PROFILO EVOLUTIVO DELL’OCCUPAZIONE FEMMINILE IN EMILIA-ROMAGNA Il mercato del lavoro della regione Emilia-Romagna ha conosciuto, a partire dalla metà degli anni ‘90, un andamento particolarmente favorevole, caratterizzato da una lunga fase di espansione dell’occupazione. All’interno di questo scenario è proprio la componente femminile quella più dinamica che ha visto accrescere costantemente dal 1993 al 2006 propri tassi di occupazione di circa un punto percentuale all’anno, passando dal 50% al 61%, 1 raggiungendo già nel 2004, con ben sei anni di anticipo, l’obiettivo fissato nell’ambito degli accordi europei, per il 2010. 2 Tale condizione favorevole emerge con maggiore evidenza se confrontata con la situazione nazionale, il cui tasso di occupazione femminile nel 2006, secondo l’Indagine sulle Forze di lavoro dell’ISTAT, si attesta intorno al 46,2%, con la circoscrizione nord-orientale ove raggiunge il 56,2% e con l’Europa (EU 25) ove si colloca al 56,3% (2005). Se si osserva d’altro canto l’andamento dei tassi di disoccupazione femminile nello stesso periodo si evidenzia come il tasso si dimezzi passando dal 9% del 1993 al 4,4% 2006, risultando strutturalmente inferiore al dato nazionale. Nonostante questa straordinaria performance il tasso di disoccupazione femminile risulta ancora, così come nel resto d’Europa, superiore a quello maschile. Il tasso di attività femminile (64,5%) supera il dato nazionale di 14 punti percentuali e mostra valori superiori alle principali economie europee (62,5% se consideriamo il dato europeo a 25). Parallelamente all’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro è possibile riscontrare, in maniera diffusa anche un mutamento nel modello di partecipazione che si caratterizza per una lunga permanenza al lavoro durante l’età adulta sino alla pensione. A tal proposito lo studio dei tassi di occupazione, raggiunti nel 2005 in EmiliaRomagna, distinti per genere e classi d’età, ci consentono di evidenziare come il modello di partecipazione femminile si sia approssimato sempre di più al profilo maschile. 1 Per le stime relative al 2006 si fa riferimento alla rilevazione continua Istat Forze di lavoro dei primi nove mesi. Gli accordi europei sanciti nell’Agenda di Lisbona del marzo 2000 prevedono il raggiungimento di obiettivi di piena occupazione, in particolare del tasso di occupazione femminile al 60% nel 2010. 2 1 Tassi di occupazione per genere e classi d'età quinquennali in EmiliaRomagna nel 2005 100,0 Valori percentuali 80,0 60,0 Maschi Femmine 40,0 20,0 65 - 69 60 - 64 55 - 59 50 - 54 45 - 49 40 - 44 35 - 39 30 - 34 25 - 29 20 - 24 15 - 19 0,0 Classi d'età Dal grafico, infatti, emerge come le ragazze, nelle classi d’età più giovani (dai 15 ai 19 annui), presentino un tasso di occupazione più basso dei coetanei maschi presumibilmente legato ad un maggiore investimento formativo che induce un ingresso ritardato nel mondo del lavoro. A partire dalla classe d’età successiva (20-24 anni) si coglie, invece un forte incremento nei tassi occupazionali sia dei maschi (63%) che delle femmine (53%), con un divario di circa dieci punti percentuali che si accentua ulteriormente nelle classi centrali d’età, dai trenta ai quarantacinque anni, ove si registra per entrambi i generi un picco nell’occupazione, rispettivamente dell’83% per le donne e del 95% degli uomini. Questo differenziale di circa 12 punti percentuali segnala, tuttavia la perdurante presenza di forti criticità nella conciliazione tra carichi di lavoro familiare e impegni professionali per le donne lavoratrici. I tassi d’occupazione rimangono alti sino ai cinquant’anni, per poi cominciare a decrescere gradualmente. Appare significativo, inoltre confrontare le curve dei tassi di occupazione femminile, per classi d’età, in Emilia-Romagna a distanza di dieci anni e precisamente nel 1994 e nel 2005,al fine di cogliere alcune tendenze di fondo nei comportamenti lavorativi delle donne. 