Friederick Nietzsche
Gli scritti giovanili
il periodo wagneriano-schopenhaueriano
La nascita della tragedia
1872
Il lavoro, contiene la contestazione
dell’immagine classicista della grecità,
caratterizzata da misura, equilibrio e
serenità.
Questa immagine è falsa, secondo
Nietzsche
perché fissa l’antichità nel momento
della sua decadenza, il V secolo,
quando lo spirito greco greco ha ormai
smarrito le “radici vitali” delle origini
Nietzsche e Schopenhauer
Il tema della “vita” è ripreso dal giovane
Nietzsche dalla filosofia di Schopenhauer
dal quale trae l’idea di un mondo governato
dal principio irrazionale del dolore, rispetto
a cui l’esistenza umana, priva di un senso
trascendente che sappia darne spiegazione,
non è che un istante impermanente
destinato alla morte
Egli riprende dunque la concezione
schopenhaueriana per cui nel tragico viene alla
luce il “lato terrificante dell’esistenza”, ma la
conduce ad esiti diversi dalla disperazione o dalla
rassegnazione:
la rinuncia a ogni soluzione consolatoria, di
ordine metafisico o religioso, non può ai suoi
occhi che comportare l’accettazione
dell’irrazionalità dell’esistenza e l’amore per la
vita stessa.
Conosco il piacere del distruggere in misura della mia forza di distruzione– nell’una e nell’altra cosa obbedisco alla mia natura dionisiaca
che non riesce a distinguere tra il fare no e dire si.
Io sono il primo immoralista,
perché sono il distruttore par excellence.Ecce homo
Ecce homo
Apollineo e Dionisiaco
L’arte costituisce dunque il primo approccio di Nietzsche alla
comprensione della realtà che si lascia spiegare
filosoficamente attraverso la categoria del tragico.
Nietzsche sostiene infatti che la tragedia è la più alta
espressione della civiltà ellenica
in essa si incontrano le due grandi forze che animano lo
spirito greco, l’apollineo e il dionisiaco nei quali acquista
visibilità il constrasto primigenio degli opposti (caos e
ordine, nascita e morte, ascesa e decadenza, generazione
e corruzione) che è il fondamento ontologico della vita.
L’arte greca ne mostra la dialettica:
Apollo è il dio della chiarezza, della misura e
della forma che trova espressione nella scultura
e nell’architettura greche.
Dioniso è il dio della notte e dell’ebbrezza, del
caotico e dello smisurato. Il dionisiaco
simboleggia l’energia istintuale, l’eccesso, il
furore.
Esso è dunque impulso di liberazione e di
abbandono, la sua forma espressiva è la
musica.
Nella tragedia greca apollineo e dionisiaco si
fondono nella perfetta sintesi costituita dal canto e
dalla danza del coro e dall’azione drammatica.
All’immagine della grecità fondata
sul’esaltazione dell’armonia e della
compostezza, Nietzsche oppone dunque
quella radicalmente diversa nella quale
questi elementi apollinei sono in profonda
tensione con la dimensione caotica e
irrazionale del dionisiaco.
La sensibilità greca avverte con
profondità mai più raggiunta la tragicità
della vita e della condizione umana:
la limitatezza e la finitezza dell’esistenza
individuale, il suo essere momento di un
ciclo di vita e di morte sul quale l’uomo
non ha alcun potere.
Il gioco dialettico di apollineo e dionisiaco esprime
dunque, innanzitutto, il gioco di forze che agisce
all’interno di ogni uomo:
l’apollineo è l’illusione, il sogno che rende
accettabile la vita racchiudendola in forme stabili e
armoniche.
Nel dionisiaco invece, si rivela all’uomo tutto
l’abisso della sua condizione in cui la vita erompe
qual è, gioco crudele di nascita e morte, esperienza
del caos, del perdersi di ogni forma stabile e
definita nel flusso della vita.
In esso vi è dunque dolore, la tragedia è infatti
dolore. Eppure, nello stesso tempo è anche gioia,
perché Dioniso è forza generatrice, vita che si
afferma continuamente al di là della morte.
Nel dionisiaco l’uomo infrange tutti i divieti e le
barriere imposte dalla cultura e, secondo un motivo
fondamentale di tutta la filosofia nietzscheana,“dice
si alla vita”: si libera cioè delle illusioni e si accorda
con la sua natura che è forza, vitalità.
