TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE LAVORO - PRIMO GRADO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE, Dott. Umberto Buonassisi, quale giudice del lavoro, nelle cause iscritte ai nn. 217140 e 217556/06 R.G. TRA BANCA INTESA S.p.a., in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Silla n. 3, rappresentata e difesa dell'avv. Carlo Ferzi, dell'avv. Fabrizio Fabbri, dell'avv. Angelo Chiello e dall'Avv. Cesare Pozzoli, che la rappresentano per procura in atti ; E COSTANZO SALVATORE, elettivamente domiciliato in Roma, Via del Corso n. 107, presso lo Studio dell'avv. Antonio Pileggi che lo rappresenta e difende per procura in atti; All'udienza del giorno 13-10-2006 ha pronunciato il seguente . . DISPOSITIVO definitivarnente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede: dichiara l'illegittimità del licenziamento irrtimato a Costanzo Salvatore e condanna la Banca Intesa s.p.a a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a corrispondergli a titolo di risarcimento danni tutte le retribuzione maturate dal dì del recesso sino all'effettiva reintegra, oltre rivalutazione e interessi legali e con il pagamento dei contributi come per legge; condanna altresì Costanzo Salvatore a restituire alla società il tfr percepito con gli interessi alla domanda come per legge; respinge ogni altra domanda ; condanna la Banca Intesa s.p.a. a rifondere al Costanzo le spese processuali che si liquidano in complessivi € 2450,00 oltre iva e cpa. IL GIUDICE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con un primo ricorso ritualmente depositato il 1/7/2005 la Banca Intesa s.p.a. conveniva in giudizio Costanzo Salvatore per sentire dichiarare la legittimità del licenziamento a quest'ultimo intimato, ai sensi della legge 223/91, con lettera del 1/3/2004, e quindi che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era definitivamente cessato con la decorrenza ivi indicata, ovvero, in subordine per conseguire la condanna del medesimo alla restituzione del tfr con gli accessori di legge. Con ampie argomentazioni in diritto Banca Intesa affermava infatti di avere rispettato tutte le norme applicabili alla materia facendo corretta applicazione dei criteri di scelta previsti dall'art. 59 legge n. 449\97, dall'art. 8 dm a 158\00 e dall'accordo sindacale del 15\1\03. Con un secondo ricorso riunito al precedente e depositato il 7.7.2005 Costanzo Salvatore esponeva: di avere lavorato alle dipendenze della Banca Commerciale Italiana, poi assorbita dalla Banca Intesa spa con inquadramento nella categoria dei quadri direttivi di 4° livello; che la stessa Banca Intesa lo aveva poi illegittimamente licenziato ai sensi della legge 223/91, allorché si trovava oltretutto in stato di malattia; che il licenziamento, oltre che nullo in quanto intimato per motivo discriminatorio, era illegittimo e/o inefficace sotto vari profili, ed in particolare per la mancanza dello stesso presupposto causale di cui all'art. 24 L 223/91, la violazione delle procedure di cui all'art. 4 commi 2 e seguenti legge a 223\91, la genericità delle indicazioni essenziali della comunicazione di cui all'art. 4 comma 2 con conseguente violazione del comma 3 della medesima disposizione, la non veridicità dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, la violazione dell'art 4 comma 9 della legge n. 223\91, la violazione dei criteri di scelta e per essere stato licenziato nonostante fosse stato superato il numero degli esuberi programmati da ridurre. Chiedeva pertanto, in via principale, di dichiarare inefficace/illegittimo il recesso, e comunque di annullarlo, con le conseguenze di cui all'art. 18 legge 300/70 e la condanna della convenuta al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni mensili maturate dal di del recesso sino alla data dell'emananda sentenza, o quantomeno delle retribuzioni dovutegli con riferimento all'intero periodo di comporto (pari ad un anno a decorrere dal 1 aprile 2004), oltre accessori di legge, vinte le spese. Banca Intesa spa si costituiva in questo secondo procediménto contestando il fondamento delle domande del Costanzo e chiedendone il rigetto. Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, all'odierna udienza la causa, preceduta dal deposito di note illustrative, veniva discussa e decisa come da dispositivo in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Costanzo Salvatore è stato licenziato a seguito di procedura di riduzione del personale ai sensi dell'art. 24 della legge n. 223/91, dopo che era stato raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali il 15.1.2003 seguito, in data 11.3.2003, da un nuovo accordo "a parziale modifica\integrazione" del precedente. In data 10\9\02 la Banca aveva infatti presentato alle OO.SS. il nuovo piano di impresa con allegato documento esplicativo illustrando le criticità del Gruppo, gli obiettivi da conseguire, i necessari processi di riorganizzazione ed i conseguenti progetti da attuare per lo sviluppo dei ricavi e per il rilancio delle attività produttive. Nel corso dell'incontro del 19\9\02 era stato consegnato alle OO.SS. un ulteriore documento, denominato "Andamento Organici e Costo del Personale", in cui veniva evidenziato il prevedibile impatto sugli organici delle previste ristrutturazioni ed indicata una riduzione complessiva, nel triennio 2003-2005, di 7.000 unità per la Macrodivisione Rete Italia e di 12.300 unità per la Divisione Banche Estero. Con comunicazione del 2\10\02 la Banca aveva poi avviato la procedura di cui agli artt. 17 e 18 ceni 11YA90 conclusasi con l'Accordo di Programma sottoscritto il 5\12\02. In relazione alle previsioni di detto accordo la Banca con comunicazione del 19\12\02 aveva avviato la procedura ex artt. 4 e 24 legge n. 223\91 "allo scopo di ridurre gli organici alla data del 31\12\02 di 5.700 unità risultanti in esubero con riguardo alle proprie esigenze tecniche, organizzative e produttive, come già concordato nel citato Accordo di Programma del 5 dicembre scorso con