2 Tassi di occupazione femminile per classi d'età nel 1994 - 2005 in Emilia - Romagna Valori percentuali 100% 80% 60% 1994 2005 40% 20% 60 - 64 55 - 59 50 - 54 45 - 49 40 - 44 35 - 39 30 - 34 25 - 29 20 - 24 15 - 19 0% Classi d'età Il dato che colpisce di più è un rilevante innalzamento dei tassi di occupazione in tutte le classi di età fatta eccezione per quella più giovane (15-19 anni), dove nel 2005 si rileva un valore inferiore di tre punti percentuali rispetto alla analoga coorte del ‘94, ciò confermerebbe la tendenza, accresciuta nell’ultimo decennio, ad una prolungata scolarizzazione delle ragazze che ritarda l’ingresso nel mercato del lavoro. Nelle classi d’età successive ed in particolare a partire dai venticinque anni i valori dei tassi di occupazione nel 2005 presentano un incremento dell’8% rispetto alle analoghe classi del ‘94. Ma è nelle coorti over 40, che nel 2005, si registrano i maggiori incrementi. In particolare tra i 45 e i 54 anni si riscontra un aumento di oltre il 15% per arrivare al 16% nella classe 50-54 anni. Lo scarto via via si riduce sino ad annullarsi oltre i 60 anni d’età. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro risulta dunque costantemente in crescita nonostante due fattori concorrano a contrastarla: da una parte il fattore demografico della diminuzione della forza lavoro in età lavorativa, dall’altra l’incremento della scolarizzazione che sottrae una quota di popolazione in età giovanile alla partecipazione al lavoro. Tuttavia le donne non solo lavorano in numero sempre maggiore ma presentano crescenti investimenti lavorativi proprio nelle classi d’età adulte. Se tutto ciò sembra avvalorare l’ipotesi dei cambiamenti intervenuti nei pattern di comportamento lavorativo delle donne, evidenzia d’altro canto il fatto che le coorti di ultra cinquantenni, a causa del maggior numero di anni di studio precedenti l’ingresso nel lavoro, risultano avere una minore anzianità di servizio rispetto alle loro coetanee del passato e sono dunque costrette a permanere più a lungo nel mercato del lavoro, anche alla luce delle riforme del sistema pensionistico. 3 Come è cambiata l’occupazione femminile negli ultimi dieci anni Al fine di approfondire alcune tendenze di fondo che hanno caratterizzato il cambiamento dell’occupazione femminile negli ultimi anni in Emilia - Romagna sono stati analizzati, inoltre, alcuni indicatori sulle posizioni professionali ricoperte dalle lavoratrici rispettivamente nel 1996 e nel 2005. Dall’analisi dei dati emerge che, al di là della crescita quantitativa registratasi negli anni Novanta, si è verificato un processo di progressiva qualificazione delle forze di lavoro, che ha investito soprattutto i ruoli femminili. Sebbene le dipendenti aumentino in tutte le posizioni professionali, la crescita percentuale più cospicua interessa tuttavia la quota delle dirigenti, che passano dal 17,3% del ‘96 al 26,8% nel 2005, quasi esclusivamente assorbita dal settore terziario, dove il loro numero risulta addirittura triplicato. Aumentano anche le lavoratrici in posizione di quadro, aumenta ancora in maniera significativa il numero delle impiegate prevalentemente inserite nella trasformazione industriale e nelle attività terziarie e delle operaie. Fra le occupate indipendenti aumenta la quota delle imprenditrici, che passano complessivamente dal 15,2% nel ’96 al 22% nel 2005 e delle libere professioniste che aumentano di quasi 6 punti percentuali (dal 24,4% al 30%) entrambe presenti in prevalenza nel settore terziario. In sintesi nonostante queste tendenze evidenzino un progressivo miglioramento delle posizioni professionali ricoperte dalle lavoratrici, va comunque sottolineato come permangano tuttora forti divari di genere e le donne siano sotto rappresentate nelle posizioni dirigenziali (27%), mentre appaiono sovrarappresentate nelle posizioni impiegatizie dove incidano per il 62% del complesso, ricoprendo al contempo il 90% dei contratti part-time. Più equilibrata appare invece la presenza femminile nelle posizioni di quadro, ove raggiungono il 40%. Appaiono ancora