CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA degli ENTI (I PARTE) Il fondamento e la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti. La disciplina della sanzione pecuniaria e delle sanzioni interdittive. Le sanzioni improprie: la pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca. di Gian Giuseppe Pecorella ✽ I l D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 disciplina «la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato» portando a carico delle persone giuridiche rilevanti effetti giuridici. Effetti statuiti nel principio che anche le persone giuridiche rispondono direttamente con il proprio patrimonio degli illeciti amministrativi ogni qualvolta siano commessi determinati reati «nel suo inteL’adozione resse o a suo escludi un «Modello sivo vantaggio» da di organizzazione parte di persone fie di gestione» siche che sono inriduce vestite di funzioni la responsabilità «apicali» o da persone fisiche soggetdell’ente ove te alla dipendenza o correttamente vigilanza dei detti applicato soggetti apicali. La responsabilità attribuita all’ente (società) è di tipo amministrativo, anche se rilevata ed attribuita dal giudice penale nel corso del procedimento, e l’aspetto caratterizzante è quello che prescinde dalla individuazione del soggetto commettitore il reato: difatti la responsabilità dell’ente è dichiarata anche nel caso in cui colui che ha commesso materialmente il reato non sia individuabile o non sia imputabile. Un’analisi sotto l’aspetto giuridico della realtà portata dal decreto, in guisa elementare così sintetizzata, evidenzia da un lato le concrete e specifiche fattispecie di reato che fanno sorgere la responsabilità amministrativa e dall’altro, aspetto questo di maggior rilievo, l’importante attività di prevenzione che può essere portata dall’ente per evitare la commissione di illeciti preservandosi quindi dal soggiacere alle prescritte sanzioni. L’attività di prevenzione è pertanto un’attività mirata ad eliminare, o quanto meno a contrastare e ridurre, quegli effetti che scaturirebbero dall’illecito comportamento delle persone fisiche anzi menzionate attraverso un sistema organizzativo che taluni hanno definito «scudo protettivo». La responsabilità dell’ente potrà pertanto essere sempre sollevata allorquando in maniera concomitante si verifichino i presupposti nella tabella n. 1. Tabella n. 1 1. Commissione degli specifici reati individuati nel decreto. 2. Il commettitore ha una propria posizione all’interno dell’ente ed ha agito nel solo interesse della società, senza rilevare se abbia altresì tratto vantaggi particolari e personali. 3. L’ente non si sia dotato di un modello organizzativo idoneo alla prevenzione degli specifici reati previsti nel decreto. È evidente che il provvedimento legislativo attraverso le previsioni sanzionatorie miri a stimolare gli enti ad adottare dei «Modelli di organizzazione e di gestio✽ ne» che costruirebbero allorché adottati elementi probatori a discarico della propria responsabilità. Difatti la presunzione di colpevolezza e la conseguente dottore commercialista e revisore contabile in Napoli – Fondatore dello Studio «Pecorella & Partners». N° 13 - 10 luglio 2006 IL SOLE 24 ORE 1 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA responsabilità ammette come prova liberatoria per l’ente la dimostrazione di aver adottato ed efficacemente attuato dei protocolli e che questi sono stati in maniera fraudolenta elusi da parte dei soggetti apicali o da loro sottoposti. Indubbiamente l’onere probatorio appare immediatamente gravoso visto che se la società è chiamata a rispondere di un reato, perpetrato da propri soggetti, ciò sta a significare che il modello di organizzazione e di gestione non è stato «efficacemente attuato». La Assonime (circolare n. 68) propone nella propria lettura che il modello organizzativo si può ritenere «efficacemente attuato» ogni qualvolta sia stato commesso un comportamento fraudolento per poterlo eludere. Se l’adozione di un modello organizzativo non appare come una imposizione portata dal decreto, ma un fattore per stimolare le imprese a dotarsene, le norme contenute nel Codice civile lo fanno assurgere ad un vero e proprio obbligo non solo per la tutela del patrimonio sociale ma anche perché espressamente soggetto alle valutazioni di adeguatezza da parte dell’organo amministrativo (art. 2381, c.c.) ed alla vigilanza