le OO.SS". Il ricorso del lavoratore mira in sostanza a conseguire la dichiarazione di illegittimità/inefficacia del licenziamento, essenzialmente per mancanza dello stesso presupposto causale e in quanto la convenuta non avrebbe adempiuto agli obblighi previsti dagli artt. 4 e 24 della legge 223/91. Il Costanzo ha affermato che già nell'accordo di programma con il quale è stata avviata la procedura del 19.12.2002 erano interamente definiti, senza residui, entità, termini e modalità della pretesa riduzione del personale, quindi prima che fossero avviate le procedure di cui all'art. 4, legge 223/01 e a prescindere dalle stesse, operando di fatto una scelta discriminatoria che lo ha penalizzato per il solo fatto di essere nato prima del 1954. Anche se il Costanzo ha arditamente richiamato il dlgs n. 216/03, sostenendo di essere stato "discriminato", è certamente possibile che con accordo sindacale, anche aziendale, stipulato a conclusione della procedura di riduzione di personale e riferito ad una singola e determinata procedura, siano determinati criteri di scelta dei lavoratori diversi da quelli stabiliti per legge ed aventi valenza residuale. Tali accordi sindacali, che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, non appartengono alla categoria dei contratti collettivi normativi, con la conseguenza che gli stessi sempreché non ne sia compromessa la validità dal mancato rispetto del principio di razionalità e di quello di non discriminazione di cui all'art. 15 della legge a 300 del 1970 - non incidono direttamente già sulla posizione del lavoratore, ma su quella del datore di lavoro, il quale nella scelta dei dipendenti da porre in mobilità deve applicare i criteri concordati Il criterio di scelta adottato nell'accordo sindacale può essere anche unico e consistere nella vicinanza al pensionamento, in quanto esso può essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità dal datore di lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n 25087 del 28 novembre 2005). Al contrario Banca Intesa s.p.a. ha dedotto proprio di avere rispettato le procedure previste dalla legge, e, richiamando Cass. S.U. a 302/2000, ha affermato che il giudice non avrebbe il potere di sindacare l'esistenza o meno dello stesso presupposto causale posto a fondamento del licenziamento e che i pretesi vizi procedurali sarebbero irrilevanti avendo appunto le parti contrattuali optato per un criterio certo e oggettivamente verificabile. Anche se è vero che il controllo nella materia è oggi essenzialmente procedimentale (e già sotto questo profilo il licenziamento è inefficace sotto molteplici aspetti come si dirà in seguito) questa opinione non può essere condivisa. Giova ricordare che la Suprema Corte ha più volte affermato che il licenziamento collettivo deve essere giustificato da una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e che l'accordo sindacale raggiunto al termine della procedura non preclude al giudice l'accertamento della effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge n. 223 del 1991 (per tutte Cassazione Sezione Lavoro n. 6385 del 19/4/2003). Nella fattispecie esaminata in quella occasione la Corte ha accertato che non vi era stata, prima dell'avvio della procedura, un'apprezzabile riduzione dell'attività, perché in un breve lasso di tempo l'azienda aveva perso alcuni appalti, ma ne aveva acquisiti altri. Il licenziamento collettivo - ha affermato la Cassazione - "presuppone quale requisito fattuale di legittimità, la riduzione o trasformazione di attività di lavorò, la cui oggettiva ricorrenza può essere verificata dal giudice; la direttiva CEE 17 febbraio 1975 n. 129, di cui la legge n. 223 del 1991 costituisce attuazione, richiede che il licenziamento collettivo, per essere qualificato tale, sia motivato da una o più ragioni non attinenti alla persona del lavoratore. L'accordo sindacale raggiunto al termine della procedura dì riduzione del personale — ha concluso la Corte — non preclude al Giudice l'accertamento di un eventuale intento elusivo". E' necessario a questo punto di individuare e qualificare lo stesso presupposto di legittimità di cui all'art. 24 della legge 223/91. In passato la Suprema Corte aveva affermato che la categoria della "riduzione o trasformazione dell'attività di lavoro" deve considerarsi onnicomprensiva di tutte le fattispecie in precedenza causa di licenziamenti individuali plurimi e cioè connessi a modificazioni o trasformazioni oggettive dell'impresa. Partendo da questa iniziale prospettiva, che fa dipendere la natura individuale o collettiva del recesso esclusivamente dal ed. "elemento numerico", la Corte ha però chiarito che, anche dopo l'entrata in vigore della legge 223/91, non possono considerarsi collettivi quei licenziamenti che non siano determinati da una riduzione di attività ma dall'esigenza di migliorare la situazione economica dell'impresa (Cass. a 12548/97; Cass. a 12764/97). In altre parole, come si evince dalla stessa giurisprudenza richiamata da Banca Intesa (v. pag. 55 della comparsa di costituzione del secondo procedimento) e dallo stesso ricorso volto al riconoscimento della legittimità del licenziamento (Cass a 11794/99 e Cass. n. 11465/97), è necessario provare quantomeno l'esistenza di una modifica dell'organizzazione produttiva che comporti soppressione di uffici, reparti, lavorazioni, oppure soltanto Contrazione della forza lavoro, purché l'operazione che giustifica il ridimensionamento occupazionale sia effettiva. Il giudice, investito della legittimità del licenziamento, deve accertare l'imprescindibile nesso eziologico tra il progettato ridimensionamento ed i singoli provvedimenti di recesso (Cass. a 11465X97; Cass. a 8364/2004). Nel caso di specie Banca Intesa ha di fatto invocato l'esistenza di una crescente situazione di crisi e/o di criticità (la comunicazione di avvio della procedura del 2.10.2002 parla di "forti criticità") e la necessità di rendere competitivo il sistema bancario italiano con gli altri paesi