sotto rappresentate tra gli imprenditori (22% ) e i liberi professionisti (30%), risultano invece più numerose tra i collaboratori (48%) e i prestatori d’opera occasionale (57%). Le lavoratrici in proprio rappresentano il 26% del complesso dei lavoratori autonomi, mentre le coadiuvanti superano il 64% del totale. Per quanto attiene il tempo di lavoro, nel periodo considerato si assiste ad una fortissima crescita dei contratti di lavoro part-time. Le lavoratrici in part-time aumentano tra il ’96 al 2005 di oltre il 14%, (dal 9,6% nel 1996 al 24% nel 2005), più contenuta ma ugualmente significativa appare la crescita dei contratti a tempo determinato(+ 4%). L’incidenza più significativa del part-time interessa le impiegate e le operaie. Si registra ugualmente una crescita molto sostenuta del ricorso al parttime da parte delle donne in posizione di quadro, sebbene più limitata in termini numerici se confrontata con l’universo delle lavoratrici. L’Indagine ISTAT sulle Forze di Lavoro ha consentito, inoltre, nel 2005 di approfondire le motivazioni del ricorso part-time, da cui emerge che la maggioranza delle lavoratici (oltre il 70%) ricorre al part-time per prendersi cura dei figli o di altri familiari, il 15% per poter disporre di più tempo libero, soltanto un 10% ne fa ricorso per motivi di studio o di salute, mentre tra i maschi prevale il ricorso al part-time per 4 acquisire maggiore tempo libero (30% dei casi), per usufruire della formazione professionale (15% dei casi), per malattia , cura dei figli ed altri familiari nell’11% dei casi. Motivazioni del lavoro part time Maschi Studia o segue corsi di formazione Malattia, problemi di salute personali Per prendersi cura dei figli, di bambini e/o di altre persone non autosufficienti Svolge un secondo lavoro Altri motivi familiari Avere a disposizione più tempo libero Altro Tutti Fonte :Istat Rcfl 2005 val. % val% maschi femm. Femmine Totali 4545 3781 9101 5541 13646 9322 15% 12% 6% 4% 1967 2012 1388 10389 6277 30359 90665 1666 12547 21316 5578 146414 92632 3678 13935 31705 11855 176773 6% 7% 5% 34% 21% 100% 62% 1% 9% 15% 4% 100% Rispetto alla volontarietà della scelta di lavoro a tempo parziale l’ISTAT consente di rilevare che circa il 65% delle part-timer non vorrebbe un lavoro full-time, questo dato riguarda soprattutto le lavoratrici di età compresa tra i 35 e i 44 anni, quando presumibilmente più forte è l’esigenza di conciliare gli impegni lavorativi con le responsabilità ed i carichi familiari favorendo la partecipazione delle madri alla vita attiva, soprattutto nelle famiglie dove tale scelta è sostenibile anche da un punto di vista reddituale. Tra le lavoratrici più giovani fino ai 34 anni prevale invece la quota di quelle che accettano un lavoro part-time in mancanza di un rapporto di lavoro a tempo pieno. La scelta del part-time appare ulteriormente confermata anche alla luce di una eventuale presenza di servizi di supporto, come si rileva dalla tavola seguente, dove per l’80% delle lavoratrici intervistate la mancanza di servizi di supporto alla famiglia non costituisce motivo della propria scelta di lavorare part-time, mentre rappresenta la causa principale del ricorso al part-time per il 14% delle lavoratrici. Lavora part time perché nella zona in cui vive i servizi di supporto alla famiglia compresi quelli a pagamento, sono assenti, indaguati o troppo costosi? Maschi Si sono assenti/inadeguati i servizi per la cura dei bambini Si sono assenti/inadeguati i servizi per la cura degli anziani, malati disabili Si entrambi i servizi sono assenti/inadeguati No Non sa Tutti Fonte: Istat RCFL Femmine Totale 177 11259 11436 0 73 1717 0 1967 515 1174 75341 2376 90665 515 1247 77058 2376 92632 5 Infine, in merito alla diffusione dei contratti di lavoro a tempo parziale nella regione Emilia-Romagna occorre sottolineare che nonostante siano in costante crescita e investano il 24% delle lavoratrici, risultano meno diffusi che a livello nazionale (25,6%), e soprattutto europeo ove la quota di part-timer