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SNOP
SOMMARIO
Rivista trimestrale della Società
nazionale degli operatori della
prevenzione
EDIIORIALE
Quantità e/o qualità
di Alberto Baldasseroni
NUMERO 20-21
SETTEMBRE-DICEMBRE 1991
SCHEDE REGIONALI
Sardegna
Autorizzazione Tribunale di Milano n. 416
del 25/7/86
Direttore respons. Giancarlo D ' Adda
Direttore: Laura Bodini
Prog. grafico e disegni: R. Maremmani
Redazione: Milano, via Mellerio 2
Alberto Baldasseroni
CONTRIBUTI
Ergonomia: un esempio
pratico
PAGINA 8
di Paolo Ricci
sped. in abb. postale gruppo IV (70%)
Stampa: Cooperativa editoriale "Nuova
Brianza",
22065 Cassago B.za {Co}
Tel. 039/9210981 - 3 linee r.a.
Abbonamenti
Lire 20.000 per quattro numeri
Lire 30.000 per otto numeri
Tramite versamento postale su cc n.
20012407 intestato a SNOP - Società
Nazionale - Via Ciamician 2, Bologna,
indicando la causale del versamento e
l'indirizzo a cali spedire la rivista.
Dallo statuto Snop
Art.
- E costituita l'Associazione
denominata "Società Nazionale Operatori della Prevenzione", in sigla
SNOP, con finalità scientifiche e culturali e con l'obiettivo di:
- promuovere conoscenze ed attività
che sviluppino la prevenzione e la tutela del benessere psicofisico dei lavoratori e della popolazione in relazione ai
rischi derivanti dall'attività produttiva;
- sostenere l'impegno politico e culturale per lo sviluppo di un sistema integrato di servizi pubblici di prevenzione
negli ambienti di vita e di lavoro, finalizzato alla rimozione dei rischi derivanti dalle attività produttive;
- favorire lo scambio di esperienze e informazioni fra gli operatori ed il confronto sulla metodologia ed i contenuti
dell'attività per raggiungere l'omogeneità delle modalità di intervento e della qualità di lavoro a livello nazionale;
- promuovere un ampio confronto con
le istituzioni, le forze sociali e le altre
Associazioni scientifiche su questi temi;
- diffondere l'informazione e la cultura
della prevenzione.
PAGINA 3
PAGINA 35
PAGINA 6
LETTERE AL DIRETTORE
Missionari e scansafatiche
PAGINA 9
di Nicoletta Pupp
DENTRO-FUORI
Il servizio veterinario
nel sistema
della prevenzione
di Giovanni Belcari
e Roberto Elia
PAGINA 10
Fitofarmaci
di Valentino Patussi
e Andrea Collareta
PAGINA 13
Una banca dati
per rifiuti industriali
di Domenico Marcucci
PAGINA 16
e Enrico Cigada
OSSERVATORIO NUOVO) CODICE
L'informazione
alle organizzazioni
PAGINA 19
sindacali
INIZIATIVE SNOP
La qualità dei lavoro
nei servizi
di Dario Tagini
PAGINA 20
La Sibilla di Comano
di Laura Bodini
PAGINA 21
Rischio amianto
di Gino Barbieri
PAGINA 22
EUROPEAN
OUTLOOK
PAGINA 24
RIMEDIA '91
Interventi sul 277
di Graziano Frigcri
Claudio Calabresi
Massimo Bruzzone
Fulvio D'Orsi
Umberto Laureni
Operatori di Brescia
GRUPPI
DI LAVORO) SNOP
Lapidei
di Roberto Patta rin
e Milena Paletti
Vrq: dalle parole ai fatti
di Alberto Baldasseroni
PAGINA 36
e Annibale Biggeri
Osservatorio Edilizia
di Flavio Coato
PAGINA 38
NOTIZIARIO
Referendum Ambiente
comunicati a cura
di Lega per l'ambiente
Snop
PAGINA 40
Convegni,
Congressi & C.
PAGINA 42
DOC
Progetto per la
prevenzione del rischio
cancerogeno
a cura dello Spisal
PAGINA 43
Ulss 27 Bovolone VR
LIBRERIA
PAGINA 46
DIRETTIVO SNOP
PAGINA 47
In copertina: Ricostruzione della
scheggiatura delle selci
SUL. PROSSIMO
NUMERO TROVERETE
Le iniziative del '92:
Torino, Bari, Sheffield
Speciale direttive CEE
Gruppi di lavoro SNOP
Innovazione
tecnologica
Ospedali:
dopo il contratto
Sindacato Ambiente:
il delegato
alla sicurezza
PAGINA 26
QUALITÀ [/O QUANTITÀ
Ad innescare nel nostro paese il recente, acceso dibattito sulla Qualità
nel mondo della produzione hanno
contribuito numerosi fattori. Da una
parte la presa d'atto da parte della più
grande industria manifatturiera italiana
che l'epoca della produzione di massa
"pur che sia" è tramontata definitivamente nei mercati dell'occidente ricco
e cinico, sostituita da quella dell'oggetto personalizzato, disegnato, firmato, "bello e robusto", "potente e vincente " . Insomma si sta passando dal
paradigma fordista che traduceva nella
catena di montaggio la metafora
Tayloriana dell ' uomo-scimmia a quello del Kaizen (Masaaki limai "Kaizen",
New York, NY: Random House 1986
ed. it. 11 Sole 24 Ore) che invece postula la necessità della partecipazione di
ognuno con tutto se stesso alla produzione, nella consapevolezza che il miglioramento della qualità del prodotto
non è mai uno stato acquisito, ma
sempre un processo in atto. Su un versante apparentemente distante si situa
invece il discorso sulla qualità sviluppatosi negli ultimi anni nell'ambito del
cosiddetto settore dei servizi, soprattutto in quello della sanità. Qui la molla iniziale deriva dalla sorprendente
divaricazione esistente tra "costi" sostenuti e "soddisfazione" degli utenti.
Il fenomeno riguarda tutti i paesi sviluppati e trova la sua massima espressione negli Stati Uniti c:he a fronte della spesa sanitaria pro capite più alta tra
i dieci paesi più ricchi del mondo,
vanta anche il minor grado di soddisfazione per i risultati ottenuti da parte
dell'utenza (Briggs D. "International
comparisons of health care expanditures and satisfaction" J. Occup. Med.
32; p. 1235, 1990). La sitazione italiana a questo riguardo è intermedia. Infatti nella citata ricerca l'Italia si colloca al penultimo posto c:ome spesa pro
capite, precedendo il solo Regno Unito, ma è anche penultima quanto al
grado di soddisfacimento dei bisogni
sanitari dei propri cittadini. Si spende
poco, quindi, ma quel poco lo si spende anche "male". Negli Stati Uniti, dato il loro sistema sanitario, basato prevalentemente sulla assicurazione privata e quindi su di un regime di concorrenza per quanto riguarda le strutture sanitarie, i due capi del problema
"Qualità" hanno finito per combaciare
in una sorta di analogia (un po' rabbrividente per la verità) tra mondo della
produzione industriale di beni d'uso e
mondo della produzione di salute. Ne
fa fede il dibattito sviluppatosi sulle
pagine della notissima rivista dei me-
EDITORIALE
di Alberto Baldasseroni
dici aziendali americani, il J. Occup.
Med. che dedica all'argomento più di
un numero monografico. A conferma
della vastità di interessi che suscita
questo problema, anche la rivista dei
medici del lavoro francese, gli Archives des maladies professionneles, si
impegna sul fronte della Valutazione
delle azioni di prevenzione nel suo terzo numero del 1991 e articoli significativi appaiono anche sulla rivista di
BOCADI LLOS
Note del Direttore
Innanzitutto scusate il ritardo,
solo in parte compensato dalla
"corposità" del bollettino, pardon,
della rivista! La scheda Sardegna si
è persa in qualche file per un po'
di tempo. Dentro e fuori è finalmente dilagato. La 277 e RIMEDIA
'91 ci hanno distratti e costretti a
cambiare programmi, anche editoriali, però ci hanno insegnato che
dobbiamo aspettare l'Europa molto
(più) vigili. Nel frattempo passerella di tutti i gruppi di lavoro a Modena alla fiera Ambiente e Lavoro.
Per il '92 altri grandi appuntamenti: Osservatorio Nuovo Codice su
infortuni (19-20 marzo, Torino),
Operazione Prevenzione Sud e
Progetto Agricoltura (27-30 aprile,
Bari), Meetings Europei (Sheffield,
settembre - Lione, ottobre).
A questo punto buon Natale e
buon anno e, come sempre, buon
lavoro.
lrwin Selikoff, Am. J. Ind. Med., nel numero 2 del vol. 19 del 1991. In Italia,
finora, il dibattito sulla qualità in campo sanitario è stato monopolizzato dai
settori della diagnosi, dell'assistenza e,
in minor misura, della riabilitazione.
Molto si è discusso sulla questione delle degenze ospedaliere, molto meno
su quella del consumismo farmaceutico. Da tutto ciò sono mancate finora
voci dal settore della prevenzione.
Sporadiche le iniziative intraprese,
scarso il dibattito tra gli operatori, totale il disinteresse delle autorità centrali
del ministero. Qualche segno invece
di attenzione da parte di alcuni (pochi)
ordinatori regionali.
A chi interessa valutare e revisionare
la qualità
Chi ha seguito gli interventi succedutisi sulle pagine del nostro bollettino
sull'argomento della VRQ potrà facilmente rispondere ad un tale quesito.
Molti sono (o almeno dovrebbero essere) i soggetti interessati. In primo
luogo gli utenti. C'è un esempio nel
campo della sanità a questo proposito
che vale la pena di citare. 11 Tribunale
dei Diritti del Malato, che crescente
eco ha ottenuto dalle sue denunce fino
a diventare interlocutore "istituzionale " del ministero su questioni di
qualità dell'assistenza ospedaliera,
rappresenta un buon esempio di come
gli utenti possano porsi il problema
della qualità dei servizi. Stentano invece a decollare associazioni di utenti in
altri campi dei servizi (i trasporti, le
poste, l'assistenza sociale, ecc.). Nel
campo della prevenzione dei rischi
per l'ambiente esistono numerose associazioni degli "utenti" che hanno
addirittura assunto vesti di movimenti
politici, ma non sembra che tali associazioni abbiano finora individuato
"servizi" da pretendere, prestazioni di
cui rivendicare la qualità, sostituendosi invece molto spesso in maniera surrettizia con iniziative autonome alle
vere o presunte carenze dei cosiddetti
Enti preposti. Nel settore della salute
nei luoghi di lavoro agli antichi (dei
primi anni settanta) livelli di partecipazione democratica (in fondo il "sistema" dei servizi territoriali pubblici di
TSLL nacque su precisa e cosciente richiesta degli utenti) hanno fatto seguito tempi molto più grami, quali quelli
che attualmente viviamo.
Anche le autorità regionali hanno
pieno titolo ad occuparsi di sorvegliare
la Qualità del lavoro dei servizi di prevenzione. Ancor di più con la nuova
normativa in fase di travagliatissima
promulgazione, il ruolo dell'ente regione appare quello di supervisione
sull'andamento delle attività di prevenzione sul territorio, in una giusta
ipotesi di orientamento omogeneo,
correzione di anomalie, stimolo nei
confronti dei meritevoli, penalizzazione nei confronti dei reprobi. Tutto ciò
in un'ottica di responsabile e (si spera)
disinteressata allocazione delle risorse, come visto, limitate. Da questo insieme di soggetti interessati non possono certo mancare gli operatori che al
Servizio Sanitario Nazionale dedicano
gran parte delle proprie energie. Si è
visto (Boli. n, 17) quanto il "far bene"
il proprio mestiere, l'ottenerne risultati
socialmente apprezzati (ambiente più
sano, minori rischi per le popolazioni,
lavoro più rispettoso della salute e del
benessere dell'uomo, ecc.) possa essere gratificante per gli operatori.
Dal comune interesse di questi diversi soggetti deve scaturire una definizione concorde di quali siano gli
aspetti della qualità (e solo di conseguenza di Quantità) che sono pertinenti ad un monitoraggio dell'attività
dei servizi di prevenzione. Perché è
questo il piano sul quale si gioca la
partita decisiva della Qualità nel nostro campo. Faremo monitoraggio della qualità contando gli "atti amministrativi" licenziati a carico degli opifici, come esclusivamente richiesto in
alcuni rendiconti annuali regionali?
Oppure conteremo con certosina pazienza il numero delle prestazioni in
"Plus-orario" per soddisfare le fameliche richieste di qualche centro elaborazione dati, pago con ciò di aver pesato le "attività" di un servizio sanitario?
Se tra i cosiddetti utenti c'è scarso
interesse o addirittura assenza e tra gli
amministratori, salvo rari casi, ignoranza e sottovalutazione, non possiamo tirarci indietro dal compito di proporre almeno il nostro punto di vista
di operatori della Prevenzione sulla
Qualità. Anche perché prima o poi
qualcheduno, là dove tutto si può, si
ricorderà pure del l'esistenza di questo
manipolo di operatori dediti alla prevenzione e mai "controllati" nella loro
efficenza; con quali conseguenze
ognuno può immaginare. Muoversi
quindi tempestivamente come Società
scientifica degli operatori per accreditarsi come interlocutori indispensabili
di fronte a chi deve decidere di intraprendere le strade del monitoraggio
della Qualità (commissari straordinari,
regioni con i loro piani sanitari, ministero) consapevoli che monitorare la
qualità non significa migliorarla, ma
porre solo le basi per un lavoro che resta comunque interno ad ogni servizio,
alla coscienza di ogni operatore, legato alla sua disponibilità al cambiamento.
Una proposta di percorso per arrivare
a delle linee-guida
II 4 dicembre a Bologna per la prima
volta confronteremo le nostre esperienze, cercando di stabilire i primi
punti fermi in questo così decisivo
campo. Fondamentale sarà in quella
sede stabilire le connessioni fra Monitoraggio della Qualità e Sistema Informativo, dando per acquisito che ciò
che non viene scritto, registrato, archiviato, inserito cioè in un circuito informativo non può raggiungere la soglia
minima di "visibilità" indispensabile
per realizzare la QA. Immediatamente
dopo verrà l'analisi del modello di funzionamento dei servizi, nella consapevolezza che solo la convinta adesione
ad un modello culturale ed organizzativo possa permettere confronti e verifiche (vedi anche Bollettino n. 17). Altrettanto importante sarà l'obiettivo di
avviare quel processo di "accreditamento" della nostra Società presso
tutte quelle istanze istituzionali e
scientifiche necessarie a fornire alle
proposte che alla fine formuleremo
l'autorevolezza e il credito più opportuni. Tutti questi temi, insieme alle prime esperienze sul campo, saranno affrontati a partire dalla convinzione che
il tema della Qualità, mutatis mutandis, è assimilabile in tutti i settori della
Prevenzione sul territorio, certamente
in quelli dell'igiene e sicurezza nei
luoghi di lavoro, dell'igiene ambientale, dell'igiene pubblica, della veterinaria.
Come si vede, arrivare a formulare
delle Linee-guida al monitoraggio della Qualità non sarà cosa semplice. Sarebbe sbagliato credere di risolvere la
questione affidando ad un gruppo di
lavoro l'elaborazione di un testo e poi
assumendolo come SNOP a livello nazionale. Ciò che si propone, a partire
dal seminario di Bologna, è un percorso di avvicinamento a tale obiettivo,
che veda come tappe intermedie una
proposta, da discutere, predisposta dal
gruppo di lavoro che in questo scorcio
d'anno ha lavorato intensamente, ma
poi l'impegno di ogni direttivo regionale, di ogni iscritto SNOP, di ogni
operatore comunque interessato alla
nostra proposta per discutere nei merito i criteri che il gruppo formulerà, fino
a giungere a una base minima, ma veramente comune su ciò che la comunità scientifica degli operatori intende
come "lavoro (di prevenzione) ben fatto".
Pochi giorni fa, durante la visita al
museo della geotermia di Larderello,
mi è capitato d'imbattermi in un manufatto dalla foggia antica, un vecchio
motore a vapore, la cui didascalia segnalava come esso fosse il frutto del
"
Capolavoro " di un giovane apprendista alle dipendenze di un vecchio operaio di mestiere. Si riconosceva dietro
quell'arrugginito motore tutta la sapienza costruttiva accumulata in generazioni di artefici, che avevano ormai
codificato dei precisi criteri per valutare la qualità del lavoro del giovane apprendista. E d'altronde si capiva che,
nonostante le regole ed i criteri, quel
giovane manifestava nel suo "capolavoro" anche una sua soggettiva capacità di far bene. Quello che ci aspetta
è un po' il compito di metter giù quei
criteri, quelle regole dei ben fare che
riguardino un ' organismo quale è certamente un servizio di prevenzione,
nel quale si intrecciano competenze
tecniche, capacità organizzative, senso di appartenenza al gruppo, trame di
rapporti tra soggetti. Dovremo cioè dar
modo di valutare se quel servizio è capace di fare il suo "capolavoro".
Per finire una constatazione derivante dall'esperienza personale in un
servizio di prevenzione nei luoghi di
lavoro. Intraprendere programmi di
verifica e revisione della qualità adeguatamente incentivati e%osanzionati,
può anche essere un buon modo per
restituire un giusto equilibrio alle diverse attività che si svolgono nei servizi di prevenzione. Infatti mi sono sempre chiesto quale fosse il motivo dell'enfasi che molti giovani colleghi
pongono nelle attività formali legate
alla repressione di violazioni di legge
nei luoghi di lavoro, sottraendo in tal
modo energie mentali allo svolgimento di altre funzioni pur esse istituzionali. Alla fine un tentativo di risposta che
mi sono dato è stato che in fondo, a
ben guardare, tali attività sono le uniche per le quali finora è previsto un
processo di VRQ. Se infatti i verbali
non sono compilati secondo le regole
possiamo andare incontro a incomprensioni e rimbrotti da parte dei magistrati, o possiamo porgere il fianco
alle bordate di qualche avvocato difensore, pagato apposta per fare il
"monitoraggio della Qualità formale"
dei nostri atti con rilevanza giudiziaria. Non sarebbe male che anche altre
attività "nobili" (l'Igiene Industriale,
l'Educazione alla salute e alla Sicurezza, ecc.) del nostro quotidiano lavoro
fossero altrettanto incentivate e sanzionate.
NOI, BIANCHIN
E LO SCURO
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota dal Veneto.
Non è la prima volta che i veneti dibattono sull'estetica, ma questa volta
ci pare in modo del tutto convincente.
Alla nota avremmo voluto farseguire un glossario essenziale ad uso dei
soci di madrelingua diversa, ma poi
abbiamo rinunciato, parendoci di snaturare il sincero affiato e l'accorato accento del testo originale.
Ci limitiamo pertanto a due soli
chiarimenti, affinché non ci siano dubbi sull 'argomento oggetto dell 'appello.
Per concludere ci permettano í soci
veneti la riflessione che tanto affanno
contro le ombre, da loro, mai ce lo saremmo aspettato. Come cambiano i
tempi!
D'altronde la dialettica, nel nostro
caso fra bianco e nero, non è da sempre motrice delle cose del mondo?
Giallolimone
ll testo
Cossa xeo sto spegasso
che mai no me gà piasso?
El xe onto e no xe neto,
e1 xe scuro e no xe s'ceto.
.Scolté ciò cassa ve cligo:
fora de Strà e de Rovigo,
de Belùn e de Verona
chi no gà lecà rexona*!
Par far beo el boetin
ancuo ' riva Nane Bianchin!
*rexona = saòn profumà.
Glossario
Spegasso: sgorbio; nel testo evidentemente riferito ai brutti disegni che accompagnano gli articoli della rivista;
Strà, Rovigo, Belùn, Verona: villaggi
veneti.
SCHEDA REGIONALE: SARDEGNA
RIFERIMENTI
NORMATIVI
La costituzione delle UU.SS.LL. in
Sardegna, sulla base delle indicazioni
di cui alla legge istitutiva del S.S.N., è
sancita dalla Legge Regionale n.
13/1981. Essa, all'art. 25, individua i
Servizi in cui le UU.SS.LL. dovranno
articolarsi, prevedendo, nell'ambito
più specifico dei Servizi di Prevenzione, l'individuazione e l'articolazione
dei Servizi territoriali.
Il territorio regionale viene suddiviso, sulla base di criteri geo-demografici, in 22 Unità Sanitarie Locali.
Da quel momento si è in attesa di
una legge quadro Regionale, prevista
all'art. 32 della L. 833/78, che sancisce in modo definitivo e inoppugnabile le modalità di esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica e sciolga alcune ambiguità ancora
presenti nell'assetto istituzionale dei
Servizi di Prevenzione. Basti pensare
a tale proposito alle competenze già
attribuite all'Ispettorato del Lavoro, alla persistenza degli Uffici Medici Provinciali, all'ormai annoso problema
dei rapporti tra Servizi di base e Presidi
Multizonali di Prevenzione.
11 disegno di legge di riordino dei
Servizi e di definizione delle relative
competenze, nonostante la lunga gestazione e il "quasi parto" nel corso
della precedente legislatura è, al momento attuale, nella fase di revisione
preliminare, sembrerebbe, ad una
prossima riproposizione in Giunta e
successivamente in Consiglio Regionale.
In carenza di tale norma si è, nel
frattempo, proceduto alla emanazione
di norme e indicazioni relative all'assetto dei Servizi e ad alcuni aspetti di
ordine organizzativo-funzionale degli
stessi.
Riteniamo possano essere citati:
- Legge Regionale n. 34/86 che istituisce i cinque Presidi Multizonali di Prevenzione (uno per ciascuna provincia
più, per le particolari problematiche
produttivo-ambientali del territorio, il
PMP di Portoscuso) ed entra nel merito
dello svolgimento delle attività in tema
di igiene e sicurezza negli ambienti di
lavoro.
- Direttiva n. 117/88 dell ' Assessore Regionale Igiene e Sanità che detta una
serie di criteri a cui le UU.SS.LL. sono
invitate ad attenersi, riguardo alla articolazione dei Servizi in settori e unità
operative. Più in particolare viene indicato che i Servizi si articolino nei
due settori di "igiene pubblica, igiene
dell'ambiente e medicina legale" e
"igiene e sicurezza negli ambienti di
lavoro". Il primo di tali settori si articola, di norma, nelle seguenti quattro
unità operative: "igiene ambientale",
"tutela igienico-sanitaria degli alimenti
e bevande", "epidemiologia e profilassi delle malattie infettive e parassitarie", "medicina legale".
Da questa direttiva prende avvio anche una identificazione degli standards di personale dei Servizi nonché alcune indicazioni relative alle dotazioni strumentali minime.
- Esistono una serie di provvedimenti
"minori" come, ad es., un decreto assessoriale che sancisce la "scomparsa"
della figura degli ufficiali sanitari e una
direttiva che ufficializza la dizione di
"ispettori di igiene" attribuita al perso-
nate di vigilanza dei servizi.
Nel corso dell'anno 1989 sono infine state definitive le dotazioni organiche dei Servizi la cui copertura viene
cadenzata sulla base di un triennio
(1989/1991) e per le quali sono state
concesse le deroghe per le assunzioni
relative ai primi tre anni. Le piante organiche, così come formulate per ciascuna USL, sono riportate nella tabella
allegata. Al momento attuale, da una
ricognizione effettuata in merito, risultano essere ancora gravemente e diffusamente carenti nei Servizi le figure
tecniche non mediche con ovvie ripercussioni specialmente per quanto attiene alla possibilità di svolgimento dei
compiti di istituto in campo ambientale e nel settore di igiene e sicurezza
negli ambienti di lavoro.
Altrettanto gravemente carenti risultano le dotazioni strumentali dei Servizi
correlate sia alla difficoltà tecnica di definirne precisamente le necessità e le caratteristiche sia per la incapacità mostrata da molte USL ad utilizzare i fondi pure resi disponibili per tali scopi.
Altro problema irrisolto è rappresentato dalla mancanza, o dalla assoluta
inadeguatezza e vetustà quando operanti, dei Regolamenti Locali di Igiene
rispetto ai quali si è in attesa da anni
di uno schema tipo da parte dell'Assessorato Regionale competente. Uno
dei gruppi di lavoro promossi dalla
SNOP si occupa, per l'appunto della
formulazione di un Regolamento tipo.
Evidentemente questo quadro non
conferisce grosse certezze nella operatività dei Servizi e comporta degli
enormi sforzi (non rari né vani, fortunatamente) da parte degli operatori
sensibili alla professionalità e all'efficacia del proprio lavoro.
La SNOP in Sardegna nasce formalizzando la propria struttura regionale
nel corso di una assemblea tenuta nel
mese di giugno scorso e come esito di
una serie di incontri sino ad allora tenuti Ira iscritti alla società a titolo individuale.
Il direttivo regionale provvisoriamente nominato ha già fissato per il
prossimo mese di gennaio una nuova
assemblea degli iscritti allo scopo di
procedere a ridefinire il proprio assetto
in maggiore aderenza alle norme statutarie e secondo criteri di migliore
funzionalità.
Una prima analisi possibile rispetto
ai connotati della SNOP in Sardegna
e alle prospettive che essa può porsi
può, sinteticamente considerare i seguenti aspetti:
M EDIC
PIANTE ORGANICHE
SERVIZI
IGIENE PUBBLICA
IGIENE E SICUREZZA
NEI LUOGHI DI LAVORO
REGIONE SARDEGNA
.ó
E
O
ra
m
ó
E
l7
TOTALI
USL 01 SASSARI
16
16
4
USL 02 ALGHERO
12
12
3
USL 03 TEMPIO PAUSANIA
5
7
USL 04 OLBIA
9
10
2
USL 05 OZIERI
7
9
2
7
13
USL 08 SINISCOLA
6
8
USL 09 LANUSE1
7
12
USL 10 SORGONO
4
7
USL 11 ESILI
5
6
2
USL 12 GHILARLA
5
9
3
2
8
2
USL 06 MACOMER
USL 07 NUORO
USI. 13 ORISTANO
8
10
5
6
USI. 15 GUSPINI
8
2
2
U5L 17 CARBONIA
2
4
4
15
6
10
2
2
8
4
4
2
15
4
7
2
2
2
9
4
1
8
4
2
2
4
13
2
8
3
10
7
3
4
1
2
3
2
5
4
2
2
2
2
3
2
5
2
4
12
13
3
4
2
3
2
1
6
18
5
2
16
USL 22 QUARTI,' S.E.
11
16
2
26 179 235
42
2
28
2
2
4
2
6
2
8
28
8 106
3
34
8
6
6
6
90
3
48
2
3
2
4
3
3
4
50
3
9
3
4
8
83
2
5
4
49
5
65
2
39
6
3
4
2
4
3
4
3
2
3
2
15
2
10
6
6
2
5
2
3
3
6
1
7
3
3
7
121
4
7
76
60
3
39
2
48
6
84
3
39
4
5
62
4
4
63
6
91
2
il
3
5
16
6
10
4
6
6
4
63
10
4
fi
5
6
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26
6
10
16
15
132
27
8
12
9
10
121
5
11
2
6
97
54 103 120
1584
0
3
2
4
6
3
35
20
2
2
1
22
3
2
9
16
mento forse particolare rispetto alla realtà nazionale) vede presenti in maniera pressoché paritaria numericamente
operatori dei settori di igiene pubblica
e di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò conferisce alla "questione
igienisti" della SNOP (già sollevata sia
in Direttivo Nazionale che da alcuni
interventi sulle pagine del Bollettino)
una particolare valenza. Appare fondamentale, perché la SNOP possa legittimare la propria rappresentatività di
tutti gli operatori dei servizi, che essa
si attivi a tutti i livelli per una puntuale
definizione di strategie e di contenuti
"a tutto campo" nell'ambito delle diverse attività di prevenzione.
Si è già posta, in Sardegna, l ' ipotesi
cli adesione alla SNOP di operatori dei
Servizi Veterinari; questa possibilità,
3
10
8
- la configurazione della Società (ele-
8
2
3
USL 21 CAGLIARI
TOTALI
2
4
10
USL 19 SANLURI
9
7
USL 18 SENORBI
USL 20 CAGLIARI
2
9
2
USL 14 ALES
USL 16 IGLESIAS
3
5
15
65 272
certamente praticabile a mente dello
statuto della Società, pone con ancora
maggiore forza l'esigenza suddetta.
Per quanto ci riguarda la SNOP Sardegna ha promosso la costituzione di
gruppi di lavoro tra gli iscritti su tematiche che abbracciano i diversi ambiti di
intervento degli operatori della prevenzione ed è in fase di svolgimento una
prima serie di incontri di aggiornamento su argomenti di interesse generale.
Anche allo scopo di fissare alcuni
presupposti generali di riferimento sui
problemi citati è in discussione presso
il direttivo regionale, l'ipotesi di organizzazione, contestualmente alla Assemblea Regionale del prossimo gennaio, di un Convegno dedicato alla organizzazione dei Servizi di Prevenzione e alle modalità di collaborazione
tra gli stessi.
4
86 158
5
6
Dato questo primo quadro generale
sulla situazione dei Servizi ci auspichiamo di poter precisare meglio su
queste pagine problematiche, proposte e iniziative che scaturiranno dal
nostro lavoro.
