INSEGNAMENTO DI
DIRITTO PRIVATO COMPARATO
LEZIONE I
“LA COMPARAZIONE GIURIDICA”
PROF. CATERINA SIANO
Diritto Privato Comparato
Lezione I
Indice
1 La Natura Scientifica Della Comparazione Giuridica. ------------------------------------------------------------------ 3 2 Le Principali Finalità Della Comparazione Giuridica. ------------------------------------------------------------------ 5 3 Funzioni “Pratiche” Del Diritto Comparato. ----------------------------------------------------------------------------- 6 4 Comparazione Ed Unificazione Del Diritto. ------------------------------------------------------------------------------- 9 5 La Comparazione E L’unificazione Del Diritto Europeo. ------------------------------------------------------------- 12 6 Comparazione Giuridica E Metodo Comparatistico. ------------------------------------------------------------------ 14 7 L’oggetto Del Diritto Comparato. Micro E Macro Comparazione. ------------------------------------------------- 16 8 I Principali Formanti Di Un Ordinamento Giuridico. ----------------------------------------------------------------- 18 9 La Cosiddetta Mutazione Giuridica.--------------------------------------------------------------------------------------- 20 10 Il Problema Della Lingua. --------------------------------------------------------------------------------------------------- 22 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione I
1 La natura scientifica della comparazione
giuridica.
Negli anni ’50 il diritto comparato si è presentato agli italiani, grazie all’opera del prof. Gino
Gorla, come dotato dei caratteri di una materia essenzialmente storica e svolgente una funzione
meramente epistemologica, cioè di mera conoscenza scientifica.
Negli anni ’70, grazie all’interesse mostrato per la materia da un vasto numero di studiosi, il
panorama si è arricchito e si è diffusa una nuova immagine della comparazione come metodo per
ricercare il “modello migliore” 1 .
Soltanto a partire dagli anni ’80, quindi, la comparazione giuridica – intesa come confronto
tra ordinamenti e tra norme appartenenti ad ordinamenti diversi – ha acquisito una vera e propria
autonomia ed identità all’interno della scienza del diritto, sia sotto il profilo scientifico che sotto il
profilo metodologico. Di pari passo con l’evoluzione storica e con la globalizzazione dell’economia
si è, dunque, riconosciuta l’importanza di questa disciplina che sicuramente costituisce un veicolo
privilegiato per la conoscenza del diritto straniero e che, quindi, proietta lo studioso verso la
comprensione del cosiddetto diritto privato della Comunità Europea.
In verità, anche se allo stato attuale, le predette finalità rappresentano i punti di maggiore
interesse legati alla comparazione giuridica, non bisogna commettere l’errore di assimilare
quest’ultima alle prime. In altre parole, mutuando il pensiero di un’autorevole dottrina 2 , “se la
comparazione presuppone l’accertamento dell’esistenza di una pluralità di modelli giuridici, essa
non deve essere confusa e comunque non si arresta alla semplice conoscenza dei sistemi stranieri”.
D’altro canto, il fine di “favorire l’uniformazione e l’unificazione delle norme giuridiche o quello di
contribuire ad una migliore comprensione reciproca dei popoli, possono anche costituire aspirazioni
condivisibili, ma non sono l’unico e principale effetto della comparazione”.
Si afferma, dunque, la natura di scienza del diritto comparato che, come tale, non abbisogna
di essere giustificato da precipue finalità pratiche e concrete o di trarre da queste ultime la sua
propria ragion d’essere.
1
Cfr. A. Gambaro – P.G. Monateri – R. Sacco, La comparazione giuridica, in Dig. IV, disc.
priv., vol. III, Torino 1988, p. 48 e ss.
2
Cfr. G. Autorino, Comparazione e diritto civile, in AA.VV., Sistemi giuridici comparati:
contributi per un insegnamento, Salerno, 2003, p. 40.
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Lezione I
Tuttavia, se da un lato l’indagine comparastica deve avere prevalentemente carattere
scientifico e fine conoscitivo, dall’altro, ciò non esclude che a tale ricerca si possano affidare
specifiche funzioni.
In altre parole, si intende sostenere che la comparazione è scienza e rimane tale anche
quando è operata in vista della cosiddetta “circolazione di modelli” 3 , ossia della trasmissione dei
singoli istituti da ordinamento ad ordinamento. Né può essere posta in dubbio l’affermazione che il
maggiore contributo pratico della scienza comparatistica è rinvenibile nell’abbattimento dei muri
nazionali, cominciato mediante il disvelamento dell’esistenza di radici comuni e proseguito con lo
sviluppo del fenomeno di unificazione del diritto.
Si riconosce, infine, un’importante “funzione promozionale” 4 , o di “ricerca del nuovo” che
consiste nell’utilizzare “spezzoni di diritto straniero come argomenti per invocare soluzioni” 5 più
efficienti rispetto a problematiche di diritto interno. La comparazione giuridica, infatti, «non è una
lista di somiglianze e differenze»; al contrario, essa proprio attraverso l’avvicinamento delle diverse
prospettive e, quindi, l’abbandono dell’unità e centralità di ogni singolo sistema giuridico, consente
di superare i dogmi e di ridurre le assurdità che spesso si annidano negli ordinamenti 6 .
3
Cfr. A. Gambaro – P.G. Monateri – R. Sacco, La comparazione giuridica, cit.
Cfr. S. Sica, Comparazione e crisi del sistema, in AA.VV., Sistemi giuridici comparati:
contributi per un insegnamento, Salerno, 2003, p. 69.
