PROFILO EVOLUTIVO DELL’OCCUPAZIONE FEMMINILE IN EMILIA-ROMAGNA
Il mercato del lavoro della regione Emilia-Romagna ha conosciuto, a partire dalla metà
degli anni ‘90, un andamento particolarmente favorevole, caratterizzato da una lunga
fase di espansione dell’occupazione.
All’interno di questo scenario è proprio la componente femminile quella più dinamica
che ha visto accrescere costantemente dal 1993 al 2006 propri tassi di occupazione di
circa un punto percentuale all’anno, passando dal 50% al 61%, 1 raggiungendo già nel
2004, con ben sei anni di anticipo, l’obiettivo fissato nell’ambito degli accordi europei,
per il 2010. 2
Tale condizione favorevole emerge con maggiore evidenza se confrontata con la
situazione nazionale, il cui tasso di occupazione femminile nel 2006, secondo l’Indagine
sulle Forze di lavoro dell’ISTAT, si attesta intorno al 46,2%, con la circoscrizione
nord-orientale ove raggiunge il 56,2% e con l’Europa (EU 25) ove si colloca al 56,3%
(2005).
Se si osserva d’altro canto l’andamento dei tassi di disoccupazione femminile nello
stesso periodo si evidenzia come il tasso si dimezzi passando dal 9% del 1993 al 4,4%
2006, risultando strutturalmente inferiore al dato nazionale. Nonostante questa
straordinaria performance il tasso di disoccupazione femminile risulta ancora, così
come nel resto d’Europa, superiore a quello maschile.
Il tasso di attività femminile (64,5%) supera il dato nazionale di 14 punti percentuali e
mostra valori superiori alle principali economie europee (62,5% se consideriamo il dato
europeo a 25).
Parallelamente all’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro è
possibile riscontrare, in maniera diffusa anche un mutamento nel modello di
partecipazione che si caratterizza per una lunga permanenza al lavoro durante l’età
adulta sino alla pensione.
A tal proposito lo studio dei tassi di occupazione, raggiunti nel 2005 in EmiliaRomagna, distinti per genere e classi d’età, ci consentono di evidenziare come il
modello di partecipazione femminile si sia approssimato sempre di più al profilo
maschile.
1
Per le stime relative al 2006 si fa riferimento alla rilevazione continua Istat Forze di lavoro dei primi nove mesi.
Gli accordi europei sanciti nell’Agenda di Lisbona del marzo 2000 prevedono il raggiungimento di obiettivi di piena
occupazione, in particolare del tasso di occupazione femminile al 60% nel 2010.
2
1
Tassi di occupazione per genere e classi d'età quinquennali in EmiliaRomagna nel 2005
100,0
Valori percentuali
80,0
60,0
Maschi
Femmine
40,0
20,0
65 - 69
60 - 64
55 - 59
50 - 54
45 - 49
40 - 44
35 - 39
30 - 34
25 - 29
20 - 24
15 - 19
0,0
Classi d'età
Dal grafico, infatti, emerge come le ragazze, nelle classi d’età più giovani (dai 15 ai 19
annui), presentino un tasso di occupazione più basso dei coetanei maschi
presumibilmente legato ad un maggiore investimento formativo che induce un ingresso
ritardato nel mondo del lavoro. A partire dalla classe d’età successiva (20-24 anni) si
coglie, invece un forte incremento nei tassi occupazionali sia dei maschi (63%) che
delle femmine (53%), con un divario di circa dieci punti percentuali che si accentua
ulteriormente nelle classi centrali d’età, dai trenta ai quarantacinque anni, ove si
registra per entrambi i generi un picco nell’occupazione, rispettivamente dell’83% per
le donne e del 95% degli uomini. Questo differenziale di circa 12 punti percentuali
segnala, tuttavia la perdurante presenza di forti criticità nella conciliazione tra
carichi di lavoro familiare e impegni professionali per le donne lavoratrici. I tassi
d’occupazione rimangono alti sino ai cinquant’anni, per poi cominciare a decrescere
gradualmente.
Appare significativo, inoltre confrontare le curve dei tassi di occupazione femminile,
per classi d’età, in Emilia-Romagna a distanza di dieci anni e precisamente nel 1994 e
nel 2005,al fine di cogliere alcune tendenze di fondo nei comportamenti lavorativi
delle donne.
