TACCUINO Ripensare la sanità iniziando dal sistema di finanziamento I costi della sanità crescono fisiologicamente del 3-4% l’anno in tutti i paesi industrializzati, indipendentemente che l’organizzazione del sistema sanitario sia di stampo statalista oppure di stampo liberale. Questa crescita è pertanto un dato di fatto che la politica, oggi orientata a limitare l’evoluzione dei costi sanitari, deve considerare necessariamente in questa ottica. Vanno ripensati i diversi meccanismi del sistema sanitario. La politica dei cerotti si è rivelata fallimentare in quanto non è stata in grado di risolvere il problema del finanziamento del sistema sanitario svizzero alla radice. L’insoddisfazione ormai resa pubblica da tutte le parti in causa sulle misure promosse dall’Ufficio federale della sanità pubblica, in particolare la tassa dei 30 franchi per ogni visita medica, dimostra che servono ormai misure ben più incisive per garantire un finanziamento sostenibile della sanità elvetica. Oggi il 60% della spesa è a carico del cittadino-paziente e il 40% è a carico dello Stato. Nel 2009 “i costi” supereranno la soglia dei 22 milaradi in LAMal (60 miliardi è in vece la spesa totale compresa LCA) e l’incidenza dei costi sanitari sul prodotto interno lordo continua ad aumentare così che nel 2010 oltrepasserà il 12%. La cittadinanza attraverso le diverse votazioni federali ha però espresso ripetutamente la volontà di una copertura sanitaria di qualità e completa in termini di accesso alle cure, auspicandone una copertura dei costi a carico della LAMal. Dal punto di vista dei costi, un’attenta analisi mostra la necessità di intervenire con urgenza per regolare il settore ambulatoriale ospedaliero aumentato nel 2008 del 15% come ha sostenuto in una recente conferenza tenutasi presso la Clinica di Moncucco il Consigliere di Stato di Basilea, Carlo Conti. Questa spesa è oltretutto destinata a lievitare, non da ultimo a causa della revisione delle analisi di laboratorio che in futuro non potranno più essere garantite dai medici di famiglia (e chissà che dopo le analisi di laboratorio non toccherà alla radiologia). Diventa pertanto urgente riflettere sulla sanità in modo diverso e promuovere un cambio di paradigma. La sanità va considerata un settore economico importante, specialmente in un momento di crisi economicofinanziaria con conseguente disoccupazione, un settore che produce prestazioni e servizi per una cifra d’affari che oltrepassa ormai i 60 miliardi e la cui crescita annua è del 3-4%. In questa ottica la sanità merita di essere considerata “un’impresa” capace di generare indotto e offrire occupazione a più di mezzo milione di persone, posti di lavoro importanti con i tempi che corrono. Oggi una persona su nove esercita una professione nel settore sanitario, così che la sanità si attesta tra i principali datori di lavoro in Svizzera. In un’ottica pertanto di “impresa della sanità” bisognerebbe pertanto investire e non infierire sottolineando di continuo quanto questa impresa sia costosa agli occhi della popolazione. Il valore di questo settore per l’economia e per l’occupazione è un potenziale che va letto anche e soprattutto in questi termini. La cattiva “gestione” della sanità promossa dall’Ufficio federale della sanità pubblica, aiutata da politiche assicurative discutibili (campagne assicurative volte ad accaparrasi i buoni rischi con conseguente riduzione delle entrate per la LAMAL) e investimenti in borsa poco oculati hanno svuotato le casse delle assicurazioni malattia, che a loro volta si rifanno poi sui cittadini chia- 74 GIUGNO 2009 mati a ricoprire le voragini e a rimpinzare le riserve delle casse malati (il Ticino ha già dato in quanto l’alta percentuale di riserve accumulate in passato permette di limitare l’aumento dei premi assicurativi che dovrebbero aggirarsi sull’1,1% ma si parla del 3%). Per quanto riguarda il Ticino il discorso sulla trasparenza, sulle riserve e sugli ammortamenti andrebbe esteso anche alla gestione degli ospedali pubblici (lo aveva già ricordato Fulvio Pelli al dibattito televisivo sull’articolo costituzionale lo scorso maggio 2008). Il finanziamento di questa “impresa Sanità” oggi come oggi pesa in modo sconsiderato sulla cittadinanza e le proiezioni per i prossimi anni tendono a dare un quadro anche peggiore della situazione. La sanità viene finanziata da diversi canali, ma oggi come oggi il cittadino corrisponde quasi due terzi dei costi della sanità sottoforma di premi assicurativi, imposte e pagamenti diretti ai fornitori delle prestazioni. La chiave di ripartizione relativa al finanziamento del settore sanitario oggi prevede un contributo del 60% da parte delle assicurazioni malattia e il 40% da parte dello Stato. Questa chiave di ripartizione, in alcune realtà come quella ospedaliera, è già in fase di ridefinizione nel senso che la partecipazione dello Stato tende a essere rivista verso l’alto. Questa tendenza la si riscontra appunto nel finanziamento delle prestazioni LAMal negli ospedali e nelle cliniche. A partire dal 2012 verrà introdotta una partecipazione a carico dello Stato (percentuale minima) pari al 55% e una partecipazione delle casse malati pari al 45% – un risparmio milionario per le casse malati. Andrebbe a questo punto valutata la possibilità di estendere questa chiave di ripartizione finanziaria anche per altre realtà, iniziando dalle realtà che più si avvicinano a questo tipo di strutture pensiamo per esempio alle case per anziani. TRIBUNA MEDICA TICINESE 219 TACCUINO Vi sono poi interventi che potrebbero riformare dal punto di vista strutturale la realtà delle assicurazioni malattia: da un lato andrebbe ridotto il numero delle assicurazioni malattia, intervenendo con la soppressione delle così dette “sottocasse” (le piccole casse malati che fanno parte di un gruppo assicurativo più importante) che promuovono offerte vantaggiose a favore di persone giovani e sane (i buoni rischi); soluzioni che non mettono solo a repentaglio il principio di solidarietà quale principio fondamentale della LAMal, ma che fanno perdere importanti introiti alle casse malati stesse. Come dimostrano alcune statistiche dell’Istituto di ricerca GFS di Berna per quanto concerne la ripartizione odierna della scelta dei premi assicurativi ca. il 40% degli adulti opta per la franchigia standard di Fr. 300, mentre sempre più persone scelgono forme assicurative alternative. Per risparmiare sui premi assicurativi un quarto degli adulti sceglie piuttosto una franchigia che parte dai Fr. 1’000. Questo significa che le misure messe in atto per promuovere la concorrenza tra le casse malati, come per esempio la stessa possibilità di fissare delle franchigie alte per ottenere degli sconti sui premi, o forme assicurative che prevedono una scelta limitata del medico o ancora, le formule assicurative che prevedono dei bonus oppure sconti come per la consultazione telefonica, in termini finanziari vanno valutati non solo in base alla prospettiva della singola cassa malati, non devono andare a scapito della garanzia del finanziamento delle cure. Purtroppo non è d’aiuto la composizione del gremio decisionale in Parlamento, che invece di spingere per lo studio di soluzioni sostenibili, viene concepito come un vero ostacolo per le riforme. Come ribadito anche nei giorni scorsi dal Presidente della Conferenza dei direttori cantonali della sanità Pierre-Yves Maillard in un’in- 220 TRIBUNA MEDICA TICINESE tervista rilasciata al Corriere del Ticino (dal titolo “Sono le casse che frenano sulle riforme”, non è un mistero che questa lobby sia d’ostacolo nel promuovere riforme capaci di rispondere maggiormente ai problemi che riguardano il sistema sanitario svizzero. Le Camere federali conoscono malauguratamente una forte presenza della lobby delle assicurazioni malattia (membri dei Consigli di Amministrazione delle casse malati), una presenza che tocca anche e soprattutto le Commissioni che si occupano della sanità. La mozione di Anita Fetz che ne chiedeva l’esclusione dei membri dei CdA degli assicuratori malattia non ha trovato purtroppo riscontri positivi: la Commissione delle istituzioni politiche con 6 voti contro 5 voti ha deciso di non dare seguito all’iniziativa, una posizione confermata a fine maggio dal Consiglio degli Stati (con 23 voti contrari e 12 favorevoli). Se non si vorrà però mettere mano al finanziamento di questo sistema, la strada alternativa sarà unicamente quella di ridurre al minimo le prestazioni a carico della LAMal, ma a questo punto il tutto andrà fatto garantendo la massima trasparenza, informando la cittadinanza in modo esplicito di questa decisione. Il medico non si presta a razionamenti occulti delle prestazioni di cura, trattandosi di una scelta politica è necessario che questa scelta avvenga alla luce del sole e che i politici se ne assumano la completa responsabilità. Per ottenere risultati validi, grazie a riforme del sistema sanitario coerenti e attente a salvaguardare il nostro sistema sanitario e il suo approvvigionamento capillare a livello territoriale, vanno ridiscussi diversi meccanismi del sistema stesso. Il sostentamento dell’“impresa sanità” merita maggiori considerazioni in termini di indotto e di posti di lavoro, soprattutto se si tiene conto della sfida che questo settore dovrà affrontare negli 74 GIUGNO 2009 anni venturi viste le proiezioni per il 2030 che indicano come il 40% delle consultazioni mediche non riuscirà ad essere garantito… e di qui non si scappa! Franco Denti, Presidente OMCT SEZIONE SCIENTIFICA INTRODUZIONE R. Rosso L’arteriosclerosi obliterante è una malattia frequente la cui incidenza aumenta con l’età. Il rischio di sviluppare tale malattia viene incrementato da patologie quali il diabete mellito, il tabagismo e altri fattori di rischio cardiovascolari (dislipidemia, obesità, familiarità). L’arteriosclerosi obliterante si localizza a livello di tutto l’albero arterioso con siti prevalenti, quali la regione cerebrovascolare, quella coronarica oltre alle possibili localizzazioni a carico delle arterie renali, mesenteriche e non da ultimo a carico delle arterie degli arti inferiori. Spesso il luogo di predilezione dell’arteriosclerosi è rilevante per quanto riguarda la prognosi generale. Per quanto riguarda il trattamento, si deve distinguere tra la terapia locale e quella sistemica. Quest’ultima ha come bersaglio il trattamento dell’arteriosclerosi stessa in maniera tale da avere un impatto sul miglioramento della prognosi vitale. La terapia sistemica si articola soprattutto nella somministrazione di un’antiaggregante piastrinico e di una statina, nel controllo e trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari e nella stimola- zione dei pazienti ad effettuare il più possibile un’attività fisica. Il trattamento locale si riferisce al trattamento del distretto arterioso coinvolto. La presentazione che segue è redatta in due parti e si concentra sulla presa a carico dell’arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori. Se fino a qualche anno fa il principale arterfice del trattamento di questi pazienti era il chirurgo vascolare, è soprattutto negli ultimi 10 anni che si è assistito ad una profonda evoluzione della chirurgia vascolare stessa. In effetti lo straordinario sviluppo delle tecniche di radiologia interventistica ha permesso di realizzare un gran numero di interventi per via endovascolare – ovvero senza dover aprire l’arteria da operare. D’altro canto i progressi diagnostici non invasivi, associati allo sviluppo dell’angiologia, hanno modificato profondamente l’approccio terapeutico alle malattie delle arterie fino ad allora indagate e curate in maniera prevalente dal chirurgo vascolare. la possibilità di un eventuale trasferimento del malato o del medico nella sede più appropriata, permette di migliorare ulteriormente la presa a carico del paziente con problemi vascolari. Prof. Dr. med. Raffaele Rosso Responsabile del Centro Vascolare ORL Capodipartimento Chirurgia EOC Pertanto oggi per la diagnosi e la cura delle malattie vascolari risulta determinante una presa di decisioni interdisciplinare tra i diversi specialisti coinvolti. Questa modalità rappresenta l’approccio più adeguato ed efficace per assicurare la miglior cura al paziente. In questo senso è stata realizzata la presente pubblicazione articolata in una