Nietzsche interpreta come decadenza l’intera storia
dell’Occidente, a partire dalla vittoria dello spirito scientificosocratico su quello musicale-dionisiaco della tragedia greca. La
tragedia muore infatti, per Nietzsche, nel momento in cui il
pensiero greco, con Socrate, pretende di racchiudere in
concetti l’esistenza, imponendo così alla vita il primato della
ragione. “La tragedia muore suicida” per mano di Euripide,
“maschera” che non rivela più né Apollo né Dioniso, ma un
nuovo demone, Socrate.
Nietzsche interpreta dunque l’età di Euripide e Socrate come
un’età di decadenza, nella quale la cultura greca che aveva espresso
con Eraclito ed Eschilo la straordinaria capacità di cogliere la
tragicità dell’essere, perde il suo legame con le proprie origini,
chiudendo l’epoca di Dioniso ed espellendo il dionisiaco
dall’orizzonte della cultura occidentale.
All’uomo tragico si sostituisce così l’uomo teoretico che, con la
potenza della ragione e della tecnica, costruisce un mondo di
apparenze, sospinto da un bisogno di rassicurazione e da
quell’esigenza di rendere tollerabile il disordine della vita che fa dire a
Socrate che “al giusto non può accadere niente di male”.
Se la tragedia è morta con Euripide, il tragico è però una componente
ineliminabile della vita.
Per questo il conflitto tra concezione tragica e teoretica della vita
sopravvive al tentativo compiuto dal pensiero occidentale, da Platone e
dal cristianesimo in poi, di costruire “filosofie antitragiche”, cioè
finalizzate ad occultare il tragico imponendo un ordine razionale alle
cose e ipostatizzando essenze e strutture metafisiche.
Il fallimento di questa pretesa è visibile per Nietzsche in alcuni elementi
della cultura del suo tempo, quale il dramma musicale di Wagner.
Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto i fatti”,
direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni.
Noi non possiamo constatare nessun fatto in sé.Frammenti postumi
Frammenti postumi
Il prospettivismo
Quale filologo, il giovane Nietzsche continua ad occuparsi dei classici greci. Tra il 1872
e il 1875 scrive diversi saggi, tra i quali La filosofia nell’età tragica dei greci (1873) nel
quale postula l’esistenza, in continuità con La nascita della tragedia, di una frattura
sostanziale tra i presocratici e Socrate e Platone.
Come dunque la tragedia morì nel socratismo di Euripide, così la filosofia tragica delle
origini si spense nella dialettica socratico-platonica che sostituì al pessimismo eroico dei
presocratici l’ottimismo morale della ragione
In Eraclito, particolarmente, Nietzsche ritiene di vedere la radice del proprio pensiero:
il primato del divenire sull’essere, il flusso del tempo come dimensione vera della
realtà, l’unità degli opposti come unità conflittuale di dionisiaco e apollineo.
Il filosofo ritrova se stesso e la stessa intuizione del divenire, particolarmente nel
frammento eracliteo
il tempo è un fanciullo che gioca a dadi col mondo.
Nell’estate 1873 scrive Su verità e menzogna in senso extramorale, nel
quale sviluppa una critica al concetto scientifico e postitivistico di verità
che anticipa alcuni temi della critica novecentesca:
il linguaggio è una convenzione la cui essenza non è quella di
rappresentare la natura delle cose.
Nietzsche come Protagora - l’uomo è misura di tutte le cose – e Gorgia,
per cui il reale non è altro che un proliferare di immagini che il linguaggio
produce a scopo persuasivo.
Ciò che chiamiamo verità, di conseguenza, è solo un “gioco di
dadi” concettuale determinato dalle infinite interpretazioni del
mondo prodotte dall’intelletto umano.
La verità è, dunque, solo il provvisorio configurarsi di opinioni ed
immagini sulla base di criteri, interessi e rapporti di forza
determinati.
Emerge già in questa fase il cosiddetto
prospettivismo di Nietzsche, uno dei motivi
conduttori di tutto il suo pensiero, per il quale,
contro il mito positivistico della scienza obiettiva in
quanto scienza di fatti,
non ci sono fatti, ma solo interpretazioni.
Non esistono né verità, né falsità, solo prospettive
differenti della realtà, non valutabili a partire da un
criterio oggettivo di preferibilità.
Non esiste dunque conoscenza al di fuori
della pluralità dei punti di vista che gli
uomini aprono sul mondo:
conoscere è, infatti, valutare, sono i
valori a stabilire “ciò che viene tenuto
per vero”.
Le Considerazioni inattuali
Tra il 1873 e il 1876 Nietzsche pubblica le quattro
Considerazioni inattuali nelle quali sviluppa una critica
della cultura.