europei, situazione che le avrebbe imposto una sostanziale riduzione del costo del lavoro, avendo il triste primato di banca con il peggior rapporto cost/income. Anche dall'accordo di programma del 5.12.2002 e dall'accordo sindacale del 15.1.2003 emerge chiaramente che l'obiettivo j dell' operazione consiste nella necessità di conseguire gli obiettivi di riduzione del costo del lavorò e degli organici mediante il ricorso al lavoro parziale, il contenimento del lavoro straordinario, la non erogazione del premio aziendale per l'esercizio del 2002, nonché appunto, la riduzione degli organici. In modo ancor più esplicito nelle note autorizzate, a pag. 7, Banca Intesa ha affermato che l'obiettivo era quello di realizzare "un complessivo abbattimento del costo del lavoro ". Tuttavia le semplici "modifiche" organizzative per finalità di accrescimento dei profitti non integrano il requisito di cui all'art 24 della legge 223/91. E' vero che la stessa Corte ha affermato, già con le sentenze 8 giugno 1999 n. 5662 e 12 ottobre 1999 n. 11455, che la legge 23 luglio 1991, n. 223 ha innovato sulla precedente disciplina, affidando alle organizzazioni sindacali un. controllo preventivo sulla ricorrenza delle ragioni legittimanti la procedura di riduzione del personale; la Corte non ha mai inteso affermare con ciò che il licenziamento collettivo è divenuto un licenziamènto acausale. La causa del licenziamento per riduzione di personale è individuata dall'art. 24 Legge 22 luglio 1991 n. 223 nella riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, con ciò superando il precedente orientamento che pretendeva una; riduzione delle strutture materiali aziendali. Né può condividersi l'opinione di Banca Intesa secondo la quale in ogni caso raccordo raggiunto con le organizzazioni sindacali costituirebbe sufficiente e insindacabile garanzia dei diritti individuali coinvolti. L'accordo sindacale previsto dall'art. 4, richiamato dall'art. 24 L. 223/1991, non può essere equiparato ad un negozio di accertamento, con cui vengono fissati i fatti rilevanti tra le parti. Tale negozio, ammesso quale esplicazione del potere negoziale di accertamento, al pari del riconoscimento dei rapporti, può valere solo nei rapporti interprivati, non quando c'è da accertare la sussistenza della situazione disfatto (riduzione o trasformazione di attività o di lavoro) presupposto indefettibile dell'applicazione di una disciplina legale. Né la sentenza 11455/1999, nè la stessa sentenza delle Sezioni Unite n. 302/2002 e le altre richiamate da Banca Intesa escludono che il giudice possa accertare l'intento elusivo dell'intervenuto accordo collettivo (Cass. n. 6385/2003 citata). Al contrario la stessa sentenza n. 11455\99 ha precisato che, pur a fronte di licenziamento collettivo intimato all'esito della procedure di mobilità è, comunque, sempre fatta salva la possibilità di dimostrare che la riduzione del personale sia in realtà "mascherata", per essere motivata con ragioni che, lungi dal ricollegarsi causalmente ! con una effettiva riduzione o trasformazione dell'attività produttiva, rispondano, invece, all'intentò di sostituire una componente della forza lavoro con altra, ritenuta più valida ed attrezzata professionalmente (e meno costosa) o di attuare discriminazioni inerenti alla persona dei singoli lavoratori. Anche la sentenza della S.C. n. 8269\04, che si richiama appunto a Cass. n. 11455//99, afferma che il ridimensionamento dell'attività imprenditoriale che legittima il ricorso alla procedura di mobilità ex artt. 4 e 24 della legge a 223 del 1991, non è escluso né dalla prestazione di lavoro straordinario dei dipendenti rimasti in servizio, nè dal mero affidamento a terzi di operazioni o lavorazioni prima svolte direttamente in azienda, e; neppure dalla circostanza di nuove assunzioni, ove non risulti la necessità di colmare vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione, e ove non si sia in presenza di un ampliamento dell'attività economica dell'impresa non giustificata sulla base delle ragioni che hanno portato alla riduzione del personale. Ne consegue che, come ben chiarito dalla successiva Cassazione n. 8364/2004, che richiama Cass. n. 6385/2003, il giudice, in assenza del predetto nesso di causalità, deve dichiarare l'illegittimità del licenziamento anche se il datore di lavoro ha rispettato le garanzie procedimentali previste dalla legge n. 223/91: "La società ricorrente evidenzia soprattutto il pieno rispetto delle garanzie procedimentali previste dall'art. 4 della cit. legge n. 223 del 1991; circostanza questa pacifica, che però non esclude che il giudice di merito dovesse effettuare la verifica del menzionato nesso di causalità ". Conseguentemente il nesso di causalità va escluso se "la ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, non era tale da comportare una contrazione della forza lavoro" (Cass. n. 8364 del 3 maggio 2004). Ad analoghe conclusioni la Corte era giunta anche con la ben nota Cass. Sez. Un. n. 14616/2002 relativamente ai licenziamenti collettivi delle Ferrovie dello Stato. Come si vedrà nel caso di specie sono intervenute nuove assunzioni nel corso della procedura di non vi è alcuna menzione nell'accordo di programma del 5\12\02, né nella lettera di comunicazione di avvio della procedura, né nell’originario accordo del 15\1\03. E' necessario poi sgombrare! il campo subito da ogni equivoco anche a proposito del diritto di precedenza nell'assunzione di cui all'art. 8 della legge 223/91 che costituisce istituto di diversa natura, presupponendo la risoluzione del rapporto, come riconosciuto da Banca Intesa. Quindi il diritto di precedenza ivi contemplato con il rinvio all'art 15 legge n. 264\49, come è stato già rilevato dalla giurisprudenza (v. Trib. di Roma, sentenza del 17/5/2006 est. Di Sario) "non prescinde affatto dalla regolarità e legittimità della licenziamento operato; anzi questo ne è presupposto indispensabile come dimostra l'ampia giurisprudenza intervenuta ad escludere i benefici