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vare bambini sembra destinato a
rafforzare una cultura favorevole
alle nascite. Purtroppo, è molto impopolare l’idea di salvare i bambini
non nati dalla morte, anche se questo obiettivo è esclusivamente collegato al riconoscimento della dignità
umana e richiede un impegno di
puro altruismo. Invece, l’idea di aumentare le nascite, in se meritevole
di lode, è popolare perché fa pensare al mantenimento della identità
nazionale che resiste al flusso delle
immigrazioni e al livello attuale di
benessere materiale messo a rischio
dalla diminuzione dei giovani dalle
cui retribuzioni vengono prelevati i
fondi per le pensioni.
L’esperienza del Movimento per
la vita prova che una concreta offerta di sostegno economico seria e
continuativa può far recedere una
madre dalla tentazione di abortire,
ma deve essere un’offerta inserita in
un contesto di accoglienza umana
personale, di amicizia, e di flessibilità che tiene conto delle concrete
esigenze della donna. Come è noto
ProgettoGemma offre 160 euro al
mese per 18 mesi, ottenendo i mezzi
finanziari attraverso un meccanismo
di adozione della singola mamma
per salvare il suo bambino mediante
il collegamento con una famiglia,
con un gruppo o con singole persone. Il clima di affetto e la flessibilità rendono indispensabile l’opera
del volontariato. Non sono mancati
esempi di amministrazioni pubbliche che hanno offerto qualche PG.
E allora è doveroso domandarsi:
“non sarebbe più efficace che il governo anziché erogare 80 euro per
tre anni a tutte le neo mamme in
modo indiscriminato varasse un sostegno economico simile al modello
di Progetto Gemma da erogare attraverso i consultori valorizzando la
collaborazione tra questi e i Centri
di aiuto alla vita?.
Con la medesima somma si salverebbero molti più bambini e conseguentemente si aumenterebbero
anche le nascite.
Obiezione a Voghera.
Il diritto
di scegliere la vita
L’
Chiara Ulisse
l’infermiera costretta
ad abbandonare
il suo lavoro
all’ospedale
di Voghera
per aver aiutato
le ragazze
che venivano
a chiedere la pillola
del giorno dopo
a cercare soluzioni
alternative
infermiera di Voghera di
cui la stampa ha parlato
diffusamente per il suo rifiuto a collaborare in qualche
modo all’assunzione della pillola
del giorno dopo si chiama Chiara
Margherita Ulisse. Ha 31 anni, è
solare e serena. Ama la sua famiglia, ha tanti amici, le piace praticare sport e ascoltare la musica;
suona il charango (una specie
di mandolino cileno), stare con i
bambini è la sua passione e per questo ha anche frequentato un corso di “clown-terapia”. Quest’anno è
stata in Africa con un'associazione vogherese come infermiera volontaria presso dei missionari del Malawi.
Ama il suo lavoro e le occasioni di incontro con le persone che esso quotidianamente le offre….
Chiara, parlaci di te..
Non sono mai finita sui giornali se non, lo scorso anno,
per aver vinto il campionato di serie C femminile con la
mia squadra. Oggi il motivo per cui sono finita sulla
prima pagina della stampa nazionale, è ben diverso,
purtroppo. Mi sono laureta con 110 e lode all'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti nel marzo 2010.
Provengo da una famiglia cristiana cattolica, i miei
genitori frequentano da 35 anni il Cammino Neocatecumenale. Sono cattolica anch’io ma non aderisco a
nessun movimento ecclesiale particolare; frequento la
mia comunità parrocchiale e amo la Chiesa come famiglia allargata estesa a chiunque. Amo questa dimensione universale.
Da quanto lavoravi, e con quali mansioni, nella
struttura in cui è “scoppiato” il tuo caso?
Lavoravo all’ospedale di Voghera da 4 anni. Ho
preso servizio di ruolo 17 gennaio 2011. Prima in Medicina, poi in ortopedia, infine (dal settembre 2013) in
pronto soccorso in postazione triage. Il triage è l'unico
posto dove l'infermiere è un "pubblico ufficiale" e non
un "incaricato di pubblico servizio" come quando lavora nei reparti o negli ambulatori o sul territorio. È
quindi un compito di grande responsabilità e non segretariale, come pensa qualcuno
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ottobre-novembre
2014
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LEGGE 194
INTOLLERANZA E
TOTALITARISMO
Qual è lo “stile” con cui svolgi il
tuo lavoro?
Ho sempre cercato di svolgere il mio
lavoro con professionalità e soprattutto prestando attenzione alle persone. Il nostro è un lavoro che deve
essere ben radicato nella benevolenza verso i pazienti e verso quanti si
rivolgono a noi. Le persone non sono
macchine, non sono cose, non sono
numeri ed è fondamentale non perdere mai di vista la dignità di chi ci è
di fronte.
Che rapporti avevi e hai con i colleghi?
Devo dire che non ho mai avuto problemi. Con i colleghi ho un rapporto
esclusivamente professionale.
Provavo e provo tuttora stima
verso tutti i miei colleghi e
l'equipe intera.
