Review n. 2 – Italus Hortus 12 (4), 2005: 31 - 44
L’orticoltura biologica: evoluzione, principi ispiratori e qualità dei prodotti
Ferdinando Pimpini*, Giorgio Gianquinto e Paolo Sambo
Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Università di Padova, Viale
dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD)
Ricevuto: 4 luglio 2005; accettato: 22 luglio 2005
Organic vegetable production: evolution, base principles and quality of
products
Abstract. This paper is aimed to discuss the organic
vegetable production and at the same time to highlight
the critical points of this agricultural system in Italy.
The organic surface has been increasing in Italy in the
past decades but reached a plateau around the year
2000. In the past two years, the land destined to organic cultivation has stabilized around 1.0 million hectares and only 1% of this land is used to produce vegetable crops. Although Italy is still the first European
producer of organic vegetables, in the last two years
the cultivated area showed a reduction by 20%. There
are several directing principles that characterize organic farming. They include biodiversity, integration,
sustainability, natural plant nutrition, natural pest
management and integrity. Each of those principles
needs to be understood, respected and well applied in
order to perform a real organic farming and not only a
“substitution agriculture” based merely on the replacement of agrochemicals by organic compounds. One of
the most important reasons encouraging consumers
to buy organic products is the perception that organic
food has better nutritional and quality traits. The
analysis of the scientific literature available showed
that only few researches were carried out following
rigorous experimental criteria. In most of the experiments, only the nitrate content resulted clearly reduced by using organic procedures. Vague and sometimes contradictory results has been reported on
nutrients and vitamins content. Several authors suggest that more researches are needed to asses the
real effects of organic techniques in terms of quality of
the product, in order to get more scientific data on this
topic which at moment seems to be more discussed
than effectively studied.
Key words: cropping systems, sustainability, food
quality.
Introduzione
A partire dalla metà degli anni ‘80, le preoccupazioni dovute alla presenza di residui tossici nei prodotti alimentari e all’impiego di tecniche ad elevato
impatto, che possono incidere negativamente sull’ambiente, hanno visto l’affermarsi anche nel nostro
Paese del concetto di agricoltura sostenibile. La maggiore sensibilità ambientale e di sicurezza alimentare è
stata gradualmente assimilata in Italia, in seguito al
nascere e allo svilupparsi di forti movimenti ambientalisti che hanno incominciato ad operare principalmente nei Paesi nord-europei a partire dalla fine degli
anni ’60 - primi anni ’70. La presa di coscienza per
questi temi da parte di una crescente fascia di consumatori e di produttori ha di fatto determinato un controllo più accurato del processo produttivo ed una
maggiore oculatezza nell’uso di prodotti di sintesi.
La diffusione di tecniche a minor impatto ambientale ha determinato la contrazione dei consumi di fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti (fig. 1). Ciò è
stato possibile grazie ad una maggiore attenzione nell’impiego di prodotti di sintesi nei momenti di effettiva necessità, all’applicazione di mezzi di lotta biologica e al ritorno a tecniche agronomiche più sostenibili.
La maggiore attenzione e cautela nell’uso di fitofarmaci è testimoniata anche dai risultati dei controlli
ufficiali sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale svolti dal Ministero della
Salute in collaborazione con l’Istituto Superiore di
Sanità. Il riepilogo nazionale dei risultati delle analisi
effettuate dai laboratori pubblici nel corso dell’anno
2003, ultimi dati disponibili (Ministero della Salute,
2004), mette in luce che nel complesso i campioni di
prodotti ortofrutticoli risultati non regolamentari sono
stati pari all’1,8% del totale di quelli analizzati. Per
quanto riguarda gli ortaggi, le irregolarità sono state
l’1,7%; della quota restante (98,3%), l’82,3% è risultata priva di residui e il 16,0% è rientrata nei limiti previsti dalla legge, con maggiore presenza di campioni
monoresiduo (13,1%), rispetto ai multiresiduo (4,6%).
*[email protected]
31
Pimpini et al.
Fig. 1 - Evoluzione dei consumi per ettaro di fertilizzanti e fitofarmaci in Italia nel periodo 1961-2004 e 1990-2001, rispettivamente (rielaborati da FAOSTAT, 2005). (*) compresi i battericidi.
Fig. 1 - Evolution of fertilizers and pesticides consumption per hectare in Italy across the period 1961-2004 and 1961-200,1 respectively
(re-arranged from FAOSTAT, 2005). (*) bactericides included.
Confrontando i risultati dei programmi nazionali di
controllo ufficiale sui residui nei prodotti ortofrutticoli
a partire dal 1993, primo anno di attuazione del programma, risulta evidente come la percentuale di irregolarità negli ortofrutticoli abbia subito un progressivo decremento nel corso degli anni passando dal 5,6%
del 1993 al 1,8% del 2003, con un lieve picco solo nel
2000 (fig. 2). Secondo il rapporto del Ministero tale
risultato positivo è attribuibile: a) alle attività delle
strutture centrali, e territoriali, ormai permanentemente impegnate nel controllo ufficiale in materia di antiparassitari in Italia, b) alla costante revisione in senso
restrittivo operata dal Ministero della Salute su alcuni
impieghi ammessi, c) ad una sempre maggiore consapevolezza degli operatori agricoli nell’impiego dei
prodotti fitosanitari. Lo stesso Ministero sottolinea
come il limite di legge sia determinato in maniera
molto restrittiva e che quindi un suo lieve superamento occasionale non comporterebbe un pericolo per la
salute. La stima dell’assunzione media di residui da
parte del consumatore indica che questa rappresenta
una percentuale molto modesta rispetto alle relative
dosi giornaliere accettabili, di molto inferiori ai livelli
di guardia indicati dal Ministero della salute
(Ministero della Salute, 2004).
Dall’orticoltura convenzionale all’orticoltura integrata e biologica
Fig. 2 - Evoluzione delle percentuali di campioni irregolari risultati dal programma di monitoraggio nazionale per i residui di fitofarmaci in prodotti orto-frutticoli nel periodo 1993-2003 (fonte:
Ministero della Salute).
Fig. 2 - Evolution over time (1993-2003) of percentage of fruit
and vegetable samples presenting pesticide residues above law
threshold. Results from National monitoring program (source:
Ministero della Salute).
32
La ricerca di una produzione sostenibile avviene
attraverso l’adozione di pratiche agricole che fanno
riferimento all’agricoltura integrata e all’agricoltura
biologica.
