}r^!{ r ^ ' . : . ': .Y^ ^Rti`t^` ^t` ' t :^^ss.i - . y.}• ?;Gi'r::::: • • ^^:_.................................................:.:.:....:.......................:w... s:, :.^ ^::^ ; 't:: r': r }•;: . aS-rv rv, c;::: e:.^aiisx:.w:v: •... x f{-^^r'.• r^.+s:.•,. s_ _• _ :................... ^:r SNOP SOMMARIO Rivista trimestrale della Società nazionale degli operatori della prevenzione EDIIORIALE Quantità e/o qualità di Alberto Baldasseroni NUMERO 20-21 SETTEMBRE-DICEMBRE 1991 SCHEDE REGIONALI Sardegna Autorizzazione Tribunale di Milano n. 416 del 25/7/86 Direttore respons. Giancarlo D ' Adda Direttore: Laura Bodini Prog. grafico e disegni: R. Maremmani Redazione: Milano, via Mellerio 2 Alberto Baldasseroni CONTRIBUTI Ergonomia: un esempio pratico PAGINA 8 di Paolo Ricci sped. in abb. postale gruppo IV (70%) Stampa: Cooperativa editoriale "Nuova Brianza", 22065 Cassago B.za {Co} Tel. 039/9210981 - 3 linee r.a. Abbonamenti Lire 20.000 per quattro numeri Lire 30.000 per otto numeri Tramite versamento postale su cc n. 20012407 intestato a SNOP - Società Nazionale - Via Ciamician 2, Bologna, indicando la causale del versamento e l'indirizzo a cali spedire la rivista. Dallo statuto Snop Art. - E costituita l'Associazione denominata "Società Nazionale Operatori della Prevenzione", in sigla SNOP, con finalità scientifiche e culturali e con l'obiettivo di: - promuovere conoscenze ed attività che sviluppino la prevenzione e la tutela del benessere psicofisico dei lavoratori e della popolazione in relazione ai rischi derivanti dall'attività produttiva; - sostenere l'impegno politico e culturale per lo sviluppo di un sistema integrato di servizi pubblici di prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, finalizzato alla rimozione dei rischi derivanti dalle attività produttive; - favorire lo scambio di esperienze e informazioni fra gli operatori ed il confronto sulla metodologia ed i contenuti dell'attività per raggiungere l'omogeneità delle modalità di intervento e della qualità di lavoro a livello nazionale; - promuovere un ampio confronto con le istituzioni, le forze sociali e le altre Associazioni scientifiche su questi temi; - diffondere l'informazione e la cultura della prevenzione. PAGINA 3 PAGINA 35 PAGINA 6 LETTERE AL DIRETTORE Missionari e scansafatiche PAGINA 9 di Nicoletta Pupp DENTRO-FUORI Il servizio veterinario nel sistema della prevenzione di Giovanni Belcari e Roberto Elia PAGINA 10 Fitofarmaci di Valentino Patussi e Andrea Collareta PAGINA 13 Una banca dati per rifiuti industriali di Domenico Marcucci PAGINA 16 e Enrico Cigada OSSERVATORIO NUOVO) CODICE L'informazione alle organizzazioni PAGINA 19 sindacali INIZIATIVE SNOP La qualità dei lavoro nei servizi di Dario Tagini PAGINA 20 La Sibilla di Comano di Laura Bodini PAGINA 21 Rischio amianto di Gino Barbieri PAGINA 22 EUROPEAN OUTLOOK PAGINA 24 RIMEDIA '91 Interventi sul 277 di Graziano Frigcri Claudio Calabresi Massimo Bruzzone Fulvio D'Orsi Umberto Laureni Operatori di Brescia GRUPPI DI LAVORO) SNOP Lapidei di Roberto Patta rin e Milena Paletti Vrq: dalle parole ai fatti di Alberto Baldasseroni PAGINA 36 e Annibale Biggeri Osservatorio Edilizia di Flavio Coato PAGINA 38 NOTIZIARIO Referendum Ambiente comunicati a cura di Lega per l'ambiente Snop PAGINA 40 Convegni, Congressi & C. PAGINA 42 DOC Progetto per la prevenzione del rischio cancerogeno a cura dello Spisal PAGINA 43 Ulss 27 Bovolone VR LIBRERIA PAGINA 46 DIRETTIVO SNOP PAGINA 47 In copertina: Ricostruzione della scheggiatura delle selci SUL. PROSSIMO NUMERO TROVERETE Le iniziative del '92: Torino, Bari, Sheffield Speciale direttive CEE Gruppi di lavoro SNOP Innovazione tecnologica Ospedali: dopo il contratto Sindacato Ambiente: il delegato alla sicurezza PAGINA 26 QUALITÀ [/O QUANTITÀ Ad innescare nel nostro paese il recente, acceso dibattito sulla Qualità nel mondo della produzione hanno contribuito numerosi fattori. Da una parte la presa d'atto da parte della più grande industria manifatturiera italiana che l'epoca della produzione di massa "pur che sia" è tramontata definitivamente nei mercati dell'occidente ricco e cinico, sostituita da quella dell'oggetto personalizzato, disegnato, firmato, "bello e robusto", "potente e vincente " . Insomma si sta passando dal paradigma fordista che traduceva nella catena di montaggio la metafora Tayloriana dell ' uomo-scimmia a quello del Kaizen (Masaaki limai "Kaizen", New York, NY: Random House 1986 ed. it. 11 Sole 24 Ore) che invece postula la necessità della partecipazione di ognuno con tutto se stesso alla produzione, nella consapevolezza che il miglioramento della qualità del prodotto non è mai uno stato acquisito, ma sempre un processo in atto. Su un versante apparentemente distante si situa invece il discorso sulla qualità sviluppatosi negli ultimi anni nell'ambito del cosiddetto settore dei servizi, soprattutto in quello della sanità. Qui la molla iniziale deriva dalla sorprendente divaricazione esistente tra "costi" sostenuti e "soddisfazione" degli utenti. Il fenomeno riguarda tutti i paesi sviluppati e trova la sua massima espressione negli Stati Uniti c:he a fronte della spesa sanitaria pro capite più alta tra i dieci paesi più ricchi del mondo, vanta anche il minor grado di soddisfazione per i risultati ottenuti da parte dell'utenza (Briggs D. "International comparisons of health care expanditures and satisfaction" J. Occup. Med. 32; p. 1235, 1990). La sitazione italiana a questo riguardo è intermedia. Infatti nella citata ricerca l'Italia si colloca al penultimo posto c:ome spesa pro capite, precedendo il solo Regno Unito, ma è anche penultima quanto al grado di soddisfacimento dei bisogni sanitari dei propri cittadini. Si spende poco, quindi, ma quel poco lo si spende anche "male". Negli Stati Uniti, dato il loro sistema sanitario, basato prevalentemente sulla assicurazione privata e quindi su di un regime di concorrenza per quanto riguarda le strutture sanitarie, i due capi del problema "Qualità" hanno finito per combaciare in una sorta di analogia (un po' rabbrividente per la verità) tra mondo della produzione industriale di beni d'uso e mondo della produzione di salute. Ne fa fede il dibattito sviluppatosi sulle pagine della notissima rivista dei me- EDITORIALE di Alberto Baldasseroni dici aziendali americani, il J. Occup. Med. che dedica all'argomento più di un numero monografico. A conferma della vastità di interessi che suscita questo problema, anche la rivista dei medici del lavoro francese, gli Archives des maladies professionneles, si impegna sul fronte della Valutazione delle azioni di prevenzione nel suo terzo numero del 1991 e articoli significativi appaiono anche sulla rivista di BOCADI LLOS Note del Direttore Innanzitutto scusate il ritardo, solo in parte compensato dalla "corposità" del bollettino, pardon, della rivista! La scheda Sardegna si è persa in qualche file per un po' di tempo. Dentro e fuori è finalmente dilagato. La 277 e RIMEDIA '91 ci hanno distratti e costretti a cambiare programmi, anche editoriali, però ci hanno insegnato che dobbiamo aspettare l'Europa molto (più) vigili. Nel frattempo passerella di tutti i gruppi di lavoro a Modena alla fiera Ambiente e Lavoro. Per il '92 altri grandi appuntamenti: Osservatorio Nuovo Codice su infortuni (19-20 marzo, Torino), Operazione Prevenzione Sud e Progetto Agricoltura (27-30 aprile, Bari), Meetings Europei (Sheffield, settembre - Lione, ottobre). A questo punto buon Natale e buon anno e, come sempre, buon lavoro. lrwin Selikoff, Am. J. Ind. Med., nel numero 2 del vol. 19 del 1991. In Italia, finora, il dibattito sulla qualità in campo sanitario è stato monopolizzato dai settori della diagnosi, dell'assistenza e, in minor misura, della riabilitazione. Molto si è discusso sulla questione delle degenze ospedaliere, molto meno su quella del consumismo farmaceutico. Da tutto ciò sono mancate finora voci dal settore della prevenzione. Sporadiche le iniziative intraprese, scarso il dibattito tra gli operatori, totale il disinteresse delle autorità centrali del ministero. Qualche segno invece di attenzione da parte di alcuni (pochi) ordinatori regionali. A chi interessa valutare e revisionare la qualità Chi ha seguito gli interventi succedutisi sulle pagine del nostro bollettino sull'argomento della VRQ potrà facilmente rispondere ad un tale quesito. Molti sono (o almeno dovrebbero essere) i soggetti interessati. In primo luogo gli utenti. C'è un esempio nel campo della sanità a questo proposito che vale la pena di citare. 11 Tribunale dei Diritti del Malato, che crescente eco ha ottenuto dalle sue denunce fino a diventare interlocutore "istituzionale " del ministero su questioni di qualità dell'assistenza ospedaliera, rappresenta un buon esempio di come gli utenti possano porsi il problema della qualità dei servizi. Stentano invece a decollare associazioni di utenti in altri campi dei servizi (i trasporti, le poste, l'assistenza sociale, ecc.). Nel campo della prevenzione dei rischi per l'ambiente esistono numerose associazioni degli "utenti" che hanno addirittura assunto vesti di movimenti politici, ma non sembra che tali associazioni abbiano finora individuato "servizi" da pretendere, prestazioni di cui rivendicare la qualità, sostituendosi invece molto spesso in maniera surrettizia con iniziative autonome alle vere o presunte carenze dei cosiddetti Enti preposti. Nel settore della salute nei luoghi di lavoro agli antichi (dei primi anni settanta) livelli di partecipazione democratica (in fondo il "sistema" dei servizi territoriali pubblici di TSLL nacque su precisa e cosciente richiesta degli utenti) hanno fatto seguito tempi molto più grami, quali quelli che attualmente viviamo. Anche le autorità regionali hanno pieno titolo ad occuparsi di sorvegliare la Qualità del lavoro dei servizi di prevenzione. Ancor di più con la nuova normativa in fase di travagliatissima promulgazione, il ruolo dell'ente regione appare quello di supervisione sull'andamento delle attività di prevenzione sul territorio, in una giusta ipotesi di orientamento omogeneo, correzione di anomalie, stimolo nei confronti dei meritevoli, penalizzazione nei confronti dei reprobi. Tutto ciò in un'ottica di responsabile e (si spera) disinteressata allocazione delle risorse, come visto, limitate. Da questo insieme di soggetti interessati non possono certo mancare gli operatori che al Servizio Sanitario Nazionale dedicano gran parte delle proprie energie. Si è visto (Boli. n, 17) quanto il "far bene" il proprio mestiere, l'ottenerne risultati socialmente apprezzati (ambiente più sano, minori rischi per le popolazioni, lavoro più rispettoso della salute e del benessere dell'uomo, ecc.) possa essere gratificante per gli operatori. Dal comune interesse di questi diversi soggetti deve scaturire una definizione concorde di quali siano gli aspetti della qualità (e solo di conseguenza di Quantità) che sono pertinenti ad un monitoraggio dell'attività dei servizi di prevenzione. Perché è questo il piano sul quale si gioca la partita decisiva della Qualità nel nostro campo. Faremo monitoraggio della qualità contando gli "atti amministrativi" licenziati a carico degli opifici, come esclusivamente richiesto in alcuni rendiconti annuali regionali? Oppure conteremo con certosina pazienza il numero delle prestazioni in "Plus-orario" per soddisfare le fameliche richieste di qualche centro elaborazione dati, pago con ciò di aver pesato le "attività" di un servizio sanitario? Se tra i cosiddetti utenti c'è scarso interesse o addirittura assenza e tra gli amministratori, salvo rari casi, ignoranza e sottovalutazione, non possiamo tirarci indietro dal compito di proporre almeno il nostro punto di vista di operatori della Prevenzione sulla Qualità. Anche perché prima o poi qualcheduno, là dove tutto si può, si ricorderà pure del l'esistenza di questo manipolo di operatori dediti alla prevenzione e mai "controllati" nella loro efficenza; con quali conseguenze