previsti dallo stesso articolo in caso di fittizie e preordinate cessazioni di rapporto di lavoro (cfr ad es Cass. n.8742\04, Cass. 2443\00)". Nel caso in esame il Costanzo ha dedotto invece proprio l'illegittimità/inefficacia del licenziamento chiedendo la reintegra ai sensi dell'art. 18 legge 300/70. Ovviamente il ridimensionamento dell'attività produttiva non è escluso dalla prestazione di lavoro straordinario da parte dei dipendenti rimasti in servizio, né, di per sé, dal ricorso a forme di esternalizzazione prive di una diretta relazione con il posto in organico dei lavoratori licenziati (v. Cass. 8269/2004). Il presupposto causale deve invece essere escluso proprio in presenza della prova documentale che il ridimensionamento è stato del tutto fittizio risolvendosi di fatto in una sorta di svecchiamento del personale con la sostituzione di forza lavoro meno costosa e, in parte, meno garantita. Risulta infatti dagli atti che a distanza di nemmeno un mese dalla data di avvio della procedura di mobilità, a conclusione delle procedure di cui all'art. 4, legge n. 223/91, veniva sottoscritto un accordo sindacale che di fatto riproduce quasi integralmente l'accordo di programma del 19.12.2002, anche per quanto concerne l'individuazione esatta delle riduzioni di organico programmate, per un totale di 5700 unità, e dei tempi di attuazione delle medesime. Veniva così previsto che, in caso di insufficienza di domande di pensionamento volontario (per chi avesse maturato, o maturasse nel corso del biennio i requisiti per la pensione di anzianità e di vecchiaia), o di accesso alle prestazioni del ed. Fondo Volontario, la società avrebbe proceduto al licenziamento per maturazione requisiti AGO dei lavoratori pensionabili (anche se con diritto alla prosecuzione del rapporto) ovvero al licenziamento dei lavoratori non pensionabili, ma in possesso dei requisiti di accesso alle prestazioni del fondo di Solidarietà. Se in questo quadro è ben difficile pensare che le parti abbiano realmente discusso di qualcosa che non fosse già stato deciso, il Costanzo ha dedotto che altri dipendenti, circa 80 (meno di 75 secondo Banca Intesa), non sarebbero stati licenziati e non sarebbero stati neanche menzionati nella comunicazione di chiusura della procedura. Quindi il lavoratore, a parte i vizi procedurali di cui si parlerà in seguito, ha anche dedotto di essere stato illegittimamente licenziato al posto di altri, avendo oltretutto Banca Intesa, a suo avviso, erroneamente ritenuto che il numero di coloro che avevano presentato domanda di accesso volontario al Fondo di solidarietà fosse inferiore al numero dei presunti esuberi Risulta ancora dagli atti che l'impugnata procedura di licenziamento ha prodotto tali problemi organizzativi da indurre la Banca a sottoscrivere due accordi (il 11.3.2003 e il 12.11.2003) con le organizzazioni sindacali al fine di essere autorizzata all'assunzione eccezionale di personale a tempo determinato, impegnandosi paradossalmente a prendere in considerazione prioritariamente per una possibile nuova assunzione proprio i suoi ex dipendenti, per un totale di 450 unità. L'accordo dell'11\3\03 prevedeva che tale assunzione avvenisse "in via eccezionale" e "del tutto transitoria", mentre, con il successivo accordo del 13.12.2004, Banca Intesa provvedeva addirittura a convertire detti contratti in assunzioni a tempo indeterminato e ad assumere almeno altri 150 dipendenti con la qualifica di apprendisti e l'incarico di operatori di sportello. Quindi i contratti sono stati convertiti a tempo indeterminato a decorrere dall' 1\1\05 (ed erano in corso da tempo), quando non si era ancora conclusa la procedura dei licenziamenti collettivi Infine la Banca ha recentemente diramato al pubblico la notizia che procederà ad ulteriori nuove 250 assunzioni. Ne deriva non solo la violazione dell'accordo (e, sotto il profilo procedurale, il mancato rispetto degli obblighi di preventiva comunicazione sanciti dalla procedura di cui alla legge n. 223\91), ma anche "la contraddittorietà tra la "improcrastinabile" necessità di ridurre l'organico di 5.700 dipendenti e la contemporanea assunzione di 450 persone, alle quali vanno aggiunte le altre assunzioni a tempo indeterminato effettuate nelle more in misura superiore a 150 unità (il numero esatto è impossibile da accertare).Tale contraddittorietà, in assenza di elementi di chiarificazione, è evidente indice della fittizietà del numero degli esuberi dichiarato con la comunicazione di apertura della procedura ex art. 4, dimostrando di contro l'effettivo obiettivo perseguito di "svecchiamento della forza lavoro ", essendo notoriamente più costosi i lavoratori "anziani" (Tribunale di Roma 17/5/2006 citata). Va detto che Banca Intesa non ha nemmeno cercato di fornire una reale spiegazione di queste assunzioni e si è limitata ad affermare che; si trattava di facoltà espressamente prevista dagli accordi con i sindacati (che comunque le prevedevano in via eccezionale solo sino alle 450 unità), nonché l'irrilevanza delle medesime in quanto essenzialmente riferite a lavoratori con qualifica A3L1 (il Costanzo aveva invece la qualifica di QDL4). i Peraltro Banca Intesa ha contemporaneamente affermato che la sua organizzazione "è... caratterizzata da una notevole sostituibilità dei quadri superiori mediante mobilità verticale interna ". A fronte di una specifica e] tempestiva contestazione del Costanzo Banca Intesa avrebbe dovuto dimostrare che effettivamente queste assunzioni sono servite ad effettuare la "sostituzione di figure professionali specialistiche altrimenti non reperibili". Si comprende allora per quali ragione la convenuta afferma che il giudice non avrebbe alcun potere di sindacare l'esistenza delle ragioni poste a fondamento della sua scelta organizzativa: queste risultano infetti non veritiere, contraddittorie, o addirittura completamente false, anche per quanto concerne i pretesi esuberi e la corrispondente necessità di riduzione del personale. Le asserite "forti