2
Tassi di occupazione femminile per classi d'età nel 1994 - 2005 in
Emilia - Romagna
Valori percentuali
100%
80%
60%
1994
2005
40%
20%
60 - 64
55 - 59
50 - 54
45 - 49
40 - 44
35 - 39
30 - 34
25 - 29
20 - 24
15 - 19
0%
Classi d'età
Il dato che colpisce di più è un rilevante innalzamento dei tassi di occupazione in tutte
le classi di età fatta eccezione per quella più giovane (15-19 anni), dove nel 2005 si
rileva un valore inferiore di tre punti percentuali rispetto alla analoga coorte del ‘94,
ciò confermerebbe la tendenza, accresciuta nell’ultimo decennio, ad una prolungata
scolarizzazione delle ragazze che ritarda l’ingresso nel mercato del lavoro. Nelle
classi d’età successive ed in particolare a partire dai venticinque anni i valori dei tassi
di occupazione nel 2005 presentano un incremento dell’8% rispetto alle analoghe classi
del ‘94. Ma è nelle coorti over 40, che nel 2005, si registrano i maggiori incrementi.
In particolare tra i 45 e i 54 anni si riscontra un aumento di oltre il 15% per arrivare
al 16% nella classe 50-54 anni. Lo scarto via via si riduce sino ad annullarsi oltre i 60
anni d’età. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro risulta dunque
costantemente in crescita nonostante due fattori concorrano a contrastarla: da una
parte il fattore demografico della diminuzione della forza lavoro in età lavorativa,
dall’altra l’incremento della scolarizzazione che sottrae una quota di popolazione in età
giovanile alla partecipazione al lavoro. Tuttavia le donne non solo lavorano in numero
sempre maggiore ma presentano crescenti investimenti lavorativi proprio nelle classi
d’età adulte. Se tutto ciò sembra avvalorare l’ipotesi dei cambiamenti intervenuti nei
pattern di comportamento lavorativo delle donne, evidenzia d’altro canto il fatto che
le coorti di ultra cinquantenni, a causa del maggior numero di anni di studio precedenti
l’ingresso nel lavoro, risultano avere una minore anzianità di servizio rispetto alle loro
coetanee del passato e sono dunque costrette a permanere più a lungo nel mercato del
lavoro, anche alla luce delle riforme del sistema pensionistico.
3
Come è cambiata l’occupazione femminile negli ultimi dieci anni
Al fine di approfondire alcune tendenze di fondo che hanno caratterizzato il
cambiamento dell’occupazione femminile negli ultimi anni in Emilia - Romagna sono stati
analizzati, inoltre, alcuni indicatori sulle posizioni professionali ricoperte dalle
lavoratrici rispettivamente nel 1996 e nel 2005. Dall’analisi dei dati emerge che, al di
là della crescita quantitativa registratasi negli anni Novanta, si è verificato un
processo di progressiva qualificazione delle forze di lavoro, che ha investito
soprattutto i ruoli femminili. Sebbene le dipendenti aumentino in tutte le posizioni
professionali, la crescita percentuale più cospicua interessa tuttavia la quota delle
dirigenti, che passano dal 17,3% del ‘96 al 26,8% nel 2005, quasi esclusivamente
assorbita dal settore terziario, dove il loro numero risulta addirittura triplicato.
Aumentano anche le lavoratrici in posizione di quadro, aumenta ancora in maniera
significativa il numero delle impiegate prevalentemente inserite nella trasformazione
industriale e nelle attività terziarie e delle operaie. Fra le occupate indipendenti
aumenta la quota delle imprenditrici, che passano complessivamente dal 15,2% nel ’96
al 22% nel 2005 e delle libere professioniste che aumentano di quasi 6 punti
percentuali (dal 24,4% al 30%) entrambe presenti in prevalenza nel settore terziario.
In sintesi nonostante queste tendenze evidenzino un progressivo miglioramento delle
posizioni professionali ricoperte dalle lavoratrici, va comunque sottolineato come
permangano tuttora forti divari di genere e le donne siano sotto rappresentate nelle
posizioni dirigenziali (27%), mentre appaiono sovrarappresentate nelle posizioni
impiegatizie dove incidano per il 62% del complesso, ricoprendo al contempo il 90% dei
contratti part-time. Più equilibrata appare invece la presenza femminile nelle posizioni
di quadro, ove raggiungono il 40%. Appaiono ancora sotto rappresentate tra gli
imprenditori (22% ) e i liberi professionisti (30%), risultano invece più numerose tra i
collaboratori (48%) e i prestatori d’opera occasionale (57%). Le lavoratrici in proprio
rappresentano il 26% del complesso dei lavoratori autonomi, mentre le coadiuvanti
superano il 64% del totale.