ognuno può immaginare. Muoversi quindi tempestivamente come Società scientifica degli operatori per accreditarsi come interlocutori indispensabili di fronte a chi deve decidere di intraprendere le strade del monitoraggio della Qualità (commissari straordinari, regioni con i loro piani sanitari, ministero) consapevoli che monitorare la qualità non significa migliorarla, ma porre solo le basi per un lavoro che resta comunque interno ad ogni servizio, alla coscienza di ogni operatore, legato alla sua disponibilità al cambiamento. Una proposta di percorso per arrivare a delle linee-guida II 4 dicembre a Bologna per la prima volta confronteremo le nostre esperienze, cercando di stabilire i primi punti fermi in questo così decisivo campo. Fondamentale sarà in quella sede stabilire le connessioni fra Monitoraggio della Qualità e Sistema Informativo, dando per acquisito che ciò che non viene scritto, registrato, archiviato, inserito cioè in un circuito informativo non può raggiungere la soglia minima di "visibilità" indispensabile per realizzare la QA. Immediatamente dopo verrà l'analisi del modello di funzionamento dei servizi, nella consapevolezza che solo la convinta adesione ad un modello culturale ed organizzativo possa permettere confronti e verifiche (vedi anche Bollettino n. 17). Altrettanto importante sarà l'obiettivo di avviare quel processo di "accreditamento" della nostra Società presso tutte quelle istanze istituzionali e scientifiche necessarie a fornire alle proposte che alla fine formuleremo l'autorevolezza e il credito più opportuni. Tutti questi temi, insieme alle prime esperienze sul campo, saranno affrontati a partire dalla convinzione che il tema della Qualità, mutatis mutandis, è assimilabile in tutti i settori della Prevenzione sul territorio, certamente in quelli dell'igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, dell'igiene ambientale, dell'igiene pubblica, della veterinaria. Come si vede, arrivare a formulare delle Linee-guida al monitoraggio della Qualità non sarà cosa semplice. Sarebbe sbagliato credere di risolvere la questione affidando ad un gruppo di lavoro l'elaborazione di un testo e poi assumendolo come SNOP a livello nazionale. Ciò che si propone, a partire dal seminario di Bologna, è un percorso di avvicinamento a tale obiettivo, che veda come tappe intermedie una proposta, da discutere, predisposta dal gruppo di lavoro che in questo scorcio d'anno ha lavorato intensamente, ma poi l'impegno di ogni direttivo regionale, di ogni iscritto SNOP, di ogni operatore comunque interessato alla nostra proposta per discutere nei merito i criteri che il gruppo formulerà, fino a giungere a una base minima, ma veramente comune su ciò che la comunità scientifica degli operatori intende come "lavoro (di prevenzione) ben fatto". Pochi giorni fa, durante la visita al museo della geotermia di Larderello, mi è capitato d'imbattermi in un manufatto dalla foggia antica, un vecchio motore a vapore, la cui didascalia segnalava come esso fosse il frutto del " Capolavoro " di un giovane apprendista alle dipendenze di un vecchio operaio di mestiere. Si riconosceva dietro quell'arrugginito motore tutta la sapienza costruttiva accumulata in generazioni di artefici, che avevano ormai codificato dei precisi criteri per valutare la qualità del lavoro del giovane apprendista. E d'altronde si capiva che, nonostante le regole ed i criteri, quel giovane manifestava nel suo "capolavoro" anche una sua soggettiva capacità di far bene. Quello che ci aspetta è un po' il compito di metter giù quei criteri, quelle regole dei ben fare che riguardino un ' organismo quale è certamente un servizio di prevenzione, nel quale si intrecciano competenze tecniche, capacità organizzative, senso di appartenenza al gruppo, trame di rapporti tra soggetti. Dovremo cioè dar modo di valutare se quel servizio è capace di fare il suo "capolavoro". Per finire una constatazione derivante dall'esperienza personale in un servizio di prevenzione nei luoghi di lavoro. Intraprendere programmi di verifica e revisione della qualità adeguatamente incentivati e%osanzionati, può anche essere un buon modo per restituire un giusto equilibrio alle diverse attività che si svolgono nei servizi di prevenzione. Infatti mi sono sempre chiesto quale fosse il motivo dell'enfasi che molti giovani colleghi pongono nelle attività formali legate alla repressione di violazioni di legge nei luoghi di lavoro, sottraendo in tal modo energie mentali allo svolgimento di altre funzioni pur esse istituzionali. Alla fine un tentativo di risposta che mi sono dato è stato che in fondo, a ben guardare, tali attività sono le uniche per le quali finora è previsto un processo di VRQ. Se infatti i verbali non sono compilati secondo le regole possiamo andare incontro a incomprensioni e rimbrotti da parte dei magistrati, o possiamo porgere il fianco alle bordate di qualche avvocato difensore, pagato apposta per fare il "monitoraggio della Qualità formale" dei nostri atti con rilevanza giudiziaria. Non sarebbe male che anche altre attività "nobili" (l'Igiene Industriale, l'Educazione alla salute e alla Sicurezza, ecc.) del nostro quotidiano lavoro fossero altrettanto incentivate e sanzionate. NOI, BIANCHIN E LO SCURO Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota dal Veneto. Non è la prima volta che i veneti dibattono sull'estetica, ma questa volta ci pare in modo del tutto convincente. Alla nota avremmo voluto farseguire un glossario essenziale ad uso dei soci di madrelingua diversa, ma poi abbiamo rinunciato, parendoci di snaturare il sincero affiato e l'accorato accento del testo originale. Ci limitiamo pertanto a due soli chiarimenti, affinché non ci siano dubbi sull 'argomento oggetto dell 'appello. Per concludere ci permettano í soci veneti la riflessione che tanto affanno contro le ombre, da loro, mai ce lo saremmo aspettato. Come cambiano i tempi! D'altronde la dialettica, nel nostro caso fra bianco e nero, non è da sempre motrice delle cose del mondo? Giallolimone ll testo Cossa xeo sto spegasso che mai no me gà piasso? El xe onto e no xe neto, e1 xe scuro e no xe s'ceto. .Scolté ciò cassa ve cligo: fora de Strà e de Rovigo, de Belùn e de Verona chi no gà lecà rexona*! Par far beo el boetin ancuo ' riva Nane Bianchin! *rexona = saòn profumà. Glossario Spegasso: sgorbio; nel testo evidentemente riferito ai brutti disegni che accompagnano gli articoli della rivista; Strà, Rovigo, Belùn, Verona: villaggi veneti. SCHEDA REGIONALE: SARDEGNA RIFERIMENTI NORMATIVI La costituzione delle UU.SS.LL. in Sardegna, sulla base delle indicazioni di cui alla legge istitutiva del S.S.N., è sancita dalla Legge Regionale n. 13/1981. Essa, all'art. 25, individua i Servizi in cui le UU.SS.LL. dovranno articolarsi, prevedendo, nell'ambito più specifico dei Servizi di Prevenzione, l'individuazione e l'articolazione dei Servizi territoriali. Il territorio regionale viene suddiviso, sulla base di criteri geo-demografici, in 22 Unità Sanitarie Locali. Da quel momento si è in attesa di una legge quadro Regionale, prevista all'art. 32 della L. 833/78, che sancisce in modo definitivo e inoppugnabile le modalità di esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica e sciolga alcune ambiguità ancora presenti nell'assetto istituzionale dei Servizi di Prevenzione. Basti pensare a tale proposito alle competenze già attribuite all'Ispettorato del Lavoro, alla persistenza degli Uffici Medici Provinciali, all'ormai annoso problema dei rapporti tra Servizi di base e Presidi Multizonali di Prevenzione. 11 disegno di legge di riordino dei Servizi e di definizione delle relative competenze, nonostante la lunga gestazione e il "quasi parto" nel corso della precedente legislatura è, al momento attuale, nella fase di revisione preliminare, sembrerebbe, ad una prossima riproposizione in Giunta e successivamente in Consiglio Regionale. In carenza di tale norma si è, nel frattempo, proceduto alla emanazione di norme e indicazioni relative all'assetto dei Servizi e ad alcuni aspetti di ordine organizzativo-funzionale degli stessi. Riteniamo possano essere citati: - Legge Regionale n. 34/86 che istituisce i cinque Presidi Multizonali di Prevenzione (uno per ciascuna provincia più, per le particolari problematiche produttivo-ambientali del territorio, il PMP di Portoscuso) ed entra nel merito dello svolgimento delle attività in tema di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro. - Direttiva n. 117/88 dell ' Assessore Regionale Igiene e Sanità che detta una serie di criteri a cui le UU.SS.LL. sono invitate ad attenersi, riguardo alla articolazione dei Servizi in settori e unità operative. Più in particolare viene indicato che i Servizi si articolino nei due settori di "igiene pubblica, igiene dell'ambiente e medicina legale" e "igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro". Il primo di tali settori si articola, di norma, nelle seguenti quattro unità operative: "igiene ambientale", "tutela igienico-sanitaria degli alimenti e bevande", "epidemiologia e profilassi delle malattie infettive e parassitarie", "medicina legale". Da questa direttiva prende avvio anche una identificazione degli standards di personale dei Servizi nonché alcune indicazioni relative alle dotazioni strumentali minime. - Esistono una serie di provvedimenti "minori" come, ad es., un decreto assessoriale che sancisce la "scomparsa" della figura degli ufficiali sanitari e una direttiva che ufficializza la dizione di "ispettori di igiene" attribuita al perso- nate di vigilanza dei servizi. Nel corso dell'anno 1989 sono infine state definitive le dotazioni organiche dei Servizi la cui copertura viene cadenzata sulla base di un triennio (1989/1991) e per le quali sono state concesse le deroghe per le assunzioni relative ai primi tre anni. Le piante organiche, così come formulate per ciascuna USL, sono riportate nella tabella allegata. Al momento attuale, da una ricognizione effettuata in merito, risultano essere ancora gravemente e diffusamente carenti nei Servizi le figure tecniche non mediche con ovvie ripercussioni specialmente per quanto attiene alla possibilità di svolgimento dei compiti di istituto in campo ambientale e nel settore di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro. Altrettanto gravemente carenti risultano le dotazioni strumentali dei Servizi correlate sia alla difficoltà tecnica di definirne precisamente le necessità e le caratteristiche sia per la incapacità mostrata da molte USL ad utilizzare i fondi pure resi disponibili per tali scopi. Altro problema irrisolto è rappresentato dalla mancanza, o dalla assoluta inadeguatezza e vetustà quando operanti, dei Regolamenti Locali di Igiene rispetto ai quali si è in attesa da anni di uno schema tipo da parte dell'Assessorato Regionale competente. Uno dei gruppi di lavoro promossi dalla SNOP si occupa, per l'appunto della formulazione di un Regolamento tipo. Evidentemente questo quadro non conferisce grosse certezze nella operatività dei Servizi e comporta degli enormi sforzi (non rari né vani, fortunatamente) da parte degli operatori sensibili alla professionalità e all'efficacia del proprio lavoro. La SNOP in Sardegna nasce formalizzando la propria struttura regionale nel corso di una assemblea tenuta nel mese di giugno scorso e come esito di una serie di incontri sino ad allora tenuti Ira iscritti alla società a titolo individuale. Il direttivo regionale provvisoriamente nominato ha già fissato per il prossimo mese di gennaio una nuova assemblea degli iscritti allo scopo di procedere a ridefinire il proprio assetto in maggiore aderenza alle norme statutarie e secondo criteri di migliore funzionalità. Una prima analisi possibile rispetto ai connotati della SNOP in Sardegna e alle prospettive che essa può porsi può, sinteticamente considerare i seguenti aspetti: M EDIC PIANTE ORGANICHE SERVIZI IGIENE PUBBLICA IGIENE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO REGIONE SARDEGNA .