La Segreteria e il Direttivo Regionali
si rendono evidentemente disponibili
per tutte le necessità di approfondimento e per ogni contatto che possano
essere proposti.
li Segretario Regionale
Antonio Onnis
CONTRIBUTI
ERGONOMIA
UN ESEMPIO PRATICO
DI COME SI POSSA
EFFICACEMENTE
INTERVENIRE
È indubbio che nonostante l'attuale
legislazione italiana sulla sicurezza
del lavoro sia giustamente riconosciuta come tra le più avanzate del mondo, alcuni aspetti inerenti la tutela della salute non sono adeguatamente affrontati, non solo quelli pertinenti al
settore terziario, come ad esempio i
servizi ospedalieri, ma anche quelli
che riguardano i comparti più propriamente produttivi. E questo il caso della
applicazione dei principi ergonomici
negli ambienti di lavoro, per la cui attuazione è difficile richiamare alcuni
specifici articoli di legge.
Soprattutto laddove il movimento
sindacale è debole, la difficoltà di realizzare misure preventive ispirate ai
principi ergonomici scoraggia gli operatori della prevenzione dall'intraprendere iniziative destinate ad un probabile fallimento.
Anche il provvedimento della disposizione, appare il più delle volte
"poco attraente", per la sua elevata
vulnerabilità, legata sia alla sua intrinseca discrezionalità, sia al suo carattere totalmente amministrativo, che ne
rende più semplice il ricorso da parte
imprenditoriale.
Sulla base di queste considerazioni
si è cercato di analizzare più attentamente la nostra legislazione alla ricerca di un riferimento che consentisse di
utilizzare tutte quelle conoscenze
scientifiche ormai acquisite in tema di
ergonomia, in parte già oggetto di una
recente Direttiva CEE 90/296, per intervenire almeno nelle situazioni più a
rischio o, comunque, causa di maggior disagio tra i lavoratori.
Allo scopo vale la pena di riportare
per esteso l'art. 374 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 che al secondo comma recita: "Gli impianti, le macchine,
gli apparecchi, le attrezzature, gli
utensili, gli strumenti, compresi gli apprestamenti di difesa, devono possedere, in relazione alla necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti
di resistenza e di idoneità ed essere
mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza".
Poiché con il termine attrezzature si
intendono, secondo i dizionari della
lingua italiana, "elementi indispensabili o comunque utili per compiere
una determinata attività", si è trattato
di verificare se, tra le diverse mansioni
lavorative, ve ne fossero alcune la cui
inosservanza dei principi ergonomici
potesse essere attribuibile ad "attrezzature" sprovviste appunto dei "requisiti di idoneità".
E facilmente sostenibile che l'ergonomicità di una attrezzatura costituisce un requisito di idoneità nella misura in cui risulti indispensabile per garantire la sicurezza del lavoro, come
prescrive il 374.
considerare
Appare
legittimo
l'espressione "sicurezza del lavoro"
nella sua più ampia accezione, distinguendola dal termine "antinfortunistica" che linguisticamente riveste un
significato più specifico e quindi più
restrittivo. Lo stesso D.P.R. 547/55, pur
titolandosi "Norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro" al Capo III
art. 387, ad esempio, recita che "I lavoratori esposti a specifici rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi devono avere a disposizione
maschere respiratorie o altri dispositivi
idonei...". Non si precisa la natura
"acuta" del pericolo, cioè il suo grado
di diluizione temporale, e quindi si deve intendere che la prescrizione debba
essere estesa anche a quelle esposizioni che possono produrre intossicazioni
più simili alla "malattia" che all'infortunio.
Anche l'ernia discale, lesione ergonomicamente prevenibile, potrebbe
essere configurabile come "evento
acuto" o come risultante di lesioni discali progressivamente ingravescenti,
analogamente a quanto si può verificare in una intossicazione.
Questa interpretazione, coerente
con la genericità delle norme contenute nella nostra legislazione sull'igiene
e sicurezza del lavoro, che notoriamente vogliono esprimere tutt'altro
che indeterminatezza, può consentire
di fare riferimento al D.P.R. 547/55 e
di utilizzare i poteri ispettivi per prescrivere all'imprenditore, mediante
diffida, l'impiego di "attrezzature" in
grado di prevenire lesioni discali derivanti da posture scor r ette o da sollevamento di pesi elevati.
Il rigore strutturale che deve possedere una "attrezzatura ergonomica"
può essere preteso attribuendo all'aggettivo "idoneo" menzionato nell'art.
374 secondo comma del D.P.R.
547/55, il significato espresso dalla Suprema Corte con la sentenza del. 15
marzo 1982, laddove si afferma che
"accanto alla fonte precettiva che impone un dato dispositivo di sicurezza,
concorre quella generale la quale richiede che quell'apparecchio risponda nel miglior modo a tutelare la sicurezza dei lavoratori, ponendo in essere
i più avanzati ritrovati tecnici in relazione alle continue scoperte della
scienza moderna".
Questo provvedimento di diffida è
stato applicato nella maggiore e più famosa industria di abbigliamento del
territorio mantovano, per quanto riguarda l'impiego di sedie ergonomiche tra le addette alle macchine da cucire, e nel più grande magazzino di
formaggio grana, per quanto riguarda
l'utilizzo di ausilii nelle operazioni cli
sollevamento delle forme di formaggio, in alternativa alla loro eliminazione dagli scaffali più bassi dove vengono riposte e continuamente movimentate.
In entrambi i casi le diffide sono state ampiamente articolate nel seguente
modo.
1) una prima parte in cui viene riportata e commentata la principale e più autorevole letteratura
sul rischio specifico;
2) una seconda parte in cui si argomenta che le attrezzature contestate possono essere definite tali
ai sensi del citato articolo di legge
e che non sono ergonomiche e
quindi idonee;
3) una terza parte, nel nostro caso valevole solo per il problema del
sollevamento pesi, in cui si accerta e si dimostra che vengono superati i limiti di sicurezza elaborati
per i carichi discali, utilizzando le
metodiche standardizzate dalla
Unità di Ricerca Ergonomica della
Postura e del Movimento della
Clinica del lavoro di Milano;
4) una quarta parte in cui si commentano i riferimenti legislativi richiamati, compresa la Direttiva
CEE per la movimentazione manuale dei carichi, e si prescrive di
reintegrare la norma violata (art.
374 secondo comma del D.P.R.
547/55) entro un termine congruo.
Prima di inviare la diffida sono stati
consultati alcuni magistrati che hanno
fornito suggerimenti ed approvalo il
provvedimento.
Dopo l'inevitabile sorpresa e le imsegue a pag. 9
LETTERE AL DIRETTORE
MISSIONARI
E SCANSAFATICHE
Cari Colleghi della SNOP,
sono un medico del lavoro, responsabile del Servizio di Civitavecchia. Anche se per motivi personali non posso
partecipare attivamente ai lavori della
Società, ne ho sempre seguito le elaborazioni che mi sono state e mi sono
di grande utilità.
Anche la recente tendenza a lavorare per l'integrazione delle varie attività
preventive sia a livello centrale che
periferico, mi sembra particolarmente
valida.
So che determinate tematiche, assai
comuni nel dibattito attuale sulla "Sanità", ovvero la gestione tecnica contrapposta a quella politica, la gestione
manageriale, ecc., non sono mai state
affrontate "ufficialmente" dall'organizzazione, che pure certo non rifugge
dall'affrontare temi "politici".
Ritengo di trovare la ragione di questo nella convinzione vostra, che in
parte condivido, che l'efficienza e la
efficacia di una struttura preventiva o
curativa che sia, risieda innanzitutto in
una strategia e in una metodologia di
intervento.
Se queste, concordo, rappresentano
le condizioni di fondo, è fuori dubbio
che la componente "umana" individuale ha un suo peso.
L'operatore della struttura può essere
professionalmente e perché no anche
personalmente "motivato" in modo
completamente diverso in una struttura
che abbia metodi ed obiettivi chiari ed
efficaci e conformi alle sue finalità, ma
ritengo che questa condizione sia necessaria ma non sufficiente a garantire
segue da pag. 8
mediate contestazioni verbali da parte
aziendale, è seguito un cordiale rapporto di collaborazione (operatori-direzione-C.d.F.) per ricercare la soluzione più
opportuna che si è conclusa con l'acquisto di sedie ergonomiche, con tanto
di certificato dell'Unità di Ricerca Ergonomica di Milano, nella azienda di abbigliamento, e, per ora, nella eliminazione di tutte le scaffalature più basse
nel magazzino di formaggi.
Paolo Ricci
una sua corrispondentemente adeguata
"produttività individuale".
E sono arrivata al punto:
senz'altro la maggioranza di voi lavora
in strutture del Centro-Nord in cui un
consistente patrimonio umano e culturale si è consolidato nel tempo, ma mi
rifiuto di credere che non conosciate
nei Servizi in cui lavorate alcuno dei
problemi con cui io mi confronto quotidianamente, e che riguardano la produttività individuale all'interno del Servizio stesso: disparità enormi tra gli
operatori, alcuni operanti come "missionari" dediti al culto della Prevenzione ed altri come prototipi del famigerato "pubblico impiego" dediti alla cultura dell'incentivo improduttivo.
Ma questa situazione è tollerabile
all'interno?
Chi è responsabile di un Servizio,
sia pure un SPISSL, può anteporre la
dimensione "culturale" al problema
della produttività individuale?
Può accettare che "volontari" si dedichino alle esperienze "avanzate",
mentre "pubblici dipendenti" classici
si godano la loro dorata emarginazione portando agli estremi il tradizionale
baratto poco salario (ma è poco relatipoco lavoro?
vamente parlando?)
E colpa della riforma "non realizzata" dal Governo?
Si risolverà quando trionferà la cultura della Prevenzione?
lo ho cominciato ad avere parecchi
dubbi in proposito e ad interrogarmi
sulle responsabilità ed anche sulle
possibilità, come dirigente, nel modificare la situazione.
Ed ho scoperto, dagli effetti del mio
nuovo comportamento, di avere grandi responsabilità ed anche grandi possibilità nell'aumentare la produttività
individuale.
Ho notato che dove ha regnato la
cultura del volontarismo, del consenso
e della partecipazione, ogni iniziativa
tesa alla verifica della produttività individuale appare "repressiva" ed "autoritaria" e pertanto si instaura facilmente un clima conflittuale che appare doveroso affrontare serenamente.
Forse oggi molti operatori sanitari
con responsabilità di dirigenti trovano
più facile affondare in un clima di sostanziale complicità-omertà con i propri collaboratori, affidando ad un domani che non viene mai o comunque
ad «altri», la riforma della dirigenza,
della pubblica amministrazione, ecc.
Invece temo proprio che, volendo,
questo processo potrebbe partire dall'interno.
Per questo, per non rendere i contenuti culturali della nostra proposta sulla prevenzione astratti, al di fuori del
tempo e di questa pubblica amministrazione all'italiana, ritengo che il tenia e l'iniziativa ci riguardino strettamente e che non possano essere signorilmente ignorati o tanto meno affidati
all'iniziativa politica individuale. Se
vorrete aprire un dibattito su questo tema, vi ringrazio fin da ora.
Cordiali saluti.
Nicoletta Pupp
SPISSL/USL RM/21 via Flavioni 29
00053 Civitavecchia
DENTRO-FUORI
1.0. LA LEGGE 833 ED I SERVIZI
VETERINARI
1.1. Dalla condotta al Servizio
Diversamente da altri soggetti istituzionali dell'Area della Prevenzione che
hanno attivamente contribuito alla definizione della legge di Riforma Sanitaria
(primi fra i quali i medici del Lavoro), i
veterinari, o meglio la "cultura veterinaria" intesa nel senso più estensivo del
termine, ha sostanzialmente subito la
833, percependone soltanto gli aspetti
più immediati in termini di vantaggi occupazionali e di benefici contrattuali.
I principi ispiratori della legge, non
erano, ed in parte non io sono ancora,
un patrimonio della Veterinaria che
proveniendo dall'esperienza della "condotta" aveva necessità di profonde
motivazioni ideali, ma soprattutto di
specifiche esperienze formative, per riconvertirsi alla diversa domanda di servizio che essa determinava.
La "condotta" è quindi, di fatto, sopravissuta, anche se con alcune eccezioni, alla legge di riforma, come dimostra, almeno in Toscana, il travagliato
cammino per arrivare in tutte le
UU.SS.LL. all'attivazione delle aree
funzionali di Sanità Animale ed Igiene
degli Alimenti.
Il risultato finale di tale operazione è
stato un oggettivo ritardo, da parte dei
Servizi Veterinari (ma anche, in un primo momento, di quelli di Igiene Pubblica e del Territorio), nella realizzazione effettiva del "Servizio", ovverossia di
quel modulo operativo al cui interno figure professionali diverse collaborano
nel perseguimento di obiettivi di lavoro
comuni sulla base di programmi assegnati e/o conseguenti a bisogni emergenti dal territorio.
2.0. IL DIPARTIMENTO PER LA SALUBRITÀ DEGLI AMBIENTI DI VITA
E DI LAVORO
2.1. Perché il Dipartimento?
Alla difficoltà di dare una caratterizzazione di "servizio" all'organizzazione del lavoro si sono talora assommate
le spinte corporative tese a tutelare indiscriminatamente l'esistente anche nei
confronti di tutte le ipotesi di collaborazione con le altre professionalità dell'area della Prevenzione.
Ogni tentativo di modificare tale logica si è puntualmente scontrato con la
barriera (peraltro usata strumentalmente non solo dai Veterinari), delle "competenze" e dei "campi di intervento"
"IL SERVIZIO
VETERINARIO
NEL SISTEMA DELLA
PREVENZIONE:
IL DIPARTIMENTO PER
LA SALUBRITÀ DEGLI
AMBIENTI DI VITA E
DI LAVORO"
che hanno di frequente ostacolato e reso impraticabile tutte le ipotesi di integrazione funzionale fra i servizi.
Cionondimeno la necessità di evitare
la duplicazione degli interventi, di avere una visione integrata e pluridisciplinare dei problemi, di migliorare il livello qualitativo delle attività a fronte di
bisogni di salute sempre più complessi
ed articolati, di ottenere una migliore e
più razionale gestione delle risorse, è
emersa, negli ultimi anni, in manieraa
prepotente e tale da condizionare
l'evoluzione dell'organizzazione dei
servizi di prevenzione.
Alcune problematiche relativamente
recenti, come quella ecologico-ambientale, richiedono infatti "conoscenze" diverse ma complementari, in grado di affrontare scenari complessi ed in
rapida modificazione per dare risposte
coerenti ed esaustive alla sensibilità
crescente dei cittadini.
È stato necessario, quindi, ricercare
clispositivi legislativi efficaci che istituzionalizzassero la collaborazione interprofessionale nelle UU.SS.LL. come
metodo quotidiano di lavoro: tale strumento oggi esiste ed è il Dipartimento
per la salubrità degli ambienti di vita e
di lavoro reso obbligatorio dal Piano
Sanitario Regionale Toscano.
Non può essere nascosto che tale
modulo operativo è difficilmente conciliabile con le rigide attribuzioni funzionali previste dalle normative vigenti
che assegnano specifiche "competenze" ai diversi servizi; al suo interno, co-
munque, ne siamo convinti, esiste uno
spazio non marginale anche per la cultura veterinaria a condizione che essa
non si confini in sterili "contenitori istituzionali" con finalità protezionistiche
ma sia disponibile a misurarsi con le altre professionalità del settore con la
propria capacità di contribuire alla risoluzione dei problemi.
2.2. La realtà Toscana
La Legge Regionale n. 61/90 (modifiche al Piano Sanitario Regionale), confermando quanto già stabilito nel precedente P.S.R. (L.R. 70/84), prevede
l'attivazione obbligatoria di alcuni dipartimenti tecnico-scientifici fra i quali
quello per la salubrità degli ambienti di
vita e di lavoro, all'interno del quale
trovano un corretto inserimento le U.O.
Veterinarie.
Caratteristiche fondamentali del modulo proposto sono:
- "l'unitarietà degli indirizzi, l'omogeneità dei comportamenti, l'integrazione
delle competenze... nell'obiettivo di realizzare la massima collaborazione ed
il miglior uso delle risorse";
- la programmazione delle attività come strumento ordinario del lavoro dipartimentale;
- l'organizzazione di un Sistema informativo comune e l'approntamento di
specifici indicatori di efficienza ed efficacia degli interventi congiunti;
- la formazione degli operatori e l'educazione sanitaria della popolazione.
Siamo di fronte, quindi, ad ipotesi
forse ambiziose (rispetto almeno alle
realtà che molti di noi conoscono e vivono quotidianamente), ma certamente
non utopistiche, come dimostrano le
non occasionali iniziative di lavoro dipartimentale che hanno preso il via in
varie UU.SS.LL. della Regione Toscana
(anche a prescindere dall'attivazione
formale del Dipartimento per la Salubrità degli Ambienti di Vita e di Lavoro),
e comunque meritevoli di essere perseguite, a nostro avviso, con costanza e
determinazione.
2.3. Veterinaria e Dipartimento
L'inserimento della Veterinaria nel
progetto dipartimentale ha trovato alcuni ostacoli oggettivi.
Non può infatti essere taciuto che laddove esso ha avuto realizzazione concreta sono emerse, in alcuni casi, difficoltà comunicative legate al diverso patrimonio culturale delle varie figure professionali, con fenomeni di protagonismo e tentativi di monopolio delle attivi-
tà di governo e programmazione dei
progetti di collaborazione interprofessionale, che non hanno giovato all'evoluzione del modulo dipartimentale.
E di tutta evidenza che, tra coloro i
quali più di altri subiscono il disagio derivante da tale situazione, vi sono certamente gli operatori del servizio veterinario, a causa del ruolo storicamente meno appariscente, ma non per questo di
minor importanza preventiva, che viene
loro assegnato nell'ambito dei servizi di
prevenzione.
Riteniamo che il superamento di questa oggettiva difficoltà a dialogare reciprocamente passi primariamente attraverso un miglioramento globale della
professionalità di tutti gli afferenti al dipartimento e, nello specifico, di quella
veterinaria, che dovrà essere resa sempre più conforme alle reali esigenze che
derivano dall'espletamento dell'attività
congiunta ed in grado di dare risposte
pertinenti ed adeguate, oltreché alle tradizionali competenze, anche a problemi
quali:
il corretto rapporto tra insediamenti
produttivi e territorio;
- la valutazione dei rischi sanitari della
popolazione umana ed animale;
l'educazione sanitaria della popolazione e la formazione degli operatori
(mediante l'utilizzo di metodi comunicativi e pedagogici conformi alle singole
esigenze educative e/o formative);
- l'equilibrio tra uomo, animali (sinantropi, selvatici, allevati) ed ambiente;
- la Verifica di Qualità (VrQ) delle attività come strumento per misurare realmente la capacità dei servizi di soddisfare i bisogni espressi od occulti che emergono dal territorio.
3.0. ESPERIENZE Dl LAVORO DIPARTIMENTALE
3.1. Il Sistema Informativo di Dipartimento (S.I.D.)
La creazione di un S.I. comune tra i
servizi di prevenzione rappresenta il
punto di partenza per ogni attività di tipo
dipartimentale.
Si tratta, in sostanza, di attivare una
serie di archivi che contengano tutte le
informazioni necessarie, relativamente
a:
a) caratteristiche strutturali ed igienico-sanitarie degli insediamenti produttivi;
b) valutazione dell'impatto ambientale e della capacità di smaltimento degli
inquinanti prodotti;
c) aspetti inerenti la tutela della salute
dei lavoratori.
Gli archivi da considerare sono:
1) archivio aziende: riguarda le attività già in essere al momento dell'avvio
del S.LD., al cui interno potranno distinguersi, tra quelli di interesse veterinario:
la) archivio insediamenti zootecnici;
1 b) archivio mattatoi e/o laboratori
di produzione e lavorazione di alimenti
o di prodotti di origine animale;
1 c) archivio rivendite al dettaglio di
prodotti di origine animale;
i d) archivio mangimifici e rivenditori di alimenti per animali;
le) archivio ambulatori e case di
cura zooiatriche;
i fi archivio "ricoveri" e concentramenti di animati; e così via dicendo.
2) archivio Nuovi insediamenti Lavorativi: è l'archivio in cui vengono inseriti
i dati provenienti dall'attività della Commissione per i Nuovi Insediamenti Lavorativi, cui accenneremo in seguito.
La possibilità di gestire in maniera informatizzata tali archivi, interfacciando
i singoli Sistemi Informativi ed Informatici di servizio, renderebbe assai più rapida ed efficace la programmazione degli
interventi dipartimentali e la verifica dei
risultati conseguiti.
Le esperienze che già alcuni servizi cli
prevenzione toscani hanno condotto in
materia, costituiscono un valido banco
di prova per il S.I.D. e dimostrano in
concreto la sua realizzabilità ed efficacia.
3.2. La Commissione Nuovi Insediamenti Lavorativi
Nell'ambito della Commissione per i
Nuovi Insediamenti Lavorativi, costituita
o in via di definizione ormai in buona
parte delle UU.SS.LL. della Toscana,
può trovare un utile inserimento anche
la professionalità veterinaria.
L'intervento del Servizio Veterinario,
sia a livello di concessione edilizia che
di licenza d'uso, può rappresentare un
valido ausilio, ad accrescere la portanza
preventiva del parere espresso, in molti
casi (fra i quali vorremmo ricordare in
particolare gli insediamenti zootecnici e
gli stabilimenti di produzione e lavorazione di alimenti e/o prodotti di origine
animale), contribuendo ad una valutazione non solo degli aspetti più strettamente igienico-sanitari, ma anche di
quelli inerenti il rapporto tra l'insediamento ed il territorio su cui il medesimo
insiste, in termini di tutela dall'inquinamento e di"corretto rapporto con l'ambiente locale.
A titolo di esempio negativo vogliamo
citare il caso emblematico della Vai Padana dove la concentrazione abnorme
di allevamenti suini è stata una delle
concause dei fenomeno dell'eutrofizzazione dell'Adriatico e, nel contempo, ha
provocato un complesso problema di
Sanità Pubblica Veterinaria, allorquando, per la vicinanza tra loro degli allevamenti, dovuta all'assenza di una qualsiasi programmazione degli insediamenti
zootecnici sul territorio, si è avuta una
inarrestabile diffusione dell'epidemia di
afta epizootica che ha costretto gli operatori sanitari ad abbattere e distruggere
in loco decine di migliaia di suini con
enormi conseguenze sul piano economico-sanitario ma anche in termini di rischio di inquinamento del suolo, delle
falde sotterranee e dell'aria.
Vi sono, cioè, molte e valide ragioni
affinché, in una interpretazione autentica e per questo più estensiva del concetto di prevenzione, esista, all'interno della Commissione per i Nuovi Insediamenti Lavorativi, anche una presenza
non occasionale degli operatori veterinari e, con essi, di tutti coloro (biologi,
ingegneri, chimici, operatori di vigilanza, ecc.) che hanno qualcosa da dire in
materia di salubrità degli ambienti di vita e di lavoro.
3.3. Il comparto agricoltura e zootecnia
Il comparto "agricoltura e zootecnia"
è uno dei settori dove la collaborazione
interprofessionale può dare i suoi frutti
migliori.
Obiettivi di un eventuale programma
congiunto di intervento sono.
- creazione di un archivio comune
degli insediamenti agrozootecnici;
identificazione dei principali fattori
di rischio di comparto e preparazione di
mappe territoriali di rischio relativamente a:
1) malattie infettive di rilevante interesse veterinario;
2) antropozoonosi e zooantroponosi;
3) impatto ambientale e tutela dall'inquinamento;
4) caratteristiche igienico-sanitarie
dei ricoveri e benessere animale;
5) tutela della salute dei lavoratori;
6) utilizzo scorretto di sostanze farmacologiche per la cura e la profilassi
delle malattie animali e/o di prodotti ad
azione antic r ittogamica ed erbicida;
- educazione alla salute degli addetti
mediante l'utilizzo di idonei sistemi comunicativi;
vigilanza sul rispetto delle normative
di polizia veterinaria, igiene del territorio
e tutela della salute dei lavoratori;
individuazione di procedure unificate per i provvedimenti autorizzativi dei
nuovi insediamenti zootecnici nell'ambito dell'attività della commissione
N.I.L.
iI recupero del l'esperienza veterinaria
in tale comparto, maturata in anni di
contatto continuo con la realtà zooagricola, oltreché un supporto tecnico indispensabile, può costituire un apporto
utile per approfondire la conoscenza di
alcuni aspetti culturali e sociali del settore, determinanti per spiegare certe scelte
e taluni usi e consuetudini che spesso
sono le responsabili principali dell'esistenza di fattori di rischio per la salute
di lavoratori, consumatori, cittadini.
3.4. Il monitoraggio ambientale
L'elaborazione di mappe di rischio
ambientale passa attraverso l'attivazione
di procedure di monitoraggio "integrato" che siano in grado di valutare "lo
stato di salute" di un territorio, mediante
l'individuazione ed il controllo di vari tipi di indicatori biologici, chimici e fisici
a livello di:
- aria
- acque interne e marine
- suolo
regno vegetale
- regno animale.
In tale contesto si potrà prevedere l'attivazione di procedure per il controllo di
animali allevati, selvatici e sinantropi, in
grado di evidenziare il ruolo di "accumulatori biologici" di sostanze inquinanti che di frequente gli animali stessi
rivestono, disponendo, in questo modo,
di importanti"epifenomeni " dell ' evento
epidemiologico che ci interessa.
Esistono, ad esempio, interessanti
esperienze che prevedono l'uso delle
api come rilevatrici dell'inquinamento
agricolo da fitofarmaci ed anticrittogamici; tutti gli animali sinantropi e
non, inoltre, che in qualche modo hanno rapporto con unità urbane a forte
tensione abitativa, possono essere utilizzati per svelare e monitorare il potenziale inquinamento da metalli pesanti;
pesci e molluschi, infine, sono importanti strumenti per verificare il grado
d'inquinamento chimico e biologico
del mare.
A margine di quanto finora detto è, a
nostro avviso, opportuno ricordare come certi problemi legati alla convivenza fra l'uomo e gli animali sinantropi siano essi stessi inequivocabili indicatori
di un pericoloso squilibrio ambientale:
citeremo il caso dello spostamento dell'habitat naturale dei gabbiani, ma anche di numerose specie di selvatici, legato alla esistenza delle discariche incontrollate; dell'invasione delle città da
parte di piccioni, storni e gatti (ma anche faine, volpi, ecc.) per non dimenticare l'ormai storicamente insolubile
problema dei ratti.
Si tratta di questioni che, per la complessità dei fattori che le determinano
e per l'estensione che di norma assumono, richiedono l'apporto di professionalità diverse ed un impegno comune a più entità istituzionali (U.S.L., Enti
Locali, Associazioni Protezioniste, Ministeri competenti, ecc.) per la loro collaborazione interprofessionale sia una
scelta obbligata e non un'opzione scomoda.
4.0. UN'IPOTESI PER IL FUTURO
4.1. La rete multireferente
Il problema dell'esistenza ed, anzi,
della continua espansione di servizi paralleli dipendenti da Ministeri diversi da
quello della Sanità (Ambiente, Agricoltura, Protezione Civile, ecc.) rappresenta una delle contraddizioni più evidenti
per un sistema che aveva nell'approccio globale ed unitario ai problemi della salute e del benessere psico-fisico
della popolazione il proprio obiettivo
primario, in linea con le indicazioni
OMS, correttamente recepite, in prima
istanza, dalla legge 833/78.
Tale scelta istituzionale, come i veterinari ben sanno, corre il rischio di ricreare dualismi operativi che sicuramente non giovano ad un miglioramento dell'efficacia, e forse nemmeno
dell'efficienza, dei servizi erogati.
L'ipotesi che vorremmo fare nostra,
al contrario, emersa al convegno nazionale su "l'Informazione per la Prevenzione" organizzato dalla Società Nazionale degli Operatori di Prevenzione
e tenutosi a Pisa nel dicembre del
3990, riguarda la creazione, attraverso
la struttura dei Dipartimenti di Prevenzione delle UU.SS.LL., di una rete di
servizi multireferenziali in grado di
"fungere da tramite intelligente" non
solo per il Ministero della Sanità, ma
anche per quello dell'Ambiente, dell'Agricoltura, della Protezione Civile,
del Lavoro, dell'Industria, della Ricerca
Scientifica e così via.
La proposta in questione prevede la
creazione, a livello centrale, di una
struttura di indirizzo e coordinamento
denominata "Agenzia per la Tutela dell'Ambiente e la Prevenzione Primaria
Collettiva" con finalità di programmazione delle attività di promozione della
salute e di salvaguardia dell'ambiente
ed avente come "terminale intelligente
periferico la rete delle strutture dei futuri Dipartimenti di Prevenzione delle
U U.SS.LL. opportunamente completata
a livello nazionaleedotatadi personale
e risorse adeguate".
Riteniamo che tale ipotesi operativa
possa rappresentare una alternativa assai più rispondente alle domande di
servizio ed ai bisogni dei cittadini che
non un insieme di servizi frammentati,
che agiscono indipendentemente tra
loro, in modo disorganico e spesso
concorrenziale, con una evidente dispersione di risorse ed una continua sovrapposizione delle competenze e delle attività.
