RUOLO E LIMITI DELLA DIAGNOSTICA DI LABORATORIO ROUTINARIA PER IL RISCHIO TROMBOTICO (TEST FUNZIONALI E GENETICI): PREDITTIVITA’ E AFFIDABILITA’ DEI TEST Cristina Legnani1, Armando Tripodi2, Daniela Tormene3 1 Laboratorio Specialistico di Coagulazione, U.O. di Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli”, Policlinico S. Orsola – Malpighi, Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna; 2 Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Università degli Studi di Milano; 3 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Clinica Medica 2, Azienda Ospedaliera Università di Padova 1. TEST FUNZIONALI O TEST GENETICI? Le alterazioni trombofiliche possono essere congenite [difetti degli inibitori fisiologici della coagulazione, mutazione R506Q del Fattore V (FV) Leiden, mutazione G20210A della protrombina], miste (iperomocisteinemia) o acquisite [Lupus Anticoagulant (LAC), anticorpi antifosfolipidi)]. Numerose sono le mutazioni geniche che sottendono ai difetti eredofamiliari degli inibitori fisiologici [Antitrombina (AT), Proteina C (PC) e Proteina S (PS)] [1-3]: a scopo diagnostico è quindi impossibile eseguire l’analisi del DNA per verificarne la presenza. Per questa ragione la diagnosi di difetto degli inibitori fisiologici viene eseguita attraverso l’analisi del fenotipo, ovvero la misurazione dei livelli degli inibitori stessi. In caso di riscontro di riduzione dei livelli, il risultato deve essere comunque confermato in un secondo controllo e deve essere esclusa la presenza di condizioni associate a riduzioni acquisite. Per fare diagnosi di difetto eredofamiliare è indispensabile identificare la stessa alterazione in almeno un altro consanguineo. Per quanto riguarda la mutazione R506Q FV Leiden, è possibile discriminare tra soggetti portatori e non di questa mutazione tramite l’impiego di un test funzionale coagulativo, detto test di resistenza alla Proteina C attivata (PCa). Va ricordato che un dato alterato di questo test deve però sempre essere seguito dall’analisi del DNA per verificare la presenza della mutazione stessa [4]. Al contrario, non esiste per la mutazione G20210A della protrombina un analogo test funzionale di screening. Questa mutazione è, in realtà, associata ad aumento dei livelli della protrombina ma data la notevole sovrapposizione dei livelli della protrombina in soggetti portatori e non portatori della mutazione [5] questo dosaggio non può essere utilizzato come test per identificare i soggetti che con maggiore probabilità potrebbero essere portatori della mutazione. L’iperomocisteinemia è invece una condizione mista; i determinanti dei livelli dell’omocisteina sono infatti sia tipo ambientale che genetico. Diverse mutazioni e polimorfismi a carico dei geni che codificano per i numerosi enzimi coinvolti nel metabolismo dell’omocisteina sono associate ad aumentati livelli [cistationina betasintetasi, metilen-tetra-idrofolato-reduttasi (MTHFR), metionina sintetasi e gli enzimi coinvolti nel metabolismo della vitamina B12]. In particolare, la ricerca della forma omozigote TT del polimorfismo C677T della MTHFR, ad alta prevalenza nelle popolazioni caucasiche (oltre il 10%), è spesso inserita nello screening trombofilico. In realtà è stato osservato che questo polimorfismo può essere associato ad aumento dei livelli dell’omocisteina in soggetti con basso livello di acido folico, anche se non è stato dimostrato che esso rappresenti per se un fattore di rischio per trombosi [6]. Quindi non è né consigliabile né necessario eseguire la ricerca di questo e altri polimorfismi a carico dei geni che codificano per gli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’omocisteina. La misura dell’omocisteina plasmatica è di per se sufficiente per identificare i soggetti a rischio. 2. PROBLEMI LEGATI ALLA FASE PRE-ANALITICA La maggior parte delle variabili pre-analitiche che influenzano la qualità dei risultati dei test per la ricerca di alterazioni trombofiliche sono le stesse osservate per gli altri test dell’emostasi. Per ottenere un campione di buona qualità, si raccomandano le seguenti procedure: uso di sodio citrato alla concentrazione di 0.109 M come anticoagulante; esecuzione del prelievo con minima stasi e scarto dei primi 2-3 ml di sangue (per evitare contaminazioni con fluidi tessutali); uso di aghi 19- o 21-gauge (per evitare prelievi indaginosi e quindi conseguente attivazione); sangue immediatamente e delicatamente mescolato all’anticoagulante (per evitare coagulazione del prelievo); centrifugazione entro 4 ore dell’esecuzione del prelievo e conservazione del sangue a temperatura ambiente controllata (18-21°C) (per evitare perdita di sostanze termolabili e attivazione da freddo); centrifugazione a 2000g per 15 min (per eliminare piastrine o frammenti piastrinici; nel caso della ricerca del LAC è indispensabile la doppia centrifugazione); conservazione dei campioni in provette di plastica tappate (per evitare perdita di CO2 e conseguente modificazione del pH), congelamento rapido (meglio se in azoto liquido), conservazione a –70°C e scongelamento rapido prima dell’analisi. L’ispezione del prelievo da parte del personale addetto è fondamentale in quanto campioni itterici, emolizzati, iperlipemici o coagulati non sono idonei (tutte queste condizioni possono interferire pesantemente sul risultato dei test); l’ispezione inoltre consente di identificare campioni con basso/alto ematocrito e quindi aggiustare la quantità di sodio citrato usato come anticoagulante. Per quanto riguarda l’omocisteina in genere si usa EDTA come anticoagulante, ma si può usare anche il citrato. Va tenuto presente che l’omocisteina è contenuta nei globuli rossi e da essi può essere rilasciata nel plasma, così che il suo livello può continuare ad aumentare (fino al 10% per ora a temperatura ambiente) dopo la raccolta dei campioni se il plasma non viene subito separato dalla parte corpuscolata. Se non è possibile eseguire una centrifugazione immediata dei campioni, è consigliabile mantenere i campioni in ghiaccio e separare il plasma entro 1 ora. Generalmente è raccomandato di eseguire il prelievo a digiuno (indispensabile per l’omocisteina) o dopo leggera colazione. 