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Das Blatt der Romanistik-Doktorierenden
Der akademische Nachwuchs berichtet zu aktuellen Veranstaltungen
Workshop dottorale: Utopia. Viaggio e insularità
Fra l’8 e il 10 maggio si è svolto presso il nostro ateneo il workshop dottorale
Utopias. Travels and Insularity, organizzato dal Dipartimento di anglistica
in collaborazione con il Seminario di romanistica.
Di Katia Senjic
La conferenza introduttiva è stata tenuta dal Professore emerito dell’università La Réunion, Jean-Michel
Racault – specialista della letteratura odeporica del
XVIII secolo – che ha magistralmente condotto anche i lavori del fine settimana e le vivaci discussioni.
Dare una definizione dell’utopia non è un compito facile, ma si può tentare una prima ovvia distinzione: si può chiamare utopia il progetto, il sogno,
il desiderio di un nuovo ordine sociale e politico,
risultante in una società futura che incarni i più alti
ideali del vivere sociale. Ma la parola utopia si può
anche applicare a un “filone letterario”, mirante a
descrivere, a delineare i contorni e la sostanza di un
simile progetto e difatti, nell’ambito del workshop,
si è affrontato il commento e l’analisi di alcune
utopie letterarie classiche francesi e inglesi, scritte
fra il XVI e il XVIII secolo, appartenenti a diversi
generi letterari (romanzi pastorali, robinsonade, romanzi odeporici):
Thomas More, Utopia (1516);
Cyrano de Bergerac, L’autre monde. Voyage dans la
lune. (1657);
Daniel Defoe, Robinson Crusoe (1719);
Jonathan Swift, Gulliver’s Travels, IV libro (1727);
Denis Diderot, Supplément au Voyage de Bougainville
( 1772-1796);
Bernardin de Saint Pierre, Paul et Virginie (1788).
Antica illustrazione dell‘isola di Utopia
piano comunicativo e culturale, ma all’interno di
questa apparente unificazione vi è un’enorme disuguaglianza economica e sociale, esasperata dalla violenza dei modelli egemonici che cercano di
imporsi. L’utilizzo di questo termine in relazione a
testi del XVI e XVIII secolo può sembrare, di primo acchito, anacronistico, ma questo concetto non
è nuovo, se preso in un’accezione più ampia, come
presa di coscienza delle diversità culturali e la interazione fra queste. I testi presi in esame si rifanno
propriamente a questo concetto, in quanto rappresentano non tanto il sogno di una società futura ideale, bensì una riflessione fittiva intorno al rapporto
Il Professor Racault ha aperto i lavori con una brillante conferenza introduttiva, Utopie et mondialisation de L’Utopie de More au Supplément au Voyage de
Bougainville de Diderot, di cui il presente articolo desidera presentare, chiaramente in forma sintetica,
gli aspetti salienti.
Il termine mondializzazione evoca nella nostra
società contemporanea un mondo unificato sul
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vigente fra l’Europa e
il resto del mondo. Difatti in queste opere lo
spostamento spaziale
per lo più non coincide con lo spostamento
temporale, ovvero non
sono ambientati in un
futuro lontano dalla realtà sociale degli
scrittori. Si tratta per lo
più di uno strumento
di confronto fra due realtà, una ideale e l’altra
Jean-Michel Racault
reale. Il viaggio immaginario – spesso basato su racconti odeporici autentici – diventa un elemento centrale, in quanto crea
una distanza “critica” necessaria per il confronto.
ma Utopo, che conquistandola dette nome
all’isola, chiamata prima Abraxa, e che
condusse le popolazioni rozze e selvagge a
quello stato di civiltà e cultura in cui superano quasi tutti gli uomini del mondo, impadronitosene appena, al primo sbarco, con
la vittoria, fe’ tagliar la terra per 15 miglia
dalla parte dov’era unita al continente e vi
trasse il mare all’intorno. (Moro, 1942, p. 66)
La separazione, la presa di distanza viene vista
come atto necessario per la creazione di un nuovo
modello sociale. E a livello letterario questi scritti
sembrano voler invitare il lettore alla stessa presa
di distanza, al fine di sviluppare una coscienza critica verso la propria società e poter in tal modo intervenire per migliorarla.