I sistemi di produzione integrata in orticoltura
lasciano prevedere un possibile sviluppo e consolidamento nel loro impiego. Tale evoluzione consentirebbe di risolvere le problematiche legate al rifornimento
di prodotti in quantità tali da soddisfare le richieste
dei consumatori che, con sempre maggiore insistenza,
si rivolgono verso la qualità, l’igienicità e la salubrità
dei prodotti, nel rispetto dell’ambiente. Il settore, inol-
L’orticoltura biologica
tre, presenta aspetti peculiari che si contraddistinguono per elevata concentrazione territoriale e strutturale
e consistente incidenza sull’economia agraria dei territori in cui sono realizzate.
L’“integrato” può rappresentare un approccio
razionale verso una produzione orticola in grado di
soddisfare le esigenze di ogni classe sociale di consumatori garantendo, nello stesso tempo, buona redditività al produttore. Una volta raggiunto tale obiettivo,
sarà necessario informare correttamente il consumatore attraverso la formulazione di disciplinari di produzione in grado di garantire la tracciabilità del prodotto. La definizione di tracciabilità viene data dal
Regolamento CE 178/2002, con il quale vengono stabiliti i principi e i requisiti generali per garantire un
alto livello di protezione della salute del consumatore
ed un efficace funzionamento del mercato. Nel regolamento si definisce la tracciabilità come la possibilità
di ricostruire e seguire il percorso di un alimento
attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Se in un qualsiasi punto
della filiera si riscontra una non-conformità dell’alimento, la tracciabilità deve consentire, a monte, di
richiamare il prodotto già uscito dalla disponibilità
dell’operatore e, a valle, il percorso a ritroso verso
l’origine, per individuare le cause della non conformità e adottare le opportune misure correttive. Tale
regolamento, tuttavia non è stato ancora completamente recepito o attuato a livello delle amministrazioni locali o delle organizzazioni di produttori, il che
comporta, al momento attuale, l’assenza di un quadro
normativo univoco e dettagliato.
La garanzia di qualità può seguire diversi percorsi
legati alla certificazione di prodotto e di processo (fig.
3). Una prima distinzione va fatta fra i “prodotti tipici
certificati” e i “prodotti certificati”.
Tra gli esempi più importanti di “prodotti tipici
certificati” si ritrovano le DOP e IGP, afferenti ai
Regolamenti Comunitari 2081/92 e 2082/92. Si tratta
di marchi a difesa e valorizzazione di prodotti la cui
qualità è storicamente legata al territorio. Anche se
risulta spontaneo associare il concetto di tipicità a
quello di biologico, nella realtà si tratta di due aspetti
nettamente distinti; non sempre, infatti, i metodi di
produzione definiti nei disciplinari DOP e IGP assumono a riferimento i vincoli legislativi della produzione biologica. Più frequentemente, anzi, tali disciplinari fanno riferimento a metodi produttivi vicini all’orticoltura integrata o addirittura convenzionale non indicando, in quest’ultimo caso, specifici protocolli di
difesa e nutrizione. Quanto appena esposto, oltre che a
fare chiarezza nella distinzione tra Marchio di Origine
Geografica (prodotto tipico certificato) e Marchio di
Produzione Biologica vuole anche focalizzare l’esigenza di una maggiore attenzione agli aspetti colturali
dei prodotti tipici i quali se non al biologico dovrebbero, quanto meno, fare riferimento a metodi di produzione integrata in considerazione della naturale tendenza che spesso si osserva nel consumatore ad associare il concetto di tipicità con quello di salubrità.
Nell’ambito dei “prodotti certificati”, un primo
marchio di qualità è quello che contraddistingue il
biologico con un chiaro riferimento normativo nel
regolamento comunitario 2092/91. I prodotti derivati
da agricoltura integrata trovano, invece, identificazione nei marchi afferenti alle certificazioni di processo e
di prodotto. La certificazione di processo afferente
alle normative comunitarie ISO o VISION, attraverso
il controllo di organismi terzi, si propone di garantire
la corretta esecuzione delle varie fasi relative al processo di produzione, garantendo che qualsiasi intervento venga eseguito nel migliore dei modi. Tale cer-
Fig. 3 - Esempio di percorsi legati alla certificazione di prodotto e di processo.
Fig. 3 - Example of different ways to certify products and processes.
33
Pimpini et al.
tificazione accerta che tutti i punti critici della produzione siano affrontati in modo appropriato, ma spesso
non entra nella valutazione della qualità del prodotto
ottenuto. Per tale motivo appare di crescente interesse
la certificazione di prodotto che si propone, invece, di
certificare specifici aspetti qualitativi degli alimenti
esitati sul mercato. In tale ambito possiamo inserire,
oltre alla grande numerosità di marchi aziendali anche
marchi collettivi che possono essere privati (es. associazioni di produttori, cooperative, consorzi) o pubblici (es. marchi regionali come “qualità controllata”
dell’Emilia Romagna, marchi di “qualità certificata”
della Regione Veneto) oltre alle produzioni afferenti
al Regolamento comunitario 2078/92 e successivo
1257/99 adottato dalla quasi totalità delle Regioni,
anche se con diversa adesione da parte del mondo
operativo.
Tale ampia variabilità di marchi, che pur afferisce
nella stragrande maggioranza dei casi a tecniche integrate ecocompatibili, definite in specifici disciplinari,
non aiuta a creare una immagine univoca di agricoltura integrata. In alcuni casi, infatti, si è tentato di sostituire i trattamenti con prodotti chimici a calendario
con interventi conseguenti al superamento delle soglie
di rischio (lotta guidata) o con una combinazione di
tali trattamenti e l’uso di nemici naturali degli organismi dannosi (lotta integrata).
In altri ambienti, oltre a tali interventi, si è fatto
ricorso anche a tecniche preventive quali la scelta
delle varietà e delle tecniche colturali più idonee a
minimizzare l’impiego di fitofarmaci, intervenendo su
tutte le fasi del processo, integrando tra loro le diverse
tecniche colturali. Di conseguenza anche le normative
indicate alle aziende sono state diverse; infatti, nel
primo caso, sono state concentrate nel momento dei
trattamenti antiparassitari, mentre nel secondo si sono
estese a tutto il processo produttivo.