5
Cfr. Cfr. A. Gambaro – P.G. Monateri – R. Sacco, op. ult. cit.
6
Cfr.B. Markesinis, Il ruolo della giurisprudenza nella comparazione giuridica, in
Contratto e impresa, 1992, p. 1350.
4
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2 Le principali finalità della comparazione
giuridica.
Alla comparazione giuridica si attribuiscono due principali finalità: in primo luogo, quella di
individuare e, possibilmente, anche di spiegare le concordanze e le divergenze formali e sostanziali
riscontrabili tra i vari diritti nazionali; in secondo luogo, quella di creare le premesse per un
linguaggio e un sistema di comunicazione che risultino autenticamente “trasnazionali” e quindi,
nella prospettiva della creazione di un diritto comune, utilizzabili dai giuristi di tutto il mondo 7 ,.
Mentre rispetto alla prima delle due indicate finalità v’è concordia d’opinioni in dottrina, la
seconda appare più controversa. In particolare, ci si domanda come debba essere inteso esattamente
il rapporto tra la comparazione giuridica e il fenomeno di unificazione del diritto.
Rispetto a tale questione sono state prospettate due tesi opposte e, per la verità, entrambe
discutibili. In un primo momento è prevalsa la tesi secondo cui tra la comparazione giuridica e
l’unificazione del diritto esisterebbe un legame indissolubile nel senso che la seconda costituirebbe
il vero obiettivo o la ragion d’essere della prima. Con l’andar del tempo si è ritenuto, invece, che il
fenomeno dell’unificazione del diritto comporti la negazione della comparazione giuridica, in
ragione del fatto che esso percorrendo lo scopo di superare i contrasti esistenti tra le varie
esperienze giuridiche nazionali e, quindi, tendendo a proporre una normativa comune, priverebbe la
comparazione del suo stesso campo di indagine.
La soluzione più plausibile, allora, è quella intermedia: sembra opportuno, in altre parole,
prendere le distanze dall’affermazione che la comparazione giuridica abbia come unico fine la
creazione di un diritto uniforme; quest’ultimo, al contrario, costituisce soltanto una delle varie
funzioni del diritto comparato.
7
Cfr. M. J. Bonell, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in AA.VV., Diritto
privato comparato. Istituti e problemi., Roma, 2004.
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3 Funzioni “pratiche” del diritto comparato.
Ai nostri giorni, risulta ormai una verità incontrastata il fatto che il diritto comparato abbia
molteplici funzioni “pratiche” importanti; nessuna scienza, infatti, può allo stato attuale
permettersi di basarsi esclusivamente sui risultati che vengono prodotti all’interno dei suoi confini
nazionali.
È perciò pacifico ritenere che la scienza del diritto non debba essere più intesa quale mera
interpretazione di leggi e di principi, ma debba essere valutata anche come una vera e propria fonte
di ricerca di soluzioni concrete alle singole questioni e problematiche.
Orbene, appare piuttosto evidente che da quest’ultimo punto di vista il giurista comparatista
occupa una posizione privilegiata.
Il diritto comparato, infatti, mette a sua disposizione una maggiore gamma di modelli di
soluzione di quella di cui dispone la scienza del diritto che si limiti a studiare l’ordinamento
giuridico nazionale. Ciò deriva dalla semplice constatazione che gli ordinamenti giuridici presenti
in tutto il mondo possono produrre un maggior numero e una maggiore varietà di soluzioni di quelle
che può escogitare, nella sua breve esistenza, anche il più fantasioso dei giuristi, il quale agisca nei
limiti del proprio ordinamento giuridico nazionale.
La comparazione giuridica, perciò, amplia ed arricchisce la “scorta di soluzioni” ed offre
all’osservatore critico la possibilità di trovare quelle migliori per il tempo ed il luogo in questione 8 .
Essa, quindi, prima ancora di essere un importante strumento di unificazione del diritto, costituisce
innanzitutto un grande serbatoio di soluzioni legislative e giurisprudenziali dalle quali si può
continuamente attingere.
Attraverso l’analisi delle soluzioni adottate nei diversi Paesi rispetto ad una medesima
problematica, la ricerca comparatistica stimola inoltre la critica al proprio sistema di diritto,
contribuendo così allo sviluppo dello stesso più di quanto possa fare la dogmatica nazionale ed anzi
facilitando il superamento dei pregiudizi radicati in quest’ultima, che spesso immobilizzano il
sistema.
8
Il testo riproduce le considerazioni di K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto
comparato, vol. I – Principi fondamentali, Milano, 1998, p. 17.
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Lezione I
Sulla base di questi presupposti, da molto tempo ormai la migliore dottrina comparatistica 9
evidenzia come gli studi elaborati nell’ambito di questa materia siano uno strumento di lavoro
indispensabile per un legislatore che miri ad elaborare soluzioni “di qualità”.
La proficuità di tale impostazione ha anche trovato un buon riscontro pratico; in effetti, si
può tranquillamente affermare che a partire dalla seconda guerra mondiale in poi non vi è stato
nessun grande avvenimento legislativo la cui preparazione non sia stata accompagnata da più o
meno estese considerazioni comparative.
È evidente che la comparazione, in particolar modo quando venga adoperata per uno “scopo
legislativo”, non può essere banalizzata alla semplice analisi degli ordinamenti stranieri.