Dopo la critica dell’ottimismo positivista della scienza,
nella seconda Inattuale, Sull’utilità e il danno della storia
per vita (1873), il filosofo attacca un altro dei tratti
dominanti della cultura ottocentesca: lo storicismo,
atteggiamento in cui si esprime un legame eccessivo con il
passato e l’atrofizzazione di ciò che in ogni cultura è
l’elemento attivo e creativo.
L’eccesso di storia indebolisce le potenzialità
creatrici dell’uomo
la cultura storicistica sviluppa
una “coscienza epigonale” restia
all’impegno
un’idolatria del fatto che rende l’uomo
impotente di fronte alla potenza della
storia ede l suo divenire dialettico
l’importanza dell’oblìo
senza una dose d’incoscienza non c’è
felicità
per potere agire nel presente occorre
saper dimenticare il passato
Nietzsche distingue tre modi fondamentali di
porsi in un rapporto non dannoso con la
storia, i quali danno luogo dunque a tre
forme positive di storiografia:
la storiografia monumentale,
quella antiquaria
quella critica.
la storiografia monumentale corrisponde all’atteggiamento di chi è attivo e
coltiva grandi aspirazioni – “la grandezza fu comunque una volta possibile e
perciò anche sarà possibile un’altra volta” -, ma rischia di mitizzare il passato
per renderlo degno di imitazione.
La storiografia antiquaria è coltivata dai conservatori che hanno cura delle
proprie origini e assumono la tutela della tradizione come compito.
Il loro scopo è servire la vita preservando le condizioni in cui sono nati
per colore che verranno dopo di loro.
Il limite di questo atteggiamento è di servire il passato fino al punto di
mummificare la vita.
Il terzo atteggiamento, quello critico è proprio di chi è insofferente per le
conquiste della passato e ha bisogno di liberazione.
Il critico porta la storia passata davanti al tribunale del presente:
uomini o tempi che servono la vita in questo modo, giudicando e annientando un passato, sono
sempre uomini e tempi pericolosi.
Nella terza Inattuale, Schopenhauer come educatore
(1874), Nietzsche celebra la figura esemplare di maestro
ed educatore di Schopenhauer, il quale ha perseguito un
ideale di filosofia come denuncia del conformismo e
ricerca della libertà.
Nella quarta, Richard Wagner a Baureuth (1875),
Wagner incarna la figura dell’artista che riscatta i tempi e
indica agli uomini la via della sola verità possibile, quella
che rinasce dalle ceneri della catastrofe, delineando il
primo abbozzo della concezione nietzscheana del
superuomo (Übermensch).
Dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane,
ahi troppo umane.
il periodo illuministico
Umano troppo umano (1878-1882)
Nietzsche illuminista
Il nuovo atteggiamento è definito da Nietzsche stesso
“illuministico”, in quanto caratterizzato
dal rifiuto del dogmatismo, delle metafisiche (di
ogni stampo) e della religione;
dal riconoscimento della finitezza umana e della
possibilità di infinite interpretazioni della realtà.
Manca però l’ingenuo ottimismo che caratterizza il
primo illuminismo.
Nel 1878 esce Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi in cui
Nietzsche prende congedo dagli idoli della propria giovinezza,
Schopenhauer e Wagner.
Il distacco da Schopenhauer è sostanzialmente una presa di distanza dalla
sua metafisica della quale, come si é visto, Nietzsche non condivideva il
pessimismo fin dalla Nascita della tragedia.
Più traumatico è l‘allontanamento da Wagner, il cui cenacolo di Bayreuth,
creato nel 1876, manifesta agli occhi del filosofo l’irrealizzabilità della rinascita
della cultura tragica attraverso il dramma musicale wagneriano.
L’anno seguente, Nietzsche viene a conoscenza del progetto wagneriano del
Parsifal, in cui l’epopea romantica dell’Anello del nibelungo si salda con la
prospettiva cristiana della redenzione, e lo interpreta come un tradimento.
Delle figure che fino alle Considerazioni inattuali Nietzsche
indicava come gli educatori dell’umanità, rimane ora solo quella del
filosofo il cui metodo è critico e storico.
Critico perché Nietzsche assume il sospetto come criterio
d’analisi anche delle verità apparentemente più certe,
Storico, nel senso che il filosofo non crede più a “realtà
eterne” e “verità assolute”, ma concepisce l’uomo e i suoi
valori come realtà storiche.
Nietzsche diventa così “illuminista”, dedicando a Voltaire – “uno
dei più grandi liberatori dello spirito” - nel centenario della morte,
la prima edizione di Umano, troppo umano.
Tutto l‘interesse del filosofo si concentra ora sull’uomo, non più la
schopenhaueriana vita del cosmo, ma la vita dell’uomo, evento biologico di questo
mondo.