del Collegio sindacale (art. 2403, c.c.). Introdurre modelli organizzativi con funzione di contromisura agli eventuali illeciti comporta non solo le conoscenze degli aspetti giuridici ed economici ma anche di quelle tipiche del mondo imprenditoriale, stando ciò a significare, nella predisposizione di un modello, il coinvolgimento di risorse umane destinate ad analizzare tutti gli aspetti e quindi giuristi, aziendalisti ed esperti di organizzazione. Onde evitare quindi che l’illecito comportamento dei soggetti apicali e/o di loro sottoposti possa trasformarsi per legge in un illecito commesso dall’ente, è allora necessario caratterizzare, secondo le precipue specifiche di cui alla tabella n. 2, lo scudo protettivo rappresentato dal modello organizzativo assunto. Tabella n. 2 Specifiche fondamentali di un modello organizzativo 231. 1. Misure di vigilanza interna idonee al modello implementato 2. Istituzione dell’organo di controllo e attribuzione di adeguati poteri 3. Se nel passato siano accaduti fatti delittuosi, analisi per comprendere le specifiche modalità elusive ed analisi della elusione al modello per comprendere effettivamente se i comportamenti illeciti lo hanno effettivamente eluso (allorché esistente). È senza dubbio quindi opportuno che gli enti implementino e procedano a verificare se i loro modelli organizzativi ed ancor meglio se i protocolli funzionali siano efficaci al fine di poter disporre agevolmente di prove connesse alla diligenza dei propri organi amministrativi e sindacali. È pertanto una forzosa opportunità quella di precostituirsi prove contrarie mediante l’attuazione di idonee misure che garantiscano lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge eliminando, tempestivamente, situazioni di rischio provenienti dall’automatico addebito della responsabilità per colpa dei propri dipendenti. L’opportunità anzidetta vede una propria maggiore concretizzazione, o meglio esigenza, anche a seguito dell’emanazione della neo introdotta legge sul risparmio, L. 28 dicembre 2005, n. 262, che, diversamente dal tenore della norma stessa, per alcuni aspetti civilistici riguarda tutte le società e quindi non solo quelle quotate. La novella normativa, modifica la disciplina portata dal Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al D.Lgs. 24 dicembre 1998, n. 58 (Tuf), modifica la disciplina portata dal Testo unico bancario, di cui al D.Lgs. 1° settembre 2 1993, n. 385 (Tub), riformula alcuni reati societari che erano già stati previsti nel D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, modifica alcuni articoli del Codice civile soprattutto in materia di governance, reintroduce l’abuso ricorso al credito di cui all’art. 218 della legge Fallimentare, nonché modifica infine e conseguentemente alcuni articoli del Codice penale e del Codice di procedura civile. Oltre agli interventi suddetti, anche il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 è stato oggetto di una lieve integrazione «diretta». Questa ha riguardato l’art. 25-ter, comma 1, lett. r), ove, alla previsione dell’aggiotaggio, come reato societario, è stato aggiunto il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi previsto dall’art. 2629-bis, c.c., delitto introdotto dalla medesima nuova legge sul risparmio, nonché il raddoppio di tutte le sanzioni pecuniarie previste nel medesimo art. 25-ter. A questo intervento «diretto», il D.Lgs. 231/2001, si potrebbe dire, subisce in forma «indiretta» tutta una serie di ulteriori modifiche applicative che conseguono alle norme originarie oggetto della novella normativa sul risparmio. Difatti, per le società quotate nei mercati regola- IL SOLE 24 ORE N° 13 - 10 luglio 2006 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA mentati e per le società emittenti strumenti finanziari largamente diffusi, già dotati di un modello organizzativo, questo dovrà essere aggiornato per tenere in considerazione, a seguito delle nuove regole, le modifiche che dovranno intervenire sulla loro struttura e sul loro funzionamento. Occorre sottolineare però che forse la nuova legge sul risparmio appare più che mai riformatrice allorché, seppur non espressamente, richiami alcuni principi propri del D.Lgs. 231/2001. Infatti gli artt. 2621 e 2622, c.c. richiamano come sistema sanzionatorio lo stesso che è proprio del decreto trattato e prima d’ora di nessuna altra norma. Il sistema sanzionatorio