Per quanto attiene il tempo di lavoro, nel periodo considerato si assiste ad una
fortissima crescita dei contratti di lavoro part-time. Le lavoratrici in part-time
aumentano tra il ’96 al 2005 di oltre il 14%, (dal 9,6% nel 1996 al 24% nel 2005), più
contenuta ma ugualmente significativa appare la crescita dei contratti a tempo
determinato(+ 4%). L’incidenza più significativa del part-time interessa le impiegate e
le operaie. Si registra ugualmente una crescita molto sostenuta del ricorso al parttime da parte delle donne in posizione di quadro, sebbene più limitata in termini
numerici se confrontata con l’universo delle lavoratrici.
L’Indagine ISTAT sulle Forze di Lavoro ha consentito, inoltre, nel 2005 di
approfondire le motivazioni del ricorso part-time, da cui emerge che la maggioranza
delle lavoratici (oltre il 70%) ricorre al part-time per prendersi cura dei figli o di altri
familiari, il 15% per poter disporre di più tempo libero, soltanto un 10% ne fa ricorso
per motivi di studio o di salute, mentre tra i maschi prevale il ricorso al part-time per
4
acquisire maggiore tempo libero (30% dei casi), per usufruire della formazione
professionale (15% dei casi), per malattia , cura dei figli ed altri familiari nell’11% dei
casi.
Motivazioni del lavoro part time
Maschi
Studia o segue corsi di formazione
Malattia, problemi di salute personali
Per prendersi cura dei figli, di bambini e/o di
altre persone non autosufficienti
Svolge un secondo lavoro
Altri motivi familiari
Avere a disposizione più tempo libero
Altro
Tutti
Fonte :Istat Rcfl 2005
val. % val%
maschi femm.
Femmine Totali
4545
3781
9101
5541
13646
9322
15%
12%
6%
4%
1967
2012
1388
10389
6277
30359
90665
1666
12547
21316
5578
146414
92632
3678
13935
31705
11855
176773
6%
7%
5%
34%
21%
100%
62%
1%
9%
15%
4%
100%
Rispetto alla volontarietà della scelta di lavoro a tempo parziale l’ISTAT consente di
rilevare che circa il 65% delle part-timer non vorrebbe un lavoro full-time, questo
dato riguarda soprattutto le lavoratrici di età compresa tra i 35 e i 44 anni, quando
presumibilmente più forte è l’esigenza di conciliare gli impegni lavorativi con le
responsabilità ed i carichi familiari favorendo la partecipazione delle madri alla vita
attiva, soprattutto nelle famiglie dove tale scelta è sostenibile anche da un punto di
vista reddituale. Tra le lavoratrici più giovani fino ai 34 anni prevale invece la quota di
quelle che accettano un lavoro part-time in mancanza di un rapporto di lavoro a tempo
pieno. La scelta del part-time appare ulteriormente confermata anche alla luce di una
eventuale presenza di servizi di supporto, come si rileva dalla tavola seguente, dove
per l’80% delle lavoratrici intervistate la mancanza di servizi di supporto alla famiglia
non costituisce motivo della propria scelta di lavorare part-time, mentre rappresenta
la causa principale del ricorso al part-time per il 14% delle lavoratrici.
Lavora part time perché nella zona in cui vive i servizi di supporto alla famiglia
compresi quelli a pagamento, sono assenti, indaguati o troppo costosi?
Maschi
Si sono assenti/inadeguati i servizi per la cura
dei bambini
Si sono assenti/inadeguati i servizi per la cura
degli anziani, malati disabili
Si entrambi i servizi sono assenti/inadeguati
No
Non sa
Tutti
Fonte: Istat RCFL
Femmine Totale
177
11259
11436
0
73
1717
0
1967
515
1174
75341
2376
90665
515
1247
77058
2376
92632
5
Infine, in merito alla diffusione dei contratti di lavoro a tempo parziale nella regione
Emilia-Romagna occorre sottolineare che nonostante siano in costante crescita e
investano il 24% delle lavoratrici, risultano meno diffusi che a livello nazionale
(25,6%), e soprattutto europeo ove la quota di part-timer raggiunge il 32,3% come è
possibile rilevare dalla tavola seguente 3 .