Conferenza del prof. Jean-Michel Racault
Nell’ambito del suo lavoro di dottorato in Letteratura Italiana, seguita dal prof. Dr. Johannes Bartuschat e dalla
prof. Maria Serena Sapegno, Katia Senjic si sta occupando delle utopie letterarie del Rinascimento e del primo
Barocco, analizzando il rapporto fra il potere politico e la
rappresentazione della donna e della famiglia.
La scoperta dell’America costituisce l’autentica presa di coscienza dell’”altro”, ponendo il problema
della diversità della specie umana: siamo un’unica
specie o vi sono più specie umane (monogenismo
o poligenismo)? Gli indiani d’America sono soggetti al peccato originale? Sono esclusi dalla salvazione? Tutti questi quesiti fungono da sottofondo
alle utopie letterarie rinascimentali, dalle quali si
può evincere che il vecchio mondo piò portar loro
la tecnologia e il cristianesimo, ma che anche loro
hanno qualcosa da insegnarci: un modo di vivere
secondo natura e una saggezza spontanea, naturale, che ricorda l’epicureismo, inteso come la ricerca
del godimento e del piacere sensuale.
Bibliografia
Tommaso Moro, L’Utopia, a cura di T. Fiore, Bari, Laterza, 1942, p. 66
Fra le sue numerose pubblicazioni di Jean-Michel Racault ricordiamo: L’utopie narrative en France et en Angleterre, 1675-1761, Oxford, Voltaire Foundation at the
Taylor Institution, 1991; Nulle part et ses environs: voyage
aux confins de l’utopie litteraire classique (1657-1802), Paris,
Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 2003; Voyages
badins, burlesques et parodiques du XVIIIe siècle, Saint-Étienne, Université de Saint-Étienne, 2005; Robinson et
compagnie: aspects de l’insularité politique de Thomas More à
Michel Tournier, Paris, Petra, 2010.
L’isola necessaria
Le utopie costituiscono dei mondi conchiusi di sperimentazione che dialogano costantemente con le
realtà storiche dei loro autori, a volte per esasperarne i vizi e altre per fungere da contraltare, quasi da
bussola ideologica per i lettori. L’isola diviene il luogo privilegiato per la loro rappresentazione, difatti
basti ricordare che l’Utopia di More inizialmente
non era un’isola e che il fondatore di questa nuova
società illuminata la separò dal resto del continente:
IMPRESSUM
Herausgegeben vom «Doktoratsprogramm
Romanistik: Methoden und Perspektiven» der UZH.
Autorinnen und Autoren sind die RomanistikDoktorierenden der Universität Zürich.
Layout und Gestaltung: Paul Sutermeister
Kontakt: [email protected]
Online: www.rose.uzh.ch/doktorat/ibidem.html
Del resto, com’è tradizione e come dimostra da sé l’aspetto del paese, una volta questa terra non tutta era circondata da mare;
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bución. Profesionalmente se consolidó como un gran
experto en la edición y distribución editorial. Un perfil profesional que ya no abandonó hasta crear, veinte
años después, su propia Compañía, como le gustaba
nombrar pomposamente a la pequeña oficina de Marketing Editorial.
Los personajes, las historias y la escritura de Los
girasoles ciegos son los propios de un genial escritor,
de un enérgico fabulador. Pero esa energía solo pudo
ser trasvasada a su escritura en el tramo final de su
vida. Malgastaba sus esfuerzos fantaseando con que
su Compañía le daría recursos económicos para retirarse a escribir.
Afortunadamente, en los últimos ocho años de su
vida pudo entregarse a una escritura intensa, cuando encontró, al fin, Las Brañas. Rematando una colina
desde la que podía verse el mar, reconstruyó una casona con una sensibilidad, delicadeza y elegante confortabilidad que la hacían inolvidable. Desde primeras
horas de la mañana se entregaba a la escritura. Un cigarrillo y un café era todo lo que necesitaba para dejar
el sueño y encontrarse lúcido. Nuestras conversaciones podían prolongarse hasta altas y alcohólicas horas
Alberto Méndez,
el luminoso destello
del escritor furtivo
Un congreso en la Universidad de Zúrich
rescata, diez años después de la muerte
del autor de Los girasoles ciegos, la magia
del libro que ganó el Premio de la Crítica.
