Sebastiano Vassalli
La Chimera
Autore: Sebastiano Vassalli
Titolo: La Chimera
Luogo di pubblicazione: Torino
Casa editrice: Giulio Einaudi Editore s.p.a.
Prima edizione: 1990
Sebastiano Vassalli
Sebastiano Vassalli è nato a Genova nel 1941 ma fin da piccolo ha vissuto a Novara. Tra gli anni ’60 e ’70, nei quali ha svolto attività di insegnante (è laureato in Lettere), ha partecipato, anche come pittore e fondando riviste quali “Ant. End.” e “Pianura”, alle vicende della cosiddetta neoavanguardia con alcune prose sperimentali (Narcisso, Tempo di màssacro e L’arrivo della lozione) e con plaquette poetiche (Il millennio che muore), travasando nella pagina le inquietudini politico­sociali di quegli anni. Rispetto a queste esperienze giovanili, Abitare il vento segna un distacco e una svolta: il protagonista, come nel successivo Mareblù, si sente incapace di cambiare il mondo con metodi trasgressivi e rivoluzionari . Vassalli cerca quindi nuovi personaggi o una letteratura pura (in questo senso è per lui emblematico il poeta Dino Campana, riproposto nella Notte della cometa) e una dimensione esistenziale anch’essa pura, come la fanciullezza, che è al centro della ricerca delle origini della società odierna nel romanzo L’oro del mondo, ambientato nel dopoguerra. Intanto Vassalli non smette di indagare il mondo con eclettismo intellettuale (Sangue e suolo e Il neoitaliano). L’investigazione letteraria delle radici e dei segni di un passato che illumini l’inquietudine del presente e ricostruisca il carattere nazionale degli italiani è quindi approdata prima al Seicento con La chimera,
poi al Settecento di Marco e Mattio, quindi all’Ottocento e agli inizi del Novecento prima con Il Cigno e, dopo la parentesi quasi fantascientifica, inquietante e satirica, successivamente con Cuore di pietra, ricreando un’epopea della storia democratica dell’unità d’Italia fissando come protagonista una grande casa di Novara. Negli ultimi libri lo scrittore si è avvicinato al presente riscoprendo anche il genere del racconto, soprattutto con La morte di Marx e altri racconti del 2006. Vassalli attualmente è anche opinionista del “Corriere della Sera”.
La Trama
In una notte di gennaio del 1590, una bambina venne abbandonata davanti nel torno della Casa di Carità di San Michele, fuori Novara.
Le suore la chiamarono Antonia Renata Giuditta Spagnolini, per via degli occhi e capelli scuri di probabile derivazione ispanica. Crebbe tra gli esposti, con una vita costellata di stenti e preghiere.
Poco dopo iniziò il vescovado di Carlo Bascapè, uomo dai grandi ideali, inimicatosi con la Roma corrotta del tempo e confinato a Novara; nella sua nuova diocesi cambiò radicalmente la vita dei fedeli, costringendoli ad una fede più sincera. Egli fece sostituire i molti preti corrotti (quistoni), che si occupavano di usura, attività illecite e non caste, tra cui il vecchio parroco di Zardino, Don Michele, sostituito dal giovane Don Teresio.
Durante una delle molteplici punizioni, Antonia conobbe Rosalina, una ex­esposta cinica e smaliziata, divenuta prostituta, che le raccontò la vita al di fuori delle mura di San Michele. Crescendo, Antonia si fece sempre più bella, tanto da essere scelta per rappresentare le esposte davanti al vescovo Bascapé al cui cospetto, durante la cerimonia, la bambina, provata dai preparativi, svenne. Tuttavia, la sua grande bellezza le impediva di venire adottata. Fu solo intorno ai dieci anni che Antonia venne presa da una generosa coppia di contadini, Bartolo e Francesca Nidasio, e si trasferì nel piccolo villaggio della Bassa: Zardino.
Antonia si ritrovò a vivere nel piccolo villaggio sulle rive del Sesia, ai piedi del Monte Rosa, dove tutti gli abitanti si conoscevano fra loro e l’attività principale era lavorare nelle risaie, con i risaroli che scendevano dalle montagne appena arrivava la stagione. La sua presenza non fu molto gradita dalle comari e le sue uniche amiche furono le figlie dei coloni dei Nidasio e compare Maffiolo, anziano soldato.