Per quanto riguarda i settori merceologici, in alcuni ambienti, hanno interessato soltanto la frutticoltura,
in altri alla frutticoltura si è aggiunto il settore zootecnico, in altri ancora alla frutta si sono affiancati vino,
ortaggi, miele, itticoltura e zootecnia da carne. In ogni
caso è da tener presente che, l’attenzione verso questo
settore, è stata evidenziata da indagini condotte sugli
orientamenti della GDO in relazione alle scelte di prodotto. Si è infatti accertato che, per tale importante
canale di commercializzazione, la produzione integrata gioca un ruolo sempre determinante, sia per gli operatori italiani (60%) che per quelli europei (75%) ed è
previsto un consistente sviluppo a condizione che il
prodotto associ alle garanzie di sanità anche quelle di
qualità organolettica e merceologica. A questo propo34
sito, molte catene della GDO già impongono degli
standard ai fini della commercializzazione del prodotto. Tuttavia, mentre a livello nazionale tali standard
vengono definiti dalle singole GDO, a livello europeo
o internazionale è sempre più frequentemente richiesta l’osservanza degli standard imposti da consorzi di
commercianti riconosciuti a livello istituzionale. Sono
un esempio il British Retail Consortium (BRC) e
l’Euro-Retailer Produce Working Group (EUREP), il
cui obbiettivo è quello di sviluppare standard e protocolli per la certificazione dei prodotti ottenuti attraverso sistemi di buona pratica agricola.
I numeri delle produzioni vegetali biologiche
Il settore nel quale, con maggiore intensità dell’integrato, si identifica la orticoltura sostenibile, è rappresentato dal biologico.
L’agricoltura biologica, pur avendo un peso relativamente limitato nel contesto dell’agricoltura italiana
ed europea, è stata caratterizzata da un elevato tasso
annuo di crescita. Negli anni ‘80 l’agricoltura biologica europea aveva una dimensione del tutto trascurabile finché gli Organismi comunitari, con il regolamento n. 2092/91 del Consiglio Europeo, hanno definito e
quindi riconosciuto ufficialmente il metodo biologico
delle produzioni vegetali, attivando anche un sistema
di garanzie aggiuntive basato su controlli svolti da
terzi. In seguito a questi provvedimenti si è verificata
una crescita notevole, tanto che, al momento attuale,
in Europa sono coltivati circa 5 milioni di ettari a biologico che coinvolgono circa 150 mila aziende.
I regolamenti comunitari sulla materia hanno trainato il settore del biologico e, nel marzo del 2000, si è
arrivati alla definizione del logo comunitario specifico, iniziativa che ha consentito di rafforzare l’immagine del biologico agli occhi del consumatore e di
incidere maggiormente sulla valorizzazione di questi
prodotti.
L’agricoltura biologica costituisce un metodo di
produzione basato prevalentemente sulla gestione
delle risorse interne all’impresa agricola, privilegiando tecniche colturali “naturali”, rispetto a quelle basate sulla chimica di sintesi e sull’impiego massiccio di
mezzi tecnici. Nel nostro Paese, tale settore, si caratterizza in tre elementi fondamentali:
• superficie totale nazionale coltivata piuttosto
modesta;
• dispersione territoriale e settoriale;
• articolata struttura associativa.
Negli ultimi quindici anni, l’agricoltura biologica
in Italia ha conosciuto uno sviluppo particolarmente
L’orticoltura biologica
Tab. 1 - Evoluzione delle superfici delle colture biologiche nel
periodo 2000-2003 (MiPAF, 2005).
Tab. 1 - Evolution over time (2000-2003) of the land under cultivation of organic crops in Italy (MiPAF, 2005).
Superficie (ha)
Anno
2000
2001
2002
2003
in conversione
in regime
biologico
Totale
538.078
513.382
421.701
300.141
502.078
724.258
746.511
751.860
1.040.377
1.237.640
1.168.212
1.052.002
intenso, raggiungendo la massima espansione nel
2001 (tab. 1), anno in cui l’Italia è risultata essere il 3°
paese al mondo ed il 1° in Europa per capacità produttiva. Negli anni successivi però si è assistito ad un
ridimensionamento del fenomeno, con un calo delle
superfici totali del 15%, registrato nel 2003, ultimi
dati disponibili (MiPAF, 2005).
La distribuzione del biologico si estende su tutto il
territorio nazionale. La numerosità delle aziende supera di poco le 60.000 unità, pari a poco più del 2% del
totale, con la massima numerosità (60%) ubicata nel
Nord Italia, il 28% nel Centro e il restante 12% al Sud
(ISMEA, 2003).
Nell’ambito di tale drastica dispersione sul territorio nazionale dell’agricoltura biologica, che nel contesto generale del mondo rurale consolidato, presenta
anche scarso peso numerico di aziende e di superficie
totale coltivata, è parsa evidente la necessità di realizzare strutture associative di varia forma, con funzioni
di promozione commerciale, di controllo delle azien-
de, di rappresentanza nel contesto politico e, in alcuni
casi, anche di dettare specifiche normative e gestire,
sia dal punto di vista organizzativo che promozionale,
il marchio biologico.
Al momento attuale non sussiste ancora omogeneità di comportamento a livello nazionale, anche se è
operativo un numero molto elevato di cooperative
agricole oltre ad associazioni, coordinamenti e consorzi nazionali, provinciali e regionali, assistiti da associazioni e cooperative di tecnici.
I dati MiPAF della SAU ripartita tra le diverse colture (tab. 2) confermano la tendenza emersa negli anni
passati di una ripartizione della SAU ad agricoltura
biologica fortemente sbilanciata a favore delle colture
foraggere (53% della SAU), a cui seguono i cereali
(20%). Tra le altre colture, una discreta diffusione si
riscontra per l’olivo (8%), i fruttiferi (5%) e la vite
(3%), mentre più limitato è il contributo delle colture
orticole.
La filiera delle produzioni orticole biologiche
L’orticoltura rappresenta appena l’1,1 % della
SAU complessiva biologica. Inoltre, tra il 2000 e il
2003 si è assistito ad una riduzione di circa il 30%
delle superfici destinate a specie orticole (fig. 4). Tale
fenomeno è dovuto, a differenza delle foraggere e
degli altri seminativi, all’inadeguatezza dell’incentivo,
proposto inizialmente dal Regolamento 2078/92 e
successivamente recepito dai Piani di Sviluppo Rurale
Regionali, rispetto alle perdite di reddito che si osservano in molti casi passando al sistema biologico. Al
Tab. 2 - Superfici ed orientamenti produttivi delle colture biologiche (MiPAF, 2005).
Tab. 2 - Land use for different organic crops (MiPAF, 2005).