Los derechos de reproducción de los siguientes textos, han
sido concedidos, exclusivamente para «Ibidem», por El País
online. Agradecemos la generosa colaboración.
De Alberto Corazón
En el amable otoño neoyorquino de 2005 estaba con
un grupo de amigos, muy relevantes en el mundo de
la edición, cuando sonó mi teléfono móvil: acababan
de premiar con el Nacional de Narrativa a Alberto
Méndez, por Los girasoles ciegos (Anagrama). Hacía un
año que Méndez había muerto. No pudo,
ni siquiera, atisbar el unánime reconocimiento a un escritor descomunal. Nunca
el Premio Nacional de Narrativa, el más
importante galardón, se había concedido
a un autor fallecido. Nunca al autor de
una sola obra. Nunca a un escritor absolutamente desconocido. Ante mis balbuceos lacrimosos preguntaron con delicadeza quién era Alberto Méndez. El más
importante escritor desconocido, sigue
siéndolo diez años después de su muerte,
con un libro que no solo es un continuo
éxito editorial en Europa, sino que además es un texto de culto, traducido y reeditado en más de 11 idiomas.
Hacer libros fue la pasión compartida que tejió la
profunda relación entre Alberto y yo. Alberto se ganaba la vida en agotadoras jornadas de traductor. Nos
habíamos conocido fundando la editorial Ciencia Nueva. Cuando la dictadura nos obligó a cerrarla, creamos
Comunicación con el sello Alberto Corazón editor. Sostenida por los adelantos financieros de nuestro socio y
distribuidor Miguel García Sánchez, la editorial nunca
dio beneficios. Alberto tenía que seguir traduciendo.
La oportunidad apareció al cabo de unos meses. En
Barcelona se acababa de instalar el gran editor Grijalbo, que contrató a Alberto para la gestión de distri-
El escritor madrileño Alberto Méndez, autor de Los girasoles ciegos
de la noche, pero casi con el amanecer Alberto ya estaba trabajando. Escribía, corregía, desechaba, volvía
de nuevo. Su instinto de escritor era tan versátil como
exacto. El mar, el ozono marino le daba una serenidad
especial. Era un buen nadador y un excelente pescador
submarino. Durante los años que veraneamos en una
pequeña ensenada asturiana cenábamos los peces que
cobraba por las mañanas.
A los dos nos gustaba cocinar. Yo le llamaba Méndez y él me llamaba Cuore, así evitábamos el repiqueteo de Albertos. Compró una pequeña barca de pesca
de bajura con el motor diesel del rítmico paf, paf, paf,
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pausado y tranquilizador. Costeábamos hasta dos rías
próximas cercadas por acantilados sobrecogedores.
Allí, en Tina Mayor y Tina Menor, con la excusa indolente de pescar al arrastre, Méndez iba desmenuzando
a los personajes de sus cuentos. Creía que la literatura
debía hablar de la condición humana y del esplendor,
tantas veces oculto, de la vida. Necesitaba que las historias fuesen reales para dar esa consistencia y fragilidad única a sus personajes. Toda su literatura está
envuelta por una enigmática compasión. A mí me parece que esa es la clave de una escritura que al cabo
de los años sigue atrapando con una atracción abisal a
lectores de diferentes generaciones y culturas.
El último viaje largo que hicimos juntos fue explorando las villas de Palladio entre los canales del Véneto. El hermetismo férreo con el que Alberto llevaba
los avances de Los Girasoles, comenzó a abrirse tumbados los dos en una pradera de la Villa Rotonda. Ya no
hablaba de personajes y relatos sino de un libro en el
que estos se mezclarían como en un retablo, en el que
las escenas, las figuras, el propio estilo pictórico sería
necesario para que conformasen un todo. Me confesó
que el relato uno y el tres estaban terminados, el dos a
falta de una última corrección y el cuatro muy avanzado. Todo su arrojo en cualquier tema, se transformaba
en timidez celosamente defensiva con su escritura. Por
fin me dejó leer un montón de folios. Aquellas páginas
eran escritura con mayúsculas, gran, gran literatura.