prima parte che si concentra sull’aspetto diagnostico e di presa a carico sistemico dell’arteriopatia, realizzata dal Dr. Reto Canevascini, angiologo, e da una seconda parte focalizzata sull’aspetto terapeutico sia convenzionale chirurgico aperto, realizzata dal Dr. Luca Giovannacci, chirurgo vascolare, sia per via endovascolare realizzata dal Dr. Josua Van den Berg, radiologo interventista. La collaborazione tra i servizi interessati all’interno degli istituti dell’EOC e 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 221 SEZIONE SCIENTIFICA ARTERIOPATIA OSTRUTTIVA DEGLI ARTI INFERIORI: PRESA A CARICO NON INVASIVA R. Canevascini Introduzione L’arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori (AOAI) è una malattia molto frequente. La prevalenza nei pazienti al di sopra dei 50 anni è del circa 15% (Figura 1). Nella maggior parte dei casi essa non è correlata con una claudicatio intermittente tipica. Spesso i pazienti presentano sintomi “atipici” o non ne hanno del tutto. L’arteriopatia periferica viene suddivisa in quattro stadi secondo Fontaine (Tabella 1). Lo stadio clinico II viene ulteriormente suddiviso in uno stadio II A con un perimetro di marcia oltre e uno stadio II B inferiore a 200 m. La diagnosi di un’arteriopatia periferica con una ischemia non critica comporta le seguenti implicazioni prognostiche importanti. Dall’ottica “locale”, quindi relativi all’estremità, nei 5 anni successivi si osserva in ¾ dei casi una stabilizzazione, eventualmente miglioramento della claudicatio. Ca. ¼ dei casi mostra una flessione dell’irrorazione e/o lo sviluppo di un’ischemia critica (nel 5-10% dei casi), con un tasso di amputazione di ca. 1-3%. Tutto sommato la prognosi relativa all’estremità può quindi essere data come buona. Fig. 1: La diagnosi di arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori viene posta se il quoziente pressorio malleolare (ABI: ankle - brachial - index) (vedi sotto) è inferiore a 0.9. L’incidenza dell’arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori nei pazienti al di sopra dei 55 anni si attesta al 1525%. La prognosi a 5 anni relativamente all’arto è caratterizzata da una stabilizzazione nel 75% dei casi, ad un peggioramento nel 25% dei casi. Rara è l’ischemia critica e l’amputazione. Tab. 1: I vari stadi della arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori secondo le classificazioni di Fontaine e quella anglosassone. 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 223 SEZIONE SCIENTIFICA Dall’ottica “sistemica”, quindi della prognosi globale del paziente, si rileva percontro una morbilità e mortalità cardiovascolare di rilievo, con eventi cardiovascolari non mortali nel 20% dei casi, una mortalità del 10-15%, soprattutto di origine cardiovascolare (Figura 2). L’ischemia critica presenta un outcome a 1 anno con una mortalità intorno al 25% e un tasso d’amputazione del ca. 35%. L’arteriopatia stessa, soprattutto quella associata ad un’ischemia critica, ha quindi una prognosi vitale fortemente compromessa (Figura 3). La prognosi viene determinata in maniera decisiva dalla presa a carico sia “locale”, dell’arto, che “sistemica”, cioè dell’arteriosclerosi, dei fattori di rischio cardiovascolari e dal training alla marcia. 2. Diagnostica 2.1 Diagnostica “di base” Approccio del paziente vascolare Il paziente vascolare si presenta nello studio medico ad esempio con una sintomatologia claudicante, una costellazione di rischio, delle lesioni. La presa a carico è propedeutica: anamnesi, status clinico. La conferma della diagnosi dell’arteriopatia ostruttiva avviene perlopiù con un semplice “Doppler”. La pletismografia vasale può dare ulteriori importanti elementi sulla localizzazione delle stenoocclusioni arteriose e può corroborare la diagnosi dell’ischemica critica. Questi elementi diagnostici possono essere riassunti come diagnostica “di base”. A seconda della situazione clinica si impongono eventualmente ulteriori passi diagnostici. Questi strumenti di diagnostica “avanzata” comprendono ad esempio l’ecocolordoppler e le angiografie. La presa a carico viene adattata anche alla situazione clinica e logistica e non da ultimo al grado d’urgenza. Nel presente articolo ci limitiamo alla situazione di ischemia cronica e non all’occlusione arteriosa acuta. 224 TRIBUNA MEDICA TICINESE Fig. 2: La prognosi “sistemica” e globale del paziente viene determinata dalle complicazioni cardiovascolari, molto frequenti e deleterie. Fig. 3: L’ischemia critica determina una prognosi vitale fortemente ridotta con una letalità del 25% ad 1 anno. Nel 35% dei casi si deve procedere ad una amputazione maggiore. Anamnesi Se presenti, i sintomi possono anche essere abbastanza tipici. 74 GIUGNO 2009 Si distinguono diverse forme tipiche di “claudicatio” riassunte nella tabella 2. Non raramente, soprattutto nel pa- SEZIONE SCIENTIFICA ziente anziano possono essere riscontrate diverse forme di claudicatio contemporaneamente. Dall’altro canto si possono anche osservare delle sintomatologie atipiche e non di rado un’assenza totale di disturbi. Status clinico Nell’esame clinico l’elemento più importante è sicuramente il polso palpabile. Trattasi di una misura diagnostica che non necessita di apparecchiature sofisticate e permette, in caso di presenza di polsi pedidei, di escludere un’ischemia critica. Il colorito, la trofica, la presenza di lesioni, la ricapillarizzazione e i soffi vascolari, sono pure dei parametri rilevanti per la valutazione arteriosa. Il significato attribuito alla temperatura è probabilmente, almeno per l’ischemia cronica, sovrastimato. Il peso diagnostico da attribuire ai parametri citati non è stato approfondito con studi diagnostici. A seconda dell’anamnesi e dello status andranno approfonditi anche altri aspetti, ad esempio ortopedici e neurologici. Doppler Il semplice “doppler” (CW-doppler) permette di porre in maniera accurata la diagnosi di un’arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori, con una sensitività del 95% e una specificità del 100%. Concretamente il paziente deve trovarsi in posizione supina per 10-15 minuti. Per la misurazione delle pressioni è sufficiente nella maggior parte dei casi il manicotto che viene usato per quantificare la pressione sistemica. Una sonda da 4 fino a 8 MgHz permette di trovare il segnale a livello delle arterie malleolari (tibiale posteriore, dorsalis pedis, eventualmente fibulare). Delle pressioni documentate, viene utilizzata la maggiore. Si calcola un quoziente della pressione malleolare con la pressione sistemica misurata agli arti superiori (anche qui Claudicatio intermittens arteriosa Dolore da ischemia muscolare che insorge dopo un’iniziale latenza, soprattutto alla deambulazione in salita o portando dei pesi, si esaurisce rapidamente fermandosi. La topografia del dolore riflette spesso la localizzazione dell’ostruzione (polpaccio nel caso dell’ostruzione femoro-poplitea; gluteo nell’ostruzione iliaca prossimale o interna) Claudicatio spinale Localizzata tipicamente ad entrambi gli arti inferiori, migliora all’anteflessione del tronco. Tipicamente esacerbata alla deambulazione in discesa (contrariamente alla forma arteriosa). Claudicatio venosa È causata da un’ostruzione venosa iliaca, accompagnata da edema e cianosi, nell’ambito della deambulazione. Miglioramento alla sovraelevazione dell’arto Tab. 2: Alcune forme tipiche di “claudicatio”. Fig. 4: L’esame doppler viene effettuato in posizione seduta, con il manicotto al polpaccio. Si misura la pressione delle arterie al malleolo e il valore viene diviso per la pressione sistolica sistemica rilevata alle braccia. Il quoziente (ABI: ankle - brachial - index) è diagnostico per un’arteriopatia ostruttiva se minore di 0,9. Se il valore si attesta sopra 1.4, esso documenta un’incomprimibilità delle arterie. il valore maggiore di destra e sinistra). Il valore calcolato corrisponde all’ABI (quoziente pressorio malleolare = Ankle brachial Index). (Figura 4). 74 GIUGNO 2009 Un quoziente pressorio malleolare < 0.9 conferma la diagnosi di un’arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori. Normali sono valori da 0.9 fino a 1.4. TRIBUNA MEDICA TICINESE 225 SEZIONE SCIENTIFICA Un test da sforzo (30 flessioni della caviglia andando in punta dei piedi e scendendo) e successiva misurazione della pressione malleolare, permette, in caso di calo > 20%, di porre la diagnosi di un’arteriopatia ostruttiva quando l’ABI a riposo è normale. Nel caso in cui il quoziente pressorio malleolare è > 1.4, trattasi di una cosiddetta incomprimibilità delle arterie crurali, il cui correlato morfologico è spesso una sclerosi della media (Mönkeberg), nell’ambito ad esempio di un diabete mellito di lunga data. In questo caso va calcolato, in maniera analoga al quoziente pressorio malleolare, il quoziente della pressione di occlusione dell’alluce. In tal caso la pressione viene misurata tramite fotopletismografia e un piccolo manicotto intorno all’alluce. Questo presuppone un’apparecchiatura più sofisticata di un semplice “doppler”. Il quoziente è diagnostico per un’arteriopatia ostruttiva se < 0.6. L’anamnesi, lo status e un test relativamente semplice come l’esame “Doppler”, permettono, nella maggior parte dei casi, di porre o escludere la diagnosi di un’arteriopatia ostruttiva senza ulteriori (e costose) indagini. Dei valori di pressione malleolare < circa 50 mm Hg e di occlusione dell’alluce < 30 mm Hg possono corroborare il sospetto di un’ischemia “critica”. La gravità dell’arteriopatia periferica più che i sintomi della stessa, ha una rilevanza prognostica “sistemica” (Fig. 5). Pletismografia vasale Nel laboratorio vascolare dedicato la pletismografia vasale fa parte dei test di routine che vengono utilizzati nella diagnostica arteriosa di base. La pletismografia vasale riporta i cambiamenti di volume (e di pressione) all’interno dei vari segmenti dell’arto sul quale il manicotto viene posizionato e gonfiato (a 60-80 mm Hg). Essa riflette l’apporto arterioso fino a quel segmento (figura 6). Le curve vengono derivate alla coscia e al polpaccio. A livello dell’alluce viene 226 TRIBUNA MEDICA TICINESE Fig. 5: Sopravvivenza a dipendenza del quoziente pressorio malleolare. Essa cala con la diminuzione del quoziente pressorio malleolare (ankle - brachial - Index (ABI) che equivale all’Ankle- brachial-systolic pressure Index (ASPI)). La letalità per un ASPI 0.4-0.85 è a ca 30% a 5 anni, per un ASPI inferiore a 0.4 (= ischemia critica) è a ca. 20-25% dopo 1 anno. Fig. 6: La figura mostra il risultato delle curve pletismografiche a livello della coscia e del polpaccio bilateralmente. La curva delle cosce bilateralmente e del polpaccio di destra sono normali e depongono quindi a favore dell’assenza di ostruzioni significative più prossimali. A sinistra si mostra una curva lievemente patologica al polpaccio con una curva normale alla coscia. L’ostruzione è quindi da localizzarsi nell’a. femorale superficiale o poplitea a sinistra. 74 GIUGNO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA rilevata una curva in base ad un segnale luminoso (fotopletismografia). La morfologia della curva riflette la pressione arteriosa intravasale con un’accelerazione e picco rapido, una diminuzione iniziale rapida e in una seconda fase più lenta. In caso di ostruzione la curva viene alterata nel senso di una accelerazione meno rapida, un picco più tardivo, una discesa con una velocità di diminuzione sola. In casi estremi la curva può corrispondere ad un’onda a malapena riconoscibile o assumere caratteristiche disordinate (“anarchica”) oppure addirittura piatta. Quest’ultima depone a favore di un’ischemia critica. 2.2 Diagnostica avanzata Può essere indicato un ulteriore accertamento tramite dei tests morfologici se vi è un dubbio per quanto riguarda la genesi dell’ostruzione, oppure se vi è la necessità di una rivascolarizzazione. Le possibilità sono l’ecocolordoppler (“duplex”), le angiografie (“angio TAC”, “angio RM”). Solo raramente è ancora necessario procedere in questa fase ad una angiografia convenzionale intraarteriosa. Il vantaggio dell’esame duplex è quello dell’assenza di effetti collaterali e dei costi. Il problema può essere quello della difficoltà della valutazione dell’asse iliaco in pazienti particolarmente adiposi o con addome meteoristico. Nella gran parte dei casi l’esame duplex permette però una dia- Vantaggi Ecocolordoppler (Duplex) gnosi sufficiente per procedere, se possibile, a misure terapeutiche come un’angioplastica. In caso entri in linea di conto una rivascolarizzazione chirurgica una forma di angiografia (TAC o RM) resta la regola. Vantaggi e svantaggi dei vari test diagnostici morfologici sono riassunti nella tabella 3. 