La bellezza di Antonia, tuttavia, cominciò a portare guai. Si insinuava, infatti, che tanta bellezza fosse opera del diavolo: Biagio, lo scemo del paese, nipote delle sorelle Borghesini, se ne innamorò, dando scandalo; un pittore di edicole, Bertolino d'Oltrepò, la scelse come modella per rappresentare la Madonna del Soccorso; il nuovo prete, Don Teresio, le proibì di entrare nella sua Chiesa dopo aver ballato nella pubblica piazza con un “lanzo”, ovvero un soldato spagnolo; fu richiesta in moglie da uno dei migliori partiti della Bassa, generando tanta invidia da essere accusata di attirare gli uomini con magiche arti.
Infine, a diciannove anni si innamorò di un camminante, Gasparo. Iniziarono a circolare voci orribili sul suo conto: la si accusava di essere una strega e pian piano le si fece il vuoto attorno: si diffusero leggende di malefici ad opera sua e quando Antonia, per amore, iniziò a scomparire sul “dosso dell’albera” ogni notte, la gente di Zardino si convinse che partecipasse ai Sabba. Sotto volere della gente di Zardino fu, quindi, messa sotto processo come strega. Moltissimi cittadini testimoniarono contro di lei e lo stesso Inquisitore Manini non era intenzionato a salvarla, perché così avrebbe rivendicato la propria autonomia nei confronti del vescovo Bascapè, approfittando della sua assenza. Bascapè, infatti, nonostante le pessime condizioni di salute, si era recato a Roma per la causa di beatificazione di Carlo Borromeo.
Antonia, senza possibilità di appello, venne arrestata, torturata, violentata. Alla fine confessò di essersi incontrata sul dosso con un diavolo. Infine, venne imprigionata in una buia torre con la stessa Rosalina che, da bambina, aveva conosciuto. Nel 1610, tra festeggiamenti e manifestazioni d’odio, Antonia venne condannata al rogo sul “dosso dell’albera”, issata sulla pira di legni ricavati dall’albera stessa.
Il boia, avendo pena di lei, le propinò un infuso anestetico prima di abbandonare il suo corpo ancora vivo alle fiamme.
Personaggi:
Antonia: la protagonista. Cresciuta in orfanotrofio, e adottata dai Antonia
Nidasio. Bellissima ragazza, dagli occhi e capelli scuri, non si difende una volta accusata. E’ generosa per natura, curiosa, ma ottusa, anima pura messa di fronte a crudeltà che non può capire, ma che non giudica.
Vescovo Bascapè: vescovo di Novara, grande moralista e cattolico integralista pieno di forza Vescovo Bascapè
d'animo e voglia di lottare per quello in cui crede. Uomo che ha avuto tutte le fortune nella prima parte della sua vita, a partire dalla brillante carriera ecclesiastica, e che, dopo l'ascesa, cade in rovina. Figura complessa, la cui storia si intreccia a quella di Antonia, anche se appena la sfiora.
Rosalina: orfana più grande di Antonia che è tornata in Istituto dopo aver fatto la prostituta e Rosalina
insegna all'amica come girano le cose del mondo: smaliziata, cinica, abituata ad arrangiarsi.
Francesca e Bartolo Nidasio: la coppia generosa di contadini che Francesca e Bartolo Nidasio
adotta Antonia. Persone semplici e buone che le stanno vicine fino alla fine e seguono impotenti la sua condanna.
I preti di Zardino, Don Michele e Don Michele Don Teresio: il primo poco Don Teresio
ortodosso; il secondo fanatico, figlio della Controriforma, rigido fino alla crudeltà.
Gasparo: il camminante, giovane di cui si innamora Antonia, che ha dedicato la vita al vagabondaggio, Gasparo
facendo della sua esistenza una forma di poesia ("poeti e camminanti si nasce, non si diventa"). Incanta Antonia con racconti sul mondo, che la ragazzina non ha mai visto, descrivendole per esempio il mare. Si incontrano la notte, sotto un castano, finché Gasparo non l'abbandona, perché il suo solo destino è quello di camminare.
Biagio: lo scemo di Zardino, in realtà malato. Antonia è la sola a non deriderlo e a occuparsi di lui; Biagio
Biagio se ne innamora e, per lei, arriva a buttarsi in un fosso.
