UNIVERSITA'DEGLI STUDI DI FIRENZE
Corso di laurea in fisioterapia
FISIOTERAPIA DELLA
PSEUDOARTROSI DI SCAFOIDE,
DOPO TRATTAMENTO DI MATTI-RUSSE
Candidato: Raffaele Iorio
Relatore: professor D'Arienzo
INTRODUZIONE
La frattura di scafoide carpale rappresenta quasi l'80% delle fratture della mano e,
per quanto riguarda le fratture di polso, è seconda come frequenza solo alla frattura
del radio distale.
E'un tipo di lesione che colpisce più frequentemente i soggetti maschi giovani ed
attivi, e si verifica in seguito a traumi sportivi o lavorativi.
Il 2% delle fratture di scafoide non viene diagnosticato in tempo, e queste evolvono
quasi sempre in pseudoartrosi, che si può verificare anche in fratture correttamente
trattate, a causa della peculiare vascolarizzazione, di tipo terminale, dello scafoide.
Inoltre anche quando queste fratture consolidano, guariscono con deformità e si
possono avere alterazioni della cinematica carpale.
I trattamenti chirurgici proposti per le pseudoartrosi di scafoide sono molti e tra
questi quello di Matti-Russe, che prevede l'interposizione di un innesto osseo, è tra i
più impiegati e presenta un alta incidenza di guarigione.
Un adeguato trattamento fisioterapico accelera il ritorno all'attività ed alla ripresa
della funzionalità.
1.ANATOMIA
1.1Anatomia Macroscopica
Lo scafoide è un osso della filiera prossimale del carpo (fig. 1).
Ha una forma irregolare, che può ricordare quella di una sella.
Il suo aspetto palmare è concavo e termina distalmente in una protuberanza curva,
nota come tuberosità (fig. 2).
Lo scafoide è lungo circa 30 millimetri e la superficie cartilaginea ne copre circa
l'80% della superficie. L'unica zona non articolare è una stretta ed obliqua parte
dorsale, che permette ai vasi di entrare nell'osso e sulla quale si inserisce il
legamento collaterale radiale della articolazione radio-carpale.
Figura 1. Anatomia del carpo
Figura 2. A) Visione volare B) Visione dorsale
Se consideriamo l'origine dello scafoide da due differenti nuclei di ossificazione, uno
distale ed uno prossimale, uniti da una parte centrale, è possibile descrivere tre
distinte parti articolari:
–
Prossimale: molto convessa, che si articola prossimalmente con il radio e
distalmente con il semilunare
–
Centrale: separata da una piccola superficie articolare per il semilunare ed una per
il capitato
–
Distale: molto convessa, che si articola con il trapezio ed il trapezoide
Le tre superfici articolari dello scafoide sono:
–
Laterale: il tubercolo
–
Posteriore: molto stretta ed obliqua inferiormente e lateralmente
–
Anteriore: che tende ad allargarsi in direzione del tubercolo
Una della caratteristiche dello scafoide è di avere un alto numero di rapporti
articolari. Infatti sono cinque le ossa con le quali esso si articola: radio, semilunare,
capitato, trapezio, trapezoide. Inoltre presenta un gran numero di connessioni
capsulari e legamentose (sulle tre superfici non articolari).
Tra i muscoli solo l'abduttore breve del pollice si inserisce sullo scafoide.
1.2Anatomia vascolare
Uno studio di Obletz ed Halbstein del 1938 indica che la porzione prossimale dello
scafoide ha un apporto ematico limitato.
Su 297 scafoidi, prossimalmente alla parte centrale, nel 13% dei casi non si
trovarono forami. Un piccolo forame fu trovato nel 20% di essi, e due o più forami
nel 67%.
Successivi studi sui patterns di vascolarizzazione dello scafoide riportano descrizioni
anatomiche discordanti, dovute alla difficoltà tecnica di identificare piccoli vasi nel
piano tridimensionale, determinando così la loro localizzazione in capsule e
legamenti spessi come quelli del polso.
L'uso di mezzo di contrasto da parte di Taleisnik e Kelly nel 1966, dimostrò la
presenza di questi piccoli vasi, lo stesso fece Spalteholz tramite dissezioni manuali
da cadavere. Essi trovarono tre sistemi extraossei di piccole arterie che entrano nello
scafoide derivanti dall'arteria radiale; vasi dorsali che vi entrano tramite lo stretto
centrale dorsale, vasi distali che entrano dalla tuberosità distale e vasi laterovolari.
Questi ultimi furono considerati la fonte più importante di vascolarizzazione
intraossea, e responsabili della vascolarizzazione dei due terzi distali dell'osso
insieme ai vasi dorsali.
I vasi distali suppliscono solo la regione della tuberosità.
L'anatomia arteriosa dello scafoide è stata descritta più accuratamente in studi sui
cadaveri, tramite l'uso di iniezioni arteriose, decalcificazione e debriment chimico.
I vasi laterovolari descritti da Teleisnik e Kelly sono probabilmente analoghi ai vasi
del ponte dorsale identificati da studi più recenti, così come i vasi distali
corrisponderebbero ai vasi della tuberosità visti precedentemente.
Gli studi più recenti sono la base per comprendere e studiare la vascolarizzazione
intra ed extraossea dello scafoide, che nella patogenesi della pseudoartrosi di
scafoide ha un ruolo fondamentale.