raggiunge il 32,3% come è possibile rilevare dalla tavola seguente 3 . Incidenza del part time sull'occupazione nel 2005 in alcuni Paesi europei per genere Maschi Italia 4,6 Spagna 4,5 Grecia 2,3 Francia 5,7 Germania 7,8 Austria 6,1 Danimarca 12,7 Svezia 11,5 Olanda 22,6 Gran Bretagna 10,4 UE 25 7,4 Femmine 25,6 24,2 9,3 30,7 43,8 39,3 33,0 39,6 75,1 42,7 32,3 Totale 12,8 12,4 5,0 17,2 24,0 21,1 22,1 24,7 46,1 25,4 18,4 Fonte Eurostat, 2006 Il profilo delle lavoratrici in Emilia-Romagna 4 La grande maggioranza delle lavoratrici emiliano–romagnole ha un’età compresa tra i 25 ed i 54 anni; le classi d’età più numerose sono quelle dai 30 ai 44 anni in cui si concentra quasi il 50% delle donne occupate. Se si analizzano gli occupati per genere, classi d’età e titoli di studio colpisce l’elevato tasso di occupazione (oltre l’80%) dei ragazzi dai 15 ai 24 anni sprovvisti di titolo di studio, a fronte del basso tasso di occupazione delle ragazze. Si tratta presumibilmente di giovani inseriti in contratti di apprendistato. Anche nelle classi d’età successive si riscontrano per gli uomini elevati tassi di occupazione e di attività pur in assenza di titolo di studio o in generale con basso profilo d’istruzione. Nel complesso i maschi non sembrano beneficiare di particolari vantaggi rispetto all’inserimento occupazionale se in possesso di titoli di studio più elevati mentre per le donne si riscontra un progressivo innalzamento dei tassi di attività e di occupazione all’accrescersi del livello di scolarizzazione. In generale le donne occupate presentano livelli di scolarizzazione più elevata rispetto ai maschi occupati. Risultano in possesso di titoli di studio medio alti il 76% delle lavoratrici a fronte del 45% dei lavoratori. 3 4 Eurostat, “Employment in Europe 2006” per svolgere questa analisi i dati più aggiornati sono riferiti al 2005 6 Oltre che più istruite, le donne appaiono anche più flessibili o per propria scelta o perché costrette dal mercato. Le lavoratrici emiliano-romagnole lavorano per due terzi a tempo pieno sia in posizione dipendente che autonoma, per un terzo in parttime, l’11% lavora a termine, mentre i maschi lavorano al 90% a tempo pieno, il 4% in part-time, il 6% a termine. Le lavoratrici dipendenti rappresentano circa il 80% del complesso delle occupate, presentano il larga maggioranza contratti a tempo indeterminato (68%) e sono principalmente inserite in ambito terziario (74% a fronte del 50% dei maschi) ed in ambito industriale, (23% a fronte del 45,% dei maschi). Le lavoratrici con contratti di lavoro non standard ammontano a circa 135.000 e rappresentano il 17% del complesso delle occupate, a fronte del 9,6% dei colleghi maschi. Si tratta di lavoratrici in prevalenza con un’età compresa tra i 25 e i 44 anni. Anche per questa categoria di lavoratrici si riscontra la presenza di più elevati livelli di qualificazione ed istruzione rispetto a quelli dichiarati dai colleghi maschi. In particolare quasi la metà risulta in possesso di un titolo di studio medio (diploma o qualifica professionale), mentre un quarto dichiara di avere la laurea o il diploma universitario. Queste lavoratrici atipiche sono inserite prevalentemente nel settore terziario, soprattutto nell’istruzione e nella sanità, seguito dal settore commerciale e dall’industria. La propensione all’imprenditorialità e al lavoro autonomo e libero professionale in Emilia-Romagna risulta più marcata per i maschi (35%) che per le femmine (20,8%). Indicatori di “gender equality” nel mercato del lavoro regionale La situazione del mercato del lavoro a livello provinciale risulta piuttosto variegata; il tasso di occupazione complessivo è compreso tra il minimo di Piacenza (64%) ed il massimo di Reggio Emilia (70,8%) mentre, ad una analisi di genere emerge che al massimo raggiunto dai lavoratori a Reggio Emilia (81,7%), si contrappone il valore più basso di Ravenna (74,4%). Le Province che presentano invece il maggior tasso di occupazione femminile appaiono le Province dell’area