Incidenza del part time sull'occupazione nel
2005 in alcuni Paesi europei per genere
Maschi
Italia
4,6
Spagna
4,5
Grecia
2,3
Francia
5,7
Germania
7,8
Austria
6,1
Danimarca
12,7
Svezia
11,5
Olanda
22,6
Gran Bretagna 10,4
UE 25
7,4
Femmine
25,6
24,2
9,3
30,7
43,8
39,3
33,0
39,6
75,1
42,7
32,3
Totale
12,8
12,4
5,0
17,2
24,0
21,1
22,1
24,7
46,1
25,4
18,4
Fonte Eurostat, 2006
Il profilo delle lavoratrici in Emilia-Romagna 4
La grande maggioranza delle lavoratrici emiliano–romagnole ha un’età compresa tra i
25 ed i 54 anni; le classi d’età più numerose sono quelle dai 30 ai 44 anni in cui si
concentra quasi il 50% delle donne occupate. Se si analizzano gli occupati per genere,
classi d’età e titoli di studio colpisce l’elevato tasso di occupazione (oltre l’80%) dei
ragazzi dai 15 ai 24 anni sprovvisti di titolo di studio, a fronte del basso tasso di
occupazione delle ragazze. Si tratta presumibilmente di giovani inseriti in contratti di
apprendistato. Anche nelle classi d’età successive si riscontrano per gli uomini elevati
tassi di occupazione e di attività pur in assenza di titolo di studio o in generale con
basso profilo d’istruzione. Nel complesso i maschi non sembrano beneficiare di
particolari vantaggi rispetto all’inserimento occupazionale se in possesso di titoli di
studio più elevati mentre per le donne si riscontra un progressivo innalzamento dei
tassi di attività e di occupazione all’accrescersi del livello di scolarizzazione. In
generale le donne occupate presentano livelli di scolarizzazione più elevata rispetto ai
maschi occupati. Risultano in possesso di titoli di studio medio alti il 76% delle
lavoratrici a fronte del 45% dei lavoratori.
3
4
Eurostat, “Employment in Europe 2006”
per svolgere questa analisi i dati più aggiornati sono riferiti al 2005
6
Oltre che più istruite, le donne appaiono anche più flessibili o per propria scelta o
perché costrette dal mercato. Le lavoratrici emiliano-romagnole lavorano per due
terzi a tempo pieno sia in posizione dipendente che autonoma, per un terzo in parttime, l’11% lavora a termine, mentre i maschi lavorano al 90% a tempo pieno, il 4% in
part-time, il 6% a termine.
Le lavoratrici dipendenti rappresentano circa il 80% del complesso delle occupate,
presentano il larga maggioranza contratti a tempo indeterminato (68%) e sono
principalmente inserite in ambito terziario (74% a fronte del 50% dei maschi) ed in
ambito industriale, (23% a fronte del 45,% dei maschi). Le lavoratrici con contratti di
lavoro non standard ammontano a circa 135.000 e rappresentano il 17% del complesso
delle occupate, a fronte del 9,6% dei colleghi maschi. Si tratta di lavoratrici in
prevalenza con un’età compresa tra i 25 e i 44 anni. Anche per questa categoria di
lavoratrici si riscontra la presenza di più elevati livelli di qualificazione ed istruzione
rispetto a quelli dichiarati dai colleghi maschi. In particolare quasi la metà risulta in
possesso di un titolo di studio medio (diploma o qualifica professionale), mentre un
quarto dichiara di avere la laurea o il diploma universitario. Queste lavoratrici atipiche
sono inserite prevalentemente nel settore terziario, soprattutto nell’istruzione e nella
sanità, seguito dal settore commerciale e dall’industria.
La propensione all’imprenditorialità e al lavoro autonomo e libero professionale in
Emilia-Romagna risulta più marcata per i maschi (35%) che per le femmine (20,8%).