criticità"sono smentite dagli atti e risulta tra l'altro che nel 2002/2003 vi è stato in Banca Intesa un incremento degli utili. Banca Intesa ha eccepito che il bilancio 31.12.2001 ha fatto registrare un calo di utile in milioni di euro da 1774,5 a 337,4, con diminuzione dell'81% e il bilancio successivo del 31.12.2002 un calo da 337 a 12, con diminuzione del 96,4 %. Tuttavia dal documento "Risultati 2003" presentato in occasione dell'incontro con i dirigenti del 16.12.2003 (all. 27 della produzione del lavoratore) si ricava che nel 2003 la convenuta ha raggiunto un utile netto pari al 507% in più (da 200 milioni di euro a 1214) che Banca Intesa pretende di imputare proprio alla riduzione dei costì operativi e del personale rispetto al precedente esercizio. Gli articoli della stampa specializzata hanno posto immediatamente in evidenza nell'anno 2003 "l'incremento" della redditività è la forte crescita dei margini reddituali e dell'utile netto accompagnato dal rafforzamento patrimoniale;che ha permesso a Banca Intesa di incrementare in modo sensibile il dividendo da distribuire agli azionisti Anche a volere limitare l'indagine ai profili procedurali già la non contestualità della comunicazione all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione, alla Commissione Regionale per l'impiego e alle associazioni di categorie di cui al comma 9 dell'art. 4, effettuata una prima volta ed in modo peraltro incompleto il 26.3.200J4, circa 20 giorni dopo la lettera di licenziamento al lavoratore che reca la data del 1.3.2004, ed una settimana dopo l'effettiva ricezione che Banca Intesa afferma essere avvenuta il 19.3.2004, inficia la proceduta rendendo inefficace il licenziamento (v. Cass. n. 5578/2004). Nella sentenza si legge quanto! segue: "già la Corte ha avuto modo di precisare, in termini di assoluta condivisibilità da parte di questo Collegio, i limiti e la ratio a largo raggio della disposta contestualità delle comunicazioni, nel senso che "in tema di licenziamenti collettivi, la lettera della disposizione di cui all'art.4, comma nono, della legge n. 223 del 1991 e la sua "ratio" - che è quella dì rendere visibile e, quindi controllabile dalle organizzazioni sindacali (e tramite queste dai singoli lavoratori) la correttezza del datore di lavoro in relazione alle modalità di applicazione dei criteri di scelta - portano a ritenere che la comunicazione del recesso al singolo lavoratore e quella all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente (e alla Commissione regionale dell'impiego e alle Associazioni di categoria) hanno, rispettivamente, contenuto e finalità differenti. La prima comunicazione, infatti, per la sua validità deve essere soltanto redatta in forma scritta e contenere unicamente la notizia del recesso, senza che risulti necessaria alcuna motivazione; la "contestuale" comunicazione all'Ufficio regionale del lavoro, invece, deve includere "l'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia", nonché "la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5, comma primo" della stessa legge" (Cass. 10 giugno 1999, n. 05718)Appare \di tutta evidenza, a questo punto, la correttezza della decisione impugnata circa la decisiva mancanza della citata "contestualità"' delle comunicazioni nel caso di specie, essendo esse effettuate dal datore di lavoro a quindici giorni di distanza dalla comunicazione del licenziamento al lavoratore. Non par dubbio, cioè,che il requisito in esame non può essere valutato, per gli scopi ad esso riconnessi, nel senso di una non contemporaneità dovuta solo a giustificati motivi di natura oggettiva, il cui onere probatorio ricade evidentemente a carico de datore di lavoro: in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido e analitico in ogni suo momento, e con termini decisamente ristretti, costruirebbe vera e propria anomalia del sistema una riserva a favore del datore di lavoro, non solo di difficile determinazione nei relativi limiti di applicazione, ma anche di possibile strumentalizzazione in danno del lavoratore licenziato (vedi, in particolare, riduzione del termine per l'impugnazione del licenziamento, difficoltà di verifica da parte delle associazioni sindacali delle modalità di svolgimento delle procedure e delle eventuali violazioni dei criteri di scelta). Corretta, pertanto, ed adeguatamente motivata, è la conclusiva decisione del giudice di appello della non contestualità delle comunicazioni, sul presupposto che, nel caso dj specie, il ritardo di quindici giorni dal licenziamento, delle comunicazioni di cui all'ari. 4, comma nono, della legge n. 223 del 1991, costituisce clamorosa violazione della ratio della contestualità di esse voluta dalla legge. Si tratta, come si vede, esattamente di una fattispecie analoga alla presente ■ A tale proposito Banca Intesa ha eccepito di avere posto rimedio al vizio delle comunicazioni mediante la loro tardiva esecuzione o la loro rinnovazione (in sostanza il principio affermato da Cass. Sez. Un. n. 302/2000). Tuttavia con la sentenza n. 15898 del 28 luglio 2005 la Suprema Corte, escludendo in tal modo l'efficacia sanante delle c.d. comunicazioni integrative", ha affermato che la nozione di contestualità delle comunicazioni di cui all'art. 4, 9° comma, "deve essere intesa in senso proprio e rigoroso di sostanziale contemporaneità dell'esecuzione dei relativi adempimenti da parte del datore di lavoro" e inoltre che "è fuorviarne farà riferimento ali 'inciso finale della motivazione della citata Cass. sez un. n. 302/2000" in quanto "è evidente, infatti, che con tale affermazione la Corte non ha inteso certamente contraddire (peraltro in termini che sarebbero indeterminati) le precedenti rigorose affermazioni circa l'inefficacia dei licenziamenti collettivi determinata dall'omissione o insufficienza delle contestuali comunicazioni relative alla precisazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta...ma ha solamente richiamato il principia relativo alla possibilità di rinnovazione del