Superficie (ha)
Orientamento produttivo
Cereali
Leguminose da granella
Patate
Barbabietola da zucchero
Bietola da foraggio
Colture industriali
Orticoltura
Fiori e piante ornamentali
Foraggi
Altri seminativi
Fruttiferi
Agrumi
Olivo
Vite
Prati e pascoli
Altro
TOTALE
in conversione
in regime biologico
Totale
56.195
4.317
158
102
102
7.696
2.585
26
74.738
3.319
15.766
5.834
24.792
11.439
83.837
9.236
153.181
7.345
730
3.887
215
24.617
8.769
75
222.259
5.838
36.448
10.915
61.410
20.271
179.165
16.734
209.376
11.662
888
3.990
317
32.313
11.354
102
296.997
9.157
52.214
16.749
86.201
31.709
263.003
25.970
300.141
751.860
1.052.002
35
Pimpini et al.
Fig. 4 - Evoluzione delle superfici a colture orticole biologiche
(ortaggi e patate) nel periodo 2000-2003 (MiPAF, 2005).
Fig. 4 - Evolution over time (2000-2003) of land under cultivation of organic vegetables in Italy (MiPAF, 2005).
momento attuale poi le Associazioni di categoria
lamentano come la riforma della PAC in Italia abbia
ignorato il settore dell’agricoltura biologica.
L’orticoltura biologica è principalmente presente
in Sicilia, Puglia ed Emilia Romagna, che nel complesso rappresentano circa il 60% della SAU orticola
biologica nazionale.
A livello nazionale gli ortaggi le cui superfici
hanno un maggiore peso percentuale sono nell’ordine:
pomodoro (545 ha di pomodoro da industria, 861 ha
di pomodoro da mensa), pisello (1.173 ha) e patata
(682 ha); a queste seguono asparago, carote, meloni,
zucchine e carciofi (ISMEA, 2003).
Per quanto riguarda il pomodoro, le varietà da
industria sono maggiormente diffuse in Campania
(126 ha), Lazio (115 ha) ed Emilia Romagna (108 ha)
e le produzioni unitarie medie nazionali si attestano
sulle 50 t ha-1; le varietà da mensa in Puglia (470 ha)
ed Emilia Romagna (236 ha). Il pisello è maggiormente presente in Lombardia (373 ha), Emilia
Romagna (276 ha), Marche (244 ha) e Toscana (161
ha) con una produzione unitaria media nazionale pari
a 6,2 t ha-1. La terza coltura in ordine di importanza è
la patata, concentrata per lo più in Sicilia (422 ha) che
assorbe circa il 60% della SAU a patata biologica
(produzione media nazionale di 28,2 t ha-1).
Come si può dedurre da questa sintetica analisi, il
settore biologico e l’orticoltura biologica in primis
insiste su una superficie coltivata piuttosto modesta.
La piccola dimensione rappresenta in verità la forza
36
Fig. 5 - Evoluzione dei prezzi all’ingrosso di alcuni prodotti orticoli nel periodo 9 marzo-17 giugno 2005. I prezzi dei prodotti
orticoli biologici sono ricavati dalla “Borsa Ortofrutticola
Biologica della CCIAA di Bologna” (CCIAA, 2005), quelli dei
prodotti convenzionali dall’ “Osservatorio Prezzi Ortofrutta
dell’ISMEA”(ISMEA, 2005).
Fig. 5 - Wholesale prices of some vegetables during the period
march 9th-June 17th 2005. Prices for organic produces has been
recorded from “Borsa Ortofrutticola Biologica della CCIAA di
Bologna” (CCIAA, 2005), while those for conventional produce
from “Osservatorio Prezzi Ortofrutta dell’ISMEA” (ISMEA,
2005).
L’orticoltura biologica
del sistema, in quanto permette di spuntare sul mercato prezzi più elevati nei confronti del prodotto tradizionale (fig. 5). La crescita incontrollata del settore
potrebbe portare al collasso per eccesso d’offerta.
Piuttosto ampia ed articolata è la distribuzione
merceologica degli ortaggi “bio”: i punti vendita del
biologico offrono, a fianco ad ortaggi e frutta fresca,
prodotti secchi (farine e legumi), prodotti da forno
(paste alimentari, biscotto, crackers, altro), prodotti
trasformati di origine sia vegetale (succhi di frutta,
conserve, passate, succhi di pomodoro, olio di oliva,
vino, aceto) che animale (formaggi e yogurt), prodotti
conservati sott’olio (carciofini, aglio, fagiolini) e, infine, anche prodotti dietetici (crusche, pappe reali,
miele). Tali realtà sono in grado di ottenere elevate
quote di valore aggiunto esitando i quantitativi aziendali piuttosto modesti con modalità e canali diversificati come ad esempio agriturismo, spacci aziendali,
vendita al dettaglio e, a volte, anche a domicilio.
Tra i canali distributivi, sta emergendo con forza la
grande distribuzione organizzata (ISMEA, 2003) che
ha superato la quota del dettaglio specializzato con
tutte le principali catene dotate di “label” privati per i
prodotti biologici (es.: Esselunga Bio, Coop da
Agricoltura Biologica, Agricoltura Biologica Pam, Sì
naturalmente per Billa/Standa, ecc.).
I concetti ispiratori dell’agricoltura biologica
A questo punto risulta interessante tratteggiare brevemente i più importanti aspetti tecnici che caratterizzano l’agricoltura biologica. Diverse sono state le
definizioni miranti ad identificare questo tipo di agricoltura ma quella che sembra la più appropriata per
illustrarne al meglio sia la pratica che la filosofia di
base è quella data dal National Organic Standard
Board (NOSB, 1995) nel 1995. Secondo questa definizione l’agricoltura biologica è caratterizzata da “un
sistema di gestione della produzione ecologico che
promuove e sviluppa la biodiversità, i cicli biologici e
l’attività biologica del suolo. Fa ricorso ad un utilizzo
minimo di prodotti derivanti da attività extra-azienda li e a pratiche di gestione che ripristinano, mantengo no e stimolano l’armonia ecologica”. Su questa base
non sorprende il fatto che l’agricoltura biologica ricada all’interno del grande ombrello dell’agricoltura
sostenibile e che permetta quindi di conseguire notevoli vantaggi dal punto di vista ambientale, in termini
di riduzione dell’erosione e della lisciviazione dei
nitrati, e del risparmio energetico (Lockertz et al.;
1981, Drinkwater et al., 1998, Xie et al., 2003).
Senza entrare troppo nei dettagli si può dire che
tutta l’agricoltura biologica si basa su di una serie di
principi/attività che devono sempre essere tenuti presenti. Tali principi possono essere identificati in:
Biodiversità, Diversificazione e Integrazione,
Sostenibilità, Nutrizione naturale delle piante,
Controllo naturale delle avversità e Integrità.