5.0. CONCLUSIONI
Il momento non è dei più favorevoli
per chi vuole fare davvero " promozione della salute"; è seriamente ipotizzabile, infatti, il rischio che le future
"Aziende Sanitarie" assumano una impostazione prettamente efficientisticoproduttivistica che penalizzerebbe non
poco tutto il settore della prevenzione.
Cionondimeno si scorge nei servizi
una particolare vitalità culturale che
contrasta con le tendenze centrali per
un ridimensionamento di tutte le attività di Sanità Pubblica e che risponde a
precise domande dei cittadini.
Per questi motivi è, se possibile, ancora più necessario che non in passato
che le iniziative Dipartimentali si moltiplichino favorendo un approccio sempre più unitario ed integrato ai problemi della tutela della salute collettiva e
dell'ambiente.
Creare un "Sistema della Prevenzione" in cui tutte le componenti siano
normalmente dialoganti tra loro e con
l'esterno, e nel quale, a fronte di Inputs
diversi, si raggiungano risposte di servizio uniche ed integrate, è l'obiettivo
che, a nostro parere, tutti (operatori di
prevenzione, ma anche amministratori,
lavoratori, cittadini tutti) debbono porsi.
Roberto Elia
Servizio Veterinario Livorno
U.S.L. n. 13
Giovanni Belcari
Servizio Veterinario Pontederea (Pi)
U.S.L. n. 16 Val d'Era
FITOFARMACI
STRUMENTI
DI REGISTRAZIONE
DELLA
DISTRIBUZIONE,
DELLA VENDITA
E DELL'UTILIZZO
(Decreto del Ministero
della Sanità
del 25/01/91, n. 217)
Con il D.M.S. n. 217 del 25/1/91,
pubblicato sulla G.U. n. 171 del
23/7/91, sembra essere giunto alla
conclusione il processo di formulazione delle disposizioni relative alla registrazione della produzione, vendita e
consumo dei fitofarmaci.
Il Decreto Interministeriale (Sanità,
Agricoltura e Foreste, Ambiente, Incl.,
Comm. e Artigianato), emanato peraltro
sulla scorta del riscontro di un sempre
maggior inquinamento delle acque di
falda, in attuazione dell'art. 15 del
D.P.R. 236 del 1988, prevede, per i produttori, i rivenditori e gli utilizzatori dei
presidi sanitari, indipendentemente dalla classe tossicologica, la registrazione
su specifiche schede (il cui modello è allegato al decreto) delle vendite, acquisto
ed utilizzo degli stessi.
Nel prospetto viene presentato un
quadro riassuntivo degli obblighi previsti, per gli specifici soggetti interessati, dal decreto.
Soggetti all'obbligo della compilazione delle schede di rilevamento previste nel Decreto del Ministero della
Sanità sono le ditte intestatarie delle
registrazioni dei presidi sanitari, i distributori, i venditori e tutti gli utilizzatori, quali terzisti, cooperative, centri
di distribuzione collettiva, aziende
agricole in qualsivoglia forma di conduzione e qualunque utilizzatore, anche se per orti (o giardini) i cui frutti
sono di esclusivo consumo familiare.
Tale decreto peraltro comprende anche l'obbligo di registrazione per quegli utilizzatori "extra agricoli" quali, ad
esempio, l'ente FF.SS. (uso di diserbanti sulle massicciate), i Comuni (uso di
presidi sanitari nei giardini-parchi, diserbo al bordo delle strade, ecc.) e
ogni altro ente o società privata che
utilizza fitofarmaci.
Per la registrazione delle vendite a
coloro che utilizzano presidi sanitari
di 3a e 4a classe esclusivamente in orti
e giardini familiari, il cui raccolto è destinato al consumo proprio, è prevista
la possibilità di una annotazione cumulativa da parte del rivenditore, che
può vendere i prodotti solamente dopo l'esibizione, da parte degli utenti di
cui sopra, di una autocertificazione,
vidimata, protocollata e depositata in
copia presso l'U.S.L. competente per
territorio. Tale possibilità, tuttavia, riguarda esclusivamente il venditore, e
non esime l'utilizzatore dalla compilazione delle schede di cui agli allegati
3 e 4 e dall'invio della scheda di cui
all'allegato 3 all'U.S.L. entro il 28 febbraio di ogni anno.
Tuttavia, all'art. 6, è previsto che il
Ministero della Sanità, di concerto con
gli altri Ministeri, possa esentare gli utilizzatori dall ' obbligo di presentare la
scheda 3 (fermo restando l'obbligo della compilazione della scheda 4 e non
si precisa se anche della 3) nel caso
specifiche sostanze attive, in specifici
settori e zone abbiano dimostrato, sulla
base dell'analisi dei dati raccolti negli
anni precedenti, di determinare un effetto marginale. Ovviamente tali casi,
ben specificati, saranno previsti in decreti-circolari solo tra alcuni anni, non
prima del '93, nella migliore delle ipotesi; infatti, essendo prevista la registrazione delle vendite e dei consumi a
partire dal 1992 è ben difficile che
un'analisi degli stessi possa essere effettuata prima della seconda metà del
1993.
Si ricorda che la non ottemperanza
al decreto comporta sanzioni pecuniarie-amministrative che vanno da un
minimo di L. 500.000 ad un massimo
di L. 3.000.000, ai sensi dell'articolo
21 del D.P.R. 236 del 24/05/1988.
L'esame attento del decreto mette
peraltro in evidenza alcuni problemi
legati alla sua attuazione. A nostro giudizio i principali punti di discussione
appaiono i seguenti:
1 - Il decreto non prevede alcun intervento formativo, nel breve tempo
che manca all'inizio della compilazione dei registri (gennaio 1992), per gli
utilizzatori dei presidi sanitari, né di assistenza per i primi periodi; tale fallo è
aggravato dalla peculiare frammentazione delle aziende esistenti, salvo rare
eccezioni, sul territorio nazionale, e
darla diffusione, specialmente in alcune
regioni (es. Veneto), delle conduzioni a
part-time, che comportano un'enorme
difficoltà a raggiungere per tali interventi formativi la maggior parte degli
agricoltori. Se tale intervento educativo
e di assistenza dovesse essere fatto attraverso le U.S.L. od i tecnici polivalenti, dovrà essere previsto un adeguamento degli organici, auspicabilmente con
diplomati/laureati in agraria, particolarmente esperti in fitoiatria.
2 - Il decreto non precisa quale sia
l'istituzione che dovrà preparare fisicamente gli stampati dei modelli, né le
modalità della loro distribuzione, vidimazione e raccolta. L ' ipotesi più ovvia
è che queste ultime avvengano tramite
il Settore Igiene Pubblica delle U.S.L..
Un calcolo per l'U.S.L. degli scriventi risulta peraltro allarmante, infatti il
numero delle sole aziende agricole
operanti nel territorio di competenza
ammonta a circa 17.000, con esclusione degli utilizzatori "domestici" ed extragricol i.
Si prevede pertanto, per buona parte
dell'anno, l'impiego di personale ad
hoc a tempo pieno.
Per la raccolta inoltre di eventuale
materiale su supporto magnetico, sarà
necessario avere a disposizione un adeguato hardware e software, per quest'ultimo si resta in attesa delle specifiche previste al 3° comma dell'art. 3.
3 - Non viene precisato inoltre a
quale struttura regionale dovranno essere inviate le schede di registrazione,
e quale utilizzo questa ne farà.
4 - Ci si chiede, inoltre, se dal gennaio 1992 dovrà continuare anche la
denuncia trimestrale relativa alla vendita delle sostanze attive diserbanti come previsto clalf'ex ordinanza de! Ministero della Sanità del 25/6/86. A rigor di logica quest'obbligo dovrebbe
decadere.
5 - Un altro aspetto, a nostro giudizio negativo, è rappresentato dal fatto
che le U.S.L. siano escluse dalla acquisizione dei dati relativi alle vendite, se
non a valle dell ' elaborazione del Ministero dell'Agricoltura - S.I.A.N., per i
quali peraltro non sono prevedibili
tempi reali. La situazione attuale perlomeno permette ai Settori Igiene Pubblica di acquisire trimestralmente le
schede relative alle vendite dei diserbanti (mod. IAN 01) sempre che le
precedenti disposizioni non vengano
abrogate - vedi p.to 4) e quindi di poter
effettuare, nel caso di necessità, un
controllo in breve arco di tempo, cosa
che peraltro, a livello periferico, è stata
frequentemente attuata, soprattutto in
relazione ai frequenti inquinamenti
delle acque potabili.
Schema riepilogativo degli adempimenti previsti nel decreto del Ministero della Sanità n° 217 del 25/01/1991
(G.U. n° 171, del 23/07/1991)
Soggetti interessati
Ministero
della sanità
A
pio 2: le U.S L.
vidimano
l'allegato n°4,
ex "Quaderno
di Campagna"
Ministero
Ditte
dell'agricoltura
produttrici
B
p.to 1: riceve
le dichiarazioni di
vendita dai soggetti
C D, E, f, G ed H
ogni sei mesi.
p.to 2: riceve
le dichiarazioni di
utilizzo dai soggetti
i ed L tramite le
U.S.L., entro il 31
maggio di ogni
anno.
e ricevono,
entro il 28 febbraio,
i riepiloghi dell'allenato 3, ne trattengono
un esemplare e trasmettono gli altri, uno
al Min. dell'Agricoltora - S.LA.iJ., e l'altro Nota: lo stesso Min.
alla Regione ,entro il dell'Agricoltura ela31 maggio.
bora dati ricevuti
e li trasmette ai soggetti A ed M e, per
la parte d i cirmpe _
tenza, alle U:S.L.
6 - Appare inoltre anacronistico il fatto che non venga previsto un coinvolgimento degli organismi regionali che
operano in agricoltura (Assessorati all'agricoltura, Osservatori per le malattie
delle piante, Enti di sviluppo agricolo,
ecc.) e delle associazioni di categoria.
Sulla base delle considerazioni precedenti appare pertanto estremamente
difficile prevedere che gli strumenti informativi indicati nel decreto ministeriale possano essere adottati in tempi
brevi, salvo la tempestiva emanazione
di circolari esplicative.
Complessivamente, peraltro, il decreto può rappresentare uno strumento
fondamentale per il monitoraggio del
consumo di fitofarmaci e nell'"...impostazione di programmi di
prevenzione mirati alla tutela della salute dell'uomo, degli animali e dell'ambiente..." (D.P.R. 236/88), bisogna
naturalmente vedere quale volontà
esista nel farlo applicare.
I tempi sono brevi, ma tuttavia è suf-
Distributori Esportatori
Rivenditori
Terzisti
Coop.
Utilizzatori
agricoli
Utilizzatori
extraagricoli
Ministeri
ambiente,
industria,
commerc io e
artigianato
C
D
E
F
G
Fl
]
L
M
p.to 1
p.lo 1
p.lo 1
p.to 1
p.to 1
p.to 1
p.to 2
p.to 3
p.to 2
p.to 3
conoscenza
pio 1 : Dichiarazione di vendita (Ad 2 e 3, allegati 1 e 2): da inviare al Ministero dell'Agricohura-SI.A.N,
entro il 31 agosto e il 28 febbraio di ogni anno. Soggetti obbligati: C, D, E, F, G, H.
pio 2 : Dichiarazione di utilizzo (Art. 4, allegato 3): da inviare alle U.S. L. di competenza entro il 28 febbraio di
ogni anno, ín tre esemplari. Soggetti obbligati: I, L.
p.to 3 : Registrazioni di utilizzo (Art. 5, allegato 4): Soggetti obbligati: I, L.
- l'utilizzo dei presidi sanitari deve essere registrato entro i 1.5 giorn i successivi a ciascun trattamento.
- il registro (allegato 4) deve essere vidimato preventivamente dall'U.SL. di competenza e conservato dall'utilizzatore, o presso i centra di assistenza tecnica delle organizzazioni professionali di categoria, previa comunieazIone rill 'U.S L.
- sull'allegato 3 deve essere effettuato il riepilogo dei dati riportati sull'allegato 4.
- conservazione dei moduli d'acquisto (art. 22.c. 4, del D.P.R. 1255/68) dei presidi sanitari I e 11 classe tossicologica
- conservazione delle bolle di acconrpagnarnento relative all'acquisto dei presidi sanitari [II e IV classe tossicologica
ficiente dare rapida precisazione sulle
modalità di stampa e diffusione delle
schede informative (allegati) e su quali
debbano essere le strutture coinvolte
nell'opera di informazione-educazione. I primi dati perverranno al Ministero dell'Agricoltura-S.I.A.N. a fine agosto 1992 (ovviamente fatte salve le
consuete proroghe, ben conosciute nel
corso della storia del "Quaderno di
Campagna") e pertanto c'è un tempo
sufficiente a predisporre la corretta
raccolta ed elaborazione dei dati.
Valkentino Patussi
Granziera Luigi, Ceresa Loris.
SPISAL, ULSS n. 12, via Arrnellini 13,
CONEGLIANO (TV),
tel. (0438) 31045/22875
Andrea Collareta
SIP, ULSS n. 12, via Lubin, 22
PIEVE DI SOLIGO (TV),
te/. (0438) 8381
FITOFARMACI
L'ESPERIENZA
DELL'ADOZIONE
DEL QUADERNO
DI CAMPAGNA
IN PROVINCIA
D1 TREVISO
II riscontro costante e diffuso di inquinamento da prodotti diserbanti delle
acque di falda che alimentano gli acquedotti comunali di alcune aree della
regione, ha comportato l'esigenza di
adottare uno strumento di conoscenza
e controllo dell'utilizzo dei fitofarmaci.
Con questo obiettivo, il Dipartimento
per l'Igiene della Regione Veneto ed il
Settore Igiene Pubblica e Prevenzione,
Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell'U.L.S.S. n. 12 del Veneto hanno
sperimentato, in collaborazione con gli
organismi di Assistenza Tecnica operanti
sul territorio ed il Centro di Elaborazione
dati dell'LJ.L.S.S., l'utilizzo del Quaderno
di Campagna nell'area, ricca di risorgive,
c.d. del "Quartier del Piave".
AI termine della stagione 1989 dei
trattamenti sono stati raccolti i Q.d.C.
relativi a 436 aziende, nelle quali le
colture prevalenti sono risultate essere
il mais, la vite, e, in minor misura, la soia tali estensioni colturali rappresentano
rispettivamente il 31,6%, il 23,9% e
1'11,1% della superficie adibita alla
specifica coltura (mais, vite e soia) nei
12 comuni oggetto della sperimentazione.
La maggior parte delle aziende agricole indagate ha un'estensione colturale, per specifica coltura, inferiore ai 2
ettari, dato questo che ben si raccorda
con la realtà della provincia di Treviso.
L'81,88% delle aziende campionate
coltivano la vite, il 77,52% il mais e il
7,56% la sola.
Per ciascuna coltura praticata è stato
rilevato il tipo, il quantitativo dei presidi
sanitari utilizzati e la superficie coltivata sulla quale il prodotto era stato utilizzato.
Per ogni prodotto si è proceduto al
calcolo dell'esatto quantitativo dei diversi principi attivi in esso contenuti, al
fine di avere una stima corretta del
quantitativo delle sostanze di rilevanza
tossicologica immesse nell'ambiente.
I dati ottenuti possono essere estesi
alla superficie coltivata, per singola coltura, della provincia di Treviso, al fine
di ottenere una stima del quantitativo
dei singoli principi attivi utilizzati nella
provincia.
I risultati di questa indagine, che per
la prima volta a livello nazionale ha utilizzato questo importante strumento di
conoscenza, dimostra che l'impiego
programmato e diffuso del Quaderno
di Campagna (attualmente costituito
dagli allegati 3 e 4 del Decreto del Ministero della Sanità n. 217/91) può rappresentare, anche mediante campionamenti in gruppi di aziende rappresentative di specifici territori, il mezzo più
corretto per ottenere stime dei consumi
per specifica coltura. Tale informazione
è indispensabile al fine di effettuare delle proiezioni sui quantitativi dispersi in
aree provinciali-regionali nelle quali si
possono anche avere dei trattamenti
omogenei, ma quasi mai delle omogenee ripartizioni degli ordinamenti colturali.
1 risultati dell'indagine, in corso di
pubblicazione, sono disponibili presso
lo SPISAL di Conegliano.
Valentino Patussi, Luigi Granziera,
Loris Ceresa
SPISAL, ULSS n. 12, via Armellini 13,
CONEGLIANO (TV),
tel. (04.38) 31045/22875
Andrea Collareta
SIP, ULSS n. 12, via Lubin, 22
PIEVE DI SOLIGO (TV),
tel. (0438) 8381
UNA BANCA DATI
PER I RIFIUTI
INDUSTRIALI
È probabilmente inutile che in questa sede si ripercorrano tutte le tappe
e i dati che hanno fatto esplodere in
questi anni la situazione dei rifiuti, in
particolare quelli prodotti dall'attività
industriale.
Ci sembra, invece, necessario soffermarci su alcune considerazioni che
emergono con forza e che appaiono
evidenti ad un esame anche superficiale di questa situazione.
La quantità di rifiuti, siano essi quelli
generati dall'attività produttiva ed industriale, oppure quelli indotti dallo
stile di vita generalmente adottato dagli italiani, ha assunto oggi una dimensione tale da far esplodere il problema.
innanzitutto perché la mancata attuazione di una politica e di procedure
per un corretto trattamento e smaltimento dei rifiuti costituisce oggi un effettivo freno allo sviluppo.
In Italia, difatti, ogni anno si produce una quantità notevole di rifiuti: quasi cento milioni di tonnellate. In particolare, secondo i dati della «relazione
sullo stato dell'ambiente», nel 1988,
sono stati raggiunti 80,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e 17,3 di solidi
urbani. 1 primi riguardano, secondo le
classificazioni vigenti, autodemolizioni (1,8 milioni di tonnellate anno);
inerti di origine civile (34,4 milioni di
tonnellate anno), ospedalieri (0,2 milioni tonnellate anno); industriali assimirabili agli urbani (3 milioni di tonnellate anno); inerti di origine industriale (13,4 milioni di tonnellate anno); altri di origine industriale non tossici e nocivi (23,5 milioni tonnellate
anno) e tossici e nocivi (3,8 milioni di
tonnellate anno).
Il Ministero dell'Ambiente ammette
che la capacità di smaltimento per le
scorie industriali è del 50 per cento,
ma se ci si riferisce ai tossici nocivi la
capacità è solo del 10 per cento.
In seconda battuta perché il costo
sociale che la collettività è costretta a
pagare in assenza di una pratica (soluzione) corretta, razionale ed organica
è troppo alto.
Nell'arcipelago delle attività produttive (piccole e medie imprese e artigianato), le cui dimensioni variano sino
ad un centinaio di addetti per unità, i
comportamenti apparentemente poco responsabili degli imprendito-
15
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MATERIAu tbc:
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ri/artigiani risiedono soprattutto, a nostro parere, in una conoscenza molto
lacunosa del problema ed in una oggettiva disinformazione.
Lacune che si sono polarizzate su
alcune grandi aree: l'oggettiva pericolosità dei rifiuti, le pratiche e le norme
per un corretto trattamento dei residui
dei processi produttivi, ma soprattutto
la mancata conoscenza dei costi sodali relativi a scorretti smaltimenti.
A questa si aggiunge l ' incapacità
culturale (sedimentata in anni di sviluppo senza problemi apparenti) di
considerare le materie residue dei processi industriali come una risorsa aggiuntiva da impiegare in altri cicli produttivi.
Queste lacune si sono tradotte in
comportamenti collettivi che tendono
a sottovalutare l'importanza del problema ed in uno stile di management
(conduzione dell'attività produttiva)
apparentemente poco responsabile.
L'altra ragione, come già accennato,
risiede in una reale mancanza di informazione da parte di tutta la pluralità
di soggetti che costituiscono la piccola-media industria e le imprese artigianali.
Oggi si può affermare, invece, che
a livello dei grandi gruppi industriali,
e questo grazie all'effettivo lavoro
svolto in questi anni dal ministero per
)'ambiente e dall'autorità politico-amministrativa, e dalla vigilanza dei servizi di prevenzione esista la consapevolezza della necessità di una poitica
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1%9
organica per il trattamento dei rifiuti,
e come essa in alcuni casi si sia tradotta in pratiche di trattamento sufficientemente adeguate.
Dal punto di vista legislativo, dopo
l'importante DPR 915/82, notevoli sono stati i "passi avanti" compiuti, sia
per recepire le direttive europee che
per dare sistemazione all'intera materia.
Spesso però i momenti chiave, come la legge 441/87 o la 475/88, sono
stati figli di emergenze, ricordiamo
quelle delle "navi dei veleni", che
hanno prodotto le premesse di consenso per varare queste normative, ma
anche un clima di urgenza e di conseguente confusione. Così è accaduto
anche per tutta una serie di decreti
emant-iti in questi ultimi anni dal Ministero dell'Ambiente, come quelli riguardanti il Catasto Nazionale dei rifiuti speciali o l'individuazione delle
materie prime secondarie. Per superare le incongruenze e le difficoltà di applicazione è necessario coordinare tutta la normativa in un Testo Unico. Tra
l'altro la Comunità Europea si appresta
ad aggiornare le direttive in materia di
rifiuti industriali (75/442 e 78/319) introducendo sensibili innovazioni, questo potrebbe essere l'occasione appunto per il necessario riordino.
Per quanto riguarda la concreta applicazione della legislazione, assistiamo, come in parte già accennato, ad
un forte scarto tra obiettivi e risultati.
Smaltire costa e gli impianti non si
La mappa dei rifiuti industriali
Regione
Rifiuti
(in tonni)
Possib.
di stnaltimcnto
teli arca regiona
le (in tonni)
Abruzzo
244
0
Basilicata
236
7
Calabria
395
0
Campania
1.401
169
Emilia R.
1.150
495
Friuli
812
88
Lazio
1.699
30
110
227
Liguria
4.786
2.734
Marche
141
0
Molise
101
0
Piemonte
2.565
646
Puglia
3.376
381
Sardegna
1.264
571
712
62
Lombardia
Sicilia
Toscana
3.119
162
Trentino A.A.
[43
63
Umbria
227
197
47
0
3.425
1.783
Valle d'Aosta
Veneto
Fonte: ministero dell'Ambiente 1991
trovano, l'autosmaltimento è ancora
una pratica di pochi, specialmente se
i rifiuti sono tossici e necessitano di
particolari trattamenti.
Considerando che il controllo è insufficiente, ed in certe zone quasi inesistente, è facile immaginare gli affari
"sporchi" che si sviluppano intorno a
questo problema.
Smaltire i rifiuti può costare da un
minimo di cento a un massimo di
1.500 lire al chilo, le spese di trasporto
incidono per il 5 per cento circa.
La tardiva e per ora ancora inapplicata programmazione degli interventi
(per esempio DPCM 3.8.90), sia alla
fonte, con la riduzione dei rifiuti e la
raccolta differenziata (riciclo - recupero - riutilizzo), che a valle, con gli
opportuni sistemi di smaltimento, sta
provocando non solo condizioni di
"anomalia" di mercato, ma soprattutto
una crescente sfiducia dei cittadini e,
quindi, un conseguente rifiuto di qualsiasi tipo di impianto dedicato ai rifiuti.
Occorre dare certezze sulla sicurezza e necessità degli interventi, sulle
eque distribuzioni e sulla indifferibilità
di mutamenti nelle abitudini e comportamenti collettivi.
Lo scenario è certamente preoccupante, ma vi sono anche risposte e situazioni positive, anche se limitate.
L'urgenza dei problemi non deve far
cadere nel minimalismo di risposte
tappabuchi che non risolvono nulla.
Sulla base di questa valutazione riteniamo necessario, per costruire la
premessa di una soluzione, promuovere la formazione di una Banca Dati
organizzata per comparti produttivi relativa ai rifiuti speciali.
L'obiettivo che ci si pone è quello di
avere uno strumento relativamente
semplice che fornisca informazioni
mirate, contenenti indicazioni specifiche, anche su soluzioni possibili.
Questo grazie alle esperienze già
consolidate in varie realtà del Paese.
Una Banca Dati che comparto per
comparto illustri le tipologie dei rifiuti
prodotti, descrivendone le caratteristiche e classificandoli nel catasto nazionale con il codice assegnatogli, quindi
con un diretto collegamento con il
processo produttivo.
Inoltre vengono indicate le precauzioni nella manipolazione e nello
stoccaggio, le modalità di smaltimento, le possibili alternative per il riciclo
o recupero e le produzioni specifiche
prevedibili.
I comparti per ora individuati sono
circa una ventina, ma il numero dovrebbe aumentare. Questo lavoro fa'
tesoro delle esperienze che in varie realtà si sono maturate in comparti specifici, anche non direttamente sul tema
dei rifiuti. Spesso invece queste conoscenze vengono disperse, o nel migliore dei casi rimangono limitate nell'ambito geografico dove sono state
prodotte.
Quindi immettere in un circuito nazionale e oltre gli ambiti consueti,
esperienze e conoscenze preziosissiCOMPARTO
RIFIUTI
me, è uno degli obiettivi che ci si pone, come quello di stimolare interesse
e ricerche sulla materia anche semplicemente estraendo queste informazioni relative ai rifiuti, da documentazioni
diverse e frutto di altri interventi.
Un simile strumento è utile all'artigiano come alla piccola e media impresa, ma altrettanto può esserlo all'ufficio ecologia di un piccolo comune
come di una USL.
Conoscere i rifiuti del proprio processo produttivo e le indicazioni su
come trattarli, o avendo una mappatura, stimare le qualità e quantità di rifiuti prodotte nella zona o nel comune,
crediamo possa essere un significativo
passo avanti per risolvere il problema
dei rifiuti industriali.
Non è certamente con la semplice
repressione, o l'emanazione di decreti,
che si costruiscono modelli alternativi
a quelli che oggi sono alla base del
problema rifiuti, ma indicando, passo
a passo, la concreta e possibile strada
da seguire. Spesso nei soggetti economici non manca la volontà, o quantomeno l'aspirazione a fare la propria
parte, quanto indicazioni valide per affrontare il collo di bottiglia di vincoli
giusti quanto di difficile e problematica attuazione, e per valutare possibili
alternative nel processo e nel destino
dei rifiuti.
Bisogna promuovere l'atteggiamento "conosco e agisco perché è conveniente".
Ridurre alla fonte "prevenire", nel
senso proprio del termine, è l'unica
scelta che può dare frutti duraturi e reali, e lo vediamo costantemente riconfermato, cosa peraltro, almeno per noi,
scontata.
STAMPA
Domenico Marcucci
Ambiente e Lavoro
Enrico Cigada
Snop
INFO
FINE
Nome comparto: OSPEDALI
Comparto OSPEDALI
PROCESSO DA CUI HA ORIGINE IL RIFIUTO:
da laboratorio centrale e dei reparti:ginecol.-urologia-dermatolog.
oncologia-nefrologia e_dialisi-anatomia patologica-centro trasfus.
NOTE E VERIFICHE PARTICOLARI:
PRECAUZIONI PER MANIPOLAZIONE E STOCCAGGIO:
In doppio contenitore come da delibera 27/07/84 con stoccaggio inferiore alle 48 h se non sterilizzati
MODALITA' DI SMALTIMENTO PREVEDIBILI:
termodistruzione previa sterilizzazione e/o disinfezione
L0004:Residui da laboratorio di analisi
Queste le risposte
tecnologiche
,
offerte dal mercato:
SICUREZZA
Antincendio • Sicurezza elettrica •
Protezione macchine e organi • Sollevamento e trasporto •
Fluidi in pressione e corrosivi • Attrezzatura da lavoro •
Altre sicurezze
INFORTUNI
FUMI / GAS / VAPORI
IGIENE Acustica e vibrazioni • Radiazioni ionizzanti e
altre • Rischi chimici (gas, vapori, nebbie, fumi, polveri) •
Rischi biologici • Altri rischi ambientali
POLVERI
PROTEZIONE PERSONALE Protezione del capoviso-occhi • Protezione dell'udito • Protezione delle vie
respiratorie • Protezione del corpo • Protezione delle
estremità • Igiene personale e collettiva • Segnaletica di
sicurezza • Pronto intervento
LIQUIDI
RUMORE
ALTRE SITUAZIOINI
AMBIENTALI NEGATIVE
Ergonomia
Umanizzazione del lavoro
Organismi di consulenza
pubblica e privata
Stampa tecnica I Associazioni
COMFORT Illuminotecnica • Riscaldamento,
condizionamento, ventilazione • Pulizia industriale •
Comfort del posto di lavoro
SERVIZI
Consulenza • Progettazione • Certificazione del
materiale • Assicurazioni • Credito
PROMOZIONE E GESTIONE Associazioni culturali
e scientifiche • Enti normativi • Formazione • Editoria e
informazione • Organizzazioni sindacali e di categoria •
Enti pubblici
AMBIENTE LAVORO
SENAF - Via Michelino 69 - 40127 Bologna - Tel. 051/503318 - Fax 051/505282 - Telex 512812 senaf i
OSSERVATORIO NUOVO CODICE
In questo numero la rubrica "Osservatorio Nuovo Codice" si riduce per
ragioni di spazio a questa importante
nota sull'obbligo di informazione della
Procura di Torino, nota che abbiamo
carpito a Medicina dei Lavoratori n.