1.2.1Vascolarizzazione extraossea
La vascolarizzazione extraossea del carpo è composta da una serie di archi trasversi
dorsali e palmari, connessi da rami comunicanti formati da: arteria radiale, arteria
ulnare, arterie interossee anteriori.
L'arteria radiale passa tra il muscolo rachioradiale ed il flessore del carpo a livello
del polso, portandosi poi dorsalmente per entrare nel palmo attraverso il primo
spazio interosseo dorsale.
I rami dell'arteria palmare superficiale derivano dall'arteria radiale a livello
dell'articolazione radioscafoidea.
Appena distalmente dall'origine dell'arteria
palmare superficiale e distalmente
dall'origine degli archi radiocarpali dorsali e palmari, emergono diversi rami minori,
cioè i rami scafoidei palmari.
Questi piccoli vasi si dirigono obliquamente e distalmente sul lato volare dello
scafoide, per penetrare poi nella corticale a livello della tuberosità
Quando il ramo scafoideo palmare dell'arteria radiale origina dal ramo superficiale di
quest'ultima, si possono trovare rami comunicanti, che connettono la parte palmare
dell'arteria interossea anteriore e di rami scafoidei palmari.
I vasi palmari penetrano l'osso a livello della tuberosità, dividendosi in diversi rami
minori, che vanno ad irrorare il 20-30% della regione prossimale dello scafoide.
Le aree palmari cartilaginee dell'osso son prive di qualsiasi apporto ematico.
La vascolarizzazione dorsale dello scafoide rappresenta il 70-80% del suo intero
apporto ematico (fig. 3).
Figura 3. Vascolarizzazione dorsale
Dall'arteria radiale a livello dell'articolazione intercarpale, origina l'arteria
intercarpale, che si biforca subito.
Un ramo decorre sul polso dorsalmente, l'altro ramo va verticalmente e distalmente
sopra il secondo metacarpale.
A circa 0,5 cm, prossimalmente rispetto all'origine dei vasi intercarpali, a livello del
processo stiloideo radiale, nasce un ulteriore vaso, che decorre sul legamento
radiocarpale per entrare nello scafoide nella porzione centrale dorsale.
Nel 70% delle dissezioni i vasi dorsali originano direttamente dall'arteria radiale.
Rami principali comunicanti son sempre presenti tra il ramo dorsale dell'arteria
radiale e quello dorsale dell'arteria interossea anteriore.
1.2.2Vascolarizzazione intraossea
E' nella regione della tuberosità che i vasi palmari, di solito due o tre, penetrano nello
scafoide. Penetrano la corticale e si dividono in rami più piccoli che decorrono
dorsalmente lungo tutta la tuberosità.
Questi vasi forniscono dal 20 al 30% dell'apporto ematico allo scafoide distale, in
sede palmare distale della tuberosità. In alcuni studi è stata dimostrata la loro
presenza anche nella regione centrale dello scafoide.
I vasi dorsali descritti prima entrano nello scafoide attraverso i piccoli forami situati
sul dorso dell'osso, centralmente, andando a costituire dal 70 all'80% dell'apporto
ematico intraosseo.
Appena entrati nello scafoide i rami dorsali si dividono in due-tre rami minori: questi
decorrono palmarmente e prossimalmente in rami ancora più piccoli, deputati al polo
prossimale ed alla regione subcondrale.
Recentemente son stati eseguiti studi che hanno utilizzato tecniche di iniezioni e
chiarificazione per studiare l'anatomia venosa dell'osso. Questi indicano che il
drenaggio venoso del polo prossimale avviene attraverso la sottile regione dorsale,
nelle vene concomitanti dell'arteria radiale.
1.3Strutture legamentose
Le forti connessioni capsulo-legamentose che uniscono lo scafoide alle altre ossa,
sono di estrema importanza per l'economia dell'intera struttura carpale (fig. 4-5).
Figura 4. Legamenti volari estrinseci
Si distinguono tre diversi gruppi legamentosi:
–
CAPSULARE DORSALE: rappresentato dal legamento radio scafoideo dorsale
–
CAPSULARE VOLARE: rappresentato dal legamento radio-scafocapitato (RSC),
il quale è l'unico legamento che si inserisce in entrambe le filiere, prossimale e
distale, del carpo. Il legamento radio-scafo-lunato (RSL), considerato un
legamento intracapsulare ed intrarticolare. Distalmente il legamento scafo-
capitato, insieme ad alcune fibre del radio-scafo-capitato, costituisce il legamento
di Poirer, che è all'origine della rotazione del tubercolo dello scafoide attorno al
collo del capitato durante il movimento di deviazione radiale.
–
LEGAMENTI INTEROSSEI: sono rappresentati dal legamento scafolunato, il più
forte tra queste due ossa, e dal legamento legamento scafolunato.
Figura 5. Legamenti intrinseci principali
Tutte queste strutture son di difficile valutazione clinica, anche se ben descritte da
Taleisnik e Mayfield.
Si può affermare che le connessioni dello scafoide con le altre ossa carpali
dipendono soprattutto dai legamenti interossei che lo fissano distalmente al trapezio
e trapezoide e prossimalmente al semilunare
A causa di questi stessi legamenti i movimenti di queste articolazioni son limitati: in
certi gradi della rotazione prossimalmente e dello scivolamento distalmente. Questi
legamenti si fondono con quelli extracapsulari, permettendo così movimenti più
ampi dello scafoide a livello dell'articolazione del polso.