Biodiversità
Come regola generale si può affermare che in
natura ecosistemi molto vari presentano maggiore stabilità rispetto ad ecosistemi caratterizzati da poche
specie. La stessa affermazione può considerarsi valida
anche per gli agroecosistemi che risulteranno più stabili ed equilibrati quando saranno presenti molte colture diverse rispetto a quelli caratterizzati da monocoltura. Un agroecosistema equilibrato, come quello
caratterizzante le aziende biologiche, ha maggiori
possibilità di sostenere organismi utili in grado di
favorire, per esempio, l’impollinazione e il controllo
dei patogeni (Van Elsen, 2000; Bengtsson et al.,
2005). Il concetto di biodiversità va poi molto spesso
di pari passo con il concetto di diversificazione produttiva (molteplici prodotti esitati sul mercato) e la
sostenibilità economica conseguente.
Diversificazione e integrazione
Molto difficilmente l’azienda biologica è un’azienda altamente specializzata. La presenza di numerose specie in coltura, dalle orticole alle foraggere, la
produzione di cereali e l’allevamento di bovini garantiscono la disponibilità continua di prodotti per il mercato ed il conseguente costante introito per l’agricoltore riducendo anche i rischi di impresa. Altro aspetto
positivo della biodiversità è quello di favorire un
migliore ciclo dei nutrienti e vitalità del suolo
(Carpenter-Bogs et al., 2000). Il ciclo dei nutrienti
all’interno dell’azienda viene ottimizzato e il ricorso a
input esterni viene ridotto al minimo.
Sostenibilità
In aggiunta alla maggiore sostenibilità economica
legata alla diversificazione produttiva e alla flessibilità aziendale, i produttori biologici beneficiano anche
delle sovvenzioni Comunitarie legate alla certificazione biologica. Non sempre tutto questo porta però a
profitti maggiori per l’imprenditore biologico rispetto
a quello convenzionale, essenzialmente perchè in
zone non eccezionalmente vocate, le produzioni unitarie delle aziende biologiche sono basse. Dal punto
di vista ambientale, la sostenibilità delle aziende biologiche è particolarmente elevata, come hanno dimo-
37
Pimpini et al.
strato diversi indicatori quali il consumo di energia e
la protezione dell’ambiente (Pacini et al., 2003;
Elmaz et al., 2004). Quest’ultimo parametro è però
molto spesso trascurato nella valutazione economica
della sostenibilità che normalmente si basa sull’analisi
costi-benefici (Flores e Sarandon, 2004).
Nutrizione naturale delle piante
In passato tra la maggior parte degli agricoltori
biologici era diffusa l’idea che le piante assorbissero
nutrienti sotto forma di molecole organiche
(Hainsworth, 1976). La cosa si è rivelata assolutamente priva di fondamento e ha impedito per lungo tempo
un dibattito serio sulla nutrizione in agricoltura biologica. Le principali differenze di opinione in tema di
nutrizione delle piante tra gli agronomi “convenzionali” e quelli “biologici” non riguarda che cosa la pianta
assorbe ma l’ambiente da cui le radici traggono il
nutriente. Secondo Kuepper e Gegner (2004) il terreno dovrebbe essere immaginato come uno “stomaco”
dove le sostanze vengono digerite prima di essere
assorbite dalla pianta; la “filosofia” biologica sostiene
che il primo passo per una corretta e naturale nutrizione delle piante debba essere il mantenimento in buone
condizioni degli organismi che presiedono al processo
“digestivo” nel suolo. Diretta conseguenza di questo
modo di pensare è che tale processo viene ottimizzato
evitando la distribuzione di sostanze “tossiche” e di
tutte quelle pratiche che possono danneggiare i
microrganismi del terreno. Secondo questo punto di
vista, la gestione della nutrizione delle piante in modo
convenzionale presenta alcune problematiche; infatti
la distribuzione di massicce quantità di nutrienti in
uno o due momenti specifici causa sbilanci nutrizionali che inducono infestazioni di insetti, maggiore
suscettibilità delle piante alle malattie e ridotta qualità
dei prodotti. Altra conseguenza del massiccio utilizzo
dei concimi di sintesi può essere individuata nella
ridotta “naturalità” dei terreni che finiranno per dipendere sempre più dagli apporti chimici, divenendo
incapaci di fornire alle piante il nutrimento. La concimazione minerale convenzionale, nella maggiore
parte dei casi, apporta solo alcuni dei molteplici elementi necessari per il sostentamento delle piante (N,
P, K, Mg, Ca), e favorisce l’insorgere di problemi
legati alla diffusione delle malerbe e alla lisciviazione
dei composti più solubili (nitrato).
Controllo naturale delle avversità
Il controllo delle avversità rappresenta il problema
più spinoso per ogni tipo di attività agricola e, nel
caso delle pratiche biologiche, risulta probabilmente
38
l’aspetto più problematico in quanto ancora molto
influenzato da motivazioni non sempre basate su evidenze scientifiche. Ciò appare, per esempio, dalla
convinzione dei sostenitori del biologico che gli insetti attacchino essenzialmente piante indebolite dagli
sbilanci nutrizionali (Kuepper e Gegner, 2004) e che
siano respinti da piante in condizioni nutrizionali ottimali. Queste affermazioni sono basate essenzialmente
sul fatto che in natura massicci attacchi di parassiti
delle piante non si verificano molto spesso e, quando
questo accade, il fenomeno ha breve durata in quanto
l’ecosistema tende a ritrovare il suo equilibrio favorendo lo sviluppo di predatori e parassiti naturali degli
insetti dannosi. Anche in questo caso viene evidenziato dai sostenitori del biologico come l’uso massiccio e
costante di pesticidi renda l’ecosistema incapace di
difendersi da solo e di conseguenza sempre più dipendente da ulteriori apporti di prodotti di sintesi.
Integrità
Rappresenta l’ultimo dei pilastri dell’attività biologica e presenta sfaccettature sia pratiche che filosofiche strettamente interconnesse tra loro. In termini
generali si può affermare che il produttore deve rendersi garante nei confronti del consumatore finale
della qualità dei prodotti conferiti al mercato. Tale
garanzia non fa riferimento esclusivamente alle tecniche colturali adottate, ma anche alla messa in atto di
tutti quegli accorgimenti necessari a proteggere i prodotti ottenuti da possibili “inquinamenti” derivanti
dall’esterno.