I testimoni al processo: comparse nere che rendono l'idea della violenza, dell'ignoranza e della crudeltà I testimoni al processo
del secolo e del mondo.
Il Cacetta: bandito, assassino feroce, ladro. Nelle stalle si raccontano terribili leggende su di lui, che Il Cacetta
spaventano tutti i contadini dei dintorni e che, dopo la sua condanna a morte, lo trasformano in un mito.
Il boia: l'unico uomo clemente con Antonia, che si fa Il boia
preparare un infuso di spezie di nascosto per anestetizzarla, prima di appiccare il fuoco al rogo che le hanno preparato. L’Inquisitor Manini: avversario di Bascapè. Per dimostrare l’autonomia dell’Inquisizione di Novara L’Inquisitor Manini
dalla Chiesa di Roma e Bascapè, fa condannare Antonia nonostante l’insufficienza delle prove.
I carcerieri: Bernardo e Taddeo, padre e figlio. Fedeli funzionari dell’Inquisitore, torturano e I carcerieri
violentano Antonia la notte prima dell’esecuzione.
Risaroli: uomini che scendono dalle montagne quando arriva la stagione della raccolta del riso, Risaroli
ingaggiati dai Camminanti.
Bertolino d’Oltrepò: pittore su commissione di edicole. Dipinge Bertolino d’Oltrepò
la Madonna del Soccorso, utilizzando come modello Antonia, elemento che fungerà da aggravante durante il processo.
Le sorelle Borghesini: zie di Biagio lo scemo. Comari pettegole del paese, non accettano l’Esposta sin Le sorelle Borghesini
dal suo arrivo a causa della sua bellezza fuori dal comune. Alimentano le voci sul conto della strega. Lanzi: soldati stranieri che arrivano a Zardino, assaltando la locanda e deturpando la Chiesa. Dopo Lanzi
aver insultato il prete, uno di loro balla con Antonia.
Comparo Maffiolo, Comparo Maffiolo Irene Cerruti e Irene Cerruti Teresina Barbero: ex soldato e figlie dei coloni dei Nidasio. Unici Teresina Barbero
sostenitori e amici di Antonia.
Contestualizzazione
TEMPO
Nella seconda metà del Cinquecento, conseguentemente allo scisma prodotto dallo sviluppo del Protestantesimo, la Chiesa cattolica, dopo i lavori del Concilio di Trento, riorganizzò in maniera capillare e rigorosa il controllo su molti aspetti della cultura filosofica e letteraria. Tutto ciò fu possibile grazie alla nascita (nel 1542) del Sant’Uffizio, un tribunale ecclesiastico composto di sei cardinali inquisitori, con il compito di vigilare, indagare e condannare i casi di eresia e di devianza dalla ortodossia cattolica. Il Sant’Uffizio era, in sostanza, una continuazione della vecchia Inquisizione (che esisteva già dal XIII secolo). Ma a differenza del passato, l’azione di controllo e di repressione che la Chiesa applicò nel Cinque­
Seicento fu estremamente più violenta rispetto al passato: una battaglia, quella nei confronti dell’eresia, che si preannunciava fondamentale per l’affermazione di nuovi modelli filosofici e scientifici (si pensi a Giordano Bruno, a Tommaso Campanella, a Galileo Galilei), e che la Chiesa tentò di ostacolare fino all’ultimo con la carcerazione, la tortura, l’abiura, il rogo. Accanto ai casi eclatanti di intellettuali e scienziati presi di mira dal Sant’Uffizio non si devono dimenticare le migliaia di persone (eretici, streghe, sodomiti, ebrei) che nella seconda metà del Cinquecento andarono al rogo in un clima di persecuzione e di stretta vigilanza di coloro che venivano considerati diversi, come l'Antonia della nostra storia, cioè pericolosi per la comunità. Il controllo di questi individui era accompagnato da forme di repressione e di censura intellettuale: operazione che fu possibile grazie all’Indice dei libri proibiti, istituito dal papa Paolo IV nel 1559, successivamente modificato e aggiornato in maniera più intransigente e restrittiva, allo scopo di esercitare un più stretto controllo della stampa e della diffusione di opere ritenute ostili agli interessi della Chiesa. Tuttavia rimase molto difficile il dominio totale su una materia così articolata e complessa come quella del mercato librario e della stampa, in continua espansione sia dal punto di vista quantitativo delle tirature prodotte, che da quello qualitativo degli autori riproposti. L’Index librorum prohibitorum del 1559 colpì pesantemente tutta l’opera di Machiavelli e Pietro Aretino, il De Monarchia di Dante, le Facetiae di Poggio Bracciolini, i Dialoghi di Luciano, le poesie del Pulci e del Berni, le novelle di Masuccio Salernitano. I successivi aggiornamenti che furono apportati nel 1564 obbedivano alla nuova politica ecclesiastica uscita dal Concilio di Trento (1545­
1563), investendo non soltanto la cultura scritta, ma anche altre forme di espressione artistica, e tra queste soprattutto il teatro e la pittura.