In altre parole, in tale contesto, non basta considerare quale soluzione abbiano adottato i
legislatori stranieri rispetto a particolari questioni, perché non è sufficiente limitarsi ad accertare, di
caso in caso, che una determinata soluzione straniera abbia dato buoni risultati nell’ordinamento di
origine per poterla considerare migliore di quella interna, rivelatasi invece problematica.
Al contrario, ai fini del concreto sviluppo del proprio ordinamento nazionale, il comparatista
deve valutare attentamente se la diversa soluzione straniera sia di per sé valida ed al contempo
praticabile nel proprio ordinamento. Può accadere, infatti, che le soluzioni che abbiano dato buona
prova di sé all’estero, non possano essere trasfuse in un altro ordinamento, o almeno non lo possano
essere rimanendo invariate.
Le ragioni di tale impedimento sono le più svariate. Per fare qualche esempio, la
trasposizione pedissequa di uno schema legislativo da un ordinamento ad un altro può essere
contrastata dall’esistenza di una diversa organizzazione giudiziaria o di un diverso apparato
amministrativo, oppure dal fatto che sussistono processi economici contrapposti, o semplicemente
perché il substrato sociale nel quale la legge sarebbe destinata ad operare si rileva diverso e
incompatibile con la soluzione adottata e praticata con successo in un altro Paese.
Per le stesse motivazioni fin qui esposte e con le medesime cautele appena indicate, la
comparazione con altri ordinamenti si rivela utile anche relativamente alle soluzioni
giurisprudenziali.
Come ha asserito un illustre studioso – Basil Markesinis – la tendenza a non considerare la
giurisprudenza straniera è, al giorno d’oggi, del tutto ingiustificata in quanto accade soventemente
che le Corti dei diversi Paesi si trovino contemporaneamente ad affrontare questioni analoghe.
9
K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, op. ult. cit.
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Il confronto con le diverse soluzioni adottate dai vari tribunali offre indubbiamente maggiori
spunti di riflessione, consente di evitare errori già commessi da altri e quindi di pervenire a risultati
migliori.
In quest’ottica, il diritto comparato viene ad assumere anche le vesti di strumento di
interpretazione delle norme di diritto nazionale.
Certamente i rilievi relativi al diritto straniero non possono essere utilizzati per vanificare il
contenuto di esplicite norme di diritto nazionale; il principio generale del rispetto della normativa,
che non presenti particolari problemi di interpretazione, è il fondamento di qualsiasi ordine
giuridico e non può di certo essere messo in discussione al fine di esaltare le virtù del diritto
comparato. Ciò che invece può competere a quest’ultimo è un ruolo diverso, ovverosia quello di
colmare le lacune di un ordinamento attraverso lo studio di un altro.
L’analisi comparata delle decisioni adottate dai giudici di un altro Stato si rivela perciò utile
tutte le volte in cui il giudice, che ha in ogni caso il dovere di emettere una decisione, non abbia a
sua disposizione una norma ad hoc.
Non v’è dubbio però che allo stato attuale, sebbene si registri una crescente attenzione per
gli ordinamenti stranieri, la giurisprudenza interna dei vari Paesi conceda di fatto poco spazio alle
argomentazioni derivanti, attraverso la comparazione, dal diritto straniero. L’unica eccezione
riguarda i casi in cui si tratta di applicare principi e norme elaborate all’interno di organismi
internazionali e destinate ad operare in modo uniforme nei vari Stati aderenti.
Trattandosi di norme contenute in trattati internazionali o in atti di legislazione
sopranazionale o, comunque, elaborate attraverso forme di cooperazione tra governi di vari Paesi,
esse sono destinate alla creazione del cosiddetto diritto uniforme ed è a tale scopo che deve essere
chiaramente orientata la loro interpretazione ed applicazione. Per questo motivo, è importante che il
giudice nazionale, che si trovi di fronte a tale compito, non utilizzi semplicemente le regole
interpretative proprie del diritto nazionale, ma tenga conto dei principi appartenenti alla
regolamentazione straniera che molto spesso si trova alla base della soluzione sopranazionale
condivisa. In questi casi è, infatti, quanto mai opportuno che il giudice consideri debitamente i
risultati raggiunti dalla giurisprudenza e dalla dottrina straniere nell’interpretazione della stessa
normativa da cui si è tratto spunto in ambito internazionale ed è chiaro che ciò è possibile soltanto
grazie ad uno studio di diritto comparato.
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4 Comparazione ed unificazione del diritto.
Un’importante funzione del diritto comparato è quella di preparare i progetti per
l’unificazione internazionale del diritto.
L’idea dell’elaborazione di un diritto uniforme, sviluppatasi a partire alla fine del XIX
secolo, ha costituito un vero e proprio programma di politica del diritto, consistente nell’appianare o
nel rimuovere le diversità esistenti nei diversi sistemi attraverso l’adozione di comuni principi
sopranazionali.
Il procedimento seguito per il raggiungimento di un simile scopo è stato prevalentemente
quello dell’adozione di “leggi uniformi” per la cui formulazione gli studiosi di diritto comparato
hanno fornito un prezioso contributo.
Grazie all’adozione di Trattati internazionali, con i quali i singoli Stati si sono assunti
l’obbligo di recepire la legge uniforme, è stato possibile rendere tali regolamentazioni operative
all’interno dei vari ordinamenti.
È noto che questo fenomeno ha acquisito dimensioni importanti nell’ambito della Comunità
Europea.