3. ANTITROMBINA L’AT è un inibitore fisiologico della coagulazione a sintesi epatica. In particolare inibisce il Fattore X attivato (FXa) e la trombina. 3.1. Quali metodi Per il dosaggio della AT è raccomandato l’impiego di metodi funzionali basati sull’impiego di substrati cromogenici che misurano l’attività dell’AT come cofattore dell’eparina, i soli in grado di identificare tutti i tipi di difetti [tipo I (riduzione della proteina) e tipo II (produzione di proteina disfunzionale) [7]. Questi metodi possono utilizzare come enzima target il FXa o la trombina. E’ stato osservato che test che impiegano il FXa consentono una più agevole discriminazione tra portatori e non portatori di difetti eredofamiliari rispetto a quelli basati sull’uso della trombina [8]; questo perché i metodi che impiegano trombina possono risentire dell’effetto del cofattore eparinico II (HCII), che è in grado di inibire la trombina ma non il FXa; è stato però osservato che l’interferenza dovuta all’HCII è minima se si impiega trombina bovina al posto di trombina umana. D’altra parte sono stati descritti rari difetti di AT di tipo II identificabili solo attraverso l’uso di metodi che impiegano la trombina [9]. Poiché però le discrepanze tra i due metodi, riportate in letteratura, sono rare non sembra indispensabile eseguire entrambi i test in fase di screening [4]. 3.2. Riproducibilità dei metodi I risultati dei diversi programmi di valutazione esterna di qualità attualmente disponibili hanno dimostrato che tra i test per la trombofilia il dosaggio della AT è il meno problematico e il più riproducibile. I coefficienti di variazione (CV) inter-laboratorio sono in genere compresi tra il 5% e il 10%, con una percentuale (%) di errori diagnostici (ED, falsipositivi o falsi-negativi), inferiore al 5% [10-13]. Come atteso, i CV più alti e la più alta probabilità di ED sono stati registrati per i campioni con livello di AT ai limiti inferiori della norma [13]. 3.3. Intervalli di riferimento Nell’adulto l’intervallo di riferimento dell’AT è abbastanza stretto (generalmente compreso tra 80 e 120%) [14]. Non sono state evidenziate differenze significative rispetto al sesso anche se i livelli di AT sono leggermente più bassi nelle donne in pre-menopausa rispetto agli uomini di pari età [14]. I livelli sono invece significativamente più bassi nel neonato, raggiungendo il livello dell’adulto solo dopo 1 anno di età; i livelli sono inoltre generalmente più alti rispetto all’adulto fino a 16 anni di età [15]. I livelli diminuiscono invece dopo la menopausa, ma non sembra che questo influisca in modo significativo sull’intervallo di riferimento [14]. 3.4. Interferenze I metodi che impiegano trombina determinano una sovrastima dei livelli di AT in pazienti trattati con inibitori diretti della trombina (es. irudina) e quindi non devono essere utilizzati [16]. 3.5. Alterazioni acquisite Una marcata riduzione dei livelli di AT si può osservare per ridotta sintesi (ridotta funzionalità epatica, malnutrizione, estese ustioni, malattie infiammatorie intestinali) o per aumentato consumo [fase acuta di un processo trombotico, coagulazione intravascolare disseminata (CID), reazione emolitica da trasfusione, tumori, terapia con L-asparaginasi, sindrome nefrosica] [7, 17]. Una modesta riduzione dei livelli di AT è stata dimostrata durante il trattamento ormonale specialmente con l’uso di pillole di terza generazione [14, 18]. Non sono state invece dimostrate variazioni significative durante la gravidanza [14, 19]. Diminuzioni significative dei livelli sono state osservate durante il trattamento prolungato con eparina [7]. In soggetti con ridotta AT è consigliabile eseguire test di funzionalità epatica per escludere la carenza acquisita. 3.6. Quando eseguire i test E’ preferibile non eseguire il dosaggio della AT durante la fase acuta di un processo trombotico o dopo un intervento chirurgico. Il test dovrebbe essere eseguito dopo almeno 5 giorni dalla sospensione dell’eparina. 4. PROTEINA C La PC è un inibitore fisiologico della coagulazione a sintesi epatica vitamina K dipendente. In particolare inibisce le forme attivate del FV e del Fattore (FVIII). 4.1. Quali metodi La determinazione dei livelli di PC viene eseguita attraverso l’impiego di metodi funzionali in quanto sono i soli in grado di identificare sia i difetti di tipo I che quelli di tipo II. Questi metodi possono essere di tipo coagulativo (in genere basati su un aPTT modificato), o cromogenici, tramite l’impiego di substrati sintetici. In linea generale l’impiego di metodi coagulativi sarebbe preferibile in quanto questi riproducono meglio in vitro le condizioni di attivazione che si verificano in vivo; d’altra parte è stato dimostrato che questi metodi possono produrre risultati falsamente ridotti in presenza di altre condizioni, quali aumento dei livelli di FVIII [20], presenza della mutazione R506Q FV Leiden [21]; la presenza di LAC può invece essere associata a livelli falsamente ridotti o aumentati [22]. A scopo di screening sembrano quindi preferibili i metodi cromogenici, in quanto più semplici, riproducibili e specifici [23] anche se non in grado di identificare rari difetti di tipo II (prevalenza circa 1% di tutti i difetti), caratterizzati da una alterazione del sito della PC che interagisce con i substrati (FV e FVIII), la PS, i fosfolipidi e gli ioni calcio [24, 25]. 