22.
Stiamo preparando Torino 3°, il terzo appuntamento dell'Osservatorio
(19-20 marzo 1992) il cui tema centrale sarà la questione della lotta agli infortuni e ai tumori professionali.
Nel frattempo Magistratura Democratica ha pubblicato in un opuscolo
le proprie proposte sulla depenalizzazione. Sono molto interessanti anche
per quanto riguarda i nostri temi: tutela
ambientale, sicurezza sul lavoro.
Le note si possono richiedere ai magistrati locali referenti di questa Associazione.
UNA NOTA
DELLA PROCURA
DELLA REPUBBLICA
DI TORINO
INFORMAZIONE ALLE
ORGANIZZAZIONI
SINDACALI
SULLE IRREGOLARITÀ
RISCONTRATE
DALLE USL IN TEMA
DI SALUTE
DEI LAVORATORI
Si è talvolta verificato che i Servizi
di "Tutela Salute Lavoratori" delle USL
abbiano ritenuto di non dover informare i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali sulle inadempienze riscontrate in occasione di sopralluoghi
eseguiti sui posti di lavoro, in merito
alla sicurezza e all'infortunistica, o
d'ufficio o su richiesta della Magistratura o dei lavoratori stessi.
Tale diniego è stato motivato con il
dovere di non violare il segreto istruttorio.
Per tale ragione, le organizzazioni
CG/L-CISL-UIL di Torino hanno rivolto
un quesito al Dr. Vladimiro Zagrebelsky, Procuratore della Repubblica
presso la Pretura Circondariale di Torino, al fine di risolvere con un parere
autorevole il proprio dubbio sulla legittimità della posizione in causa. Riteniamo utile pubblicizzare la risposta
del Dr. Zagrebelsky per sua esplicita
autorizzazione dietro nostra richiesta.
"L'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale non ha significativamente influito sulle prassi di informazione alle Organizzazioni sindacali instauratesi a seguito della circolare del Ministero del Lavoro in data 20
giugno 1974 (Sicurezza del Lavoro.
Collaborazione Ispettorato del Lavoro
e Organizzazioni sindacali dei
lavoratori). Risulta tuttavia che sia sorta qualche difficoltà, ricollegata alla
convinzione che il nuovo codice di
procedura penale impedisca ogni comunicazione alle Organizzazioni sindacali. E quindi opportuna una puntualizzazione, che assicuri costanza e
omogeneità di condotta.
Una serie di indicazioni normative
-principalmente l ' art. 9 L. 20 maggio
1970 n. 300 - riconoscono ai lavoratori, mediante loro rappresentanze, il
diritto di controllare l'applicazione
delle norme per la prevenzione degli
infortuni e delle malattie professionali
e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure
idonee a tutelare la loro salute e la loro
integrità fisica. Un simile ampio e articolato diritto non potrebbe essere esercitato se i lavoratori non fossero informati dello stato dell'applicazione delle
norme concernenti la sicurezza sul lavoro nell'ambiente in cui operano.
E quindi necessario che le rappre-
sentanze dei lavoratori continuino a ricevere copia delle prescrizioni che
l'Ispettorato del lavoro e le USL ritengano di impartire ai sensi dell'art. 9
DPR 19 marzo 1955 n. 520. Tali prescrizioni possono trarre origine da attività ispettiva svolta di iniziativa, ovvero da attività delegata dalla Procura
della Repubblica con riferimento a
ipotesi di reato. In quest'ultimo caso le
rappresentanze dei lavoratori potranno ricevere copia delle prescrizioni,
ma non copia degli accertamenti richiesti dalla Autorità giudiziaria,
ostandovi l'art. 329/1 c.p.p. Sarà eventualmente questo Ufficio ad autorizzare il rilascio di copia di atti della indagine preliminare, per i quali gli indagati possano a loro volta ottenere copia,
ai sensi degli artt. 329/1
1 1 b c.p.p.
Prego disporre che le indicazioni
sopra esposte trovino costante attuazione e segnalare eventuali difficoltà".
Torino, 2 febbraio 1991
Il Procuratore della Repubblica
Vladimiro Zagrehelsky
Mi«
INIZIATIVE SNOP
La sezione lombarda della Snop organizza una indagine con questionari
sulla qualità del lavoro nei servizi di
prevenzione, dall'interno dell'esperienza dei singoli operatori.
Abbiamo deciso di pubblicare le
motivazioni di questa iniziativa.
LA QUALITÀ
DEL LAVORO
NEI SERVIZI
MOTIVAZIONE
È opinione comune che, negli ultimi
anni, nei servizi territoriali, le modalità
di lavoro, i rapporti tra gli operatori in
genere, e tra le diverse figure professionali, l'atteggiamento stesso rispetto
a ciò che si fa (le "motivazioni"), siano
mutati. Le componenti che influenzano le trasformazioni sono molte, e con
effetti a volte contrastanti ma sovente
negativi, anche se traggono origine da
fenomeni positivi (come l'aumento di
personale). Senza pensare di citarle
tutte, elenchiamo:
- un quadro contrattuale penalizzante
per alcune figure professionali, da cui
è facile - anche se non giustificabile
-derivino disaffezioni e deresponsabilizzazioni
- l'inserimento più organico in una
struttura sanitaria complessiva che sicuramente non favorisce atteggiamenti
e modalità di lavoro particolarmente
evolute
Inoltre, tra le componenti sostanzialmente positive della metamorfosi
in atto, ma con possibili ripercussioni
negative, registriamo:
- la maggiore definizione degli obiettivi, la più elevata strutturazione delle
modalità operative, da cui derivano
meccanismi di divisione del lavoro difficilmente evitabili
- l'aumento degli organici, con l'introduzione di forza lavoro con motivazioni diverse dal piccolo nucleo iniziale degli ex-SMAL
- l'assunzione di responsabilità direttive, da parte di non pochi operatori più
"anziani" e da sempre con un ruolo di
riferimento, con un inevitabile passaggio da un atteggiamento di opposizione, ad uno più meditato di mediazione
tra la struttura sanitaria (Regione, Comitato di Gestione, capo Servizio) e gli
operatori di cui si è responsabili
- l'integrazione tra le UO, che modifica inevitabilmente i comportamenti
reciproci.
A questo si può aggiungere un totale
disinteresse, in ambito di Pubblica
Amministrazione, alla formazione nel
campo dei metodi di organizzazione
del lavoro, e alla valutazione delle
motivazioni e del grado di adesione
alle finalità del lavoro da parte del personale. Un poco paradossalmente ricordiamo che, mentre in ambito
aziendale è perfettamente normale
che un'impresa automobilistica sia diretta da un avvocato, e non da un ingegnere meccanico, in ambito sanitario è considerata una eresia la presenza di personale non sanitario nei ruoli
apicali.
Non da ultimo, poi, non va dimenticato che da parte dell'area politicoculturale da cui moltissimi di noi provengono, i problemi della organizzazione del lavoro sono sempre stati visti
con insofferenza o diffidenza, fidando
sull'adesione ideologica "di chi ci
stà", situazione che spesso genera
conflitti quando le vocazioni calano,
o ci si ritrova in ruoli gerarchici non
più subordinati.
La necessità di una lettura più approfondita di questi fenomeni, di una
valutazione delle tendenze e dei metodi da utilizzare per indirizzare queste evoluzioni, in modo che non si trasformino in involuzioni, nasce quindi
da molteplici esigenze. Una cattiva
qualità del lavoro nei servizi:
- non permette di utilizzare pienamente le risorse umane disponibili
- produce inevitabilmente un peggioramento della qualità del lavoro
- è fonte di disagio per gli operatori, e
Sebbene al Convegno di Parma si fosse giustamente preso l'impegno di entrare nel merito del Contratto della Sanità,
proprio per le ripercussioni di questo sull'organizzazione del lavoro nei Servizi.
anche se la SNOP ha abbondantemente dimostrato di non avere la minima
tendenza a sviluppare atteggiamenti
da para-sindacato 1 , è pur sempre la
Società degli operatori della prevenzione, non dei Servizi di prevenzione.
Un'analisi di quest'area di problemi è
poi un inevitabile corollario, non una
sovrapposizione, della verifica della
quantità e qualità del lavoro svolto dai
Servizi.
METODOLOGIA
Un primo obiettivo è stato individuato in un Convegno ai primi del ' 92.
t Partecipanti, oltre agli operatori, dovranno essere individuati nel Sindacato e tra "referenti esterni " (Università,
imprese del settore), con competenze
specifiche nel campo della organizzazione del lavoro, con cui confrontarsi.
Al Convegno, cercando di evitare contrapposizioni inutili ma di difficile gestione, ed evitando toni da autocoscienza, sarebbe interessante ascoltare
la presentazione dei problemi delle
varie figure professionali e ruoli gerarchici presenti nei Servizi e, perché no,
nei PMIP e in Regione.
Per arrivare al Convegno con un'immagine più precisa delle semplici impressioni, si propongono due questionari, di contenuto sostanzialmente
analogo, ma che vanno a censire due
ambiti diversi, con metodologie diverse:
- questionario per i Servizi, in cui raccogliere una panoramica ufficiale delle questioni. Da compilare insieme al
Responsabile di ogni UO (sostanzialmente attraverso una "intervista") in
15-20 Servizi a campione
- questionario per tutti gli operatori.
Viene inviato per posta a tutti i soci
SNOP, con lettera di accompagnamento che illustra l'iniziativa, e con
preghiera a tutti i soci di diffonderlo all'interno dei Servizi in cui lavorano, ed
in altri vicini.
Dario Tagini
USSL 57, via Maestri 2,
20077 MELEGNANO,
Tel. 02/98230736
Pagano...) che anche il D.P.R. 384/90,
di recepimento del contratto rischia di
essere visto come occasione di visite
a tappeto, più o meno mirate, piuttosto
che occasione per lo studio pianificato
dei rischi, di formazione e informazione, di proposte di soluzioni. Concordi
sulla sostanziale dispersione del metodo "blitz ispettivo in ospedale": oggi
è l'impianto elettrico in pronto soccorso, domani i pavimenti delle cucine...
E come se in una grande fabbrica e l'impresa USL è spesso la più grande
del territorio - ci si limitasse ad affrontare un angolo di un reparto!
E tempo e ci sono tutte le condizioni
(normative e strutturali) di progettare
qualcosa di più solido e duraturo, anche dal punto di vista metodologico. I
gruppi di lavoro e le indagini devono
essere generalizzate e pianificate e devono coinvolgere, oltre ai soliti noti,
anche quelli che decidono flussi e organizzazione, che approvigionano
strumenti e materiali, che sovraintendono a manutenzioni e impianti, che
decidono modifiche strutturali.
ll metodo non è oscuro alla nostra
esperienza: censire i problemi, studiare le soluzioni, individuare responsabili e gestori, verificare i risultati, e prima, durante e dopo informare e formare operatori e amministratori.
Oggi vi è a disposizione di tutti una
grossa base di conoscenza sui rischi, i
possibili danni e soluzioni; ne sono a
testimonianza i famosi Atti di Comano
anche in questa occasione
(andati
- a ruba), ma anche di numerosi altri
incontri (Acireale, Parma, Monza,
Abano), nonché 1e relazioni tecniche
presentate nel seminario milanese nel
pomeriggio: sul rischio infettivo (Cantoni, USL 75/3 Milano), gas anestetici
(Imbriani, Fondazione Clinica del Lavoro di Pavia), sul rischio da manipolazione di antiblastici (Verdi, Direzione Sanitaria dell'Istituto dei Tumori di
Milano), nella sindrome del burn-out
(Sher, neurologo, Tribunale dei diritti
del malato).
Le conclusioni del past-past president Volturo, in una delle sue preziose
uscite dalla Tana di Melegnano, sono
intelligenti.
state - come sempre
Occorre che ci misuriamo come servizi, come associazione, in un progetto per affrontare questo vasto campo
di prevenzione: testare i servizi, orientare le altre strutture sanitarie, fare piani di formazione.
Ci sono ampi spazi normativi (anche nell'ultimo contesto) e conoscenze consolidate: è tempo di incamminarsi per la strada giusta.
Occorre che il gruppo ospedali riprenda le fila, anche perché la piena
riuscita delle iniziative lombarde dimostra che le nostre proposte sono attuali e attuabili.
Va intensificata con iniziative regionali la promozione degli Atti di Comano.
RIMEDIARE
O PREVENIRE
venzione quali: protezione dei lavoratori, tutela dell'ambiente e prodotti alimentari.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta delle direttive CEE:
La legge comunitaria 1991, in questi
giorni in discussione in Parlamento,
stabilisce le norme per il recepimento
di numerose Direttive Europee comprese in due elenchi:
1) l ' allegato A comprende le direttive che il Governo è tenuto a recepire
mediante un Decreto Legislativo (come per il famoso/famigerato D.L.
277/91);
2) l'allegato B contiene invece le direttive che possono essere recepite in
via amministrativa.
Tra le direttive il cui recepimento è
subordinato alla emanazione del decreto legislativo figurano, all'articolo
20, numerose direttive su questioni di
interesse per gli Operatori della Pre-
89/391
89/654
sentato a diversi Parlamentari le nostre
proposte di emendamento sui punti ritenuti critici), che nel processo di definizione stessa dei Decreti di Recepimento.
Nel contempo, come sa chi ha partecipato il 23 settembre 1991 al Convegno di Milano, stiamo lavorando per
costituire un "ufficio interparlamentare" (Senato, Camera, Parlamento Europeo) in grado di coordinare l'azione di
diversi soggetti in materia sia di recepimento delle direttive comunitarie che
di intervento nel processo di definizione delle direttive stesse.
Su quest'ultimo punto è in corso
uno "studio di fattibilità" per l'apertura, in collaborazione con altre associazioni, di una "testa di ponte" direttamente a Bruxelles.
Maggiori informazioni sul prossimo
numero.
LA SIBILLA
DI COMANO
Si è tenuto il 26 settembre a Milano,
presso l'Istituto dei Tumori, il 2° seminario regionale Snop (il primo in giugno a Brescia) sulla sorveglianza ambientale e sanitaria nel comparto sanità.
Organizzato in collaborazione con
l'Assessorato regionale, il Sindacato
Funzione Pubblica e - interessante e
proficua novità - il Tribunale dei diritti
del malato, portatore di temi essenziali
e dati di inchiesta particolarmente utili, il seminario ha visto una buona partecipazione di operatori dei servizi di
prevenzione e delegati; come sempre
latitanti le direzioni sanitarie.
Ed è proprio alla mancata cultura
della prevenzione delle strutture aniministrative e tecniche (comitati di gestione e dei garanti, coordinatori vari,
primari, amministratori straordinari,
direzioni sanitarie, uffici tecnici...) delle U.S.L. e dei grandi ospedali che
dobbiamo la sostanziale sottovalutazione dei problemi di igiene e sicurezza, la carenza di informazioni e formazione sui rischi ed i possibili danni,
l'incapacità di applicare soluzioni
consolidate di bonifica nelle strutture
sanitarie.
Concordi tutti gli interventi della
mattina (Ghezzi, Carreri, Pianosi,
89/655
89/656
90/394
90/269
90/270
90/679
direttiva quadro
prescrizioni minime
nei luoghi di lavoro
attrezzature di lavoro
mezzi di protezione
personale
agenti cancerogeni
carichi pesanti
Vdt
agenti biologici
Allo scopo di non trovarci a dovere
costituire, dopo RIMEDIA 91, anche
RIMEDIA 92, 93, ecc., è nostra intenzione inserirci immediatamente sia nel
dibattito concernente la stessa definizione della legge comunitaria (rispetto
alla quale, peraltro, abbiamo già pre-
Laura Bodini
Graziano Frigeri
RISCHIO AMIANTO:
UNA QUESTIONE
APERTA?
Nella rivista SNOP n. 13 e 17 si è riferita una preliminare esperienza di rilevazione dei mesoteliomi realizzata a
cura dei servizi territoriali di medicina
del lavoro.
Questo lavoro, oltre alle implicazioni relative allo specifico problema per
le quali si rimanda alle note citate, ha
costituito certamente una concreta occasione di ricerca attiva dei tumori
professionali, argomento oggetto di un
ricco dibattito teorico anche sulle pagine de "La Medicina del Lavoro".
Da un primo interesse a recuperare
eventi-sentinella al fine di identificare
esposizioni professionali prima praticamente misconosciute, si è inevitabilmente passati alla necessità di effettuare,
se pur tardivamente, una mappatura sistematica del rischio passato e presente.
I risultati ottenuti, anche se preliminari e parziali stante la difficoltà a ricevere utili informazioni su un argomento che oggi evoca allarme e suscita reticenze, hanno stimolato interventi di
vigilanza e prevenzione primaria a cura di alcuni Servizi territoriali.
Questo, in sintesi, l'itinerario di un
lavoro durato circa due anni (e in parte
ancora in corso) che il Seminario organizzato a Brescia il 28/5/1991 ha cercato di illustrare offrendo anche un'occasione di scambio e confronto con altre esperienze.
E nostra convinzione che la fuoriuscita dell'amianto vada accelerata con
ogni mezzo e al tempo stesso non debbano cadere nel silenzio i danni che
l'esposizione al minerale ha prodotto.
Entrambi questi aspetti della questione devono vedere gli operatori dei servizi attivamente impegnati per almeno tre
motivi che sinteticamente richiamiamo
dalle precedenti note pubblicate sui fascicoli n. 13 e 17 della Rivista:
1) la necessità di disporre sia di un progetto organico di prevenzione di un
rischio ancora presente e poco noto
sia di strumenti di intervento efficaci, già oggi disponibili ma probabilmente sottoutilizzati;
2) l'utilità di estendere e sistematizzare
la sorveglianza sul danno, particolarmente neoplastico, su cui pesa
ancora ignoranza e talora indifferenza;
3) l'opportunità di svolgere valide iniziative di informazione.
Tutto ciò possibilmente operando in
modo coordinato ed omogeneo ad
evitare comportamenti marcatamente
difformi da parte dei Servizi di prevenzione.
La necessità di proseguire e approfondire gli interventi sinora attivati raccogliendo le utili indicazioni emerse
nel Seminario del 28 maggio scorso ci
ha indotto a individuare quattro linee
operative che costituiscono proposte
di lavoro per il prossimo futuro.
Queste riflettono la realtà bresciana
che tuttavia crediamo possa assimilarsi
a quelle di molte altre province italiane in cui l'argomento in questione non
ha probabilmente impegnato le strutture sanitarie, ai vari livelli, come era
giusto attendersi.
1. MAPPATURA DEL RISCHIO
Benché a Brescia si osservi una rapida (e a volte incontrollata) eliminazione e sostituzione dell'asbesto dai cicli
produttivi con i problemi che intuibilmente ciò può comportare, è ragionevole proseguire, estendere e completare la mappatura del rischio.
Al fine di superare alcuni limiti che
hanno caratterizzato la fase preliminare, sarà utile:
- definire più adeguatamente i criteri
orientativi per l'inclusione delle unità
produttive che si vogliono reclutare in
una mappatura che si intenda selettiva
escludendo utilizzatori a rischio poco
significativo per quantità e/o modalità
d'uso dell'asbesto;
- individuare nuove fonti informative
ad integrazione delle esistenti sul commercio di amianto per il censimento
degli utilizzatori;
- predisporre una scheda-questionario
più adeguata e strumenti più impositivi
per garantire un ritorno di informazioni attendibili e complete.
E bene sottolineare che questa mappatura in buona parte costituisce al
tempo stesso una preliminare mappatura di un nuovo rischio, per alcuni
aspetti ancora oscuro, legato all'esposizione alle fibre minerali artificiali che
molti utilizzatori saranno costretti ad
introdurre.
Per questo motivo e per l'utilità di
raccogliere dati relativi anche al pregresso utilizzo di asbesto, la mappatura deve proseguire non giustificandosi
la sua sospensione con la contemporanea cessazione dell'uso di amianto.
2. PREVENZIONE
L ' attivazione di interventi di prevenzione primaria nelle situazioni di rischio attuale dovrebbe essere imperativa e non costituire fonte di dubbio alcuno.
11 problema crediamo si ponga per
gli strumenti da utilizzare per conseguire risultati significativi (eliminazione del rischio) in tempi ragionevoli.
In via preliminare ne proponiamo
alcuni che si integrano reciprocamente:
- estensione dei provvedimenti di prescrizione con diffida (e/o disposizione) al divieto d'uso o sostituzione
dell'asbesto secondo criteri prestabiliti e possibilmente omogenei;
- disincentivazione, attraverso adeguata informazione ai fornitori, alla messa in vendita di manufatti a base di
amianto;
- predisposizione e diffusione ad hoc
di schede tecniche ed informative
sull'uso dei materiali sostitutivi.
Sulla prevenzione secondaria dei
possibili effetti biologici conseguenti a
pregresse esposizioni, riteniamo necessario riprendere ad aggiornare il
protocollo di sorveglianza sanitaria
per esposti ed ex-esposti. Nella convinzione che, laddove le risorse lo
consentano e se ne condivida l'utilità,
sia opportuno sottoporre ad accertamenti sanitari i lavoratori ex esposti
che non hanno mai ricevuto alcun
controllo saranno definiti i criteri di inclusione dei soggetti nel programma di
sorveglianza che si propone almeno
trasversale.
3. MAPPATURA DEL DANNO
La prima esperienza di rilevazione
delle patologie asbesto correlate e la
loro revisione anamnestica è nata quasi occasionalmente ed ha sofferto dei
limiti comuni alle indagini retrospettive. Soprattutto si è sviluppata col solo
apporto di qualche operatore in un
contesto di disinteresse da parte di
molti servizi e di mancata collaborazione dei medici. Ciononostante, è
nostra opinione che per il futuro si
debba uscire dalla occasionalità dell'osservazione di queste patologie per
giungere a una rilevazione sistematica
dei casi e all'istituzione di un Archivio
Provinciale e Regionale delle patologie asbesto correlate sostenuto attivamente da tutti i servizi e centralizzato
a livello almeno provinciale.
A questo fine è stata predisposta
un'apposita scheda individuale di rirevazione dei dati clinici e professionali
e sono stati proposti i criteri e i metodi
di una sorveglianza epidemiologica attiva.
4. INFORMAZIONE
Tra gli aspetti maggiormente trascurati, almeno nella realtà bresciana, si
trova senza dubbio l'informazione e
l'educazione rivolta tanto a lavoratori
e datori di lavoro quanto ad altre parti
sociali e alle istituzioni stesse, non ultime quelle sanitarie.
Ciò può in parte spiegarsi da un Iato
con la difficoltà a svolgere compiutaniente questo intervento in settore lavorativo in cui la questione è spesso
ignorata o rimossa da parte dei lavoratori quanto taciuta o sottovalutata dai
datori di lavoro per gli effetti devastanti cui è tragicamente legata, dall'altro
con la constatata e diffusa disinformazione degli stessi operatori della pubblica amministrazione, sanitaria e non.
Nonostante i limiti e i problemi che
prevedibilmente si pongono affrontando
l'aspetto dell'informazione/educazione nel campo dei cancerogeni professionali, per il futuro andranno colmate queste lacune recuperando ai servizi spazi ed occasioni di
lavoro. in particolare risulterà prezioso
il contributo che il centro di documentazione sulla questione amianto dell'Istituto Superiore di Sanità potrà offrire soprattutto per preparare gli operatori della prevenzione a fornire risposte adeguate ai quesiti che un'informazione diffusa e capillare inevitabilmente comporterà. Queste, in sintesi,
le proposte di interventi indirizzate ai
servizi di prevenzione delle USSL per
iniziare o proseguire quel lavoro che
il Seminario (Prevenzione del rischio
e censimento del danno da amianto.
Ruolo dei servizi territoriali di prevenzione) ha tentato di stimolare.
In questo senso, l'inattesa emanazione del D.L. 10/8/91 n. 277 di recepimento delle Direttive Cee sul-
l'amianto, successivo al Seminario di
Brescia, costituisce un decisivo vincolo operativo. La normativa che contiene alcuni aspetti innovativi, risulta di
non agevole applicazione e consente
ancora esposizioni a rischio elevate
non tutelando sufficientemente i lavoratori dai possibili effetti più gravi.
Ciò rende quindi ancor più attuale
la necessità di approfondire le problematiche emerse nel corso del Seminario anche alla luce di questo nuovo riferimento legislativo.
Tra i numerosi gruppi di lavoro della
SNOP ne manca forse uno che produca analisi e proposte utili a proseguire
interventi sul rischio da amianto in
questa nuova prospettiva.
UMBRIA
I° CONVEGNO
REGIONALE SNOP
BOLZANO
(26-28 MARZO 1992)
MOSTRA CONVEGNO
SUI MEZZI PERSONALI
DI PROTEZIONE
L'8/10/91 si è tenuto a Perugia il primo convegno regionale della SNOP
avente per titolo: "PREVENZIONE NEI
LUOGHI DI LAVORO: TRA RIFORMA E CONTRORIFORMA?".
I lavori si sono articolati in due sessioni: nella prima è stata illustrata da
Graziano Frigeri la proposta SNOP per
la riorganizzazione dei servizi di prevenzione; quindi gli operatori hanno
illustrato le attività svolte dai servizi sia
fornendo le cifre relative agli aspetti
più significativi, sia evidenziando le
problematiche di maggiore rilevanza a
livello regionale. Relazioni specifiche
hanno riguardato la prevenzione degli
infortuni, il sistema informativo e la
questione del rapporto tra interno ed
esterno della fabbrica.
La seconda parte ha dato spazio ad
interventi non certo rituali delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, dell'Istituto di medicina del lavoro dell'Università di Perugia, del l'Assessorato regionale alla sanità, della magistratura. Il bilancio induce ad un certo ottimismo per
vari motivi: innanzitutto la partecipazione molto qualificata e rappresentativa
degli operatori dei servizi, delle forze sociali, imprenditoriali e professionali dà
prova della vitalità dei servizi di prevenzione umbri e del loro forte radicamento
nella realtà in cui operano.
Inoltre, la SNOP ha avuto la possibilità di farsi conoscere anche in Umbria
come interlocutore qualificato sulle
questioni della prevenzione: è intenzione dei soci non venir meno agli impegni che ciò comporta.
Armando Mattioli
Il volume degli atti del Seminario di
Brescia è disponibile fino ad esaurimento al prezzo di L. 30.000
Rif. P. Gino Barbieri UOTSLL - USSL
36 Iseo (Brescia) Tel. 03 0/98873 1 1.
Ai mezzi personali di protezione, da
più parti {imprenditori, ma anche a livello CEE), si sta dedicando sempre maggiore attenzione e i servizi ci si devono
confrontare. Anche se non è un tema tipico SNOP, sarebbe opportuno riuscire
a dare qualche indicazione: Quando,
per quanto tempo e in che condizioni
usarli? Quali requisiti e informazioni
chiediamo alle ditte produttrici?
L'associazione RISCHIOZERO/RISIKONU LL di Bolzano, si propone di organizzare, in collaborazione con la
SNOP, una mostra convegno sull'argomento, da tenersi presso la Fiera di Bolzano, dal 26 al 28 marzo 1992. L'esposizione dovrebbe essere aperta a mezzi
di protezione personale di tutti i tipi,
mentre dovrebbero per ora essere approfonditi da un punto di vista tecnico
solo alcuni argomenti: protezione da rumore, protezione delle vie aeree, cinture
di sicurezza e sistemi anticaduta, educazione al corretto uso. Dovrebbero intervenire, in apposite sessioni per argomento, rappresentanti delle aziende
produttrici ed esperti italiani e stranieri,
con particolare riferimento a cosa bolle
in pentola CEE.
Gli operatori dei servizi interessati o
che si sono già occupati dell'argomento, sono pregati di contattare
Stefan Faes
Laboratorio medico provinciale
via Amba Alagi 5
39100 Bolzano
Tel.: 0471/286530
EUROPEAN
SUMMARY
Quality e/o Quantity
Alberto Baldasseroni
PAGE 3
BARI 92
IN-OUT
The veterinary service
in a preventative system
Giovanni Belcari
Roberto Elia
PAGE 10
Pesticides and prevention
Valentino Patussi
Andrea Collareta
PAGE 13
A Data-file
for industrial wastes
Domenico Marcucci
Enrico Cigada
PAGE 16
RIMEDIA '91
Italian Intakes
in CEE Guidelines on lead,
asbestos, noise
Graziano Frigeri
A project for cancerogene
risk prevention
U.S.S.L, N. 27
BOVOLONE (VR)
PAGE 43
The XIIth Congress of SNOP will take
piace in Bari, 28th-30th Aprii 1992.
The theme of 1992 Congress is "Agricolture Project", and the aim is to take
stock of Italian and EEC situation about
legislation, experiences and Publics lntervents in Environmental Protection,
workers health and generai popuiation health.
Occupational Physician, Hygienists,
Veterinary (coming both from University,
National Health Serviccs) together with
Agricolture Workers and Employer Organization, Environmental Associations and
National and Loca] Government representatives will discuss the main aspects of
this "Planet Agricolture", so important
(also economically) in Europe, and so
ignored.
It's also preview the partecipation of
EEC and OMS experts.