L’adozione di numerose direttive e regolamenti comunitari ha portato a risultati
soddisfacenti soprattutto nel campo del diritto privato, del diritto commerciale, del diritto
dell’economia e del lavoro, nonché nel campo del diritto d’autore, dei trasporti e così via.
Tuttavia, di là da dalla singolare vicenda a cui si è assistito negli ultimi tempi in ambito
europeo, gli entusiastici programmi di creare un unico diritto universale hanno ormai da tempo
perso consistenza.
In effetti, ben presto si ci è resi conto che l’adozione di trattati multilaterali non poteva
costituire un valido strumento per portare a compimento l’ambizioso progetto, in quanto
l’elaborazione dei suddetti documenti necessita di un iter lungo e complesso, nonché di un notevole
dispendio di energie politiche ed economiche.
Più in chiaro, si può dire che le numerose difficoltà cui va incontro la negoziazione e
l’entrata in vigore delle leggi uniformi hanno cause sia di tipo materiale che di tipo politico: è, in
sostanza, difficile convincere i Parlamenti nazionali a recepire in toto le proposte elaborate in sede
di conferenze internazionali non solo per una questione di “orgoglio nazionale” ma anche per le
differenze di principi e di interessi su cui si poggia l’azione politica in un determinato periodo che,
molto spesso, non coincidono con le prospettive contenute nella normativa uniforme.
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Bisogna poi considerare che nella maggior parte dei casi la materia oggetto della legge
uniforme risulta già regolata all’interno dell’ordinamento degli stati firmatari. Per converso, può
quindi accadere che, una volta adottata la legge uniforme, all’interno di ciascuno Stato firmatario si
rinvengano due complessi di norme che regolamentano lo stesso tema. Ciò si è verificato, ad
esempio, per la disciplina della vendita. In quest’ambito, infatti, la normativa nazionale continua ad
essere applicata per i rapporti interni mentre la legge uniforme regolamenta i contratti di vendita
internazionale cioè quelli in cui vengono in considerazione almeno due Stati.
Alla complessità dell’elaborazione di leggi uniformi si aggiunga, inoltre, la constatazione
che non basta la semplice adozione delle stesse perché si possa considerare compiuto effettivamente
il procedimento di unificazione. L’uniformità del diritto apparentemente raggiunta a livello
sopranazionale attraverso l’adozione di una legge uniforme può, infatti, essere messa a rischio da
una divergente applicazione da parte dei Tribunali nazionali.
Del resto, anche l’applicazione uniforme del diritto nazionale può incorrere nel medesimo
rischio tant’è vero che per preservarla quasi tutti gli ordinamenti nazionali prevedono la presenza di
un Tribunale supremo di revisione o di cassazione.
In ambito europeo, tale funzione di interpretazione unitaria del diritto comunitario è svolta
per le materia di sua competenza dalla Corte di Giustizia Europea.
Alla luce delle predette osservazioni, si può quindi affermare che vera e propria unificazione
del diritto si ha soltanto quando vi sono norme prodotte da un organo legislativo unitario, a cui gli
Stati abbiano precedentemente attribuito competenza normativa, ed esista almeno un organo
giudiziario comune che garantisca l’univocità dell’interpretazione e dell’applicazione delle norme
di diritto uniforme.
Diversamente, qualora vi siano soltanto regole emanate da un organo legislativo unitario e
sopranazionale ma l’applicazione delle stesse venga invece lasciata agli organi giudiziari di ciascun
Paese (es. i regolamenti comunitari, ad eccezione delle materie di competenza della Corte di
Giustizia europea) si deve parlare di semplice uniformazione del diritto.
Da quest’ultima si differenzia ulteriormente la mera armonizzazione del diritto che si
verifica, invece, quando le regole giuridiche di ogni singolo Stato sono solo tendenzialmente
uniformate perché si lascia ai singoli organi legislativi nazionali la possibilità di apportare delle
varianti ad un modello base comune (es. direttive) 10 .
10
Cfr. G. Benacchio, Diritto privato della comunità europea, Padova, 2001.
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Un procedimento simile di adozione di leggi-modello è stato adottato soprattutto negli Stati
Uniti per l’armonizzazione del diritto interno relativamente alle materie non rientranti nel cosiddetto
diritto federale.
In conclusione, sembra opportuno mettere in evidenza che una forma spontanea di
unificazione del diritto si sta compiendo grazie all’evoluzione della cosiddetta lex mercatoria
ovvero del complesso delle regole di condotta vigenti nella societas mercantile internazionale 11 .
11
Si rinvia sul punto allo studio monografico di F. Galgano, Lex mercatoria. Storia del
diritto commerciale, Bologna, 1999.
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5 La comparazione e l’unificazione del diritto
europeo.
Un notevole impulso agli studi di diritto comparato si è avuto con l’istituzione delle
Comunità europee, ora Unione Europea.
In particolare si è rafforzata la convinzione dell’utilità della comparazione giuridica almeno
sotto due profili essenziali, ovvero relativamente:
1)
alla creazione di un diritto comunitario come diritto comune ai Paesi membri;
2)
alla circolazione dei modelli giuridici appartenenti ai vari Paesi membri. Tutto ciò ha
contribuito alla formazione di un “linguaggio comune” che ha a sua volta facilitato il dialogo e lo
scambio tra gli stessi Paesi abbattendo molte disuguaglianze.
Si è così consolidata la convinzione che ormai ogni giurista per essere “europeo” deve
formarsi una cultura comparatistica. Ciò implica che il diritto comparato non venga più considerato
come una branca del diritto riservato agli “specialisti”, ma costituisca terreno di lavoro per ogni
giurista.