Inoltre, dal 1559, dopo la fine della guerra tra Francia e Spagna e la pace di Cateau­Cambresis, tutta l'Italia meridionale ed il ducato di Milano (che andava dall’Adda al Sesia) erano state assegnate alla Spagna. La città di Novara era quindi sotto assedio spagnolo e si pensa che la stessa Antonia fosse figlia illegittima di un soldato.
Contestualizzazione
SPAZIO
Antonia trascorre i primi anni della sua vita in Piemonte, in un convento nella dissoluta città di Novara.
Successivamente viene adottata da una famiglia di contadini, residenti in un piccolo paese della Bassa chiamato Zardino.
Esso sorgeva sulle rive del fiume Sesia, alle pendici del Monte Rosa. Una piccola valle fra le montagne, scavata nel tempo dal corso del fiume, caratterizzato da un ambiente umido tipico delle risaie.
risaie
Tuttavia di Zardino, al giorno d’oggi, non resta che il ricordo.
Stile e tecniche narrative
Lo stile applicato da Vassalli nella narrazione de “La Chimera” è abbastanza semplice e quasi totalmente privo di artifici retorici e richiami culturali. Anche il linguaggio risulta, nonostante i termini siano appropriati all’epoca narrata e vi sia particolare cura nell’evitare ingiustificati neologismi, piuttosto semplice e non ricercato. Appaiono, infatti, nei dialoghi soprattutto, anche termini del linguaggio popolare e, a volte, anche volgare. Egli, inoltre, decide di far narrare la storia ad un narratore onnisciente, la cui voce corrisponde a quella dell’autore stesso, che garantisce la veridicità dei fatti narrati grazie a continui richiami e citazioni di fonti da lui consultate. Il punto di vista è quindi esterno e la narrazione impersonale, priva di narratori di secondo, o più basso, grado. Il tempo della racconto risulta intervallato da continue e numerosissime digressioni (caratterizzanti l’intera narrazione), svariati flashback, anticipazioni ed ellissi, che consentono più o meno giustificati salti temporali.
Il rapporto tra tempo della storia e del racconto quindi varia continuamente, ma è possibile affermare che, in prevalenza, la narrazione sia dilatata e quindi il racconto prevalga sulla storia.
Tutto ciò, però contribuisce a rallentare in maniera eccessiva il ritmo, sino a rendere la narrazione decisamente pesante. Il romanzo
Il romanzo è un genere di letteratura in prosa che nasce a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, in Inghilterra.
Il fenomeno che sta alla base di questo nuovo genere è lo sviluppo del nuovo ceto sociale borghese, che prende il sopravvento in manifestazioni quali la Rivoluzione Francese e quella Industriale.
Il capovolgimento della scala sociale porta, in campo letterario, alla nascita di un nuovo pubblico, meno colto di quello aristocratico e, soprattutto, con gusti radicalmente diversi.
E’ in questo panorama che nasce il genere romanzo, dedicato ad un pubblico borghese e, quindi, trattante argomenti che possano interessare quest’ultimo.
Primi esempi di romanzi sono “I viaggi di Gulliver” di Daniel De Foe, in Inghilterra, “I dolori del giovane Werter” di Goethe, in Germania, “Giulia, o la nuova Eloisa” di Russoe, in Francia.