Organizing Committee: Paola Bertoli 0039 521 852710 - 858163
Giuseppe Cappelli - 0039 80 674832 674887
Scientific Committee: Stefano Baiardi
0039 546 673111
Eugenio Ariano - 0039 371 51151
OUTLOOK
SHEFFIELD
BACK IN EUROPE
After a large and animated discussion,
which involvcd workers, Trade Unions,
Occupational Health Professionals, employers, politicians and (last but not least!)
the President of the Republic itseli, below
the August's sun Italy absorbed in a low
(DL 277/91) the EEC directives on Lead,
Asbestos and Noise.
Why a so animated discussion? Because the law (and the directives), besides some positive aspects (such as information
for workers, definition of attiibutes, duties
and penalties for Occupational Physicians,
penalties for machines' producers and dealers, and others) introduces in the Italian
legislation some extremely negative "newness" and very high limits for all the
agents considered.
The most negative aspect is the introduction of the "European" principle of
"reasonability" in order to adopt measures to eliminate or reduce workplace hazards.
Instead of the principle of technical feasibility, proper of the whole italian legislation on work protection (starting from
Constituction itself
artt. 32, 41) now
we have the "concrete feasibility" which
means, in faci, that employers could avoid
adapting security measures if "too expansive".
Talking about limits, the EEC directives
introduce for Lead, Asbestos and Noise
very high values (PbB 60 mcg%cc; Asbestos 0,1 f/cc; Noise 90 dbA) where in Italy
the most part of workers and worplaces
are far below: for instante, the finding of
a PbB higher than 40 mcg%cc is extremely rare in an exposed workers, and in
the majority of the worplaces, due to the
intervention of both workers and Occupational Health Services, noise is below 85
dBA.
Finally, for asbestos ita]ien Parliament
is discussing a complete ban law.
But Mr. Andreotti ignored all the appeals called by SNOP, Trade Unions, Universities, Activist Associations, and the
same Parliament, and passcd the law.
So, we carote the directly at the President of the Republic Francesco Cossiga,
who refused to sign and sent back the law
to the Government which nevertheless
went on, in force of an article of the Constitution which oblige the President to sign if asked again.
But the opposition movemcnt didn't
surrender, and on September 23th in Milan SNOP, Ambiente e Lavoro (an environmentalist association dose to the greatest italian Union, CGIL), Magistratura
Democratica (the progressive part of the
magistrates) and more of 100 membcrs of
the Parliament of alt parties founded the
movement RIMEDIA 91 (an acrnonym
that means "remedy") with the aim to
modify the negative aspects of the law
2877/91.
The proposals were presented in Parliament on October 12th.
Graziano Frigeri
Nei giorni 18 e 19 ottobre, presso la
scuola sindacale CGIL di Ca' Vecchia si
è tenuta la 2° riunione del Comitato Organizzatore della IV conferenza Europea degli operatori della prevenzione nei luoghi
di lavoro che avrà luogo a Sheffield (Inghilterra) nei giorni 5 e 6 settembre 1992.
Sono stati esaminati gli aspetti tecnicoorganizzativi (con particolare riferimento
all'inserimento della Conferenza nell'ambito delle iniziative CEE per il 1992: l'anno europeo della sicurezza) che al programma di lavoro. In merito a questo ultimo punto i partecipanti all'incontro provenienti da Inghilterra, Scozia, Danimarca,
Olanda, Germania e Italia (Francia e Spagna giustificate) hanno deciso il seguente
calendario di massima:
5 settembre mattina: seduta plenaria con
tre relazioni sui problemi dell'integrazione
delle normative, delle procedure e degli
standard a livello comunitario. Di queste
relazioni quella relativa alla legislazione
con particolare riferimento all'impatto
delle direttive comunitarie sulle singole legislazioni nazionali sarà affidata all'Italia.
Nel pomeriggio del 5 inzieranno i
"workshops", due dei quali (servizi di
prevenzione e tabelle di malattie professionali) saranno condotti da SNOP.
I lavori proseguiranno nella mattina del
6 settembre (domenica) per concludersi
nel pomeriggio in seduta plenaria per la
discussione finale degli elaborati di gruppo e la stesura di un programma di lavoro
comune da svolgere negli anni '90.
I] prossimo ed ultimo meeting prima
della Conferenza si svolgerà il 29 febbraio
(sede: Parigi o Amburgo).
Per ulteriori informazioni sulla Conferenza fare riferimento a
Graziano Frigeri
U.S.L. n. 7, Via Toschi, 3
43013 Langiu rano (PR)
Tel. 0521/858163
Fax 0521/853723
RIMEDIA 91
ll 23 settembre scorso, presso la Camera del Lavoro di Milano, si è tenuto
il Convegno "RIMEDIA '91 ", promosso da SNOP, Ambiente e Lavoro, Magistratura Democratica, Istituto Ambiente Europa e numerose personalità
del mondo scientifico, politico e sindacale, per presentare una proposta di
legge di modifica del Decreto 277/91.
Nella sua introduzione Rino Pavanello, Segretario Nazionale di Ambiente e Lavoro, ha fatto la "storia" del
Decreto a partire dal 23 luglio, data
presentazione
congiunta
della
(SNOP-Ambiente e Lavoro) del pacchetto di emendamenti al testo in corso di approvazione da parte del Governo.
In realtà, per quanto riguarda gli
Operatori della Prevenzione la storia
inizia qualche mese prima del 23 luglio, e precisamente in aprile, quando
per vie non ufficiali siamo venuti in
possesso della bozza del decreto, redatta su carta intestata del Ministero
del Lavoro che ne aveva curato, del
tutto autonomamente, la stesura.
Quella bozza, che ben pochi hanno
avuto la possibilità di esaminare, oltre
a recepire acriticamente il contenuto
delle direttive CEE cui si riferiva, in palese contrasto con la legge delega n.
212/90, che espressamente faceva obbligo al governo di ricondurre il tutto
al quadro normativo definito dal DPR
303/56, stravolgeva anche gli assetti
istituzionali in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro: non venivano
indicati né le Unità Sanitarie Locali né
il Servizio Sanitario Nazionale quali
organi di vigilanza (anzi, USL e SSN
non venivano neppure mai nominati),
mentre tutte le competenze in materia
di regolamentazione, definizione di
normativa e concessione di deroghe
venivano attribuite al Ministero del Lavoro o, tutt'al più, all'ISPESL.
Contemporaneamente, in Parlamento, si discuteva la legge comunitaria 1991 (anche questa conosciuta da
pochi) che, per la parte dedicata al recepimento delle direttive sulla tutela
della salute dei lavoratori (tra cui la direttiva 89/391) prevedeva espressamente che "per rischi di particolare rilevanza (sicl) la vigilanza fosse esercitata anche dall'Ispettorato del Lavoro".
Se si considera che nel frattempo il
Ministero del Lavoro, con due distinti
decreti, da un Iato ristrutturava gli Uffici Regionali e Provinciali (prevedendo
apposite strutture per esercitare competenze in materia di infortuni e malattie professionali) mentre dall'altro rior-
AGGIORNAMENTI
Mentre andiamo in stampa è stata depositata dai parlamentari aderenti a RIMEDIA '91 la PdL di revisione del Decreto Legge n. 277. In questo periodo si
sono moltiplicate sia le iniziative di sostegno a queste modifiche che quelle di
commento e gestione "alternativa" o al
"meglio" del decreto di agosto.
Abbiamo ritenuto su questo numero
della rivista di fare conoscere non tanto
gli emendamenti (già pubblicati su Dossier Ambiente e comunque richiedibili
ad Ambiente e Lavoro) ma le motivazioni scientifiche che sottendono alle nostre
principali proposte di modifica contenute non solo nell'attuale proposta di revisione ma in ulteriori emendamenti per i
quali abbiamo già chiesto audizione alle
commissioni parlamentari.
La Redazione
ganizzava l'Ispettorato Medico Centrale, il quadro, sul piano istituzionale, si
fa completo: il decreto 277, in fase di
incubazione, al di là degli aspetti di
merito specifico, si inquadrava in un
"unico disegno criminoso" (come direbbero i Magistrati) finalizzato alla restaurazione del sistema precedente la
833, in netto contrasto, tra l'altro, con
quanto affermato nelle relazioni finali
delle indagini condotte sia dalla Commissione Lama che dalla Commissione Affari Sociali, che riconfermano in
pieno la validità della scelta istituzionale voluta dalla legge di Riforma Sanitaria.
Il DL 277/91, anzi, avrebbe dovuto
costituire il "cavallo di Troia" di questo
disegno, creando un precedente difficilmente eludibile in seguito.
Contro questo tentativo la SNOP si
è mossa, fin da aprile, con l'invio di
note di merito ai Ministeri, e in particolare al Ministero della Sanità, ancora una volta messo (o messosi ?) fuori
gioco, al Parlamento, alle Regioni, alle
forze politiche, ai Sindacati (che avevano proposto autonomamente una
serie di emendamenti che tuttavia non
affrontavano il nodo istituzionale), alle
altre associazioni scientifiche per il
tramite della Consulta Interassociativa
per la Prevenzione.
Ebbene: se oggi sul DL 277/91 (che
pure vogliamo andare a modificare)
leggiamo che l'organo di vigilanza deve identificarsi nelle strutture del Servi-
zio Sanitario Nazionale, o che i registri
degli esposti vanno consegnati anche
alle USL (oltreché all'ISPESL) lo si deve
proprio al fatto che la SNOP ha saputo
attirare su questi aspetti l'attenzione
del Parlamento e, in particolare, dei
numerosi Parlamentari che hanno successivamente aderito a Rimedia 91.
Ho ritenuto giusto ricordare questa
"preistoria" del decreto, perché aiuta
a capire la portata generale degli argomenti di cui stiamo discutendo, che va
molto oltre la pur doverosa disamina
dei numeri e dei singoli aspetti della
nuova normativa.
La SNOP non si batte contro il recepimento delle Direttive Comunitarie:
riteniamo anzi doveroso creare le condizioni affinché la tutela della salute
dei lavoratori raggiunga livelli sempre
più significativi in Italia e nel resto
d'Europa.
Per questo, tra l'altro, siamo fortemente impegnati nel tentativo di creare collegamenti e momenti di riflessione e di azione comune con altre associazioni europee, al fine di poter incidere anche sulla fase di definizione
delle normative comunitarie.
Nei giorni scorsi (18 e 19 ottobre)
abbiamo organizzato, a Bologna, la
riunione del Comitato Promotore della
[V Conferenza Europea degli Attivisti
negli Ambienti di Lavoro che avrà luogo nel settembre del prossimo anno a
Sheffield, mentre siamo in stretto contatto con l'Associazione degli Ispettori
del Lavoro francesi per l'organizzazione a Parigi, nel giugno del '92, di un
Seminario destinato specificamente alle questioni attinenti l'intervento istituzionale per la tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori. La comparsa
sulla nostra rivista, a partire dal numero 18, dell'inserto in lingua inglese, è
un piccolo segnale ma eloquente.
La SNOP è quindi per l'integrazione, ma ai livelli più alti di tutela, sia
sul piano tecnico che su quelli normativo e istituzionale: ed è proprio in riferimento in particolare ai livelli normativi ed istituzionali che, anche in virtù
dei contatti e degli scambi di esperienze di cui dicevo, avevamo potuto constatare come, fino al 27 agosto 1991
la situazione italiana, pur con tutti i limiti che più volte abbiamo denunciato, si situasse su un piano più avanzato
rispetto agli "standard medi" europei
per quanto riguarda la tutela della salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
E questa la seconda premessa senza
la quale può risultare difficile, anche
a qualche operatore, comprendere il
giudizio complessivo espresso da
SNOP sugli effetti del DL 277/91: una
normativa che peggiora, complessivamente, le possibilità di tutelare efficacemente la salute dei lavoratori e, per
alcuni aspetti, consente addirittura di
annullare i risultati positivi di molti interventi di prevenzione.
L'affermare questo non ci impedisce
di apprezzare gli aspetti positivi del
Decreto 277/91, che esistono ed è giusto che siano valorizzati.
Mi riferisco in particolare alla dettagliata definizione delle misure di tutela, definite sia a livello generale dall ' art. 4 che, nei campi 11, 111 e IV, dai
singoli articoli che trattano, per il
piombo, l'amianto e i l rumore, la valutazione del rischio (artt. 1 1 , 24 e 40);
l'informazione dei lavoratori (artt. 12,
26 e 42); le misure tecniche, organizzative e procedurali (artt. 13, 27 e 41).
Si tratta di aspetti che, pur contenendo alcuni punti sui quali abbiamo
ritenuto di osservare obiezioni (ritrovabili nelle modifiche che sono state proposte), consentono di esprimere un
giudizio globalmente positivo.
Più problematica, e meno felice nel
testo legislativo, la definizione delle
misure igieniche e, soprattutto in riferimento al piombo e all'amianto, degli
aspetti anche tecnici del controllo sanitario.
Un giudizio francamente positivo
deve essere espresso, al di là della
vexata quaestio della dipendenza o
meno dal Servizio Sanitario Nazionale, sulla definizione (finalmente!) dei
requisiti professionali del medico
competente (art. 3), sui suoi obblighi
generali (art. 7) e particolari in riferimento ai singoli agenti (artt. 8, 12, 15,
16, 18, 20, 21, 29, 31, 35, 42, 44, 47,
48, 49), così come sulla previsione di
specifiche sanzioni penali in caso di
inadempienza (art. 53).
Anche le parti che riguardano gli
obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti (art. 5) e gli obblighi dei lavoratori (art. 6) meritano una
valutazione sostanzialmente positiva,
al di là di alcune modifiche che intendiamo proporre, così come positivamente sono da accogliere, anche per
il fatto di avere valenza generale, i
contenuti degli articoli 8 (allontanamento temporaneo dall'esposizione) e
9 (norme di salvaguardia per l'ambiente esterno).
Da ultimo, meritano di essere citati
l'attivazione dei Registri degli Esposti
e, novità assoluta, sanzioni per il medico competente in caso di inadem-
pienza, e sanzioni per i produttori e i
commercianti di macchine e apparecchiature non rispondenti ai requisiti
previsti per la protezione dei lavoratori
dai rischi dovuti alla esposizione a rumore.
Della individuazione del Servizio
Sanitario Nazionale e delle USL quali
organi di vigilanza si è già detto.
Come si vede gli aspetti positivi ci
sono, nel DL 277/91, e non sono di
poco conto.
Da questo punto di vista, al di là
dell'impegno per l'approvazione delle
modifiche, si pone per gli operatori (e
per la SNOP), un problema di studio
accurato delle norme contenute nel
DL 277, al fine anche di una sua efficace gestione operativa.
Tuttavia, anche per questa ragione,
diviene un imperativo categorico procedere il più rapidamente possibile alla modifica di quegli aspetti negativi
che, sul piano della sostanza, sono di
tale portata e rilevanza da oscurare
ampiamente le parti valide del Decreto.
Ed allora vediamo, in rapida successione e attraverso il filtro delle proposte di modifica, quali sono questi
aspetti negativi.
Della dizione "concretamente attuabili si è già parlato a lungo, anche
il 23 settembre, e non ritengo di dover
spendere troppe parole per chiarire
l'urgenza e la necessità di ricondurre
la normativa ai principi della Costituzione e allo spirito dell'art. 2087 del
Codice Civile, cui in definitiva si rifacevano gli abrogati articoli 19, 20 e 24
del DPR 303/56, nel momento in cui
stabilivano nella mera fattibilità tecnica il limite oggettivo per l'adozione di
misure di bonifica e risanamento.
E fin troppo chiaro, infatti, come la
dizione "concretamente" introduca
elementi di valutazione tanto estranei
al dettato costituzionale (per cui la salute e la sicurezza costituiscono diritti
non negoziabili), quanto impossibili
da gestire da parte degli organi di vigilanza, che non hanno alcun titolo e
strumento per valutare eventuali compatibilità economiche rispetto a programmi di risanamento.
Nonostante la possibilità di una lettura "aderente ai principi costituzionali" in sede interpretativa, auspicata anche da Raffaele Guariniello nel suo intervento di Milano, è indubbio che
questo punto, insieme a quello dei limiti di esposizione a rumore, piombo
ed amianto, costituisce uno dei tratti
essenziali sui quali si fonda il nostro
giudizio negativo sul complesso del
decreto.
I limiti per l'esposizione a rumore
costituiscono certamente l'aspetto che
più ha fatto "rumore" nell'opinione
pubblica: il DL 277/91 di fatto consente l'esposizione a rumore fino a 90
dBA in livello equivalente, senza che
il datore abbia alcun reale obbligo di
ridurre l'inquinamento acustico alla
fonte.
Nell'attuale art. 41, infatti, complice
il famigerato avverbio "concretamente", si viene a limitare sostanzialmente
la portata del primo comma in ordine
alla connessione tra misure per ridurre
l ' esposizione e progresso tecnico,
mentre l'unica certezza rimane quella
della segnalazione e della eventuale
perimetrazione di aree soggette ad
esposizioni superiori a 90 dBA o, per i
rumori impulsivi, a 140 dBA: nella nostra proposta tali valori divengono rispettivamente 80 dBA e 130 dBA.
Di qui la necessità di sopprimere le
parole "concretamente attuabili", ripristinando il diritto precedente, e
consentendo così, tra l'altro, di portare
a termine gli interventi di bonifica già
iniziati o programmati dalle aziende in
base alle prescrizioni dei Servizi, e che
avevano come obiettivo di portare
l'esposizione dei lavoratori al di sotto
dei fatidici 85 dBA, limite al di sotto
del quale solo una esigua minoranza
dei lavoratori esposti può sviluppare
un danno uditivo nel corso della vita
lavorativa.
Come per gli altri agenti, proponiamo di abolire i "due steps" relativi al-
l'informazione ai lavoratori, che nella
proposta che presentiamo va fornita
"tutta, a tutti e subito" ogniqualvolta
vi sia esposizione all'agente (nel caso
del rumore, un livello equivalente superiore a 80 dbA).
Per le stesse ragioni vengono abbassati di 5 dBA i livelli ai quali diviene obbligatorio sia il fornire i mezzi personali di
protezione (da 85 dBA a 80 dBA) che il
loro uso effettivo da parte dei lavoratori
(da 90 dBA a 85 dBA), così come vengono adeguate le soglie alle quali scatta
l'obbligo del controllo sanitario da parte del medico competente.
In generale, tutte le modifiche proposte fanno riferimento ad un limite di
85 dBA, mentre si corregge l'errore (si
fa per dire) per cui le deroghe per situazioni lavorative particolari vanno
richieste al Ministero del Lavoro (art.
48) anziché all'organo di vigilanza,
come noi proponiamo, eè come è logico che sia.
Quello che deve essere chiaro, al di
là del l'impegno e della buona volontà
degli operatori nella applicazione del
Decreto, è che la normativa attualmente in vigore contribuisce a bloccare le iniziative di prevenzione in corso
fondate sulla riduzione del rischio alla
fonte, e ne ostacola la futura programmazione se non per livelli di rischio tali da produrre, comunque, un
danno certo alla salute dei lavoratori,
in quanto una esposizione a 89 dBA
(quindi "legale") per otto ore al giorno, per cinque giorni la settimana e
per trenta anni comporta un danno
uditivo certo (seppure di diversa gravità) a troppi lavoratori esposti.
Analoghe considerazioni possono
essere svolte per quanto riguarda
l'esposizione a piombo per il quale, rispetto al decreto, proponiamo l'eliminazione dell'assurda discriminazione
a danno degli addetti alle attività
estrattive, esclusi ai sensi del comma
2 dell'art. 10 (di cui si suggerisce la
soppressione in toto) dalle norme di
protezione previste per tutti gli altri lavoratori esposti, nonché, come già detto a proposito del rumore, l'abolizione
degli steps per l'informazione dei lavoratori.
All'art. 13 si ripropone la soppressione del concetto di "concreta attuabilità" delle misure di sicurezza, mentre il controllo sanitario (art. 15) viene
previsto dalla nostra proposta per tutti
gli esposti, e non solamente in caso di
superamento delle soglie definite dal
comma 3 dell'art. 11 (40 mc)mc in
aria o 35 mcg%cc nel sangue).
Il limite biologico al di sopra del
quale scattano le misure tecniche e sanitarie previste dall'art. 16 viene ridotto da 60 mcg%cc nel sangue ad un valore di piombemia pari a 50 mcg%cc,
mentre la soglia per l'allontanamento
immediato (e non "al più presto", come dice il DL) scatta a 60 mcg%cc. Le
lavoratrici in età fertile, peraltro, vengono allontanate dall'esposizione per
valori di piombemia superiori a 35
mcg%cc, anziché 40 mcg°/acc.
A tale proposito giova ricordare a
che da anni i Servizi di Prevenzione
osservano una soglia pari a 40
mcg%cc, al di sotto della quale si situa
ormai, per fortuna, la maggior parte
dei lavoratori addetti a lavorazione
che espongono a piombo: un limite di
60 mcg%cc, pertanto, non solo rappresenta un evidente peggioramento
delle condizioni di tutela, ma costituisce anche un oggettivo incoraggiamento sia ad incrementare l'utilizzazione del piombo che la sua dispersione nell'ambiente di lavoro. Lo stesso
limite da noi proposto (50 mcg%cc)
equivale in qualche modo a un compromesso, "accettabile" solo nel contesto della globalità delle modifiche da
noi presentate.
il limite di esposizione, infatti, viene
ridotto da 150 mcg/mc a 75 mcg/mc,
valore che, in base agli studi compiuti
e all'esperienza dei Servizi e delle
Strutture di Prevenzione, garantisce
ampiamente il rispetto dei limiti biologici negli esposti.
Da segnalare, infine, nella nostra
proposta, la priorità assegnata, nel
monitoraggio biologico, all'indicatore
di dose "piombemia" rispetto alI'ALAU e alla stessa ZPP, in accordo
con la più recente letteratura scientifica nazionale e internazionale.
II capo III, riguardante la protezione
dei lavoratori contro i rischi connessi
all'esposizione ad amianto, è quello
sul quale si è ritenuto di non effettuare
se nonin sede di seconda audizione
estese proposte di modifica, anche per
la ragione che è in fase di approvazione definitiva in Parlamento il disegno
di Legge che prevede la totale abolizione dell'uso dell'amianto, e dei materiali contenenti amianto, sia nei luoghi di lavoro che negli ambienti di
vita.
Anche questa circostanza sta a dimostrare la eccessiva fretta con la quale si è voluto recepire una direttiva destinata ad essere immediatamente
abrogata, in virtù di una "sana" tradizione che risale alla legge sul benzolo
(e che auspichiamo non venga accantonata nella fretta di omologarsi al "resto d'Europa") per la quale non è giustificabile alcuna esposizione ad un
agente che si sia dimostrato essere un
sicuro cancerogeno.
Ci si è quindi limitati ad intervenire
sugli aspetti più immediatamente contraddittori, anche all'interno della filosofia del decreto stesso, coerentemente con gli obiettivi tattici di Rimedia 91
(giungere cioè ad una rapida approvazione di una legge di modifica, senza
puntare ad un improbabile stravolgimento del DL), e tenendo conto che
l'approvazione della legge sull'abolizione dell'uso dell'amianto non significherà, "sic et simpliciter", la scomparsa immediata dell'amianto dagli
ambienti di vita e di lavoro.
Anche in considerazione di ciò,
stiamo comunque lavorando affinché
in sede di discussione parlamentare (e
nelle audizioni che vi saranno) sia della pdl che della legge specifica sull'amianto, si possano apportare quelle
modifiche radicali che riconducono la
normativa al principio della abolizione di ogni esposizione ad agenti cancerogeni.
In estrema sintesi, nella pdl, si propone l'abolizione della distinzione di
soglia tra attività continue e attività di
carattere saltuario (soppressione dei
commi 4 e 5 dell'art. 24) e si porta da
triennale ad annuale la periodicità con
la quale il datore di lavoro effettua la
valutazione del rischio, nonché l'informazione completa dei lavoratori
(art. 26)*.
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Circa il controllo sanitario si propone l'abrogazione del Decreto del Ministero del Lavoro che consente la sostituzione della radiografia del torace
con la sola presenza di reperti quali,
ad esempio, "rantoli crepitanti", "corpuscoli dell'asbesto" o "siderociti"
nell'espettorato, ai fini della diagnosi
di asbestosi (DM 21/1/87, GU n. 35
de l ll11 /2/87).
Nella parte riguardante l'ipotesi di superamento dei valori limite (art. 31: 1
f/cc per il crisotilo, 0,2 f/cc per le altre
varietà di asbesto), si propone la soppressione della distinzione di soglia tra
attività lavorative normali, attività saltuarie e attività estrattive, e si prevede
la sospensione della attività in caso di
avvenuto superamento dei limiti.
Infine, la registrazione dei tumori
(art. 36) viene prevista non solo per i
casi di mesotelioma asbesto-correlati
(che avrebbe una valenza meramente
medico-legale), ma per tutti i casi di
neoplasie verificatesi in esposti ad
asbesto: è noto infatti che i1 mesotelioma, pur essendo indubbiamente il più
specifico, non è né il solo tumore correlabile all'amianto, né il più frequente. La valenza eminentemente epidemiologica di un Registro Tumori impone pertanto la registrazione sistematica
di tutte le neoplasie che potrebbero essere correlate alla esposizione ad
amianto.
Questi sono, per gli agenti considerati, gli aspetti più significativi da affrontare in sede cli modifica, quelli che
ci hanno fatto parlare, per il DL
277/91, di "ferita da risanare".
Vi sono nel decreto altri punti critici,
pur non determinanti complessivamente, che hanno tuttavia attirato la
nostra attenzione: mi riferisco, rapidamente, alla opportunità di neutralizzare il "blitz" del Ministro De Lorenzo,
che è riuscito "in extremis" ad escludere le sale operatorie degli ospedali
dal campo di applicazione del DL;
- alla necessità di specificare meglio
chi, nell'ambito del Servizio Sanitario
Nazionale, esercita le funzioni di organo di vigilanza;
- alla necessità di informazione contestuale, e non alternativa, dei lavoratori e dei rappresentanti;
- alla necessità di garantire la consegna ai lavoratori dei risultati dei propri
controlli sanitari, non limitandosi alla
semplice possibilità cli accesso agli
stessi;
- alla necessità di prevedere una
adeguata tutela dei lavoratori autonomi che prestano la propria attività al-
l'interno delle imprese, al di là della
pur doverosa opera di informazione;
- alla necessità, infine, di garantire
misure igieniche adeguate per tutti i lavoratori, indipendentemente dai livelli
di esposizione, così come previsto anche dall'ultimo dei Regolamenti Comunali di igiene! (il DL 277, invece,
garantisce il "diritto" alle docce solo
a chi può "vantare" una piombemia
superiore a 35 mcg%cc, o una esposizione ad amianto superiore a 0,1 f/cc
con il privilegio in quest'ultimo caso,
"ove possibile", dell'uso esclusivo!!!).
Da ultimo vorrei affrontare la problematica inerente il profilo istituzionale dei medico competente, in quanto la soluzione indicata nella pdl precostituisce una virata di 180 gradi rispetto alla prassi finora vigente, ed introduce un elemento di novità assoluta
anche rispetto al dibattito in corso da
tempo tra gli addetti ai lavori, e all'interno stesso della SNOP.
Per comprendere appieno la portata
della proposta, ed anche i problemi
che potranno sorgere in ordine alla sua
gestione pratica, è indispensabile fare
chiarezza sulla situazione attuale, su
come funziona oggi il sistema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori.
Innanzitutto vi è da dire che enorme
è ancora l'area della evasione all'obbligo del controllo sanitario dei lavoratori, soprattutto in quelle regioni e in
quelle zone in cui non si è provveduto
alla istituzione di adeguati Servizi di
Medicina del Lavoro all'interno delle
Unità Sanitarie Locali che hanno, tra
gli altri, il compito del controllo e del
coordinamento dell'attività di sorveglianza sanitaria sui lavoratori esposti
a rischi.
L'evasione all'obbligo è un dato storico: l'Ispettorato del Lavoro non ha
mai intrapreso azioni volte a sviluppare le attività di sorveglianza sanitaria
dei lavoratori, limitandosi al massimo
a comminare sanzioni per inadempienza.
Peraltro, almeno tra la fine degli anni
'70 e l'inizio degli anni '80, una parte
di responsabilità la portano anche molti
Sindacalisti e, diciamolo pure, molti
Operatori dei Servizi che, in nome della
sacrosanta lotta alla "medicalizzazione", hanno finito poi purtroppo col
considerare la sorveglianza sanitaria una
questione di scarsa rilevanza nell'ambito delle attività di prevenzione.
Per quanto riguarda l'area di coloro
che adempiono agli obblighi vi è da
dire che, contrariamente a quanto da
molti ritenuto, oggi la quasi totalità
degli accertamenti sanitari preventivi
e periodici previsti dalle normative vigenti viene effettuata da medici assunti e pagati direttamente dalle imprese.
In una minoranza dei casi si ha il
coinvolgimento di strutture sanitarie
private (laboratori, poliambulatori, case di cura) o pubbliche (per lo più cliniche o istituti universitari).
L'articolo 5 della legge 300 del
1970, lo Statuto dei Lavoratori, è in realtà rimasto fino ad oggi lettera morta
per quanto concerne gli accertamenti
sanitari preventivi e periodici nella popolazione lavorativa.