No me cansaba de pedirle un último esfuerzo, el cuarto relato, el final de Los Girasoles. Urgencia porque estaba ante la obra maestra del amigo hermano ya seriamente enfermo. A comienzos de 2003 la enfermedad
avanzaba, Los Girasoles finalizados, pero él se resistía a
dar el último paso. Creía que nadie le recordaba, que
su escritura era marginal para los cenáculos críticos y
además, estaba agotado por su día a día y su noche a
noche tan dolorosas. Entregó el manuscrito a Herralde, que a las 48 horas había leído Los Girasoles, quería
firmar el contrato para editar inmediatamente. Alberto revivió durante unos meses. Hacía planes de futuro
pero ya solo podía dar pequeños paseos.
El libro estaba en las librerías a comienzos de 2004.
El boca a oído comenzó a funcionar. Cada lector de
Los Girasoles no podía dejar de recomendarlo con una
convicción emocionada. Solo firmar ejemplares en la
Feria del Libro era ya un trabajo agotador.
Murió a finales de diciembre de 2004, menos de un
año tras la edición del libro. “Los límites de mi lenguaje son los límites de mi mundo” afirmaba Wittgenstein. Ahora el mundo de Alberto Méndez, inabarcable
y luminoso, es el que está en sus Girasoles Ciegos.
Regreso a ‘Los girasoles ciegos’
D e B orja H ermoso
Diez años ya de la muerte de Alberto Méndez
(Madrid, 1941-2004), un señor que fumaba, bebía,
hablaba y escribía… diez años ya de aquellas 155
páginas de Los girasoles ciegos, principio y fin de
la vida más literaria que quepa imaginar, la de
quienes por un lado persiguen con la furia serena
de un chamán el ideal de la escritura y sus flujos
y mareas y, por otro, escapan como del diablo
de toda frecuentación de camarillas, cenáculos,
familias y corifeos. En suma, esos repelentes
lobbies tan queridos por las letras españolas de hoy
y de siempre.
Electrones libres se les llama a especímenes
como Alberto Méndez y otros pocos, otros
tristemente pocos. Probablemente sólo desde
esos balcones de la indiferencia en el mejor de
los casos o del desprecio en el peor de ellos ante
cualquier ejercicio tendente a la mafia cultural se
puede, probablemente, dar a imprenta escritos
inclasificables como Los girasoles ciegos en el caso
de Méndez, La buena letra en el caso de Rafael
Chirbes, o, pongamos por caso, la magistral
novelita Estrella distante en el caso de Roberto
Bolaño. Libros sin marchamo ni etiqueta,
casualmente (para quien crea en las casualidades)
convertidos en pasta de papel por el mismo editor,
a saber Jorge Herralde (Anagrama). A día de hoy
Los girasoles ha hecho vender a Herralde cosa de
300.000 libros. La cifra de ventas en España, entre
Anagrama y Círculo de Lectores, que también la
editó, se acerca al medio millón de ejemplares.
Los cuatro relatos bajo los que corre, pegajoso y
magistral, el fantasma de la Guerra Civil y que
vertebran el volumen fueron merecedores del
Premio de la Crítica y el Nacional de Narrativa.
Sin sospecharlo, sin quererlo… sin saberlo:
Méndez murió antes de tanto laurel, apenas tuvo
tiempo para ver su poderosa escritura convertida
en carne de éxito.
Familiares y amigos del autor (entre ellos
Alberto Corazón, que firma el artículo) y
estudiosos de este libro celebran hoy en la
Universidad de Zúrich, un seminario en torno a
esta obra de culto. ¿Para cuándo algo similar en
España?
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Ibidem Oktober 2014 (Nr. 35)