4.2. Riproducibilità dei metodi I risultati dei programmi di valutazione esterna di qualità hanno dimostrato, per il dosaggio della PC, CV inter-laboratorio intermedi, in genere inferiori al 10%, con un ED inferiore al 10% [10-13]. CV ed ED sono risultati significativamente più alti per i metodi coagulativi, specialmente in campioni con mutazione R506Q FV Leiden [11, 12, 26]. Anche in questo caso, i più alti CV e la più alta probabilità di ED sono stati registrati per i campioni con livello di PC ai limiti inferiori della norma [13]. 4.3. Intervalli di riferimento E’ stata dimostrata un’importante sovrapposizione tra i livelli di PC misurati in soggetti portatori e non portatori di difetto eredofamiliare [27]; di conseguenza l’intervallo di riferimento risulta piuttosto ampio (60-140%). Sono state dimostrate differenze significative dei livelli di PC in relazione all’età (valori più bassi nei giovani) e al sesso [14], in parte dovuti ai livelli dei trigliceridi [28]. I livelli di PC sono sensibilmente ridotti nel neonato e nei bambini (20-30%) e aumentano con l’età, raggiungendo valori simili a quelli dell’adulto nell’adolescenza [15]. Valori significativamente aumentati si osservano nelle donne dopo la menopausa. 4.4. Interferenze Come già riportato al paragrafo 4.1. risultati non attendibili possono essere ottenuti con l’impiego di test coagulativi in soggetti con alti livelli di FVIII, presenza della mutazione R506Q FV Leiden, presenza di LAC. 4.5. Alterazioni acquisite Ridotti livelli di PC possono essere presenti in caso di ridotta sintesi (ridotta funzionalità epatica, in corso di terapia anticoagulante orale o in caso di ridotta assunzione o assorbimento di vitamina K) o per aumentato turnover (CID, insufficienza renale, durante la fase acuta di un processo trombotico, nel periodo post-operatorio, ARDS, plasma exchange, emorragia massiva) [29]. Un aumento dei livelli della PC si può osservare durante la gravidanza [29], in corso di trattamento ormonale [18] e in pazienti con sindrome nefrosica, diabete e cardiopatia ischemica. Non è noto se l’aumento dei livelli di PC osservato nelle circostanze sopraindicate abbia un qualche significato clinico, se non per il fatto che può mascherare la presenza di un difetto di PC [29]. In soggetti con ridotta PC è consigliabile eseguire test di funzionalità epatica ed escludere l’assunzione di farmaci anticoagulanti o presenza di LAC. 4.6. Quando eseguire i test E’ preferibile non eseguire il dosaggio della PC durante la fase acuta di un processo trombotico o dopo un intervento chirurgico. Il test dovrebbe essere eseguito dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale. Non è consigliabile eseguire il dosaggio durante la gravidanza o in corso di terapia ormonale, in quanto l’aumento della PC associata a queste condizioni può mascherare la presenza di un eventuale difetto. 5. PROTEINA S La PS è una proteina vitamina K dipendente sintetizzata nel fegato, megacariociti e cellule endoteliali. Circa il 60% della PS è legato al C4b Binding Protein (C4bBP) e in questa forma la PS è funzionalmente inattiva; la forma non legata al C4bBP (PS libera) agisce invece come cofattore della PC attivata ed è indispensabile per l’attività anticoagulante di quest’ultima. 5.1. Quali metodi In teoria, per il dosaggio della PS dovrebbero essere utilizzati metodi funzionali che misurano l’attività della PS libera come cofattore della PC attivata nella degradazione dei fattori Va e VIIIa. Questi metodi però, di tipo coagulativo, si sono dimostrati poco specifici soprattutto a causa della importante interferenza dovuta alla presenza della mutazione R506Q FV Leiden [30, 31], ma anche in caso di presenza di LAC e aumento del FVIII (metodi coagulativi basati sull’aPTT) o presenza di Fattore VII attivato (metodi coagulativi basati sul PT). Per questa ragione e fino a quando non saranno disponibili metodi funzionali più specifici, si preferisce come test di screening l’uso di metodi immunologici che misurano i livelli della PS libera e non risentono delle suddette interferenze [4]. 5.2. Riproducibilità dei metodi I risultati dei programmi di valutazione esterna di qualità hanno dimostrato che il dosaggio della PS è il più problematico tra quelli per la trombofilia, con CV inter-laboratorio che possono arrivare al 40-50%, e con un’alta % di ED (fino al 20%) [10-13, 32]. Come per il dosaggio della PC, CV e ED sono risultati significativamente più alti per i metodi coagulativi, specialmente in campioni con mutazione R506Q FV Leiden [11, 12, 26]. I CV più alti e la più alta probabilità di ED sono stati registrati per i campioni con livello di PS ai limiti inferiori della norma ma anche per campioni con basso livello di PS, specialmente con l’uso di metodi coagulativi [13]. 5.3. Intervalli di riferimento L’intervallo di riferimento della PS risulta piuttosto ampio, con limite inferiore intorno al 60%. I livelli sono lievemente più alti negli uomini rispetto alle donne in età fertile. I livelli aumentano invece dopo la menopausa; nell’uomo invece non state evidenziate variazioni con l’età. I livelli sono significativamente ridotti nei neonati (intorno al 30%) ma aumentano a livello di quelli dell’adulto dopo 1 anno di età. 5.4. Interferenze Come già riportato al paragrafo 5.1. risultati non attendibili possono essere ottenuti con l’impiego di test funzionali coagulativi in soggetti portatori della mutazione R506Q FV Leiden, in caso di presenza di LAC, aumento del FVIII o presenza di Fattore VIIa. 5.5. Alterazioni acquisite Ridotti livelli di PS si possono osservare per ridotta sintesi (ridotta funzionalità epatica, in corso di terapia anticoagulante orale, in caso di ridotta assunzione o assorbimento di vitamina K) e per aumentato turnover (CID). Poiché il C4bBP è una proteina della fase acuta, in tutte le