Indicatori di “gender equality” nel mercato del lavoro regionale
La situazione del mercato del lavoro a livello provinciale risulta piuttosto variegata; il
tasso di occupazione complessivo è compreso tra il minimo di Piacenza (64%) ed il
massimo di Reggio Emilia (70,8%) mentre, ad una analisi di genere emerge che al
massimo raggiunto dai lavoratori a Reggio Emilia (81,7%), si contrappone il valore più
basso di Ravenna (74,4%). Le Province che presentano invece il maggior tasso di
occupazione femminile appaiono le Province dell’area centrale emiliana (Bologna,
Modena, e Reggio cui si aggiungono Ravenna e Ferrara) il valore minimo è riferito a
Piacenza (52,4%). La buona situazione di Bologna è confermata anche dal basso tasso
di disoccupazione complessivo (2,7%) che a Ferrara, viceversa, registra un 5,8% con il
più alto tasso di disoccupazione femminile pari al 7,4%
7
Occupati per genere e relativi tassi (15-64 anni) nelle province dell'Emilia-Romagna,
nel Nord-est ed in Italia nel 2005
Occupati
Maschi
Piacenza
Parma
Reggio Emilia
Modena
Bologna
Ferrara
Ravenna
Forlì
Rimini
Emilia-Romagna
Nord-Est
Italia
70
108
135
175
234
86
91
94
74
1.066
2.854
13.738
Femmine
45
77
93
133
193
69
73
71
53
806
2.025
8.825
Maschi e
femmine
115
184
228
308
426
155
164
165
127
1.872
4.879
22.563
Tasso di occupazione 15-64 anni
Maschi e
Maschi
Femmine
femmine
75,2
52,4
64,0
77,3
57,5
67,5
81,7
59,5
70,8
77,7
62,0
70,0
75,6
63,2
69,4
74,7
60,6
67,6
74,4
62,0
68,3
74,3
59,0
66,7
76,4
55,3
65,8
76,6
60,0
68,4
75,8
56,0
66,0
69,7
45,3
57,5
Fonte: nostra elaborazione su dati Rilevazione continua delle Forze di lavoro dell'ISTAT 2005
In cerca di impiego per genere e relativi tassi nelle province dell'Emilia-Romagna,
nel Nord-est ed in Italia nel 2005
Piacenza
Parma
Reggio Emilia
Modena
Bologna
Ferrara
Ravenna
Forlì
Rimini
Emilia-Romagna
Nord-Est
Italia
Persone in cerca di occupazione
Maschi e
Maschi
Femmine
femmine
2
2
5
3
5
8
2
5
8
5
7
12
4
7
12
4
6
10
3
4
7
3
5
7
3
4
6
29
45
74
82
119
202
902
986
1.889
Tasso di disoccupazione
Maschi e
Maschi
Femmine
femmine
3,3
5,1
4,0
2,6
6,0
4,1
1,7
5,4
3,2
2,9
4,7
3,7
1,9
3,7
2,7
4,5
7,4
5,8
3,2
5,4
4,2
2,7
6,2
4,3
3,3
6,7
4,7
2,7
5,3
3,8
2,8
5,6
4,0
6,2
10,1
7,7
Fonte: nostra elaborazione su dati Rilevazione continua delle Forze di lavoro dell'ISTAT 2005
I dati appena esposti consentono il calcolo di alcuni indicatori di “gender equality”
5
proposti in sede europea per il calcolo dei differenziali nei tassi di occupazione e
disoccupazione femminile e maschile, da cui emerge che il gap nella disoccupazione,
inteso come differenza nei relativi tassi, a livello regionale risulta 2,6 punti
percentuali, in Italia 3,9 nel Nord-Est 2,8; ovvero la disoccupazione femminile supera
quella maschile in tutte e tre le ripartizioni amministrative. Viceversa in modo
complementare a quanto visto per la disoccupazione, il gap nell’occupazione, inteso
come differenza tra i rispettivi tassi di occupazione femminili e maschili, è pari a –
16,5 punti percentuali a livello regionale, a livello nazionale –24,5, nel Nord-Est –19,8.
5
cfr “Indicators on Gender Equality in the European Employment Strategy” aprile 2002
8
Il livello di occupazione femminile è anche in questo caso nettamente inferiore a
quello maschile anche se l’Emilia-Romagna presenta una situazione migliore sia rispetto
al Nord-Est che rispetto all’Italia. Sviluppando il calcolo dei differenziali per tutte le
province emerge che il più alto gap di disoccupazione è presente a Reggio Emilia e
Forlì, mentre il più basso gap di occupazione è presente a Bologna e Ravenna, come
mostra la tavola seguente.