3 Terapia Si distingue quella che è la presa a carico “sistemica” dell’arteriosclerosi dalla terapia “locale”, in questo caso agli arti inferiori (Tabella 4). 3.1 Terapia “sistemica” Antiaggregazione piastrinica La base resta, in assenza di controindi- Svantaggi Costi (CHFr) Assenza di effetti collaterali Mancanza di una immagine 206.43 Permette di visualizzare e d’insieme quantificare delle stenosi Dipendente dall’operatore Calcificazioni di parete rendono difficoltosa la valutazione. Angio TAC Disponibilità Tossicità dei raggi Immagine d’insieme Tossicità del mezzo di contrasto 1137.52 (tridimensionale) (reni, tiroide, allergie) Calcificazioni di parete rendono difficoltosa la valutazione. Angio RM Immagine d’insieme Necessità della collaborazione (tridimensionale) del paziente 1069.12 Tossicità del Gadolinio Risoluzione spaziale minore rispetto alla TAC Artefatti dovuti a corpi estranei (inclusi alcuni stent) Controindicazioni assolute (Pacemaker) e relative (claustrofobia) Angiografia convenzionale Precisione Invasività complicanze associate intraarteriosa Immagine d’insieme alla punzione arteriosa (Pseudoaneurisma) Possibilità di eseguire Tossicità del mezzo di contrasto interventi nella stessa seduta (reni, tiroide, allergie) 1709.28 “golden standard” storico Tab. 3: Vantaggi e svantaggi dei vari metodi diagnostici con rappresentazione delle arterie di un arto inferiore, con costi riferiti al tariffario Tarmed (0.8 Fr / punto), del mezzo di contrasto e, per quanto riguarda l’angiografia convenzionale, della permanenza nel day hospital. 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 227 SEZIONE SCIENTIFICA cazioni, l’antiaggregazione piastrinica. Con la diagnosi di un’arteriosclerosi obliterante agli arti inferiori il paziente si ritrova nella medesima categoria di rischio cardiovascolare come coloro che presentano una cardiopatia ischemica conclamata. In genere è consigliata una dose di acido acetilsalicilico da 75 a 160 mg/giorno. Un incremento del dosaggio o l’aggiunta di altri farmaci anticoagulanti (ad es. clopidogrel o di antagonisti della vitamina K) in genere non porta a vantaggi supplementari, ma ad un incremento del rischio di emorragia. Le combinazioni sono quindi riservate a condizioni particolari (ad esempio stent cardiaci o in altre localizzazioni). Management dei fattori di rischio cardiovascolari La modifica dei fattori di rischio cardiovascolari è dimostrata essere efficace per la prognosi “sistemica” (cardiovascolare). Tabagismo L’astinenza dal fumo deve essere un obiettivo prioritario nella terapia. Già solo affrontare l’argomento nell’ambito della consultazione ha (piccoli) effetti benefici in termini di astinenza. L’obiettivo dell’astinenza dal fumo può essere raggiunto più facilmente con misure di diverso tipo, soprattutto anche medicamentose (varie forme di sostituzione della nicotina, bupropion Zyban®, varenicyclin-Champix®, ecc.) Obesità Indicata una consulenza dietetica del paziente sovrappeso o francamente adiposo (BMI > 30 kg/m2, oppure circonferenza addominale > 102 cm per l’uomo, > 88 cm per la donna). Ev. si rende necessario anche con supporto medicamentoso. Dislipidemia Le statine hanno dimostrato di avere un grosso effetto benefico sulla morbilità e mortalità nel paziente cardio- 228 TRIBUNA MEDICA TICINESE vascolare, specificamente nel paziente con l’arteriopatia periferica. In analogia alla cardiologia, il vantaggio di tale terapia è presente anche con valori lipidici “normali”. Come riserva rimangono i fibrati e la niacina, come pure, eventualmente, l’ezetrolo. Ipertensione arteriosa Il target deve essere una pressione arteriosa < 140/90 mm Hg, nei pazienti con un’insufficienza renale o diabete mellito addirittura < 130/80 mm Hg. Alcuni dati mostrano effetti benefici degli ACE-inibitori (ad esempio Ramipril, studio HOPE, Yusuf S, NEJM 2000). Tranne nell’ischemia critica, il betabloccante non è più considerato una controindicazione. Medicamenti che promuovono la liberazione dell’ossido di azoto vengono privilegiati (Nebivolol (Nebilet®)). Queste sostanze hanno un effetto vasodilatatorio. Diabete mellito Il controllo metabolico del diabete mellito ha un effetto positivo sulle complicanze microvascolari. Per quanto riguarda la macroarteriopatia i risultati sono meno chiari. L’obiettivo è di raggiungere delle glicemie il più vicino possibile al fisiologico. Il target dell’emoglobina glicata si situa < 7.0%, avvicinandosi al 6%. Ipoglicemie devono comunque essere evitate. Iperomocisteinemia Benché si tratti di un fattore di rischio notorio, la sostituzione vitaminica con normalizzazione della concentrazione dell’omocisteinemia non hanno mostrato degli effetti benefici in prevenzione secondaria (come peraltro anche dopo il tromboembolismo venoso). Training alla marcia Un tassello importante per la terapia della claudicatio intermittente e del- 74 GIUGNO 2009 l’arteriopatia periferica è il training alla marcia. I migliori risultati vengono ottenuti da pazienti che compiono un training con supervisione, idealmente con 3 unità di training per settimana, della durata di 30-60 minuti. La durata totale di un programma è di circa 3 mesi. I benefici sono a tutti i livelli: incremento del perimetro di marcia, miglioramento della situazione metabolica, qualità di vita, ecc. L’efficienza di un allenamento individuale è meno corroborato da dati scientifici ma resta comunque assolutamente consigliato, anche considerando la misura dal profilo economico. Un accertamento dall’ottica cardiaca è indicato prima di intraprendere il training. Il 50% dei pazienti con una arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori presenta una cardiopatia ischemica di rilievo. Reologici In pazienti presso i quali non è possibile effettuare una rivascolarizzazione o il training alla marcia non dà risultati sufficienti, entra in considerazione una terapia medicamentosa. Quelle che entrano in linea di conto sono la naftidrofuryl (Sodipryl ® retard 200 mg 1-1-1 con un bicchiere d’acqua da ridursi ev. a 1-0-1 se vi è una risposta adeguata). Il cilostazolo, ben documentato, non è sul mercato svizzero. Come alternative, il cui grado di raccomandazione è limitato, vi sono la carnitina e la pentoxifyllina (Trental® 400 mg 1-1-1, da ridursi ev. a 1-0-1 dopo un buon effetto), nonché buflomedil (Loftyl® ret 1-0-0). 3.2 Terapia “locale”: rivascolarizzazioni Misure di rivascolarizzazione La presa a carico dell’arteriosclerosi obliterante degli arti inferiori è di tipo interdisciplinare. La base resta l’approccio medicamentoso mediante l’antiaggregazione pia- SEZIONE SCIENTIFICA strinica, il management dei fattori di rischio cardiovascolari e il training alla marcia. Nello stadio II è proponibile la terapia endovascolare, in casi scelti anche quella chirurgica. Nello stadio dell’ischemia critica vi è un’indicazione assoluta a procedere ad una rivascolarizzazione. La situazione viene idealmente discussa nell’ambito di un colloquio vascolare interdisciplinare. Nei casi in cui non vi sono opzioni di rivascolarizzazione rimangono delle opzioni con effetti limitati o dibattuti come le prostaglandine endovenose (Ilomedin®), lo stimolatore epidurale, l’ossigeno iperbarico e la simpatectomia (primariamente tramite accesso radiologico translombare) (TASC II). Controlli dopo rivascolarizzazione Dopo la rivascolarizzazione sia tramite tecniche endovascolari che chirurgiche, controlli regolari sono raccomandati nella letteratura. Essi aiutano a cogliere precocemente ad esempio ri-stenosi dei by-pass venosi. Se questa viene trattata aggressivamente, si riesce a mantenere la pervietà del bypass (Lundell A, JVS 1995). Ulteriori, nuovi problemi nell’apporto arterioso che nel deflusso, che possono mettere a repentaglio il vantaggio acquisito con l’intervento, possono essere identificati ed affrontati precocemente. Il paziente viene inoltre motivato per il training alla marcia e all’affrontare il management dei fattori di rischio. Una consultazione vascolare comune (chirurgia vascolare, radiologia interventistica e angiologia) permette di accomunare anche l’aspetto chirurgico post-operatorio a tali controlli, con gli evidenti vantaggi per il paziente. I controlli comprendono accanto all’anamnesi e lo status, l’esame doppler con pletismografia, il quoziente pressorio malleolare e perlopiù (soprattutto dopo bypass venosi) anche l’esame duplex. In generale vengono consigliati Tab. 4: Terapia AOAI. Riassunto delle possibilità terapeutiche a dipendenza dello stadio secondo Fontaine. La base della terapia è sempre l’antiaggregazione piastrinica, il management dei FRCV e il training alla marcia. Le terapie di rivascolarizzazione sono indispensabili negli stadi dell’ischemia critica (Fontaine III e IV). Nello stadio II, della claudicatio intermittens, le terapie con angioplastica e chirurgiche sono un’opzione, che a volte si impone a causa della mancata risposta degli ulteriori trattamenti e delle limitazioni soggettive del paziente. dei controlli a cadenza regolare (almeno ogni 6 mesi) per i primi 2 anni. Il risultato di tali esami può essere seguito nel tempo e confrontato anche con i valori di prima della rivascolarizzazione. Essi possono dare elementi che portano ad ulteriori misure diagnostiche o terapeutiche con lo scopo di preservare il bypass. Indicazione Quando è consigliabile inviare il paziente per un accertamento specialistico? Il momento nel quale un medico invia il paziente allo specialista vascolare dipende dalla dimestichezza che egli ha con le patologie arteriose. Alle nostre latitudini il “Doppler”, test di screening per quanto riguarda l’arteriopatia periferica, viene eseguito da fino 1/6 dei colleghi. Le ragioni per un accertamento più approfondito, oltre all’esame doppler, 74 GIUGNO 2009 possono essere una claudicatio intermittens invalidizzante, il desiderio di una rivascolarizzazione da parte del paziente, un’ischemia avanzata oppure un’ischemia non critica in presenza di lesioni che non guariscono. Il paziente diabetico, soprattutto se presenta una tendenza all’incomprimibilità delle arterie crurali, necessita di una presa a carico con tecniche più sofisticate, come la misurazione della pressione di occlusione dell’alluce. L’accertamento tramite Doppler, nel dubbio anche la quantificazione della pressione di occlusione dell’alluce o la misurazione dell’ossigeno transcutaneo permettono di valutare la prognosi di guarigione di lesioni recenti o di porre eventualmente l’indicazione ad una rivascolarizzazione profilattica. La guarigione di un’ulcera o della ferita postoperatoria dipende anche da fattori “sistemici” come la presenza di un’anemia, di disequilibri metabolici TRIBUNA MEDICA TICINESE 229 SEZIONE SCIENTIFICA (diabete scompensato!), infezioni locali, insufficienza renale, punti di pressione (adattamento della scarpa), ecc. L’approccio vascolare si inserisce in una presa a carico globale del paziente. Anche nel caso in cui la causa dell’ulcera non fosse chiara, l’accertamento vascolare può contribuire a spiegare oltre al 90% di tali patologie. Screening per l’arteriopatia periferica Anche dati recenti del registro REACH (Reduction of Atherothrombosis for Continued Health) (Bhatt D, JAMA 2006) hanno confermato che solo una piccola parte dei pazienti con un’arteriopatia periferica hanno una sintomatologia (claudicante) tipica. L’assenza di una claudicatio intermittens non permette quindi di escludere un’arteriopatia periferica. Le indicazioni per un “doppler periferico” sono riassunte nella Tabella 5. Vista la presenza di un’arteriosclerosi obliterante sia a livello cerebrovascolare (circa 30%) che a livello cardiaco (circa 50%) che a livello renale (circa 40%) nel caso di un’arteriosclerosi obliterante agli arti inferiori, è sicuramente indicato ricercare, almeno in base all’anamnesi e allo status, un’arteriopatia ostruttiva a quei livelli. Dr. med. Reto Canevascini FMH Angiologia e Medicina Interna Caposervizio angiologia Sedi ORL e OBV Via