condizioni ove si verifichi un aumento del C4bBP si osserva un aumento della PS legata al C4bBP con conseguente parallela riduzione della PS libera e della sua attività (fase acuta di un processo trombotico, periodo post-operatorio, ecc) [33]. I livelli si riducono in modo significativo durante la gravidanza e in corso di terapia ormonale, specialmente con l’impiego di pillole di terza generazione [18]. In soggetti con ridotta PS è consigliabile eseguire test di funzionalità epatica ed escludere l’assunzione di farmaci anticoagulanti e la presenza del LAC. 5.6. Quando eseguire i test E’ preferibile non eseguire il dosaggio della PS durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico e in tutte le situazioni che sono associate ad aumento delle proteine della fase acuta. Il test dovrebbe essere eseguito dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale. Non è consigliabile eseguire il test durante la gravidanza e in corso di terapia ormonale, in quanto la riduzione della PS associata a queste condizioni può essere causa di errori diagnostici. 6. RESISTENZA ALLA PROTEINA C ATTIVATA L’aggiunta di PCa ad un plasma normale determina un allungamento dei tempi di coagulazione, per effetto della inibizione del FVa e del FVIIIa. In alcuni soggetti questo allungamento non si registra o è minore rispetto a quanto atteso, da cui il termine di resistenza alla PCa. In oltre il 90% dei casi un alterato test di resistenza è dovuto alla presenza della mutazione R506Q FV Leiden. Altre mutazioni o polimorfismi sono stati descritti in letteratura (aplotipo HR2, FV Cambridge) [34, 35]. Secondo alcuni studi la presenza di una resistenza alla PCa in assenza della mutazione R506Q FV Leiden è un fattore di rischio per tromboembolismo venoso (33-34). 6.1.Quali metodi Tra i test di prima generazione, quello più comunemente usato per valutare la resistenza alla PCa è basato sull’aPTT, che viene eseguito in presenza e assenza di PCa [36]. Numerose fonti di variabilità sono state descritte per questi metodi (contaminazione del plasma con piastrine, presenza di piastrine attivate, uso di plasma fresco o congelato, tipo di strumento utilizzato, concentrazione della PCa e di ioni calcio, tipo di reagente, ecc) [23]. E’ stato dimostrato che i test di prima generazione basati sull’aPTT non forniscono risultati attendibili in pazienti con un prolungamento dell’aPTT basale (per terapia anticoagulante orale, difetto di fattori coagulativi, presenza di LAC, presenza di eparina) [7]. A causa delle numerose interferenze questi test presentano un ampio range di sensibilità (50-90%) e specificità (75-98%) per la mutazione R506Q FV Leiden [23]. Recentemente si sono resi disponibili anche test basati su principi diversi dall’aPTT (PT, Fattore X attivato, uso di veleni di serpenti come il veleno di vipera Russell, generazione di trombina) [4] che sembrano risentire meno delle soprariportate interferenze. I test di seconda generazione prevedono una pre-diluizione del campione con un plasma carente di FV; questa modifica permette l’esecuzione del test anche nel caso in cui l’aPTT di base sia prolungato per la terapia anticoagulante orale o per carenza di fattori. Questa modifica consente inoltre di aumentare significativamente la specificità di questi test per la presenza della mutazione R506Q FV Leiden, che risulta così prossima al 100% [37-39]. Rimane invece irrisolto il problema delle interferenze dovute alla presenza di LAC; in soggetti con LAC si sconsiglia quindi di eseguire il test di resistenza e passare direttamente all’analisi genetica per la ricerca della mutazione R506Q FV Leiden [40]. Data la minore specificità, i test di prima generazione rispetto a quelli di seconda generazione hanno il vantaggio di identificare condizioni di resistenza alla PCa acquisite (es. aumento FVIII, o del FII) o comunque dovute a polimorfismi o mutazioni diverse dalla mutazione R506Q FV Leiden (aplotipo HR2, FV Cambridge). Va tenuto presente che la presenza di una resistenza alla PCa, anche in assenza della mutazione R506Q FV Leiden, è associata a significativo aumento del rischio di tromboembolia venosa, [34, 35] [41]. I risultati del test di resistenza alla PCa sono generalmente espressi in rapporto (tempo di coagulazione del campioni in presenza/assenza di PCa). Era stato suggerito che l’espressione dei risultati come rapporto normalizzato (rapporto del campione/rapporto di un pool di plasmi normali) potesse ridurre la variabilità di questi metodi [42]. In realtà non sembra che la normalizzazione migliori la riproducibilità e il potere di discriminazione per la mutazione R506Q FV Leiden; al contrario l’impiego nella normalizzazione di un pool di plasmi normali preparato utilizzando campioni di soggetti portatori della mutazione R506Q FV Leiden può interferire sul risultato del test [43]. 6.2. Riproducibilità dei metodi I risultati dei programmi di valutazione esterna di qualità hanno dimostrato, per il test di resistenza alla PCa, CV inter-laboratorio intermedi, in genere inferiori al 20%, con un ED normalmente inferiore al 5%, però largamente dipendente dal tipo di test utilizzato [11-13, 44-46]. Sono stati registrati CV più bassi per metodi che usano la pre-diluizione con plasma carente di FV (CV < 15% vs CV fino a 40% per i metodi senza pre-diluizione) [11]. La % di ED è risultata più alta per i metodi basati su l’aPTT [11]. In generale, sembra che i metodi basati sull’impiego del veleno di vipera Russell (anche se eseguiti senza prediluizione con plasma carente di FV) siano migliori nel discriminare soggetti portatori della mutazione R056Q FV Leiden rispetto ai metodi basati sull’aPTT [47]. 