Gap nella disoccupazione e nell'occupazione tra donne e uomini
nelle province dell'Emilia-Romagna in Italia e nel Nord-Est
Province
divario
divario
disoccupazione occupazione
Piacenza
Parma
Reggio Emilia
Modena
Bologna
Ferrara
Ravenna
Forlì
Rimini
Emilia-Romagna
Nord-Est
Italia
1,8
3,4
3,7
1,8
1,8
2,9
2,2
3,5
3,4
2,6
2,8
3,9
-22,7
-19,9
-22,3
-15,7
-12,4
-14,1
-12,4
-15,2
-21,1
-16,5
-19,8
-24,5
Fonte: nostra elaborazione su dati Rilevazione continua delle Forze di lavoro dell'ISTAT
Il lavoro atipico, consistenze ed andamenti
La rilevazione ISTAT ha consentito, inoltre, di evidenziare la composizione
dell’occupazione regionale 6 , dalla quale emerge come il 13% del complesso, circa
237.000 persone, risultino occupate in lavori non standard, ovverosia con contratti di
lavoro a tempo determinato, (formazione lavoro, apprendistato, lavoro stagionale,
lavoro interinale, a progetto), con contratti di prestazioni d’opera occasionale, di
collaborazione coordinate e continuative o a progetto. Ad una disaggregazione di
genere emerge come le lavoratrici siano presenti in maniera prevalente rispetto ai
lavoratori in tutte le tipologie di lavoro atipico. In particolare sono occupate in lavori
non standard quasi il 17% dell’universo delle lavoratrici a fronte dell’9.6% dei
lavoratori. Rispetto alle tipologie contrattuali maggiormente in uso colpisce la
diffusione dei contratti a tempo determinato in cui sono inserite l’11% delle
lavoratrici a fronte del 6% dei lavoratori, oltre al dato del part- time dove la quota di
donne supera il 24% di contro al corrispondente 4% dei maschi.
Per quanto attiene i lavoratori titolari di contratti di collaborazione (35mila) o di
prestazione d’opera occasionale (circa 7mila), il dato che colpisce di più è che il 90% di
6
si fa riferimento alla rilevazione Istat 2005
9
essi dichiara di aver prestato la propria attività per un unico committente, di lavorare
presso la sede del committente e spesso di non determinare neppure il proprio orario
di lavoro. Tali dati sembrano configurare una condizione dei collaboratori più simile a
quella di lavoratori subordinati piuttosto che di liberi professionisti.
La scomposizione per genere evidenzia tra i collaboratori a progetto una sostanziale
equidistribuzione tra maschi e femmine mentre un numero maggiore di donne (+60%
del totale) è presente tra i collaboratori occasionali.
Per quanto concerne le collaborazioni coordinate e continuative e a progetto il dato
fornito dall'ISTAT, appena presentato, può essere affiancato da informazioni
differenti rese disponibili dall'Osservatorio sui lavoratori parasubordinati dell'INPS. 7
Le informazioni fornite dai dati INPS a tal proposito sembrano indicare la presenza di
uno stock di lavoratori coordinati continuativi che lavorano per un unico committente
che si attesta intorno alle 95.000 unità e che appare, quindi, più del doppio di quello
determinato sulla base dei dati ISTAT. Tale apparente contraddizione fra i dati può
essere, peraltro, spiegata facendo riferimento all'insieme delle ipotesi e dei vincoli
adottati dall'ISTAT nella determinazione dei soggetti che possono essere identificati
come collaboratori coordinati e continuativi che si differenziano da quelli
implicitamente adottati nei dati INPS. 8
Se si tiene conto delle considerazioni appena proposte e se si escludono gli
amministratori, sindaci e revisori di società, il dato INPS relativo ai collaboratori che
svolgono la propria attività in maniera esclusiva si riduce a circa 70.000 unità, cifra
che appare comunque molto superiore a quella determinata sulla base dei dati
ISTAT. 9
Si sottolinea infine come i dati INPS consentono di approfondire alcune
caratteristiche soggettive dei lavoratori titolari di contratti di co.co.co. e co.co.pro..
Ad un’analisi del profilo per età si rileva che la classe più numerosa in Emilia-Romagna,
così come in Italia, è quella dei trentenni (30,5%) anche se risulta rilevante l’apporto
dei giovani tra i venticinque e i ventinove anni (22%) e dei quarantenni (20%). Le
collaboratrici superano i colleghi maschi nelle classi d’età più giovani fino ai trenta
anni; nella fascia d’età più numerosa dai trenta ai quaranta anni si registra invece una
sostanziale parità fra i generi, mentre nelle classi più adulte prevalgono gli uomini.
Complessivamente i collaboratori puri rappresentano il 5,1% del totale delle persone
occupate in Emilia-Romagna nel 2004. L’Osservatorio INPS sui lavoratori
parasubordinati consente anche l’analisi di alcuni indicatori reddituali da cui emerge
che i redditi medi dei soli collaboratori puri, privi di altre entrate monetarie, sono più
7
L'osservatorio raccoglie i dati derivanti dalle iscrizioni alla gestione separata INPS che riguardano i lavoratori
autonomi ed ha iniziato recentemente a rendere disponibili alcune informazioni di sintesi in merito ad essi.