centrale emiliana (Bologna, Modena, e Reggio cui si aggiungono Ravenna e Ferrara) il valore minimo è riferito a Piacenza (52,4%). La buona situazione di Bologna è confermata anche dal basso tasso di disoccupazione complessivo (2,7%) che a Ferrara, viceversa, registra un 5,8% con il più alto tasso di disoccupazione femminile pari al 7,4% 7 Occupati per genere e relativi tassi (15-64 anni) nelle province dell'Emilia-Romagna, nel Nord-est ed in Italia nel 2005 Occupati Maschi Piacenza Parma Reggio Emilia Modena Bologna Ferrara Ravenna Forlì Rimini Emilia-Romagna Nord-Est Italia 70 108 135 175 234 86 91 94 74 1.066 2.854 13.738 Femmine 45 77 93 133 193 69 73 71 53 806 2.025 8.825 Maschi e femmine 115 184 228 308 426 155 164 165 127 1.872 4.879 22.563 Tasso di occupazione 15-64 anni Maschi e Maschi Femmine femmine 75,2 52,4 64,0 77,3 57,5 67,5 81,7 59,5 70,8 77,7 62,0 70,0 75,6 63,2 69,4 74,7 60,6 67,6 74,4 62,0 68,3 74,3 59,0 66,7 76,4 55,3 65,8 76,6 60,0 68,4 75,8 56,0 66,0 69,7 45,3 57,5 Fonte: nostra elaborazione su dati Rilevazione continua delle Forze di lavoro dell'ISTAT 2005 In cerca di impiego per genere e relativi tassi nelle province dell'Emilia-Romagna, nel Nord-est ed in Italia nel 2005 Piacenza Parma Reggio Emilia Modena Bologna Ferrara Ravenna Forlì Rimini Emilia-Romagna Nord-Est Italia Persone in cerca di occupazione Maschi e Maschi Femmine femmine 2 2 5 3 5 8 2 5 8 5 7 12 4 7 12 4 6 10 3 4 7 3 5 7 3 4 6 29 45 74 82 119 202 902 986 1.889 Tasso di disoccupazione Maschi e Maschi Femmine femmine 3,3 5,1 4,0 2,6 6,0 4,1 1,7 5,4 3,2 2,9 4,7 3,7 1,9 3,7 2,7 4,5 7,4 5,8 3,2 5,4 4,2 2,7 6,2 4,3 3,3 6,7 4,7 2,7 5,3 3,8 2,8 5,6 4,0 6,2 10,1 7,7 Fonte: nostra elaborazione su dati Rilevazione continua delle Forze di lavoro dell'ISTAT 2005 I dati appena esposti consentono il calcolo di alcuni indicatori di “gender equality” 5 proposti in sede europea per il calcolo dei differenziali nei tassi di occupazione e disoccupazione femminile e maschile, da cui emerge che il gap nella disoccupazione, inteso come differenza nei relativi tassi, a livello regionale risulta 2,6 punti percentuali, in Italia 3,9 nel Nord-Est 2,8; ovvero la disoccupazione femminile supera quella maschile in tutte e tre le ripartizioni amministrative. Viceversa in modo complementare a quanto visto per la disoccupazione, il gap nell’occupazione, inteso come differenza tra i rispettivi tassi di occupazione femminili e maschili, è pari a – 16,5 punti percentuali a livello regionale, a livello nazionale –24,5, nel Nord-Est –19,8. 5 cfr “Indicators on Gender Equality in the European Employment Strategy” aprile 2002 8 Il livello di occupazione femminile è anche in questo caso nettamente inferiore a quello maschile anche se l’Emilia-Romagna presenta una situazione migliore sia rispetto al Nord-Est che rispetto all’Italia. Sviluppando il calcolo dei differenziali per tutte le province emerge che il più alto gap di disoccupazione è presente a Reggio Emilia e Forlì, mentre il più basso gap di occupazione è presente a Bologna e Ravenna, come mostra la tavola seguente. Gap nella disoccupazione e nell'occupazione tra donne e uomini nelle province dell'Emilia-Romagna in Italia e nel Nord-Est Province divario divario disoccupazione occupazione Piacenza Parma Reggio Emilia Modena Bologna Ferrara Ravenna Forlì Rimini Emilia-Romagna Nord-Est Italia 1,8 3,4 3,7 1,8 1,8 2,9 2,2 3,5 3,4 2,6 2,8 3,9 -22,7 -19,9 -22,3 -15,7 -12,4 -14,1 -12,4 -15,2 -21,1 -16,5 -19,8 -24,5 Fonte: nostra elaborazione su dati Rilevazione continua delle Forze di lavoro dell'ISTAT Il lavoro atipico, consistenze ed andamenti La rilevazione ISTAT ha consentito, inoltre, di evidenziare la composizione dell’occupazione regionale 6 , dalla quale emerge come il 13% del complesso, circa 237.000 persone, risultino occupate in lavori non standard, ovverosia con contratti di lavoro a tempo determinato, (formazione lavoro, apprendistato, lavoro stagionale, lavoro interinale, a progetto), con contratti di prestazioni d’opera occasionale, di