Il romanzo storico
Il romanzo storico è un sottogenere del romanzo, in cui personaggi immaginari, frutto dell’invenzione dell’autore, agiscono su uno sfondo storico reale e vengono condizionati nelle loro azioni dagli avvenimenti e dalle personalità più importanti del tempo. Tali opere, quindi, sono minuziose ricostruzioni frutto di ricerche storiche in testi antichi, codici di leggi e biografie del passato, unite alla fantasiosa interpretazione dell’autore.
Esso si presenta già nel Settecento, ma raggiunge il suo culmine nell'Ottocento, durante il Romanticismo, movimento letterario che rivaluta la passionalità, l’irrazionalità, ma soprattutto il senso di nazione e di storia, temi principali di questo genere.
All'idea che l'uomo sia il risultato della sua storia, si associa quella che la nazione sia ciò che la storia le permette di essere. Questo è il senso dell’ “Ivanhoe”, di Walter Scott, considerato il capostipite dei romanzi storici: la nazione inglese è la conseguenza del contrasto e della fusione tra gli anglosassoni e i normanni e Ivanohe rappresenta l'incarnazione di questa fusione.
Nonostante il pallido tentativo di Ugo Foscolo con “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, per assistere in Italia alla nascita del romanzo si dovrà aspettare l’Ottocento, il secolo del Romanticismo, con “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni.
In Italia, quindi, il romanzo si afferma principalmente sotto forma di romanzo storico, sul modello fornito da Scott. Esso è una storia non di eroi od eroine, ma di gente comune, proprio come il pubblico cui Manzoni destina l’opera ed il quale la accoglierà con enorme successo.
Inoltre, esso soddisfa le esigenze più vive del Romanticismo: comporre un'opera utile al popolo e, nello stesso tempo, rappresentare la realtà, il vero.
Dopo Manzoni, il romanzo storico non darà più, in Italia, risultati significativi. La Chimera vs I Promessi Sposi
Nella recente narrativa italiana si è verificata una rinascita del romanzo storico, il quale è pero ben distante dal riprodurre modelli, anche solo simili, a quelli del romanzo storico ottocentesco, che mostra un esempio del suo alto livello nel romanzo “I Promessi sposi”. Nonostante ciò, tra i romanzi più recenti si è soliti riconoscere l’opera di Sebastiano Vassalli, la Chimera, come il romanzo che più si avvicina e, in alcuni momenti, addirittura incrocia il modello di Manzoni. I due romanzi, ambientati in epoche piuttosto vicine tra loro, trovano punti di accordo e punti di distacco l’uno dall’altro: l’elemento che allontana i due romanzi è il rapporto che essi hanno con la realtà. Ne I Promessi sposi, nonostante il periodo storico e la presenza di alcuni personaggi, come la monaca di Monza, ci forniscano degli elementi reali, i personaggi e l’intreccio, per quanto verisimili, sono comunque frutto della fantasia dell’autore. Ne La Chimera invece, tutta la storia della giovane e del contorno ad essa è una storia reale. Anche sul piano dell’impostazione ideologica, il romanzo di Vassalli si rivela lontanissimo dai Promessi sposi. Ciò risalta nelle figure delle protagoniste femminili, infatti, Antonia è l’esatta antitesi di Lucia: quest’ultima rappresenta la castità, l’umiltà, la purezza virginale e la sottomissione alla chiesa mentre la prima è trasgressiva nel suo comportamento sessuale e nella sua ricerca del piacere che suscita scandalo. La differenza tra le due opere consiste nel fatto che, contrariamente a Manzoni, che tende a rappresentare la donna con le sue virtù tradizionali di moglie e madre ideale, Vassalli presenta una protagonista diversa che, non comportandosi come impone la tradizione, appare pericolosa: una strega da condannare al rogo.
Un altro elemento di distacco è la visione religiosa propria dei due romanzi: nell’opera di Vassalli, si incontra una concezione tendenzialmente laica, al contrario dei Promessi sposi, dove la religione è un elemento importante insieme alla Chiesa, della quale però, vengono presentate anche le figure negative, quali Don Abbondio o la Monaca di Monza. Ma a queste figure ne vengono contrapposte altre, senza alcun dubbio positive, come Fra Cristoforo e il cardinal Federigo, tipici esempi di eroismo assenti invece nella Chimera, dove, accanto a figure negative, come don Teresio e Bascapè, non ve ne sono di positive in contrapposizione.