ó E O ra m ó E l7 TOTALI USL 01 SASSARI 16 16 4 USL 02 ALGHERO 12 12 3 USL 03 TEMPIO PAUSANIA 5 7 USL 04 OLBIA 9 10 2 USL 05 OZIERI 7 9 2 7 13 USL 08 SINISCOLA 6 8 USL 09 LANUSE1 7 12 USL 10 SORGONO 4 7 USL 11 ESILI 5 6 2 USL 12 GHILARLA 5 9 3 2 8 2 USL 06 MACOMER USL 07 NUORO USI. 13 ORISTANO 8 10 5 6 USI. 15 GUSPINI 8 2 2 U5L 17 CARBONIA 2 4 4 15 6 10 2 2 8 4 4 2 15 4 7 2 2 2 9 4 1 8 4 2 2 4 13 2 8 3 10 7 3 4 1 2 3 2 5 4 2 2 2 2 3 2 5 2 4 12 13 3 4 2 3 2 1 6 18 5 2 16 USL 22 QUARTI,' S.E. 11 16 2 26 179 235 42 2 28 2 2 4 2 6 2 8 28 8 106 3 34 8 6 6 6 90 3 48 2 3 2 4 3 3 4 50 3 9 3 4 8 83 2 5 4 49 5 65 2 39 6 3 4 2 4 3 4 3 2 3 2 15 2 10 6 6 2 5 2 3 3 6 1 7 3 3 7 121 4 7 76 60 3 39 2 48 6 84 3 39 4 5 62 4 4 63 6 91 2 il 3 5 16 6 10 4 6 6 4 63 10 4 fi 5 6 64 26 6 10 16 15 132 27 8 12 9 10 121 5 11 2 6 97 54 103 120 1584 0 3 2 4 6 3 35 20 2 2 1 22 3 2 9 16 mento forse particolare rispetto alla realtà nazionale) vede presenti in maniera pressoché paritaria numericamente operatori dei settori di igiene pubblica e di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò conferisce alla "questione igienisti" della SNOP (già sollevata sia in Direttivo Nazionale che da alcuni interventi sulle pagine del Bollettino) una particolare valenza. Appare fondamentale, perché la SNOP possa legittimare la propria rappresentatività di tutti gli operatori dei servizi, che essa si attivi a tutti i livelli per una puntuale definizione di strategie e di contenuti "a tutto campo" nell'ambito delle diverse attività di prevenzione. Si è già posta, in Sardegna, l ' ipotesi cli adesione alla SNOP di operatori dei Servizi Veterinari; questa possibilità, 3 10 8 - la configurazione della Società (ele- 8 2 3 USL 21 CAGLIARI TOTALI 2 4 10 USL 19 SANLURI 9 7 USL 18 SENORBI USL 20 CAGLIARI 2 9 2 USL 14 ALES USL 16 IGLESIAS 3 5 15 65 272 certamente praticabile a mente dello statuto della Società, pone con ancora maggiore forza l'esigenza suddetta. Per quanto ci riguarda la SNOP Sardegna ha promosso la costituzione di gruppi di lavoro tra gli iscritti su tematiche che abbracciano i diversi ambiti di intervento degli operatori della prevenzione ed è in fase di svolgimento una prima serie di incontri di aggiornamento su argomenti di interesse generale. Anche allo scopo di fissare alcuni presupposti generali di riferimento sui problemi citati è in discussione presso il direttivo regionale, l'ipotesi di organizzazione, contestualmente alla Assemblea Regionale del prossimo gennaio, di un Convegno dedicato alla organizzazione dei Servizi di Prevenzione e alle modalità di collaborazione tra gli stessi. 4 86 158 5 6 Dato questo primo quadro generale sulla situazione dei Servizi ci auspichiamo di poter precisare meglio su queste pagine problematiche, proposte e iniziative che scaturiranno dal nostro lavoro. La Segreteria e il Direttivo Regionali si rendono evidentemente disponibili per tutte le necessità di approfondimento e per ogni contatto che possano essere proposti. li Segretario Regionale Antonio Onnis CONTRIBUTI ERGONOMIA UN ESEMPIO PRATICO DI COME SI POSSA EFFICACEMENTE INTERVENIRE È indubbio che nonostante l'attuale legislazione italiana sulla sicurezza del lavoro sia giustamente riconosciuta come tra le più avanzate del mondo, alcuni aspetti inerenti la tutela della salute non sono adeguatamente affrontati, non solo quelli pertinenti al settore terziario, come ad esempio i servizi ospedalieri, ma anche quelli che riguardano i comparti più propriamente produttivi. E questo il caso della applicazione dei principi ergonomici negli ambienti di lavoro, per la cui attuazione è difficile richiamare alcuni specifici articoli di legge. Soprattutto laddove il movimento sindacale è debole, la difficoltà di realizzare misure preventive ispirate ai principi ergonomici scoraggia gli operatori della prevenzione dall'intraprendere iniziative destinate ad un probabile fallimento. Anche il provvedimento della disposizione, appare il più delle volte "poco attraente", per la sua elevata vulnerabilità, legata sia alla sua intrinseca discrezionalità, sia al suo carattere totalmente amministrativo, che ne rende più semplice il ricorso da parte imprenditoriale. Sulla base di queste considerazioni si è cercato di analizzare più attentamente la nostra legislazione alla ricerca di un riferimento che consentisse di utilizzare tutte quelle conoscenze scientifiche ormai acquisite in tema di ergonomia, in parte già oggetto di una recente Direttiva CEE 90/296, per intervenire almeno nelle situazioni più a rischio o, comunque, causa di maggior disagio tra i lavoratori. Allo scopo vale la pena di riportare per esteso l'art. 374 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 che al secondo comma recita: "Gli impianti, le macchine, gli apparecchi, le attrezzature, gli utensili, gli strumenti, compresi gli apprestamenti di difesa, devono possedere, in relazione alla necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti di resistenza e di idoneità ed essere mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza". Poiché con il termine attrezzature si intendono, secondo i dizionari della lingua italiana, "elementi indispensabili o comunque utili per compiere una determinata attività", si è trattato di verificare se, tra le diverse mansioni lavorative, ve ne fossero alcune la cui inosservanza dei principi ergonomici potesse essere attribuibile ad "attrezzature" sprovviste appunto dei "requisiti di idoneità". E facilmente sostenibile che l'ergonomicità di una attrezzatura costituisce un requisito di idoneità nella misura in cui risulti indispensabile per garantire la sicurezza del lavoro, come prescrive il 374. considerare Appare legittimo l'espressione "sicurezza del lavoro" nella sua più ampia accezione, distinguendola dal termine "antinfortunistica" che linguisticamente riveste un significato più specifico e quindi più restrittivo. Lo stesso D.P.R. 547/55, pur titolandosi "Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" al Capo III art. 387, ad esempio, recita che "I lavoratori esposti a specifici rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi devono avere a disposizione maschere respiratorie o altri dispositivi idonei...". Non si precisa la natura "acuta" del pericolo, cioè il suo grado di diluizione temporale, e quindi si deve intendere che la prescrizione debba essere estesa anche a quelle esposizioni che possono produrre intossicazioni più simili alla "malattia" che all'infortunio. Anche l'ernia discale, lesione ergonomicamente prevenibile, potrebbe essere configurabile come "evento acuto" o come risultante di lesioni discali progressivamente ingravescenti, analogamente a quanto si può verificare in una intossicazione. Questa interpretazione, coerente con la genericità delle norme contenute nella nostra legislazione sull'igiene e sicurezza del lavoro, che notoriamente vogliono esprimere tutt'altro che indeterminatezza, può consentire di fare riferimento al D.P.R. 547/55 e di utilizzare i poteri ispettivi per prescrivere all'imprenditore, mediante diffida, l'impiego di "attrezzature" in grado di prevenire lesioni discali derivanti da posture scor r ette o da sollevamento di pesi elevati. Il rigore strutturale che deve possedere una "attrezzatura ergonomica" può essere preteso attribuendo all'aggettivo "idoneo" menzionato nell'art. 374 secondo comma del D.P.R. 547/55, il significato espresso dalla Suprema Corte con la sentenza del. 15 marzo 1982, laddove si afferma che "accanto alla fonte precettiva che impone un dato dispositivo di sicurezza, concorre quella generale la quale richiede che quell'apparecchio risponda nel miglior modo a tutelare la sicurezza dei lavoratori, ponendo in essere i più avanzati ritrovati tecnici in relazione alle continue scoperte della scienza moderna". Questo provvedimento di diffida è stato applicato nella maggiore e più famosa industria di abbigliamento del territorio mantovano, per quanto riguarda l'impiego di sedie ergonomiche tra le addette alle macchine da cucire, e nel più grande magazzino di formaggio grana, per quanto riguarda l'utilizzo di ausilii nelle operazioni cli sollevamento delle forme di formaggio, in alternativa alla loro eliminazione dagli scaffali più bassi dove vengono riposte e continuamente movimentate. In entrambi i casi le diffide sono state ampiamente articolate nel seguente modo. 1) una prima parte in cui viene riportata e commentata la principale e più autorevole letteratura sul rischio specifico; 2) una seconda parte in cui si argomenta che le attrezzature contestate possono essere definite tali ai sensi del citato articolo di legge e che non sono ergonomiche e quindi idonee; 3) una terza parte, nel nostro caso valevole solo per il problema del sollevamento pesi, in cui si accerta e si dimostra che vengono superati i limiti di sicurezza elaborati per i carichi discali, utilizzando le metodiche standardizzate dalla Unità di Ricerca Ergonomica della Postura e del Movimento della Clinica del lavoro di Milano; 4) una quarta parte in cui si commentano i riferimenti legislativi richiamati, compresa la Direttiva CEE per la movimentazione manuale dei carichi, e si prescrive di reintegrare la norma violata (art. 374 secondo comma del D.P.R. 547/55) entro un termine congruo. Prima di inviare la diffida sono stati consultati alcuni magistrati che hanno fornito suggerimenti ed approvalo il provvedimento. Dopo l'inevitabile sorpresa e le imsegue a pag. 9 LETTERE AL DIRETTORE MISSIONARI E SCANSAFATICHE Cari Colleghi della SNOP, sono un medico del lavoro, responsabile del Servizio di Civitavecchia. Anche se per motivi personali non posso partecipare attivamente ai lavori della Società, ne ho sempre seguito le elaborazioni che mi sono state e mi sono di grande utilità. Anche la recente tendenza a lavorare per l'integrazione delle varie attività preventive sia a livello centrale che periferico, mi sembra particolarmente valida. So che determinate tematiche, assai comuni nel dibattito attuale sulla "Sanità", ovvero la gestione tecnica contrapposta a quella politica, la gestione manageriale, ecc., non sono mai state affrontate "ufficialmente" dall'organizzazione, che pure certo non rifugge dall'affrontare temi "politici". Ritengo di trovare la ragione di questo nella convinzione vostra, che in parte condivido, che l'efficienza e la efficacia di una struttura preventiva o curativa che sia, risieda innanzitutto in una strategia e in una metodologia di intervento. Se queste, concordo, rappresentano le condizioni di fondo, è fuori dubbio che la componente "umana" individuale ha un suo peso. L'operatore della struttura può essere professionalmente e perché no anche personalmente "motivato" in modo completamente diverso in una struttura che abbia metodi ed obiettivi chiari ed efficaci e conformi alle sue finalità, ma ritengo che questa condizione sia necessaria ma non sufficiente a garantire segue da pag. 8 mediate contestazioni verbali da parte aziendale, è seguito un cordiale rapporto di collaborazione (operatori-direzione-C.d.F.) per ricercare la soluzione più opportuna che si è conclusa con l'acquisto di sedie ergonomiche, con tanto di certificato dell'Unità di Ricerca Ergonomica di Milano, nella azienda di abbigliamento, e, per ora, nella eliminazione di tutte le scaffalature più basse nel magazzino di formaggi. Paolo Ricci una sua corrispondentemente adeguata "produttività individuale". E sono arrivata al punto: senz'altro la maggioranza di voi lavora in strutture del Centro-Nord in cui un consistente patrimonio umano e culturale si è consolidato nel tempo, ma mi rifiuto di credere che non conosciate nei Servizi in cui lavorate alcuno dei problemi con cui io mi confronto quotidianamente, e che riguardano la produttività individuale all'interno del Servizio stesso: disparità enormi tra gli operatori, alcuni operanti come "missionari" dediti al culto della Prevenzione ed altri come prototipi del famigerato "pubblico impiego" dediti