collaborazione coordinate e continuative o a progetto. Ad una disaggregazione di genere emerge come le lavoratrici siano presenti in maniera prevalente rispetto ai lavoratori in tutte le tipologie di lavoro atipico. In particolare sono occupate in lavori non standard quasi il 17% dell’universo delle lavoratrici a fronte dell’9.6% dei lavoratori. Rispetto alle tipologie contrattuali maggiormente in uso colpisce la diffusione dei contratti a tempo determinato in cui sono inserite l’11% delle lavoratrici a fronte del 6% dei lavoratori, oltre al dato del part- time dove la quota di donne supera il 24% di contro al corrispondente 4% dei maschi. Per quanto attiene i lavoratori titolari di contratti di collaborazione (35mila) o di prestazione d’opera occasionale (circa 7mila), il dato che colpisce di più è che il 90% di 6 si fa riferimento alla rilevazione Istat 2005 9 essi dichiara di aver prestato la propria attività per un unico committente, di lavorare presso la sede del committente e spesso di non determinare neppure il proprio orario di lavoro. Tali dati sembrano configurare una condizione dei collaboratori più simile a quella di lavoratori subordinati piuttosto che di liberi professionisti. La scomposizione per genere evidenzia tra i collaboratori a progetto una sostanziale equidistribuzione tra maschi e femmine mentre un numero maggiore di donne (+60% del totale) è presente tra i collaboratori occasionali. Per quanto concerne le collaborazioni coordinate e continuative e a progetto il dato fornito dall'ISTAT, appena presentato, può essere affiancato da informazioni differenti rese disponibili dall'Osservatorio sui lavoratori parasubordinati dell'INPS. 7 Le informazioni fornite dai dati INPS a tal proposito sembrano indicare la presenza di uno stock di lavoratori coordinati continuativi che lavorano per un unico committente che si attesta intorno alle 95.000 unità e che appare, quindi, più del doppio di quello determinato sulla base dei dati ISTAT. Tale apparente contraddizione fra i dati può essere, peraltro, spiegata facendo riferimento all'insieme delle ipotesi e dei vincoli adottati dall'ISTAT nella determinazione dei soggetti che possono essere identificati come collaboratori coordinati e continuativi che si differenziano da quelli implicitamente adottati nei dati INPS. 8 Se si tiene conto delle considerazioni appena proposte e se si escludono gli amministratori, sindaci e revisori di società, il dato INPS relativo ai collaboratori che svolgono la propria attività in maniera esclusiva si riduce a circa 70.000 unità, cifra che appare comunque molto superiore a quella determinata sulla base dei dati ISTAT. 9 Si sottolinea infine come i dati INPS consentono di approfondire alcune caratteristiche soggettive dei lavoratori titolari di contratti di co.co.co. e co.co.pro.. Ad un’analisi del profilo per età si rileva che la classe più numerosa in Emilia-Romagna, così come in Italia, è quella dei trentenni (30,5%) anche se risulta rilevante l’apporto dei giovani tra i venticinque e i ventinove anni (22%) e dei quarantenni (20%). Le collaboratrici superano i colleghi maschi nelle classi d’età più giovani fino ai trenta anni; nella fascia d’età più numerosa dai trenta ai quaranta anni si registra invece una sostanziale parità fra i generi, mentre nelle classi più adulte prevalgono gli uomini. Complessivamente i collaboratori puri rappresentano il 5,1% del totale delle persone occupate in Emilia-Romagna nel 2004. L’Osservatorio INPS sui lavoratori parasubordinati consente anche l’analisi di alcuni indicatori reddituali da cui emerge che i redditi medi dei soli collaboratori puri, privi di altre entrate monetarie, sono più 7 L'osservatorio raccoglie i dati derivanti dalle iscrizioni alla gestione separata INPS che riguardano i lavoratori autonomi ed ha iniziato recentemente a rendere disponibili alcune informazioni di sintesi in merito ad essi. 8 La stima fornita dall’Istat considera esclusivamente l’attività principale dichiarata dagli intervistati