Di qui il violento attacco contro ogni “trascendenza”:
cattiva filosofia è quella che “duplica” il mondo, immaginando
idealisticamente una realtà in sé, dietro ai fenomeni.
Tutto si risolve, al contrario, nell’apparenza e nulla può condurci alla cosa
in sé sognata da Schopenhauer e degna di “un’omerica risata”.
Il cosiddetto “sovrumano” è in realtà solo un’illusione “troppo umana”.
Le ipotesi metafisiche, come quelle religiose, sono il frutto di un inganno a cui
l’uomo soggiace volontariamente per rendere tollerabile la propria caducità e la
propria debolezza, vagheggiando un significato infinito della propria esistenza.
Nel brano seguente, tratto dal
Crepuscolo degli idoli (1888), Nietzsche
mette in scena lo smascheramento della
metafisica e, in particolare, del suo errore
ontologico fondamentale, consistente
nell’aver contrapposto “mondo vero” e
“mondo apparente”.
1. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso, – egli vive in esso, lui stesso è questo mondo.
(La forma più antica dell’idea, relativamente intelligente, semplice, persuasiva. Trascrizione della tesi “Io,
Platone, sono la verità”).
2. Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso (“al peccatore che fa
penitenza”).
(Progresso dell’idea: essa diventa più sottile, più capziosa, più inafferrabile – diventa donna, si cristianizza … ).
3. Il mondo vero, inattingibile, indimostrabile, impromettibile, ma già in quanto pensato una consolazione, un
obbligo, un imperativo. (In fondo l’antico sole, ma attraverso nebbia e scetticismo; l’idea sublimata, pallida,
nordica, königsbergica).
4. Il mondo vero – inattingibile. Comunque non raggiunto. E in quanto non raggiunto, anche sconosciuto. Di
conseguenza neppure consolante, salvifico, vincolante: a chi ci potrebbe vincolare qualcosa di sconosciuto?…
(Grigio mattino. Primo sbadiglio della ragione. Canto del gallo del positivismo).
5. Il “mondo vero” – un’idea, che non serve più a niente, nemmeno più vincolante – un’idea divenuta inutile e
superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola! (Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della
serenità; Platone rosso di vergogna; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi).
6. Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? forse quello apparente?… Ma no!col mondo
vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del
lunghissimo errore; apogeo dell’umanità; INCIPIT ZARATHUSTRA).
Il crepuscolo degli idoli, Come il mondo vero finì per diventare favola. Storia di un errorecol mondo vero
abbiamo eliminato anche quello apparente! (Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del lunghissimo
errore; apogeo dell’umanità; INCIPIT ZARATHUSTRA).
Il crepuscolo degli idoli, Come il mondo vero finì per diventare favola. Storia di un errore
Metafisica e religione hanno dunque un
valore puramente consolatorio.
L’esito di questa svolta é l’analisi spietata
della cultura moderna di cui Nietzsche
annuncia lo stato di malattia:
i grandi modelli ottocenteschi
(romanticismo, idealismo, positivismo) non
sono altro che “raffinati imbrogli”.
Il campo in cui Nietzsche mette ora alla prova la “filosofia critica” è ora quello
della morale, la quale assoggetta la vita a valori che si pretendono
trascendenti ed hanno invece origine nella vita stessa. Il filosofo prova la
genesi “umana”, bassa e persino spregevole dei valori.
Dietro ad ogni ideale viene così scoperto il suo opposto:
l’altruismo maschera l’egoismo, la verità l’impulso alla falsificazione, la
santità la bramosia di vendetta.
L’uomo agisce spinto dall’istinto di conservazione e dall’intenzione di
procurarsi il piacere ed evitare il dolore.
Anche la volontà di sapere che lo anima, lungi dall’essere pura e
disinteressata, ha dietro di sé la vita stessa che è per essenza scontro di forze,
lotta per la sopravvivenza.
A partire da questi principi semplici Nietzsche ricostruisce i
processi che hanno portato alla nascita del mondo morale, con
tutti i suoi pregiudizi, le sue astuzie e le sue finzioni.
Se nel perido giovanile la filosofia di Nietzsche era dominata
da tragico, ora l’ideale dominante è quello di una umanità libera
dalle illusioni, in cui l’uomo possa riconoscersi in modo
autentico.
Protagonista di questa riforma morale non è più il genio
artistico, ma il Freigeist, lo spirito libero, superiore al libero
pensatore del settecento perché non crede ciecamente nella
ragione, ma pone interrogativi.
Egli è il grande scettico:
non ha soggezione né rispetto per ciò che gli
“spiriti vincolati” accettano e venerano;
ha la gaiezza e l’audacia temeraria di chi non
indietreggia davanti a nulla.