A conclusione di questo sintetico e s c u r s u s s u i
principi ispiratori dell’agricoltura biologica, sembra
utile riassumere nelle tabelle 3, 4, 5 e 6 quali sono le
tecniche adottabili nell’agricoltura convenzionale,
integrata e biologica. Al fine di rendere più chiara la
comprensione delle tecniche utilizzate/ammesse nei
tre tipi di agricoltura ogni tabella farà riferimento
all’obiettivo principale per cui le operazioni sono
adottate.
La qualità dei prodotti biologici
Una delle principali ragioni per cui i consumatori
acquistano ortaggi “biologici” è la percezione che tali
prodotti siano più “nutrienti” rispetto a quelli convenzionali. A tale riguardo esistono in bibliografia solo
pochi studi che siano stati condotti in condizioni “ben
controllate” e in grado di ottenere quindi una corretta
e significativa comparazione tra i due tipi di prodotto.
Molto spesso per gli esperimenti miranti a queste
L’orticoltura biologica
Tab. 3 - Comparazione tra le tecniche adottabili dall’agricoltura “convenzionale”, “sostenibile” e “biologica” per ridurre l’impatto
ambientale.
Tab. 3 - Comparison among techniques adopted by “conventional”, “sustainable” and “organic” farmers to reduce the environmental impact.
Convenzionale
Integrato
Biologico
Conservazione dello strato attivo del terreno attraverso:
a) adeguate sistemazioni
b) mantenimento della copertura vegetale
c) limitazione della profondità di aratura
SI
SI
SI
NO
Possibile
SI
NO
SI
SI
Favorire la diversità e la complessità ambientale con:
NO
NO
NO
Possibile
Possibile
Possibile
SI
SI
SI
Coltivazione in zone vocate
NO
Consigliata
Consigliata
NO
NO
NO
SI
a) presenza di siepi
b) macchie spontanee
c) specchi d’acqua
Tab. 4 - Comparazione tra le tecniche adottabili dall’agricoltura “convenzionale”, “sostenibile” e “biologica” per aumentare la sostenibilità
e ridurre l’impatto ambientale.
Tab. 4 - Comparison among techniques adopted by “conventional”, “sustainable” and “organic” farmers to improve sustainability and to
reduce the environmental impact.
Convenzionale
Integrato
Biologico
NO
Possibile
SI
NO
Possibile
SI
NO
SI
NO
Scelta varietale:
NO
NO
NO
Consigliata
NO*
Consigliata
NO
NO
Materiale di propagazione:
Consigliata
NO
Consigliata
Consigliata
SI
SI
SI - fino al 31.12.2003,
se non disponibile materiale
biologico
SI
SI
NO
NO
NO
SI
SI
NO
NO (alcuni disciplinari
non le vietano)
Introdurre nell’avvicendamento:
a) sovescio
b) leguminose pratensi poliennali o
leguminose pratensi o da granella
annuali
c) cereale
d) monosuccessione
Consociazione
a) resistenza a fitopatie
b) ecotipi locali o varietà “tipiche”
a) sementi e materiale di propagazione
vegetativa, proveniente da coltivazioni
non biologiche
b) piantine provenienti da coltivazioni
non biologiche
c) OGM
Colture fuori suolo
Materiale di propagazione:
a) riscaldamento
b) copertura in PE o EVA
c) copertura in PVC
d) copertura in doppio strato
e) riciclaggio materiali plastici
SI
SI
SI
SI
SI/NO
a) residui vegetali
b) materiali naturali biodegradabili
c) PE o EVA
d) PVC
e) Riciclaggio materiali plastici
NO
NO
SI
SI
SI/NO
SI
SI
NO
SI
SI
Solo per produzione piantine
SI
NO
Solo per produzione piantine
SI
NO
Consigliata
SI
NO
SI
Consigliata
Consigliata
SI
NO
SI
Pacciamatura:
39
Pimpini et al.
Tab. 5 - Comparazione tra le tecniche adottabili dall’agricoltura “convenzionale”, “sostenibile” e “biologica” per la nutrizione delle piante.
Tab. 5 - Comparison among techniques adopted by “conventional”, “sustainable” and “organic” farmers for the plant nutrition.
Convenzionale
Integrato
Biologico
NO
NO
SI/NO
SI/NO
SI/NO
NO
SI
Possibile
Possibile
SI/NO
SI/NO
SI con limitazione
NO
SI con limitazioni
SI
SI
SI
SI se “biologico” e compostato
SI con limitazioni
SI
NO
SI
SI
SI
SI
Solo riciclabile (NO PVC)
NO
SI con limitazioni
Solo riciclabile (NO PVC)
NO
Fertilizzazione:
a) coltivazione di leguminose
b) lsovescio e/o residui colturali
c) letame
d) altri ammendanti organici
e) reflui zootecnici
f) fertilizzanti di origine naturale
g) fertilizzanti chimici
h) concimazione fogliare e fertirrigazione
Irrigazione:
a) salinità dell’acqua
b) tubazioni in plastica
Impiego di fitoregolatori
SI
SI
SI
Tab. 6 - Comparazione tra le tecniche adottabili dall’agricoltura “convenzionale”, “sostenibile” e “biologica” per la difesa delle colture.
Tab. 6 - Comparison among techniques adopted by “conventional”, “sustainable” and “organic” farmers for disease and weed control.
Convenzionale
Integrato
Biologico
Fertilizzazione:
a) mezzi agronomici
b) scelta di varietà resistenti o tolleranti
NO
NO
Consigliata
Consigliata
SI
SI
a) disinfezioni e disinfestazioni del terreno
SI
Con metodi fisici
b) antiparassitari di sintesi
c) antiparassitari di origine naturale
SI
NO
SI con limitazioni
SI
Solo con solarizzazione (in
caso di forte infestazione)*
NO
SI
NO
SI
SI
NO
NO
SI
Consigliata
SI (NO PVC)
SI
NO
SI
NO
SI
SI (NO PVC)
SI
SI
SI (alcuni disciplinari)
NO
SI
NO
NO
Controllo delle malerbe:
a) falsa semina
b) pacciamatura
c) lavorazioni meccaniche
d) pirodiserbo e termodiserbo
e) solarizzazione
b) diserbo chimico
Difesa in post-raccolta
comparazioni i ricercatori si sono rivolti per l’approvvigionamento dei prodotti al mercato al dettaglio
(Bourn e Prescott, 2002) giustificando tale modalità
operativa con la necessità di ottenere una randomizzazione dei campioni che risulti rappresentativa della
generalità dei prodotti stessi. Tale giustificazione
potrebbe essere accettabile se non inducesse i ricercatori a trascurare quelle che sono state le diverse modalità operative dei produttori (tecniche colturali, scelte
varietali, ecc.) e il fatto che normalmente i prodotti
biologici, in genere venduti localmente, giungono al
mercato molto prima di quelli convenzionali che una
volta raccolti devono essere spediti anche molto lontano (Harker, 2004).