Tesserete 46 6900 Lugano Tel. +41 (0)91 811 67 10 (segretariato) Fax +41 / (0)91 / 811 67 31 E-mail [email protected] 230 TRIBUNA MEDICA TICINESE Possibili indicazioni per l’esame doppler • Paziente di 50-75 anni con diabete mellito o tabagismo • Età > 70 anni • Dolori o sintomatologie non spiegate agli arti inferiori • Status vascolare patologico • Ulcera cronica di natura non determinata • Ulcera cronica senza tendenza alla guarigione • In visione di un intervento al piede, malleoli, in assenza di polsi pedidei palpabili Tab. 5 Riassunto: arteriopatia ostruttiva arti inferiori: ➢ L’arteriopatia periferica è una malattia frequente al di sopra dei 50-55 anni (fino 1520%) ➢ Raramente i pazienti presentano una tipica claudicatio intermittens ➢ Il test di screening per l’arteriopatia periferica è l’esame doppler (ASPI < 0.9) ➢ La causa più frequente è l’arteriosclerosi obliterante La terapia consiste primariamente in: ➢ Aspirina Cardio® 100 mg al giorno ➢ Statina ➢ Training alla marcia (1 h / giorno) ➢ Management dei fattori di rischio: stop tabagismo, pressione arteriosa (target < 140/90, nei diabetici o pazienti con insufficienza renale cronica < 130/80), peso, diabete mellito ➢ In caso di necessità di una rivascolarizzazione la presa a carico è di tipo interdisciplinare: tramite angioplastica e/o intervento chirurgico Tab. 6: Breve riassunto sull’arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori. Bibliografia tienten in der Grundversorgerpraxis. Schweiz Med Forum 2007; 7 (29): 621-628 Bhatt D, Steg P Ohmann E, Hirsch A, Ikeda Y, Mas et al International prevalence, recognition, and treatment of cardiovascular risk factors in outpatients with atherothrombosis. JAMA 2006; 295: 180-189. Birrer M Die Bestimmung des Ankle Brachial Index: Ein zuverlässiges Diagnoseinstrument zur Abschätzung des kardiovaskulären Risikos Schweiz Medizin Forum, 2007; 7: 254-258 Guidelines : AHA/ACC: J Am Coll Cardiol 2006, 47: 1239 – 312 Yusuf S, Sleight P, Pogue J et al Effects of an angiotensin-converting-enzyme inhibitor, ramipril, on cardiovascolare events in high-risk patients. The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study Investigators: N Engl J. Med 2000; 342:145-53. Norgren L, Hiatt WR, Dormandy JA, Nehler MR, Harris KG Fowkes FGR Konsensuspapier der Fachgesellschaften zur Behandlung der peripheren arteriellen Verschlusskrankheit (TASC II) Lundell A et al Femoropopliteal-crural graft patency is improved by an intensive surveillance program: A prospective randomized study J Vasc Surg 1995; 21: 26-34. Jäger KA, Amann-Vesti B, Banyai M, Baumgartner I, Bounameaux H, Frauchiger Be, Groechenig E, Holtz D, Stricker H, Desalmand D Schweizer Richtlininen zum Management von PAVK-Pa- Ulteriore letteratura a disposizione su richiesta, dall’autore 74 GIUGNO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA ARTERIOPATIA OSTRUTTIVA DEGLI ARTI INFERIORI: PRESA A CARICO CHIRURGICA E ENDOVASCOLARE L. Giovannacci, J.C. Van den Berg Introduzione Nel corso delle ultime decadi la terapia interventistica ha fatto progressi considerevoli nel trattamento dell’ischemia cronica delle estremità inferiori. Grazie a ciò si è osservato un passaggio progressivo da terapie chirurgiche invasive verso modalità di trattamento semi-invasive o endovascolari. L’endarteriectomia a distanza e la dilatazione percutanea di stenosi arteriose ne sono un esempio. In questi ultimi anni sono state pubblicate varie linee guida internazionali sul trattamento dell’arteriopatia periferica obliterante. Il primo rapporto della “Trans-Atlantic Inter-Society Consensus Conference” (TASC) sul trattamento dell’arteriopatia periferica, è stato pubblicato nel 2000, come risultato della cooperazione tra 14 società di chirurgia vascolare e cardiovascolare, di radiologia interventistica e cardiologia di Europa e Nord America1. Il secondo documento TASC è stato invece pubblicato nel 2007, frutto della collaborazione di 16 società rappresentanti anche il Giappone, l’Australia e il Sud Africa2. Questi documenti rappresentano il fondamento scientifico sul quale ci basiamo per determinare il tipo più appropriato di terapia nel singolo caso. La chiave di riuscita nella presa a carico del paziente con arteriopatia cronica degli arti inferiori è data oltre che dall’aderenza alle linee guida internazionali, dalla collaborazione stretta fra chirurgo vascolare e radiologo interventista e dal rigore nella posa dell’indicazione per terapie endovascolari o chirurgiche. I pazienti con arteriopatia ostruttiva cronica per i quali entra in considerazione un approccio invasivo appartengono a due grossi gruppi, i pazienti con claudicatio intermittens ed i pazienti con ischemia critica. Nel secondo gruppo il trattamento endovascolare o chirurgico può essere molto più aggressivo, dal momento che l’obiettivo diventa il salvataggio dell’arto. Claudicatio intermittens Una delle manifestazioni cliniche dell’arteriopatia periferica occlusiva è la claudicatio intermittens. Nella maggioranza dei casi si tratta di una problematica locale benigna: solo un quarto dei pazienti presenterà un peggioramento nel decorso e solo da 1 a 3,3% dei pazienti subirà un’amputazione maggiore su un periodo d’osservazione di 5 anni. Complicanze molto più frequenti nel claudicante vascolare sono quelle sistemiche, con una mortalità cardiovascolare a 5, 10 e 15 anni dei pazienti con claudicatio di nuova insorgenza rispettivamente di 30%, 50% e 70%1. Questo tasso di mortalità è paragonabile a quello di un paziente con carcinoma del colon stadio Duke B. È quindi importante per il medico di base rico- noscere la claudicatio come il segno di una malattia sistemica con conseguenze che vanno ben oltre quelle legate alla problematica degli arti inferiori. Posto quindi l’accento sull’importanza delle copatologie, dobbiamo pur chinarci sulla problematica locale. Come vediamo dalla classificazione di Fontaine (Tabella 1) la claudicatio è divisa in due stadi: IIA e IIB, a seconda che il paziente riesca ancora a deambulare per più o meno di 200 metri. Nello stadio IIA una rivascolarizzazione chirurgica o endovascolare non entra in considerazione, vista la buona prognosi del sintomo con una presa a carico conservativa adeguata. Anche nel paziente con claudicatio a breve distanza (stadio Fontaine IIB) primariamente va tentato un approccio conservativo. Qualora il sintomo persista o si aggravi oltre un lasso di tempo adeguato (3-6 mesi) e solo se il paziente considera la sintomatologia limitante per la sua qualità di vita, dobbiamo intervenire. Fa eccezione l’ischemia di stadio II associata ad una lesione periferica che non guarisce. Questa è definita come stadio II complicato e rappresenta quasi sempre un’indicazione ad un procedere invasivo per permettere la guarigione della lesione periferica. Il correlato anatomo-patologico del claudicante è spesso una problematica di steno-occlusione dell’arteria femorale superficiale. Un'altra grossa fetta di pazienti dimostra invece una problematica aorto-iliaca. In linea generale l’approccio conservativo ha Stadio I Asintomatica Stadio IIa Claudicatio intermittens con perimetro di marcia >200m Stadio IIb Claudicatio intermittens con perimetro di marcia <200m Stadio III Dolori a riposo Stadio IV Lesioni trofiche distali Tab. 1: Classificazione clinica dell’arteriopatia periferica obliterante secondo Fontaine 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 231 SEZIONE SCIENTIFICA migliori possibilità di riuscita nella problematica della femorale superficiale e minore nella problematica aorto-iliaca. Per questo motivo il trattamento invasivo viene proposto più facilmente nella steno-occlusione iliaca o nella sindrome di Leriche (stenoocclusione aorto-bisiliaca). Poiché la terapia endovascolare ha un tasso di riuscita ed una durabilità ottima nei vasi prossimali, la rivascolarizzazione chirurgica aorto-iliaca è divenuta una rarità. Diversa la situazione della biforcazione femorale a livello dell’inguine. Per le particolarità anatomiche di questa regione la PTA ha poche possibilità di riuscita e lo stent rischia la rottura per i movimenti di flessione dell’anca e per la pressione dovuta al legamento inguinale. La chirurgia a questo livello prevede un’accurata endarteriectomia delle arterie femorale comune, profonda e superficiale, combinata in genere con l’inserimento di un patch di allargamento in vena o in materiale sintetico (Figura 1). La stragrande maggioranza delle lesioni iliache e femorali da TASC A a TASC C vengono trattate con angioplastica e/o stent. Nei rari casi di occlusione lunga aortoiliaca non aggredibili per via endovascolare, rimane l’indicazione per il by-pass aorto-bifemorale o iliaco-femorale classico. A questo livello il by-pass protesico ha un ottimo tasso di pervietà ed è paragonabile al by-pass venoso (tasso di pervietà a 5 anni del by-pass aorto-bifemorale: 85-90%)3. Malattia del distretto femoro-popliteo L’arteria femorale superficiale rappresenta un terreno ostile per l’impianto di stent, a causa della presenza di forze continue di flessione, estensione, rotazione e compressione assiale. Il trattamento endovascolare di stenosi e occlusioni dell’arteria femorale superficiale rimane una delle più grandi sfide nella pratica endovascolare attuale. L’angioplastica percutanea 232 TRIBUNA MEDICA TICINESE a b c Fig. 1: Endarteriectomia della biforcazione femorale a) Biforcazione femorale con occlusione delle arterie femorale comune, femorale profonda, femorale superficiale. b) Arteriotomia longitudinale e asportazione del cilindro di occlusione. c) Rifissazione distale dello scalino intimale con punti semplici, chiusura dell’arteriotomia con inserimento di un patch. (PTA) di lesioni dell’arteria femorale superificiale ha un successo tecnico che varia tra il 70 e il 90%, con risultati a lungo termine peggiori rispetto alla PTA di altri territori vascolari4. Parecchi studi, in parte randomizzati, hanno dimostrato che l’utilizzazione di stent di vecchia concezione portava ad un successo iniziale maggiore; ciononostante i risultati a lungo termine rimanevano insoddisfacenti. Utilizzando stent espandibili su palloncino o autoespandibili di tipo Wallstent, i risultati erano spesso peggiori rispetto alla sola PTA. Il primo studio che dimostrava un’inversione di tendenza, analizzava l’impatto nell’uso di stent in Nitinolo medicati, specificatamente concepiti per assorbire le forze presenti nella femorale superficiale. Parecchi altri studi retrospettivi confermavano in seguito i migliori risultati a medio e lungo termine utilizzando stent di nuova concezione. Anche nel trattamento di lesioni più complesse e più lunghe la pervietà primaria a un anno raggiungeva l’80%. I risultati di due studi randomizzati (ABSOLUTE e FAST) sono appena stati pubblicati. I dati del- 74 GIUGNO 2009 lo studio ABSOLUTE5 confermano i migliori risultati ottenuti utilizzando stent in Nitinolo per il trattamento di lesioni lunghe della femorale superficiale (lunghezza media delle lesioni 132mm nel gruppo stent, 127mm nel gruppo PTA). L’angiografia di controllo a 6 mesi dimostra un tasso di ristenosi di 24 e 43% nel gruppo stent rispettivamente PTA, in un’analisi “intention to treat”. Analizzando gli stessi dati in base al trattamento effettivamente ricevuto (secondo protocollo e non secondo l’intenzione di trattamento) risultava un tasso di restenosi del 25% dopo stent e del 50% dopo sola angioplastica. Questa differenza nei risultati si confermava a 12 mesi, dove l’esame eco-doppler dimostrava un tasso di restenosi del 37% per lo stent, del 63% per l’angioplastica. Il perimetro di marcia era anch’esso significativamente maggiore e l’indice ASPI era significativamente migliore nel gruppo stent a 6 e 12 mesi. Il beneficio dello stent persisteva ad un follow-up di 2 anni, con risultati morfologici statisticamente significativi ed una tendenza positiva dei risultati clinici dello stent primario SEZIONE SCIENTIFICA rispetto all’angioplastica con palloncino e stent al bisogno. Anche il tasso di reinterventi risultava tendenzialmente minore dopo stenting primario. I risultati dello studio FAST6, che randomizzava l’angioplastica contro lo stenting primario in un gruppo di pazienti con lesione corta (lunghezza media della lesione 45mm) non riusciva a dimostrare alcuna differenza tra i due gruppi. Probabilmente