6.3. Interferenze Come già riportato al paragrafo 6.1. i test di prima generazione non forniscono risultati attendibili in soggetti con aPTT allungato (carenza di fattori, presenza di LAC, terapia anticoagulante). I test di seconda generazione possono invece essere eseguiti in soggetti con aPTT prolungato (per carenza di fattori) e anche in corso di terapia anticoagulante; non è invece consigliabile il loro impiego in soggetti LAC-positivi. 6.4. Alterazioni acquisite Numerose sono le condizioni associate ad alterazione acquisita del test di resistenza alla PCa (aumento di FVIII, del Fattore XII, del Fattore II e FX) [23]. In particolare, il test risulta alterato durante la gravidanza e in corso di terapia ormonale [23], soprattutto con pillole di terza generazione [18]. Queste interferenze sono particolarmente marcate se si impiegano test di prima generazione, è però prudente, anche con l’uso di test di seconda generazione, eseguire anche un PT e un aPTT [7, 23]. 6.5. Quando eseguire i test E’ preferibile non eseguire il test di resistenza alla PCa durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico e in tutte le situazioni che sono associate ad aumento delle proteine della fase acuta (interferenza dovuta ad aumento del FVIII). I test di prima generazione dovrebbero essere eseguiti dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale. E’ sconsigliabile eseguire il test in corso di gravidanza e terapia ormonale. 7. MUTAZIONE R506Q FATTORE V LEIDEN E MUTAZIONE G20210A PROTROMBINA In presenza della mutazione R506Q FV Leiden il FV è resistente alla inattivazione operata dalla PCa [48], e come già riportato, questo produce un mancato/ridotto allungamento dei test coagulativi a seguito dell’aggiunta di PCa al plasma (fenomeno di resistenza alla PCa). La mutazione G20210A è invece associata ad un aumento dei livelli della protrombina plasmatica [49]. Mentre il test di resistenza alla PCa può essere utilizzato come test di screening per identificare i soggetti portatori della mutazione (vedi paragrafo 4), non esiste un analogo test di screening per la mutazione G20210A della protrombina. 7.1. Quali metodi La tecnica RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism Analysis) è il primo metodo messo a punto e si basa sul fatto che la presenza di una mutazione crea un nuovo sito di taglio per l’enzima di restrizione; i frammenti di restrizione vengono separati mediante elettroforesi su gel d'agarosio. L’analisi RFLP è un metodo robusto, sensibile, e non richiede strumenti automatici costosi [50, 51]. Tuttavia, poiché le numerose operazioni post-amplificazione (digestione con enzimi di restrizione ed elettroforesi su gel) richiedono tempo e impegno da parte del personale, l’uso dell’analisi RFLP è stato progressivamente sostituito da analisi più nuove che non utilizzano enzimi di restrizione [AmplificationRefractory Mutation System (ARMS); Single-Strand Conformational Polymorphism (SSCP); Allele Specific Oligonucleotide (ASO)] [50]. Anche queste metodiche sono però piuttosto impegnative per il personale, hanno costi elevati e non possono essere automatizzate. In molti laboratori clinici sono state quindi progressivamente sostituite da tecnologie più nuove, semi-automatiche e meno costose, che combinano l’automazione con l’amplificazione single-tube e la definizione della mutazione. In particolare, lo sviluppo della real-time PCR ha reso possibile analizzare un vasto numero di campioni in un tempo relativamente breve. Sebbene questa tecnica sia ampiamente applicata e sia una metodica robusta e rapida, le sue maggiori limitazioni sono i costi elevati dei reagenti e la necessità di una strumentazione dedicata [16, 50, 51]. La metodica Invader (Third Wave Tecnologies) non richiede PCR e si basa sull’amplificazione lineare del segnale. Sebbene questa tecnologia abbia alcuni punti di vulnerabilità, quali la necessità di alte quantità di DNA di buona qualità, è una metodica rapida e accurata che, non richiedendo PCR, elimina problemi dovuti a contaminazione [16, 51, 52]. La tecnologia dei DNA microarray sta avendo un impatto sempre maggiore nella diagnostica molecolare; offre il vantaggio di analizzare in maniera automatizzata molti campioni contemporaneamente, usando piccole quantità di campioni e di reagenti; è però al momento attuale una tecnologia molto costosa [50, 51]. 7.2. Riproducibilità dei metodi Spesso i test sul DNA sono preferiti ai test fenotipici (test funzionali), poiché è generalmente ritenuto che questi test siano infallibili e quindi esenti da errore analitico e interpretativo. In realtà i risultati di alcuni programmi di valutazione esterna di qualità hanno dimostrato che l’ ED non è irrilevante (3-6%) [53-56]; l’ ED è risultato particolarmente alto per le forme omozigoti [15% nel caso della mutazione R506Q FV Leiden [55], e 17% per la mutazione G20210A della protrombina [54]]. Errori analitici e di trascrizione sembrano essere quelli più frequenti [53]; è stata inoltre registrata una % di ED più alta in caso di impiego di metodi non commerciali [54]. Non sembra inoltre che la % di ED si sia ridotta negli anni [55]. Questa scarsa performance è particolarmente preoccupante perché il test sul DNA genera, per sua natura, un senso di sicurezza e induce a non ripetere la determinazione. In considerazione di questo fatto è raccomandabile riconfermare la positività per la mutazione su un secondo campione. 7.3. Interferenze I test sul DNA possono dare risultati inaccurati, nel caso in cui reagenti o campioni vengano contaminati con DNA estraneo. E’ quindi indispensabile mettere in atto tutte quelle procedure che riducono al minimo la probabilità di inquinamenti e contaminazioni (es. area pre- e post-PCR separate, uso di guanti e puntali con filtro, ecc.) [16]. 