8
La stima fornita dall’Istat considera esclusivamente l’attività principale dichiarata dagli intervistati e fa riferimento
all’esistenza di un impiego nella settimana precedente la rilevazione. Il dato INPS riguarda, invece, sia l'attività
principale che quella secondaria di un lavoratore e, soprattutto, fa riferimento ad una iscrizione avvenuta in qualunque
momento dell'anno.. Per un approfondimento su questo tema si veda “Collaborazioni coordinate e continuative nelle
rilevazioni sulle forze di lavoro” in “Statistiche in breve ISTAT” del 21 marzo 2005
9
Tra i soggetti presenti nelle banche dati Inps presumibilmente ci sono anche studenti e casalinghe che non rientrano tra
le stime dell’Istat in quanto non sono interessati ad un lavoro stabile e continuativo, ma solo all’integrazione del reddito
familiare
10
contenuti per le donne, raggiungendo i 10.235 euro, mentre aumentano fino a 20.793
euro per gli uomini. Appaiono poi notevolmente diversificati in base ai ruoli
professionali, oscillando in un range variabile dalla soglia minima di 5.172 euro
percepiti dai soci di cooperative al limite massimo di 30.130 euro degli amministratori,
sindaci di società e revisori.
Disparità reddituali
Nonostante negli ultimi decenni le donne abbiano fatto notevoli progressi nel mercato
del lavoro permangono tuttora grandi eterogeneità nelle posizioni lavorative e
soprattutto nei differenziali salariali tra uomini e donne. Situazione quest’ultima che
accomuna tutti i Paesi dell’Ocse compresa l’Italia.
La recente indagine ISTAT su “Reddito e condizioni di vita” ha reso disponibili
interessanti dati sulla distribuzione dei redditi tra le famiglie italiane, all’interno dei
quali si evidenziano importanti differenze relative alle caratteristiche socioanagrafiche del nucleo familiare, al numero dei componenti, al numero dei percettori
di reddito, alle varie tipologie di lavoro e soprattutto ai differenziali di genere. A
livello nazionale le famiglie in cui il principale percettore è una donna guadagnano, in
media il 26% in meno rispetto alle altre. Se si osservano i redditi netti da lavoro
emerge che le dipendenti guadagnano in Emilia-Romagna il 27% in meno dei colleghi
maschi, più elevato appare il differenziale relativo ai redditi da lavoro autonomo, ove
raggiunge quasi il 40%. Le dipendenti guadagnano in media 12.353 euro l’anno a fronte
dei 16.877 percepiti dai dipendenti, mentre le lavoratrici autonome guadagnano in
media 13.506 euro di contro ai 21.252 dei colleghi maschi. Nel complesso le lavoratrici
percepiscono in Emilia-Romagna un reddito medio di 13.394 euro, che risulta maggiore
di quello medio nazionale (12.781) e del corrispondente della ripartizione nordorientale (12.815), leggermente inferiore soltanto al reddito medio percepito dalle
lavoratrici nel Nord-ovest (13.501). Le disparità reddituali tra i lavoratori
parasubordinati appaiono ancora più rilevanti. Dai dati dell’Osservatorio INPS emerge
infine che le collaboratrici presentano un reddito medio pari a 10.235 euro, quasi la
metà del corrispondente reddito maschile (20.793).
Le strategie conciliative delle donne in Emilia-Romagna
I risultati di due recenti indagini campionarie promosse dall’ISTAT e dall’Isfol
offrono interessanti spunti di approfondimento sul tema della partecipazione
femminile al mercato del lavoro, in particolare sulle strategie messe in atto dalle
donne lavoratrici per sostenere la conciliazione tra impegni professionali e impegni di
cura familiare. In particolare l’indagine sulle nascite realizzata dall’ISTAT nel 2005
consente di evidenziare le diverse strategie conciliative adottate dalle famiglie
italiane. Ne emerge, a scala nazionale, che continua ad essere prevalente il ricorso alla
11
rete di aiuti informale e alla solidarietà intergenerazionale. Nel nostro paese infatti
più del 50% dei bambini nella fascia d’età fino a tre anni, quando la madre lavora, viene
affidata alle cure dei nonni, il 13,5% frequenta un asilo pubblico, il 14,3% un asilo
privato, il 9,2% è affidato ad una baby-sitter e il 7,3% è accudito dagli stessi genitori.