specifico del D.Lgs. 231/ 2001 è quello detto di tipo tedesco, e cioè applicato per quote rimettendo il valore quantitativo di ciascuna di queste alla valutazione del giudice. La considerazione è pertanto quella, in visione estremamente semplicistica e con interpretazione estensiva, che se è prevista una commisurazione della sanzione sulla base di altro dispositivo normativo, allora, con molta probabilità, v’è la trasformazione dalla facoltà d’adozione di un modello organizzativo 231 ad una sua tendenziale obbligatorietà. Infine non si dimentichi comunque che il decreto è uno strumento normativo che trae origine dalla legge delega, L. 29 settembre 2000, n. 300, legge questa che ha recepito norme e principi di diritto comunitario, ed anche sovranazionale, al fine di contrastare il crescente fenomeno di quella criminalità economica ancor più soggetta ad accrescersi per l’oramai irreversibile globalizzazione. Appare opportuno sottolineare che seppur il dotarsi di un modello organizzativo diventi una esigenza per il precostituirsi, come anzi detto, delle prove contrarie, è altrettanto vero che lo stesso modello fa acquisire al soggetto che lo adotta una caratteristica non solo di «volontà» a scongiurare o quanto meno a contrastare la commissione di illeciti ma anche di trasparenza nei confronti dell’esterno al fine dell’accrescimento della propria fiducia nei rapporti con i propri stakeholders. Su tale aspetto la novella normativa sul risparmio ha sottolineato nel Tuf e nel Tub il ricorso a forme di pubblicità sui codici di comportamento adottati o da adottarsi e di un organo di controllo che provveda a farli rispettare nonché, espressamente all’art. 27, comma 3, L. 262/2005, la previsione che entro 18 mesi dalla menzionata legge sia emesso un decreto legislativo che regolamenti anche la redazione del codice di comportamento. Tutto ciò affinché, nella consapevolezza di un diffuso decadimento etico, pubblicamente si crei una consapevolezza di correttezza sull’operato del soggetto che, allorché non rispondesse al vero e quindi principi difformi dalla realtà, graverebbero sul giudizio del pubblico facendolo protendere verso altri soggetti. N° 13 - 10 luglio 2006 RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA La «responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato», così come definita nell’art. 1 del decreto, identifica l’oggetto della disposizione in esame. Benché non si possa parlare di vera e propria responsabilità penale, peraltro ascrivibile, per il principio costituzionale di cui all’art. 27, unicamente alle persone fisiche, in caso di giudizio l’organo deputato all’applicazione della norma è la magistratura penale la quale, agli esiti delle opportune indagini, potrà applicare gli effetti conseguenti alla disattesa delle norme di cui al decreto in esame. La disciplina mira non a far rispondere l’ente (società) per un reato commesso dalle persone fisiche, ma per l’illecito amministrativo proprio dell’ente che è connesso alla carenza organizzativa che ha reso possibile la consumazione del reato da parte delle persone fisiche appartenenti all’ente stesso. Pertanto la norma, affiancandosi a quelle che tipicamente perseguiranno l’autore del reato, automaticamente e di conseguenza perseguirà direttamente l’ente applicando le varie e gravose sanzioni. L’effetto sanzionatorio va quindi ad incidere direttamente sul patrimonio dell’ente con la conseguenza che l’organo amministrativo, in quanto responsabile verso la società, dovrà risponderne nei confronti dei propri soci allorché promossa una azione di responsabilità. Allo stesso modo il collegio sindacale per non aver vigilato con la necessaria diligenza. L’effetto sanzionatorio appena illustrato evidenzia con immediatezza come da una responsabilità amministrativa promossa dalla magistratura penale possa conseguire una responsabilità diretta degli organi amministrativi e di controllo: l’effetto portato dal decreto è quindi ben più ampio e si allinea ai medesimi principi applicati in altri paesi. Il principio fondamentale è quello che beneficiare di un illecito, sia esso economico e sia esso in qualsiasi altra forma che comporti sempre un vantaggio per la società, vuole significare sanzionare e quindi far scontare una pena pecuniaria da versare nelle casse erariali. Ma la sanzione pecuniaria non distoglie da quella azione civile che potrà essere promossa dai