8. LUPUS ANTICOAGULANT E ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI La presenza di LAC e/o degli anticorpi antifosfolipidi sono alterazioni trombofiliche acquisite, dovute alla comparsa di autoanticorpi diretti verso i fosfolipidi a carica negativa. La presenza di questi anticorpi si associa ad allungamento dei test coagulativi fosfolipidodipendenti (in particolare l’aPTT). 8.1. Quali metodi LAC: a causa della impossibilità di identificare con un singolo test le diverse classi di LAC, i sottocomitati per standardizzazione dei metodi della Società Internazione di Trombosi ed Emostasi (ISTH), hanno stabilito che occorre eseguire almeno due test possibilmente basati su principi differenti (es. aPTT, KCT, SCT, DRVVT). Nell’ultima riunione (luglio 2008) dei sottocomitati per la standardizzazione dei metodi della Società Internazione di Trombosi ed Emostasi (ISTH) è stato raccomandato di utilizzare sempre un DRVVT e un altro metodo a scelta tra aPTT, KCT o SCT; la positività anche di un solo test è sufficiente per la diagnosi. I sottocomitati hanno inoltre indicato una strategia diagnostica basata su tre criteri principali. Il primo impone che uno (o più) dei test fosfolipidi-dipendenti sia prolungato oltre i limiti della norma (test di screening). Il secondo consiste nell’esecuzione di un test di miscela che consente di dimostrare che il prolungamento è dovuto alla presenza di un anticoagulante circolante. Il terzo criterio impone di dimostrare che l'inibitore sia diretto contro i fosfolipidi (test di conferma) [57-59]. Per quanto riguarda l’espressione dei risultati l’uso della ratio (tempo di coagulazione del paziente/tempo di coagulazione di un plasma normale) sembra essere il più appropriato per ridurre la variabilità intra- e inter-assay [60]. Anticorpi antifosfolipidi: la misurazione dei livelli degli anticorpi antifofolipidi si deve limitare al dosaggio degli anticorpi anticardiolipina (ACA) e anti ß2 Glicoproteina I (aGPI) (solo IgG ed IgM), mediante l’impiego di metodi immunologici standardizzati [61-63]. In caso di positività del LAC e/o degli ACA e/o degli aGPI i test devono essere ripetuti a distanza di almeno 12 settimane per confermare la diagnosi [59]. 8.2. Riproducibilità dei metodi I risultati dei programmi di valutazione esterna di qualità hanno registrato per i test per la ricerca del fenomeno LAC CV inter-laboratorio intermedi (in genere < del 20%), con una notevole variabilità in base al tipo di test utilizzato [11, 12, 64, 65]. Anche la % di ED è diversa in base al tipo di metodologia, ma poiché i laboratori utilizzano non un solo test ma un pannello di più test per questa diagnostica, globalmente l’ED è moderato (in genere < del 10%) [66]. E’ stato però osservato che mentre la sensibilità è in genere buona (bassa % di falsi negativi), la specificità può essere piuttosto bassa, con conseguente alta % di falsi positivi (25-30%) [67, 68]. E’ stato dimostrato che la disponibilità di plasmi di riferimento e la partecipazione assidua ai programmi di valutazione esterna di qualità, unitamente alla applicazione rigorosa delle linee guida diagnostiche aumenta la standardizzazione di questi test [67, 69]. I test per il dosaggio degli aGPI e soprattutto degli ACA si sono dimostrati ancora meno standardizzati dei test per LAC, con CV inter-laboratorio che possono arrivare anche ad oltre il 50% [61, 70-75]. L’alta variabilità dipende da diversi fattori [calibratore, unità di misura, cut-off ed altri aspetti metodologici (tipo di piastre, concentrazione e tipo di ß2 Glicoproteina I usata, ecc)]. 8.3. Interferenze La presenza di eparina e/o anticoagulanti orali interferisce in modo importante con i test per la ricerca del LAC; recentemente si sono resi disponibili kit commerciali che contengono un inibitore dell’eparina e che quindi potrebbero in teoria essere utilizzati in corso di terapia eparinica. In pazienti in corso di terapia con anticoagulanti orali non è raccomandato eseguire questi test [76] . La presenza di crioglobuline o fattore reumatoide può causare false positività dei test per il dosaggio degli ACA e degli aGPI di tipo IgM. 8.4. Quando eseguire i test E’ preferibile non eseguire i test per il LAC e il dosaggio degli ACA e degli aGPI durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico e in tutte le situazioni che sono associate ad aumento delle proteine della fase acuta. I test per la ricerca del LAC dovrebbero essere eseguiti dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale e almeno 24 ore dalla sospensione della terapia eparinica (anche se si tratta di eparina a basso peso molecolare). 9. OMOCISTEINA L’omocisteina è un aminoacido solforato prodotto a seguito dalla demetilazione della metionina introdotta con la dieta. Solo il 2% è presente in forma libera; la maggior parte è legata alle proteine, soprattutto albumina, oppure come dimero (omocistina) o disolfuro misto (cisteina-omocisteina). 9.1. Quali metodi I metodi per il dosaggio dell’omocisteina totale prevedono come trattamento iniziale l’aggiunta di reagenti riducenti che consentono di convertire l’omocisteina legata alle proteine, l’omocistina e il disolfuro misto a omocisteina ridotta. Segue poi la misura basata su diversi metodi: HPLC (con rilevazione fluorogenica, elettrochimica o colorimetrica), analisi aminoacidica, elettroforesi capillare, gas-cromatografia, cromatografia liquida, spettrometria di massa (ESI-tandem mass), metodi immunologici [77]. I metodi immunologici attualmente in commercio si basano su diversi principi (FPIA, ELISA, metodi di agglutinazione) e data la loro semplicità d’uso, la possibilità di automazione e la loro buona riproducibilità sono quelli attualmente più utilizzati. 