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ottobre-novembre
2014
A quali argomenti ti sei appellata
per rifiutare la tua collaborazione
all’assunzione della pillola del
giorno dopo?
Argomenti prima di tutto di carattere scientifico: la vita umana inizia
dal momento della fecondazione. Il
punto è questo. Allora, se c’è stata la
fecondazione, la pillola del giorno
dopo provoca l’effetto di impedire al
concepito di annidarsi nell’utero e
quindi ne provoca la morte. È semplice.
E’ vero che non sappiamo se il
concepimento è avvenuto o no, ma è
anche vero che quella pillola si
prende perché, se fosse avvenuto, si
vuole interrompere lo sviluppo del
concepito. Lo scopo è chiaro: eliminare – qualora ci fosse – l’esito sgradito di un “rapporto non protetto”.
L’espressione “contraccezione di
emergenza” è ambigua e ingannevole… Per avanzare l’obiezione di coscienza mi sono avvalsa di alcune
norme del Codice di deontologia
professionale dell’infermiere.
Tra l’altro sapevo che il Comitato
nazionale di Bioetica aveva ammesso
la “clausola di coscienza” per la “contraccezione di emergenza”. Lo so, si
parla dei medici, ma le argomentazioni possono valere anche per gli
“N
on si può non provare
ammirazione per chi,
anche a prezzo della libertà, dichiara che non si deve uccidere”.
Scriveva padre Ernesto Balducci a
proposito dell’obiezione di coscienza al servizio militare.
Mi è tornata in mente questa
frase leggendo della infermiera di
Voghera, vittima di contestazione,
minacciata di denuncia, comunque denigrata perché ha cercato di
dissuadere alcune donne dall’assumere la pillola del giorno dopo o
dei cinque giorni dopo, ricordando
loro che c’era di mezzo la vita di
un essere umano. Risulta che la
ragazza si ora è licenziata dall’ospedale per non sentirsi obbligata a contribuire alla uccisione di
un concepito e che le dimissioni
sono state immediatamente accettate.
Spero che su questo punto
possa avvenire un ripensamento
da entrambi le parti, perché oggi
perdere il lavoro è peggio di stare
qualche mese in prigione. Ad ogni
modo è doveroso esprimere un
sentimento di ammirazione, giustificato ancor di più di quello
espresso a suo tempo per l’obiezione di coscienza militare.
Per il nostro esercito utilizzato
in caso di catastrofi e di operazioni
di pace, essere costretti a uccidere
è una eventualità remota. Con la
"contraccezione di emergenza"
l’eventualità di uccidere è tutt’altro
che remota.
Non a caso il Comitato nazionale di bioetica ha affermato il diritto all’obiezione di coscienza
anche riguardo a questi preparati
chimici impropriamente.
Perché tanta intolleranza nei
confronti dell’obiezione di coscienza sanitaria? Evidentemente
perché inquieta molto la testimonianza di chi proclama che l’embrione è Uno di noi e non vuol
collaborare a provocarne la morte.
Altri possono avere opinioni diverse, ma è un fatto che la mancanza di rispetto per chi, in forza
di un suo ragionevole stato di coscienza, rifiuta qualsiasi collaborazione per uccidere apre le porte al
totalitarismo.
CARLO CASINI
operatori sanitari coinvolti
in un percorso che porta all’assunzione della pillola del giorno dopo.
Il dialogo con le persone che ti chiedevano la prescrizione di quella
“contraccezione”?
In genere si parte da uno scambio di
battute: “Salve, di cosa ha bisogno?”,
"Mi si è rotto il preservativo, voglio
la pillola del giorno dopo”, “sono
obiettore di coscienza non ce la faccio a fare ciò che mi chiede, potrebbe
esserci un figlio appena concepito nel
suo grembo...”.
Comunque in generale mi limito
a dare informazioni esplicative. Talvolta siamo andati un po’ più in là e
abbiamo toccato argomenti di ginecologia, o questioni tecniche legate
alla tempistica delle 72 ore…In qualche caso, si è toccato anche il tema
del significato dell’atto sessuale e del
valore della vita umana. Certo, bisogna essere delicati, ma non ho riscontrato mai il rigetto a priori di un
dialogo o di un confronto.
Ciò che mi preme sottolineare è
che non poter accettare una richiesta, non significa non accogliere la
persona.
Invece, sulla stampa sono stati
prevalentemente usati verbi quali
cacciare, negare, rifiutare, ecc... La realtà è diversa: ho sempre accolto le
persone e motivato la mia scelta
senza toni di condanna nei confronti
dei miei interlocutori.
Anzi, invece che parlare dalla vetrata dove tutti sentono tutto, ho
aperto la porta e li ho fatti accomodare nel retro della postazione triage
garantendo la privacy, cosa che si fa
di rado.
Una volta, con una minorenne in
particolare si è creato un bel clima di
fiducia. Su sua richiesta ho fatto venire i genitori, ho parlato con il
papà… alla fine ci siamo salutati con
rispetto reciproco e non mi sembravano contrariati.
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Obiezione a Voghera. Il diritto di scegliere la vita