alla cultura dell'incentivo improduttivo. Ma questa situazione è tollerabile all'interno? Chi è responsabile di un Servizio, sia pure un SPISSL, può anteporre la dimensione "culturale" al problema della produttività individuale? Può accettare che "volontari" si dedichino alle esperienze "avanzate", mentre "pubblici dipendenti" classici si godano la loro dorata emarginazione portando agli estremi il tradizionale baratto poco salario (ma è poco relatipoco lavoro? vamente parlando?) E colpa della riforma "non realizzata" dal Governo? Si risolverà quando trionferà la cultura della Prevenzione? lo ho cominciato ad avere parecchi dubbi in proposito e ad interrogarmi sulle responsabilità ed anche sulle possibilità, come dirigente, nel modificare la situazione. Ed ho scoperto, dagli effetti del mio nuovo comportamento, di avere grandi responsabilità ed anche grandi possibilità nell'aumentare la produttività individuale. Ho notato che dove ha regnato la cultura del volontarismo, del consenso e della partecipazione, ogni iniziativa tesa alla verifica della produttività individuale appare "repressiva" ed "autoritaria" e pertanto si instaura facilmente un clima conflittuale che appare doveroso affrontare serenamente. Forse oggi molti operatori sanitari con responsabilità di dirigenti trovano più facile affondare in un clima di sostanziale complicità-omertà con i propri collaboratori, affidando ad un domani che non viene mai o comunque ad «altri», la riforma della dirigenza, della pubblica amministrazione, ecc. Invece temo proprio che, volendo, questo processo potrebbe partire dall'interno. Per questo, per non rendere i contenuti culturali della nostra proposta sulla prevenzione astratti, al di fuori del tempo e di questa pubblica amministrazione all'italiana, ritengo che il tenia e l'iniziativa ci riguardino strettamente e che non possano essere signorilmente ignorati o tanto meno affidati all'iniziativa politica individuale. Se vorrete aprire un dibattito su questo tema, vi ringrazio fin da ora. Cordiali saluti. Nicoletta Pupp SPISSL/USL RM/21 via Flavioni 29 00053 Civitavecchia DENTRO-FUORI 1.0. LA LEGGE 833 ED I SERVIZI VETERINARI 1.1. Dalla condotta al Servizio Diversamente da altri soggetti istituzionali dell'Area della Prevenzione che hanno attivamente contribuito alla definizione della legge di Riforma Sanitaria (primi fra i quali i medici del Lavoro), i veterinari, o meglio la "cultura veterinaria" intesa nel senso più estensivo del termine, ha sostanzialmente subito la 833, percependone soltanto gli aspetti più immediati in termini di vantaggi occupazionali e di benefici contrattuali. I principi ispiratori della legge, non erano, ed in parte non io sono ancora, un patrimonio della Veterinaria che proveniendo dall'esperienza della "condotta" aveva necessità di profonde motivazioni ideali, ma soprattutto di specifiche esperienze formative, per riconvertirsi alla diversa domanda di servizio che essa determinava. La "condotta" è quindi, di fatto, sopravissuta, anche se con alcune eccezioni, alla legge di riforma, come dimostra, almeno in Toscana, il travagliato cammino per arrivare in tutte le UU.SS.LL. all'attivazione delle aree funzionali di Sanità Animale ed Igiene degli Alimenti. Il risultato finale di tale operazione è stato un oggettivo ritardo, da parte dei Servizi Veterinari (ma anche, in un primo momento, di quelli di Igiene Pubblica e del Territorio), nella realizzazione effettiva del "Servizio", ovverossia di quel modulo operativo al cui interno figure professionali diverse collaborano nel perseguimento di obiettivi di lavoro comuni sulla base di programmi assegnati e/o conseguenti a bisogni emergenti dal territorio. 2.0. IL DIPARTIMENTO PER LA SALUBRITÀ DEGLI AMBIENTI DI VITA E DI LAVORO 2.1. Perché il Dipartimento? Alla difficoltà di dare una caratterizzazione di "servizio" all'organizzazione del lavoro si sono talora assommate le spinte corporative tese a tutelare indiscriminatamente l'esistente anche nei confronti di tutte le ipotesi di collaborazione con le altre professionalità dell'area della Prevenzione. Ogni tentativo di modificare tale logica si è puntualmente scontrato con la barriera (peraltro usata strumentalmente non solo dai Veterinari), delle "competenze" e dei "campi di intervento" "IL SERVIZIO VETERINARIO NEL SISTEMA DELLA PREVENZIONE: IL DIPARTIMENTO PER LA SALUBRITÀ DEGLI AMBIENTI DI VITA E DI LAVORO" che hanno di frequente ostacolato e reso impraticabile tutte le ipotesi di integrazione funzionale fra i servizi. Cionondimeno la necessità di evitare la duplicazione degli interventi, di avere una visione integrata e pluridisciplinare dei problemi, di migliorare il livello qualitativo delle attività a fronte di bisogni di salute sempre più complessi ed articolati, di ottenere una migliore e più razionale gestione delle risorse, è emersa, negli ultimi anni, in manieraa prepotente e tale da condizionare l'evoluzione dell'organizzazione dei servizi di prevenzione. Alcune problematiche relativamente recenti, come quella ecologico-ambientale, richiedono infatti "conoscenze" diverse ma complementari, in grado di affrontare scenari complessi ed in rapida modificazione per dare risposte coerenti ed esaustive alla sensibilità crescente dei cittadini. È stato necessario, quindi, ricercare clispositivi legislativi efficaci che istituzionalizzassero la collaborazione interprofessionale nelle UU.SS.LL. come metodo quotidiano di lavoro: tale strumento oggi esiste ed è il Dipartimento per la salubrità degli ambienti di vita e di lavoro reso obbligatorio dal Piano Sanitario Regionale Toscano. Non può essere nascosto che tale modulo operativo è difficilmente conciliabile con le rigide attribuzioni funzionali previste dalle normative vigenti che assegnano specifiche "competenze" ai diversi servizi; al suo interno, co- munque, ne siamo convinti, esiste uno spazio non marginale anche per la cultura veterinaria a condizione che essa non si confini in sterili "contenitori istituzionali" con finalità protezionistiche ma sia disponibile a misurarsi con le altre professionalità del settore con la propria capacità di contribuire alla risoluzione dei problemi. 2.2. La realtà Toscana La Legge Regionale n. 61/90 (modifiche al Piano Sanitario Regionale), confermando quanto già stabilito nel precedente P.S.R. (L.R. 70/84), prevede l'attivazione obbligatoria di alcuni dipartimenti tecnico-scientifici fra i quali quello per la salubrità degli ambienti di vita e di lavoro, all'interno del quale trovano un corretto inserimento le U.O. Veterinarie. Caratteristiche fondamentali del modulo proposto sono: - "l'unitarietà degli indirizzi, l'omogeneità dei comportamenti, l'integrazione delle competenze... nell'obiettivo di realizzare la massima collaborazione ed il miglior uso delle risorse"; - la programmazione delle attività come strumento ordinario del lavoro dipartimentale; - l'organizzazione di un Sistema informativo comune e l'approntamento di specifici indicatori di efficienza ed efficacia degli interventi congiunti; - la formazione degli operatori e l'educazione sanitaria della popolazione. Siamo di fronte, quindi, ad ipotesi forse ambiziose (rispetto almeno alle realtà che molti di noi conoscono e vivono quotidianamente), ma certamente non utopistiche, come dimostrano le non occasionali iniziative di lavoro dipartimentale che hanno preso il via in varie UU.SS.LL. della Regione Toscana (anche a prescindere dall'attivazione formale del Dipartimento per la Salubrità degli Ambienti di Vita e di Lavoro), e comunque meritevoli di essere perseguite, a nostro avviso, con costanza e determinazione. 2.3. Veterinaria e Dipartimento L'inserimento della Veterinaria nel progetto dipartimentale ha trovato alcuni ostacoli oggettivi. Non può infatti essere taciuto che laddove esso ha avuto realizzazione concreta sono emerse, in alcuni casi, difficoltà comunicative legate al diverso patrimonio culturale delle varie figure professionali, con fenomeni di protagonismo e tentativi di monopolio delle attivi- tà di governo e programmazione dei progetti di collaborazione interprofessionale, che non hanno giovato all'evoluzione del modulo dipartimentale. E di tutta evidenza che, tra coloro i quali più di altri subiscono il disagio derivante da tale situazione, vi sono certamente gli operatori del servizio veterinario, a causa del ruolo storicamente meno appariscente, ma non per questo di minor importanza preventiva, che viene loro assegnato nell'ambito dei servizi di prevenzione. Riteniamo che il superamento di questa oggettiva difficoltà a dialogare reciprocamente passi primariamente attraverso un miglioramento globale della professionalità di tutti gli afferenti al dipartimento e, nello specifico, di quella veterinaria, che dovrà essere resa sempre più conforme alle reali esigenze che derivano dall'espletamento dell'attività congiunta ed in grado di dare risposte pertinenti ed adeguate, oltreché alle tradizionali competenze, anche a problemi quali: il corretto rapporto tra insediamenti produttivi e territorio; - la valutazione dei rischi sanitari della popolazione umana ed animale; l'educazione sanitaria della popolazione e la formazione degli operatori (mediante l'utilizzo di metodi comunicativi e pedagogici conformi alle singole esigenze educative e/o formative); - l'equilibrio tra uomo, animali (sinantropi, selvatici, allevati) ed ambiente; - la Verifica di Qualità (VrQ) delle attività come strumento per misurare realmente la capacità dei servizi di soddisfare i bisogni espressi od occulti che emergono dal territorio. 3.0. ESPERIENZE Dl LAVORO DIPARTIMENTALE 3.1. Il Sistema Informativo di Dipartimento (S.I.D.) La creazione di un S.I. comune tra i servizi di prevenzione rappresenta il punto di partenza per ogni attività di tipo dipartimentale. Si tratta, in sostanza, di attivare una serie di archivi che contengano tutte le informazioni necessarie, relativamente a: a) caratteristiche strutturali ed igienico-sanitarie degli insediamenti produttivi; b) valutazione dell'impatto ambientale e della capacità di smaltimento degli inquinanti prodotti; c) aspetti inerenti la tutela della salute dei lavoratori. Gli archivi da considerare sono: 1) archivio aziende: riguarda le attività già in essere al momento dell'avvio del S.LD., al cui interno potranno distinguersi, tra quelli di interesse veterinario: la) archivio insediamenti zootecnici; 1 b) archivio mattatoi e/o laboratori di produzione e lavorazione di alimenti o di prodotti di origine animale; 1 c) archivio rivendite al dettaglio di prodotti di origine animale; i d) archivio mangimifici e rivenditori di alimenti per animali; le) archivio ambulatori e case di cura zooiatriche; i fi archivio "ricoveri" e concentramenti di animati; e così via dicendo. 2) archivio Nuovi insediamenti Lavorativi: è l'archivio in cui vengono inseriti i dati provenienti dall'attività della Commissione per i Nuovi Insediamenti Lavorativi, cui accenneremo in seguito. La possibilità di gestire in maniera informatizzata tali archivi, interfacciando i singoli Sistemi Informativi ed Informatici di servizio, renderebbe assai più rapida ed efficace la programmazione degli interventi dipartimentali e la verifica dei risultati conseguiti. Le esperienze che già alcuni servizi cli prevenzione toscani hanno condotto in materia, costituiscono un valido banco di prova per il S.I.D. e dimostrano in concreto la sua realizzabilità ed efficacia. 