La bozza di decreto redatta dal Ministero del lavoro non affrontava la
questione della afferenza istituzionale
del medico competente (in questo
conformemente alla delega che il governo aveva ricevuto dal Parlamento)
limitandosi a precisarne i requisiti tecnico-professionali. Anche per questo,
oltreché in ragione dell'urgenza di
presentare gli emendamenti alle Commissioni Parlamentari, non si era ritenuto in prima istanza di intervenire su
una problematica avente valenza generale, che esula dal merito del recepimento delle direttive.
Poiché tuttavia il movimento sindacale considera l'afferenza del medico
competente al Servizio Sanitario Nazionale un punto essenziale, le Confederazioni Sindacali hanno spinto affinché in
sede di redazione del testo definitivo venisse inserita la clausola della dipendenza del medico competente dal Servizio
Sanitario Nazionale, successivamente
"mitigata" dalla dizione "ove possibile",
suggerita dalia Confindustria.
Questa formulazione dell'art. 3, combinata col disposto dell'art. 55 (norme
transitorie e finali), ha finito col creare
un "doppio regime" per cui chi come le
aziende che già hanno medici di fabbrica alle proprie dipendenze continuano
come prima, mentre le altre dovranno
ricorrere, ove possibile, a medici dipendenti dal Servizio Sanitario Nazionale i
quali, peraltro, non si capisce bene a
che titolo e in base a quali rapporti di lavoro potranno svolgere l'attività di medico competente.
Di qui la soluzione proposta nella
pdl, che si rifà all'esperienza in corso da
anni in molte Unità Sanitarie Locali, soprattutto in Toscana ed in Emilia.
Sinteticamente si propone riconduzione al Servizio Sanitario Nazionale di
tutta l'attività di esecuzione degli accertamenti sanitari dei lavoratori esposti,
attraverso l'utilizzazione di personale
medico, in possesso dei requisiti professionali previsti, dipendente dal SSN o
appositamente convenzionato.
L'intera attività di controllo sanitario
dei lavoratori dovrà essere a carico, economicamente, del datare di lavoro (come previsto anche dal decreto), ma potrà svolgersi solo mediante convenzionamento tra aziende e Unità Sanitarie
Locali competenti per territorio, in base
ad una convenzione-tipo valida a livello
nazionale.
L'USL, a sua volta, utilizzerà medici
dipendenti (ad esempio quelli delle Unità Operative Ospedaliere di Medicina
del Lavoro, ove presenti) oppure medici
in possesso dei previsti requisiti e appositamente convenzionati, anche in questo caso sulla base di uno schema valido
a livello nazionale.
Gli attuali medici d'azienda in possesso dei requisiti o che ricadono nell'ipotesi prevista dal l'art. 55 (quattro anni di esperienza, opportunamente verificata) potranno accedere alla convenzione e continuare così a svolgere la
propria attività, ma per conto del SSN e
non più del datore di lavoro.
Come molti Operatori sanno, si tratta
di una esperienza già concretamente
operante: in Emilia Romagna con questo
sistema (concordato tra UUSSLL, Sindacati e Imprenditori) viene oggi garantita
l'effettuazione degli accertamenti sanitari da parte del SSN a circa 2500 aziende, a totale carico delle imprese, mediante l'utilizzo di medici convenzionati, diretti e coordinati dai Servizi di Medicina del Lavoro.
Occorre qui ribadire un punto fonda-
mentale: l'effettuazione degli ASPP non
è un compito dei Servizi di Medicina
del Lavoro che da questo punto di vista
esercitano le funzioni di organo di vigilanza, rispetto a cui i medici competenti
hanno numerosi obblighi e sono soggetti
a sanzioni in caso di inadempienza.
I Servizi, al di fuori dell'attività sanitaria esercitata d'ufficio per i fini di indagine e verifica di situazioni particolari (che
come tale è a carico del SSN), esercitano, e continueranno ad esercitare anche
nell'ipotesi del passaggio al nuovo sistema proposto, funzioni di coordinamento e controllo dell'attività di sorveglianza sanitaria.
La SNOP ha sempre ritenuto che questo sia il compito principale, nell'ambito
delle attività sanitarie, dei Servizi, e non
c'è ragione di cambiare opinione.
Questa posizione, tuttavia, non è in
contrasto con la possibilità di attribuire al
SSN la titolarità della effettuazione degli
ASPP, e la soluzione proposta, anche sul
piano tecnico, appare la più percorribile.
Devo anche aggiungere che, in base
all'esperienza, questo sistema si è dimostrato efficace nel migliorare da parte dei
Servizi Stessi la capacità complessiva di
intervenire nei luoghi di lavoro, in quanto il medico competente convenzionato
col SSN diviene in pratica un' operatore della prevenzione aggiunto", un "terminale operativo" che, soprattutto nelle
aziende di maggiore dimensione, consente una presenza più continua e costante di quanto non possa fare il Servizio col proprio personale, insufficiente
per definizione.
I punti critici del sistema (ma che rimangono tali anche nell'ipotesi prevista
dalla vigente normativa) consistono innanzitutto nel fatto che i medici in possesso dei titoli necessari non sono sufficienti a coprire il fabbisogno, ed in se-
condo luogo, per contro, nel pericolo
che l'art. 55, come tutte le "sanatorie" che si rispettino, rischia di laureare "medici competenti" anche molti
che tali non sono.
Su questi punti critici occorrerà lavorare per limitarne il più possibile l'impatto sull'intero sistema.
Questo decreto legislativo deve essere
quindi profondamente modificato: i
punti che abbiamo indicato e fe soluzioni
che abbiamo proposto ci pare colgano le
principali contraddizioni tra la norma
emanata e la visione complessiva della
Prevenzione nei luoghi di lavoro che nel
nostro Paese rappresenta un patrimonio
consolidato dei lavoratori e di tutti coloro
che della Prevenzione hanno fatto il loro
lavoro quotidiano, non solo nei Servizi
Pubblici, ma anche nelle Università, negli Istituti Scientifici e nei Centri di Ricerca, ed anche in molte Strutture e Istituzioni Private: non è un caso che, finora, nessuna voce proveniente dal mondo scientifico si sia levata a difesa del DL 277, sui
principali punti contestati.
L'illusione, che ha affascinato anche
qualche operatore, che il definire limiti
precisi ai vari agenti (il "dare i numeri")
rappresenti comunque un passo in
avanti è, appunto un illusione: questo
decreto non incrementa né potenzia la
capacità di intervento dei Servizi di Prevenzione: dove i Servizi non esistono, o
dove faticano a camminare, sarà impossibile far rispettare qualsiasi limite, alto
o basso che sia, perché mancheranno
gli strumenti operativi e le condizioni
oggettive per agire.
Farà chiarezza, a questo proposito,
fa nostra Operazione Prevenzione
SUD, che si concluderà a Bari il 27
aprile 1992.
Graziano Frigeri
RIMEDIA 91
PERCHE CAMBIARE
IL 277 SUL PIOMBO
1) I valori guida previsti per la PbB
sono sicuramente troppo elevati: basti
ricordare che i limiti NIOSH-OSHA,
USA, fissati in pratica nello stesso
periodo, prevedono il valore limite
biologico per l'allontanamento dal lavoro a 50 mcg/100ml con riammissione al lavoro a valori inferiori a 40
mcg/100 ml e che il valore limite nell'aria è stato posto a 50 mcg/mc.
Alcuni paesi che hanno recepito la
direttiva hanno adottato limiti più bassi (Germania, PbA 100mcg/mc, PbB
nei maschi 70 mcg/100ml e 30
mcg/100ml nelle donne. Danimarca,
PbA 100 mcg/mc PbB 50 mcg/100ml
si ridurrà a 40 nel 1992).
2) Non si tiene conto del fatto che
esistono effetti anche per dosi più basse di piombemia (v. tabella) e per i
quali, tenuto conto di cosa avviene
nella popolazione generale, vanno individuati altri criteri preventivi.
3) Si prevede un uso degli indicatori
senza determinarne una precisa gerarchia: alla luce delle più accreditate
ipotesi anche di tipo tossicocinetico,
Lowest observed
effect level (PbB)'
Heme synthesis and
hernatological effects
100-120 µg/dl
80 µg/11
l'indicatore guida dovrebbe essere la
PbB. Inoltre si prevede l'uso di indicatori di effetto per i quali sono indicati
valori limite (ad esempio l'ALA-U di
15 mg/g di creatinina) ai quali corrispondono valori di PbB sicuramente
più elevati di 70-80 mcg/100 ml, limite per la PbB.
4) Non si introduce una valutazione
per i gruppi di esposti.
5) Non si prevedono requisiti di qualità per i laboratori impegnati nelle attività
di monitoraggio ambientale e biologico.
6) lI recepimento della Direttiva
senza introdurre i correttivi, del resto
consentiti dalla normativa europea,
rappresenta un grave errore perché:
di fatto e da molti anni in Italia
nelle situazioni in cui si è intervenuti
con corrette attività di controllo ambientale e biologico, anche grazie al
lavoro dei servizi territoriali, si sono
create condizioni di rischio molto più
contenuto risultato dell'uso di criteri
preventivi più cautelativi.
La CEE ha già deciso di rivedere
la Direttiva, vecchia di 10 anni, ed in
questo senso è già stato consegnato un
rapporto nel 1991, ora all'esame della
Commissione per le modifiche previste per il prossimo anno.
Già da anni, in Italia, sono stati
pubblicati studi e proposte sulla diret-
Neurological
effects
Effects on
the kidney
Encephalosathic signs
and symptoms
Cronic
nephropathy
Frank anemia
50 p.g/rll
Reduced hemoglohin
production
Overt subccphalopathic
neurologica) symptoms
40 µg/dl
Increased urinary ALA
and elevated
coproporphyrins
Peripheral nerve
dysfunction
(slowed verve
conduction)
30 p, g/dl
Erythrocyte
protoporphyrin (EP)
elevation in males
15 - 20 p.g/dl
Erythrocyte
protoporphyrin (EP)
elevation in females
<10 µg/di
ALA-17 inhibition
Proposte di modifica:
- Scelta della PbB come indicatore
guida e classificazione degli altri
(ALA-U e ZPP) come indicatori integrativi da usare in situazioni limitate in
cui non si disponga di PbB. Pertanto
ALAU e ZPP vengono usati, in questo
caso, per "prevedere" determinati livelli di PbB.
- Integrazione del dosaggio di Pb
nell'aria con dati di granulometria e
solubilità dei composti aerodispersi.
- Diminuzione dei valori di riferimento e limiti.
a cura degli operatori di Brescia
BIBLIOGRAFIA NIOSHA
Department of Labor, Occupational Safety and Health Administration, "Advance
Notice of Proposed Rulemaking - Occupatiti/ Exposure to Lead" Docket No. H004E (Aprile 14, 1981).
Reproductive
function effects
Cardiovascular
eflècts
Female reproductive
effects
60 p.g/dl
25 - 30 pg/dl
tiva C.E.E., da parte di gruppi di studio
della S.I.M.L.I.I.
1
Altered testicular
function
Elevated blood
pressure
(White males)
aged 40-59
Federa/ Register, "Occupational Expo-
sure to Lead, New 7rigger Levels forMe-
dica! Rernoval Protection, Occupational
Safety and Health Administration, Vol.
47, No. 39 (Friday, February 26, 1982).
RIMEDIA 91
PERCHF CAMBIARE
IL 277 SULL'AMIANTO
Questa parte del decreto 277 recepisce acriticamente (8 anni dopo!) la
Direttiva CEE 83/477, non solo non integrandola nelle Leggi quadro nonché
in quelle specifiche sull'amianto già
emanate nel nostro paese (e la cui esistenza appare ignorata dal decreto) ma
altresì omettendo di adeguarla ai rilevanti progressi compiuti - in tema di
amianto, e di prevenzione dei rischi
conseguenti - dalla scienza e dalla
tecnica nell'ultimo decennio.
ll decreto 277 può quindi rappresentare paradossalmente quasi un'occasione di rilancio dell'amianto, o comunque una contro-tendenza, in una
fase nella quale invece il nostro paese
sembrava avviato alla soluzione graduale del problema, addirittura con
l'iniziativa di legge-apparentemente
in dirittura d'arrivo - per dettare «norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto».
Nello specifico, l'articolato del Capo III, a partire dallo stesso " linguaggio" utilizzato (vedi il termine " polveri" invece di fibre, o la definizione del
conteggio per cc invece che per
fibre/litro), è assai poco in sintonia con
le risultanze delle esperienze di questi
anni, nonché per alcuni aspetti con la
stessa Circolare 45/'86 del Ministero
della Sanità che, pur se limitata al problema amianto per gli edifici scolastici
ed ospedalieri, è divenuta da tempo
un abituale punto di riferimento metodologico e normativo.
l limiti stabiliti nel decreto, che riprendono quelli definiti dalla Direttiva, sono certamente assai lontani da
quanto ormai diffusamente adottato almeno per quanto si riferisce al rischio
nelle situazioni insieme di lavoro e di
vita (edifici, ecc.); cos'i pure appare
sempre meno condivisibile la separazione di un limite per il crisotilo da
quello per gli altri amianti.
La nostra proposta, pertanto, prevede una profonda modifica dello spirito
e del contenuto del Capo III, e si basa
essenzialmente sulle seguenti innovazioni di fondo:
1) "omologare"
dal punto di vista
del rischio - tutti gli amianti definendo come limite unico per gli ambienti
di lavoro le 200 ff/1 (ossia le 0,2 ff/cc
del Decreto);
2) stabilire comunque un primo livello di intervento, definibile come livello di allarme, in presenza del quale
vi sia il vincolo dell'adozione di misure informative, tecniche ed igieniche,
a partire da 50 ff/I;
3) separare nettamente le situazioni
di lavoro su amianto da quelle nelle
quali l'esposizione deriva dalla presenza di amianti come coperture di superfici ed impianti: si tratta di due situazioni (o gruppi di situazioni) totalmente differenti sia dal punto di vista
dei rischi e delle modalità di esposizione, sia in genere da quello dei possibili interventi; per le seconde, già
ampiamente trattate nella Circolare 45
-come dalla stessa esplicitato non
si può che esprimere il concetto del
mantenimento della concentrazione
ambientale di fibre ai livelli più bassi
tecnicamente possibili, il che è in genere interpretato come non superamento dei livelli di inquinamento ritenuti in questa fase (ahinoi) abituali negli insediamenti urbani.
F del resto, è soprattutto nelle situazioni di edifici pubblici o abitativi che
si può comunemente verificare la cosiddetta esposizione indebita e non
conosciuta: va a maggior ragione in
questi casi scongiurata l'eventualità di
concretizzare anche nella normativa il
principio deprecabile di limiti accettabili di esposizione ad un cancerogeno
per il quale non sono conosciuti livelli
di soglia non pericolosa.
Non deve sfuggire, tra l'altro, che
una volta accettato per un cancerogeno come l'amianto, un simile principio
potrebbe essere ripetuto per altri cancerogeni: non è neppure il caso di
analizzare lo scenario che in questo
caso si verrebbe a configurare nel nostro paese, con passi indietro di decenni rispetto alle attuali indicazioni tecnico-scientifiche soprattutto con nefaste conseguenze per la salute di tutti.
La proposta di emendamenti sull'ambiente che verranno portati da
SNOP in commissione è stata elaborata a cura di:
Claudio Calabresi
Massimo Bruzzone
Fulvio D'Orsi
Umberto Laureni
RIMEDIA 91
PERCHÉ CAMBIARE
IL 277 SUL RUMORE
Nel 1990 sulla autorevole rivista
americana 'AMA (vol. 263 n. 23
3185-3 1 90) sono stati pubblicati i risultati della Consensus Development
Conferente sul tema "rumore e ipoacusia".
Si ricorda che tali conferenze organizzate sempre su temi di grande importanza, riuniscono i maggiori esperti
con il compito di elaborare documenti
conclusivi di risposta ai vari quesiti
sull'argomento, documenti che devono essere considerati la base delle conoscenze più avanzate, da cui partire
per nuove ricerche.
AI quesito: "quale intensità sonora
può danneggiare l'udito?" viene risposto in sintesi quanto segue.
La causa del danno uditivo è individuabile nella quantità di energia sonora che raggiunge l'orecchio interno,
l'effetto è cumulabile per cui due sono
i parametri che definiscono il rischio:
il livello sonoro misurato in dBA e il
tempo di esposizione.
Un rumore con un livello inferiore
a 75 dBA non può provocare un danno uditivo anche se l'esposizione è
protratta per lungo tempo; un rumore
con un livello superiore a 85 dBA ed
una esposizione di 8 ore/giorno, può
provocare un danno dopo alcuni anni.
Da un punto di vista scientifico non
esiste quindi allo stato attuale alcun
dubbio circa la potenzialità lesiva di
un rumore di 85 dBA per 8 ore al
giorno.
Tale assunto è accettato non solo in
sede scientifica ma anche normativa,
infatti nella stessa Direttiva CEE/188
del 12 maggio 1986, nella premessa
viene esplicitamente dichiarata la non
completa efficacia protettiva del limite
proposto di 90 dBA "considerando
che la situazione attuale degli stati
membri non consente di fissare un valore di esposizione al rumore al di sotto del quale non si presentino rischi
per l'udito dei lavoratori".
Ciò che non è ancora completaniente chiarito è l'entità del rischio di
danno uditivo espresso in termini numerici precisi, relativi ai diversi livelli
di rumorosità.
E tuttavia possibile fare riferimento
ad alcune stime che si basano su dati
epidemiologici contenuti nello Standard Internazionale ISO/DIS 1999 del
1984: "Determination ofoccupational
noise exposure and estimation of noi se
induced hearing impairment" e pubblicate da Merluzzi e coll. (Med. Lav.
1985, 76: 6; 435-444).
Nelle figure allegate è riportata la
percentuale di soggetti la cui perdita
uditiva media per le frequenze 1, 2, 4
KHz è rispettivamente uguale o superiore a 15, 20, 25 dB.
E evidente come il rischio, espresso
in percentuale di soggetti la cui soglia
uditiva supera un certo valore, aumenti in proporzione agli anni di esposizione e ai livelli di rumorosità.
Facendo riferimento in particolare
alla figura 11 e partendo dalla ipotesi
che una soglia media per le frequenze
1, 2, 4 KHz superiore o uguale a 25 dB
costituisca un danno uditivo in soggetti con una età massima di 60 anni, è
possibile stabilire che:
una esposizione di 8 ore/giorno a 85
dBA; provoca un danno uditivo nel
5% degli esposti, dopo 30 anni e nel
20% dopo 40 anni; tali percentuali salgono rispettivamente al 15% e al 32%
per esposizioni a 90 dBA.
Considerando che tale danno sia da
attribuire in parte anche al rumore
esterno all'ambiente di lavoro e che tale rumore possa essere stimato di 80
dBA, è possibile calcolare il rischio relativo che per esposizioni a 85 dBA è
del 5% dopo 30 anni e del 8% dopo
40 anni, mentre sale al 15% e al 20%
per esposizioni a 90 dBA.
In altre parole è possibile affermare
che al termine di una vita lavorativa
trascorsa in ambienti con rumorosità
di 90 dBA, circa il 32% della popolazione avrà subito un danno uditivo, il
12% a causa del rumore ambientale e
il 20% a causa del rumore lavorativo.
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donne, 'a cui perdita uditiva media (H) per le
frequenze di 1, 2, 9 kFiz è rispettivamene 15,
20, 25 2S. La rumorosità è espressa in dBA;,..
Inizio def ' esposizione a 18 anni.
GRUPPI Di LAVORO SNOP
LAPIDEI
UN NUOVO
APPROCCIO
PER RISCHI ANTICHI
A partire dai convegni nazionali di
Rapolano Terme (1985) e di Morbegno
(1987), si è sviluppata un'intensa attività di lavoro dei servizi di prevenzione
con una estensione delle sedi nazionali
attive sulle problematiche del comparto
e con la realizzazione di molteplici
esperienze di indagine e di bonifica. Infatti nuove realtà regionali (Trentino Alto Adige, Veneto, Sardegna, Lazio) hanno iniziato ad affrontare concratemente
indagini di comparto in collegamento
con le esperienze esistenti (Toscana,
Lombardia, Liguria, ecc.).
Nel campo della bonifica sono stati
raggiunti importanti risultati di validazione eli interventi concreti (diffusione
dei dischi silenziati in fresatura, cappatura dei telai in segagione). ll Gruppo
di lavoro nazionale SNOP, costitutori
nel 1988, ha svolto una positiva funzione di coordinamento, di socializzazione delle esperienze e di collegamento
con le associazioni di categoria.
In particolare, estremamente positiva è stata l'esperienza di una presenza
costante con stand e convegni tematici
nelle Fiere del settore di Carrara e S.
Ambrogio Valpolicella (Verona).
Questa esperienza, ormai stabile dal
1989, ha consentito di stabilire momenti di contatto con le Ditte produttrici di tecnologie nel settore.
I temi affrontati hanno in un primo
tempo riguardato la bonifica dei rischi
professionali per poi collegarsi nell'ultimo anno anche a tematiche ambientali esterne, nell'ottica di approccio
complessivo alla prevenzione propria
della SNOR
A riprova della validità di questa impostazione, il convegno di Carrara del
1990 sulle problematiche dell'inquinamento acustico esterno ha coinvolto
la Magistratura locale in un'azione di
promozione di bonifiche alla fonte dei
telai che hanno favorito anche la bonifica interna all'ambiente di lavoro.
L'appuntamento del 23 settembre
'91 a S. Ambrogio Valpolicella, da una
parte ha collegato la legislazione sull'inquinamento acustico interno ed
esterno (DPCM 1/03/91 e DL. 277/91)
a proposte di bonifica ormai validate
(cappatura telai, dischi silenziati ecc.)
e dall'altra ha aperto una prima riflessione sulle corrette tecniche di smaltimento dei fanghi di lavorazione.
Nonostante questi risultati positivi, i
rischi per i lavoratori e l'ambiente
esterno permangono elevati; gli obiettivi di prevenzione sono quindi ben
lungi dall'essere esauriti e impongono,
anzi, un rinnovato impegno.
In questi anni sono pervenute al
Gruppo di lavoro nazionale ripetute richieste di produzione di materiale di
lavoro: dai servizi per la definizione cli
protocolli di indagine e di schede di
bonifica, dalle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro nonché da
studi tecnici di bonifica, per la divulgazione di criteri standard nel campo
della progettazione edilizia, della bonifica sugli impianti, delle tecniche efficaci di contenimento dell'impatto
ambientale esterno.
Programma di lavoro
Si pone quindi l'esigenza di raccogliere le esperienze svolte per ricavare
un primo momento divulgativo:
- stesura entro il 1992 di un manuale
di prevenzione, per il momento limitato alla fase di lavorazione dei materiali
lapidei, cui successivamente dovrà seguire un analogo elaborato per l'estrazione. II manuale dovrà affrontare in
sintesi il quadro attuale dei rischi e dei
danni, proporre metodologie standardizzate di indagine, fornire schede tecniche di bonifica sui principali impianti;
- realizzazione nel primo semestre
1993 di un convegno nazionale (sedi
possibili: Carrara, Verona, Valtellina)
di ampio respiro che faccia il punto sul
livello di avanzamento delle proposte
di prevenzione per i rischi esterni ed
interni all'ambiente di lavoro sia in
estrazione che in lavorazione;
Il convegno dovrà, da una parte, presentare ufficialmente il manuale di cui
al punto precedente e dall'altra aprire
il dibattito su questioni ancora aperte
(le proposte di bonifica in estrazione,
gli interventi per contenere l ' impatto
ambientale esterno, il rapporto con il
mondo della progettazione, il coordinamento con professionalità e istituzioni esterne al Servizio Sanitario Nazionale, le prospettive comunitarie riguardo alle direttive tecniche e all'aggiornamento delle norme legislative
ecc.);
- riconferma delle presenze SNOP e
USSL ai prossimi appuntamenti fieristici per progredire nei rapporti con le
Ditte produttrici, gli enti fiera e le associazioni di categoria in vista degli
obiettivi precedenti;
- invio a tutto le sedi nazionali interessate di una circolare illustrativa del
programma del Gruppo di lavoro na-
zionale con allegati due questionari
separati sull'estrazione e lavorazione,
al fine di avere un quadro filtrato dai
servizi sulle caratteristiche produttive
del comparto e sulle iniziative di prevenzione in atto;
- ristrutturazione organizzativa del coordinamento nazionale del Gruppo di
lavoro:
Flavio Coato
SPISAL ULSS 26 - Via Foro Boario 28 Bussolengo (VR)
Tel. 045-6769404/8:
rapporti esterni, riferimento territoriale
Triveneto;
Rita Ansuini
SPISLL USL 3 Versilia - Via Garibaldi
92 - Pietrasanta (LU)
Tel. 0584-71151
Fabrizio Franco
SPISLL USL 2 Carrara - Viale XX Settembre 244/bis
Avenza di Carrara (MC) Tel. 050553701:
rapporti tecnico-scientifici, riferimento
territoriale Centrosud;
Roberto Pattarin
Servizio 1PA TSLL USSL 21 - Via C. Dominioni 33 - Morbegno (SO)
Tel. 0343/60730451
organizzazione (segreteria Sig.ra Milena Paieri), riferimento territoriale Lombardia, Piemonte e Valle d'Aosta.
Si invitano pertanto le sedi e gli operatori interessati a contattare la segreteria per ampliare l'attuale livello di
coordinamento, per ricevere suggerimenti e contributi, per costituire un indirizzario nazionale il più ampio e
completo possibile.
Roberto Pattarin
Milena Paieri
SICUREZZA
E ROBOT
Il gruppo innovazione tecnologica
ha "gemmato" un gruppo sulla questione sicurezza e robot.
Chi fosse interessato è pregato di fare riferimento a
Riccardo Tartaglia
Usi 10/D
via della Cupola, 64
50745 Firenze
tel. 055/373604
fax. 055/301376
VRQ
DALLE PAROLE AI FATTI
Con questo contributo si conclude il
cammino di introduzione alla VRQ
nei servizi di prevenzione. Da qui innanzi si tratta di dar luogo a esperienze sul campo che amplino quelle finora illustrate e soprattutto consentano di
procedere nel cammino di messa a
punto di strumenti operativi nel campo
di Monitoraggio e della Verifica e Revisione della Qualità.
11 tema delle note che seguono è rappresentato dalle modalità d'impostazione di uno studio valutativo basato
su corretti criteri epidemiologici.
VRQ
ELEMENTI DI DISEGNO
DELLO STUDIO
VALUTATIVO
1. ELEMENTI GENERALI.
11 primo requisito che deve essere
esplicitato nel "razionale" di una qualsiasi ricerca riguarda l'opportunità
stessa di eseguirla in quel particolare
contesto spazio-temporale (non è ragionevole proporre uno studio epidemiologico sui Melanomi Maligni nella
popolazione nera della Tanzania, né
tantomeno nella popolazione bianca
della Groenlandia). La traduzione di
questo concetto sul campo del disegno degli studi valutativi implica la sua
articolazione in quattro parti:
a) Committenza. Lo studio deve essere promosso da un "Ente" dotato di
quella Autorità e di quei Mezzi necessari per innescare un processo di cambiamento. Qualsiasi studio di VRQ
che non innesca un cambiamento nel
modo di lavoro è inutile, nella accee unica nel
zione contemporanea
contesto valutativo - di inefficace,
inefficiente (perché spreca risorse) ed
inadeguato (perché non risponde alle
aspettative di miglioramento degli
l'effioperatori). Il primo requisito
cacia del processo valutativo - può
sconfinare nel danno: questo accade
ogniqualvolta l'Ente promotore è solo
"Autoritario" e le conclusioni dello
studio valutativo sono vissute dagli
operatori come un giudizio negativo
sul loro operato. Ne consegue il seguente dogma: affinché la VRQ sia ef-
ficace il Committente deve avere la
proprietà della Partecipazione (Gaber,
1973; Romiti, 1990).
Ciò non vuoi dire che il Committente
svolge in proprio la ricerca. Un comitato
tecnico (con statistici anglosassoni, epidemiologi italiani e professionisti, preferibilmente giapponesi, della valutazione
di qualità) incaricato dal Committente
avrà la responsabilità della conduzione
dello studio, salvaguardando la oggettività nella raccolta dei dati.
b) Obiettivi. La valutazione non può
essere estesa a tutto, un giudizio globale su un'attività complessa come quella
dei servizi sarebbe fondamentalmente
ingiusto e riduzionista. Oggi dobbiamo
affrontare la complessità e rimandare
perciò i giudizi sommari a quelle epoche della storia della scienza, e della
storia umana, in cui avvengono rivoluzionari cambiamenti di paradigma.
Possiamo enunciare ora un secondo
dogma: la ricerca valutativa ha per
obiettivo piccoli miglioramenti. I piccoli passi di larga parte della tradizione
culturale asiatica si traducono qui nella
selezione di alcuni problemi su cui effettuare la valutazione, e, contemporaneamente, nella consapevolezza che
gran parte del lavoro è svolto in modo
corretto. Gli obiettivi selezionati devono perciò essere individuati da ogni servizio e possono essere anche assai diversi a seconda delle realtà locali che
si considerano. La ricerca valutativa è
infatti di natura "particolaristica".
c) Aspetti della Qualità esaminati.