La convivenza nell’ambito della compagine comunitaria e la convergenza dei sistemi
europei verso una “meta comune” ha reso prioritaria la comprensione del quadro normativo degli
altri Paesi europei. D’altra parte, l’esistenza di eguaglianze e disuguaglianze, di assonanze e di
dissonanze tra i diversi sistemi di diritto, nonché la scelta della migliore delle soluzioni esistenti o
prospettabili sono fattori che non possono essere adeguatamente valutati senza uno studio
comparatistico preliminare.
Soltanto attraverso l’analisi comparatistica è infatti possibile capire la situazione dei singoli
ordinamenti e, di conseguenza, comprendere che ciascun sistema, pur costituendo un modello a sé,
condivide con gli altri dei principi comuni che derivano da un percorso evolutivo storico, politico,
economico e sociale sostanzialmente affine.
Alla base del predetto fenomeno di convergenza, infatti, vi sono i cosiddetti principi generali
del diritto e, cioè, quelle regole e quei valori basilari che costituiscono il fondamento degli
ordinamenti giuridici. L’identificazione di tali principi ha costituito un passaggio obbligato nel
processo di armonizzazione, uniformazione ed unificazione degli ordinamenti.
Quando si fa riferimento alla libertà economica, alla libertà contrattuale, alla sanzione per
l’atto illecito, alla tutela dei diritti fondamentali della persona, alla tutela della proprietà, alla
certezza dei rapporti giuridici, oppure quando si richiamano i brocardi della tradizione romana, ci si
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avvede che si parla una “lingua” comune, percepita e utilizzata in ogni esperienza occidentale. Tutto
ciò è emerso proprio grazie alla comparazione tra i vari ordinamenti, condotta sia in chiave storica
che seguendo le moderne linee evolutive di ciascun sistema.
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6 Comparazione giuridica e metodo
comparatistico.
Il tema del metodo di ricerca ha dato luogo, soprattutto in passato, ad un approfondito
dibattito che ha finito col rendere lo stesso uno dei profili problematici principali dello studio del
diritto comparato.
In altre parole, l’individuazione e la costruzione del miglior metodo possibile da adoperare
nelle ricerche di diritto comparato ha fortemente condizionato la dottrina meno recente, la quale si è
a lungo adoperata al fine di creare un paradigma conoscitivo astrattamente idoneo ad essere
applicato ad ogni indagine comparatistica, sia di natura sistemologica che relativa ai vari istituti.
La dottrina attuale, invece, ha preso le distanze da tale impostazione sottolineando che “la
formula unica di pensare, la migliore in senso assoluto, anche se compiutamente descritta in
astratto, non si addice al comparatista” 12 . Quest’ultimo, infatti, proprio perché entra in contatto con
diverse realtà, deve rifuggire da affrettate generalizzazioni, anche se di natura meramente
metodologica.
In effetti, se in linea generale e di prima approssimazione, la comparazione è un “processo
di conoscenza mediante raffronto” 13 , diversi possono essere i metodi attraverso i quali affrontare lo
studio dei vari sistemi esistenti, o della disciplina da questi prevista relativamente ad ogni singolo
istituto.
Si concorda, perciò, con l’autorevole dottrina che attribuisce al metodo in questione una
“dimensione variabile” 14 , nel senso che il metodo deve essere correlato all’oggetto del confronto
sicché esso varia a seconda della natura e delle caratteristiche di quest’ultimo. Se, ad esempio, si
tratta di mettere a confronto due disposizioni, il metodo assumerà inevitabilmente una dimensione
prevalentemente descrittiva; laddove, invece, si tratterà di analizzare dettagliatamente un intero
istituto, esso finirà con l’assumere necessariamente una dimensione più ampia che non trascuri di
prendere in considerazione il sistema nelle sue caratteristiche strutturali e funzionali.
Oltre che dal metodo di indagine, il buon risultato di una ricerca comparatistica – come
sottolinea attenta ed accreditata dottrina 15 – dipende da una chiara impostazione del punto di
12
Cfr. P. Stanzione, Sui metodi di diritto comparato, in AA.VV., Sistemi giuridici
comparati: contributi per un insegnamento, Salerno, 2003, p. 22.
13
Cfr. G. Gorla, Diritto comparato, in Enc. Dir., XII, Milano, 1964, p. 933.
14
Cfr. G. Gorla, op. ult. cit., p. 935.
15
Cfr. P. Stanzione, op. ult. cit., p. 28.
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partenza, che deve preferibilmente coincidere con un problema concreto. In questo modo, infatti,
una volta individuate la natura e gli aspetti principali della problematica, risulterà più facile
superare le difficoltà legate al fatto che non in tutti i casi è possibile riscontrare delle immediate
corrispondenze ed analogie tra i vari sistemi e, quindi, ricercare le soluzioni previste dai vari
ordinamenti.
A ciò si aggiunga la constatazione che ciascun ordinamento giuridico non deve essere
percepito ed inteso come un insieme cristallizzato di norme; esso è, al contrario, un corpo dinamico,
in perenne divenire, ed è “compito del giurista cogliere l’incessante modo di adeguamento delle
strutture giuridiche alla realtà”, onde individuare e descrivere le possibili vie di sviluppo. In
quest’ottica, lo studio comparatistico aiuta il giurista ad uscire dallo stretto campo visivo del proprio
ordinamento e ad emanciparsi dallo stesso, offrendogli la possibilità di cogliere le dinamiche ed i
meccanismi che accomunano tutti i sistemi normativi esistenti.