3.2. La Commissione Nuovi Insediamenti Lavorativi Nell'ambito della Commissione per i Nuovi Insediamenti Lavorativi, costituita o in via di definizione ormai in buona parte delle UU.SS.LL. della Toscana, può trovare un utile inserimento anche la professionalità veterinaria. L'intervento del Servizio Veterinario, sia a livello di concessione edilizia che di licenza d'uso, può rappresentare un valido ausilio, ad accrescere la portanza preventiva del parere espresso, in molti casi (fra i quali vorremmo ricordare in particolare gli insediamenti zootecnici e gli stabilimenti di produzione e lavorazione di alimenti e/o prodotti di origine animale), contribuendo ad una valutazione non solo degli aspetti più strettamente igienico-sanitari, ma anche di quelli inerenti il rapporto tra l'insediamento ed il territorio su cui il medesimo insiste, in termini di tutela dall'inquinamento e di"corretto rapporto con l'ambiente locale. A titolo di esempio negativo vogliamo citare il caso emblematico della Vai Padana dove la concentrazione abnorme di allevamenti suini è stata una delle concause dei fenomeno dell'eutrofizzazione dell'Adriatico e, nel contempo, ha provocato un complesso problema di Sanità Pubblica Veterinaria, allorquando, per la vicinanza tra loro degli allevamenti, dovuta all'assenza di una qualsiasi programmazione degli insediamenti zootecnici sul territorio, si è avuta una inarrestabile diffusione dell'epidemia di afta epizootica che ha costretto gli operatori sanitari ad abbattere e distruggere in loco decine di migliaia di suini con enormi conseguenze sul piano economico-sanitario ma anche in termini di rischio di inquinamento del suolo, delle falde sotterranee e dell'aria. Vi sono, cioè, molte e valide ragioni affinché, in una interpretazione autentica e per questo più estensiva del concetto di prevenzione, esista, all'interno della Commissione per i Nuovi Insediamenti Lavorativi, anche una presenza non occasionale degli operatori veterinari e, con essi, di tutti coloro (biologi, ingegneri, chimici, operatori di vigilanza, ecc.) che hanno qualcosa da dire in materia di salubrità degli ambienti di vita e di lavoro. 3.3. Il comparto agricoltura e zootecnia Il comparto "agricoltura e zootecnia" è uno dei settori dove la collaborazione interprofessionale può dare i suoi frutti migliori. Obiettivi di un eventuale programma congiunto di intervento sono. - creazione di un archivio comune degli insediamenti agrozootecnici; identificazione dei principali fattori di rischio di comparto e preparazione di mappe territoriali di rischio relativamente a: 1) malattie infettive di rilevante interesse veterinario; 2) antropozoonosi e zooantroponosi; 3) impatto ambientale e tutela dall'inquinamento; 4) caratteristiche igienico-sanitarie dei ricoveri e benessere animale; 5) tutela della salute dei lavoratori; 6) utilizzo scorretto di sostanze farmacologiche per la cura e la profilassi delle malattie animali e/o di prodotti ad azione antic r ittogamica ed erbicida; - educazione alla salute degli addetti mediante l'utilizzo di idonei sistemi comunicativi; vigilanza sul rispetto delle normative di polizia veterinaria, igiene del territorio e tutela della salute dei lavoratori; individuazione di procedure unificate per i provvedimenti autorizzativi dei nuovi insediamenti zootecnici nell'ambito dell'attività della commissione N.I.L. iI recupero del l'esperienza veterinaria in tale comparto, maturata in anni di contatto continuo con la realtà zooagricola, oltreché un supporto tecnico indispensabile, può costituire un apporto utile per approfondire la conoscenza di alcuni aspetti culturali e sociali del settore, determinanti per spiegare certe scelte e taluni usi e consuetudini che spesso sono le responsabili principali dell'esistenza di fattori di rischio per la salute di lavoratori, consumatori, cittadini. 3.4. Il monitoraggio ambientale L'elaborazione di mappe di rischio ambientale passa attraverso l'attivazione di procedure di monitoraggio "integrato" che siano in grado di valutare "lo stato di salute" di un territorio, mediante l'individuazione ed il controllo di vari tipi di indicatori biologici, chimici e fisici a livello di: - aria - acque interne e marine - suolo regno vegetale - regno animale. In tale contesto si potrà prevedere l'attivazione di procedure per il controllo di animali allevati, selvatici e sinantropi, in grado di evidenziare il ruolo di "accumulatori biologici" di sostanze inquinanti che di frequente gli animali stessi rivestono, disponendo, in questo modo, di importanti"epifenomeni " dell ' evento epidemiologico che ci interessa. Esistono, ad esempio, interessanti esperienze che prevedono l'uso delle api come rilevatrici dell'inquinamento agricolo da fitofarmaci ed anticrittogamici; tutti gli animali sinantropi e non, inoltre, che in qualche modo hanno rapporto con unità urbane a forte tensione abitativa, possono essere utilizzati per svelare e monitorare il potenziale inquinamento da metalli pesanti; pesci e molluschi, infine, sono importanti strumenti per verificare il grado d'inquinamento chimico e biologico del mare. A margine di quanto finora detto è, a nostro avviso, opportuno ricordare come certi problemi legati alla convivenza fra l'uomo e gli animali sinantropi siano essi stessi inequivocabili indicatori di un pericoloso squilibrio ambientale: citeremo il caso dello spostamento dell'habitat naturale dei gabbiani, ma anche di numerose specie di selvatici, legato alla esistenza delle discariche incontrollate; dell'invasione delle città da parte di piccioni, storni e gatti (ma anche faine, volpi, ecc.) per non dimenticare l'ormai storicamente insolubile problema dei ratti. Si tratta di questioni che, per la complessità dei fattori che le determinano e per l'estensione che di norma assumono, richiedono l'apporto di professionalità diverse ed un impegno comune a più entità istituzionali (U.S.L., Enti Locali, Associazioni Protezioniste, Ministeri competenti, ecc.) per la loro collaborazione interprofessionale sia una scelta obbligata e non un'opzione scomoda. 4.0. UN'IPOTESI PER IL FUTURO 4.1. La rete multireferente Il problema dell'esistenza ed, anzi, della continua espansione di servizi paralleli dipendenti da Ministeri diversi da quello della Sanità (Ambiente, Agricoltura, Protezione Civile, ecc.) rappresenta una delle contraddizioni più evidenti per un sistema che aveva nell'approccio globale ed unitario ai problemi della salute e del benessere psico-fisico della popolazione il proprio obiettivo primario, in linea con le indicazioni OMS, correttamente recepite, in prima istanza, dalla legge 833/78. Tale scelta istituzionale, come i veterinari ben sanno, corre il rischio di ricreare dualismi operativi che sicuramente non giovano ad un miglioramento dell'efficacia, e forse nemmeno dell'efficienza, dei servizi erogati. L'ipotesi che vorremmo fare nostra, al contrario, emersa al convegno nazionale su "l'Informazione per la Prevenzione" organizzato dalla Società Nazionale degli Operatori di Prevenzione e tenutosi a Pisa nel dicembre del 3990, riguarda la creazione, attraverso la struttura dei Dipartimenti di Prevenzione delle UU.SS.LL., di una rete di servizi multireferenziali in grado di "fungere da tramite intelligente" non solo per il Ministero della Sanità, ma anche per quello dell'Ambiente, dell'Agricoltura, della Protezione Civile, del Lavoro, dell'Industria, della Ricerca Scientifica e così via. La proposta in questione prevede la creazione, a livello centrale, di una struttura di indirizzo e coordinamento denominata "Agenzia per la Tutela dell'Ambiente e la Prevenzione Primaria Collettiva" con finalità di programmazione delle attività di promozione della salute e di salvaguardia dell'ambiente ed avente come "terminale intelligente periferico la rete delle strutture dei futuri Dipartimenti di Prevenzione delle U U.SS.LL. opportunamente completata a livello nazionaleedotatadi personale e risorse adeguate". Riteniamo che tale ipotesi operativa possa rappresentare una alternativa assai più rispondente alle domande di servizio ed ai bisogni dei cittadini che non un insieme di servizi frammentati, che agiscono indipendentemente tra loro, in modo disorganico e spesso concorrenziale, con una evidente dispersione di risorse ed una continua sovrapposizione delle competenze e delle attività. 5.0. CONCLUSIONI Il momento non è dei più favorevoli per chi vuole fare davvero " promozione della salute"; è seriamente ipotizzabile, infatti, il rischio che le future "Aziende Sanitarie" assumano una impostazione prettamente efficientisticoproduttivistica che penalizzerebbe non poco tutto il settore della prevenzione. Cionondimeno si scorge nei servizi una particolare vitalità culturale che contrasta con le tendenze centrali per un ridimensionamento di tutte le attività di Sanità Pubblica e che risponde a precise domande dei cittadini. Per questi motivi è, se possibile, ancora più necessario che non in passato che le iniziative Dipartimentali si moltiplichino favorendo un approccio sempre più unitario ed integrato ai problemi della tutela della salute collettiva e dell'ambiente. Creare un "Sistema della Prevenzione" in cui tutte le componenti siano normalmente dialoganti tra loro e con l'esterno, e nel quale, a fronte di Inputs diversi, si raggiungano risposte di servizio uniche ed integrate, è l'obiettivo che, a nostro parere, tutti (operatori di prevenzione, ma anche amministratori, lavoratori, cittadini tutti) debbono porsi. Roberto Elia Servizio Veterinario Livorno U.S.L. n. 13 Giovanni Belcari Servizio Veterinario Pontederea (Pi) U.S.L. n. 16 Val d'Era FITOFARMACI STRUMENTI DI REGISTRAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE, DELLA VENDITA E DELL'UTILIZZO (Decreto del Ministero della Sanità del 25/01/91, n. 217) Con il D.M.S. n. 217 del 25/1/91, pubblicato sulla G.U. n. 171 del 23/7/91, sembra essere giunto alla conclusione il processo di formulazione delle disposizioni relative alla registrazione della produzione, vendita e consumo dei fitofarmaci. Il Decreto Interministeriale (Sanità, Agricoltura e Foreste, Ambiente, Incl., Comm. e Artigianato), emanato peraltro sulla scorta del riscontro di un sempre maggior inquinamento delle acque di falda, in attuazione dell'art. 15 del D.P.R. 236 del 1988, prevede, per i produttori, i rivenditori e gli utilizzatori dei presidi sanitari, indipendentemente dalla classe tossicologica, la registrazione su specifiche schede (il cui modello è allegato al decreto) delle vendite, acquisto ed utilizzo degli stessi. Nel prospetto viene presentato un quadro riassuntivo degli obblighi previsti, per gli specifici soggetti interessati, dal decreto. Soggetti all'obbligo della compilazione delle schede di rilevamento previste nel Decreto del Ministero della Sanità sono le ditte intestatarie delle registrazioni dei presidi sanitari, i distributori, i venditori e tutti gli utilizzatori, quali terzisti, cooperative, centri di distribuzione collettiva, aziende agricole in qualsivoglia forma di conduzione e qualunque utilizzatore, anche se per orti (o giardini) i cui frutti sono di esclusivo consumo familiare. Tale decreto peraltro comprende anche l'obbligo di registrazione per quegli utilizzatori "extra agricoli" quali, ad esempio, l'ente FF.SS. (uso di diserbanti sulle massicciate), i Comuni (uso di presidi sanitari nei giardini-parchi, diserbo al bordo delle strade, ecc.) e ogni altro ente o società privata che utilizza fitofarmaci. Per la registrazione delle vendite a coloro che utilizzano presidi sanitari di 3a e 4a classe esclusivamente in orti e giardini familiari, il cui raccolto è destinato al consumo proprio, è prevista la possibilità di una annotazione cumulativa da parte del rivenditore, che può vendere i prodotti solamente dopo l'esibizione, da parte degli utenti di cui sopra, di una autocertificazione, vidimata, protocollata e depositata in copia presso l'U.S.L. competente per territorio. Tale possibilità, tuttavia, riguarda esclusivamente il venditore, e non esime l'utilizzatore dalla compilazione delle schede di cui agli allegati 3 e 4 e dall'invio della scheda di cui all'allegato 3 all'U.S.L. entro il 28 febbraio di ogni anno. Tuttavia, all'art. 6, è previsto che il Ministero della Sanità, di concerto con gli altri Ministeri, possa esentare gli utilizzatori dall ' obbligo di presentare la scheda 3 (fermo restando l'obbligo della compilazione della scheda 4 e non si precisa se anche della 3) nel caso specifiche sostanze attive, in specifici settori e zone abbiano dimostrato, sulla base dell'analisi dei dati raccolti negli anni precedenti, di determinare un effetto marginale. Ovviamente tali casi, ben specificati, saranno previsti in decreti-circolari solo tra alcuni anni, non prima del '93, nella migliore delle ipotesi; infatti, essendo prevista la registrazione delle vendite e dei consumi a partire dal 1992 è ben difficile che un'analisi degli stessi possa essere effettuata prima della seconda metà del 1993. Si ricorda che la non ottemperanza al decreto comporta sanzioni pecuniarie-amministrative che vanno da un minimo di L. 500.000 ad un massimo di L. 3.000.000, ai sensi dell'articolo 21 del D.P.R. 236 del 24/05/1988. L'esame attento del decreto mette peraltro in evidenza alcuni problemi legati alla sua attuazione. A nostro giudizio i principali punti di discussione appaiono i seguenti: 1 - Il decreto non prevede alcun intervento formativo, nel breve tempo che manca all'inizio della compilazione dei registri (gennaio 1992), per gli utilizzatori dei presidi sanitari, né di assistenza per i primi periodi; tale fallo è aggravato dalla peculiare frammentazione delle aziende esistenti, salvo rare eccezioni, sul territorio nazionale, e darla diffusione, specialmente in alcune regioni (es. Veneto), delle conduzioni a part-time, che comportano un'enorme difficoltà a raggiungere per tali interventi formativi la maggior parte degli agricoltori. Se tale intervento educativo e di assistenza dovesse essere fatto attraverso le U.S.L. od i tecnici polivalenti, dovrà essere previsto un adeguamento degli organici, auspicabilmente con diplomati/laureati in agraria, particolarmente esperti in fitoiatria. 