licenziamento viziato per ragioni di carattere formale o procedimentale (ferma restando l'inefficacia di quello precedentemente adottato, alla stregua del principio della non sanabilità degli atti nulli) previa adozione o rinnovazione delle necessarie formalità... " Nella stessa comunicazione di avvio, che, per quanto già esposto, non fa alcun riferimento alle nuove assunzioni, si legge che "le parti hanno già concordemente individuato tempi, modalità e quantità inerenti la prevista riduzione degli organici". Quindi si è in presenza di una;procedura costruita fittiziamente avviando una posticcia procedura si informazione e consultazione sindacale conclusa da un ed. "accordo fotocopia" rispetto all'accordo di programma. La difesa sul punto della società resistente senza neanche prendere specifica posizione circa i vizi procedurali, si è limitata ad affermare di avere formalmente rispettato le norme della materia. Nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 2, della legge 223/91, per ciò che concerne i motivi chei determinano la situazione di eccedenza, si legge che: "fermo restando quanto descritto in premessa la società considera in ogni caso qui integralmente trascritti i motivi già tutti espressi nelle numerose occasioni di incontro nelle varie fasi del negoziato con le O.O.S.S., nonché tutti i documenti trasmessi loro tempo per tempo. Detti documenti, già sostenuti dall'ampio e approfondito contraddittorio tra le Parti, ali 'esito del quale le parti hanno raggiunto l'Accordo di Programma, costituiscono ad ogni effetto, ed in uno con l'Accordo stesso, parte integrante della presente lettera". Si è in presenza quindi di una indicazione non solo generica e incompleta, ma anche assolutamente contraddittoria e non veritiera, come emerge dal richiamo a non meglio precisate "forti criticità" e contemporaneamente alla necessità di incrementare i ricavi La Suprema Corte ha affermato che "nel licenziamento collettivo, l'omissione della procedura di cui all'art 4 legge n. 223 del 1991, intesa alla precisazione dei motivi dell'eccedenza di lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali, non è suscettibile di essere sanata dall'accordo sindacale che preveda l'individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base di un solo criterio oggettivo e verificabile (nella fattispecie l’ anzianità contributiva) ".Si tratta infatti di un'omissione che compromette l'interesse primario del singolo lavoratore alla individuazione trasparente e verificabile dei dipendenti da licenziare (Cassazione Sezione Lavoro n. 7021 del 8/5/2003). Non è dato comprendere per quale ragione i motivi genericamente dedotti avrebbero determinato un presunto esubero del personale la cui effettiva sussistenza è smentita dai fatti e dagli stessi atti del giudizio (si è già detto delle numerose assunzioni effettuate dalla società). Né è sufficiente allegare l'ammissibilità di una comunicazione per relationem che presuppone comunque la specifica allegazione in giudizio delle informazioni mancanti, o ancora il fatto che si trattava di dati universalmente noti. Con tale eccezione Banca Intesa richiama solo la generale crisi del settore e il riconoscimento della presenza strutturale e generale di esuberi riguardanti banche e associazioni di banche, sì da autorizzare, con l'art. 59, comma 3°, L. n. 449/97 gli accordi con i sindacati ad adottare, in via prioritaria, il criterio della maggiore prossimità alla maturazione del diritto a pensione. Evidentemente le informazioni dovevano riguardare la specifica situazione di Banca Intesa. A tale proposito Banca Intesa ha affermato che la comunicazione richiama senza mezzi termini "i motivi già espressi nelle numerose occasioni di incontro nelle varie fasi del negoziato contrattuale con le O.O.S. nonché tutti i documenti trasmessi loro tempo per tempo... ". In materia la Suprema Corte!ha affermato che "il generico riferimento a crisi di mercato e allo squilibrio tra costi e ricavi non è sufficiente all'adempimento degli obblighi di informazione previsti dalla legge in materia di riduzione del personale... in quanto tale motivazione si risolve in una clausola di stile "...(Cass. n. 14760/2000). Inoltre la società ha effettuato la comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, il 26.3.2004, successivamente quindi all'intimazione del licenziamento, limitandosi ad allegare genericamente il numero dei lavoratori licenziati, l'età e la categoria di appartenenza (impiegati e quadri) senza in alcun modo indicare le modalità di applicazione dei criteri scelti e senza un elenco dei dipendenti in possesso dei requisiti per essere licenziati, il cui numero era ben più elevato. Anche in questo caso è utile richiamare l'orientamento della Suprema Corte secondo il quale tali generiche indicazioni non consentono di ritenere soddisfatto l'onere di fornire le dettagliate indicazioni di cui all'art 4 della legge 223/91 (per tutte Cass. n. 10716 del 30/10/97). i Così ancora, secondo Cass. N. 14717 del 16/10/2002, il licenziamento è inefficace se la comunicazione si limita a richiamare i criteri di scelta, senza alcuna specificazione delle concrete modalità applicative. L'omissione non può essere surrogata dalla notorietà della situazione complessiva in cui versa l'impresa e dal consenso del sindacato. : Né è possibile replicare che si è in presenza di criteri "oggettivi e facilmente verificabili". Banca Intesa ha affermato che proprio il ricorso in via prioritaria al criterio della pensionabilità e della maggiore prossimità del diritto ai pensione, a scapito delle esigenze tecnico organizzative e produttive, escludeva la necessità di indicare ulteriori modalità applicative. Al contrario l'indicazione degli elementi richiamati dal 9° comma è comunque necessaria a pena di inefficacia in tutti i licenziamenti collettivi. La Suprema Corte (v. tra le altre la sentenza n 23607 del 20 dicembre 2004) ha rilevato che il nono comma dell'art. 4 della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui fa obbligo all'impresa di indicare "puntualmente" le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, è diretto a rendere trasparente la scelta operata dall' imprenditore, così da porre i lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi in condizione di controllare la correttezza dell'operazione e la rispondenza agli accordi eventualmente raggiunti. Non soddisfa certamente tale esigenza - ha affermato la Corte - la sola trasmissione- dell'elenco dei lavoratori licenziati con i rispettivi dati personali, pure richiesta dal comma nono, e ; l'astratta indicazione dei criteri di scelta adottati; la specifica tutela procedimentale compensa la libertà concessa all'imprenditore in merito alla determinazione di ridurre il personale, imponendo, in funzione della tutela del singolo lavoratore, che sia trasparente e verificabile la scelta dei dipendenti licenziati. L'effettiva garanzia di imparzialità — ha aggiunto la Corte - viene assicurata dalla conoscenza delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, e pertanto le comunicazioni di cui al comma nono dell'art. 4 assumono importanza decisiva, assolvendo la funzione rifornire di concreta motivazione i singoli recessi. La convenuta si è difesa invocando ancora una volta il dato sostanziale che il Costanzo è stato posto in grado di conoscere il nome degli altri lavoratori licenziati. Al contrario, anche se vi è un unico criterio di scelta, l'azienda è tenuta a comunicare le modalità della sua applicazione al fine di consentire la ed. valutazione comparativa (Cass. n. 86 del 8/1/2003). A tale proposito Banca Intesa si è limitata ad affermare che tali ragioni sono state comunicate alle organizzazioni sindacali. In realtà né nella comunicazione alle organizzazioni sindacali, né nella comparsa di costituzione vengono spiegate le ragioni per le quali altri lavoratori non sono stati licenziati E' anche alla luce della mancanza di qualsiasi spiegazione sul punto che acquista valore l'omessa indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta e delle relative modalità di applicazione. Con la recente sentenza n. 8307 dèi 10.4.2006 la Suprema Corte, in un caso analogo poiché il lavoratore aveva dimostrato che altri lavoratori in possesso del requisito della prossimità al pensionamento non erano stati licenziati, ha affermato che l'azienda non avrebbe dovuto limitarsi a comprovare l'esatta applicazione dei criteri di scelta con riferimento alle sole persone mantenute in servizio indicate dalla parte attrice ma avrebbe dovuto dimostrare - e non l'aveva fatto - che tutti i lavoratori mantenuti in servizio erano stati correttamente esclusi, in base a tali criteri, dal licenziamento. In altre parole non è in discussione il diritto della banca di salvaguardare le sue strutture operative ed organizzative mantenendo in servizio un certo numero di dipendenti come previsto dall' accordo sindacale del 15.1.2003. La società avrebbe dovuto però spiegare le ragioni che l'hanno indotta a tenere in servizio alcuni lavoratori e non altri, senza limitarsi a invocare l'astratta validità della clausola, e, ancora una volta, il consenso dei sindacati. La circostanza che il reparto cui era addetto il ricorrente sia stato chiuso è di per sé irrilevante dovendo oltretutto la scelta e la comparazione essere in linea generale effettuata con riferimento all'intero complesso aziendale (Cass. n. 10198 del 3/5/2006; Cass. a 11660 del 18 maggio 2006). Occorre aggiungere che la stessa Corte (v. tra le altre Cass. Sezione Lavoro n. 5770 dell'11 aprile 2003) ha più volte affermato che nella comunicazione di apertura devono essere precisati ì motivi per i quali la riduzione del personale non può essere evitata a pena di inefficacia del licenziamento. H comma terzo dell'art. 4 legge 23 luglio 1991 n. 223, che è norma di stretta interpretazione - ha affermato la Corte prevede che la comunicazione di apertura della procedura per la dichiarazione di mobilità "deve" contenere cinque indicazioni: a) i motivi che determinano l'eccedenza, b) i motivi che impediscono l'attuazione di misure idonee a porvi rimedio, c) il numero e la qualifica dei lavoratori eccedenti, d) i tempi di attuazione del programma, e) le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sociali "L'indicazione dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità" è prevista come obbligatoria, mentre è solo eventuale l'indicazione delle misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell'attuazione delle procedure di mobilità. Nel caso in esame la convenuta, in luogo di una puntuale e veritiera indicazione delle ragioni per le quali non avrebbe potuto adottare misure idonee a porre rimedio alla situazione di crisi ed evitare in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità si è limitata ad affermare in modo sibillino che "in conseguenza di quanto già precisato... e tenuta presente la dedotta obiettiva eccedenza, non vi è soluzione alternativa al riequilibrio tra il numero complessivo del personale in servizio e le effettive esigenze scaturenti dalla situazione organizzativa, economica e gestionale della società... .Le previsioni per il corrente anno, e per gli anni successivi, mentre risultano caratterizzate da una certezza dei costi, fanno ipotizzare una crescita dei ricavi..". Il "quanto già precisato" consiste nel fatto che "le misure di carattere alternativo sinora adottate dalla società..... quali:... la riduzione del ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato ....... non hanno comportato risultati coerenti con la concreta esigenza di ridurre in modo significativo, in via strutturale, il costo del personale". Si tratta di affermazioni che sijpongono tra l'altro in assoluto contrasto con le assunzioni a termine effettuate nel corso della procedura. In pratica Banca Intesa si limita ad allegare genericamente il fatto che il ricorso al tempo parziale, il contenimento del lavoro straordinario e la limitazione del premio aziendale non le hanno consentito di realizzare l'obiettivo sperato. Non vale a sostenere il contrario il richiamo all'accordo dell'11\3\03 ed alle esigenze sopravvenute a causa dell'adesione volontaria al Fondo di solidarietà, di un numero di dipendenti superiore alla riduzione programmata per il 2003 poiché la scelta di allontanare dall'azienda indistintamente tutti i lavoratori in possesso dei requisiti di cui lai dm 158/00, senza la preventiva individuazione della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente come invece richiesto dall'art. 4\3° e. 1. 