Ricerche bibliografiche condotte da Woese et al.
40
(1997) e da Bourn e Prescott (2002) hanno evidenziato che la comparazione tra ortaggi biologici e convenzionali secondo i 3 aspetti chiave legati al valore
nutrizionale, alla qualità sensoriale ed alla salubrità
presenta risultati molto variegati e talvolta confusi.
Anche questi Autori hanno evidenziato la presenza di
pochi studi ben strutturati e chiari. Per molti degli altri
aspetti presi in considerazione, le differenze tra prodotti biologici e convenzionali non sono sempre attribuibili esclusivamente alla tecnica di coltivazione.
Nessuna chiara evidenza è apparsa nei confronti della
supposta maggiore suscettibilità dei prodotti biologici
alla contaminazione microbiologica, così come dimostrato anche dagli studi di Sagoo et al. (2001). I principali aspetti che sono normalmente presi in conside-
L’orticoltura biologica
razione negli studi dell’effetto delle tecniche colturali
sulla qualità dei prodotti orticoli sono essenzialmente
il contenuto di azoto e di nitrati, il contenuto di vitamine e minerali e gli aspetti sensoriali.
Per quanto riguarda il contenuto di azoto e gli
effetti della fertilizzazione sulla produzione di proteine e sulla loro qualità i risultati appaiono ancora oggi
contraddittori. Se molti Autori concordano sul fatto
che elevati apporti azotati aumentano la concentrazione di proteine nella pianta, diverse sono le opinioni
sull’azione della concimazione sul valore nutrizionale
delle proteine prodotte. Benché le proteine sintetizzate
da una pianta siano determinate dal suo patrimonio
genetico, i rapporti in cui le diverse proteine sono sintetizzate vengono fortemente influenzati dalla quantità
di fertilizzante azotato distribuito (Schuphan, 1961).
In situazioni caratterizzate da apporti elevati, le proteine accumulate hanno un minor contenuto di aminoacidi essenziali. Per esempio, la lisina e la metionina rispettivamente aminoacidi essenziali maggiormente presenti in frumento e spinacio, diminuiscono proporzionalmente a livelli crescenti di azoto (Schuphan,
1961). Eppendorfer et al. (1979) hanno attribuito il
duplice effetto di aumento del contenuto azotato e
della diminuzione del valore nutrizionale della proteina grezza, all’effetto dei fertilizzanti sulla concentrazione degli amminoacidi liberi e delle ammidi. Essi
hanno dimostrato inoltre che crescenti apporti di N
(organico o minerale) sulla patata hanno provocato
l’aumento della concentrazione dell’azoto ma anche la
concomitante diminuzione della qualità delle proteine.
A simili risultati sono giunti anche Syltie et al. (1982)
su frumento.
Al contrario, Millard (1986) ha trovato che applicazioni crescenti di azoto comprese tra 0 e 250 kg ha-1
non solo hanno aumentato la concentrazione di nitrati,
ma hanno aumentato anche il contenuto di amminoacidi essenziali. Uno studio triennale svedese
(Pettersson, 1977) ha evidenziato concentrazioni di
proteina grezza significativamente più elevate in patata, frumento e orzo convenzionale, corrispondenti
però a minori quantità di amminoacidi essenziali, solo
in patata e in frumento. Sulla media di tutte le coltivazioni fatte in un periodo di 12 anni, Schuphan (1974)
ha riscontrato però contenuti di proteina superiori del
18% e una media del 23% in più di metionina in patata e spinacio biologici. Apporti di pollina su spinacio
e bietola rossa hanno generalmente dato livelli inferiori di N-totale nella sostanza secca rispetto ai quattro
fertilizzanti minerali utilizzati (Goh e Vityakon,
1986), a causa della minore disponibilità dell’azoto
apportato con il concime organico. Lairon et al.
(1986) non hanno invece riscontrato differenze nella
concentrazione di proteine o amminoacidi essenziali
in lattuga coltivata utilizzando i due diversi metodi.
Un recente studio condotto da Magkos et al. (2003)
ha evidenziato ancora una volta che cereali e ortaggi
coltivati con tecniche biologiche presentano minore
contenuto di proteina grezza ma ad elevato valore
nutrizionale.
Il contenuto di nitrati nei vegetali è determinato da
diversi fattori quali specie, varietà, luminosità, temperatura, tipo di terreno e apporti di N. In particolare la
disponibilità di azoto durante la crescita della coltura
è considerata la principale fonte di variabilità della
concentrazione di nitrati, in relazione alla quantità e al
periodo di applicazione. Nei fertilizzanti organici, la
frazione di azoto organico è insolubile e deve quindi
essere mineralizzata prima di poter essere assorbita
contrariamente a quanto avviene con l’azoto minerale
più prontamente assimilabile. Appare ovvio quindi
che l’adozione di tecniche biologiche tende a ridurre
il contenuto di nitrati nelle piante come conseguenza
diretta della graduale disponibilità dell’azoto lungo il
ciclo colturale.
Risultati concordi in tal senso sono stati evidenziati su spinacio, lattuga, sedano, bietola, cavolo, porro e
patata (Barker, 1975; Nilsson, 1979; Harwood, 1982;
Vogtmann e Biedermann, 1985; Goh e Vityakon,
1986; Fischer e Richter, 1986). Il contenuto di nitrato
nei prodotti biologici si è sempre mantenuto a livelli
inferiori rispetto a quelli riscontrati nei prodotti convenzionali, anche se tali differenze sono variate molto
in funzione dei fertilizzanti utilizzati (letame, pollina,
sangue di bue, ecc.) e del periodo di coltivazione. In
esperimenti di coltivazione di porro, carota, rapa e
cavolo verde allevati in contenitore, apporti di compost (molto studiato per l’applicazione in agricoltura
biologica) hanno dato basso contenuto di nitrati
rispetto ad equivalenti applicazioni di N, P e K sotto
forma minerale (Lairon et al., 1986). In contrasto con
quanto affermato precedentemente sono apparsi i
risultati ottenuti da Stopes et al. (1988) che non hanno
riscontrato differenti concentrazioni di nitrati in ortaggi prelevati dalla catena di distribuzione biologica e
da quella convenzionale durante due cicli invernali
condotti in Inghilterra.