2.LA PATOLOGIA
2.1Ritardo di consolidazione
In un lasso di tempo variabile dai 4 ai 6 mesi, nella maggior parte dei casi, si ha la
consolidazione della frattura o, quantomeno, è possibile osservare con appositi esami
strumentali la progressione della guarigione.
Se al termine dei 6 mesi la frattura non è ancora consolidata, si parla di ritardo di
consolidazione.
Si ritiene che questo fenomeno sia generalmente da imputare ad una inadeguata
immobilizzazione del focolaio di frattura in quanto, nei casi in cui si neutralizzino le
condizioni di instabilità, si assiste poi ad un normale processo di consolidazione.
2.2Pseudoartrosi
La distinzione tra ritardo di consolidazione e pseudoartrosi può essere difficile,
soprattutto se ad essere interessato è il polo prossimale dell'osso.
Per alcuni chirurghi la definizione di pseudoartrosi è sinonimo di ritardo di
consolidazione, mentre con il termine di pseudoartrosi generalmente si indica la
mancata consolidazione di una frattura, con conseguente perdita della capacità di
consolidare definitivamente e con, dal punto di vista anatomo-patologico, sviluppo
di una neoarticolazione dove possono essere prevalenti aspetti di riassorbimento
osseo, con costituzione di superfici fibrocartilaginee contrapposte, ed interposizione
anche di liquido sinoviale: è la pseudoartrosi lassa. Quando si verifica uno scarso
riassorbimento osseo con passaggio di fasci fibrosi, che vanno a stabilizzare i
monconi di frattura, allora si ha una pseudoartrosi serrata.
E' fondamentale capire quali sono le cause che determinano una pseudoartrosi.
Tra queste le più frequenti si possono identificare in:
–
Frattura misconosciuta, con ritardo sulla diagnosi
–
Tipo e sede di frattura
–
Apporto vascolare precario
–
Instabilità carpale
Per quanto riguarda il tipo e la sede, la frattura del polo prossimale, le fratture
oblique verticali e le fratture-lussazioni transcafo-perilunari del carpo, essendo le più
instabili, sono le più a rischio di pseudoartrosi (fig. 6).
Figura 6. Classificazione di D'Arienzo
C1) Fratture oblique verticali C2) Fratture del terzo prossimale
C3) Fratture-lussazioni transcafo-perilunari
L'apporto ematico all'osso è stato studiato approfonditamente. E' stata messa in
evidenza l'importanza dell'arteria radiale e del suo ramo che decorre lungo la parte
dorsale dello scafoide, andando a fornire l'85% dell'apporto ematico dell'osso e del
suo polo prossimale.
In uno studio di Gelberman e Menon, nel 14% degli scafoidi analizzati i vasi della
parte dorsale entravano a livello del corpo distale, ed era il polo prossimale più a
rischio di perdere il suo apporto ematico in caso di un evento traumatico.
Obletz ritenne che un terzo delle fratture del corpo mostrava evidenza di un
diminuito apporto ematico al polo prossimale.
Mulder notò che il 40% delle fratture di scafoide mostrava una densità radiografica
aumentata a livello del polo prossimale. In molti casi questa situazione era
reversibile e non un segno definitivo di necrosi vascolare.
Green in seguito mostrò la scarsa relazione tra la densità radiografica ed la necrosi,
sottolineando l'importanza dell'osservazione diretta dei punti di sanguinamento,
definendolo come il metodo più accurato per valutare la vascolarizzazione del polo
prossimale.
Altro fattore importante al formarsi della pseudoartrosi è l'instabilità a livello
della rima di frattura. Infatti lo scafoide è in relazione sia con l'articolazione
radiocarpale che con quella mediocarpale, e lo stress biomeccanico che agisce lungo
la rima determina un riassorbimento soprattutto a livello della corticale volare di
conseguenza l'osso collassa e si angola dorsalmente. Questa deformità è stata definita
come deformità humpback (fig. 7), caratterizzata da un'accentuata flessione del
frammento distale, con riduzione in altezza dello scafoide e da una rotazione dorsale
del polo prossimale insieme al semilunare.
Figura 7. A) Scafoide normale B) Deformità Humpback
In seguito alla humpback si instaura una condizione di instabilità carpale definita
D.I.S.I., ovvero Dorsal Intercalated Segment Instability (fig. 8), caratterizzata da:
Figura 8. A) Condizione di normalità B) DISI
orizzontalizzazione ed antiversione dello scafoide
–
sublussazione laterale del semilunare e del piramidale con rotazione dorsale
–
sublussazione dorsale e prossimale di capitato e uncinato
Se si verifica la consolidazione in questa posizione, lo scafoide rimane accorciato
con esiti immediati, rappresentati da una riduzione della motilità del polso,
soprattutto a carico dell'estensione; da problemi a lungo termine sulla cinematica
carpale, con l'instaurarsi di una progressiva artrosi, definita e classificata da Vender
nel 1987 come S.N.A.C., Scaphoid Nonunion Advanced Collapse (figura 9), di cui si
distinguono tre stadi:
Figura 9. SNAC
Stadio 1: artrosi tra la stiloide radiale ed il frammento distale dello scafoide
Stadio 2: distruzione dell'articolazione fra radio e frammento distale dello scafoide
Stadio 3: artrosi fra capitato, semilunare e frammento prossimale dello scafoide
3.CLASSIFICAZIONE
Al fine di permettere una indicazione chirurgica più agevole son state stilate diverse
classificazioni.