Troviamo un’altra discordanza tra le due opere, nella concezione del popolo contadino, il quale è portatore di virtù cristiane nei Promessi sposi e rozzo, ignorante, schiavo dei pregiudizi e pronto a condannare nella Chimera.
Un’ulteriore divergenza compare nella visione della storia umana: questa viene intesa da Manzoni in maniera inizialmente pessimistica ma, alla fine, è possibile notare come l’azione umana apra la via della speranza verso la salvezza. La visione di Vassalli è invece unicamente pessimistica: una visione che non presenta alternative e arriva al pessimismo assoluto, al nichilismo vero e proprio, e questo c’è mostrato nella premessa e nel congedo del romanzo, i quali insistono sullo svanire inevitabile di tutto ciò che caratterizza il mondo nel nulla.
Oltre ai molti aspetti di distacco, tuttavia, abbiamo anche aspetti che accomunano i due romanzi, anche se sicuramente minimi rispetto alle divergenze.
In primo luogo la denuncia etica e civile della persecuzione contro la presunta strega, la condanna in nome della ragione, o forse del pregiudizio, inducono ad azioni delittuose e ciò si avvicina molto ai Promessi sposi di Manzoni e in particolare alla psicosi degli untori, durante la peste, che portò all’incriminazione di persone del tutto innocenti.
In secondo luogo, nell’opera di Manzoni, l’impianto narrativo è tradizionale, ottocentesco, e affidato alla voce di un narratore onnisciente, il quale interviene dando suoi commenti spesso ironici proprio come il narratore dei Promessi sposi. Ciò non vuol dire che la Chimera sia un fenomeno di imitazione manzoniana ma semplicemente simboleggia la tipica ripresa dei moduli narrativi ottocenteschi nel romanzo post­moderno.
Curiosità
La Chimera
La Chimera compariva nella mitologia greca come mostro enorme, crudele ed invincibile che desolava la Licia: aveva la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente, e dall'orribile bocca vomitava spaventose fiamme con le quali bruciava i raccolti e riduceva in cenere quanti l'avvicinavano.
Figlia di Tifone e della vipera Echidna, seminava terrore in Licia, una regione dell'Asia Minore, ma alla fine venne uccisa dall'eroe greco Bellerofonte, con l'aiuto del suo cavallo alato, Pegaso.
A causa della loro diversità, le donne accusate di stregoneria erano considerate come del diavolo: si diceva che chiunque le avvicinasse perdesse improvvisamente il senno. Inoltre, in quanto a contatto con gli Inferi, la loro immagine era collegata al fuoco.
Il manuale per cacciatori di streghe
Il Malleus maleficarum, pubblicato nel 1486, fu il più popolare fra i manuali per cacciatori di streghe durante il XVI e XVII secolo. La sua stesura si deve a due frati tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, persecutori d’eretici.
Il Malleus forniva un avallo teologico alle superstizioni più grottesche e portò alla tortura e alla morte di migliaia di innocenti, soprattutto donne.
Le streghe accusate di malefici venivano di solito torturate finché confessavano, ma il Malleus raccomandava anche che le confessioni fossero estorte con promesse di clemenza che, però, venivano poi invariabilmente disattese.
I segni della stregoneria
Demoni minori erano assegnati dal diavolo alle streghe come servi, e di solito assumevano sembianze di gatti, cani, rospi, civette o topi, ma mai di colombe o di agnelli bianchi. I demoni­servi potevano cambiare aspetto a piacimento e se, ad esempio, la loro padrona era chiusa in una stanza, essi si trasformavano in minuscoli insetti per raggiungere lo speciale capezzolo – segno della strega – da cui succhiavano il sangue.
La scoperta di questo segno, era fondamentale per accusare una donna di stregoneria. A tal fine, cicatrici, verruche e nei erano guardati con sospetto. In Spagna il segno doveva trovarsi nell’occhio sinistro; in Inghilterra su un dito; nell’Europa centrale nelle parti intime, specialmente nella donna; altro segno inconfondibile era la croce sulla pianta dei piedi.