Dall’indagine, che offre interessanti dati a scala territoriale, emerge che anche nella
ripartizione nord-orientale il modello di affidamento prevalente è rappresentato dai
nonni, anche se si riscontra al contempo la più elevata percentuale di bambini che
frequentano nidi pubblici e privati Le punte più avanzate sono Trento dove si
raggiunge il 28,9% e l’Emilia-Romagna con il 26%, cui seguono Toscana (21%), Marche
(17,5%) ecc.
Anche la recente indagine Isfol Plus 10 conferma per l’Emilia-Romagna il ricorso
all’aiuto della rete parentale e amicale come principale supporto alla conciliazione. Le
difficoltà avvertite dalle donne non sono tanto legate alla carenza di servizi, quanto
all’orario di lavoro troppo lungo, scomodo o irregolare (oltre l’80% dei casi),
soprattutto per le lavoratrici del settore privato. Rispetto all’utilizzo dei servizi
educativi si riafferma come le donne emiliano romagnole abbiano fatto ricorso in modo
incisivo sia al nido pubblico che privato (41% dei casi) negli anni in cui i loro figli erano
piccoli, mentre il 46% si è affidato regolarmente alla cura dei nonni.
A fronte di una carenza di posti nei nidi, che è emersa in modo critico negli ultimi anni,
le madri lavoratrici tendono in prevalenza ad occuparsi in prima persona dei propri
figli, ricorrendo a tutti gli strumenti a propria disposizione, dall’astensione facoltativa
ai congedi parentali
fino al part time per coloro che possono concederseli
economicamente e contrattualmente. Solo in secondo luogo ricorrono all’affidamento
ai nonni o ad altri parenti e/o ai nidi. In questo il modello emiliano fatto di buoni
servizi di welfare e reti parentali molto solide si differenzia dai modelli nord-europei,
in cui la quota di bambini inseriti in servizi educativi raggiunge addirittura il 70%.
Un rilievo particolare assume in questo contesto l’analisi della distribuzione dei carichi
di lavoro 11 , la quale consente di evidenziare come ancora permangano in EmiliaRomagna forti divari nella distribuzione dei carichi di lavoro domestico ed extra
domestico tra donne e uomini. In particolare dall’analisi dei dati emerge che gli uomini
dedicano in media 4 ore per attività domestiche alla settimana a fronte di 20 ore
dedicate dalle donne; al contrario gli uomini dedicano in media 44 ore alla settimana
per attività retribuite a fronte delle 36 ore per le donne.
Nel tempo di lavoro totale le donne risultano lavorare complessivamente 8 ore in più
alla settimana rispetto agli uomini.
Le donne occupate con figli presentano un carico di lavoro complessivo superiore di
tre ore rispetto a quello delle donne lavoratrici senza figli, all’interno di questo monte
ore, tuttavia, risultano lavorare meno per attività retribuite (36 ore contro le 38 delle
donne occupate senza figli), mentre risultano avere un carico di lavoro domestico
superiore di ben 6 ore.
10
11
Isfol – PLUS Participation labour Unemployment Survey 2005
si fa riferimento all’Indagine Multiscopo del 2003
12
Confrontando il tempo di lavoro totale, inteso come ore medie lavorate nella
settimana, distinto per genere ed età, emerge che gli uomini più giovani con età
compresa tra i 15 e i 34 anni dedicano 3 ore in media alla settimana per le attività
domestiche e 43 ore per le attività retribuite, il carico di lavoro aumenta per gli
uomini tra i 35 e i 60 anni, con 5 ore per le attività domestiche e 44 per quelle extra
domestiche. Analogamente le donne più giovani (dai 15 ai 34 anni) dedicano 14 ore alla
settimana per attività domestiche e 36 ore per il mercato, di contro le donne in età
più avanzata (dai 35 ai 60 anni) dedicano in media 23 ore alla settimana per le attività
domestiche e 36 per attività retribuite. Alla luce di questi dati emerge che a parità di
impegno lavorativo extra domestico le donne con più di 35 anni risultano avere un
carico familiare di quasi 10 ore in più.
Questa situazione trova conferma anche in altri paesi Ocse dove in media le madri
occupate a tempo pieno dedicano alla cura dei figli ed ad altri lavori familiari il doppio
del tempo dei padri.
13
Scarica

L`approfondimento - Formazione e lavoro - Regione Emilia