Un
punto
importante
per
comprendere
l'evoluzione
della
pseudoartrosi di scafoide è la sede della lesione iniziale.
A seconda della localizzazione primitiva la prognosi sarà diversa: più la frattura è
prossimale, maggiore sarà la sofferenza del polo prossimale dell'osso e maggiore la
probabilità di incorrere in pseudoartrosi.
Le pseudoartrosi del polo prossimale hanno generalmente prognosi peggiore rispetto
a quelle del corpo dell'osso. Infatti la vascolarizzazione del polo prossimale può
essere danneggiata con una veloce evoluzione necrotica: ciò può portare ad una
maggiore difficoltà di guarigione del sito di frattura dopo il trattamento chirurgico.
Inoltre più piccolo è il frammento prossimale, maggiori saranno le difficoltà di
posizionamento del bone graft e dell'eventuale vite.
Le classificazioni più usate nella pratica sono quella di Herbert (fig. 10) e
quella di Alnot.
Figura 10. Classificazione di Herbert
La classificazione di Alnot (fig. 11) prende in considerazione la presenza di geodi, il
riassorbimento osseo, la forma dello scafoide, la stabilità della pseudoartrosi,
l'evoluzione dell'artrosi, la eventuale necrosi del polo prossimale, l'instabilità carpale.
Figura 11. Classificazione di Alnot
Alnot divide la pseudoartrosi in quattro stadi:
–
–
Stadio I
Pseudoartrosi recente
Minimo riassorbimento osseo
Morfologia conservata
Stadio II A Riassorbimento osseo
Morfologia conservata
B Riassorbimento osseo +++
Scafoide accorciato e deformato
SNAC 1
–
Stadio III A Deformità accentuata
Malallineamento in DISI
SNAC 2
B SNAC 3
–
Stadio IV
Necrosi del polo prossimale
4.DIAGNOSI
La diagnosi di pseudoartrosi è essenzialmente strumentale, le radiografie
convenzionali (fig. 12), rimangono ancora un punto fermo e ci permettono di
apprezzare:
–
l'allargamento della rima di frattura
–
la presenza di formazioni cistiche
–
la sclerosi della rima
–
l'addensamento del polo prossimale
Figura 12. Radiografia convenzionale
Va comunque sottolineato che l'instaurarsi, già dopo quattro settimane, di un
addensamento del polo prossimale dello scafoide, non deve essere confuso con un
osteonecrosi. Infatti nella maggior parte dei casi si tratta di una falsa immagine,
essendo la quantità calcica del frammento prossimale normale. L'impressione
dell'addensamento è dovuta all'osteopenia reattiva del frammento distale e delle altre
ossa carpali.
L'addensamento dovuto ad osteonecrosi e la presenza di frammenti ossei, sono da
considerarsi patologici se vengono paragonati alle stesse regioni dello scafoide
controlaterale. Il frammento osteonecrotico risulta poi di dimensioni ridotte e la sua
struttura appare irregolare a causa dei fenomeni di distruzione e riparazione.
Radiografie in estrema deviazione radiale ed ulnare, la stratigrafia, gli studi sotto
scopia aperta, sono utili nella diagnosi dell'instabilità o della motilità nel sito di
pseudoartrosi.
La tomografia computerizzata, sia tradizionale che spirale, è utile soprattutto
per la valutazione dell'allineamento, o per seguire l'evoluzione della calcificazione,
mentre la risonanza magnetica, con o senza mezzo di contrasto, è utile per valutare la
vascolarizzazione e la vitalità del segmento prossimale, oltre a fornire informazioni
su eventuali lesioni associate.
Infine, l'artroscopia sta assumeno un ruolo sempre più importante nella valutazione
della pseudoartrosi, così come nella valutazione della modificazioni artrosiche.
5.TECNICA DI MATTI-RUSSE
La tecnica di Matti-Russe consiste nel rimuovere dai frammenti dello scafoide tutta
la componente necrotica, cartilaginea e fibrosa.
Si chiama così dal nome del primo autore (Matti) che la descrisse nel 1937.
Egli utilizzava un approccio dorsale, riempiendo la cavità ossea con una stecca di
osso spongioso. Nel 1960 Russe modificò in parte questa procedura utilizzando un
approccio volare, poiché lo riteneva meno dannoso per l'apporto ematico allo
scafoide.
La metodica si sviluppò poi nel tempo, fino ad arrivare all'utilizzo di due stecche
ossee, da posizionare contrapposte nell'osso.
La prima indicazione per l'utilizzo dell'innesto osseo è la presenza di una
pseudoartrosi vera, indipendentemente da una precedente immobilizzazione.
Le indicazioni sono pseudoartrosi di tipo I e II A , mentre in presenza di alterazioni
di forma dello scafoide e di associata instabilità carpale, come nella pseudoartrosi di
tipo II B, è essenziale ridare all'osso la sua altezza, inserendo un innesto corticospongioso di taglia più grande di quella rappresentata dalla loggia rettangolare,
creata sulla superficie anteriore, associando anche un innesto spongioso tritato.