Lo scopo perciò non è semplicemente quello di raffrontare struttura e norme di un sistema
ma di penetrare anche all’interno delle prassi applicative, ovvero del “come” operano
effettivamente le norme nei casi concreti. Di qui l’attenzione rivolta alle decisioni giurisprudenziali,
agli usi commerciali contrattuali, alle consuetudini ecc.
Di conseguenza, risulterà sempre opportuno un approccio globale al sistema prima di
affrontare lo studio delle singole problematiche e soluzioni. Solo in questo modo, infatti, sarà
possibile evitare di incorrere in risultati erronei e comprendere le ragioni per cui può accadere che
leggi identiche vigenti in diverse aree geografiche diano luogo a soluzioni applicative diverse e,
viceversa, che soluzioni sostanzialmente uguali, siano il frutto di normative differenti.
Assumendo un punto di vista “sistematico”, inoltre, il comparatista è in grado di svelare
anche l’esistenza di modelli impliciti, operanti ma non conosciuti – i cosiddetti crittotipi – ai quali
è possibile ricondurre le divergenze prima evidenziate.
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Lezione I
7 L’oggetto del diritto comparato. Micro e macro
comparazione.
L’analisi comparatistica è normalmente articolata su due diversi livelli, corrispondenti ai
concetti di micro e macro comparazione.
Con la macrocomparazione si osservano le affinità e le divergenze tra i sistemi, la loro
struttura costituzionale, l’organizzazione della giustizia, gli interessi prevalentemente tutelati,
nonché la descrizione delle tecniche legislative e di codificazione, dei metodi di esegesi delle leggi,
del ruolo dell’istruzione giuridica superiore e dei differenti stili di sentenze.
In questo ambito rientrano, inoltre, le diverse forme di soluzione dei conflitti che si sono
sviluppate nei diversi sistemi e che rivestono una differente importanza nelle differenti realtà
sociali. In primo luogo deve essere considerato il procedimento davanti ai Tribunali dello Stato, ma
può divenire oggetto di indagine anche il ruolo attribuito ai giudici non togati nel processo civile o i
metodi di risoluzione delle cosiddette controversie bagattellari e così via.
Uno spunto interessante per la comprensione del funzionamento di un determinato
ordinamento potrebbe altresì provenire dallo studio dei compiti e delle funzioni dei soggetti che
svolgono la loro attività nel mondo del diritto a partire, ad esempio, dalla divisione dei ruoli tra
giudici ed avvocati nella risoluzione delle controversie, dalla collaborazione dei giuristi nella
preparazione delle leggi, dall’analisi della figura del notaio, dei funzionari amministrativi e via
discorrendo.
Con la microcomparazione, invece, si osserva il funzionamento dei singoli istituti nei vari
ordinamenti. Più in generale, essa concernere singoli problemi giudici e, quindi, le norme in base
alle quali vengono decisi – nei differenti sistemi giuridici – determinati problemi o determinati
conflitti di interesse.
Il diritto privato comparato si concentra soprattutto su quest’ultimo tipo di analisi, mentre la
macrocomparazione è più che altro affidata ad un altro insegnamento solitamente indicato con la
denominazione di “Sistemi giuridici comparati”.
È chiaro, tuttavia, che i due tipi di studio sono tra loro interconnessi. Più precisamente, non
si può pensare di comparare i singoli istituti presenti nei vari ordinamenti senza conoscere gli
aspetti peculiari e caratteristici dell’intero sistema. A tal proposito, infatti, illustre dottrina ha
sottolineato che “non si fa comparazione finché ci si limita … all’esposizione parallela delle
soluzioni esplicitate nelle diverse aree” e, al contempo, non si può ritenere che la comparazione
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produca risultati utili “finché non si misurano le differenze che intercorrono fra i sistemi giuridici
considerati” 16 .
16
Cfr. A. Gambaro – P.G. Monateri – R. Sacco, Comparazione giuridica, cit.
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8 I principali formanti di un ordinamento giuridico.
Il fine di comprendere le caratteristiche principali di ciascun sistema prima di affrontare
l’analisi comparatistica dei principali istituti di diritto privato suggerisce la divisione del sistema
stesso in formanti, secondo la nota tripartizione che differenzia il formante legale da quello
dottrinale e da quello giurisprudenziale. Tale basilare distinzione consente di individuare i principali
fattori su cui si basa un determinato ordinamento e che, quindi, condizionano il suo funzionamento
e la disciplina delle varie branche dello stesso. È chiaro, infatti, che la diversa influenza che essi
esercitano sul panorama normativo esistente nonché il rapporto tra loro intercorrente costituiscono
elementi importanti di valutazione che non possono essere trascurati nel quadro di qualsiasi ricerca,
anche superficiale, di diritto comparato.
Tuttavia, una comparazione giuridica più attenta e dettagliata necessita di ulteriori
approfondimenti all’interno di ciascuno dei formanti sopra indicati. Non basta, cioè, prendere
genericamente in considerazione come una determinata problematica venga risolta e sviluppata nei
tre diversi formanti, legale, giurisprudenziale e dottrinale.
I sistemi moderni, infatti, constano di un grande numero di formanti in quanto ognuna delle
categorie sopra evidenziate è suddivisibile in varie sottocategorie. Più in chiaro, in ogni sistema si
possono, ad esempio, distinguere più formanti legali – uno a livello di norma costituzionale, altri a
livello di norma ordinaria, legale, regolamentare ecc. – e giurisprudenziali – basta pensare al fatto
che nella stessa sentenza è possibile distinguere tra la regola effettivamente praticata dal giudice e la
cosiddetta massima che il giudice enuncia per motivare la sua decisione – 17 .