terzi lesi nei confronti della società per l’atto illecito: anzi i terzi lesi ritroveranno nell’azione esperita dalla magistratura penale tutti gli elementi per suffragare maggiormente le loro richieste d’indennizzo. La rilevanza delle conseguenze portate dalla norma le fanno assumere un connotato sociale preponderante allorché l’intero impianto normativo del decreto persegue in definitiva una decadenza d’etica aprendo pertanto a quella ampia questione assai dibattuta e molto disattesa nota come «questione morale». IL SOLE 24 ORE 3 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA I soggetti destinatari del decreto sono tutte le società di capitali e tutti gli altri soggetti dotati di personalità giuridica, soggetti «riconosciuti», e le associazioni prive di personalità giuridica. Sono esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali e non economici e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. COMMETTITORI (AUTORI di REATO) Non tutte le persone che appartengono ad un ente, allorché autori di un reato, possono far riflettere sullo stesso ente la responsabilità amministrativa. Manca assolutamente il principio secondo il quale qualsiasi reato operato dal commettitore appartenente all’ente ponga quest’ultimo nella condizione di subire una parallela azione penale. Una più attenta analisi della disciplina portata dal decreto evidenzia i soggetti che determinano la responsabilità nonché gli illeciti che ne causano l’emersione. I soggetti che determinano la responsabilità sono a loro volta distinti da soggetti cosiddetti «apicali» o da soggetti sottoposti all’altrui direzione e controllo. Bisogna tenere sin d’ora in considerazione la rilevante importanza del collegamento e quindi del rapporto esistente fra i soggetti – il ruolo rivestito – con l’operatività dell’impresa. Difatti, a titolo d’esempio, se il reato è commesso da un dirigente dell’ente, poiché questo soggetto esprime la politica dell’ente, la responsabilità dell’ente stesso è automatica quindi presunta. Qui si inserisce la nuova figura del «dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili», introdotta dalla L. 262/2005 (legge sul risparmio), che assume un ruolo di evidente importanza, ai fini civilistici, nei modelli organizzativi che peraltro, come dirigente, lo ponevano come soggetto già fra quelli apicali. La previsione della nuova figura, tra l’altro inserita in più articoli del Codice civile, del Codice penale e del Codice di procedura civile, delinea con maggiore chiarezza un quadro applicativo del D.Lgs. 231/2001 rendendolo coerente allo stesso Codice civile: difatti, prima della novella normativa, il dirigente, sotto l’aspetto civilistico, non veniva coinvolto nei fatti illeciti parimenti agli amministratori, salvo ovviamente prova contraria, mentre lo sarebbe comunque stato ai fini del decreto in argomento. L’attuale previsione, invece, elimina il disallineamento e pone il dirigente in una posizione di primo piano, insieme con gli organi amministrativi, con addirittura l’obbligatorietà, nel caso delle società soggette al Tuf, della sottoscrizione dei documenti contabili provenienti dal suo ufficio al fine dell’assunzione delle necessarie responsabilità. 4 Si tenga altresì presente che proprio per il ruolo assunto dal «dirigente» preposto alla contabilità, lo statuto societario, sempre per le società soggette al Tuf, deve prevedere le modalità attraverso le quali questo viene nominato previo l’obbligatorio ma non vincolante parere dell’organo di controllo. Ulteriormente, e sempre ai fini del Tuf, il «dirigente» dovrà ora predisporre obbligatoriamente tutte le più adeguate procedure amministrative e contabili ai fini della predisposizione dei bilanci (trimestrali, semestrali, annuali e consolidati) e di tutte le altre comunicazioni di natura finanziaria. I dirigenti, parimenti agli amministratori, non saranno liberati della loro responsabilità a seguito dell’approvazione del bilancio e ne sovviene quindi, anche per le società non regolate dal Tuf e dal Tub, un pieno loro coinvolgimento per espressa previsione nel Codice civile. Se infatti per le società non regolate dal Tuf, e quindi le normali S.p.a., S.r.l. e cooperative, il dirigente non avrà l’obbligo di sottoscrivere i documenti contabili, ne deriva comunque una sua responsabilità, di natura civile ed amministrativa ai fini del D.Lgs. 231/ 2001, per il contenuto dei