Più interessante, anche se non sempre chiaro,
appare l’aspetto legato al contenuto di minerali, vitamine e prodotti del metabolismo secondario. Molti
studi hanno messo in evidenza come l’impiego di fertilizzanti, sia organici che minerali, non modifichi in
maniera determinante la composizione delle piante e
in particolare modo, il contenuto di vitamine; la loro
41
Pimpini et al.
sintesi è influenzata maggiormente dal patrimonio
genetico, dallo stato di maturazione alla raccolta e
dalle condizioni climatiche (Stare et al., 1 9 7 2 ;
Leverton, 1973; A.D.A., 1974; Anon, 1974; Jukes,
1977; Linder, 1985). In numero limitato e piuttosto
datati appaiono comunque gli studi a questo proposito.
Alcuni prodotti del metabolismo secondario delle
piante, quali i composti fenolici, suscitano sempre
maggiore interesse in quanto giocano un ruolo molto
importante nella salute umana ed agiscono come composti antitumorali come riportato da Block et al.
(1992), Steinmetz e Potter (1991) e da Hertog et al.
(1993a e 1993b). Esistono comunque pochi studi relativi all’effetto della tecnica colturale sulla produzione
di metaboliti secondari (Brandt e Molgaard, 2001).
Anche se nessuna sostanziale differenza viene trovata
tra alimenti biologici e convenzionali, Brandt e
Molgaard affermano che i primi tendono a produrre
un maggiore numero di tali composti che sono in
grado di esplicare effetti benefici sulla salute dei consumatori. Studi condotti da Asami et al. (2003) hanno
nettamente evidenziato la migliore qualità di fragole e
mais dolce coltivati con tecniche “biologiche” e
“sostenibili” rispetto a quelle ottenute in “convenzionale”. Tale superiorità si è manifestata con un contenuto più elevato di acido ascorbico e fenoli totali.
Risultati contrastanti sono stati riportati da Hakkinen
e Torronen (2000).
In uno studio mirante a comparare l’effetto delle
tecniche di coltivazione sul contenuto dei principali
flavonoidi (composti ad azione antiossidante) negli
alimenti e sulla loro biodisponibilità, è apparso che il
consumo di ortaggi biologici tende a stimolare l’attività antiossidasica plasmatica e ad incrementare l’ossidazione proteica nell’organismo umano (GrinderPedersen et al., 2003), mentre Ren et al. (2001) hanno
evidenziato che l’attività antimutagena del succo di
cavolo cinese, carota, cipolla e spinacio prodotti con
metodo biologico, è risulta di molto superiore a quella
rilevata nel succo degli stessi ortaggi allevati convenzionalmente.
confronti dell’ambiente e della salubrità degli alimenti. Tutto questo si è concretizzato in nuovi scenari produttivi caratterizzati da livelli crescenti di attenzione
per l’ambiente e la salute dei consumatori. Le tecniche
di produzione basate essenzialmente sul concetto del
“più è meglio” si sono via via affinate cercando, in
vario modo, di porre l’attenzione non più sulla quantità ma sulla qualità dei prodotti e del processo produttivo. Sono stati quindi messi a punto disciplinari di
produzione di buona pratica agricola,che hanno previsto il passaggio dai “trattamenti a calendario” alla
lotta guidata prima e integrata poi. Per alcuni agricoltori questo processo evolutivo ha poi portato alla
riscoperta di tradizionali metodi produttivi che si sono
evoluti a loro volta negli attuali disciplinari biologici.
L’orticoltura biologica rappresenta oggi in Italia solo
una piccola parte del totale anche se, dal punto di
vista economico, gli interessi sono elevati. Dopo oltre
10 anni di sviluppo continuo, nei primi anni del 2000
il “biologico” in Italia ha subito una battuta d’arresto,
almeno dal punto di vista della superficie coltivata che
si è stabilizzata attorno a un milione di ettari. Ciò
sembra più legato ad una necessità di riorganizzazione
del settore (produzione e commercializzazione) che ad
una riduzione della domanda che, anzi, appare consolidata se non in crescita. Da un’analisi dei dati a
disposizione appare che, se dal punto di vista tecnico/agronomico, la ricerca abbia supportato questo particolare settore (in maniera più o meno accettabile
almeno per quanto riguarda gli aspetti di nutrizione
delle piante e della lotta alle malerbe), carenti risultano ancora le soluzioni disponibili per la difesa dai
parassiti e dai patogeni.
Discorso a parte merita la supposta superiorità
nutrizionale e salutistica dei prodotti biologici che
però, ad esclusione del ridotto contenuto di nitrato,
non hanno evidenziato nessun’altra caratteristica specifica in grado di qualificarli come tali. Ancora molteplici sono i dubbi e le incertezze presenti, sotto il profilo scientifico, nell’ambito dell’orticoltura biologica,
tali incertezze e dubbi dovrebbero essere chiariti affinché ulteriori reali sviluppi possano verificarsi in questo comparto molto discusso ma poco studiato.
Conclusioni
Riassunto
L’orticoltura in Italia ha subito notevoli cambiamenti negli ultimi anni. Tali modificazioni sono state
motivate, essenzialmente, dalle mutate condizioni
economiche che hanno interessato la nazione dal
secondo dopoguerra ad oggi. Parallelamente alle maggiori possibilità finanziarie della gran parte dei cittadini si è sviluppata anche una grande attenzione nei
42
Il lavoro affronta l’argomento dell’orticoltura biologica cercando di fare una disamina spassionata ed
oggettiva di quella che è la situazione attuale in Italia
e degli aspetti critici di questo comparto. A fronte di
un mercato che ha avuto una rapida crescita negli anni
’90, inducendo di conseguenza un consistente aumento delle superfici investite, si riscontra una scarsità di
L’orticoltura biologica
informazioni scientifiche disponibili. La superiorità
nutrizionale e qualitativa dei prodotti biologici, se da
un lato risulta essere la principale motivazione nell’acquisto di tali prodotti, dall’altro non trova molti
riscontri oggettivi in letteratura. Nel prossimo futuro
si presuppone che non vi siano ulteriori grandi sviluppi in termini di superficie investita, ma solo un assestamento di quanto già esiste. Ulteriori ricerche, rigorose dal punto di vista dell’impostazione scientifica,
sono necessarie al fine di fare chiarezza su di un argomento tanto importante quanto poco conosciuto.
Parole chiave: sistemi colturali, sostenibilità, qualità
degli alimenti.
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