2 - Il decreto non precisa quale sia l'istituzione che dovrà preparare fisicamente gli stampati dei modelli, né le modalità della loro distribuzione, vidimazione e raccolta. L ' ipotesi più ovvia è che queste ultime avvengano tramite il Settore Igiene Pubblica delle U.S.L.. Un calcolo per l'U.S.L. degli scriventi risulta peraltro allarmante, infatti il numero delle sole aziende agricole operanti nel territorio di competenza ammonta a circa 17.000, con esclusione degli utilizzatori "domestici" ed extragricol i. Si prevede pertanto, per buona parte dell'anno, l'impiego di personale ad hoc a tempo pieno. Per la raccolta inoltre di eventuale materiale su supporto magnetico, sarà necessario avere a disposizione un adeguato hardware e software, per quest'ultimo si resta in attesa delle specifiche previste al 3° comma dell'art. 3. 3 - Non viene precisato inoltre a quale struttura regionale dovranno essere inviate le schede di registrazione, e quale utilizzo questa ne farà. 4 - Ci si chiede, inoltre, se dal gennaio 1992 dovrà continuare anche la denuncia trimestrale relativa alla vendita delle sostanze attive diserbanti come previsto clalf'ex ordinanza de! Ministero della Sanità del 25/6/86. A rigor di logica quest'obbligo dovrebbe decadere. 5 - Un altro aspetto, a nostro giudizio negativo, è rappresentato dal fatto che le U.S.L. siano escluse dalla acquisizione dei dati relativi alle vendite, se non a valle dell ' elaborazione del Ministero dell'Agricoltura - S.I.A.N., per i quali peraltro non sono prevedibili tempi reali. La situazione attuale perlomeno permette ai Settori Igiene Pubblica di acquisire trimestralmente le schede relative alle vendite dei diserbanti (mod. IAN 01) sempre che le precedenti disposizioni non vengano abrogate - vedi p.to 4) e quindi di poter effettuare, nel caso di necessità, un controllo in breve arco di tempo, cosa che peraltro, a livello periferico, è stata frequentemente attuata, soprattutto in relazione ai frequenti inquinamenti delle acque potabili. Schema riepilogativo degli adempimenti previsti nel decreto del Ministero della Sanità n° 217 del 25/01/1991 (G.U. n° 171, del 23/07/1991) Soggetti interessati Ministero della sanità A pio 2: le U.S L. vidimano l'allegato n°4, ex "Quaderno di Campagna" Ministero Ditte dell'agricoltura produttrici B p.to 1: riceve le dichiarazioni di vendita dai soggetti C D, E, f, G ed H ogni sei mesi. p.to 2: riceve le dichiarazioni di utilizzo dai soggetti i ed L tramite le U.S.L., entro il 31 maggio di ogni anno. e ricevono, entro il 28 febbraio, i riepiloghi dell'allenato 3, ne trattengono un esemplare e trasmettono gli altri, uno al Min. dell'Agricoltora - S.LA.iJ., e l'altro Nota: lo stesso Min. alla Regione ,entro il dell'Agricoltura ela31 maggio. bora dati ricevuti e li trasmette ai soggetti A ed M e, per la parte d i cirmpe _ tenza, alle U:S.L. 6 - Appare inoltre anacronistico il fatto che non venga previsto un coinvolgimento degli organismi regionali che operano in agricoltura (Assessorati all'agricoltura, Osservatori per le malattie delle piante, Enti di sviluppo agricolo, ecc.) e delle associazioni di categoria. Sulla base delle considerazioni precedenti appare pertanto estremamente difficile prevedere che gli strumenti informativi indicati nel decreto ministeriale possano essere adottati in tempi brevi, salvo la tempestiva emanazione di circolari esplicative. Complessivamente, peraltro, il decreto può rappresentare uno strumento fondamentale per il monitoraggio del consumo di fitofarmaci e nell'"...impostazione di programmi di prevenzione mirati alla tutela della salute dell'uomo, degli animali e dell'ambiente..." (D.P.R. 236/88), bisogna naturalmente vedere quale volontà esista nel farlo applicare. I tempi sono brevi, ma tuttavia è suf- Distributori Esportatori Rivenditori Terzisti Coop. Utilizzatori agricoli Utilizzatori extraagricoli Ministeri ambiente, industria, commerc io e artigianato C D E F G Fl ] L M p.to 1 p.lo 1 p.lo 1 p.to 1 p.to 1 p.to 1 p.to 2 p.to 3 p.to 2 p.to 3 conoscenza pio 1 : Dichiarazione di vendita (Ad 2 e 3, allegati 1 e 2): da inviare al Ministero dell'Agricohura-SI.A.N, entro il 31 agosto e il 28 febbraio di ogni anno. Soggetti obbligati: C, D, E, F, G, H. pio 2 : Dichiarazione di utilizzo (Art. 4, allegato 3): da inviare alle U.S. L. di competenza entro il 28 febbraio di ogni anno, ín tre esemplari. Soggetti obbligati: I, L. p.to 3 : Registrazioni di utilizzo (Art. 5, allegato 4): Soggetti obbligati: I, L. - l'utilizzo dei presidi sanitari deve essere registrato entro i 1.5 giorn i successivi a ciascun trattamento. - il registro (allegato 4) deve essere vidimato preventivamente dall'U.SL. di competenza e conservato dall'utilizzatore, o presso i centra di assistenza tecnica delle organizzazioni professionali di categoria, previa comunieazIone rill 'U.S L. - sull'allegato 3 deve essere effettuato il riepilogo dei dati riportati sull'allegato 4. - conservazione dei moduli d'acquisto (art. 22.c. 4, del D.P.R. 1255/68) dei presidi sanitari I e 11 classe tossicologica - conservazione delle bolle di acconrpagnarnento relative all'acquisto dei presidi sanitari [II e IV classe tossicologica ficiente dare rapida precisazione sulle modalità di stampa e diffusione delle schede informative (allegati) e su quali debbano essere le strutture coinvolte nell'opera di informazione-educazione. I primi dati perverranno al Ministero dell'Agricoltura-S.I.A.N. a fine agosto 1992 (ovviamente fatte salve le consuete proroghe, ben conosciute nel corso della storia del "Quaderno di Campagna") e pertanto c'è un tempo sufficiente a predisporre la corretta raccolta ed elaborazione dei dati. Valkentino Patussi Granziera Luigi, Ceresa Loris. SPISAL, ULSS n. 12, via Arrnellini 13, CONEGLIANO (TV), tel. (0438) 31045/22875 Andrea Collareta SIP, ULSS n. 12, via Lubin, 22 PIEVE DI SOLIGO (TV), te/. (0438) 8381 FITOFARMACI L'ESPERIENZA DELL'ADOZIONE DEL QUADERNO DI CAMPAGNA IN PROVINCIA D1 TREVISO II riscontro costante e diffuso di inquinamento da prodotti diserbanti delle acque di falda che alimentano gli acquedotti comunali di alcune aree della regione, ha comportato l'esigenza di adottare uno strumento di conoscenza e controllo dell'utilizzo dei fitofarmaci. Con questo obiettivo, il Dipartimento per l'Igiene della Regione Veneto ed il Settore Igiene Pubblica e Prevenzione, Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell'U.L.S.S. n. 12 del Veneto hanno sperimentato, in collaborazione con gli organismi di Assistenza Tecnica operanti sul territorio ed il Centro di Elaborazione dati dell'LJ.L.S.S., l'utilizzo del Quaderno di Campagna nell'area, ricca di risorgive, c.d. del "Quartier del Piave". AI termine della stagione 1989 dei trattamenti sono stati raccolti i Q.d.C. relativi a 436 aziende, nelle quali le colture prevalenti sono risultate essere il mais, la vite, e, in minor misura, la soia tali estensioni colturali rappresentano rispettivamente il 31,6%, il 23,9% e 1'11,1% della superficie adibita alla specifica coltura (mais, vite e soia) nei 12 comuni oggetto della sperimentazione. La maggior parte delle aziende agricole indagate ha un'estensione colturale, per specifica coltura, inferiore ai 2 ettari, dato questo che ben si raccorda con la realtà della provincia di Treviso. L'81,88% delle aziende campionate coltivano la vite, il 77,52% il mais e il 7,56% la sola. Per ciascuna coltura praticata è stato rilevato il tipo, il quantitativo dei presidi sanitari utilizzati e la superficie coltivata sulla quale il prodotto era stato utilizzato. Per ogni prodotto si è proceduto al calcolo dell'esatto quantitativo dei diversi principi attivi in esso contenuti, al fine di avere una stima corretta del quantitativo delle sostanze di rilevanza tossicologica immesse nell'ambiente. I dati ottenuti possono essere estesi alla superficie coltivata, per singola coltura, della provincia di Treviso, al fine di ottenere una stima del quantitativo dei singoli principi attivi utilizzati nella provincia. I risultati di questa indagine, che per la prima volta a livello nazionale ha utilizzato questo importante strumento di conoscenza, dimostra che l'impiego programmato e diffuso del Quaderno di Campagna (attualmente costituito dagli allegati 3 e 4 del Decreto del Ministero della Sanità n. 217/91) può rappresentare, anche mediante campionamenti in gruppi di aziende rappresentative di specifici territori, il mezzo più corretto per ottenere stime dei consumi per specifica coltura. Tale informazione è indispensabile al fine di effettuare delle proiezioni sui quantitativi dispersi in aree provinciali-regionali nelle quali si possono anche avere dei trattamenti omogenei, ma quasi mai delle omogenee ripartizioni degli ordinamenti colturali. 1 risultati dell'indagine, in corso di pubblicazione, sono disponibili presso lo SPISAL di Conegliano. Valentino Patussi, Luigi Granziera, Loris Ceresa SPISAL, ULSS n. 12, via Armellini 13, CONEGLIANO (TV), tel. (04.38) 31045/22875 Andrea Collareta SIP, ULSS n. 12, via Lubin, 22 PIEVE DI SOLIGO (TV), tel. (0438) 8381 UNA BANCA DATI PER I RIFIUTI INDUSTRIALI È probabilmente inutile che in questa sede si ripercorrano tutte le tappe e i dati che hanno fatto esplodere in questi anni la situazione dei rifiuti, in particolare quelli prodotti dall'attività industriale. Ci sembra, invece, necessario soffermarci su alcune considerazioni che emergono con forza e che appaiono evidenti ad un esame anche superficiale di questa situazione. La quantità di rifiuti, siano essi quelli generati dall'attività produttiva ed industriale, oppure quelli indotti dallo stile di vita generalmente adottato dagli italiani, ha assunto oggi una dimensione tale da far esplodere il problema. innanzitutto perché la mancata attuazione di una politica e di procedure per un corretto trattamento e smaltimento dei rifiuti costituisce oggi un effettivo freno allo sviluppo. In Italia, difatti, ogni anno si produce una quantità notevole di rifiuti: quasi cento milioni di tonnellate. In particolare, secondo i dati della «relazione sullo stato dell'ambiente», nel 1988, sono stati raggiunti 80,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e 17,3 di solidi urbani. 