Secondo Alnot è comunque una tecnica che può dare guarigione anche in altri tipi di
pseudoartrosi, come quando vi è un angolazione volare dei frammenti, tenendo però
presente che non correggerà adeguatamente una significativa deformità in DISI.
Le controindicazioni sono rappresentate da:
–
presenza di artrosi periscafoidea
–
frammento prossimale di piccole dimensioni (¼ dell'osso) o necrotico
5.1Tecnica
Dopo aver posizionato il tourniquet ed aver raggiunto una pneumoischemia di circa
250 mmHg, si espone l'aspetto palmo-radiale del polso attraverso un'incisione
longitudinale di circa 4 cm., parallela al flessore radiale del carpo ed al tubercolo
dello scafoide per evitare di danneggiare il ramo palmare cutaneo del nervo mediano
(fig. 13).
Figura 13. Tecnica di Matti-Russe
Se il radio distale è stato scelto come sede di prelievo per l'innesto osseo, l'incisione
deve essere prolungata per ulteriori 2 cm prossimalmente.
La guaina del flessore radiale del carpo viene quindi sezionata, ed il tendine viene
retratto ulnarmente.
Incisa la capsula del polso viene sezionata, incidendo direttamente sul suo aspetto
dorsale. Questo tipo di incisione attraverso la guaina del flessore radiale evita la
necessità di esporre l'arteria radiale, anche se si rivela quasi sempre necessario
sacrificarne un ramo, quello che passa attraverso il carpo a livello della plica di
flessione del polso.
Si arriva nella rima di pseudoartrosi
Un divaricatore autostatico viene inserito sotto i flaps capsulari, ed una leggera
trazione deve essere fatta agendo sul primo dito, così da permettere una migliore
visualizzazione dello scafoide.
Se è presente una pseudoartrosi di tipo fibroso, può sembrare che la rima di frattura
sia guarita, ma il morbido tessuto fibroso che si è formato può essere facilmente
riconosciuto usando un ago per individuare il sito di non unione.
Si va poi ad aprire una finestra sulla corticale palmare, centrata sulla rima di
pseudoartrosi, usando a tal fine un piccolo osteotomo. Con fresa da dentista vengono
quindi scavati sia il polo prossimale che quello distale.
La cavità del polo prossimale deve essere sufficientemente profonda da permettere
l'alloggiamento degli innesti ossei. Una volta costruita la cavità si controlla la
vascolarizzazione della spongiosa, aspetto molto importante. Essa può apparire da
francamente ematica nel caso dell'osso normale, ad avere un aspetto tipo gesso nella
necrosi completa.
Se il radio distale è stato scelto come sito donatore per l'intervento, il muscolo
pronatore quadrato viene disinserito nella sua parte radiale e retratto per esporre la
corticale palmare radiale
Utilizzando sempre degli osteotomi si prevelano due innesti ossei di 3x16 mm. spessi
2-3 mm., che vengono posizionati nella finestra scafoidea precedentemente
preparata.
Lungo l'asse dell'osso ed attorno alla neo-cavità si stipano dei frustoli d'osso
spongioso, bone chips, fino ad ottenere il completo riempimento della stessa.
L'innesto cortico-spongioso deve essere rimodellato accuratamente e la sua stabilità a
livello del focolaio viene testata con i movimenti del polso.
5.2Post-operatorio
Si confeziona un apparecchio gessato brachio-metacarpale, con incluso il primo dito,
atteggiato in abduzione ed opposizione. Dopo 30 giorni il gesso viene ridotto ad antibrachio-metacarpale e mantenuto per altri 60 giorni circa. Il processo di
osteointegrazione dell'innesto viene seguito mediante periodici controlli radiografici
e TC (fig. 14). La percentuale di guarigione a seconda delle varie casistiche oscilla
tra l'80 ed il 90%
Figura 14.
6. IL TRATTAMENTO FISIOTERAPICO
Durante il processo riabilitativo dovremo avere ben chiari i movimenti che le
articolazioni da trattare possono compiere, insieme ai relativi gradi di libertà
articolare.
Indicheremo qui solo i valori delle due articolazioni più “critiche”, poiché sottoposte
al maggior tempo di immobilizzazione, agli effetti della patologia e del trattamento
chirurgico
Nel caso del polso:
–
Estensione: 0 – 70/80°
–
Flessione: 0 – 75/85°
–
Deviazione radiale: 0 – 20/25°
–
Deviazione ulnare: 0 – 30/40°
–
Pro/supinazione: entrambi 0 – 80/90°
–
Circonduzione: dato da una combinazione dei precedenti
Per quanto riguarda il pollice abbiamo una certa variabilità genetica. Si possono
individuare dei valori di massima:
–
Flessione della MCF: 60 – 70°
–
Estensione della MCF: 0 – 15°
–
Ab-adduzione della MCF: 35 – 45°
–
Flessione della IF: 80 – 90°
–
Estensione della IF: 0 – 10°
6.1Obiettivi
Gli obiettivi del trattamento fisioterapico sono:
–
Evitare la rigidità e la perdita di ROM di carpo, MCF, IFP, IFD
–
Evitare la perdita di ROM di spalla e gomito, che si potrebbe avere per la perdita
di gran parte delle attività della vita quotidiana compiute con l'arto ingessato
–
Recupero della forza di mano e dita, con particolar cura per il pollice
–
Evitare l'atrofia dei muscoli dell'eminenza tenar
–
Garantire una ripresa funzionale la più rapida possibile
–
Monitoraggio e prevenzione
6.2Valutazione
Tali obiettivi non possono prescindere da una corretta valutazione del paziente, sulla
quale sarà poi basato il piano di trattamento personalizzato.