La relatività del concetto di qualità
rende ragione della necessità di esplicitare in quale accezione essa venga
intesa in ogni ricerca valutativa. Poiché la natura del Committente implica
la possibilità concreta di innescare
cambiamenti riguardanti alcuni, e mai
tutti, gli aspetti della qualità, razionalità vuole che esista una stretta corrispondenza tra tipo di Committente ed
aspetti della qualità indagati.
d) Ricadute. L' individuazione di
priorità per la ricerca valutativa, che
ha portato a formularne gli obiettivi
concreti deve possedere il requisito
della efficacia pratica. 11 criterio della
possibilità di avere ricadute pratiche è
il criterio principale che si utilizza nell'identificazione delle aree prioritarie
di intervento. Nel disegno dello studio
valutativo occorre perciò che vengano
indicate prima di iniziare lo studio, le
ricadute, che questo avrà (nei due
aspetti di formazione del personale e
di mutamento nel modo di organizzare il lavoro).
2. ELEMENTI SPECIFICI
PER UNO STUDIO
DESCRITTIVO DELLA QUALITÀ.
In generale una ricerca epidemiologica prevede la definizione degli
"eventi morbosi" (il numeratore nelle
misure di frequenza come i tassi di incidenza e mortalità) e della popolazione a rischio di sperimentare l'evento.
La ricerca valutativa è essenzialmente
una ricerca di epidemiologia descrittiva, volta cioè a misurare la frequenza
degli "eventi" negativi di cattiva prestazione sperimentati dagli utenti del
sistema sanitario. Vediamo gli elementi costitutivi di tale misura:
a) Definizione dell'evento. Questa
fase si attua per mezzo della definizione delle unità di analisi valutativa, degli indicatori e dei criteri di valutazione.
La "cattiva prestazione" si genera
solo al momento della interazione tra
gli operatori ed il singolo utente.
Definiamo questa interazione come
"Unità minima di analisi valutativa" o
unità di assistenza. II ricercatore dovrà
esercitare la massima cura nello scegliere l'unità di analisi valutativa perché essa rappresenterà l'unità statistica
che verrà classificata come "buona" o
"cattiva" prestazione. Per esempio, nel
caso di una analisi sulla Qualità del lavoro svolto nei campo dei Nuovi Insediamenti Produttivi (NIP), l'Unità di
analisi valutativa potrà essere scelta in
varia maniera, secondo l'aspetto della
qualità che il Committente decide di
privilegiare. Se si ritiene essenziale,
quale "criterio" di buona qualità quello del grado di integrazione fra giudizio sul NIP dato dal servizio d'Igiene
Pubblica e quello dato dal Servizio di
medicina del Lavoro, allora l'Unità di
analisi valutativa potrà essere rappresentata dai sopralluoghi congiunti realizzati, ovvero dall'esistenza di una sede deliberante (Commissione NIP)
congiunta dove tali pareri vengano discussi e concordati.
Si usa distinguere tre tipologie generali di indicatori, a seconda del segmento del "processo produttivo di salute" da cui abbiamo enucleato le unità di analisi valutativa (tab. I). Seguendo le definizioni aristoteliche possiamo vedere che una buona abitazione
(prestazione nel nostro caso) ha una
causa formale nel progetto dell'architetto ed una causa materiale nel tipo
di mattoni e cemento usati (indicatori
strutturali), una causa efficiente (indicatori di processo) nelle capacità dei
muratori, una causa finale (indicatori
di esito) nella rispondenza alle nostre
esigenze di abitabilità. Mentre è interessante notare che la cultura moderna
ha ristretto l'accezione aristotelica di
causa alla sola causa efficiente, nella
ricerca valutativa non solo non è così,
ma siamo sempre molto attratti dagli
indicatori di esito che sono i parenti
della causa finalistica che di tutte è
quella che è stata espunta per prima
come non scientifica.
Una volta identificate le unità di analisi valutativa, occorre classificarle secondo un giudizio qualitativo. Come per
la codifica della causa di morte riportata
nel certificato (stat distinguiamo l'insieme delle regole (la ICD 9 ed il manuale
d'uso) dal codificatore così nel nostro
caso definiamo le regole usate con il termine di "criteri" ed il codificatore con il
termine
"valuta-
Tab. 1: Caratteristiche principali dei tre generi di indicatori
usati negli studi di VRQ.
Indicatori
Motivazioni
Pro
Contro
Struttura
Una dotazione adeguata
di personale migliora la
qualità
Facili da misurare
Influenzano direttamente
la qualità
Processo
Una buona esecuzione
migliora la qualità
Esito
Una buona prestazione
determina un esito
favorevole
Immediata ricaduta
nella organizzazione dei
servizi
Misura direttamente il
grado di aderenza degli
obiettivi preposti
Fonti
dirette sulla prestazione
non esiste materiale
scritto
materiale scritto
non strutturato
-O>
-
È influenzato da molti
fattori e richiede un
follow-up
Strumenti
osservatore
partecipante
valutazione critica di un comitato
di esperti (Audit)
registri e moduli
di routine
raccolta e codifica
su scede ad hoc
attività di QA
rilevazione del dato
Fonti indirette dai soggetti
coinvolti nella prestazione
Difficili da misurare
Strumenti
utenti
direzione d'azienda
sindacati
singoli lavoratori
operatori dei servizi
non laureati
figure professionali
(laureati)
terviste o questionari
tore". I criteri possono essere espliciti e
consistere nella raccolta delle descrizioni di come "dovrebbe essere" (*) o impliciti cioè allo stato delle conoscenze
non oggettivabili. II giudizio qualitativo
in quest'ultimo caso riposa tutto sul valutatore (come nel caso dell'Audit
medico). A seconda degli obiettivi e delle condizioni particolari dello studio i
valutatori possono essere "esterni" al
servizio che viene indagato o "interni"
ad esso. E comunque sempre preferibile
una figura professionale esterna per
quanto riguarda il coordinamento tecnico della fase di raccolta di informazioni
e di giudizio qualitativo tecnico.
b) Definizione della popolazione a rischio. Abbiamo detto che la "cattiva
prestazione" si genera nella interazione
tra servizio sanitario ed utente. Restando
nel formalismo statistico, il denominatore della misura qualitativa dovrebbe essere il numero di unità di analisi valutativa considerate. In realtà, tuttavia, le prestazioni dipendono dalle caratteristiche
del singolo utente (per esempio in medicina clinica dalla diagnosi e dalla diversa gravità della malattia). La misura qualitativa deve essere perciò riferita alla
popolazione degli utenti. Tuttavia simili
misure "grezze" sono di scarsa utilità
qualora si voglia procedere a confronti
tra servizi o all'interno di un servizio. Infatti saranno fortemente dipendenti dalle
caratteristiche della popolazione di
utenti. Forse nella fase attuale è conveniente, più che pensare a misure standardizzate, muoversi su un piano descrittivo e basarsi su misure specifiche.
Nel caso dei ricoveri ospedalieri è ormai
diffuso il sistema di classificazione ROD
(Raggruppamenti Omogenei per Diagnosi o DRG) per cui tutti gli indici sui
ricoveri (ad esempio la durata media)
sono calcolati per singolo ROD (a parità
cioè di diagnosi ed età). Nel caso dei
servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro una prima base per la disaggregazione degli "utenti" può essere costituita
dalla esperienza dei "comparti" (l'equivalente delle diagnosi di malattia) ed in
secondo luogo dal numero di addetti
(qualcosa di analogo all'età nella definizione dei ROD)_
c) Distorsioni. Nel caso di misure descrittive le fonti di errore riguardano separatamente il numeratore (le "cattive
prestazioni") ed il denominatore (la popolazione di utenti).
Per quanto riguarda il numeratore la
fonte principale di distorsione è legata
alle informazioni di cui si dispone per il
riconoscimento dell'evento. In ricerche
di VRQ è necessario dotarsi di strumenti
ad hoc per la rilevazione delle informa-
zioni. Questionari andranno perciò ad
integrarsi a fonti esistenti: troppo spesso
si pensa che le informazioni siano già
raccolte in modo routinario, confondendo la ricerca di VRQ con un'attività di
valutazione in continuo (QA). D'altro
canto la fase preliminare di uno studio
di VRQ può consistere nella ricognizione dell'esistente, specialmente per
quanto riguarda i flussi informativi (sulla
scorta del dogma: ciò che non è scritto
non è fatto) (tab. Il). Possiamo allora vedere come studi successivi possano portare all'uso di strumenti informativi più
completi ed affidabili, semplicemente
perché una prima ricerca di VRQ può
ad esempio aver introdotto registri di attività che prima non erano usati. Occorre sottolineare la povertà informativa di
tali strumenti dal punto di vista della
qualità della prestazione. Pertanto è opportuno precisare bene gli obiettivi dello
studio ed il tipo di unità di analisi valutativa indagata per ottenere informazioni
puntuali e non generiche ed in ultima
istanza inutili. Per esempio la mancanza
di dati (registri non riempiti, moduli non
conservati, eccetera) può sfociare in una
impossibilità di valutare una prestazione, mentre per esprimere un giudizio sul
flusso informativo interno del servizio
tali dati sarebbero stati sufficienti.
Gli errori nel denominatore riguardano la popolazione degli utenti. In particolare per i servizi questo argomento rimanda al censimento delle attività produttive ed alla affidabilità delle diverse
fonti informative. Ogni sorgente di selezione non riconosciuta degli utenti potrebbe risultare infatti in misure della
qualità distorte. Non è difficile immaginare come un censimento dei cantieri
edili aperti sul territorio che non fosse in
grado di individuare quelli di più modeste dimensioni, gestiti da piccoli imprenditori, meno organizzati, potrebbe falsamente configurare il quadro delle inadempienze di legge presenti in tale settore produttivo.
3. ALCUNI PRESUPPOSTI
PER UNO STUDIO ANALITICO
DEI DETERMINANTI
DELLA QUALITA
In assenza di ipotesi "forti" sulle cause
di un deficit nella Qualità, si rende necessario un lavoro specifico di approfondimento analitico che renda possibile connettere certi fattori (i possibili determinanti della mancata qualità) con gli
esiti (maggior frequenze di certi risultati
tra gli "esposti", verso i "non esposti").
Dal punto di vista del tipo di studio
che può essere impostato ci si può rifare
al tradizionale schema degli studi analitici in epidemiologia, quello che cioè
prende in considerazione gli "esposti"
per verificare gli esisti di tale esposizione
a distanza (Studio di Coorte) e quello
che a partire da un particolare "esito" ricostruisce la storia di Esposizione (Studio caso-controllo). Nel primo caso ricadranno situazioni del tipo "Intervention
Trial" (ci si attende che gli "esposti a rischio", per esempio le popolazioni-Unità Produttive servite da servizi sotto-organico, abbiano livelli inferiori a quelli
della coorte di utenti "non esposti", cioè
serviti da strutture di medicina preventiva ad organico pieno); viceversa si può
usare la tecnica caso-controllo per attivare ricerche di VRQ su base locale, che
utilizzino, ad esempio, interventi "integrati" con l'Igiene pubblica "non realizzati" (casi), rispetto a quelli
"realizzati" (controlli) per capirne retrospettivamente i determinanti. Uno
schema del primo genere (coorte) è immaginabile possa essere adottato anche
in sede sovrazonale, per verificare ipotesi "a priori" circa i determinanti strutturali o di processo nei confronti di esiti diversi. Il confronto tra servizi sarebbe pertinente a questo genere di approccio. Lo
studio caso-controllo potrebbe invece
essere più adatto ad analizzare e revisionare le modalità dei proprio lavoro quotidiano di un qualsiasi servizio. Infatti si
partirebbe da casi di "mal-funzionamento" "scostamenti da protocolli procedurali adottati", per risalire all'eventuale presenza
di determinanti sui quali intervenire.
In ogni caso questo genere di studi
necessita di accurata pianificazione,
strumenti informativi ad hoc, personale
dedicato, risorse adeguate. E bene quindi intraprendere studi di questo genere
solo dopo un'adeguata valutazione sulla
loro fattibilità, così come indicato nei
paragrafi precedenti.
(*) A questo proposito si segnala che il
Gruppo VRQ-SNOP sta elaborando delle proposte di Linee-Guida sui Criteri di
valutazione della Qualità nelle attività
dei Servizi territoriali di Prevenzione nei
luoghi di lavoro e che è stato presentato
a Bologna il 4 dicembre.
BIBLIOGRAFIA
Romiti Cesare (1990) Intervento conclusivo al seminario "Piano della Qualità
Totale" Marentino 21/10/89 citato da IL
MANIFESTO del 25/04/90.
Gaber Giorgio (1973) in "Far finta di essere sani" 12-20 Settembre 1973 - Piccolo Teatro di Milano ed. Ricordi
OSSERVATORIO
EDILIZIA
Questa volta penso proprio sia il caso
di dire che "siamo arrivati in cantiere"!
II progetto obiettivo edilizia, preparato, lanciato e coordinato dal gruppo di
lavoro Snop, ha percorso tutto il tragitto
previsto ed è ora il momento di tirare le
somme.
Vale la pena di ricordare in sintesi la
storia.
Nel 1988 inizia a riunirsi a Bologna,
coordinato da Fausto Calzolari, un gruppo di tecnici dei servizi di prevenzione
delle USL provenienti da 7-8 Regioni
d'Italia, con l'obiettivo di mettere a punto un modello di intervento di prevenzione antinfortunistica nel settore edile.
Dopo quasi due anni di lavoro viene
prodotto un dettagliato "verbale di ispezione" e una serie di indicazioni procedurali e di strumenti operativi (fra i quali
spicca il "registro provinciale delle
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aziende"), in massima parte ricavati dall'esperienza delle poche realta che gia
intervenivano con sistematicita nei cantieri edili.
Nel settembre 1989 viene organizzato a Vicenza da SNOP e FLC, un convegno nazionale in cui si presenta pubblicamente il materiale prodotto e si propone a tutti gli interlocutori (USL, Regioni, Magistratura, OO.SS., Associazione
Imprenditoriali) una iniziativa straordinaria di prevenzione degli infortuni nel
settore, utilizzando metodi e strumenti
elaborati dalla SNOP.
La partecipazione ed il consenso sono
elevati, tanto che si decide di considerare il 1990 (anno dei mondiali di calcio,
e quindi di grandi opere edili) come Anno della sicurezza in edilizia.
Vengono definiti i passaggi irrinunciabili per dare omogeneità all'intervento
(vedi bollettino n. 13):
1 - considerare la vigilanza in edilizia
come attività a carattere permanente;
2 - intervenire in materia coordinata su
un territorio vasto, quantomeno provinciale (o dipartimentale);
3 - costruire un sistema informativo per
l'archiviazione dei cantieri (la proposta
è di utilizzare il modello di registro provinciale o dipartimentale);
4 - raccogliere i casi di infortunio in edilizia e svolgere le indagini per i casi
gravi.
Si scelgono gli obiettivi da raggiungere:
a - diffondere su tutto il territorio nazionale la vigilanza in edilizia, coprendo
un grave ritardo dei Servizi di prevenzione delle USL.
h - ridurre le violazioni di legge almeno
relative a rischio di caduta dall'alto e fol-gorazione;
c - ultimo obiettivo, mai detto esplicitamente per sacro timore reverenziale, la
riduzione degli indici di frequenza e
gravità per queste due cause.
A supporto dell'iniziativa si da vita sul
bollettino ad un "Osservatorio edilizia",
rubrica fissa che raccoglie alcune delle
iniziative più significative in corso nel
Paese.
Nel '90 nasce la L. 55, la cosiddetta
Nuova legge antimafia, che all'art. 18
regola il meccanismo dei subappalti e
istituisce il piano di sicurezza obbligatorio per le opere pubbliche.
Il Sindacato è sensibilissimo a questa
legge attorno alla quale partecipa e organizza numerose iniziative.
Il gruppo di lavoro SNOP si riunisce
ancora una volta per elaborare le sue
proposte sul come utilizzare il nuovo
strumento legislativo (vedi n. 18 del
bollettino).
Ed ora, a distanza di due anni, ci siamo trovati nella stessa sede di Vicenza
per tracciare un consuntivo dell'attivita
svolta sul territorio nazionale, cercando
di individuare i possibili indicatori di efficacia dell'intervento, definendo i pregi
e i difetti dell'iniziativa, mettendo a fuoco gli obiettivi centrati e i problemi ancora da risolvere.
QUALI I RISULTATI RAGGIUNTI
Ad una prima riflessione, ancora parziale e bisognosa dell'apporto di numerosi altri soggetti interessati, si possono
a mio avviso fare le seguenti considerazioni.
Sul versante degli aspetti positivi c'è
da porre il buon accoglimento del progetto e del metodo nei Servizi di prevenzione.
Con ovvie variazioni da zona a zona,
l'invito ad intervenire nei cantieri edili è
stato accolto più o meno su tutto il territorio nazionale; non da tutti, ma un po'
dovunque.
Possiamo ora affermare che la vigilanza in edilizia non è più un fatto sporadico ma è di diritto entrato nella routine
quotidiana dei Servizi di prevenzione.
Dalle notizie che abbiamo finora potuto raccogliere, risulta che in un gruppo
di Regioni si interviene in maniera massiccia e con una sufficiente omogeneità;
fra queste poniamo I'EmiIia-Romagna, il
Veneto, la Lombardia, la Toscana, la Liguria, l'Umbria.
Un secondo gruppo risente cli un carente coordinamento e quindi di una discreta disomogeneità di intervento fra le
diverse USL (Friuli Venezia Giuria, Lazio, Marche).
Vi sono poi le Regioni meridionali,
nelle quali i cronici problemi di politica
sanitaria si ripercuotono pesantemente
anche sulla prevenzione infortuni: mancano i servizi di prevenzione e, dove
esistono, c'è carenza di personale. Pur
tuttavia, arrivano segnali confortanti darla Calabria (una ULS interviene in edilizia già da 5 anni) e dalla Sicilia, che
sembrano voler superare la cronica immobilità.
Qualche segnale arriva dalla zona di
Avellino e dalla Puglia.
Dalle altre Regioni non abbiamo notizie certe.
Sappiamo altresì che in una Regione
così importante come il Piemonte, non
esiste attività di vigilanza nel settore.
Fra gli aspetti che definirei contraddittori (o non ancora sufficientemente positivi) c'è l'atteggiamento delle Regioni alle quali avevamo chiesto e richiederemo
di intervenire attivamente coordinando
la vigilanza ed inserendo il P.O. edilizia
nel P.S.R..
Da quanto abbiamo potuto raccogliere solo poche Regioni hanno inserito il
Emilia RomaP.O. nel P.S.R. (Veneto
Umbria - Toscana); c'è, da dire,
gna
peraltro, che alcune Regioni non hanno
ancora il P.S.R (esempio la Lombardia).
Non risulta poi che nessuna Regione
abbia attivamente coordinato l'intervento.
Fa storia a parte la Lombardia, la quale già nel 1988 ha costituito un gruppo
di lavoro che ha messo a punto dei
"Protocolli di intervento di attività di vigilanza" in edilizia.
Nell'ambito di questo tipo di attività
sono stati avviati dei Dipartimenti di Prevenzione al l'interno dei quali si è tentato
di omogeneizzare gli interventi.
Anche le "solite" Emilia Romagna e
Toscana segnano un po' il passo: più
che programmi per la raccolta dati e una
circolare Toscana sui Piani della Sicurezza, non si è visto.
E ovvio che se il fondamentale ruolo
dell'Istituzione non comincerà a marciare spedito nel senso della programmazione e del coordinamento della vigilanza, sarà molto difficile non dico progredire ma rimanere attestati sui livelli raggiunti oggi.
Tra gli aspetti cronicamente negativi,
porrei per prima l'assenza del Ministero
della Sanità. Mai si è attivato. Mai ha risposto all ' invito di occuparsi degli infortuni nel settore produttivo a rischio più
elevato. Ma ormai siamo abituati a considerare che la prevenzione ha un capo
(inteso come testa e cervello) che, quando va bene, è assopito.
Per quanto riguarda infine gli aspetti
più decisamente di prevenzione, in termini di riduzione delle violazioni delle
norme antinfortunistiche e degli infortuni, qualche risposta più precisa è venuta
da Vicenza e si può trovare negli Atti del
Convegno.
Ciò che si può dire fin da ora è che
dove si interviene con continuità, i cantieri cambiano aspetto.
Con un effetto a macchia d'olio si nota sempre più frequentemente che gli
impalcati dei cantieri circostanti quelli
ispezionati migliorano rapidamente.
Non ci si può certo accontentare di
questo livello, ma credo sia un segno
importante di una sensibilità che sta mutando o quantomeno di un reale passaggio di informazione.
Ciò che è fuori dubbio è che nel Settore non esiste più la quasi certezza di
rimanere impuniti, quella strana sensazione di qualche tempo fa, secondo la
quale le norme di sicurezza in edilizia
si potevano anche non rispettare.
Il progetto obiettivo va avanti.
Gli atti di Vicenza si richedono al servizio di Vicenza, via IV Novembre, 46
fotocopia di versamento lire 30.000 su
CCP SNOP.
Flavio Coato
NOTIZIARIO
REFERENDUM
AMBIENTE
IL COMUNICATO
DELLA LEGA
PER L'AMBIENTE
REFERENDUM
AMBIENTE
COMUNICATO SNOP
PROG ETTO
FINALIZZATO
AMBIENTE 1991-1995
La Lega per l'Ambiente non sosterrà
il referendum promosso dagli Amici
della Terra e dai sindaci di alcune
grandi città italiane per togliere alle
USL la responsabilità di effettuare controlli in campo ambientale per i seguenti motivi:
1) il ricorso allo strumento del referendum in questo caso è improprio.
Infatti la vittoria del referendum avrebbe come conseguenza giuridica che
nessuno in Italia avrebbe più l'obbligo
di effettuare i controlli ambientali. E
non vi sarebbe nessuna garanzia che
questo vuoto legislativo verrebbe celermente colmato da una nuova normativa legislativa. Anzi, visto l'orientamento che si sta diffondendo in molte
pubbliche amministrazioni, il referendum potrebbe aprire la strada al tentativo di sostituire i Presidi Multizonali
di Prevenzione con il ricorso a convenzioni esterne, lautamente retribuite, più facilmente influenzabili dai
committenti.
2) Le USL sono in gran parte inadempienti, ma nell'affrontare il problema delle strutture incaricate dei controlli ambientali non si può evitare di
affrontare il nodo di fondo, e cioè la
necessità di fornire loro personale e
mezzi adeguati. Questo a prescindere
dalla collocazione giuridica eformale
delle strutture a cui affidare i controlli
ambientali.
3) La stessa presenza nel comitato
promotore dei sindaci di alcune grandi
città, crediamo sia fonte di confusione.
Proprio ai sindaci compete infatti la responsabilità del funzionamento delle
USL e della salvaguardia della salute
dei cittadini.
L'inadeguatezza dei controlli (peraltro non generalizzata) non può divenire un alibi per non prendere provvedimenti da tempo necessari per salvare
la qualità della vita delle nostre città.
Ci auguriamo comunque che la raccolta cli firme avviata contribuisca al
dibattito, da tempo aperto, per affrontare la questione dell'efficacia e attendibilità dei controlli e della certezza
del diritto nel campo dell'applicazione
della legislazione ambientale.
La SNOP, venuta a conoscenza del
testo con il quale il Gruppo Promotore
indice una raccolta di firme per i referendum volta "alla sottrazione dei
controlli ambientali alle USL", esprime
il più fermo dissenso sulle motivazioni
adottate, prive di qualsiasi rigore
scientifico e di dubbia onestà culturale, che si inseriscono a pieno titolo in
una campagna demagogica, senza alcuna volontà di individuare le reali responsabilità e senza il minimo sforzo
per valutare le proposte innovative,
avanzate recentemente anche dalla
SNOP, per il potenziamento e il completamento della rete dei Servizi di
Prevenzione e Tutela Ambientale nel
nostro Paese, di cui i Servizi delle USL
e i Presidi Multizonali di Prevenzione
costituiscono i nodi strutturali fondamentali.
Nell'esprimere il rammarico e lo
stupore degli Operatori della Prevenzione nell'apprendere che fra i membri del Comitato Promotore figurano
anche esponenti politici coi quali la
SNOP ha più volte intrapreso importanti iniziative nel campo della tutela
dell'ambiente, alcuni dei quali anche
firmatari del Patto di Consultazione
Ambientale siglato nel 1987 dagli allora candidati alle Elezioni Politiche (e
che prevedeva l'impegno per il rafforzamento dei Servizi delle USL), affermiamo il nostro impegno in tutte le Sedi di confronto per smascherare il carattere demagogico e qualunquista
dell'iniziativa referendaria, che nulla
ha a che vedere con una seria battaglia
per lo sviluppo ed il rafforzamento delle strutture pubbliche di prevenzione
e tutela dell'ambiente.
L'Istituto Superiore di Sanità ha varato il Progetto Finalizzato AMBIENTE
1991-1995. In tale ambito il Sottoprogetto AMIANTO prevede la linea di ricerca: "documentazione e informazione, educazione sanitaria di popolazione esposta a fottori di rischio da
amianto". Tale linea, prendendo atto
dell'impegno sviluppato a livello locale, soprattutto nell'ambito dei Servizi
di USI. e di PMP, intende censire, a livello nazionale
come obiettivo a
breve termine
gli strumenti realizzati, anche in collaborazione con altri
Enti, sotto qualsiasi forma: letteratura
grigia (documentazioni e raccolte a
carattere interno); pubblicazioni; libri;
opuscoli; audiovisivi; materiale didattico, ecc., riguardanti rischi e danni da
asbesto.
Tale censimento, oltre a voler documentare quanto finora realizzato, ha io
scopo di permettere: 1) una più ampia
diffusione e utilizzazione dei risultati
delle attività di ricerca e di sorveglianza/controllo; 2) la messa a punto
di una base di dati bibliografici e fattuali; 3) la messa a punto di materiale
informativo, a livello nazionale, direttamente utilizzabile per omogeneità di
problema e/o di rischio.
Coloro che abbiano già prodotto
quanto sopra specificato o sono in via
di produrne sono invitati a prendere
contatti con:
- M. Cristina Calicchia, Istituto Superiore di Sanità, viale Regina Elena,
299, 00767 Roma.
Tel e fax 06/4440235
- Marco Biocca, SEDI, USL/28 via Triachini 17, 401.38 Bologna.
Graziano Frigeri
Presidente SNOP
Maria Cristina Calicchia
ssmimr
UNICHIM:
ISCRIZIONE GRATUITA
Forse non tutti sanno che le unità
Sanitarie e i Presidi Multizonali di Prevenzione possono iscriversi gratuitamente a UNICHIM, l ' Associazione per
l ' Unificazione nel Settore dell'Industria Chimica, che è il "braccio chimico" dell'UNI.
L'iscrizione dà diritto a ricevere gratuitamente il Bollettino dell'Associazione, ad uno sconto sulle pubblicazioni e per la partecipazione alle iniziative (corsi, convegni...) organizzate
da UNICHIM.
Tra le molte pubblicazioni di UNICHIM, citiamo le metodiche per campionare e misurare:
- le nebbie di olio nell'aria
- le fibre di amianto mediante microscopia ottica
- il materiale corpuscolato nei fumi di
saldatura
- la silice libera cristallina nei materiali
e nelle polveri atmosferiche
- le polveri atmosferiche
- le polveri atmosferiche mediante
campionamenti di breve durata
- la frazione respirabile delle polveri
atmosferiche
Questi sono solo alcuni dei metodi
approntati, che permettono di standardizzare campionamento ed analisi, in
modo da ottenere dati affidabili, e riproducibili; alcune di queste metodiche (per le emissioni atmosferiche, ad
esempio) sono recepite in Leggi dello
Stato.
Nel settore della prevenzione nei
luoghi di lavoro-sovente le problematiche connesse alle metodiche di campionamento (e analisi) sono trascurate:
UNICHIM offre l'occasione di migliorare il lavoro che svolgiamo e lo spazio, con i suoi comitati tecnici, di partecipare alla ulteriore definizione delle
norme.
L)NICHIM
pie Morandi, 2
20121 MILANO
tel. (02) 76004450/794205
fax (02) 76014176
A PAVIA
IV CONGRESSO
DELLA SOCIETÀ
NAZIONALE PER LA
VERIFICA E , REVISIONE
DI QUALITÀ
Si è svolto dal 23 al 25 settembre il
quarto convegno della società italiana
di VRQ. Alla presenza di un numero
molto ampio di operatori sanitari (medici, infermieri, dirigenti del comparto
sanità) si sono articolati i lavori che
hanno affrontato molteplici tematiche
legate alla qualità dell'assistenza e delle cure prestate dai "Sistema" sanità.
