che portano alla sindrome di Down.
Tuttavia, ci sono poche informazioni circa l'associazione fra eta' materna e rischio di malformazioni
congenite, come quelle in diverse parti del corpo oppure a cuore, cervello, reni, ossa o intestino.
Nella nuova ricerca, condotta su oltre 76mila donne, gli scienziati hanno scoperto che le donne ultratrentacinquenni hanno il 40% in meno di rischio di avere un bambino con importanti malformazioni
congenite, soprattutto nel cervello, nei reni e nelle pareti addominali. (Agi)
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