Valutazione soggettiva:
–
valutazione del dolore
–
valutazione della sensibilità
–
disabilità percepita
Valutazione oggettiva:
–
presenza di edema
–
eventuale presenza di infezione
–
stato della cicatrice
–
deformità
–
ROM
–
valutazione funzionale
La valutazione sarà ripetuta periodicamente, così che il terapista possa valutare i dati
registrati e li possa interpretare.
6.3Il dolore, l'edema, la cicatrice
Non gestire correttamente anche solo uno di questi fattori, può compromettere il
trattamento anche in modo grave.
Il dolore è forse il più insidioso dei tre, perché ha natura spiccatamente
soggettiva, ed è quindi difficile da descrivere e quantificare. Di conseguenza porta ad
un difficile gestione del trattamento e anche del paziente stesso, dal quale potremmo
avere una collaborazione limitata, fino a perderne la fiducia.
Il trattamento fisioterapico deve essere somministrato rispettando il dolore del
paziente.
Il ruolo del fisioterapista è anche quello di monitorare il dolore ai fini di rilevarne
eventuali aumenti, di intensità e/o durata. L'aumento del dolore potrebbe essere
conseguenza dell'aumento di edema, da un apparecchio gessato troppo costrittivo, da
compressione nervosa, da infezioni della ferita.
Grave inoltre sarebbe la presenza di distrofia simpatico riflessa (sindrome spallamano), evidenziata da dolore spontaneo o allodinia/iperalgesia, lucidità della pelle,
alterazione del colore, della sudorazione, temperatura diversa da quella della mano
controlaterale, alterazione della sensibilità.
Il dolore si controlla con l'elevazione, il massaggio, esercizi dolci, TENS ed
ultrasuoni, ai quali si può associare terapia farmacologica.
Prima o dopo il trattamento, il paziente può trovare giovamento con l'applicazione di
pacchetti caldi o freddi per periodi di 15 minuti al massimo, il cui effetto agisce sul
dolore, promuove il rilassamento e l'elasticità dei tessuti molli.
In alcuni casi alla rimozione del gesso si avrà edema
L'edema porta a problemi di mobilità, circolatori e, se non ben trattato, può evolvere
in fibrosi, arrecando danni importanti.
Il paziente deve essere educato a contrastare la tendenza all'edema, ed è importante
che comprenda quanto questo è fondamentale per la sua guarigione. Il modo migliore
per contrastare l'edema è la strategia di elevazione, che deve essere attuata
scrupolosamente nell'arco delle 24 ore.
Una elevazione corretta prevede il posizionamento della mano al di sopra del livello
del gomito, ed il posizionamento di quest'ultimo al di sopra del livello del cuore.
Il massaggio in senso disto-prossimale che il terapista pratica all'inzio di ogni seduta,
ha un doppio scopo: aiuta a ridurre l'edema e serve al trattamento della cicatrice. Gli
stessi esercizi attivi sono utili a prevenire e controllare l'edema.
Il massaggio mobilita il ristagno venoso e linfatico da pelle e tessuti sottocutanei,
indirizzandolo verso le normali aree di drenaggio.
Utilissimo impiego possono avere il bendaggio elasto-compressivo e l'indossare
guanti elasticizzati (fig. 15).
Figura 15. Bendaggio elasto-compressivo Coban 3M
Il paziente sarà istruito anche sulle modalità di autosomministrazione, sempre
nell'ottica di una applicazione costante ed intensa della strategia fisioterapica.
Il fisioterapista deve monitorare anche la cicatrice chirurgica e per prevenire
l'ipertrofia, le aderenze cicatriziali, per mantenere l'elasticità della cicatrice si
possono usare presidi specifici, come cerotti o placche di silicone, che hanno il
vantaggio di essere di facile uso e ben tollerati dal paziente.
Come già accennato per l'edema, al paziente viene insegnato a gestire la cicatrice
anche al di fuori della supervisione del terapista, tramite un massaggio da praticarsi
3-4 volte al giorno per circa 10-15 minuti (fig. 16).
Figura 16. Massaggio della cicatrice
6.4Il ROM e la funzione
Nell'attesa che gli esami strumentali testimonino la consolidazione e di poter
lavorare su polso e mano, il fisioterapista si preoccuperà di stimolare il ROM della
spalla e delle dita lunghe del paziente, allo scopo di favorire il ritorno venoso e
linfatico e prevenire il rischio di rigidità da immobilizzazione.
La condizione del paziente infatti tende all'ipomobilità di tutto l'arto, in quanto il non
poter usare mano e gomito incide negativamente sulla vita attiva del soggetto nel suo
complesso. Per evitare la perdita di funzione, il fisioterapista deve contrastare
l'ipomobilità del paziente, sottoponendolo ad un regime di esercizi attivi-assistiti ed
attivi, allo scopo di recuperare, se si è perso, e mantenere il massimo ROM possibile.