1 primi riguardano, secondo le classificazioni vigenti, autodemolizioni (1,8 milioni di tonnellate anno); inerti di origine civile (34,4 milioni di tonnellate anno), ospedalieri (0,2 milioni tonnellate anno); industriali assimirabili agli urbani (3 milioni di tonnellate anno); inerti di origine industriale (13,4 milioni di tonnellate anno); altri di origine industriale non tossici e nocivi (23,5 milioni tonnellate anno) e tossici e nocivi (3,8 milioni di tonnellate anno). Il Ministero dell'Ambiente ammette che la capacità di smaltimento per le scorie industriali è del 50 per cento, ma se ci si riferisce ai tossici nocivi la capacità è solo del 10 per cento. In seconda battuta perché il costo sociale che la collettività è costretta a pagare in assenza di una pratica (soluzione) corretta, razionale ed organica è troppo alto. Nell'arcipelago delle attività produttive (piccole e medie imprese e artigianato), le cui dimensioni variano sino ad un centinaio di addetti per unità, i comportamenti apparentemente poco responsabili degli imprendito- 15 C44 IM, Ca CAOTA-ZIO 1'4EcC. CA1JC ►ARiO 8 V 8 8 6 51PéiURú. 17£TAL[.URL, . 4 LE&Mo 1o51uO TESSILA foj MATERIAu tbc: rE : MINIV2TE 3 D^U 1 ri/artigiani risiedono soprattutto, a nostro parere, in una conoscenza molto lacunosa del problema ed in una oggettiva disinformazione. Lacune che si sono polarizzate su alcune grandi aree: l'oggettiva pericolosità dei rifiuti, le pratiche e le norme per un corretto trattamento dei residui dei processi produttivi, ma soprattutto la mancata conoscenza dei costi sodali relativi a scorretti smaltimenti. A questa si aggiunge l ' incapacità culturale (sedimentata in anni di sviluppo senza problemi apparenti) di considerare le materie residue dei processi industriali come una risorsa aggiuntiva da impiegare in altri cicli produttivi. Queste lacune si sono tradotte in comportamenti collettivi che tendono a sottovalutare l'importanza del problema ed in uno stile di management (conduzione dell'attività produttiva) apparentemente poco responsabile. L'altra ragione, come già accennato, risiede in una reale mancanza di informazione da parte di tutta la pluralità di soggetti che costituiscono la piccola-media industria e le imprese artigianali. Oggi si può affermare, invece, che a livello dei grandi gruppi industriali, e questo grazie all'effettivo lavoro svolto in questi anni dal ministero per )'ambiente e dall'autorità politico-amministrativa, e dalla vigilanza dei servizi di prevenzione esista la consapevolezza della necessità di una poitica t ENrC - DNTI 1%9 organica per il trattamento dei rifiuti, e come essa in alcuni casi si sia tradotta in pratiche di trattamento sufficientemente adeguate. Dal punto di vista legislativo, dopo l'importante DPR 915/82, notevoli sono stati i "passi avanti" compiuti, sia per recepire le direttive europee che per dare sistemazione all'intera materia. Spesso però i momenti chiave, come la legge 441/87 o la 475/88, sono stati figli di emergenze, ricordiamo quelle delle "navi dei veleni", che hanno prodotto le premesse di consenso per varare queste normative, ma anche un clima di urgenza e di conseguente confusione. Così è accaduto anche per tutta una serie di decreti emant-iti in questi ultimi anni dal Ministero dell'Ambiente, come quelli riguardanti il Catasto Nazionale dei rifiuti speciali o l'individuazione delle materie prime secondarie. Per superare le incongruenze e le difficoltà di applicazione è necessario coordinare tutta la normativa in un Testo Unico. Tra l'altro la Comunità Europea si appresta ad aggiornare le direttive in materia di rifiuti industriali (75/442 e 78/319) introducendo sensibili innovazioni, questo potrebbe essere l'occasione appunto per il necessario riordino. Per quanto riguarda la concreta applicazione della legislazione, assistiamo, come in parte già accennato, ad un forte scarto tra obiettivi e risultati. Smaltire costa e gli impianti non si La mappa dei rifiuti industriali Regione Rifiuti (in tonni) Possib. di stnaltimcnto teli arca regiona le (in tonni) Abruzzo 244 0 Basilicata 236 7 Calabria 395 0 Campania 1.401 169 Emilia R. 1.150 495 Friuli 812 88 Lazio 1.699 30 110 227 Liguria 4.786 2.734 Marche 141 0 Molise 101 0 Piemonte 2.565 646 Puglia 3.376 381 Sardegna 1.264 571 712 62 Lombardia Sicilia Toscana 3.119 162 Trentino A.A. [43 63 Umbria 227 197 47 0 3.425 1.783 Valle d'Aosta Veneto Fonte: ministero dell'Ambiente 1991 trovano, l'autosmaltimento è ancora una pratica di pochi, specialmente se i rifiuti sono tossici e necessitano di particolari trattamenti. Considerando che il controllo è insufficiente, ed in certe zone quasi inesistente, è facile immaginare gli affari "sporchi" che si sviluppano intorno a questo problema. Smaltire i rifiuti può costare da un minimo di cento a un massimo di 1.500 lire al chilo, le spese di trasporto incidono per il 5 per cento circa. La tardiva e per ora ancora inapplicata programmazione degli interventi (per esempio DPCM 3.8.90), sia alla fonte, con la riduzione dei rifiuti e la raccolta differenziata (riciclo - recupero - riutilizzo), che a valle, con gli opportuni sistemi di smaltimento, sta provocando non solo condizioni di "anomalia" di mercato, ma soprattutto una crescente sfiducia dei cittadini e, quindi, un conseguente rifiuto di qualsiasi tipo di impianto dedicato ai rifiuti. Occorre dare certezze sulla sicurezza e necessità degli interventi, sulle eque distribuzioni e sulla indifferibilità di mutamenti nelle abitudini e comportamenti collettivi. Lo scenario è certamente preoccupante, ma vi sono anche risposte e situazioni positive, anche se limitate. L'urgenza dei problemi non deve far cadere nel minimalismo di risposte tappabuchi che non risolvono nulla. Sulla base di questa valutazione riteniamo necessario, per costruire la premessa di una soluzione, promuovere la formazione di una Banca Dati organizzata per comparti produttivi relativa ai rifiuti speciali. L'obiettivo che ci si pone è quello di avere uno strumento relativamente semplice che fornisca informazioni mirate, contenenti indicazioni specifiche, anche su soluzioni possibili. Questo grazie alle esperienze già consolidate in varie realtà del Paese. Una Banca Dati che comparto per comparto illustri le tipologie dei rifiuti prodotti, descrivendone le caratteristiche e classificandoli nel catasto nazionale con il codice assegnatogli, quindi con un diretto collegamento con il processo produttivo. Inoltre vengono indicate le precauzioni nella manipolazione e nello stoccaggio, le modalità di smaltimento, le possibili alternative per il riciclo o recupero e le produzioni specifiche prevedibili. I comparti per ora individuati sono circa una ventina, ma il numero dovrebbe aumentare. Questo lavoro fa' tesoro delle esperienze che in varie realtà si sono maturate in comparti specifici, anche non direttamente sul tema dei rifiuti. Spesso invece queste conoscenze vengono disperse, o nel migliore dei casi rimangono limitate nell'ambito geografico dove sono state prodotte. Quindi immettere in un circuito nazionale e oltre gli ambiti consueti, esperienze e conoscenze preziosissiCOMPARTO RIFIUTI me, è uno degli obiettivi che ci si pone, come quello di stimolare interesse e ricerche sulla materia anche semplicemente estraendo queste informazioni relative ai rifiuti, da documentazioni diverse e frutto di altri interventi. Un simile strumento è utile all'artigiano come alla piccola e media impresa, ma altrettanto può esserlo all'ufficio ecologia di un piccolo comune come di una USL. Conoscere i rifiuti del proprio processo produttivo e le indicazioni su come trattarli, o avendo una mappatura, stimare le qualità e quantità di rifiuti prodotte nella zona o nel comune, crediamo possa essere un significativo passo avanti per risolvere il problema dei rifiuti industriali. Non è certamente con la semplice repressione, o l'emanazione di decreti, che si costruiscono modelli alternativi a quelli che oggi sono alla base del problema rifiuti, ma indicando, passo a passo, la concreta e possibile strada da seguire. Spesso nei soggetti economici non manca la volontà, o quantomeno l'aspirazione a fare la propria parte, quanto indicazioni valide per affrontare il collo di bottiglia di vincoli giusti quanto di difficile e problematica attuazione, e per valutare possibili alternative nel processo e nel destino dei rifiuti. Bisogna promuovere l'atteggiamento "conosco e agisco perché è conveniente". Ridurre alla fonte "prevenire", nel senso proprio del termine, è l'unica scelta che può dare frutti duraturi e reali, e lo vediamo costantemente riconfermato, cosa peraltro, almeno per noi, scontata. STAMPA Domenico Marcucci Ambiente e Lavoro Enrico Cigada Snop INFO FINE Nome comparto: OSPEDALI Comparto OSPEDALI PROCESSO DA CUI HA ORIGINE IL RIFIUTO: da laboratorio centrale e dei reparti:ginecol.-urologia-dermatolog. oncologia-nefrologia e_dialisi-anatomia patologica-centro trasfus. NOTE E VERIFICHE PARTICOLARI: PRECAUZIONI PER MANIPOLAZIONE E STOCCAGGIO: In doppio contenitore come da delibera 27/07/84 con stoccaggio inferiore alle 48 h se non sterilizzati MODALITA' DI SMALTIMENTO PREVEDIBILI: termodistruzione previa sterilizzazione e/o disinfezione L0004:Residui da laboratorio di analisi Queste le risposte tecnologiche , offerte dal mercato: SICUREZZA Antincendio • Sicurezza elettrica • Protezione macchine e organi • Sollevamento e trasporto • Fluidi in pressione e corrosivi • Attrezzatura da lavoro • Altre sicurezze INFORTUNI FUMI / GAS / VAPORI IGIENE Acustica e vibrazioni • Radiazioni ionizzanti e altre • Rischi chimici (gas, vapori, nebbie, fumi, polveri) • Rischi biologici • Altri rischi ambientali POLVERI PROTEZIONE PERSONALE Protezione del capoviso-occhi • Protezione dell'udito • Protezione delle vie respiratorie • Protezione del corpo • Protezione delle estremità • Igiene personale e collettiva • Segnaletica di sicurezza • Pronto intervento LIQUIDI RUMORE ALTRE SITUAZIOINI AMBIENTALI NEGATIVE Ergonomia Umanizzazione del lavoro Organismi di consulenza pubblica e privata Stampa tecnica I Associazioni COMFORT Illuminotecnica • Riscaldamento, condizionamento, ventilazione • Pulizia industriale • Comfort del posto di lavoro SERVIZI Consulenza • Progettazione • Certificazione del materiale • Assicurazioni • Credito PROMOZIONE E GESTIONE Associazioni culturali e scientifiche • Enti normativi • Formazione • Editoria e informazione • Organizzazioni sindacali e di categoria • Enti pubblici AMBIENTE LAVORO SENAF - Via Michelino 69 - 40127 Bologna - Tel. 051/503318 - Fax 051/505282 - Telex 512812 senaf i OSSERVATORIO NUOVO CODICE In questo numero la rubrica "Osservatorio Nuovo Codice" si riduce per ragioni di spazio a questa importante nota sull'obbligo di informazione della Procura di Torino, nota che abbiamo carpito a Medicina dei Lavoratori n. 22. Stiamo preparando Torino 3°, il terzo appuntamento dell'Osservatorio (19-20 marzo 1992) il cui tema centrale sarà la questione della lotta agli infortuni e ai tumori professionali. Nel frattempo Magistratura Democratica ha pubblicato in un opuscolo le proprie proposte sulla depenalizzazione. Sono molto interessanti anche per quanto riguarda i nostri temi: tutela ambientale, sicurezza sul lavoro. Le note si possono richiedere ai magistrati locali referenti di questa Associazione. UNA NOTA DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TORINO INFORMAZIONE ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI SULLE IRREGOLARITÀ RISCONTRATE DALLE USL IN TEMA DI SALUTE DEI LAVORATORI Si è talvolta verificato che i Servizi di "Tutela Salute Lavoratori" delle USL abbiano ritenuto di non dover informare i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali sulle inadempienze riscontrate in occasione di sopralluoghi eseguiti sui posti di lavoro, in merito alla sicurezza e all'infortunistica, o d'ufficio o su richiesta della Magistratura o dei lavoratori stessi. Tale diniego è stato motivato con il dovere di non violare il segreto istruttorio. Per tale ragione, le organizzazioni CG/L-CISL-UIL di