Moltissime le comunicazioni, numerose anche le tavole rotonde, le sessioni parallele, le sessioni poster. Colpiva
soprattutto la presenza di un numero
rilevante di contributi derivanti dal
mondo sommerso e spesso denigrato
della sanità di base, quelli che una volta erano detti medici di famiglia. Si è
in presenza di un diffuso (anche se difficilmente quantificabile) movimento
di medici delle ultime generazioni i
quali cominciano a ragionare in termini non più individualistici alla propria
professione sul territorio e che di conseguenza cercano di migliorare la qualità del proprio agire chiedendo aiuto
a mezzi e tecniche di derivazione epidemiologica. Colpiva nella specifica
situazione sentir parlare di esperienze
di "Audit" per situazioni di gestione
extramurale di pazienti affetti da patologie croniche, di "revisione fra pari"
in medicina generale, di programmi di
miglioramento dei rapporti fra medici
di famiglia e reparti ospedalieri del bacino corrispondente. Segno che qualcosa si muove nel pur terribilmente arretrato e reazionario mondo della professione medica. Merito della Società
di VRQ aver favorito l'emergere di
queste esperienze dando loro, oltre
che un palco da cui parlare, anche un
contesto internazionale di riferimento
(in particolare la grande tradizione anglosassone sempre presente sullo
sfondo). All'osservatore SNOP è balzata anche agli occhi l'assoluta scarsità
di contributi pervenuti dall'area della
prevenzione: in tutto 4 lavori di igienisti e la sola comunicazione del Gruppo SNOP con qualche riferimento alla
medicina del lavoro. Vale la pena di
soffermarsi brevemente sui lavori dei
colleghi dell'igiene pubblica. II primo,
dei colleghi del servizio della USL 35
di Ravenna, riferiva della sperimentazione di un sistema informativo in un
servizio di igiene pubblica orientato
alla gestione per obiettivi e alla valutazione di qualità. Il secondo, dei valenti
colleghi di Legnano capeggiati da
Amadei, si riferiva invece al metodo di
VRQ applicato alle attività certificatorie di un servizio territoriale di prevenzione, giungendo a concludere, dati
alla mano come si suol dire, sull'inutilità ed anzi dannosità (quantomeno in
termini economici, leggi tickets) delle
attività di rilascio di attestati vari da
parte del servizio di igiene pubblica.
Un terzo lavoro presentato da operatori di Pavia in collaborazione con un ricercatore del King's college Hospital
di Londra, si riferiva all'Audit nei servizi di Igiene Pubblica: l'opinione dei
cittadini sugli interventi per inconvenienti igienici. Anche in questo caso
gli autori spezzano, documentatamente, una lancia a favore della programmazione degli interventi nei confronti
degli interventi cosiddetti "su chiamata", dimostratisi di scarsa efficacia nel
soddisfare i bisogni dei cittadini richiedenti, nonché fonte di frustrazione per
il personale dei servizi, a causa anche
dell'errato indirizzamento da parte
dell'utenza di tali richieste (richieste di
intervento per inconvenienti che ben
poco hanno a che fare con problemi
sanitari i). L'ultimo contributo proveniva dal Friuli e riguardava un'esperienza di formazione del personale infermieristico nella pratica vaccinale.
Come si vede il panorama nel settore dei servizi di prevenzione sul territorio è ancora molto povero. E auspicabile che già dal prossimo convegno
di questa società venga dedicato uno
spazio apposito a queste esperienze,
chiamando maggiormente a raccolta
gli operatori della prevenzione.
Alberto Baldasseroni
MANUALE
SUGLI SCREENING
DI FUNZIONALITÀ
RESPIRATORIA
Di tale manuale, prodotto in forma
di supplemento al bollettino SNOP n.
16 del luglio-settembre 1990 ed inviato a gran parte dei servizi territoriali di
Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, risultano disponibili ancora alcune
copie.
Chi non lo avesse ricevuto, può richiederlo a:
Pavilio Piccioni - Unità Operativa Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro USSL
68 - V. Baroncini 11 - 14100 ASTI
n. fax 0141/392489
EPI DEMOLAGIA
AMBIENTALE
L ' epidemiologia ambientale affronta
lo studio delle connessioni fra esposizioni a specifici fattori ambientali e insorgenza di malattie, con lo scopo di
fornire basi scientifiche agli interventi
di risanamento ambientale, per quanto
attiene alla tutela della salute umana.
Con questo convegno l'Associazione Italiana di Epidemiologia intende
fornire una panoramica aggiornata
delle indicazioni emerse dagli studi di
epidemiologia ambientale a livello internazionale, una rassegna delle esperienze italiane ed una discussione degli sviluppi di questa disciplina, con
particolare riferimento ai problemi
emergenti ed ai recenti progressi della
metodologia d'indagine.
Programma provvisorio
Il convegno si articolerà in sessioni
di relazioni invitate, di comunicazioni
orali e posters ricevuti su argomenti
inerenti al tema generale di Epidemiologia Ambientale.
Argomenti previsti:
1. Studi epidemiologici: geografici,
analitici e di sorveglianza
2. Tipologia e valutazione delle esposizioni
3. Stima e valutazione dei rischi
4. Indicatori biologici e biochimici (di
esposizioni, effetto e suscettibilità)
5. Sviluppi dei metodi di Epidemiologia Ambientale
6. Percezione ed antropologia del rischio
Quantificazione e riconoscimento
dei rischi in sede giuridica
Il programma definitivo verrà inviato entro il 30 gennaio 1992 ai soci AIE,
SNOP e a quanti ne faranno richiesta
alla segreteria organizzativa. I partecipanti interessati a presentare una comunicazione orale o poster sono pregati di inviare un riassunto scritto entro
e non oltre il 30 novembre 1991 al seguente indirizzo:
Segreteria Organizzativa Registro Tumori del Veneto, via Giustiniani, 7
35128 PADOVA tel. 049/8213890-1
fax: 049/8213396.
L'accettazione verrà comunicata entro
il 15 dicembre 1991. 1 riassunti accettati verranno pubblicati nel volume
degli atti. La partecipazione al convegno è GRATUITA.
CONVEGNI, CONGRESSI & C.
Promosso dal FORUM VERDE
"RISORSE E RIFIUTI"
Convegno nazionale su:
riduzione risorse rinnovabili riuso
riciclo
PRODURRE
MENO RIFIUTI
E RICICLARLI
Bologna, Piazza Maggiore
Sala Notai - via dei Pignatari
Sabato 14 dicembre 1991
ore 10-18
ASSOCIAZIONE ITALIANA DI
EPIDEMIOLOGIA
XV Riunione Annuale
EPIDEMIOLOGIA AMBIENTALE
Venezia, 1-3 aprile 1992
Segreteria Organizzativa
REGISTRO TUMORI DEL VENETO
Via Giustiniani, 7
35128 PADOVA
tel.: 049/8213890-1
fax: 049/8213396
WORKSHOP INTERNAZIONALE
"AUDITING AMBIENTALE
ED ECO-BILANCI DI IMPRESA"
3-4 febbraio 1992 Sala Congressi
F.A.S.T. Piazza Morandi, 2
Milano
Per qualsiasi informazione,
richiesta, critica, consiglio o
chiarimento, contattare:
Dario Continenza / Doccia Bianchi
/ Anna Melone
Istituto di Ricerche Ambiente Italia
Via Carlo Poerio, 39 - 20129
Milano
rel. (02) 29406175
fax (02) 29406213
Regione Toscana
U.S.L. n° 3 Versilia - Servizio
P.I.S. L.L.
Società Gestione Mostre Viareggio
S.p.A.
Convegno
Nazionale
COSTRUZIONE DI
IMBARCAZIONI IN VETRORESINA:
ANALISI DEI PRINCIPALI RISCHI
E VALUTAZIONE
DELLE BONIFICHE DEI LUOGHI
DI LAVORO
Viareggio - maggio 1992
Segreteria Organizzativa
Sig.ra Chine/1i C. (Viareggio)
P I. Saccardi Pi (Viareggio)
P. l. Calletti E. (Ravenna)
Sede: Società Gestione Mostre
Viareggio S.p.A.
Via Coppino, 1 18 - 55049 Viareggio
Tel. 0584/3831 14 - 383583
Fax 0584/388147
SNOP
Osservatorio nuovo codice di
procedura penale
3° incontro
INFORTUNI E TUMORI
PROFESSIONALI: QUALE RUOLO
PER I SERVIZI DI PREVENZIONE E
PER LA MAGISTRATURA
Torino 19-20 marzo 1992
Centro incontri della Cassa di
Risparmio di Torino - C.so Stati
Uniti, 23
rif. Andrea Dotti
U.S.L. n. 1
Via Lombroso, 16
10125 Torino
Tel. 011/6502148
fax 011/6503149
DOC
La Regione Veneto nell'85 ha emanato una legge "Legge Regionale 23
aprile 1985 n. 34" in cui definita i livelli e le aree di intervento per la prevenzione dei tumori:
- epidemiologia
- prevenzione primaria
- prevenzione secondaria
- diagnosi, cura e riabilitazione
- interventi educativi
- ricerca
Questa legge indicava i Servizi di
Prevenzione, Igiene e Sicurezza come
struttura di riferimento per indagini
epidemiologiche e per le attività di
prevenzione primaria (ricerca, mappatura dei rischi, attuazione degli interventi di bonifica). Sulla base di questa
normativa, ripresa anche dal recente
Piano Socio Sanitario, lo SPISAL dell'ULSS 27 ha elaborato un piano di lavoro che è stato approvato dal Comitato Oncologico dell'ULSS, tuttora in fase di attuazione.
REGIONE VENETO
PROGETTO
PER LA PREVENZIONE
DEL RISCHIO
CANCEROGENO IN
AMBIENTE DI LAVORO
I. PREMESSA
Allo stato attuale e molto difficile stimare con precisione la quota di tumori
riconducibili ad una esposizione professionale.
Le ragioni di questo sono dovute a
diverse cause, che provo a sintetizzare:
1.1 - assenza di nozioni sul rischio
professionale e di una visione epidemiologica della patologia da lavoro
del medico non specialista in medicina del lavoro;
1.2 - presenza di vari fattori di confondimento, per i possibili effetti combinati che condizioni ambientali o abitudini di vita, possono avere fra loro;
1.3 - lunghi periodi di latenza tra esposizione ed insorgenza della patologia
(20 - 30 anni);
1.4 - carenza di sistemi informativi sull'esposizione lavorativa (cicli produttivi, sostanze, misure preventive);
1.5 - inesistenza o carenza di dati disponibili sulla valutazione di eventuali
effetti a lungo termine per le 20.00030.000 sostanze di uso industriale nel
mondo;
1.6 - carenza di sistemi informativi-sanitari:
- cartelle cliniche prive di anamnesi lavorativa
- registro tumori ospedalieri
- registro diagnosi di dimissione
1.7 - insufficiente flusso informativo
nell'articolazione della rete sanitaria,
con conseguente blocco dell'informazione.
di industrie del legno con 4.000 lavoratori esposti; e del mesotelioma pleurico per il largo uso di asbesto che tutt'oggi viene fatto in diversi settori produttivi del nostro territorio. Questi tumori sono definiti di "1a classe di attribuibilità professionale" da fonti scientifiche ufficiali.
E evidente tuttavia che lo studio non
va polarizzato su uno specifico rischio, ma deve tener conto anche degli altri di diversa natura.
2. DATI GENERALI SUL FENOMENO
Gli studi fatti per calcolare la proporzione di tumori legati a cause occupazionali, secondo stime più prudenti, attribuiscono circa il 2%-3% del
totale dei tumori diagnosticati.
Si può quindi stimare che alla luce
delle 129.949 morti per tumori in Italia
nel 1984, le morti attese per tumore da
cause professionali siano 2.598. Il fenomeno quindi è tale da porsi a livello
di emergenza sanitaria, pari a quello
infortunistico, che conta, sempre nel1'84 1.200 decessi.
Le stime derivano da una ricca e
complessa letteratura scientifica di studi epidemiologici e giuridica oggi esistente, che documenta in modo oramai inequivocabile l ' associazione
causale tra alcune esposizioni professionali e tumori.
Nella nostra ULSS, considerando il
tessuto produttivo, possiamo ritenere
come scelta prioritaria lo studio dell'adenocarcinoma del naso e dei eni
paranasali, per l'alta concentrazione
L'identificazione del rischio oncologico occupazionale deve avere in ogni
programma di "prevenzione tumori"
un'attenzione superiore a quella che
attualmente viene dedicata, tenendo
conto anche dei riflessi medico-legali
che viene ad assumere questo fenomeno.
3. OBIETTIVI
a) conoscenza della patologia tumorale professionale nella nostra ULSS;
b) individuazione dei cicli produttivi e
delle sostanze a rischio cancerogeno;
c) definizione della popolazione pro(registro
fessionalmente esposta
esposti);
d) prevenzione primaria negli ambienti di lavoro;
e) prevenzione secondaria attraverso
la sorveglianza sanitaria dei lavoratori
esposti;
f) riconoscimento assicurativo dei tumori professionali.
Tab. 1 - Associazione evidente tra esposizione e organo bersaglio
SEDE DEL TUMORE
SOSTANZA CHIMICA, PROCESSO, INDUSTRIA
FEGATO (tutti i tumori)
AFLATOSSINE
FEGATO (angiosarcroma)
CLORURO DI VINILE MONOMERO
PERITONEO (mesoreiioma)
ASBESTO
NASI E SENI PARANASALI
(tutti i tumori)
forte. Raffinazione del Nichel.
NASI E SENI PARANASALI
(adenocarcinoma)
Fabbricazione e riparazione di calzature.
Fabbricazione di mobili.
POLMONE, TRACHEA,
BRONCHI
ARSENICO ED ALCUNI COMPOSTI DELL'ARSENICO
ASBESTO
BISCLOROMETILETERE
CROMO ED ALCUNI COMPOSTI DEL CROMO
GAS MOSTARDA
RAFFINAZIONE DEL NICHEL
PLEURA (mesortelioma)
ASBESTO
PELLE (tutti i tumori)
ARSENICO ED ALCUNI COMPOSTI DELL'ARSENICO
METHOXSALEN con tendenza ultravioletta.
Fuliggini, catrami, ohi minerali.
UTERO (endometrio)
ESTROGENI CONIUGATI
UTERO (cervice)
DIETILSTILBESTROLO
VAGINA
DIETILSTILBESTROLO
VESCICA
Aminodifenile
Produzione di alcool isopropilico con il processo all'acido
Produzione dell'aurarnina
BENZIDINA
N-N BIS 12 CLOROETILI 2-NAFTILAMINA
CICLOFOSFAMIDE
2NAFTILAMINA
INDUSTRIA DELLA GOMMA
PELVI RENALE
ANALGESICI CON FENACETINA
LINFOMA
AZATIOPIRINA
LEUCEMIA
BENZENE
MYLERAN
ALCUNE POLICHEMIOTERAPIE PER LINFOMI
CLORAMBUCILE
MELFALAN
TREOSULFAN
FABBRICAZIONE E RIPARAZIONE DI CALZATURE
INDUSTRIA DELLA GOMMA
4. PROGETTO ONCOLOGICO
Sulla base di queste considerazioni,
tenendo conto del quadro normativo
cli riferimento (in appendice), lo SPISAL, nell ' ambito dei propri compiti di
istituto, intende avvviare un intervento
programmato, a carattere permanente,
per la prevenzione del rischio cancerogeno negli ambienti di lavoro.
La definizione della strategia tiene
conto dei dati oggi disponibili o avvicinabili e delle ampie possibilità di
prevenzione primaria.
Infatti i tumori professionali si concentrano in gruppi ristretti di persone
e con un alto rischio di malattia che
può essere eliminato una volta identificato e rimosso l'agente cancerogeno.
La metodologia che ci si propone si
sviluppa su due fronti:
- nell'ambiente di lavoro;
- nell'ambiente sanitario (gestione anagrafe oncologica).
4.1 Ambiente di lavoro
4.1.1 - acquisizione dei dati sui cicli
produttivi e sulle sostanze impiegate e
sui lavoratori esposti;
4.1 .2 - stima della rilevanza del rischio
con:
- sopralluoghi;
- ricerca bibliografica sui prodotti chimici;
4.1.3 - prevenzione tecnica: con protocollo mirato di prescrizio ne per singole mansioni a rischio;
4.1.4 - sorveglianza sanitaria: monitoraggio continuo con protocolli di accertamenti sanitari periodici per la diagnosi precoce dei tumori;
4.1.5 - informazione ed educazione
sanitaria;
4.1.6 - indagini epidemiologiche retrospettive o prospettiche ove si giudichi
opportuno. A questo proposito si ricorda che il Servizio è inserito nel "Progetto oncologico Regionale" Legge
Regionale n. 34 del 23/04/1985 con Io
studio caso-controllo multicentrico
sulle neoplasie maligne del sistema
emolinfopoietico in Italia, in collaborazione con l'Istituto di Anatomia e
Istologia Patologica dell'Università degli studi di Verona.
Lo studio è coordinato dal Dr. Paolo
Vineis del Dipartimento di Scienze
biologiche e oncologia umana dell'Università di Torino e dalla Dr.ssa
Rossella Costantini del Centro per lo
studio e la Prevenzione Oncologica di
Firenze;
4.1.7 - archivio di lavoro:
- elenco esposti o ex esposti;
- elenco sostanze;
- elenco aziende;
Anagrafe oncologica
Attivazione cli un flusso informativo
sulle neoplasie di probabile natura
professionale:
- carcinoma polmonare;
- adenocarcinoma della vescica;
- adenocarcinoma del naso e dei seniparanasali;
- mesotelioma pleurico e peritoneale;
- angiosarcoma epatico;
- leucemia;
4.2
4.2.1 - il flusso dei dati deve confluire
allo SPISAL attraverso:
- Ospedale dell'ULSS 27 (Bovolone e
Zevio) in quanto nel registro tumori
ospedaliero sono classificate/archiviate tutte le diagnosi di dimissione per
tumore.
- COM (Centro Oncologico Multizonale ULSS 28) e COR (Centro Oncologico Regionale) di Verona in quanto
confluiscono come "centro di riferimento" le diagnosi di dimissione per
tumore relative a casi di ricovero di
tutti gli Ospedali della provincia di Verona;
- S.I.P. (Servizio di Igiene Pubblica) che
dispone di un proprio archivio delle
schede di morte (ISTAT).
4.2.2 - studio dei "casi" con valutazione (anamnesi lavorativa) dell'esposizione professionale. Per questo aspetto
si vede la necessità di una integrazione
della cartella clinica e della scheda di
dimissione;
4.2.3 - inchiesta sanitaria dei casi sospetti;
4.2.4 - valutazione igienico-ambientale del rischio, dove è possibile;
4.2.5 - protocollo generale di prevenzione tecnica;
4.2.6 - gestione di un registro tumori
professionali CO/ULSS;
4.2.7 - eventuali provvedimenti di tipo
medico-legale, una volta stabilito il
nesso di causa.
5. RISORSE
Per realizzare il progetto è possibile
prevedere il fabbisogno di personale e
di strumentazione informatica:
Personale
1 medico a tempo pieno;
1 assistente sanitario a tempo parziale;
1 amministrativo a tempo pieno;
1 tecnico chimico a tempo parziale.
Strumentazione
1 personal computer con accesso alla
rete ospedaliera.
Il fabbisogno di spesa si aggira sugli
80 milioni/anno (circa).
APPENDICE
- DPR 19 marzo 1950 n. 303 "Norme
generali per l'igiene del lavoro";
- DPR 30 giugno 1965 n. 1124 "Testo
unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali";
- L.R 30 novembre 1982 n. 54 "Pre-
venzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro";
- L.R 23 aprile 1985 n. 34 "Progetto
oncologico regionale: integrazione alla legge regionale 2 aprile 1984, n. 13
- Piano socio-sanitario regionale, triennio 1984-1986"
Aree di intervento: 1 - Epidemiologica
- Prevenzione primaria
- Delibera del Comitato di Gestione
dell'ULSS 27 del 28/4/87 "Istituzione
e composizione del comitato oncologico dalla L.R 23/4/1985, n. 34
- Piano Socio-Sanitario del 25.7.89
11.2
LIBRERIA
Marco Blocca
Rossella Salmaso
LAVORATORI IMMIGRATI E ATTIVITÀ DEI SERVIZI DI MEDICINA PREVENTIVA E IGIENE DEL LAVORO
Documentazione preliminare
Regione Emilia Romagna - SEDI
Dossier n. 6 - Marzo 1991
AMBIENTE E TERRITORIO
Appunti per una politica possibile
Edizioni Ediesse
Roma 1991 Lire 21.000
Pur essendo ancora poco numerosi
nel nostro Paese gli studi epidemiologici (anche) sulle condizioni di salute
dei lavoratori immigrati, un dato emerge con tutta evidenza: i lavoratori stranieri, indipendentemente dalla loro
nazionalità, presentano eccessi di
mortalità per incidenti e morte violenta, presumibilmente sia perché generalmente addetti ad occupazioni più
rischiose (ad esempio nella cantieristica, nel lavoro stagionale agricolo, nella siderurgia...), sia perché costretti in
condizioni diffuse di emarginazione
che rende estremamente problematico: dormire al caldo, mangiare in modo sano...
Tutto ciò impone a tutti i servizi delle U.S.L. una sempre più complessa e
qualificata attività di prevenzione e assistenza.
Questo primo dossier offre a tutti
una scelta di materiali di lavoro e di riflessione su questo tema.
Da richiedere a
Sedi
Via Triachini, 17-40138 BOLOGNA
Tel. 051/392436
Fax 051/392416
Il territorio non è una risorsa illimitata, anzi è un bene sempre più scarso,
specialmente in Italia dove si registra
il record mondiale di produzione di
cemento. Ma è il territorio stesso- se
ben osservato e compreso - a suggerirci crome organizzare una politica
che, basandosi su una forte qualità
ambientale, favorisca uno sviluppo sociale qualitativamente elevato.
Il contenuto del libro - costituito
dalle relazioni presentate al Seminario
di formazione sindacale "Ambiente e
Territorio", organizzato dall'Associazione GAIA (recentemente promossa
dalla CGIL di Bologna) in collaborazione con la CGIL Emilia-Romagna
spiega i motivi che rendono necessario, per la gestione del territorio e delle
acque, un approccio di tipo sistemico,
SNOPIUM
QUALE DELLE TRE?
Soluzioni del numero diciannove
= merli, Merluzzi; 12 = ars, e, Nico, arsenico; 13 = nocino, nocivo;
14 = sirene, stirene; 15 = aceto, acetane; 16 = piombo, Piombino; 17 =
cianuri, pianure; 18 = curaro, curato;
19 = zirlo, Zurlo; 20 - IM, postura,
impostura; 21 = cattivo, attivo; 22 =
Albertosi, asbestosi; 23 = Vi narro sete, vctroresina; 24 = Ivan, navi; 25 =
riforma sanitaria sanitario piane piane liscie silice quarto quarzo volturno volturo emilio emilia sedi dies
irae arie aria inquinamento camino
manico maico curvai cesena cesana
stress.
11
calibrato su quell'unità territoriale
"naturale" che è il bacino idrografico.
Esaminando la Legge 183/89, che istituisce le Autorità di Bacino Idrografico, il testo formula le proposte per
un'efficace politica ambientale che
coinvolga enti locali, associazioni, sindacati.
L'attualità del libro è data dalle concrete possibilità d'intervento che tale
legge fornisce, innovando fortemente
l'assetto delle precedenti strutture tecnico-amministrative degli enti pubblici.
La struttura del libro è costituita: dalla "Presentazione" (che illustra i motivi per cui il sindacato si occupa di tale
tema, ed il metodo didattico usato);
dalle "Relazioni" (che raccolgono gli
interventi dei massimi esperti nazionali sul tema illustrato: G. Colli, G. Nebbia, G. Cannata, A. Cutrera, G. Damianr); dagli interventi a una Tavola
Rotonda cui hanno partecipato dirigenti sindacali a livello nazionale e regionale; da una parte relativa alla contrattazione territoriale ed alla realtà regionale (R. Lewanski, F. Anderlini, P.L.
Cervellalr).
Il libro testimonia di un tentativo, da
parte del sindacato, di occuparsi - utilizzando un metodo didattico originale,
basato sui lavori di gruppo, oltre che
sulle relazioni --di temi nuovi, riconoscendoli come fortemente connessi sia
con le problematiche del mondo del lavoro, sia con la promozione di una
qualità sociale complessiva.
La redazione
Una delle tre risposte descrive correttamente le lettere maiuscole
AIA
1 Esclamazione del titolare artigiano
quando ci presentiamo come UPG
dell'USL
2 Capitale dei Paesi Bassi
3 Agenzia internazionale che si occupa della sicurezza nell'uso dell'asbesto
ACG I H
1 di solito si risponde "salute!"
2 Conferenza degli igienisti americani
3 (va letto a ritroso) ho io grandi conoscenze. altolocate?
GIP
1 mezzo di trasporto fuoristrada
2 magistrato
3 puntata minima al poker
NIP
1 nuovi insediamenti produttivi
2 non implica prevenzione
3 persona non importante
OSHA
1 organo di vigilanza negli USA
2 espressione africana per ringraziare
3 toscanismo per "segmento prossimale dell'arto inferiore": - che ti garban
le bimbe di 'osha lunga? TLV
1 Te Lo Vai...
2 Tutti Li Vogliono
3 Valore limite (di) soglia
VRQ
1 Via, Rimane (la) Quantità!
2 Volete Rompere (anche) Qui
3 Verifica (e) Revisione (di) Qualità
a cura di Borg
DIRETTIVO SNOP
Emilia Romagna
Graziano Frigeri
(Presidente SNOP)
SMIPL - USL n. 7
via Toschi, 3
43013 Langhirano PR
Tel. 0.521/858163-852710
Fax 0521/853723
Piemonte - Val d'Aosta
Andrea Dotti
(segretario regionale)
SISL - USSI. n. I
via Lombroso n. 16
10125 Torino
Tel. 011/6502148-5754290
Fax 011/6503149
Sardegna
Antonio Omnis
(segretario regionale)
USL n. 15
Via Tirso 71
09037 S. Gavino
Tel. 070/9375204
Liguria
Rossella cl ' Acqui
(segretario regionale)
USL n. 10
via Jori n. 30/A
16159 Genova
Tel. 010/490050
Abruzzo
Silverio Gatta
(segretario regionale)
Servizio Medicina del Lavoro
via della Stazione
65026 Scafa PE
Tel. 085/8541 276
Luigi Salizzato
Usi n. 39
via Fiorenzuola, 1
47023 Cesena FO
Tel. 0547/352483
Claudio Calabresi
(Ufficio di Presidenza)
Unità Operativa Igiene e Sicurezza
Ambienti di lavoro USL n. 12
piazza S. Matteo n. 15
16123 Genova
Tel. 010/297780-280632
Campania
Felice dell'Armi
(segretario regionale)
USL n. 4
C. da IZiverano
83024 Monteforte Irpina AV
Tel. 0825/203168
Lombardia
Laura Bodini
(Vicepresidente SNOP
direttore rivista)
UOTSLL - USSL n. 65
via Oslavia, n. 1
20099 Sesto S. Giovanni MI
Tel. 02/2499631
Fax 02/26223083
Friuli
Cristina Driussi
(segretario regionale)
USL n. 6
via Sottomonte n. 8
33038 S. Daniele del Friuli UD
Tel. 0432/955674
Fax 0432/949355
Calabria
Cirillo Bernardo
(segretario regionale)
UOMI..
via Discesa Poerio n. 3
88100 Catanzaro
Tel. 0961/25809
Elio Tagliabue
(segretario regionale)
UOTSLL-USSL 12
Via Cavour, 10
22063 Cantù (CO)
Tel. 031/705330
Fax 031/715716
Toscana
Domenico Taddeo
(segretario regionale)
SPISAL - USSL n. 17
viale Europa
56022 Castelfranco di Sotto PI
Te!. 0571/269625
Fax 0571/269649
Puglie
Fulvio Longo
(segretario regionale)
USL BA/14
via Lecce n. 5
Casamassima 13A
Tel. 080/674832
Enrico Cigada
(tesoreria)
Servizio n. 1 - USSL n. 65
Via Oslavia n. 1
20099 Sesto S. Giovanni MI
Tel. 02/2499625
Fax 02/26223083
Lazio
Aurora di Marzio
(segretario regionale)
USL RM/7
viale della Letteratura n. 14
00144 Roma
Tel. 06/591 5962
Eva Francesconi
(segretario regionale)
SMIPL - USL n. 37
c.so Beccarini n. 16
48018 Faenza RA
Tel. 0546/673755
Fax 0546/664789
p
P » GP
ì4b
o,
Z22
Veneto
Emilio Ciprani
(segretario regionale)
SPISAL - USL n. 26
via Foro Boario n. 28
37012 Bussolengo VR
Tel. 045/6700500
Marcello Potì
SPISAL-USSL n. 20
via P. Cosma n. 1
35012 Campo Sampiero PD
Tel. 049/5790500
-
Marche
Giuliano Tagliavento
(segretario regionale)
Settore Med. del Lavoro USL n. 13
vicolo Talleoni n. 2
60027 Osimo AN
Tel. 071/7130330
Fax 071/71.30209
Umbria
Armando Mattioli
(segretario regionale)
via del Campanile 12/A
06034 Foligno PG
Tel. 0742/20502
Altri riferimenti
Antonio Cristofolini
Servizio Medicina del Lavoro
via Malta n. 6
38100 Trento
Tel. 0461/230030
Stefan Faes
Via Anita Alegi 5
39100 Bolzano
0471/286530
Francesco Cardi
Igiene del Lavoro
Via Vaccaro, 5
90145 Palermo
Tel. 091/6969328
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Numero 20/21