Il ruolo del fisioterapista lo porta ad una interazione profonda col paziente, non solo
perché è colui che gli somministra la terapia riabilitativa, ma anche perché lo deve
coinvolgere e stimolare adempiere al programma di trattamento, fargliene capire
l'importanza e i rischi a cui va incontro se non lo seguisse con correttezza di
esecuzione ed assiduità.
Il fisioterapista richiederà inoltre al paziente di eseguire autonomamente gli esercizi
attivi prescritti più volte al giorno, in sedute di 15-20 minuti.
Se il trattamento fisioterapico vero e proprio è fondamentale, si deve rimarcare il
ruolo altrettanto determinante dell'uso dell'arto leso nelle attività della vita
quotidiana, dedicandosi all'inizio ad attività funzionali non pesanti. Si realizza così la
progressiva reintegrazione dell'arto leso nello schema corporeo del paziente, con i
relativi guadagni di libertà articolare e contenimento dell'edema.
Tra i 30 ed i 90 giorni si ha la rimozione della sutura e del primo gesso
brachio-metacarpale, che viene sostituito con una guanto gessato con pollice incluso.
Il gomito ora libero è pronto per essere sottoposto al programma di esercizi attivi
assistiti.
Dopo il 90° giorno, se le radiografie o la TC di controllo danno esito positivo,
si confeziona uno splint statico amovibile in materiale termomodellabile.
Viene ora il momento di lavorare al recupero della libertà articolare e della funzione
del polso e della mano. Un compito questo che prevede un programma di trattamento
da stabilirsi in stretta collaborazione con il chirurgo, che darà al fisioterapista
ragguagli sul processo di consolidazione e se la guarigione sta avvenendo senza
deformità.
Eventuali deficit di allineamento osseo ed alterazioni dei tessuti molli, a seconda di
quanto rilevanti, pregiudicano più o meno gravemente il recupero della libertà
articolare e della funzione. Conoscerne la presenza e l'entità consente di creare
aspettative realistiche sul recupero di ROM e funzione (Fig. 17).
Figura 17.
La rilevazione del ROM del polso e del pollice controlaterali, ci forniscono le lineeguida sulle quali costruire gli obiettivi che ci possiamo prefiggere per le articolazioni
da trattare (Fig. 18).
Figura 18.
Gli esercizi di mobilizzazione attiva-assistita ed attiva con cui si trattano il polso ed
il pollice sono eseguiti cautamente, e vanno a coprire tutti i gradi di libertà articolari.
Per
il
polso:
flesso-estensione,
deviazione
ulnare
e
radiale,
rotazione
dell'avambraccio.
Per il pollice: abd-adduzione, opposizione, flesso-estensione, circonduzione.
La flessione del polso dovrebbe essere eseguita con le dita rilassate, così come le
deviazioni ulnare e radiale con il polso in posizione neutra e l'avambraccio pronato e
stabilizzato, in modo da prevenire movimenti compensatori del gomito. Ugualmente
si deve evitare compensazione di spalla nell'effettuare la pronosupinazione,
mantenendo il gomito flesso a 90°.
Quando si mobilizza in estensione bisogna ricordarsi che la tensione dei muscoli
flessori è maggiore con avambraccio supinato.
I movimenti del pollice devono essere effettuati cercando di evitare le compensazioni
delle dita lunghe, cercando quindi di isolarlo il più possibile.
Bisogna spingere le articolazioni al raggiungimento della massima escursione,
ricordando di rispettare il dolore del paziente. La posizione di massima escursione
possibile sarà tenuta per 10 secondi e l'esercizio ripetuto 5-10 volte per ogni
movimento, più volte al giorno.
A questo proposito il Kinetec è un valido supporto, in quanto consente di recuperare
gradualmente il ROM e facilita il drenaggio venoso e linfatico, mobilizzando le dita
del paziente con un'intensità e per una durata programmate dal fisioterapista.
L'immobilizzazione porta alla perdita della sinergia estensione di polso/flessione
delle dita, così come della flessione di polso/estensione delle dita. Si assisterà così
all'uso di uno schema facilitante che accomuna estensione di polso e dita.
Il recupero della sinergia originale non è compito semplice, ma deve essere oggetto
di un lavoro assiduo, perché prioritario nelle strategie di recupero del movimento.
Infatti la forza della presa e le altre funzioni della mano, difficilmente miglioreranno
in assenza dell'indipendenza tra estensori del polso ed estensori delle dita. Una
strategia di recupero può essere il cercare la giusta sinergia con avambraccio in
appoggio, in posizione intermedia tra pronazione e supinazione, eliminando così la
gravità. Altra, l'esercizio di presa di un oggetto morbido e leggero, abbinata alla
richiesta di estensione del polso (Fig. 19).
Figura 19.
Lo splint (Fig. 20) che si confeziona fornisce un adeguato supporto a polso e
pollice, protegge la cicatrice e fa da “traghettatore” tra il periodo di protezione ed
immobilizzazione totale del gesso e l'assenza di protezione una volta abbandonato
anche lo splint.
Figura 20.
Di solito si preferisce uno splint con appoggio dorsale, perché permette una
maggiore mobilità della mano, è comunque una decisione da concordarsi con il
chirurgo, così da realizzare uno splint che unisca alla funzione protettiva anche la
confortevolezza e la facile vestibilità, in modo da evitare motivi di sofferenza che, se
presenti, porterebbero subito alla correzione dello splint o alla sua sostituzione.