questo è dovuto al fatto che l’angioplastica da sola è un buon trattamento per le lesioni corte e che lo stent in questi casi non fornisce alcun vantaggio ulteriore. I risultati di uno studio più recente (studio RESILIENT), non ancora pubblicati, sono comparabili a quelli dello studio ABSOLUTE: nel follow-up a un anno la pervietà primaria è del 38% nel gruppo PTA e dell’80% del gruppo stent, per una lunghezza media delle lesioni di 60mm, rispettivamente 65mm. Le stenosi sono relativamente facili da trattare tramite PTA, con o senza stent, mentre il trattamento di un’occlusione è tecnicamente più impegnativo. Esistono nel caso dell’occlusione due approcci diversi, il primo è la ricanalizzazione intraluminale, il secondo la ricanalizzazione subintimale. Nella prima tecnica si passa nel lume originario con una guida, seguita da un catetere e dal palloncino o dallo stent. La tecnica subintimale prevede una dissezione intenzionale prossimale rispetto alla lesione occlusiva, con passaggio della guida nello spazio subintimale (tra intima e media). La guida piegata ad ansa viene fatta avanzare fino alla zona in cui l’arteria è di nuovo aperta e quindi manipolata in modo che questa rientri nel lume vero. Segue anche in questo caso l’angioplastica con o senza stent. In base a questi risultati le nuove classificazioni e le raccomandazioni di trattamento della TASC sono stati cambiati sia per pa- zienti claudicanti che per pazienti con ischemia critica: Tabelle 2 e 3. Diamo la preferenza a queste metodiche nonostante il tasso di pervietà a 5 anni risulti inferiore a quello di un by-pass, poiché si tratta di un intervento meno traumatico e meno rischioso per il paziente, spesso ripetibile nel corso degli anni. Inoltre, il fatto che siano state eseguite delle terapie endovascolari non compromette la possibilità di un intervento chirurgico in seguito, in quanto l’interventista opera su lesioni lontane da una futura zona d’anastomosi per un by pass. Quando fallisce l’intervento endovascolare o nel caso di lesione molto lunga della femorale superficiale, abbiamo a disposizione due metodi chirurgici. Quello classico è il by pass femoro-popliteo sopra- o infra-genicolare. In alternativa disponiamo oggigiorno del metodo di endarteriectomia a distanza con anelli di Moll. In pratica si tratta di una rivisitazione dell’endarteriectomia femoro-poplitea già in uso negli scorsi decenni, che dovette essere abbandonata per gli scarsi risultati a lungo termine. Con opportune modifiche della tecnica classica sono migliorate le chance di riuscita e la durabilità. Con endarteriectomia si intende l’asportazione del cilindro interno del vaso, costituito dallo strato muscolare della media e dallo strato intimale con le placche di ateromatosi, lasciando in sede solo l’avventizia. Con la nuova tecnica di endarteriectomia a distanza invece di praticare un approccio Lesioni tipo A Stenosi singola inferiore a 10cm di lunghezza Lesioni tipo B Lesioni multiple (stenosi o occlusioni), ognuna ≤5cm Occlusione ≤5cm Stenosi o occlusione singola ≤15cm non coinvolgente la poplitea infragenicolare Lesioni singole o multiple in assenza di vasi crurali in continuità Occlusioni fortemente calcifiche ≤5cm Stenosi poplitea singola. Lesioni tipo C Stenosi multiple o occlusioni per una somma della lunghezza delle lesioni >15cm Stenosi o occlusioni recidivanti dopo due interventi endovascolari Lesioni tipo D Occlusione totale cronica della femorale comune o della femorale superficiale di >20cm, coinvolgente l’arteria poplitea Occlusione completa cronica della poplitea coinvolgente la triforcazione. Tab. 2: Classificazione morfologica TASC II Lesioni tipo A Il trattamento di scelta è endovascolare Lesioni tipo B Da trattare preferibilmente in modo endovascolare Lesioni tipo C Da trattare preferibilmente in modo chirurgico Lesioni tipo D Il trattamento di scelta è chirurgico Tab. 3: Raccomandazioni per il trattamento TASC II 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 233 SEZIONE SCIENTIFICA * a Rappresentazione della biforcazione femorale con occlusione lunga dell’arteria femorale superficiale. *: arteria femorale profonda. b Attraverso una breve arteriotomia si inseriscono gli anelli che staccano il cilindro miointimale (strato muscolare della media e strato dell’intima con ateromi) dall’avventizia su tutta la lunghezza dell’occlusione. c Grazie ad un meccanismo che permette ai due anelli di scivolare uno sull’altro, il cilindro miointimale viene tagliato distalmente. d Asportazione del cilindro miointimale. e Inserimento di uno stent distale. Sutura dell’arteria. Fig. 2: Endarteriectomia a distanza dell’arteria femorale superficiale chirurgico distale come nell’endarteriectomia classica, eseguiamo solo una preparazione femorale a livello dell’inguine, con anelli entriamo nel- 234 TRIBUNA MEDICA TICINESE l’arteria femorale verso distale e procediamo al distacco del cilindrico miointimale dall’avventizia su tutta la lunghezza della lesione stenosante, 74 GIUGNO 2009 generalmente fino alla poplitea. Tramite gli anelli di Moll (due anelli che scorrendo l’uno sull’altro tagliano il cilindro) sezioniamo il cilindro miointimale distalmente e lo asportiamo attraverso l’arteriotomia prossimale. A questo punto il radiologo interventista mette uno stent di nuova generazione sulla zona di endarteriectomia distale, per rimettere a parete lo scalino intimale ed evitare una dissezione ulteriore (Figura 2). L’intervento si conclude con la chiusura della femorale, eventualmente con patch di allargamento. Questa nuova tecnica ha un buon tasso di pervietà, paragonabile a quello del by-pass femoro-popliteo protesico, con un intervento combinato chirurgico-endovascolare meno pesante7. Per quanto riguarda il by-pass femoro-popliteo classico, ricordiamo che negli ultimi anni è stata dimostrata la netta superiorità del by-pass venoso rispetto alla protesi, anche nel caso di anastomosi distale sopra al ginocchio. La protesi deve quindi essere riservata ai casi in cui non vi sia una vena safena magna omolaterale adeguata per un by-pass. Il tasso di pervietà primaria a 1 anno dell’endarteriectomia a distanza è del 61%, del by-pass femoro-popliteo con vena del 89%, con protesi del 63%8. Ischemia critica Vi sono criteri clinici ed emodinamici per definire l’ischemia critica. Clinicamente è definita dagli stadi III e IV di Fontaine. I dolori a riposo si manifestano di solito a livello dell’avampiede, tipicamente sopravvengono durante la notte, costringendo il paziente ad alzarsi dal letto o a far penzolare l’arto dal bordo del letto. Lo stadio IV, quindi con presenza di lesioni trofiche ischemiche distali, non è obbligatoriamente associato alla presenza di dolori a riposo. Nel caso di ulcere distali quindi la diagnosi di arteriopatia periferica con ischemia critica non deve essere accantonata troppo pre- SEZIONE SCIENTIFICA sto solo per l’assenza dei dolori, specialmente nel paziente diabetico polineuropatico. Consigliamo sempre e comunque almeno la misurazione delle pressioni di occlusione e quindi dell’indice ASPI. Contrariamente a quanto detto in precedenza, nell’ischemia critica vi è praticamente sempre un’indicazione alla cura invasiva, da una parte per i sintomi, dall’altra per l‘importante rischio di progressione con perdita dell’arto. L’arteriopatia che si manifesta con ischemia critica è generalmente complessa, coinvolge spesso le arterie crurali ed è solitamente pluridistrettuale. Come principio generale una rivascolarizzazione sia essa chirurgica o endovascolare deve permettere un flusso diretto da prossimale fino alla zona della lesione. In altre parole la sola rivascolarizzazione iliaco-femorale non permetterà la guarigione di una lesione del piede, in presenza di una stenosi poplitea o crurale. La complessità delle lesioni fa sì che i risultati della chirurgia in questo campo specifico siano significativamente migliori rispetto alla cura endovascolare. In considerazione però della polipatologia e spesso dell’età avanzata di questi pazienti, spesso tentiamo dapprima un approccio endovascolare anche in presenza di lesioni molto distali. Il trattamento della malattia crurale è indicata esclusivamente per pazienti che soffrono di una ischemia critica. È raro che una malattia dei vasi crurali si manifesti con una claudicatio intermittens isolata. Lo sviluppo di guide, cateteri e palloncini di angioplastica di nuova concezione hanno migliorato enormemente le possibilità di trattamento endovascolare. Poiché le arterie crurali hanno un diametro simile a quello delle coronarie, inizialmente si tentava di trattare le arterie crurali con guide e cateteri previsti per la cardiologia interventistica. Questi permettevano solitamente il trattamento di stenosi o oc- clusioni corte. La malattia crurale è però spesso una malattia diffusa, con lesioni lunghe e a più livelli. Grazie allo sviluppo di cateteri più appropriati, lunghi e di diametro molto ridotto, si riesce ora a ricanalizzare completamente dei vasi totalmente occlusi. Con l’uso di questi nuovi materiali e seguendo una tecnica scrupolosa si arriva a successi procedurali fino al 90% con tassi di salvataggio dell’arto attorno all’80-90% a un anno (se combinati a follow-up clinici meticolosi, cura delle ferite moderne e a reinterventi al bisogno)9. La chirurgia prevede per questi casi solitamente il confezionamento di un by-pass femoro-popliteo distale o femoro-crurale, che deve essere eseguito obbligatoriamente con vena in situ o ex-situ invertita. In assenza della safena magna entrano in considerazione la safena controlaterale, la safena parva e le vene del braccio. A volte siamo confrontati con l’assenza completa di vene utilizzabili (pazienti che hanno già subito altre forme di by-pass o un pregresso stripping venoso). In questi casi specifici ripieghiamo sul by-pass protesico, facendo uso di una protesi in PTFE con anelli di rinforzo su tutta la lunghezza che impediscono il collasso soprattutto in corrispondenza delle articolazioni, e con una “campana” distale che ottimizza la dinamica dei flussi a livello dell’anastomosi diminuendo il rischio di stenosi anastomotiche distali (protesi DistafloR). Questo tipo di by-pass è gravato di numerose possibili complicanze tra le quali l’infezione protesica, la trombosi su stenosi anastomotica o su basso flusso (in caso di flusso distale insufficiente). La discussione interdisciplinare permette spesso di trovare per il singolo paziente soluzioni ibride assolutamente interessanti, di chirurgia vascolare combinata con angioplastica o stent. Nella steno-occlusione iliaca associata a problematica più periferica, combineremo quindi un interven- 74 GIUGNO 2009 to di by-pass distale con un’angioplastica iliaca, eseguita nella stessa seduta operatoria. In un paziente con lesioni multidistrettuali alle gambe in assenza di vena, tenteremo un approccio chirurgico con protesi sopragenicolare, combinato con angioplastica dei vasi più distali, sempre da eseguire nella stessa seduta operatoria. È nostra opinione che poter disporre di una tecnica chirurgica e endovascolare di alto livello, combinata ad un rigore nella posa dell’indicazione ed alla massima apertura nel valutare tutte le possibili alternative di trattamento nel singolo paziente, sia la chiave per un buon tasso di successo in questo tipo di medicina di grande complessità. Riassunto Il paziente claudicante è primariamente un paziente a rischio di mortalità cardiovascolare e necessita di un approccio sistemico attivo. Nel caso di indicazione alla rivascolarizzazione le tecniche endovascolari hanno quasi completamente soppiantato la chirurgia. I risultati del trattamento endovascolare di lesioni stenotiche o occlusive dell’arteria femorale superficiale (lesioni corte e lunghe) sono migliorati significativamente nel tempo. Nei casi in cui la chirurgia è ancora indicata, disponiamo oggigiorno di tecniche innovative e di possibilità di intervento ibrido, che migliorano il tasso di successo a lungo termine, diminuendo il trauma chirurgico. Nell’ischemia critica, sintomi e rischio di perdita dell’arto impongono un approccio aggressivo. Gli sviluppi tecnologici, l’ottimizzazione della farmacoterapia e i migliori risultati clinici hanno portato a cambiamenti importanti nelle linee direttive TASC, che tendenzialmente raccomandano più procedure endovascolari anche nelle lesioni crurali. Per la morfologia complessa delle lesioni vascolari i pazienti con ischemia critica necessitano spesso di cura chirurgica. La possibilità di TRIBUNA MEDICA TICINESE 235 SEZIONE SCIENTIFICA una cura ibrida chirurgica-endovascolare può offrire soluzioni meno invasive e più accettabili per i pazienti ad alto rischio. Dr. med. Luca Giovannacci, Capo Servizio Chirurgia, Centro Vascolare ORL Dr. med. Josua C. Van den Berg, Capo Servizio Radiologia Interventistica, Centro Vascolare ORL Bibliografia 1 Dormandy JA, Rutherford RB. Management of peripheral arterial disease (PAD). TASC Working Group. TransAtlantic InterSociety Consensus (TASC). J Vasc Surg 2000; 31:S1-S296. 