Ognuno di questi formanti è destinato ad incidere diversamente all’interno del sistema, per
cui la prevalenza dell’uno o dell’altro qualifica fortemente l’identità dello stesso.
Il comparatista sa che non può considerare uguali soluzioni giuridiche appartenenti a due
sistemi quando uno dei formanti si presenti diversificato; la comparazione non può, dunque, fare a
meno di analisi giuridiche che procedano distinguendo, ossia dissociando i vari formanti. Bisogna
considerare, inoltre, che questi ultimi tendono ad influenzarsi e ad interagire tra loro in maniera
diversa all’interno di un determinato ordinamento: accade, cioè, che in un ordinamento la
proposizione dottrinale influisce sulla massima giudiziaria mentre in un altro avviene l’opposto.
Si ricorda, infine, che accanto ai formanti verbalizzati ed espliciti esistono anche formanti
non espressi. Questi ultimi si identificano con i cosiddetti crittotipi, o modelli impliciti.
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La comparazione mette appunto in evidenza che nel campo del diritto è possibile riscontrare
soluzioni differenti prodotte sulla base di leggi identiche in vigore in due aree diverse e, viceversa,
soluzioni applicative identiche prodotte da leggi diverse. Ebbene, tutte le volte che ci si trova di
fronte a tali situazioni non si può che constare che una determinata soluzione è generata oltre che
dalla legge da un ulteriore criterio di decisione non verbalizzato, ossia il crittotipo.
Tali regole non verbalizzate hanno un’importanza centrale nel diritto; esse, infatti, si
consolidano progressivamente e si tramandano fino a diventare dei capisaldi del ragionamento
giuridico influenzando così la mentalità del giurista senza che questi ne abbia effettiva
consapevolezza.
Le asimmetrie tra i “bagagli di crittotipi”, proprio perché di essi non v’è traccia materiale,
rappresentano senza dubbio il principale ostacolo ad una felice mutua comprensione tra giuristi di
provenienza territoriale diversa 18 .
17
18
Cfr. A. Gambaro – R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, Torino, 1999, p. 6.
Cfr. A. Gambaro – R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, Torino, 1999, p. 8.
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9 La cosiddetta mutazione giuridica.
Il giurista comparatista assume una posizione privilegiata anche rispetto alla comprensione
del fenomeno della mutazione giuridica intimamente connesso al fatto che il diritto è un continuo
divenire.
L’ordinamento giuridico di un determinato Paese, per quanto completo e consolidato, muta
senza interruzione ed è costantemente sottoposto a sollecitazioni di origine sociale, economica e
politica che, sicuramente possono lentamente incidere sul suo contenuto.
Il giurista è, dunque, istintivamente interessato a conoscere le cause delle mutazioni
giuridiche. In questo senso, se la causa prossima di un mutamento è solitamente individuata in un
fenomeno appartenente allo stesso mondo del diritto come, ad esempio, l’abrogazione di una
determinata normativa, la causa remota è invece spesso ricercata in un dato extragiuridico, quale
l’affermazione di un nuovo indirizzo politico, fattori economici e cambiamenti sociali.
La dottrina giuridica, di impostazione “storico-comparatista”, recente ha tuttavia messo in
discussione il predetto schema, assolutamente incontroverso fino a qualche decennio fa 19 ,
sottolineando che non è scontato che tali cause extragiuridiche producano dei cambiamenti
sostanziali.
Certamente alcune mutazioni fondamentali e cardinali degli ordinamenti risultano correlate a
mutazioni sociali altrettanto cardinali.
Si ponga mente, ad esempio, al cambiamento che si è verificato con l’abolizione della
schiavitù: essa ha comportato una modificazione rilevante, consistente nell’eliminazione della
persona umana dalla cerchia delle cose che possono formare oggetto di un diritto e, di conseguenza,
nella comminazione di una sanzione penale a chi di fatto eserciti un potere “proprietario” su
un’altra persona.
Non è detto però che la situazione economico-culturale di una società condizioni il diritto.
Per meglio intendere, basti dire che i Paesi africani, a parità di condizioni economico-culturali, si
sono aperti ai “sistemi evoluti” in maniera assai differente.
In effetti, soltanto in un numero esiguo di casi l’innovazione creativa è dipesa da una scelta
politica, veicolata da mutazioni nella scala dei valori e nell’ideologia delle persone in grado di
influire sul dato giuridico.
19
Cfr. R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, Milano, 1995, p. 139
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Molto più spesso è, invece, accaduto che il diritto si sia evoluto per stimoli provenienti
esclusivamente dal suo interno.
L’analisi e la riflessione comparatistica hanno appunto evidenziato tale meccanismo
evolutivo, sottolineando come la mutazione colpisca dapprima uno dei formanti dell’ordinamento
per poi diffondersi sugli altri.
Ogni formante può mutare in modo indipendente dagli altri, ma al contempo indurre questi
ultimi a recepire la mutazione, o per via di immediata e informale imitazione, oppure per
l’intermediazione di un organismo formalmente deputato ad hoc, come ad esempio una camera
legislativa.