Parlando di protezione fornita dallo splint, non si deve solo intendere quella che può
dare, per esempio, contro urti accidentali. Il supporto dell'ortesi permette
l'esecuzione di attività funzionali di leggera entità, verso le quali il paziente sarà
orientato ed incoraggiato.
Dopo 120 giorni. Ci dovremmo trovare ora davanti ad un paziente che ha
recuperato dei valori di ROM che si sono in buona parte stabilizzati, si potrà passare
quindi ad esercizi attivi sempre più aggressivi.
E' anche il momento di correggere il deficit di forza muscolare causato
dall'immobilizzazione, cosa questa che si fa senza il supporto dello splint, in quanto
consiste nella progressiva rieducazione alle attività di presa, sotto la sorveglianza del
fisioterapista.
Dopo il massaggio iniziale, lavorare sulla presa è un buon modo per iniziare la
seduta.
All'inizio
si
richiede
una
prensione
grossolana,
non
selettiva;
successivamente la prensione richiesta è più selettiva nei cofronti delle articolazioni,
sia metacarpofalangee che interfalangee, pollice incluso.
Dopo i 120 giorni le sedute di trattamento giornaliere di solito possono diminuire,
sebbene ne aumenti la durata. La cura della cicatrice e dell'edema prosegue tramite il
massaggio.
Il paziente dovrebbe poter fare fronte ad una vasta gamma di attività, senza
particolari limitazioni se non per quelle più pesanti. Si può valutare l'introduzione di
esercizi contro moderata resistenza in tutte le direzioni, abbinandole ad un
programma specifico e non troppo impegnativo di stretching.
Il tutto ovviamente sempre monitorando il paziente, la presenza e le caratteristiche di
eventuale dolore.
Il paziente deve continuare l'autotrattamento domiciliare, alternando sedute di
esercizi attivi aggressivi e dinamici, con quelle di esercizi attivi più dolci. Il
fisioterapista potrà accorgersi se il paziente esegue o meno il compito domiciliare, in
entrambi i casi il ruolo di educatore in tal senso non viene meno. Trascurare
l'autotrattamento potrebbe voler dire pregiudicare gli ultimi, certamente non meno
importanti, margini di recupero della funzione.
Piano di trattamento in sintesi
1 – 30 giorni → più sedute giornaliere di 15'
–
–
Esercizi per il ROM della spalla
Esercizi attivi per il ROM di MCF, IFP, IFD delle dita lunghe
30 – 90 giorni → 2/3 sedute ambulatoriali settimanali di 30' + 4 autotrattamenti
giornalieri di 15'
–
–
–
Rimozione del gesso brachio-metacarpale
Rimozione della sutura e applicazione di nuovo gesso con pollice incluso
Esercizi per il ROM della spalla, del gomito, delle MCF, IFP, IFD delle dita
lunghe
Dopo 90 giorni → 2/3 sedute ambulatoriali settimanali di 45' + 4 autotrattamenti
giornalieri di 20'
–
–
–
Rx o TC di controllo
Applicazione di splint statico amovibile in materiale termomodellabile
Cauti esercizi attivi assistiti del polso e del pollice, che via via vengono
intensificati, usando anche il Kinetec
Dopo 120 giorni → 2 sedute ambulatoriali settimanali di 45' + 2 autotrattamenti
giornalieri di 45'
–
–
–
Esercizi di rinforzo della presa
Esercizi per il ROM sempre più aggressivi
Attività senza limitazioni
CONCLUSIONI
Abbiamo visto come la pseudoartrosi sia una importante complicanza di una frattura
di scafoide, che porta a conseguenze invalidanti nelle ADL e nelle IADL,
progressivamente più gravi nel corso del tempo se non adeguatamente trattata.
Il trattamento chirurgico di Matti-Russe è una metodica ormai affidabile, e tratta
efficaciemente le pseudoartrosi di tipo I, II A e B della classificazione di Alnot ed
Herbert.
La pseudoartrosi di scafoide, anche se trattata chirurgicamente, è una patologia che
porta al paziente numerosi disagi, prima e dopo l'intervento, in quanto comporta la
perdita della capacità funzionale di un arto e la diminuzione in toto della vita attiva,
nonché la sottrazione di tempo alla propria vita lavorativa e alla propria vita sociale
L'esperienza del dolore inoltre, che è limitante funzionalmente prima dell'intervento,
e di ostacolo al trattamento fisioterapico dopo, oltre a provocare un disagio
psicologico, una perdita di qualità della vita ed un ricorso ai farmaci.
Un trattamento fisioterapico eseguito con regolarità ed intensità ben determinate, è
indispensabile al raggiungimento degli obiettivi prefissati, e cioè:
–
Evitare la rigidità e la perdita di ROM
–
Recuperare la forza
–
Garantire la ripresa funzionale
Per un buon recupero funzionale di polso e mano, è fondamentale curare
l'informazione al paziente, insegnandogli il modo corretto di eseguire gli esercizi al
proprio domicilio e rendendolo consapevole di quanto l'auto-trattamento e l'uso della
mano nelle attività quotidiane sia basilare per il raggiungimento della guarigione.
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