223/91, ha determinato dei vuoti di organico assolutamente ingiustificati (così la già ricordata Tribunale di Roma 17/5/2006). Orbene si tratta solo di una indicazione generica, incompleta e inidonea ai fini prescritti dalla legge considerando che proprio il contemporaneo richiamo alla crescita dei ricavi in riferimento "alla rilevante complessità del contesto di riferimento nel quale opera la società, caratterizzato da un mercato concorrenziale sempre più competitivo", fa comprendere che le vere ragioni del licenziamento consistono proprio nella necessità di assicurare la crescita dei ricavi. Al di là delle perentorie certezze di Banca Intesa ("con che il discorso è chiuso") la società non fa altro che richiamare ancora una volta la crisi generale del settore. Anche secondo Cass. n. 13196 del 9 settembre 2003 "qualunque sia la causa dell'esubero vanno comunicate le ragioni che hanno impedito il ricorso a soluzioni alternative ai licenziamenti, giacché esse sono particolarmente idonee a rappresentare quale è, secondo l'imprenditore, l'assetto che necessariamente deve assumere : l'azienda a fronte di fattori che non consentano di mantenere immutato il contingente di forza-lavoro; sicché tale parte della comunicazione preventiva si rivela particolarmente idonea a contribuire alla conoscenza - quanto più possibile approfondita - che il sindacato deve avere della situazione per esercitare efficacemente il ruolo di cogestione che la legge gli assegna ". La Corte ha poi ribadito che" la mancanza della ritualità della comunicazione preventiva non può essere sanata dal raggiungimento di un accordo sindacale". L'obbligatorietà della indicazione dei motivi tecnici - ha osservato la Corte - è in perfetta aderenza col disposto del primo comma del medesimo art. 4, che prevede la facoltà per l'impresa "di avviare le procedure di mobilità ai sensi dèi presente articolo" ove sussistano i due presupposti "di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative"; in mancanza di tali presupposti la legge n. 223/1991 non riconosce all'imprenditore la libertà di licenziamento e quindi la seconda indicazione è essenziale al pari della prima e non può essere certo sostituita dalla semplice ripetizione dei "motivi che determinano la situazione di eccedenza"(Cass. n. 5770/2003 citata). La comunicazione relativa ai motivi tecnici che impediscono l'adozione di misure idonee ad evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità - ha aggiunto la Corte - è essenziale proprio perché attinente ad uno dei presupposti per l'esercizio della facoltà di avviare la relativa procedura, e quindi la mancanza della stessa determina l'inefficacia del licenziamento. E' evidente l'inadempimento, sotto i diversi profili esaminati, rispetto alle norme procedurali, della società convenuta, che si è difesa deducendo la genericità della contestazione e la presunta mancanza di interesse del lavoratore che non avrebbe indicato le conseguenze derivanti da una simile violazione e non avrebbe specificato chi altri al posto suo avrebbe dovuto essere licenziato. Al contrario il Costanzo ha specificatamente dedotto la violazione delle disposizioni e degli obblighi di informazione e di comunicazione previsti, anche con riferimento alle modalità applicative, ha affermato che questa impedisce di verificare la legittimità del licenziamento intimatogli ed il nesso causale con le ragioni addotte a base dell'adottata procedura di riduzione di personale, e ha utilizzato numerose pagine del ricorso (il secondo procedimento) per spiegare che questa violazione rende impossibile l'individuazione delle ragioni per le quali la scelta è caduta su di lui e non, per esempio, sugli altri numerosi impiegati che sono stati trattenuti in servizio. Ciò è più che sufficiente ai fini dell' illegittimità/inefficacia del licenziamento in base all'orientamento della Suprema Corte consolidatosi dopo la nota Cass. Sez. Un. n. 302/2000, richiamata peraltro anche da Banca Intesa. Infetti, sotto il profilo soggettivo, i lavoratori licenziati hanno un interesse "concreto e attuale" all'applicazione per così dire "verificabile" dei criteri di scelta e quindi a far valere quei vizi che generano una inefficacia "erga omnes" (come già statuito peraltro dalla giurisprudenza in tema di inosservanza degli obblighi di cui all'art. 5 legge 164/75). Le esposte considerazioni, e quindi la mancata prova della effettiva sussistenza dei presupposti di legittimità del recesso e le molteplici violazioni di carattere procedurale, impongono di dichiarare l’illegittimità del licenziamento (si può condividere, ma la questione è priva di rilevanza pratica, l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale in detta espressione, per la sua ampia formula, deve ricomprendersi l'inefficacia espressamente sancita dall'art 5 anche per la violazione del 9° comma art. 4, ex Cass. SU n 302\00). Le conseguenze di detta illegittimità/inefficacia sono quelle previste dall'art 18 legge 300/70. Dall'ammontare del risarcimento danni deve logicamente essere detratto il tfr che il Costanzo è tenuto a restituire alla Banca con gli interessi dalla domanda (e quindi dalla notifica del ricorso di Banca Intesa), secondo i principi propri dell'indebito oggettivo. Ogni altra domanda deve essere respinta. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Roma 13.10.2006 Il Giudice Il Cancelliere C1 (Concetta Russo) Depositato in Cancelleria Roma, 19/10/06 Il Cancelliere C1 – Concetta Russo