Il suo è un mondo organizzato sul principio
della gaia scienza, libero dall’ignoranza e
dalla paura.
La filosofia del mattino
Dove se n’è andato Dio – gridò –
ve lo voglio dire! Siamo stati noi a
ucciderlo. [...] Dio è morto!
aforisma 125 della Gaia scienza
Il grande annuncio
Con questo aforisma “l’uomo folle” annuncia per la prima
volta la morte di Dio
Che cosa significa tuttavia che Dio è morto?
Non significa né che gli uomini non credono più in Dio, né
allude a una dimostrazione della sua inesistenza.
Ha piuttosto il valore di una constatazione:
non c’è più alcun Dio che ci può salvare, oltre gli
uomini c’è solo il nulla.
Ateismo
Per Nietzsche l’ateismo è più un dato di fatto che un
problema:
è la stessa essenza malefica e caotica del mondo a
confutare l’idea di Dio,
si tratta invece di mostrare come è nata la
credenza nella divinità:
« Un tempo si cercava di dimostrare che
Dio non esiste, - oggi si mostra come ha
potuto avere origine la fede nell’esistenza di
un Dio, e per quale tramite questa fede ha
avuto il suo peso e la sua importanza: in tal
modo una controdimostrazione della non
esistenza di Dio diventa superflua. »
Nietzsche riassume in una formula radicale l’irruzione del
nichilismo nel mondo moderno, ossia il fatto che l’insieme di
ideali e valori su cui il cristianesimo ha edificato una civiltà
tradisce ora il nulla su cui era fondato.
Agli occhi di un’umanità che non crede più ai fini e ai valori
che si sono affermati in due millenni nell’Occidente cristiano,
anche il Valore supremo si svalorizza:
Dio stesso si rivela come la
nostra più lunga menzogna.
Origine della religione
Dio e le metafisiche sono menzogne che l’uomo
costruisce per sopportare la durezza dell’esistenza:
“il nascondere la testa nella sabbia delle cose
celesti” è frutto di paura e debolezza.
Ma, al tempo stesso, il “mondo celeste”,
rappresenta una calunnia di questo mondo, un
rifiuto della vita, che per Nietzsche occorre
“accettare dionisiacamente”.
Dio è morto
D’altra parte la civiltà occidentale ha già da tempo
assunto una posizione critica nei confronti al teismo.
Quello che occorre è comprendere tutta la portata
di questo rifiuto.
Per questo Nietzsche sente suo compito l’ annuncio
della “morte di Dio” (cf. La Gaia Scienza,
Aforisma 125)
Se Dio è morto non ha più senso parlare di
morale, di bene e di male, di giusto e di ingiusto.
Non ha più senso chiedersi dove l’uomo stia
andando e di dove sia venuto:
Non è il nostro un eterno precipitare? – si chiede
l’”uomo folle” – Non stiamo forse vagando verso un
infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto?
Non si può eliminare Dio e vivere come se nulla
fosse: con Dio devono essere cancellati tutti gli
assoluti (metafisici, morali, ecc.).
Accorgersi di questo porta uno smarrimento (cf.
nichilismo);
ma apre la possibilità di una grandezza senza
paragoni (annuncio del superuomo).
Nietzsche è consapevole dell’inattualità del suo
annuncio, chi lo proclama è destinato ad apparire
folle.
Quale compito rimane allora all’uomo? Quale
senso ha il suo abitare la terra? Nella Gaia
scienza Nietzsche abbozza una prima risposta
che è anche il primo accenno al superuomo:
Non dobbiamo noi stessi diventare dèi,
per apparire almeno degni di essa?
Non dobbiamo noi stessi diventare dèi,
per apparire almeno degni di essa?
Io amo i grandi spregiatori perchè sono i grandi adoratori, frecce del desiderio verso l’opposta riva.
Amo coloro che non cercano, oltre le stelle, una ragione per offrirsi in sacrificio o perire;
amo coloro che si sacrificano alla terra, perchè la terra appartenga un giorno al superuomo.
Also Sprach Zarathustra
La filosofia del meriggio
Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per
nessuno (1883-85)
Alla folla raccolta sulla piazza del mercato Zarathustra dice:Io vi insegno il
superuomo (Übermensch). L’uomo è qualcosa che deve essere superato [...]
Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al sopra di sé: e voi volete [...] retrocedere
al bruto piuttosto che superare l’uomo?E aggiunge – aggiornando Pascal -:
L’uomo è una fune tesa tra il bruto e il superuomo.
