08_14 13 vare bambini sembra destinato a rafforzare una cultura favorevole alle nascite. Purtroppo, è molto impopolare l’idea di salvare i bambini non nati dalla morte, anche se questo obiettivo è esclusivamente collegato al riconoscimento della dignità umana e richiede un impegno di puro altruismo. Invece, l’idea di aumentare le nascite, in se meritevole di lode, è popolare perché fa pensare al mantenimento della identità nazionale che resiste al flusso delle immigrazioni e al livello attuale di benessere materiale messo a rischio dalla diminuzione dei giovani dalle cui retribuzioni vengono prelevati i fondi per le pensioni. L’esperienza del Movimento per la vita prova che una concreta offerta di sostegno economico seria e continuativa può far recedere una madre dalla tentazione di abortire, ma deve essere un’offerta inserita in un contesto di accoglienza umana personale, di amicizia, e di flessibilità che tiene conto delle concrete esigenze della donna. Come è noto ProgettoGemma offre 160 euro al mese per 18 mesi, ottenendo i mezzi finanziari attraverso un meccanismo di adozione della singola mamma per salvare il suo bambino mediante il collegamento con una famiglia, con un gruppo o con singole persone. Il clima di affetto e la flessibilità rendono indispensabile l’opera del volontariato. Non sono mancati esempi di amministrazioni pubbliche che hanno offerto qualche PG. E allora è doveroso domandarsi: “non sarebbe più efficace che il governo anziché erogare 80 euro per tre anni a tutte le neo mamme in modo indiscriminato varasse un sostegno economico simile al modello di Progetto Gemma da erogare attraverso i consultori valorizzando la collaborazione tra questi e i Centri di aiuto alla vita?. Con la medesima somma si salverebbero molti più bambini e conseguentemente si aumenterebbero anche le nascite. Obiezione a Voghera. Il diritto di scegliere la vita L’ Chiara Ulisse l’infermiera costretta ad abbandonare il suo lavoro all’ospedale di Voghera per aver aiutato le ragazze che venivano a chiedere la pillola del giorno dopo a cercare soluzioni alternative infermiera di Voghera di cui la stampa ha parlato diffusamente per il suo rifiuto a collaborare in qualche modo all’assunzione della pillola del giorno dopo si chiama Chiara Margherita Ulisse. Ha 31 anni, è solare e serena. Ama la sua famiglia, ha tanti amici, le piace praticare sport e ascoltare la musica; suona il charango (una specie di mandolino cileno), stare con i bambini è la sua passione e per questo ha anche frequentato un corso di “clown-terapia”. Quest’anno è stata in Africa con un'associazione vogherese come infermiera volontaria presso dei missionari del Malawi. Ama il suo lavoro e le occasioni di incontro con le persone che esso quotidianamente le offre…. Chiara, parlaci di te.. Non sono mai finita sui giornali se non, lo scorso anno, per aver vinto il campionato di serie C femminile con la mia squadra. Oggi il motivo per cui sono finita sulla prima pagina della stampa nazionale, è ben diverso, purtroppo. Mi sono laureta con 110 e lode all'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti nel marzo 2010. Provengo da una famiglia cristiana cattolica, i miei genitori frequentano da 35 anni il Cammino Neocatecumenale. Sono cattolica anch’io ma non aderisco a nessun movimento ecclesiale particolare; frequento la mia comunità parrocchiale e amo la Chiesa come famiglia allargata estesa a chiunque. Amo questa dimensione universale. Da quanto lavoravi, e con quali mansioni, nella struttura in cui è “scoppiato” il tuo caso? Lavoravo all’ospedale di Voghera da 4 anni. Ho preso servizio di ruolo 17 gennaio 2011. Prima in Medicina, poi in ortopedia, infine (dal settembre 2013) in pronto soccorso in postazione triage. Il triage è l'unico posto dove l'infermiere è un "pubblico ufficiale" e non un "incaricato di pubblico servizio" come quando lavora nei reparti o negli ambulatori o sul territorio. È quindi un compito di grande responsabilità e non segretariale, come pensa qualcuno 13 ottobre-novembre 2014 08_14 14 LEGGE 194 INTOLLERANZA E TOTALITARISMO Qual è lo “stile” con cui svolgi il tuo lavoro? Ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro con professionalità e soprattutto prestando attenzione alle persone. Il nostro è un lavoro che deve essere ben radicato nella benevolenza verso i pazienti e verso quanti si rivolgono a noi. Le persone non sono macchine, non sono cose, non sono numeri ed è fondamentale non perdere mai di vista la dignità di chi ci è di fronte. Che rapporti avevi e hai con i colleghi? Devo dire che non ho mai avuto problemi. Con i colleghi ho un rapporto esclusivamente professionale. Provavo e provo tuttora stima verso tutti i miei colleghi e l'equipe intera. 