OKTOBER 2014 Ibidem Das Blatt der Romanistik-Doktorierenden Der akademische Nachwuchs berichtet zu aktuellen Veranstaltungen Workshop dottorale: Utopia. Viaggio e insularità Fra l’8 e il 10 maggio si è svolto presso il nostro ateneo il workshop dottorale Utopias. Travels and Insularity, organizzato dal Dipartimento di anglistica in collaborazione con il Seminario di romanistica. Di Katia Senjic La conferenza introduttiva è stata tenuta dal Professore emerito dell’università La Réunion, Jean-Michel Racault – specialista della letteratura odeporica del XVIII secolo – che ha magistralmente condotto anche i lavori del fine settimana e le vivaci discussioni. Dare una definizione dell’utopia non è un compito facile, ma si può tentare una prima ovvia distinzione: si può chiamare utopia il progetto, il sogno, il desiderio di un nuovo ordine sociale e politico, risultante in una società futura che incarni i più alti ideali del vivere sociale. Ma la parola utopia si può anche applicare a un “filone letterario”, mirante a descrivere, a delineare i contorni e la sostanza di un simile progetto e difatti, nell’ambito del workshop, si è affrontato il commento e l’analisi di alcune utopie letterarie classiche francesi e inglesi, scritte fra il XVI e il XVIII secolo, appartenenti a diversi generi letterari (romanzi pastorali, robinsonade, romanzi odeporici): Thomas More, Utopia (1516); Cyrano de Bergerac, L’autre monde. Voyage dans la lune. (1657); Daniel Defoe, Robinson Crusoe (1719); Jonathan Swift, Gulliver’s Travels, IV libro (1727); Denis Diderot, Supplément au Voyage de Bougainville ( 1772-1796); Bernardin de Saint Pierre, Paul et Virginie (1788). Antica illustrazione dell‘isola di Utopia piano comunicativo e culturale, ma all’interno di questa apparente unificazione vi è un’enorme disuguaglianza economica e sociale, esasperata dalla violenza dei modelli egemonici che cercano di imporsi. L’utilizzo di questo termine in relazione a testi del XVI e XVIII secolo può sembrare, di primo acchito, anacronistico, ma questo concetto non è nuovo, se preso in un’accezione più ampia, come presa di coscienza delle diversità culturali e la interazione fra queste. I testi presi in esame si rifanno propriamente a questo concetto, in quanto rappresentano non tanto il sogno di una società futura ideale, bensì una riflessione fittiva intorno al rapporto Il Professor Racault ha aperto i lavori con una brillante conferenza introduttiva, Utopie et mondialisation de L’Utopie de More au Supplément au Voyage de Bougainville de Diderot, di cui il presente articolo desidera presentare, chiaramente in forma sintetica, gli aspetti salienti. Il termine mondializzazione evoca nella nostra società contemporanea un mondo unificato sul 1 Ibidem OKTOBER 2014 MAI 2010 vigente fra l’Europa e il resto del mondo. Difatti in queste opere lo spostamento spaziale per lo più non coincide con lo spostamento temporale, ovvero non sono ambientati in un futuro lontano dalla realtà sociale degli scrittori. Si tratta per lo più di uno strumento di confronto fra due realtà, una ideale e l’altra Jean-Michel Racault reale. Il viaggio immaginario – spesso basato su racconti odeporici autentici – diventa un elemento centrale, in quanto crea una distanza “critica” necessaria per il confronto. ma Utopo, che conquistandola dette nome all’isola, chiamata prima Abraxa, e che condusse le popolazioni rozze e selvagge a quello stato di civiltà e cultura in cui superano quasi tutti gli uomini del mondo, impadronitosene appena, al primo sbarco, con la vittoria, fe’ tagliar la terra per 15 miglia dalla parte dov’era unita al continente e vi trasse il mare all’intorno. (Moro, 1942, p. 66) La separazione, la presa di distanza viene vista come atto necessario per la creazione di un nuovo modello sociale. E a livello