documenti contabili dallo stesso predisposti. Si comprenderà a questo punto come ai fini del modello organizzativo per il D.Lgs. 231/2001 bisognerà prevedere specifiche procedure di controllo per evitare che i dirigenti, quali apicali, possano commettere quegli specifici reati societari di cui ora sono anch’essi chiamati espressamente a rispondere ai fini del Codice civile. Occorre precisare che il decreto prevede espressamente che la responsabilità amministrativa del soggetto giuridico non può essere applicata allorché tutti i soggetti elencati nella tabella n. 3 commettano reati esclusivamente nell’interesse proprio o di terzi estranei. Del comportamento fraudolento, che comunque comporta in via derivata l’implicazione dell’ente, necessita che in sede processuale venga dimostrata l’estraneità dell’ente intesa come assenza del beneficio economico che avrebbe tratto dall’illecito comportamento dei propri soggetti interni. Su tale aspetto bisogna sottolineare la recente sentenza della Cassazione (Cass., 30 gennaio 2006, n. 3615) la quale ha espressamente sottolineato che può anche non sussistere il beneficio economico dell’ente essendo sufficiente il solo interesse (di ciò nel paragrafo successivo più diffusamente). I soggetti che assumono la maggiore importanza per la norma in argomento, sono quelli posti, nella organizzazione gerarchica ed operativa di una società, al vertice o ancor meglio all’apice (da qui apicali) di determinate funzioni societarie. Difatti è verso questi soggetti che è data la possibilità dell’esimente dello «scudo protettivo» termine que- IL SOLE 24 ORE N° 13 - 10 luglio 2006 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA sto oramai in uso nella prassi nostrana e noto nella tecnica aziendale anglosassone come «compliance program» che possiamo chiamare tecnicamente, così come anche definito dal decreto, modello di organizzazione e di gestione. I modelli di organizzazioni e di gestione non sono sistemi organizzativi visibili e percepibili; essi sono nella realtà attività coordinate di prevenzione, di cautela nonché di procedure formali, la cui interazione va a formare quello «scudo» di cui l’operatività concreta dell’ente deve essere caratterizzata avendolo, con carattere di stabilità, implementato e gestito. Tabella n. 3 Area responsabilità presunta dell’ente Area apicali interni Area apicali esterni Soggetti con funzioni di rappresentanza Soggetti con funzioni di amministrazione Soggetti con funzioni di direzione Soggetti che esercitano di fatto la gestione ed il controllo Area non apicali Soggetti sottoposti alla direzione e vigilanza Area responsabilità dell’ente presuntivamente esclusiva È evidente quindi che v’è un rapporto fra i soggetti apicali e lo scudo protettivo e questo rapporto è tanto più stretto quanto più è efficace lo scudo protettivo. Infatti affinché lo scudo protettivo possa assumere maggiore efficacia è necessario che sia implementato in maniera tale che l’autore del reato abbia agito non solo avverso la società ma soprattutto avverso lo scudo stesso, aggirandolo. In effetti, e ciò deve avvenire nella fase processuale, l’ente per la propria «innocenza» deve dimostrare che il dolo, il comportamento volontario e fraudolento dell’autore del reato, si è concretizzato nella violazione delle prescrizioni e dei contenuti dei modelli. Ulteriormente l’ente dovrà preoccuparsi di dimostrare, in relazione al reato perpetrato ed all’azione dei commettitori, che l’organo deputato alla vigilanza non abbia omesso di vigilare o la sua attività di vigilanza non sia stata carente. Se per i soggetti apicali s’innesta il descritto complesso meccanismo, per i soggetti non apicali il rapporto fra loro ed i compliance programs determinano una incidenza giuridica meno significativa. Difatti i soggetti non apicali, pur trasmettendo anch’essi in automatico la responsabilità all’ente per il loro comportamento fraudolento che ha apportato vantaggi economici all’ente, lo scudo protettivo assuN° 13 - 10 luglio 2006 me una maggiore valenza per il soggetto giuridico coinvolto perché la responsabilità potrà essere chiamata solo se il reato è stato commesso dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza: tale inosservanza è presuntivamente esclusa, senza necessità quindi di alcuna dimostrazione nella fase processuale da parte dell’ente, per la sola esistenza di un modello di organizzazione e di