I cacciatori di streghe esaminavano i corpi degli accusatori e sottoponevano il "segno" alla prova, pungendolo con uno spillone: l’assenza di dolore o di sangue confermava il patto con il diavolo. Un vero specialista di questo metodo era il famoso Hopkins, che con i suoi assistenti, eliminò almeno 230 persone fra il 1645 e il 1646. Usava probabilmente aghi retrattili , che simulavano la puntura ritraendosi nel manico. I Sabba
Era opinione comune che i sabba fossero occasioni importanti, in cui le streghe incontravano il diavolo per adorarlo, ricevere istruzioni e abbandonarsi a orge di ogni genere. Migliaia di donne affermano di avervi preso parte, quando stavano invece dormendo nei loro letti. Le confessioni venivano estorte con la tortura.
Alcune donne confondevano le proprie fantasie e paure con la realtà, altre volevano vendicarsi di qualcuno. Spesso un’imputata era costretta a denunciare altre partecipanti al sabba. Le descrizioni di ciò che vi accadeva erano molto varie, ma la sostanza era abbastanza costante. Le streghe si recavano al sabba con il favore della tenebre, con mezzi dei trasporto magici, spesso a cavallo di manici di scopa. Giuravano fedeltà al diavolo, riferivano sulle loro attività malefiche, poi banchettavano, danzavano e si abbandonavano a licenziosità di ogni genere.
Si riteneva che il sabba si svolgesse regolarmente il 31 ottobre, il 30 aprile e ognuna delle quattro festività pagane che erano assorbite nel cristianesimo. Il numero dei partecipanti era lasciato alla fantasia dei cacciatori di streghe.
Commenti personali
Nella stesura del suo libro, Sebastiano Vassalli ha effettuato un’approfondita ricerca storica, raccontando personaggi realmente vissuti e fatti realmente accaduti, in maniera efficace e molto verisimile. La certosina ricerca, quindi, ha reso la ricostruzione apprezzabile ed il lavoro decisamente professionale ma, purtroppo, il soffermarsi su qualunque particolare, personaggio o, addirittura, elemento della vegetazione (alla fine della lettura conosciamo meglio la storia del castagno posto in cima alla collina, che di qualunque altro personaggio della storia!), rende la lettura affascinante quanto quella di un necrologio su un quotidiano locale.
L’autore, infatti, rispetta le fondamentali caratteristiche del romanzo di tipologia storica dettate dal Manzoni in maniera totalmente differente: il vero, è trattato in maniera scrupolosa ed elaborata, l’utile viene dedotto solamente dalla citazione di una recensione scritta da Carlo Bo per il Corriere della Sera, riportata in copertina e, riguardo all’interessante…beh, l’autore doveva pur tralasciare qualche particolare!
L’intreccio, infatti, si svolge in un continuo andirivieni di informazioni, spesso e volentieri inutili ai fini della storia, che rendono la narrazione totalmente priva di suspance ed incredibilmente monotona. Il finale, tra l’altro, viene rivelato già dalle prime righe del libro, eliminando una qualsiasi prospettiva di interesse che possa spingere ad arrivare all’ultima pagina!
I personaggi, inoltre, non si rivelano altro che una mera esibizione dei più usurpati topoi fiabeschi, più che romanzeschi. Eccetto il Vescovo Bascapè, difatti, tutti gli altri caratteri rivelano uno spessore psicologico ed una volontà propria totalmente inesistenti, che li rendono semplici marionette senz’anima guidate dalle, discutibilmente abili, mani dell’autore.
Il tono caratterizzante l’intero romanzo, per di più, rende un’espressività pari a quella di un qualunque libro di testo e solo la Premessa ed il Congedo, intitolati, casualmente, “Il nulla” (perfetta sintesi dell’intero libro), riescono ad innestare una riflessione; quel tanto che basta per risollevare le amare sorti delle precedenti (o successive) trecento pagine.
Realizzato da
Del Zoppo Marta
Colonna sonora:
Longo Rosanna
O Fortuna
Carl Orff
Russo Federica
Scandurra Natalia
Credits:
Immagini:
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Bibliografia:
www.freesouls.org
Dal testo alla storia, dalla storia al testo, vol 2 (Paravia)
http://web.tiscali.it/chimeraweb/N_controriforma.htm
http://www.letteratura.it/archivio/lachimera.htm
http://www.novara.com/letteratura/bibliografia900/vassalli.htm
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