letterario questi scritti sembrano voler invitare il lettore alla stessa presa di distanza, al fine di sviluppare una coscienza critica verso la propria società e poter in tal modo intervenire per migliorarla. Conferenza del prof. Jean-Michel Racault Nell’ambito del suo lavoro di dottorato in Letteratura Italiana, seguita dal prof. Dr. Johannes Bartuschat e dalla prof. Maria Serena Sapegno, Katia Senjic si sta occupando delle utopie letterarie del Rinascimento e del primo Barocco, analizzando il rapporto fra il potere politico e la rappresentazione della donna e della famiglia. La scoperta dell’America costituisce l’autentica presa di coscienza dell’”altro”, ponendo il problema della diversità della specie umana: siamo un’unica specie o vi sono più specie umane (monogenismo o poligenismo)? Gli indiani d’America sono soggetti al peccato originale? Sono esclusi dalla salvazione? Tutti questi quesiti fungono da sottofondo alle utopie letterarie rinascimentali, dalle quali si può evincere che il vecchio mondo piò portar loro la tecnologia e il cristianesimo, ma che anche loro hanno qualcosa da insegnarci: un modo di vivere secondo natura e una saggezza spontanea, naturale, che ricorda l’epicureismo, inteso come la ricerca del godimento e del piacere sensuale. Bibliografia Tommaso Moro, L’Utopia, a cura di T. Fiore, Bari, Laterza, 1942, p. 66 Fra le sue numerose pubblicazioni di Jean-Michel Racault ricordiamo: L’utopie narrative en France et en Angleterre, 1675-1761, Oxford, Voltaire Foundation at the Taylor Institution, 1991; Nulle part et ses environs: voyage aux confins de l’utopie litteraire classique (1657-1802), Paris, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 2003; Voyages badins, burlesques et parodiques du XVIIIe siècle, Saint-Étienne, Université de Saint-Étienne, 2005; Robinson et compagnie: aspects de l’insularité politique de Thomas More à Michel Tournier, Paris, Petra, 2010. L’isola necessaria Le utopie costituiscono dei mondi conchiusi di sperimentazione che dialogano costantemente con le realtà storiche dei loro autori, a volte per esasperarne i vizi e altre per fungere da contraltare, quasi da bussola ideologica per i lettori. L’isola diviene il luogo privilegiato per la loro rappresentazione, difatti basti ricordare che l’Utopia di More inizialmente non era un’isola e che il fondatore di questa nuova società illuminata la separò dal resto del continente: IMPRESSUM Herausgegeben vom «Doktoratsprogramm Romanistik: Methoden und Perspektiven» der UZH. Autorinnen und Autoren sind die RomanistikDoktorierenden der Universität Zürich. Layout und Gestaltung: Paul Sutermeister Kontakt: [email protected] Online: www.rose.uzh.ch/doktorat/ibidem.html Del resto, com’è tradizione e come dimostra da sé l’aspetto del paese, una volta questa terra non tutta era circondata da mare; 2 Ibidem OKTOBER 2014 MAI 2010 bución. Profesionalmente se consolidó como un gran experto en la edición y distribución editorial. Un perfil profesional que ya no abandonó hasta crear, veinte años después, su propia Compañía, como le gustaba nombrar pomposamente a la pequeña oficina de Marketing Editorial. Los personajes, las historias y la escritura de Los girasoles ciegos son los propios de un genial escritor, de un enérgico fabulador. Pero esa energía solo pudo ser trasvasada a su escritura en el tramo final de su vida. Malgastaba sus esfuerzos fantaseando con que su Compañía le daría recursos económicos para retirarse a escribir. Afortunadamente, en los últimos ocho años de su vida pudo entregarse a una escritura intensa, cuando encontró, al fin, Las Brañas. Rematando una colina desde la que podía verse el mar, reconstruyó una casona con una sensibilidad, delicadeza y elegante confortabilidad que la hacían inolvidable. Desde primeras horas de la mañana