e fa riferimento all’esistenza di un impiego nella settimana precedente la rilevazione. Il dato INPS riguarda, invece, sia l'attività principale che quella secondaria di un lavoratore e, soprattutto, fa riferimento ad una iscrizione avvenuta in qualunque momento dell'anno.. Per un approfondimento su questo tema si veda “Collaborazioni coordinate e continuative nelle rilevazioni sulle forze di lavoro” in “Statistiche in breve ISTAT” del 21 marzo 2005 9 Tra i soggetti presenti nelle banche dati Inps presumibilmente ci sono anche studenti e casalinghe che non rientrano tra le stime dell’Istat in quanto non sono interessati ad un lavoro stabile e continuativo, ma solo all’integrazione del reddito familiare 10 contenuti per le donne, raggiungendo i 10.235 euro, mentre aumentano fino a 20.793 euro per gli uomini. Appaiono poi notevolmente diversificati in base ai ruoli professionali, oscillando in un range variabile dalla soglia minima di 5.172 euro percepiti dai soci di cooperative al limite massimo di 30.130 euro degli amministratori, sindaci di società e revisori. Disparità reddituali Nonostante negli ultimi decenni le donne abbiano fatto notevoli progressi nel mercato del lavoro permangono tuttora grandi eterogeneità nelle posizioni lavorative e soprattutto nei differenziali salariali tra uomini e donne. Situazione quest’ultima che accomuna tutti i Paesi dell’Ocse compresa l’Italia. La recente indagine ISTAT su “Reddito e condizioni di vita” ha reso disponibili interessanti dati sulla distribuzione dei redditi tra le famiglie italiane, all’interno dei quali si evidenziano importanti differenze relative alle caratteristiche socioanagrafiche del nucleo familiare, al numero dei componenti, al numero dei percettori di reddito, alle varie tipologie di lavoro e soprattutto ai differenziali di genere. A livello nazionale le famiglie in cui il principale percettore è una donna guadagnano, in media il 26% in meno rispetto alle altre. Se si osservano i redditi netti da lavoro emerge che le dipendenti guadagnano in Emilia-Romagna il 27% in meno dei colleghi maschi, più elevato appare il differenziale relativo ai redditi da lavoro autonomo, ove raggiunge quasi il 40%. Le dipendenti guadagnano in media 12.353 euro l’anno a fronte dei 16.877 percepiti dai dipendenti, mentre le lavoratrici autonome guadagnano in media 13.506 euro di contro ai 21.252 dei colleghi maschi. Nel complesso le lavoratrici percepiscono in Emilia-Romagna un reddito medio di 13.394 euro, che risulta maggiore di quello medio nazionale (12.781) e del corrispondente della ripartizione nordorientale (12.815), leggermente inferiore soltanto al reddito medio percepito dalle lavoratrici nel Nord-ovest (13.501). Le disparità reddituali tra i lavoratori parasubordinati appaiono ancora più rilevanti. Dai dati dell’Osservatorio INPS emerge infine che le collaboratrici presentano un reddito medio pari a 10.235 euro, quasi la metà del corrispondente reddito maschile (20.793). Le strategie conciliative delle donne in Emilia-Romagna I risultati di due recenti indagini campionarie promosse dall’ISTAT e dall’Isfol offrono interessanti spunti di approfondimento sul tema della partecipazione femminile al mercato del lavoro, in particolare sulle strategie messe in atto dalle donne lavoratrici per sostenere la conciliazione tra impegni professionali e impegni di cura familiare. In particolare l’indagine sulle nascite realizzata dall’ISTAT nel 2005 consente di evidenziare le diverse strategie conciliative adottate dalle famiglie italiane. Ne emerge, a scala nazionale, che continua ad essere prevalente il ricorso alla 11 rete di aiuti informale e alla solidarietà intergenerazionale. Nel nostro paese infatti più del 50% dei bambini nella fascia d’età fino a tre anni, quando la madre lavora, viene affidata alle cure dei nonni, il 13,5% frequenta un asilo pubblico, il 14,3% un asilo privato, il 9,2% è affidato ad una baby-sitter e il 7,3% è accudito dagli stessi genitori. Dall’indagine, che offre interessanti