gestione idoneo assumendo pertanto il compliance program un esimente stabile. In definitiva la differenza fra le 2 categorie di soggetti, quelli apicali e quelli a loro sottoposti, si sostanzia nella logica processuale. Se difatti per i soggetti apicali l’ente dovrà dare prova di aver adottato le opportune misure preventive, nel caso dei non apicali v’è l’inversione dell’onere della prova: difatti dovrà essere il PM a dover provare che il reato è stato commesso dal sottoposto in violazione degli obblighi di direzione o di vigilanza. L’ente quindi nel caso del comportamento fraudolento di un soggetto non apicale potrà opporsi alla responsabilità chiamata dal PM provando che prima della commissione del reato era stato già adottato un compliance program e che questo era efficacemente applicato. Infine potrebbe destare perplessità l’aggettivazione di idoneo o efficace del modello. IL SOLE 24 ORE 5 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA La prevalente dottrina ritiene che tali termini, peraltro specificamente adoperati dal Legislatore nel decreto, non debbano essere intesi in forma esasperata. L’esasperazione potrebbe infatti far presumere l’onere gravante sull’ente di dover necessariamente dimostrare il comportamento «diabolico» del commettitore. Perché il modello possa essere considerato idoneo, efficace, deve essere caratterizzato, in astratto, da requisiti che possano effettivamente ridurre le origini per la commissione del reato con efficienza e con praticità. CONNESSIONE fra i REATI e i VANTAGGI dell’ENTE Come già più volte ripetuto, la responsabilità dell’ente emerge allorché siano commessi reati da parte di propri soggetti traendone un vantaggio. I reati che presuppongono la responsabilità sono quelli indicati dalle convenzioni e dagli accordi internazionali che il nostro Paese ha ratificato. Occorre precisare infatti che il D.Lgs. 231/2001 è l’attuazione della delega contenuta nell’art. 11, L. 300/ 2000 in esecuzione delle menzionate convenzioni ed accordi internazionali voluti proprio per contrastare le corruzioni e le frodi a danno degli interessi finanziari delle Comunità europee. Oggi i reati individuati dal decreto attuativo sono quelli di concussione e corruzione, truffa ai danni dello Stato o enti pubblici, falsificazione di monete, di carte di pubblico credito e di valori di bollo, reati societari e market abuse, delitti con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, delitti contro la personalità individuale. In corso di attuazione del decreto i reati sono stati ridotti nella loro fattispecie ma sembrerebbe, da qui a breve con nuovi provvedimenti, che la responsabilità dell’ente sarà chiamata anche per reati contro l’ambiente, la corruzione privata, l’immigrazione illegale, la pirateria informatica e reati connessi alla droga. Orbene, nella elencazione della fattispecie dei reati attualmente perseguiti ai fini della responsabilità, affinché questa emerga a carico dell’ente è sempre necessario che il vantaggio procurato all’ente sia un effettivo beneficio o interesse per l’ente stesso. Per interesse deve intendersi, secondo quanto si trae dalla relazione di accompagnamento, il fondamento soggettivo ovverosia il fine per il quale il commettitore ha agito mentre per vantaggio, sempre secondo la relazione, bisogna riferirsi all’effettiva acquisizione di un profitto da parte dell’ente. Ne consegue quindi che la responsabilità dell’ente esiste contemporaneamente con quella del commettitore tanto nella vicenda nella quale l’autore possa 6 agire ad esclusivo vantaggio o interesse del soggetto a cui appartiene quanto nella vicenda in cui vi sia commistione fra interessi: quello dell’autore e quello del proprio ente di appartenenza. Sull’aspetto dell’interesse giunge una recente sentenza della Suprema Corte (Cass., 30 gennaio 2006, n. 3615) la quale pone un accento rilevante sulla differenza fra interesse e vantaggio. Difatti l’interesse è stato analizzato dagli estensori della prefata sentenza in riguardo al presupposto oggettivo della responsabilità dell’ente facendo esplicito riferimento alla relazione d’accompagnamento. L’ente, secondo i Giudici, è sanzionabile per l’illecito di un proprio dipendente anche per il solo fatto che ne aveva un interesse essendo, tale presupposto previsto, all’art. 5, D.Lgs. 231/2001, in maniera alternativa al «vantaggio»: i due termini vanno interpretati