se entregaba a la escritura. Un cigarrillo y un café era todo lo que necesitaba para dejar el sueño y encontrarse lúcido. Nuestras conversaciones podían prolongarse hasta altas y alcohólicas horas Alberto Méndez, el luminoso destello del escritor furtivo Un congreso en la Universidad de Zúrich rescata, diez años después de la muerte del autor de Los girasoles ciegos, la magia del libro que ganó el Premio de la Crítica. Los derechos de reproducción de los siguientes textos, han sido concedidos, exclusivamente para «Ibidem», por El País online. Agradecemos la generosa colaboración. De Alberto Corazón En el amable otoño neoyorquino de 2005 estaba con un grupo de amigos, muy relevantes en el mundo de la edición, cuando sonó mi teléfono móvil: acababan de premiar con el Nacional de Narrativa a Alberto Méndez, por Los girasoles ciegos (Anagrama). Hacía un año que Méndez había muerto. No pudo, ni siquiera, atisbar el unánime reconocimiento a un escritor descomunal. Nunca el Premio Nacional de Narrativa, el más importante galardón, se había concedido a un autor fallecido. Nunca al autor de una sola obra. Nunca a un escritor absolutamente desconocido. Ante mis balbuceos lacrimosos preguntaron con delicadeza quién era Alberto Méndez. El más importante escritor desconocido, sigue siéndolo diez años después de su muerte, con un libro que no solo es un continuo éxito editorial en Europa, sino que además es un texto de culto, traducido y reeditado en más de 11 idiomas. Hacer libros fue la pasión compartida que tejió la profunda relación entre Alberto y yo. Alberto se ganaba la vida en agotadoras jornadas de traductor. Nos habíamos conocido fundando la editorial Ciencia Nueva. Cuando la dictadura nos obligó a cerrarla, creamos Comunicación con el sello Alberto Corazón editor. Sostenida por los adelantos financieros de nuestro socio y distribuidor Miguel García Sánchez, la editorial nunca dio beneficios. Alberto tenía que seguir traduciendo. La oportunidad apareció al cabo de unos meses. En Barcelona se acababa de instalar el gran editor Grijalbo, que contrató a Alberto para la gestión de distri- El escritor madrileño Alberto Méndez, autor de Los girasoles ciegos de la noche, pero casi con el amanecer Alberto ya estaba trabajando. Escribía, corregía, desechaba, volvía de nuevo. Su instinto de escritor era tan versátil como exacto. El mar, el ozono marino le daba una serenidad especial. Era un buen nadador y un excelente pescador submarino. Durante los años que veraneamos en una pequeña ensenada asturiana cenábamos los peces que cobraba por las mañanas. A los dos nos gustaba cocinar. Yo le llamaba Méndez y él me llamaba Cuore, así evitábamos el repiqueteo de Albertos. Compró una pequeña barca de pesca de bajura con el motor diesel del rítmico paf, paf, paf, 3 Ibidem OKTOBER 2014 MAI 2010 pausado y tranquilizador. Costeábamos hasta dos rías próximas cercadas por acantilados sobrecogedores. Allí, en Tina Mayor y Tina Menor, con la excusa indolente de pescar al arrastre, Méndez iba desmenuzando a los personajes de sus cuentos. Creía que la literatura debía hablar de la condición humana y del esplendor, tantas veces oculto, de la vida. Necesitaba que las historias fuesen reales para dar esa consistencia y fragilidad única a sus personajes. Toda su literatura está envuelta por una enigmática compasión. A mí me parece que esa es la clave de una escritura que al cabo de los años sigue atrapando con una atracción abisal a lectores de diferentes generaciones y culturas. El último viaje largo que hicimos juntos fue explorando las villas de Palladio entre los canales del Véneto. El hermetismo férreo con el que Alberto llevaba los avances de Los Girasoles, comenzó a abrirse tumbados los dos en una pradera de la Villa Rotonda. Ya no hablaba de personajes y relatos