Si annuncia così il pensiero del “grande meriggio” in cui la filosofia di
Nietzsche trova il suo compimento: Così parlò Zarathustra.
Il superuomo nietzscheano sta dunque all’uomo attuale, come questo
sta al preumano:
l’uomo superiore è la tappa successiva che l’umanità deve
compiere dopo essersi lasciata alle spalle la condizione animale.
Quella a cui Nietzsche guarda è un’umanità nuova, non
soltanto un soggetto di pura potenza.
Il passaggio dall’uomo al superuomo non deve essere inteso
come l’evoluzione di una nuova razza di individui superiori.
Niezsche non crede, d’altra parte, nel progresso e
condanna tanto lo storicismo idealistico che l’ottimismo
positivistico e il provvidenzialismo cristiano.
Il superuomo non è dunque il risultato di una presunta
logica immanente della storia, ma la scelta possibile che
Zarathustra annuncia o a “tutti e a nessuno”, come recita il
sottotitolo del libro.
Ma chi è dunque il superuomo?
Nei discorsi di Zarathustra si presenta come una figura
luminosa, l’“eroe affermativo” per eccellenza, espressione della
libertà del dionisiaco.
E’ tuttavia anche colui che pecca di hybris, che ha la tracotanza
di chi è al di là del bene e del male;
è l’uomo insieme del grande amore e del grande disprezzo,
spirito creatore che salverà l’umanità dal nichilismo.
Conserva del barbaro il vigore e l’intensità degli istinti che
integra tuttavia in un ordine superiore, risultato dell’educazione
greca alla libertà.
Caratteristiche positive
Nel “superuomo” si riassumono tutti i temi della
filosofia dell’ultimo Nietzsche.
I tratti che lo caratterizzano sono infatti:
La fedeltà alla terra
La capacità di porsi nella prospettiva
dell’eterno ritorno dell’uguale
La volontà di potenza
la fedeltà alla terra
Su un piano più strettamente filosofico, il
superuomo si caratterizza per la sua
“fedeltà alla terra” : poichè Dio è morto,
l’unica realtà è ora la vita terrena.
Ecco, io vi insegno il superuomo. Il superuomo è il senso della terra.
Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra! Vi
scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che
vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no, costoro
esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e
avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire!
Davanti alla perdita dell’al di là, il superuomo
riconosce nei cieli solo il riflesso utopico della terra e
può volgersi dunque ad essa con quel fervore e quel
senso di appartenenza che l’uomo riservava in
precedenza al divino.
Il legame con la terra è dunque, per l’uomo dell’età del
nichilismo, la grande occasione di guarigione.
Non dunque il superuomo al posto di Dio, ma la terra:
Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo
sacrilegio, ma Dio è morto, e così son morti anche tutti
questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la
terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le
viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra!
L’eterno ritorno
La concezione del superuomo trova nella
dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale il
definitivo orizzonte di comprensione.
La prima folgorante intuizione venne a
Nietzsche, come racconta in Ecce homo,
nell’agosto 1881:
il tempo non ha fine, il divenire non ha scopo. Il
corso del mondo non è retto da alcun ordine
provvidenziale teso a instaurare il regno di Dio o
della morale;
il tempo non procede in modo rettilineo, né verso
un fine trascendente (come ha preteso la
tradizione ebraico-cristiana), né verso una
finalità immanente (come hanno creduto
l’idealismo hegeliano e lo storicismo).
L’uomo occidentale è dunque prigioniero di un’errata concezione
lineare del tempo, secondo la quale ogni cosa ha inizio e fine, un
principio e uno scopo, rispetto al quale i momenti del processo sono
inscritti in una “grande logica” che li rende irrilevanti.
In questa visione, il passato ci condiziona in quanto irreversibile e il
futuro si impone come evento sempre incombente che ci impedisce di
godere il presente.
A questa visione giudaico-cristiana del tempo (peccato,
rendenzione, fine dei tempi), Nietzsche oppone una concezione
cliclica, ripresa dalla tradizione antica, presocratica e orientale,
secondo la quale ogni cosa ritorna nell’eterna ripetizione dell’uguale.
C’è il pericolo di interpretare l’eterno ritorno in senso
fatalistico: se non accade nulla di nuovo, anche gli atti di volontà
degli uomini sono nulli.
Non è dunque illusorio anche l’annuncio del superuomo?
La risposta di Nietzsche è negativa: non basta affidarsi
alla ciclicità del tempo per sottrarsi al nichilismo e
all’angoscia;
l’amor fati del superuomo non è la rassegnata accettazione
delle cose come sono, ma la decisione di volere quella legge
universale che gli altri esseri inconsapevoli si limitano a
seguire ciecamente.