Per essere più chiari, si consideri l’esperienza italiana: il diritto italiano dal 1865 al 1930 era
derivato dai modelli francesi, ma la dottrina giuridica dal 1900 in poi ha subito l’influenza della
scienza tedesca di cui, infatti, vi è traccia nel codice civile del 1942 e nello stesso linguaggio
giuridico del giurista italiano, che si è arricchito di concetti che gli erano sconosciuti, quale quello
di negozio giuridico.
Allo stesso modo, la dottrina del negozio giuridico proveniente dalla Germania è giunta in
Russia, mentre in Polonia è penetrata direttamente per via legislativa 20 .
La comparazione giuridica aiuta dunque a comprendere l’evoluzione del sistema perché
svela i fenomeni di imitazioni che sovente si sviluppano all’interno sia del formante legale che di
quello giurisprudenziale e dottrinale e che costituiscono il principale fattore di cambiamento del
diritto.
20
Cfr. A. Gambaro – R. Sacco, op. cit., p. 33
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10 Il problema della lingua.
Ciascun ordinamento oltre ad essere espresso nella lingua del Paese di appartenenza presenta
delle peculiarità di linguaggio che non possono essere ignorate dal comparatista. Quest’ultimo,
quindi, ogni qualvolta si trovi di fronte ad un problema di traduzione, può scegliere tra diverse
soluzioni e optare per quella che meglio si addice all’oggetto della propria ricerca.
È bene sottolineare, però, che soltanto in talune ipotesi la corrispondenza tra due concetti
giuridici è ben garantita da una similitudine semantica; molto più spesso, invece, ci si trova di fronte
a concetti che non avendo omologhi in altri ordinamenti non possono essere tradotti.
È fondamentale accertare di volta in volta l’entità della disparità di significato prima di
creare dei collegamenti tra concetti appartenenti a Paesi diversi che, essendo fondati su una mera
traduzione letterale, possono inficiare la precisione del discorso giuridico.
Può quindi presentarsi la necessità di introdurre dei neologismi, necessari per rendere
l’espressione presente nell’ordinamento di un altro Paese, scelto come termine di paragone
nell’indagine comparatistica; oppure, molto più semplicemente, di evitare qualsiasi tentativo di
traduzione ed adottare direttamente il termine straniero, come è ad esempio accaduto con il trust.
Per comprendere al meglio la problematica in questione e verificare da vicino le difficoltà di
traduzione in cui può incorrere il comparatista, si prenda in considerazione il concetto di contratto.
La parola francese contrat fa pensare alla parola inglese contract ma tra i due concetti non
sussiste un perfetto parallelismo. In Inghilterra non si indicano con tale denominazione gli accordi
di tipo liberale (cioè le donazioni) e non si chiamano contracts gli accordi volti ad operare il
trasferimento di una proprietà. Il concetto francese di contrat non corrisponde quindi a quello
inglese di contract e non esiste in francese alcun vocabolo che corrisponda pienamente al concetto
inglese di contract e viceversa.
Alle difficoltà di traduzione poste dalla differenza delle norme si aggiungono le difficoltà
poste dal linguaggio giuridico.
Si nota, ad esempio, che concetti sostanzialmente assimilabili quali quelli che accomunano
gli ordinamenti dell’area di Civil Law (tradizionalmente corrispondente ai Paesi dell’Europa
continentale), possono essere indicati con espressioni differenti. Così il francese esprime con la
parola acte (in italiano: atto) due diverse nozioni che sia in lingua tedesca che in lingua italiana
vengono distinti nelle due diverse nozioni di negozio giuridico e atto giuridico semplice.
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La complessità della problematica è poi ulteriormente acuita dal fatto che nel linguaggio
giuridico si fa sovente ricorso a figure retoriche. La dottrina si è occupata in particolar modo del
fenomeno della sineddoche che consente di indicare una certa fattispecie mediante un solo
costituente di essa. Per fare qualche esempio concreto, si parla del contratto come “l’incontro di
volontà” per dire che esso è costituito dall’incontro di dichiarazioni di volontà provenienti da
almeno due soggetti diversi, o di “colpa” per dire “violazione colposa di un diritto della vittima”.
Bisogna inoltre considerare che all’interno di ogni sistema giuridico operano sia categorie
ben definite, cioè espresse mediante una definizione precisa e puntuale (come, ad esempio, il
contratto, l’usufrutto, la cambiale ecc.) che categorie che invece necessitano di essere ricostruite
attraverso più nozioni (ad esempio, la responsabilità civile). Vi possono essere, infine, più
definizioni per un medesimo concetto che si distinguono tra loro per il maggiore o minore grado di
specificazione. Si pensi, ad esempio, al concetto di fatto illecito. Quest’ultimo può definirsi sia
genericamente come il torto che scatena la cosiddetta responsabilità extracontrattuale, che più
specificamente come la fattispecie costituita dalla condotta imputabile, la colpevolezza,
l’ingiustizia, il nesso causale e il danno. In proposito, si parla di genotipo per la definizione meno
puntuale e di fenotipo per quella più circostanziata 21 .
Alla luce di quanto esposto, appare dunque chiaro che l’analisi comparatistica non può mai
prescindere da una corretta impostazione linguistica, il che vuol dire che il comparatista, ogni
qualvolta decida di mettere a confronto due ordinamenti, deve preliminarmente affrontare il
problema della lingua e della giusta traduzione del linguaggio adoperato per esprimere i concetti
che intende comparare.
21
Il testo riproduce i concetti espressi da A. Gambaro – R. Sacco, Sistemi giuridici
comparati, Torino, 1999, p. 10.
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