9.2. Riproducibilità dei metodi I risultati dei programmi di valutazione esterna di qualità hanno registrato per i test per il dosaggio dell’omocisteina CV inter-laboratorio moderati (in genere inferiori al 15%) [7880]. E’ stata però osservata una certa differenza tra metodi; in particolare i metodi immunologici basati su tecnologia FPIA hanno mostrato una migliore precisione interlaboratorio (CV < 5%) [79, 81-83] rispetto ai metodi in HPLC (CV < 15%) [79, 81, 82, 84] e ai metodi ELISA (CV = 20-24%) [82]. E’ stato anche dimostrato che l’uso di un calibratore comune riduce significativamente la variabilità inter-laboratorio e inter-metodo [82]. Negli esercizi eseguiti durante gli ultimi 2 anni, nell’ambito del programma di valutazione esterna di qualità inglese (NEQAS), l’ED è risultato inferiore al 10%; una più alta probabilità di ED (fino al 30%) è stata registrata per i campioni con livello di omocisteina ai limiti superiori della norma [13]. 9.3. Intervalli di riferimento e fattori che influenzano i livelli di omocisteina Generalmente l’intervallo di riferimento è compreso tra 5 e 15 µM, ma varia in funzione della popolazione, soprattutto in relazione ai numerosi fattori acquisiti che ne influenzano i livelli, con particolare riferimento all’alimentazione (soprattutto per il contenuto di metionina e vitamine) [77, 85]. Fattori fisiologici e stili di vita La concentrazione dell’omocisteina varia in funzione di età e sesso. Tende ad aumentare con l’età (soprattutto nelle donne dopo la menopausa) ed è più bassa nelle donne rispetto agli uomini di pari età, probabilmente a causa della minore massa muscolare. Per questa ragione è raccomandato l’uso di intervalli di riferimento differenziati. Durante la gravidanza l’omocisteina si riduce del 30-50% e ritorna a livello normale dopo 2-4 giorni dal parto. Un altro importante fattore di variabilità è rappresentato della quantità di vitamine (acido folico, vitamina B6 e B12) e metionina assunta con la dieta. Diete povere in vitamine e ricche in proteine sono infatti associate ad aumento del livello dell’omocisteina. Aumenti dell’omocisteina sono stati segnalati associati a fumo, consumo di caffeina, scarsa attività fisica e alto consumo di alcolici, mentre un moderato consumo sembra invece essere associato a livelli più bassi. Farmaci Diversi farmaci, che in genere agiscono interferendo con l’assorbimento dell’acido folico e delle vitamine B12 e B6, sono stati segnalati essere associati ad aumento del livello dell’omocisteina (chemioterapici, antiepilettici, L-Dopa, ciclosporine, corticosteroidi, colestiramine, niacina). Al contrario l’assunzione di contraccettivi orali, terapia ormonale sostitutiva e tamoxifene determina una riduzione dei livelli dell’omocisteina. Patologie associate Aumenti dell’omocisteina sono associati alla presenza di insufficienza renale moderata o severa, a diabete mellito, psoriasi severa, tumori (leucemie e tumori solidi), ipotiroidismo, insufficienza epatica. Un aumento dei livelli è stato anche segnalato nella fase acuta dopo un infarto miocardico e dopo stroke. 9.4. Quando eseguire il test Non è consigliabile eseguire il test nella fase acuta di un evento trombotico (che può essere associata ad aumento dell’omocisteina) e durante un trattamento vitaminico con acido folico e vitamine del gruppo B, in quanto associato a riduzione dei livelli (come in corso di gravidanza). Il risultato dovrebbe essere valutato tenendo in considerazione i numerosi fattori acquisiti (riportati al paragrafo 9.4.), che possono influenzare i livelli dell’omocisteina. COMMENTO Data la complessità e la variabilità dei metodi per la ricerca di alterazioni trombofiliche (dovute alle possibili interferenze sul risultato finale di variabili preanalitiche, analitiche, fattori fisiologici, patologie associate e assunzione di farmaci), con il rischio di diagnosi errate e conseguente improprio management del paziente, è raccomandabile che questi test siano eseguiti presso laboratori qualificati, dotati di personale ben addestrato, formato e con esperienza nel campo dell’emostasi. E’ indispensabile, inoltre, che questi laboratori assicurino una costante partecipazione a specifici programmi di valutazione esterna di qualità, che consente di controllare e migliorare sensibilmente la performance del laboratorio stesso. BIBLIOGRAFIA 1. Lane DA, Bayston T, Olds RJ, Fitches AC, Cooper DN, Millar DS, Jochmans K, Perry DJ, Okajima K, Thein SL, Emmerich J. 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Scheda riassuntiva per gli inibitori fisiologici Quali metodi Antitrombina (AT) Test funzionali cromogenici (FXa o Trombina) Riproducibilità dei metodi CV = 5-10% ED = < 5% CV ed ED più alti per valori borderline di AT Proteina C (PC) Preferibili test funzionali cromogenici rispetto a test coagulativi CV = < 10% ED = < 10% CV ed ED più alti per test coagulativi e valori borderline di PC Proteina S (PS) Preferibili test immunologici per il dosaggio della frazione libera rispetto a test funzionali coagulativi CV = 40-50% ED = < 20% CV ed ED più alti per valori bassi e borderline di PS CV e ED più bassi per test immunologico per frazione libera CV = coefficienti di variazione inter-laboratorio ED = errore diagnostico (falsi-positivi o falsi-negativi) Intervalli di riferimento Livelli più bassi nel neonato Non differenze significative tra sessi Interferenze Alterazioni acquisite Quando eseguire i test Solo per test che impiegano trombina: sovrastima in soggetti trattati con inibitori diretti della trombina Non eseguire durante la fase acuta di un processo trombotico o dopo un intervento chirurgico. Eseguire dopo almeno 5 giorni dalla sospensione dell’eparina. Livelli più bassi nelle donne Aumento con l’età Livelli bassi nel neonato e nei bambini fino all’adolescenza Solo su test coagulativi: presenza mutazione R506Q FV Leiden, LAC, aumento FVIII Livelli più bassi nelle donne Aumento con l’età nelle donne Livelli bassi nel neonato fino ad 1 anno Solo su test coagulativi: presenza mutazione R506Q FV Leiden, LAC, aumento FVIII, aumento