dati a scala territoriale, emerge che anche nella ripartizione nord-orientale il modello di affidamento prevalente è rappresentato dai nonni, anche se si riscontra al contempo la più elevata percentuale di bambini che frequentano nidi pubblici e privati Le punte più avanzate sono Trento dove si raggiunge il 28,9% e l’Emilia-Romagna con il 26%, cui seguono Toscana (21%), Marche (17,5%) ecc. Anche la recente indagine Isfol Plus 10 conferma per l’Emilia-Romagna il ricorso all’aiuto della rete parentale e amicale come principale supporto alla conciliazione. Le difficoltà avvertite dalle donne non sono tanto legate alla carenza di servizi, quanto all’orario di lavoro troppo lungo, scomodo o irregolare (oltre l’80% dei casi), soprattutto per le lavoratrici del settore privato. Rispetto all’utilizzo dei servizi educativi si riafferma come le donne emiliano romagnole abbiano fatto ricorso in modo incisivo sia al nido pubblico che privato (41% dei casi) negli anni in cui i loro figli erano piccoli, mentre il 46% si è affidato regolarmente alla cura dei nonni. A fronte di una carenza di posti nei nidi, che è emersa in modo critico negli ultimi anni, le madri lavoratrici tendono in prevalenza ad occuparsi in prima persona dei propri figli, ricorrendo a tutti gli strumenti a propria disposizione, dall’astensione facoltativa ai congedi parentali fino al part time per coloro che possono concederseli economicamente e contrattualmente. Solo in secondo luogo ricorrono all’affidamento ai nonni o ad altri parenti e/o ai nidi. In questo il modello emiliano fatto di buoni servizi di welfare e reti parentali molto solide si differenzia dai modelli nord-europei, in cui la quota di bambini inseriti in servizi educativi raggiunge addirittura il 70%. Un rilievo particolare assume in questo contesto l’analisi della distribuzione dei carichi di lavoro 11 , la quale consente di evidenziare come ancora permangano in EmiliaRomagna forti divari nella distribuzione dei carichi di lavoro domestico ed extra domestico tra donne e uomini. In particolare dall’analisi dei dati emerge che gli uomini dedicano in media 4 ore per attività domestiche alla settimana a fronte di 20 ore dedicate dalle donne; al contrario gli uomini dedicano in media 44 ore alla settimana per attività retribuite a fronte delle 36 ore per le donne. Nel tempo di lavoro totale le donne risultano lavorare complessivamente 8 ore in più alla settimana rispetto agli uomini. Le donne occupate con figli presentano un carico di lavoro complessivo superiore di tre ore rispetto a quello delle donne lavoratrici senza figli, all’interno di questo monte ore, tuttavia, risultano lavorare meno per attività retribuite (36 ore contro le 38 delle donne occupate senza figli), mentre risultano avere un carico di lavoro domestico superiore di ben 6 ore. 10 11 Isfol – PLUS Participation labour Unemployment Survey 2005 si fa riferimento all’Indagine Multiscopo del 2003 12 Confrontando il tempo di lavoro totale, inteso come ore medie lavorate nella settimana, distinto per genere ed età, emerge che gli uomini più giovani con età compresa tra i 15 e i 34 anni dedicano 3 ore in media alla settimana per le attività domestiche e 43 ore per le attività retribuite, il carico di lavoro aumenta per gli uomini tra i 35 e i 60 anni, con 5 ore per le attività domestiche e 44 per quelle extra domestiche. Analogamente le donne più giovani (dai 15 ai 34 anni) dedicano 14 ore alla settimana per attività domestiche e 36 ore per il mercato, di contro le donne in età più avanzata (dai 35 ai 60 anni) dedicano in media 23 ore alla settimana per le attività domestiche e 36 per attività retribuite. Alla luce di questi dati emerge che a parità di impegno lavorativo extra domestico le donne con più di 35 anni risultano avere un carico familiare di quasi 10 ore in più. Questa situazione trova conferma anche in altri paesi Ocse dove in media le madri occupate a tempo pieno dedicano alla cura dei figli ed ad altri lavori familiari il doppio del tempo dei padri. 13