La dottrina dell’eterno ritorno inaugura così una nuova
concezione dell’agire umano:
nella visione lineare del tempo, ogni istante ha senso
solo se legato agli altri che lo precedono e lo
seguono, non di per sé.
Nella visione nietzschena, invece, ogni momento del
tempo (e quindi ogni esistenza singola) possiede
interamente il suo senso, ha valore per sé.
Se la Nascita della tragedia aveva affermato il primato
della vita, ora Nietzsche afferma quello dell’attimo.
L’attimo non è affidato né al destino, né alla
casualità, ma alla decisione, al coraggio, alla
volontà.
L’eterno ritorno può essere voluto dunque solo
dal superuomo che rende perfetto ogni attimo e
ne vuole l’eternità.
Si prepara così l’avvento per una nuova e felice
umanità, capace di dispiegare la propria volontà
di potenza sul mondo.
Pericoloso l’andare alla parte opposta, pericoloso il restare a mezza via,
pericoloso il guardare indietro, pericoloso il tremare e l’arrestarsi
Così parlò Zarathustra
Così parlò Zarathustra
La volontà di potenza
La volontà di potenza è il carattere distintivo della
condizione di felicità del superuomo.
Il termine, che appartiene alla produzione
posteriore allo Zarathustra, è stato a lungo
interpretato sulla base dei significati immediati di
cui è portatore, cioè nel segno della violenza e del
dominio sugli altri, a partire dalla ricostruzione dei
frammenti operata durante la malattia dalla sorella
filonazista di Nietzsche, Elisabeth FörsterNietzsche.
Nietzsche non concepiva però la volontà di potenza come
semplice atto di forza, ma come scelta operata nel dominio
di sé, opposta alla violenza barbara tipica dell’individuo
mediocre.
Il filosofo ne porta ad esempio il brahmanesimo come
espressione di un potere nobile fondato
sull’autocontrollo:
la volontà di potenza non é dunque né volontà di
dominio, né affermazione di sé sull’altro, né
tantomeno la giustificazione metafisica di
un’ideologia di potenza.
L’espressione non indica una tendenza alla
violenta sopraffazione (anche se non
mancano pagine equivoche):
si tratta dell’essenza stessa della vita,
forza di autoaffermazione espansiva e
tendente al suo constante superamento
che la rende capace di farsi creatrice di
valori e di “dare un senso alla terra”.
Filosofare col martello
L’ultimo Nietsche
Con lo Zarathustra, Nietzsche chiude la
parte costruttiva della sua filosofia.
Negli ultime tre anni prima della follia si dedica
invece febbrilmente allo sviluppo della parte
decostruttiva del suo pensiero, tornando quasi
allo spirito illuministico di Umano troppo
umano, lucidamente intenzionato a distruggere
quanto resta della millenaria menzogna
Se il superuomo dev’essere il destino
dell’uomo, allora è necessaria la
distruzione dell’umanità forgiata dalla
tradizione occidentale:
la filosofia del martello si abbatte così
definitivamente sulle “menzogne di vari
millenni”, le metafisiche, le religioni, la
morale.
Il XIX secolo appare a Nietzsche un “secolo
assottigliato e instupidito”, un deserto in cui l’uomo
si è definitivamente perduto.
Si tratta di un tempo dominato dal militarismo e dal
nazionalismo prussiano, dalla morale vittoriana, dalla
logica perversa della merce e dello scambio in cui gli
uomini vivono comportamenti anonimi e ripetitivi,
obbedendo come un gregge ai valori dell’eticità
stantìa di Dio, patria, famiglia: è il trionfo di una
cultura servile.
Il crepuscolo degli idoli
etico-religiosi
La critica della morale
La morale come problema
Insieme al Cristianesimo, Nietzsche
sottopone a critica la morale in Al di là del
Bene e del Male (1886) e in Genealogia
della morale (1887)
Genesi della morale
Per Nietzsche il problema morale non è stato mai posto:
la morale è sempre stata considerata un fatto, mai un
problema;
bisogna invece mettere in questione il “valore stesso
dei valori” che invece di essere assoluti, hanno una
genesi psicologica.
Si scoprirà così che la morale non ha fondamento
ontologico, ma è una macchina costruita per dominare
gli altri.
Signori e schiavi
La “storia della morale” rivela che:
nella società antica, espressione di un’aristocrazia
cavalleresca, si è affermata la morale dei signori,
“trionfale affermazione di sé”, esaltazione di valori
vitali: forza, salute, fierezza, gioia.