Fattore VII attivato Bassi livelli per: 1. ridotta sintesi (epatopatia, malnutrizione, estese ustioni, malattie infiammatorie intestinali) 2. aumentato consumo (fase acuta di un processo trombotico, CID, reazione emolitica da trasfusione, tumori, terapia con L-asparaginasi, sindrome nefrosica, terapia eparinica) Riduzione dei livelli per: 1. ridotta sintesi (epatopatia, terapia anticoagulante, ridotto assorbimento/assunzione vitamina K) 2. aumentato consumo (CID, insufficienza renale, fase acuta di un processo trombotico, post-operatorio, ARDS, plasma exchange, emorragia massiva) Aumento livelli: durante gravidanza e trattamento ormonale, sindrome nefrosica, diabete e cardiopatia ischemica Riduzione dei livelli per: 1. ridotta sintesi (epatopatia, terapia anticoagulante, ridotto assorbimento/assunzione vitamina K) 2. aumentato consumo (CID) e fase acuta (processo trombotico acuto, periodo postoperatorio) Riduzione livelli: durante gravidanza e trattamento ormonale Non eseguire durante la fase acuta di un processo trombotico o dopo un intervento chirurgico, durante la gravidanza o in corso di terapia ormonale. Eseguire dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale. Non eseguire durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico, e in tutte le condizioni associate ad aumento delle proteine della fase acuta; durante la gravidanza o in corso di terapia ormonale. Eseguire dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale. Scheda riassuntiva per test di Resistenza alla Proteina C attivata, mutazioni R506Q del FV Leiden e G20210A della Protrombina Quali metodi Resistenza alla Proteina C attivata Test di 1° generazione (eventualmente eseguire test di 2° generazione in caso di risultato alterato) o test di 1° + 2° generazione. In caso di risultato alterato di uno o entrambi i test eseguire l’analisi genetica per la mutazione R506Q FV Leiden Mutazione R506Q del FV Leiden Mutazione G20210A della Protrombina Riproducibilità dei metodi CV = < 20% ED = < 5% CV ed ED più bassi per test di 2° generazione e test basati su principi diversi dall’aPTT Interferenze Alterazioni acquisite Quando eseguire i test Su test di 1° generazione: allungamento dell’aPTT (carenza fattori, presenza LAC, terapia anticoagulante) Su test 2° generazione: presenza LAC Alterazioni del test (soprattutto di 1° generazione) per: aumento FVIII, FX, Fattore II e XII; durante la gravidanza e in corso di terapia ormonale Non eseguire durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico, e in tutte le condizioni associate ad aumento delle proteine della fase acuta; durante la gravidanza o in corso di terapia ormonale. Eseguire dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale (con la possibile eccezione dei test di II generazione). Quali metodi Riproducibilità dei metodi Interferenze Restriction Fragment Length Polymorphism Analysis (RFLP); AmplificationRefractory Mutation System (ARMS); Single-Strand Conformational Polymorphism (SSCP); Allele Specific Oligonucleotide (ASO); Real-time PCR; Third Wave Tecnologies; Microarray ED = 3-6% (15-17% per omozigosi) Contaminazione reagenti e/o campioni con DNA estreneo CV = coefficienti di variazione inter-laboratorio ED = errore diagnostico (falsi-positivi o falsi-negativi) Scheda riassuntiva per LAC e anticorpi antifosfolipidi e omocisteina Quali metodi LAC Usare almeno due test basati su principi diversi (un DRVVT e un test a scelta tra aPTT, KCT, SCT) Utilizzare la strategia diagnostica proposta dalla ISTH, basata su 3 step: 1) test di screening, 2) test di miscela, 3) test di conferma) Anticorpi anticardiolipina e anti ß2 Glicoproteina I ELISA Quali metodi Omocisteina HPLC (con rilevazione fluorogenica, elettrochimica o colorimetrica), analisi aminoacidica, elettroforesi capillare, gascromatografia, cromatografia liquida, spettrometria di massa, metodi immunologici (FPIA, ELISA, metodi di agglutinazione) CV = coefficienti di variazione inter-laboratorio ED = errore diagnostico (falsi-positivi o falsi-negativi) Riproducibilità dei metodi CV = 40-50% ED = < 20% Interferenze Quando eseguire i test Eparina e anticoagulanti orali CV = 40-50% Crioglobuline e fattore reumatoide (per IgM) Non eseguire durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico e in tutte le situazioni che sono associate ad aumento delle proteine della fase acuta. Eseguire dopo almeno 20 giorni dalla sospensione della terapia anticoagulante orale e almeno 24 ore dalla sospensione della terapia eparinica (anche con eparina a basso peso molecolare) In caso di positività i test devono essere ripetuti a distanza di almeno 12 settimane Non eseguire durante la fase acuta di un processo trombotico, dopo un intervento chirurgico e in tutte le situazioni che sono associate ad aumento delle proteine della fase acuta. In caso di positività i test devono essere ripetuti a distanza di almeno 12 settimane Riproducibilità dei metodi CV = < 15% ED = < 10% CV ed ED più alti per valori bordeline di omocisteina Intervalli di riferimento e fattori che influenzano i livelli Quando eseguire i test Intervallo di riferimento: 5 e 15 µM, ma variabile in funzione di: 1) fattori fisiologici e stili di vita (età, sesso, gravidanza, dieta, fumo consumo caffeina e alcolici, attività fisica); 2) assunzione di farmaci (chemioterapici, antiepilettici, L-Dopa, ciclosporine, corticosteroidi, colestiramine, niacina, terapia ormonale sostitutiva e tamoxifene); 3) patologie acquisite (alterazione funzionalità renale, diabete mellito, psoriasi severa, tumori solidi e leucemie, ipotiroidismo, insufficienza epatica) Non eseguire nella fase acuta di un evento trombotico e durante un trattamento vitaminico con acido folico e vitamine del gruppo B. Valutare il risultato tenendo conto dei numerosi fattori che influenzano i livelli.