ECONOMIAeAMBIENTE
L’oppio
La capsula del «Papaver
sonniferum»
Dal lattice del «papavero
da oppio», attraverso un
processo di essiccazione, si
ricava l’oppio grezzo,
sostanza base per la
produzione di morfina ed
eroina.
Le proprietà terapeutiche e stupefacenti dell’oppio, estratto per essiccazione dal lattice
del Papave r so nnife rum («papavero da oppio»), molto diffuso in Oriente, erano note
fin dall’antichità. Greci e romani infatti se ne servivano, mescolato ad altre sostanze, come antidolorifico, e conoscevano anche i suoi effetti collaterali, come la dipendenza e
la grave tossicità. Come stupefacente, infatti, l’oppio trovava impiego in taluni rituali
magici e religiosi, come, ad esempio, il culto della dea della Terra, Demetra. Per lungo
tempo prevalse il suo impiego in ambito medico, tanto che l’oppio venne reintrodotto
nell’Europa medievale grazie alla medicina araba, venendo apprezzato soprattutto per
le sue virtù di anestetico. Per tutta l’età moderna l’oppio e i suoi derivati furono quindi
considerati una medicina; anzi, un formidabile farmaco. Thomas Sydenham, uno dei
più grandi medici inglesi del secondo ’600, non esitò a definire l’oppio «la santa ancora
della vita» e a proposito dei suoi derivati scrisse: «non posso trattenermi dal ricordare con
gratitudine la bontà dell’Essere Supremo, che li ha dati all’umanità come sollievo; nessun altro rimedio è altrettanto potente nello sconfiggere un gran numero di malattie, o
addirittura nello sradicarle». Nel ’700 i medici giunsero a sostenere che l’oppio potesse
calmare tutti i tipi di dolore: dalla tosse alle febbre, dai reumatismi alle coliche, e addirittura guarire mali terrificanti come il vaiolo e il colera.
Agli inizi del XIX secolo l’oppio era perciò socialmente accettato e il suo uso consentito
dalle legge. Venduto in farmacia come calmante ed analgesico, era un medicinale poco
costoso e prescritto facilmente dai medici. Esso veniva addirittura somministrato ai bambini per farli addormentare, sotto forma di succhi e sciroppi. Diffuso in ogni strato sociale, il suo consumo era prevalente tra la classe operaia, costretta a condizioni di vita molto dure. All’uscita dalle fabbriche, infatti, molti operai si recavano ad acquistare bottigliette di laudano, una bevanda composta da alcool e oppio, venduta nelle drogherie
dei sobborghi industriali a prezzi dalle cinque alle dieci volte più bassi di quelli della birra e dell’alcool. Nella patria della rivoluzione industriale, l’Inghilterra, il consumo di
oppiacei conobbe perciò un incremento vertiginoso. Se nel 1830 il Regno Unito impor-
Fumatori d’oppio cinesi, 1901
Il consumo di oppio, introdotto in Cina
dagli inglesi per incrementare le proprie
esportazioni, produsse seri danni economici
e sociali.
GIARDINA-SABBATUCCI-VIDOTTO • © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI
L’oppio
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tava 50.000 kg d’oppio, nei trent’anni successivi la cifra sarebbe quadruplicata, tanto da
spingere le autorità ad alcuni timidi provvedimenti, come la decisione, presa nel 1868,
di limitarne la vendita alle farmacie, sia pure senza alcuna prescrizione medica.
Si può allora facilmente comprendere perché l’oppio avesse presto destato l’interesse
della Compagnia inglese delle Indie Orientali, che fin dalla metà del ’600 aveva impiantato nella penisola indiana vaste piantagioni di papaveri, facendo dell’Inghilterra il
primo produttore di oppio al mondo. Tale primato si rivelò particolarmente utile per la
conquista del mercato cinese. L’Inghilterra infatti importava dalla Cina prodotti pregiati
come il tè, la seta, le porcellane, senza però che i cinesi mostrassero interesse alcuno per
le merci inglesi, provocando in questo modo un grave disavanzo nella bilancia commerciale britannica. Soltanto l’oppio riuscì a conquistare quel mercato. In Cina l’uso di
sostanze oppiacee era rimasto per secoli un fenomeno di portata limitata; tuttavia, il consumo di tabacco ne favorì indirettamente la diffusione. La decisione presa dalle autorità
imperiali cinesi, nel 1644, di vietare il commercio di tabacco a causa delle serie conseguenze sanitarie ed economiche provocate dal tabagismo, paradossalmente, finì per
aprire la strada al consumo di oppio. Nonostante fossero fuori legge, la domanda di oppiacei crebbe, fra il 1767 e il 1850, di ben 70 volte, alimentata ad arte dalla Compagnia
delle Indie, che introduceva di contrabbando grandi quantità di oppio, ricevendo in
cambio i pregiatissimi prodotti cinesi. Per difendere questo commercio, che consentiva
di realizzare guadagni altissimi, spostando la bilancia commerciale a favore della Gran
Bretagna, gli inglesi non esitarono a scatenare, nel 1839 e nel 1856, ben due guerre. La
Cina sconfitta dovette accettare il libero commercio degli oppiacei. Pertanto, nel 1890,
mentre di lì a poco gli Stati europei avrebbero proibito l’oppio e i suoi derivati, in Cina
si contavano ben 120 milioni di fumatori abituali e circa 10 milioni di tossicomani.
Pubblicità per i
prodotti della
«New York
Quinine and
Chemical Works
Limited», 1901
[Collezione T.
Robinson,
Richboro,
Pennsylvania (USA)]
Eugène-Samuel
Grasset,
«Morfinomane», 1897
[Ars Medica Collection,
Museum of Art,
Philadelphia]
Verso la fine dell’800,
nonostante l’uso della
Fra i prodotti
reclamizzati dalla
casa farmaceutica
americana agli inizi
del ’900
compaiono anche i
derivati dell’oppio
(cui alludono i
papaveri in alto e
in basso), morfina e
cocaina.
GIARDINA-SABBATUCCI-VIDOTTO • © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI
morfina e della cocaina in
medicina non fosse
ancora proibito, si andava
già diffondendo la
consapevolezza dei danni
provocati dal loro
consumo e il rischio
elevato di cadere nella
dipendenza.
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