sino de un libro en el que estos se mezclarían como en un retablo, en el que las escenas, las figuras, el propio estilo pictórico sería necesario para que conformasen un todo. Me confesó que el relato uno y el tres estaban terminados, el dos a falta de una última corrección y el cuatro muy avanzado. Todo su arrojo en cualquier tema, se transformaba en timidez celosamente defensiva con su escritura. Por fin me dejó leer un montón de folios. Aquellas páginas eran escritura con mayúsculas, gran, gran literatura. No me cansaba de pedirle un último esfuerzo, el cuarto relato, el final de Los Girasoles. Urgencia porque estaba ante la obra maestra del amigo hermano ya seriamente enfermo. A comienzos de 2003 la enfermedad avanzaba, Los Girasoles finalizados, pero él se resistía a dar el último paso. Creía que nadie le recordaba, que su escritura era marginal para los cenáculos críticos y además, estaba agotado por su día a día y su noche a noche tan dolorosas. Entregó el manuscrito a Herralde, que a las 48 horas había leído Los Girasoles, quería firmar el contrato para editar inmediatamente. Alberto revivió durante unos meses. Hacía planes de futuro pero ya solo podía dar pequeños paseos. El libro estaba en las librerías a comienzos de 2004. El boca a oído comenzó a funcionar. Cada lector de Los Girasoles no podía dejar de recomendarlo con una convicción emocionada. Solo firmar ejemplares en la Feria del Libro era ya un trabajo agotador. Murió a finales de diciembre de 2004, menos de un año tras la edición del libro. “Los límites de mi lenguaje son los límites de mi mundo” afirmaba Wittgenstein. Ahora el mundo de Alberto Méndez, inabarcable y luminoso, es el que está en sus Girasoles Ciegos. Regreso a ‘Los girasoles ciegos’ D e B orja H ermoso Diez años ya de la muerte de Alberto Méndez (Madrid, 1941-2004), un señor que fumaba, bebía, hablaba y escribía… diez años ya de aquellas 155 páginas de Los girasoles ciegos, principio y fin de la vida más literaria que quepa imaginar, la de quienes por un lado persiguen con la furia serena de un chamán el ideal de la escritura y sus flujos y mareas y, por otro, escapan como del diablo de toda frecuentación de camarillas, cenáculos, familias y corifeos. En suma, esos repelentes lobbies tan queridos por las letras españolas de hoy y de siempre. Electrones libres se les llama a especímenes como Alberto Méndez y otros pocos, otros tristemente pocos. Probablemente sólo desde esos balcones de la indiferencia en el mejor de los casos o del desprecio en el peor de ellos ante cualquier ejercicio tendente a la mafia cultural se puede, probablemente, dar a imprenta escritos inclasificables como Los girasoles ciegos en el caso de Méndez, La buena letra en el caso de Rafael Chirbes, o, pongamos por caso, la magistral novelita Estrella distante en el caso de Roberto Bolaño. Libros sin marchamo ni etiqueta, casualmente (para quien crea en las casualidades) convertidos en pasta de papel por el mismo editor, a saber Jorge Herralde (Anagrama). A día de hoy Los girasoles ha hecho vender a Herralde cosa de 300.000 libros. La cifra de ventas en España, entre Anagrama y Círculo de Lectores, que también la editó, se acerca al medio millón de ejemplares. Los cuatro relatos bajo los que corre, pegajoso y magistral, el fantasma de la Guerra Civil y que vertebran el volumen fueron merecedores del Premio de la Crítica y el Nacional de Narrativa. Sin sospecharlo, sin quererlo… sin saberlo: Méndez murió antes de tanto laurel, apenas tuvo tiempo para ver su poderosa escritura convertida en carne de éxito. Familiares y amigos del autor (entre ellos Alberto Corazón, que firma el artículo) y estudiosos de este libro celebran hoy en la Universidad de Zúrich, un seminario en torno a esta obra de culto. ¿Para cuándo algo similar en España? 4