2 Norgren L, Hiatt WR, Dormandy JA et al. Inter-Society Consensus for the Management of Peripheral Arterial Disease (TASC II). J Vasc Surg 2007; 45 Suppl S:S5-67. 3 Reed AB, Conte MS, Donaldson MC et al. The impact of patient age and aortic size on the results of aortobifemoral bypass grafting. J Vasc Surg 2003; 37:1219-1225. 4 Kasapis C, Henke PK, Chetcuti SJ et al. Routine stent implantation vs. percutaneous transluminal angioplasty in femoropopliteal artery disease: a meta-analysis of randomized controlled trials. Eur Heart J 2009; 30:44-55. 5 Schillinger M, Sabeti S, Loewe C et al. Balloon angioplasty versus implantation of nitinol stents in the superficial femoral artery. N Engl J Med 2006; 354:1879-1888. 6 Krankenberg H, Schluter M, Steinkamp HJ et al. Nitinol stent implantation versus percutaneous transluminal angioplasty in superficial femoral artery lesions up to 10 cm in length: the femoral artery stenting trial (FAST). Circulation 2007; 116:285-292. 7 Moll FL, Ho GH, Joosten PP et al. Endovascular remote endarterectomy in femoropopliteal long segmental occlusive disease. A new surgical technique illustrated and preliminary results using a ring strip cutter device. J Cardiovasc Surg (Torino) 1996; 37:39-40. 8 Gisbertz SS, Ramzan M, Tutein Nolthenius RP et al. Short-term results of a randomized trial comparing remote endarterectomy and supragenicular bypass surgery for long occlusions of the superficial femoral artery [the REVAS trial]. Eur J Vasc Endovasc Surg 2009; 37:68-76. 9 Adam DJ, Beard JD, Cleveland T et al. Bypass versus angioplasty in severe ischaemia of the leg (BASIL): multicentre, randomised controlled trial. Lancet 2005; 366:1925-1934. 236 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 GIUGNO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole O(RE)CCHIO CLINICO PEDIATRICO: UN BAMBINO DI 6 ANNI CON EMISSIONE FREQUENTISSIMA DI URINA G. Milani, M. Bergmann, T. Corigliano, M.G. Bianchetti Presentazione del caso Danilo (nome fittizio) è un bambino di sei anni che frequenta da due mesi la scuola elementare e non ha antecedenti di rilievo. Fra due mesi e mezzo circa sua madre darà alla luce un nuovo maschietto. Da esattamente 19 giorni Danilo svuota con frequenza elevatissima la propria vescica sia a casa che a scuola (la mamma riferisce che qualche giorno fa Danilo è andato in bagno 17 volte tra le 13.00 e le 17.00). L’emissione frequente di urina, il cui colore e odore non si sono modificati, non si associa a perdita involontaria di urina e avviene senza difficoltà e senza dolore. L’emissione di urina avviene con frequenza elevatissima unicamente durante il giorno. Durante la notte, infatti, Danilo non si alza per andare in bagno o per bere e neppure bagna nuovamente il letto. La defecazione è una volta al giorno. Danilo è in ottime condizioni, con un peso di 20.45 kg (percentile 50), una statura di 1.191 m (percentile 82), un polso di 86/minuto, una pressione ar* Il termine “enuresi” (oppure il suo sinonimo “enuresi notturna”) designa una emissione involontaria di urine durante il sonno in bambini oltre i 5-6 anni di età (nell’incontinenza urinaria l’emissione di urine avviene, invece, durante il giorno in un soggetto sveglio). teriosa di 89/45 mm Hg, una frequenza respiratoria di 14/minuto, una temperatura ascellare di 36.4 °C e un’auscoltazione cardiaca e polmonare normale. Nella regione sacrale non si notano un ciuffo di peli oppure una decolorazione cutanea e non si palpa nessun tumoretto. La sensibilità tattile della regione dei pantaloni del cavallerizzo è intatta. Il prepuzio è sovrabbondante, il glande si lascia scoprire agevolmente e non è arrossato. L’orifizio anale non è arrossato e senza sottili filamenti bianchi e mobili (= ossiuri). Lo stick reattivo urinario è negativo per glucosio, acetone, proteine, nitriti, leucociti (esterasi leucocitaria) e “sangue” (tetrametilbenzidina) e l’urinocoltura sterile. La glicemia, misurata un’ora dopo un pasto, è di 5.2 mmol/L. Commento Danilo soffre di pollachiuria, ovverosia svuota con frequenza elevata la propria vescica. La pollachiuria, tuttavia, non si associa ad altri disturbi come poliuria, ovverosia emissione di una quantità eccessivamente elevata di urina (il bambino con poliuria svuota la propria vescica durante la notte e si sveglia per bere), disuria, ovverosia emissione difficile, stranguria, ovverosia emissione dolorosa, incontinenza, ovverosia perdita involontaria diurna di urina in tempi e luoghi inappropriati, enuresi* o nitturia. Nel bambino l’infezione urinaria è causa frequente di pollachiuria. In un maschietto apiretico di 6 anni senza fimosi, con un’urina di colore e odore normali e senza disuria o stranguria un’infezione urinaria è poco probabile. Non sorprendono, dunque, lo stick urinario e l’urinocoltura negativi. La pollachiuria caratterizza il diabete mellito, il diabete insipido e di tutte le altre condizioni che si associano a poliuria. In assenza di enuresi, di nitturia e di apporto di liquidi durante la notte queste condizioni paiono improba- 74 GIUGNO 2009 bili. È dunque ragionevole il curante, che si è limitato a escludere un diabete mellito rinunciando ad altri accertamenti come un test di deprivazione di acqua oppure l’esecuzione di un’ecotomografia renovescicale alla ricerca di una nefrocalcinosi, una nota causa di poliuria. Nel bambino la vescica iperattiva è una disfunzione vescicale frequente caratterizzata da pollachiuria, urgenza minzionale (ovverosia desiderio improvviso e impellente di urinare difficile da rinviare) e incontinenza urinaria diurna. Danilo si presenta con pollachiuria ma senza incontinenza urinaria e manovre di controllo vescicale come il saltellare e il prendere posizioni particolari per impedire l’emissione di urina come l’accovacciarsi sulle gambe e il sedersi sui talloni, due sintomi tipici di urgenza menzionale dell’età pediatrica (figura 1). La diagnosi di vescica iperattiva è dunque improbabile. Nel bambino grandicello le cause più frequenti di vescica neurologica sono i difetti chiusi del tubo neurale e l’ancoraggo midollare (o tethered cord), l’herpes zoster della regione anogenitale e le lesioni traumatiche. Tuttavia, l’esame clinico e la storia di Danilo, in particolare l’assenza di incontinenza urinaria, sono difficilmente compatibili con una vescica neurologica. Nella femmina la pollachiuria è talvolta il sintomo di un’ossiuriasi. Il sesso di Danilo, l’assenza di prurito anale (prevalentemente notturno, d’altronde, nell’osssiuriasi) e l’esame clinico senza arrossamento anale e senza i tipici “vermetti” rendono improbabile la diagnosi di ossiuriasi. Il curante ha pertanto rinunciato alla loro ricerca tramite “scotch test”. Questo semplice esame sarebbe tuttavia indicato in una femmina, anche perché l’ossiuriasi causa talvolta pollachiuria non associata a prurito anogenitale e stranguria. Nel caso di Danilo la pollachiuria isolata di insorgenza acuta, la normalità TRIBUNA MEDICA TICINESE 237 SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole Fig. 1: Tentativi di rimandare l’emissione di urina con manovre di sostegno del piano perineale in pazienti pediatrici con vescica iperattiva. Questi segni sono assenti nel caso di Danilo. Il paziente “balla e saltella”, si accovaccia sulle gambe e si siede sui talloni (pannello di sinistra), preme manualmente l’orificio uretrale (pannello centrale) oppure incrocia le gambe (pannello di sinistra). L’accovacciamento sui talloni è riferito in come segno della cortesia di Vincent, l’autore che lo descrisse nel 1966 (Vincent SA. Postural control of urinary incontinence: the curtsy sign. Lancet 1966; 288: 631-632). • Condizioni associate a poliuria (esempi: diabete mellito, diabete insipido, nefrocalcinosi, dell’obiettività e degli esami complementari coincidono perfettamente con una condizione relativamente poco nota ma non rara, la pollachiuria diurna del bambino. In questa condizione puramente descrittiva, in passato erroneamente denominata pollachiuria diurna isolata del bambino, la pollachiuria diurna, disturbo “sin qua non”, si associa nel 20 percento dei casi anche a incontinenza urinaria diurna, a nitturia, a enuresi secondaria oppure a disuria e stranguria. Tuttavia il disturbo pollachiuria è quantitativamente predominante rispetto agli altri. Diagnosi squisitamente clinica e di esclusione (oltre alle condizioni sin qui discusse è importante evocare le situazioni riportate nella tabella 1), la pollachiuria diurna del bambino è condizione riconducibile a numerose cause. Nella nostra attività clinica di routine, tuttavia, enfatizziamo le due seguenti cause (tabella 2): a) urine eccessivamente acide (in seguito al consumo di bevande acide come il succo di arance, il succo di mele, il succo di pompelmo e il succo di pomodori) oppure contenenti molto acido ossalico (in particolare il te freddo); e b) fattori emozionali e psicosociali. nefropatie interstiziali) • Farmaci (esempi: alcuni antiistaminici, diuretici, teofillina, cisapride, farmci psicotropi) • Infezioni delle vie urinarie • Ossiuriasi • PANDAS* • Pregressi abusi sessuali • Urolitiasi • Vescica iperattiva (= vescica instabile) dell’età evolutiva * Pediatric (Autoimmune) Neuropsychiatric Disorders Associated with Streptococcal Infections. Questa sindrome, di descrizione relativamente recente, riunisce disturbi del movimento (movimenti coreici e tic) e disturbi ossessivi compulsivi che si sviluppano dopo un’infezione provocata da uno streptococco del gruppo A. La PANDAS è probabilmente una malattia autoimmune caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi diretti verso il nucleo caudato e di autoanticorpi antineuroni. Tab. 1: Condizioni da evocare in soggetti con sospetta pollachiuria diurna del bambino. 238 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 GIUGNO 2009 Decorso L’accurato esame clinico, i risultati degli esami delle urine e di un’ecotomografia renovescicale (oggettivamente superflua in questa situazione) rassicurano i genitori di Danilo, che si rasserenano ulteriormente quando spieghiamo loro che i disturbi di Danilo sono ben noti, non dovuti a “cancro del rene o della vescica”, e benigni. Raccomandiamo un apporto importante di liquidi evitando le bevande acide oppure contenenti acido ossalico e consigliamo ai genitori di Danilo di riflettere a proposito dello stress causato al bambino dall’inizio della scuola oppure dalla prevista nascita del fratellino. Dopo qualche giorno si ripresentano ipotizzando che il figlio SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole • Approccio cognitivo-compartamentale (= cognitive-behavioral intervention) - Rassicurare la famiglia sulla natura benigna della condizione (con frequenti consultazioni e ripetuti accurati esami clinici) - Discussione con la famiglia di possibili fattori psicologici scatenanti (“stressors”) - Valutazione pedopsichiatra a) quando la pollachiuria diurna si associa a rilevanti anomalie nell’individuo affetto oppure nella sua famiglia e b) quando il disturbo persiste a lungo • Approccio dietetico - Importante apporto idrico (= terapia idropinica) - Ridotto apporto di acido ossalico (te nero e te freddo), di bevande acide (succo di arance, succo di mele, succo di pompelmo, succo di pomodori) e di caffeina (bevande cola, drinks a base di cioccolata, te nero e freddo)* • Altre misure (unicamente in bambini con pollachiuria persistente o grave) - Biofeedback - Farmacoterapia: indometacina oppure farmaci anticolinergici (ossibutinina, tolterodina) * Non consigliamo mai una riduzione dell’apporto di calcio (consigliato invece da alcuni centri nordamericani). Tab. 2: Programma assistenziale del bambino pollachiuria diurna del bambino raccomandato dal Servizio Integrato di Pediatria di Mendrisio e Bellinzona. vive l’annunciato arrivo del fratellino come una “minaccia”. Si decide dunque di “rassicurare” Danilo: il padre, appassionato di falegnameria, lo coinvolge nella costruzione dei mobili della propria nuova camera e non solo, come finora, in quella della culla per il nascituro. Dopo quattro settimane Danilo è completamente “guarito”. Bibliografia Bergmann M, Corigliano T, Ataia I, Renella R, Simonetti GD, Bianchetti MG, von Vigier RO. Childhood extraordinary daytime urinary frequency - a case series and a systematic literature review. Pediatr Nephrol 2009; 24: 789-795 G. Milani, M. Bergmann, T. Corigliano, M.G. Bianchetti Servizio Integrato di Pediatria di Mendrisio e Bellinzona Corrispondenza: Dr. Mario G. Bianchetti, Servizio di Pediatria, Ospedale San Giovanni, 6500 Bellinzona (Email: [email protected]) 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 239 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB Il Journal Club di questo mese è stato curato dall’Ospedale Regionale Beata Vergine di Mendrisio FISTOLE ANASTOMOTICHE DEL COLON: FATTORI RISCHIO, DIAGNOSI, TRATTAMENTO Kingham TP, Pachter HL: Colonic Anastomotic Leak: Risk Factors, Diagnosis, and Treatment: J Am Coll Surg2009, Vol 208: 269-278 Riassunto/Adattamento: F. Fasolini OBV Mendrisio Introduzione L’insufficienza dell’anastomosi è una delle complicanze più temute nella chirurgia del colon. Essa condiziona un aumento della morbilità e della letalità, un prolungamento del ricovero, un aumento dei costi e non da ultimo un maggior rischio di ripresa della malattia. La frequenza di rottura dell’anastomosi colica nella letteratura varia dall’1% al 30%, situandosi tra il 3 e il 6% in mani di chirurghi colo-rettali esperti. Scarsi sono i dati ricavabili da studi prospettici randomizzati. Obiettivo della review è l’analisi dei fattori rischio per lo sviluppo di una fistola dell’anastomosi e l’individuazione dei metodi diagnostici e terapeutici per la soluzione di questa problematica. Definizione dell’insufficienza anastomotica Non esiste consenso nel definire una insufficienza dell’anastomosi. Ciò rende difficile l’interpretazione dei risultati riportati dalla letteratura, in quanto vi è differenza tra la fuoriuscita di mezzo di contrasto dalla sutura intestinale riscontrata in controllo di routine mediante clisma opaco e senza alcuna corrispondenza clinica, e tra la sindrome di segni clinici, umorali e radiologici dovuti a deiscenza dell’anastomosi, come dolore, spurgo purulento o fecale da drenaggio o ferita, peritonite, reazione infiammatoria, raccolte liquide o aeree attorno all’anastomosi o nell’addome. Fattori rischio per lo sviluppo di una deiscenza dell’anastomosi I fattori rischio si possono raggruppare come segue: Fattori legati al paziente: • Classe ASA > 3 • Malnutrizione, calo ponderale • Alcool • Fumo • Diverticolosi • Ostruzione intestinale • Leucocitosi • Stato settico • Malattia cardiovascolare • Diabete mellito • Steroidi Fattori addizionali legati alle anastomosi basse: • Sesso maschile • Obesità [in corsivo i fattori provati in più studi] Fattori legati al gesto chirurgico: • Anastomosi bassa • Circolazione sub-ottimale o tensione a livello di anastomosi • Tempo operatorio oltre due ore • Emotrasfusione peri-operatoria • Intervento eseguito in urgenza • Controllo tenuta anastomosi patologico (fuga aria o colorante) Fattori rischio incerti ma da non sottovalutare anche se sinora non provati • Radio / chemioterapia neo-adiuvante • Bevacizumab Fattori che non sembrano influire sullo sviluppo o meno di una insufficienza dell’anastomosi • Preparazione intestinale 74 GIUGNO 2009 • Tipo di anastomosi (meccanica o manuale) • Tipo di approccio (laparoscopico o a cielo aperto) • Drenaggio dell’anastomosi • Confezione di manicotto omentale attorno all’anastomosi • Protezione dell’anastomosi con camicie endoluminali riassorbibili, rinforzo suture meccaniche con tessuti riassorbibili, saldatura anastomosi con colla fibrina • Diversione fecale attraverso stoma (ileo-stoma, colo-stoma) a monte dell’anastomosi. Sta però il fatto che, nel caso di sviluppo di fistola dell’anastomosi, questa mostri un’evoluzione molto meno aggressiva in caso di avvenuta esclusione tramite stoma a monte; in ogni caso, riscontrata la fuga di aria o di soluzione colorante p.es. Betadine, una volta non riuscita la riparazione immediata dell’anastomosi, risulta d’obbligo la diversione fecale Tempo di sviluppo dell’insufficienza dell’anastomosi Il momento di manifestazione di un’insufficienza dell’anastomosi varia dai pochi giorni alle 6 settimane dopo l’intervento. Generalmente lo sviluppo precoce della fistola è imputabile a disguidi tecnici nella confezione dell’anastomosi, mentre le insufficienze tardive suggeriscono piuttosto la presenza di problemi biologici. Se la diagnosi si basa su elementi clinici, essa avviene di regola entro i primi 7 giorni dall’intervento, mentre se il riscontro è radiologico, questi si manifesta all’incirca dopo due settimane; resta inoltre un buon 10% di casi dove la diagnosi viene fatta dopo oltre un mese dall’operazione. Con il progressivo raccorciamento della durata di degenza, sempre più insufficienze dell’anastomosi occorrono in pazienti già dimessi dall’ospedale. Ciò implica un’attenzione particolare all’informazione da fornire al paziente stesso come al medico cu- TRIBUNA MEDICA TICINESE 241 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB rante che riprende a carico il paziente, onde reagire tempestivamente e procedere a nuovo ricovero in caso di insorgenza di sintomi sospetti. Trattamento dell’insufficienza dell’anastomosi Le misure da intraprendere una volta diagnosticata l’insufficienza dell’anastomosi variano a dipendenza di dimensione e portata della fistola e di stato del malato. Fistole piccole e ben drenate al limite possono essere trattate con riposo intestinale, liquidi parenterali, antibiotici a largo spettro e alimentazione parenterale. Diverse tecniche interventistiche allargano il ventaglio terapeutico, p.es. il drenaggio percutaneo guidato degli ascessi, la posa endoscopica di stent colici e di dispositivi vacuum. Spesso però bisogna ricorrere a reintervento chirurgico riparatore: sul colon destro, quando la contaminazione è moderata, è possibile allontanare il segmento deiscente e confezionare una nuova anastomosi drenandola bene; pertanto, dove si riscontrano flogosi importante e contaminazione severa, è preferibile rinunciare a nuova viscerosintesi e quindi esteriorizzare il tenue quale ileo-stoma terminale e il colon quale fistola mucosa, a meno che non venga lasciato in sito e chiuso in analogia ad un moncone Hartman. Sul colon sinistro il gesto chirurgico dipende dalla localizzazione dell’anastomosi: le rotture intraperitoneali possono venire resecate, i monconi intestinali esteriorizzati quali stomi, a meno che si preferisca anche qui ricorrere alla situazione Hartman; le anastomosi molto basse preferibilmente vengono drenate ampiamente ed escluse attraverso confezione di ileostoma o colo-stoma a monte; in questa sede prendono sempre più piede dispositivi vacuum introdotti per via transluminale nella cavità ascessuale perianastomotica, non esonerando però dalla diversione fecale tramite stoma a monte. 242 TRIBUNA MEDICA TICINESE Commento Trattasi di una review che riprende und argomento temuto e già più volte discusso nel panorama letterario chirurgico addominale. Interessante il fatto che, nonostante l’alto volume di articoli inerenti questo tema, resta il problema delle grandi differenze nella scelta dei metodi di ricerca ed analisi adottati, creando importanti bias. D’altronde, come già per intuizione, i possibili fattori rischio sopra elencati vanno seriamente contemplati, onde potere preparare il malato all’intervento nel miglior modo possibile, eliminando tutte le condizioni di partenza avverse, ed eseguire l’intervento con la massima precisione e coscienziosità, verificando passo per passo che il tutto proceda correttamente. In sintesi e quale opinione personale, in merito alle resezioni del colon eseguite in elezione, va ribadita l’importanza di • preparare il malato all’intervento in modo ottimale - animandolo ad astenersi dal fumo e dall’alcool eccessivo almeno 3-4 settimane prima dell’operazione - correggendogli un eventuale stato di malnutrizione e prescrivendogli una immunonutrizione preoperatoria - correggendogli uno scompenso diabetico e ottimizzandogli una terapia cardiaca, eventualmente aggiungendo delle statine - interrompendo un eventuale trattamento antiangiogenetico 2 mesi prima dell’operazione • rinunciare alla preparazione colica sistematica • eseguire le resezioni coliche a sinistra sempre mobilizzando la flessura sinistra per evitare tensione e procedendo alla legatura vascolare radicolare garantendo così una sufficiente circolazione collaterale lungo le arcate del meso; sottoporre l’anastomosi a controllo di tenuta 74 GIUGNO 2009 (insufflazione di aria, ev. irrigazione con soluzione colorante, p.es. Betadine), in caso di dubbio procedere a diversione fecale a monte attraverso ileo-stoma o colo-stoma • evitare quanto possibile delle emotrasfusioni perioperatorie • alimentare il malato il più presto possibile per bocca SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di medicina d’urgenza PRESA A CARICO INIZIALE DELLO STATO SETTICO NELL’ADULTO D. Fadini Definizioni SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica): è presente in condizioni infettive e non infettive (pancreatite, trauma,…), ed è definita da tachipnea (FR > 20 atti/min), tachicardia (FC > 90 battiti/min), ipo- o ipertermia (T < 36° C o > 38° C) e alterazione dei globuli bianchi (leucopenia < 3.8 G/l, leucocitosi > 12 G/l o aumento del 10% delle forme immature dei neutrofili). Sepsi: infezione documentata o sospetta + SIRS L’infezione grave ha ripercussioni serie sul paziente che curiamo, sia in termini di mortalità che di morbidità. Con una prevalenza di circa 110 casi su 100'000 abitanti, la sepsi severa è una patologia non così rara alle nostre latitudini. La sua mortalità si aggira sempre ancora attorno al 2530% nei paesi industrializzati. Diversi fattori di rischio aumentano la pericolosità delle infezioni gravi, in particolare l’età del paziente, le sue comorbidità, le terapie immunosupprimenti concomitanti (in primis gli steroidi) ed il crescente numero di germi multiresistenti. Una presa a carico rapida ed adeguata migliora sostanzialmente la prognosi del paziente affetto da infezione grave: dal 2004 gli esperti della Surviving Sepsis Campaign hanno pubblicato le linee guida per la presa a carico del paziente settico, e le hanno aggiornate per la seconda volta nel 2008. Sulla traccia di queste indicazioni ci soffermeremo sui primi passi urgenti a livello diagnostico e terapeutico da intraprendere di fronte al paziente in stato settico. Sepsi grave: sepsi complicata da disfunzione d’organo Shock settico: sepsi con ipotensione arteriosa persistente malgrado adeguato riempimento volemico Prime misure diagnostiche • Raccolta dell’anamnesi, con particolare attenzione ai sintomi che possono ricondurre ad un focolaio preciso di infezione, all’evoluzione della febbre, alla presenza di brividi scuotenti, a disfunzioni d’organo (ad es. stati confusionali), alle comorbidità, a medicazioni con effetto immunosupprimente o ad esiti di splenectomia, a pregresse infezioni a germi problematici, e ad eventuali contatti con malattie tropicali. • Visita clinica: ricerca di polmonite, infezione urinaria, infezione addominale, infezione delle parti molli o di corpo estraneo, della sfera ORL (incluso sinusiti), ecc. Non sono da dimenticare le infezioni “nascoste” come le endocarditi e le meningiti. • Ricerca di SIRS (misurazione di FC, FR, T, Lc). • Esami per batteriologia, in particolare emocolture! In pazienti con pregresse infezioni a germi proble- 74 GIUGNO 2009 matici (albero bronchiale, urine, cute,…) ottenere una batteriologia mirata (espettorato, urinocoltura, striscio ferita,…) prima di iniziare l’antibioterapia. Questa ricerca non deve però ritardare l’inizio dell’antibioterapia. • In ospedale viene eseguita la determinazione del lattato sierico quale marker