14 ottobre-novembre 2014 A quali argomenti ti sei appellata per rifiutare la tua collaborazione all’assunzione della pillola del giorno dopo? Argomenti prima di tutto di carattere scientifico: la vita umana inizia dal momento della fecondazione. Il punto è questo. Allora, se c’è stata la fecondazione, la pillola del giorno dopo provoca l’effetto di impedire al concepito di annidarsi nell’utero e quindi ne provoca la morte. È semplice. E’ vero che non sappiamo se il concepimento è avvenuto o no, ma è anche vero che quella pillola si prende perché, se fosse avvenuto, si vuole interrompere lo sviluppo del concepito. Lo scopo è chiaro: eliminare – qualora ci fosse – l’esito sgradito di un “rapporto non protetto”. L’espressione “contraccezione di emergenza” è ambigua e ingannevole… Per avanzare l’obiezione di coscienza mi sono avvalsa di alcune norme del Codice di deontologia professionale dell’infermiere. Tra l’altro sapevo che il Comitato nazionale di Bioetica aveva ammesso la “clausola di coscienza” per la “contraccezione di emergenza”. Lo so, si parla dei medici, ma le argomentazioni possono valere anche per gli “N on si può non provare ammirazione per chi, anche a prezzo della libertà, dichiara che non si deve uccidere”. Scriveva padre Ernesto Balducci a proposito dell’obiezione di coscienza al servizio militare. Mi è tornata in mente questa frase leggendo della infermiera di Voghera, vittima di contestazione, minacciata di denuncia, comunque denigrata perché ha cercato di dissuadere alcune donne dall’assumere la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo, ricordando loro che c’era di mezzo la vita di un essere umano. Risulta che la ragazza si ora è licenziata dall’ospedale per non sentirsi obbligata a contribuire alla uccisione di un concepito e che le dimissioni sono state immediatamente accettate. Spero che su questo punto possa avvenire un ripensamento da entrambi le parti, perché oggi perdere il lavoro è peggio di stare qualche mese in prigione. Ad ogni modo è doveroso esprimere un sentimento di ammirazione, giustificato ancor di più di quello espresso a suo tempo per l’obiezione di coscienza militare. Per il nostro esercito utilizzato in caso di catastrofi e di operazioni di pace, essere costretti a uccidere è una eventualità remota. Con la "contraccezione di emergenza" l’eventualità di uccidere è tutt’altro che remota. Non a caso il Comitato nazionale di bioetica ha affermato il diritto all’obiezione di coscienza anche riguardo a questi preparati chimici impropriamente. Perché tanta intolleranza nei confronti dell’obiezione di coscienza sanitaria? Evidentemente perché inquieta molto la testimonianza di chi proclama che l’embrione è Uno di noi e non vuol collaborare a provocarne la morte. Altri possono avere opinioni diverse, ma è un fatto che la mancanza di rispetto per chi, in forza di un suo ragionevole stato di coscienza, rifiuta qualsiasi collaborazione per uccidere apre le porte al totalitarismo. CARLO CASINI operatori sanitari coinvolti in un percorso che porta all’assunzione della pillola del giorno dopo. Il dialogo con le persone che ti chiedevano la prescrizione di quella “contraccezione”? In genere si parte da uno scambio di battute: “Salve, di cosa ha bisogno?”, "Mi si è rotto il preservativo, voglio la pillola del giorno dopo”, “sono obiettore di coscienza non ce la faccio a fare ciò che mi chiede, potrebbe esserci un figlio appena concepito nel suo grembo...”. Comunque in generale mi limito a dare informazioni esplicative. Talvolta siamo andati un po’ più in là e abbiamo toccato argomenti di ginecologia, o questioni tecniche legate alla tempistica delle 72 ore…In qualche caso, si è toccato anche il tema del significato dell’atto sessuale e del valore della vita umana. Certo, bisogna essere delicati, ma non ho riscontrato mai il rigetto a priori di un dialogo o di un confronto. Ciò che mi preme sottolineare è che non poter accettare una richiesta, non significa non accogliere la persona. Invece, sulla stampa sono stati prevalentemente usati verbi quali cacciare, negare, rifiutare, ecc... La realtà è diversa: ho sempre accolto le persone e motivato la mia scelta senza toni di condanna nei confronti dei miei interlocutori. Anzi, invece che parlare dalla vetrata dove tutti sentono tutto, ho aperto la porta e li ho fatti accomodare nel retro della postazione triage garantendo la privacy, cosa che si fa di rado. Una volta, con una minorenne in particolare si è creato un bel clima di fiducia. Su sua richiesta ho fatto venire i genitori, ho parlato con il papà… alla fine ci siamo salutati con rispetto reciproco e non mi sembravano contrariati.