separatamente e ciascuno di essi rappresenta pertanto un singolo e proprio presupposto. L’interesse è quindi il presupposto che fa commettere l’illecito, anche senza che l’ente ne tragga un vantaggio, mentre il vantaggio è ciò che oggettivamente viene conseguito dall’ente con l’illecito. È altresì interessante evidenziare che la sentenza sottolinea come l’ente, per la ratio portata dal D.Lgs. 231/2001, sia «istigatore, esecutore o beneficiario della condotta criminosa materialmente commessa dalla persona fisica» derivandone che la sanzione imposta necessita sempre del presupposto oggettivo che l’illecito sia stato commesso nel suo interesse da parte di commettitori che operano al proprio interno e che si sono discostati dal normale comportamento dovuto nella conduzione di una impresa. Sempre la medesima sentenza afferisce anche al presupposto soggettivo che può essere assimilato alla «culpa in vigilando»: si tratta della responsabilità dell’ente per non aver adottato un modello di organizzazione al fine di prevenire la commissione di illeciti. Tale precisazione giunge proprio per non attribuire direttamente la responsabilità all’ente per quanto commesso dal proprio dipendente così come avviene diversamente in altri ordinamenti esteri. Come già precisato, allorché venga provata l’estraneità dell’ente nel corso del giudizio, intendendo per estraneità il comportamento doloso dell’autore rivolto unicamente a procacciarsi un interesse o vantaggio proprio o di terzi, la responsabilità dell’ente non potrà essere chiamata. Il non aver acquisito un vantaggio non è però elemento sufficiente per determinarne una discolpa. Difatti l’ente comunque risponderà del comportamento illecito e dovrà preoccuparsi unicamente di provare o controdedurre, che l’interesse proprio del commettitore è stato tale da aver violato con dolo il compliance program. L’essersi dotato pertanto di uno scudo protettivo di- IL SOLE 24 ORE N° 13 - 10 luglio 2006 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA viene per l’ente la dimostrazione della propria sensibilità a determinate problematiche evitando nel contempo la responsabilità colposa che ne scaturirebbe da una assenza. Ancor di più sull’assenza di uno scudo protettivo è quello che ne deriverebbe a carico degli organi amministrativi e del Collegio sindacale per la scarsa cautela adottata. In particolare giova ricordare il comma 6, art. 2381, c.c. in base al quale, se la scelta di un atto di gestione non è suscettibile ad un apprezzamento di responsabilità giuridica, «la responsabilità può essere generata dall’eventuale omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste prima di procedere a quel tipo di scelta: in altre parole, il giudizio sulla diligenza non può investire le scelte di gestione, ma il modo in cui sono compiute» (Cass., 23 marzo 2004, n. 5718). SANZIONI Le sanzioni possono essere così distinte: ● pecuniarie; ● interdittive; ● confische; ● pubblicazione della sentenza. Sanzioni pecuniarie Queste sono calcolate dal giudice e secondo la loro gravità applicate con un meccanismo detto di tipo tedesco. Il meccanismo consiste nella applicazione di quote, da un minimo di cento ad un massimo di mille, e nella loro determinazione quantitativa devono essere tenute in considerazione la «gravità del fatto», il «grado di responsabilità dell’ente» e l’attività volta ad eliminare o ridurre le conseguenze dell’illecito. Il quantum di ciascuna quota, che secondo il decreto va da un minimo di lire 500.000 ad un massimo di lire 3.000.000, viene sempre determinato dal giudice il quale dovrà tenere in considerazione le condizioni economiche e patrimoniali dell’ente responsabile. In definitiva le sanzioni pecuniarie possono giungere sino a lire 3 miliardi. Si ricordi che la L. 262/2005 ha peraltro raddoppiato tutte le sanzioni pecuniarie previste all’art. 25-ter: quindi raddoppio comunque delle quote lasciando invariato il valore minimo e massimo anzidetto. Tali sanzioni pecuniarie possono ridursi allorché l’ente, prima che si apra il dibattimento, abbia riparato o risarcito i soggetti lesi. Si consideri che il ristoro preventivo consente altresì anche di evitare le sanzioni interdittive. È interessante sottolineare che il principio applicativo per quote è stato assunto, a seguito delle modifiN° 13 - 10 luglio 2006 che portate dalla L. 262/2005, anche da alcuni articoli del Codice civile. Si tratta