In un secondo tempo, che giunge all’ apice con il
Cristianesimo, ha prevalso la morale degli schiavi che
afferma valori antivitali: disinteresse, sacrifico di sé,
sottomissione.
Il risentimento
La trasformazione è opera della casta sacerdotale, che
provando risentimento, invidia e gelosia, per la forza dei
guerrieri ha creato valori in grado di soggiogare i forti.
La morale degli schiavi, infatti, vede nel male una forza
potente e terribile e nel bene un’innocenza innocua e
un po’ stolta.
I deboli, che non sanno vivere, hanno fatto diventare
valore la negazione della vita.
Contro il Cristianesimo
Annunciare la morte di Dio significa
liberare gli uomini dalle catene che loro
stessi si sono create. Anche i cristiani
sono particolarmente bisognosi di essere
“redenti dal loro redentore”.
Il concetto cristiano di Dio – Dio come divinità dei malati, Dio
come regno, Dio come spirito – è uno dei concetti più corrotti di
Dio mai raggiunti al mondo; addirittura esso rappresenta forse, nel
processo di degradazione del tipo divino, l’indice del livello più
basso. Dio degenerato a contraddizione della vita, invece che
esserne la trasfigurazione e l’eterno sì! In Dio la dichiarazione di
ostilità alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula
per ogni diffamazione dell’“al di qua”, per ogni menzogna dall’“al di
là”! Il nulla divinizzato, la volontà del nulla santificata in Dio.
L’Anticristo
La perversione cristiana
Ne L’Anticristo (1888) Nietzsche descrive il
Cristianesimo come una perversione dell’uomo:
pervertito è un individuo che, contro i suoi istinti,
preferisce ciò che gli è nocivo;
il Cristianesimo difende ciò che è debole abietto,
malriuscito
e condanna come peccato i valori e i piaceri vitali e
persino il libero uso della ragione.
Compassione malsana
Il Cristianesimo è la religione della pietà:
essa però impedisce l’uso della forza, la
legge della selezione che regola lo
sviluppo della vita;
viceversa conserva ciò che è “maturo
per il tramonto”, i condannati dalla vita.
« Questo istinto depressivo e contagioso
contrasta quelli che tendono alla
conservazione e all’elevazione del valore
della vita […] è uno degli strumenti
fondamentali dell’incremento della
décadence: la pietà induce al nulla! [...]
Schopenhauer era ostile alla vita: perciò la
compassione per lui divenne una virtù. »
Cristo e il Cristianesimo
Nietzsche distingue però il cristianesimo da Cristo
che non ne è il fondatore.
A Cristo va la sua ammirazione: è un “spirito
libero”, che ha indicato, con il suo contegno di
fronte giudici e carnefici, come si deve vivere;
il cristianesimo, “odio e risentimento contro tutto
ciò che è nobile e aristocratico” è opera dei primi
seguaci e soprattutto di S.Paolo.
Transvalutazione dei valori
A partire da questa consapevolezza Nietzsche
non propone un semplice rifiuto dei valori antivitali
per recuperare la morale aristocratica,
ma di un nuovo modo di rapportarsi ai valori, non
vengono più intesi come entità metafisiche in sé
sussistenti, ma come libere proiezioni dell’uomo e
della sua volontà di potenza.
Il Nichilismo
Nichilismo “passivo”
In una prima accezione nichilismo è “volontà del nulla”, il
desiderio di fuga e disgusto verso il mondo concreto
In un secondo senso il nichilismo è il sentimento di smarrimento
che l’uomo contemporaneo prova davanti al venir meno dei valori
assoluti:
le metafisiche hanno creato l’illusione di una di un ordine
cosmico, di un senso razionale e provvidenziale
dell’accadere:
comprendere che tutto ciò non sussiste, non è dato,
produce un inevitabile senso di vuoto, “viene a mancare il
coraggio”.
Equivoco
Dall’inesistenza di valori, significati e
ordine assoluti si deduce erroneamente
che non ci sia alcun senso.
Il “senso di mancanza” dipende dall’essere
abituati all’idea che i valori ci siano “dati”,
dall’essere ancora alla ricerca di assoluti.
Nichilismo “attivo”
In realtà i significati esistono non come strutture metafisiche già
date, ma come prodotti della volontà di potenza
Accettando il “rischio” si entra in una nuova forma “attiva” di
nichilismo (in tal senso Nietzsche si definisce nichilista):
che comprende un momento distruttivo , l’eliminazione di
ogni residua credenza in verità assolute di tipo metafisico;
e un momento creativo ove l’uomo, si rende conto che il
senso, non essendo dato, deve essere umanamente creato.
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L`uomo è qualcosa che deve essere superato