dell’insufficienza circolatoria/dello stato di shock. La determinazione dell’acido lattico guida nella gestione dell’emodinamica del paziente. Inoltre ha un valore prognostico. • La determinazione della Proteina C Reattiva o della Procalcitonina può aiutare nella diagnosi di infezione severa e nel monitoraggio del decorso. Valori normali o poco patologici dei due parametri citati non escludono una sepsi severa appena esordiente. Il brivido scuotente Corrisponde alla risposta da parte dell’organismo per l’avvenuta batteriemia. È di conseguenza il momento migliore per prelevare le emocolture. Caratterizzato da un importante stress catecolaminergico, il brivido scuotente viene spesso confuso dal personale curante con “dispnea acuta”, “picco ipertensivo”, “stato confusionale acuto”, “malessere”, “angina pectoris”. Solitamente il paziente presenta durante il brivido una netta tachipnea (necessaria a compensare il consumo d’ossigeno su attivazione muscolare generalizzata), tachicardia, ipertensione arteriosa e cute marmorizzata (su secrezione delle catecolamine endogene). La febbre spesso sale dopo il brivido. Un brivido scuotente può essere complicato da ischemia miocardica o ictus cerebri. A causa dell’importante bisogno di ossigeno, la prima manovra tera- TRIBUNA MEDICA TICINESE 243 SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di medicina d’urgenza peutica in caso di brivido è la somministrazione dello stesso ad alto flusso. A livello medicamentoso per bloccare il brivido è solitamente efficace la Pethidina (12.5 – 25 mg iv), oppioide 10 volte meno potente della Morfina. Si evitino terapie antiipertensive durante il brivido: non appena lo stesso termina il paziente presenta spesso valori pressori ridotti, che verrebbero ulteriormente peggiorati. Prime misure terapeutiche: • Iniziare un trattamento antibiotico a largo spettro il più presto possibile, ma dopo le colture adeguate (per permettere, una volta determinato il germe responsabile della sepsi, di istaurare un’antibioterapia mirata). • In caso di shock settico (ipotensione +/- tachicardia, tempo di ricapillarizzazione digitale > 2 sec, disfunzione multiorgano, acidosi lattica > 4 mmol/l) iniziare un’idratazione aggressiva con soluzioni fisiologiche (NaCl 0.9% almeno 20 ml/Kg in 1-2 h). • Ubi pus ibi evacua: per focolai da sanare chirurgicamente (ad es. ascessi, peritonite, fascite necrotizzante) il paziente deve andare in sala operatoria al più presto (entro 6 ore!). • Corpi estranei infetti sono da asportare. • Pazienti sotto corticosteroidi cronici, se in shock settico, beneficiano di un potenziamento transitorio della terapia steroidea, alfine di supplire all’insufficienza surrenalica intercorrente. anche verso un supporto ventilatorio meccanico, una sostituzione renale (emofiltrazione o emodialisi) e la presa a carico di un’eventuale coagulazione intravasale disseminata. Riassumendo Lo stato settico è una patologia con conseguenze gravi per il paziente, ed è una sfida anche per il medico di primo ricorso. In primis si tratta di riconoscere la gravità della malattia e le sue complicazioni (le disfunzioni multiorgano), quindi di agire rapidamente con una diagnostica adeguata, senza mai dimenticare le colture batteriologiche prima di intraprendere un’antibioterapia incisiva. Nei primi passi terapeutici sono determinanti per la prognosi il fattore tempo, la sostituzione aggressiva di liquidi e l’eventuale intervento chirurgico atto a sanare il focolaio infettivo. Dr. med. D. Fadini Capo Servizio Pronto Soccorso Ospedale Regionale Mendrisio [email protected] Ringrazio Dr. med. A. Pagnamenta per la lettura critica del testo. In caso di insufficiente risposta alla terapia con volume il paziente beneficerà di un supporto con catecolamine (Noradrenalina, ev. Dobutamina) nel reparto di medicina intensiva. La terapia intensiva verterà, se necessario, 244 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 GIUGNO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole PATOLOGIA IN PILLOLE Nr. 39 E. Passega Sidler, F. Quadri Storia clinica Uomo di 69 anni, lamenta da alcuni anni broncorrea, rinorrea e tosse. Valutato inizialmente dal profilo ORL, con diagnosi di sinusite cronica e rinite cronica. Una valutazione pneumologica suggeriva già 2 anni prima della diagnosi la possibile presenza di un processo interstiziale incipiente senza compromissioni funzionali di rilievo. In seguito, vista la riapparizione di tosse non spiegata sufficientemente dalla sinusite cronica, viene rivalutata la situazione respiratoria. La radiografia convenzionale (Fig. a) evoca la possibilità di un processo interstiziale che è confermato alla TAC alta definizione (Fig. b). Sono presenti alterazioni reticolari con “honeycombing”, prevalentemente nei campi inferiori, più marcate a destra. Non sicure alterazioni a vetro smerigliato. Gli esami di funzionalità respiratoria mostrano unicamente una significativa riduzione dei parametri della diffusione alveolo-capillare per il CO (DLCO) suggestiva per un isolato disturbo della diffusione. Unica patologia di rilievo associata, una cirrosi epatica CHILD-A su epatite C; non collagenopatie. Nessuna anamnesi di esposizione a raggi o di terapia con farmaci pneumotossici. Nessuna rilevante esposizione a polveri inorganiche o allergeni. chiazze, del parenchima polmonare (Fig. c). Le zone lese sono distribuite prevalentemente alla periferia del lobulo, in sede subpleurica e nella regione dei setti interlobulari. Fra le zone lese sono presenti aree di parenchima normale. Si parla a questo proposito di eterogeneità spaziale del reperto. Le lesioni consistono di fibrosi interstiziale collagena densa (Fig. d), a volte con sovvertimento strutturale del parenchima a nido d’ape, infiammazione interstiziale cronica (Fig. e) con infiltrati lin- focitari d’entità piuttosto scarsa, e focolai di fibrosi lassa riccocellulare apposti all’interstizio (“fibroblast foci”; Fig. f). Le zone di fibrosi densa rappresentano il danno di lunga durata, i focolai fibroblastici la fase attiva della malattia. Si parla a questo proposito di eterogeneità temporale del quadro istologico. Oltre a ciò, si rinvengono alterazioni secondarie, quali il ristagno di macrofagi, secreto e granulociti neutrofili nelle zone strutturalmente sovvertite. A B C D E F Indica la diagnosi corretta: a Polmonite interstiziale non specifica (Non Specific Interstitial Pneumonia) b Alveolite allergica in fase cronica c Danno da farmaci d Fibrosi polmonare idiopatica / “Usual Interstitial Pneumonia” e Artrite reumatoide. Viene effettuata una biopsia chirurgica del lobo superiore sinistro che ad esame a basso ingrandimento mostra un’alterazione non diffusa, bensì a 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 245 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole Diagnosi Fibrosi polmonare idiopatica / “Usual Interstitial Pneumonia” L’interstizio polmonare può rispondere agli agenti nocivi con un repertorio limitato di quadri istopatologici: un particolare quadro può essere causato da agenti anche molto diversi e, reciprocamente, un agente particolare può causare alterazioni istopatologiche diverse. Per una classificazione morfologica delle interstiziopatie ci si può riferire al Consenso sulla Classificazione delle Interstiziopatie Polmonari della ATS/ERS (ref. 1) dove i quadri principali (Tabella 1) vengono definiti nel contesto delle interstiziopatie idiopatiche, cioè quelle da causa sconosciuta e non associate a malattia sistemica. In realtà, gli stessi quadri istopatologici ritrovati nelle interstiziopatie idiopatiche possono essere determinati da cause note oppure essere manifestazione di una malattia sistemica. Così, la morfologia di tipo “Usual interstitial Pneumonia “(UIP), oltre che espressione di una fibrosi polmonare idiopatica, può essere espressione di una collagenopatia, di una pneumopatia da raggi, di un danno medicamentoso, di una pneumoconiosi, o essere mimata da altre pneumopatie nella loro fase cronica. La distinzione della pneumopatia idiopatica da quella secondaria si fonda primariamente su dati anamnestico-clinici: esclusione di esposizione a polveri o allergeni, di terapia con medicamenti pneumotossici, esclusione di collagenopatia, ecc. È per contro appannaggio dell’anatomo patologo distinguere un tipo morfologico di interstiziopatia dalle altre, in base alla distribuzione delle lesioni nell’ambito della microanatomia polmonare (focale o diffusa, centrolobulare o periferica, peribronchiolare, perivascolare o linfangitica), in base alla maggiore o minore cronicità (pneumopatia croni- 246 TRIBUNA MEDICA TICINESE Histologic Patterns Usual interstitial pneumonia (UIP) Nonspecific interstitial pneumonia (NSIP) Organizing pneumonia (OP) Diffuse alveolar damage (DAD) Respiratory bronchiolitis (RB) Desquamative interstitial pneumonia (DIP) Lymphoid interstitial pneumonia (LIP) Clinical-Radiologic-Pathologic Diagnosis Idiopathic pulmonary fibrosis (IPF) Nonspecific interstitial pneumonia (NSIP) Cryptogenic organizing pneumonia (COP) Acute interstitial pneumonia (AIP) Resp. bronchiolitis interst. lung dis.(RBILD) Desquamative interstitial pneumonia (DIP) Lymphoid interstitial pneumonia (LIP) Per facilitare e uniformare la comunicazione clinico-patologica vengono spesso usati termini in inglese con le rispettive abbreviazioni anche in paesi non anglofoni (ndr). Tab. 1: Histologic and Clinical Classification of Idiopathic Interstitial Pneumonias (da ref. 1) ca, subacuta o acuta), alla composizione degli infiltrati, alla presenza o meno di sovvertimento strutturale. Nell’ambito delle interstiziopatie croniche, la diagnosi differenziale istologica della UIP si pone in primo luogo con la variante fibrosante della Nonspecific Interstitial Pneumonia (NSIP). I due elementi istologici principali che distinguono la NSIP dalla UIP sono la distribuzione diffusa e l’assenza di sovvertimento strutturale nella prima. Evoluzione Essendosi esclusi clinicamente, nel presente caso, agenti causali, trattasi di una lesione di UIP idiopatica, corrispondente all’entità clinica Idiopathic Pulmonary Fibrosis (IPF). Vista la persistenza dei disturbi tussivi e la conferma istologica della diagnosi già sospettata clinicamente, viene istituita una terapia con N-acetylcysteina e prednisone con iniziale beneficio soggettivo. Purtroppo, 8 mesi dopo la conferma diagnostica, rapido peggioramento respiratorio con insufficienza respiratoria acuta, “multi organ failure” ed esito infausto. Commento Poiché la diagnosi istologica di una interstiziopatia polmonare si fonda sulla distribuzione, o in parole povere sulla geografia, delle lesioni all’interno del lobulo polmonare, è di solito 74 GIUGNO 2009 necessaria una biopsia relativamente grande, cioè di una biopsia chirurgica, a cielo aperto o toracoscopia, anziché transbronchiale. Inoltre, data la potenziale variabilità del quadro da un distretto all’altro del polmone, alcuni autori raccomandano di biopsiare nella stessa seduta più di un lobo. Le biopsie devono essere profonde (almeno 5cm di altezza, misurata dall’apice profondo alla superficie pleurica) in quanto le zone immediatamente subpleuriche possono presentare fibrosi aspecifica, inoltre devono comprendere sia tessuto macroscopicamente leso che circostante tessuto normale. Va evitata la lingula. Riassumendo La diagnosi istologica di un’affezione interstiziale polmonare solo in una minoranza di casi può fondarsi sul solo reperto anatomico. In generale si tratta di diagnosi anatomo-clinica risultante da una correlazione, eventualmente in più tempi, fra i reperti clinici, radiologici e istopatologici. Se ne deduce l’importanza di una comunicazione dinamica fra gli specialisti interessati. E. Passega Sidler, Istituto cantonale di patologia, Locarno F. Quadri, Servizio di pneumologia, OSG Bellinzona SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole Bibliografia 1 American Thoracic Society/European Respiratory Society International Multidisciplinary Consensus Classification of the Idiopathic Interstitial Pneumonias. Am.J.Resp.Crit.Care Med. 165: 277-304, 2002 2 Katzenstein AL, Myers JL: Lung Biopsy Interpretation, USCAP Short Course 2003 3 Yousem SA: New Diagnostic Approaches to the Chronic Interstitial Pneumonias, USCAP Short Course 2005 74 GIUGNO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 247