in particolare degli artt. 2621 e 2622, c.c. che, nella parte in cui prevedono le sanzioni per gli illeciti ivi considerati, introduce l’applicazione delle quote lasciando imprecisata la determinazione del valore quantitativo di ciascuna: ciò fa facilmente presumere, per pura logica legislativa, che questa sia rimessa sempre al giudice penale. Sanzioni interdittive Riguardano l’interdizione all’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrarre con la Pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli concessi ed infine il divieto di pubblicizzare beni e servizi. Qualora l’illecito comporti come effetto ricadute rilevanti sull’occupazione o arrechi danno alla collettività per interruzione del servizio, è prevista che la sanzione interdittiva sia affiancata anche dalla nomina di un commissario giudiziale che dovrà proseguire l’attività dell’attività dell’ente. Bisogna comunque precisare che le sanzioni interdittive elencate e previste per una efficacia preventiva, hanno successivamente subito una specificazione con l’introduzione di un nuovo articolo, (art. 25-ter),che ne ha escluso l’applicabilità per i reati societari. Confisca Può essere definita come la sanzione obbligatoria e principale: infatti la sentenza di condanna deve prevedere sempre la confisca del prezzo o del profitto dell’illecito o, quando non è possibile, la confisca può avere ad oggetto «somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato». La confisca diviene quindi una vera e propria sanzione che per l’ampia portata assunta e quindi per gli effetti patrimoniali diretti sull’ente, porta i soci dell’ente stesso, di per sé estranei all’illecito ed impossibilitati ad impedirne la commissione, di vedere lesi i loro diretti interessi, andando ad aprire pertanto quell’altro ampio fronte della sola azione di responsabilità che potranno avviare nei confronti degli organi societari. Appare opportuno su questo aspetto ricordare una ancora più recente sentenza della Cassazione (Cass., sezione penale, 22 marzo 2006, n. 9829) la quale ha stabilito che per il sequestro di somme di denaro è sufficiente l’astratta configurabilità del fatto come illecito e pertanto non è necessario determinare un diretto nesso fra le somme e l’illecito. Le somme rappresentano il profitto dell’illecito ed il profitto, ovunque esso sia, è sequestrabile. IL SOLE 24 ORE 7 CONTABILITÀ & BILANCIO RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA Pubblicazione della sentenza ● È lo strumento attraverso il quale viene portata a conoscenza dei terzi l’esito dell’attività giudiziale con le conseguenti pene applicate. Ha un profondo contenuto di monito nei confronti dell’esterno ed è certamente lo strumento di diffusione delle conseguenze a carico dei commettitori e della società, con tutti quegli effetti commerciali e di immagine che un ente potrà subirne. ● ● ALTRE CARATTERISTICHE È opportuno segnalare altri specifici punti che attribuiscono una particolare connotazione al D.Lgs. 231/ 2001: ● principio di autonomia: la responsabilità dell’ente permane sempre anche se l’autore del delitto è deceduto, se si è reso irreperibile, se sia dichiarato non imputabile, se sia ignoto e se il reato si sia estinto per qualunque causa, esclusa l’amnistia; ● prescrizione: 5 anni è il tempo che deve trascorrere dalla data di consumazione del reato perché 8 ● IL SOLE 24 ORE possa invocarsi la prescrizione; pluralità di illeciti: qualora la responsabilità sia la conseguenza di più reati, in caso commissivo od omissivo dell’ente, la sanzione applicata sarà quella relativa all’illecito più grave aumentato fino al triplo; reiterazione: qualora nei 5 anni precedenti l’ente sia stato condannato per eguali violazioni, l’illecito reiterato è considerato aggravato; eventi modificativi dell’ente: operazioni straordinarie quali fusioni, scissioni, cessioni di rami d’azienda, trasformazioni non sono forme elusive della responsabilità amministrativa e per lo scopo gli artt. dal 28 al 32 stabiliscono apposite regole; successioni di leggi nel tempo: all’ente non può essere imputata alcuna responsabilità amministrativa per fatti che, per leggi successive, non sono più considerati reati ovvero è prevista espressamente l’esclusione della stessa e comunque, in caso di diversità tra legge del tempo della commissione e legge successiva, si applica sempre la legge più favorevole. N° 13 - 10 luglio 2006