Torino hanno rivolto un quesito al Dr. Vladimiro Zagrebelsky, Procuratore della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Torino, al fine di risolvere con un parere autorevole il proprio dubbio sulla legittimità della posizione in causa. Riteniamo utile pubblicizzare la risposta del Dr. Zagrebelsky per sua esplicita autorizzazione dietro nostra richiesta. "L'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale non ha significativamente influito sulle prassi di informazione alle Organizzazioni sindacali instauratesi a seguito della circolare del Ministero del Lavoro in data 20 giugno 1974 (Sicurezza del Lavoro. Collaborazione Ispettorato del Lavoro e Organizzazioni sindacali dei lavoratori). Risulta tuttavia che sia sorta qualche difficoltà, ricollegata alla convinzione che il nuovo codice di procedura penale impedisca ogni comunicazione alle Organizzazioni sindacali. E quindi opportuna una puntualizzazione, che assicuri costanza e omogeneità di condotta. Una serie di indicazioni normative -principalmente l ' art. 9 L. 20 maggio 1970 n. 300 - riconoscono ai lavoratori, mediante loro rappresentanze, il diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. Un simile ampio e articolato diritto non potrebbe essere esercitato se i lavoratori non fossero informati dello stato dell'applicazione delle norme concernenti la sicurezza sul lavoro nell'ambiente in cui operano. E quindi necessario che le rappre- sentanze dei lavoratori continuino a ricevere copia delle prescrizioni che l'Ispettorato del lavoro e le USL ritengano di impartire ai sensi dell'art. 9 DPR 19 marzo 1955 n. 520. Tali prescrizioni possono trarre origine da attività ispettiva svolta di iniziativa, ovvero da attività delegata dalla Procura della Repubblica con riferimento a ipotesi di reato. In quest'ultimo caso le rappresentanze dei lavoratori potranno ricevere copia delle prescrizioni, ma non copia degli accertamenti richiesti dalla Autorità giudiziaria, ostandovi l'art. 329/1 c.p.p. Sarà eventualmente questo Ufficio ad autorizzare il rilascio di copia di atti della indagine preliminare, per i quali gli indagati possano a loro volta ottenere copia, ai sensi degli artt. 329/1 1 1 b c.p.p. Prego disporre che le indicazioni sopra esposte trovino costante attuazione e segnalare eventuali difficoltà". Torino, 2 febbraio 1991 Il Procuratore della Repubblica Vladimiro Zagrehelsky Mi« INIZIATIVE SNOP La sezione lombarda della Snop organizza una indagine con questionari sulla qualità del lavoro nei servizi di prevenzione, dall'interno dell'esperienza dei singoli operatori. Abbiamo deciso di pubblicare le motivazioni di questa iniziativa. LA QUALITÀ DEL LAVORO NEI SERVIZI MOTIVAZIONE È opinione comune che, negli ultimi anni, nei servizi territoriali, le modalità di lavoro, i rapporti tra gli operatori in genere, e tra le diverse figure professionali, l'atteggiamento stesso rispetto a ciò che si fa (le "motivazioni"), siano mutati. Le componenti che influenzano le trasformazioni sono molte, e con effetti a volte contrastanti ma sovente negativi, anche se traggono origine da fenomeni positivi (come l'aumento di personale). Senza pensare di citarle tutte, elenchiamo: - un quadro contrattuale penalizzante per alcune figure professionali, da cui è facile - anche se non giustificabile -derivino disaffezioni e deresponsabilizzazioni - l'inserimento più organico in una struttura sanitaria complessiva che sicuramente non favorisce atteggiamenti e modalità di lavoro particolarmente evolute Inoltre, tra le componenti sostanzialmente positive della metamorfosi in atto, ma con possibili ripercussioni negative, registriamo: - la maggiore definizione degli obiettivi, la più elevata strutturazione delle modalità operative, da cui derivano meccanismi di divisione del lavoro difficilmente evitabili - l'aumento degli organici, con l'introduzione di forza lavoro con motivazioni diverse dal piccolo nucleo iniziale degli ex-SMAL - l'assunzione di responsabilità direttive, da parte di non pochi operatori più "anziani" e da sempre con un ruolo di riferimento, con un inevitabile passaggio da un atteggiamento di opposizione, ad uno più meditato di mediazione tra la struttura sanitaria (Regione, Comitato di Gestione, capo Servizio) e gli operatori di cui si è responsabili - l'integrazione tra le UO, che modifica inevitabilmente i comportamenti reciproci. A questo si può aggiungere un totale disinteresse, in ambito di Pubblica Amministrazione, alla formazione nel campo dei metodi di organizzazione del lavoro, e alla valutazione delle motivazioni e del grado di adesione alle finalità del lavoro da parte del personale. Un poco paradossalmente ricordiamo che, mentre in ambito aziendale è perfettamente normale che un'impresa automobilistica sia diretta da un avvocato, e non da un ingegnere meccanico, in ambito sanitario è considerata una eresia la presenza di personale non sanitario nei ruoli apicali. Non da ultimo, poi, non va dimenticato che da parte dell'area politicoculturale da cui moltissimi di noi provengono, i problemi della organizzazione del lavoro sono sempre stati visti con insofferenza o diffidenza, fidando sull'adesione ideologica "di chi ci stà", situazione che spesso genera conflitti quando le vocazioni calano, o ci si ritrova in ruoli gerarchici non più subordinati. La necessità di una lettura più approfondita di questi fenomeni, di una valutazione delle tendenze e dei metodi da utilizzare per indirizzare queste evoluzioni, in modo che non si trasformino in involuzioni, nasce quindi da molteplici esigenze. Una cattiva qualità del lavoro nei servizi: - non permette di utilizzare pienamente le risorse umane disponibili - produce inevitabilmente un peggioramento della qualità del lavoro - è fonte di disagio per gli operatori, e Sebbene al Convegno di Parma si fosse giustamente preso l'impegno di entrare nel merito del Contratto della Sanità, proprio per le ripercussioni di questo sull'organizzazione del lavoro nei Servizi. anche se la SNOP ha abbondantemente dimostrato di non avere la minima tendenza a sviluppare atteggiamenti da para-sindacato 1 , è pur sempre la Società degli operatori della prevenzione, non dei Servizi di prevenzione. Un'analisi di quest'area di problemi è poi un inevitabile corollario, non una sovrapposizione, della verifica della quantità e qualità del lavoro svolto dai Servizi. METODOLOGIA Un primo obiettivo è stato individuato in un Convegno ai primi del ' 92. t Partecipanti, oltre agli operatori, dovranno essere individuati nel Sindacato e tra "referenti esterni " (Università, imprese del settore), con competenze specifiche nel campo della organizzazione del lavoro, con cui confrontarsi. Al Convegno, cercando di evitare contrapposizioni inutili ma di difficile gestione, ed evitando toni da autocoscienza, sarebbe interessante ascoltare la presentazione dei problemi delle varie figure professionali e ruoli gerarchici presenti nei Servizi e, perché no, nei PMIP e in Regione. Per arrivare al Convegno con un'immagine più precisa delle semplici impressioni, si propongono due questionari, di contenuto sostanzialmente analogo, ma che vanno a censire due ambiti diversi, con metodologie diverse: - questionario per i Servizi, in cui raccogliere una panoramica ufficiale delle questioni. Da compilare insieme al Responsabile di ogni UO (sostanzialmente attraverso una "intervista") in 15-20 Servizi a campione - questionario per tutti gli operatori. Viene inviato per posta a tutti i soci SNOP, con lettera di accompagnamento che illustra l'iniziativa, e con preghiera a tutti i soci di diffonderlo all'interno dei Servizi in cui lavorano, ed in altri vicini. Dario Tagini USSL 57, via Maestri 2, 20077 MELEGNANO, Tel. 02/98230736 Pagano...) che anche il D.P.R. 384/90, di recepimento del contratto rischia di essere visto come occasione di visite a tappeto, più o meno mirate, piuttosto che occasione per lo studio pianificato dei rischi, di formazione e informazione, di proposte di soluzioni. Concordi sulla sostanziale dispersione del metodo "blitz ispettivo in ospedale": oggi è l'impianto elettrico in pronto soccorso, domani i pavimenti delle cucine... E come se in una grande fabbrica e l'impresa USL è spesso la più grande del territorio - ci si limitasse ad affrontare un angolo di un reparto! E tempo e ci sono tutte le condizioni (normative e strutturali) di progettare qualcosa di più solido e duraturo, anche dal punto di vista metodologico. I gruppi di lavoro e le indagini devono essere generalizzate e pianificate e devono coinvolgere, oltre ai soliti noti, anche quelli che decidono flussi e organizzazione, che approvigionano strumenti e materiali, che sovraintendono a manutenzioni e impianti, che decidono modifiche strutturali. ll metodo non è oscuro alla nostra esperienza: censire i problemi, studiare le soluzioni, individuare responsabili e gestori, verificare i risultati, e prima, durante e dopo informare e formare operatori e amministratori. Oggi vi è a disposizione di tutti una grossa base di conoscenza sui rischi, i possibili danni e soluzioni; ne sono a testimonianza i famosi Atti di Comano anche in questa occasione (andati - a ruba), ma anche di numerosi altri incontri (Acireale, Parma, Monza, Abano), nonché 1e relazioni tecniche presentate nel seminario milanese nel pomeriggio: sul rischio infettivo (Cantoni, USL 75/3 Milano), gas anestetici (Imbriani, Fondazione Clinica del Lavoro di Pavia), sul rischio da manipolazione di antiblastici (Verdi, Direzione Sanitaria dell'Istituto dei Tumori di Milano), nella sindrome del burn-out (Sher, neurologo, Tribunale dei diritti del malato). Le conclusioni del past-past president Volturo, in una delle sue preziose uscite dalla Tana di Melegnano, sono intelligenti. state - come sempre Occorre che ci misuriamo come servizi, come associazione, in un progetto per affrontare questo vasto campo di prevenzione: testare i servizi, orientare le altre strutture sanitarie, fare piani di formazione. Ci sono ampi spazi normativi (anche nell'ultimo contesto) e conoscenze consolidate: è tempo di incamminarsi per la strada giusta. Occorre che il gruppo ospedali riprenda le fila, anche perché la piena riuscita delle iniziative lombarde dimostra che le nostre proposte sono attuali e attuabili. Va intensificata con iniziative regionali la promozione degli Atti di Comano. RIMEDIARE O PREVENIRE venzione quali: protezione dei lavoratori, tutela dell'ambiente e prodotti alimentari. Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta delle direttive CEE: La legge comunitaria 1991, in questi giorni in discussione in Parlamento, stabilisce le norme per il recepimento di numerose Direttive Europee comprese in due elenchi: 1) l ' allegato A comprende le direttive che il Governo è tenuto a recepire mediante un Decreto Legislativo (come per il famoso/famigerato D.L. 277/91); 2) l'allegato B contiene invece le direttive che possono essere recepite in via amministrativa. Tra le direttive il cui recepimento è subordinato alla emanazione del decreto legislativo figurano, all'articolo 20, numerose direttive su questioni di interesse per gli Operatori della Pre- 89/391 89/654 sentato a diversi Parlamentari le nostre proposte di emendamento sui punti ritenuti critici), che nel processo di definizione stessa dei Decreti di Recepimento. Nel contempo, come sa chi ha partecipato il 23 settembre 1991 al Convegno di Milano, stiamo lavorando per costituire un "ufficio interparlamentare" (Senato, Camera, Parlamento Europeo) in grado di coordinare l'azione di diversi soggetti in materia sia di recepimento delle direttive comunitarie che di intervento nel processo di definizione delle direttive stesse. Su quest'ultimo punto è in corso uno "studio di fattibilità" per l'apertura, in collaborazione con altre associazioni, di una "testa di ponte" direttamente a Bruxelles. Maggiori informazioni sul prossimo numero. LA SIBILLA DI COMANO Si è tenuto il 26 settembre a Milano, presso l'Istituto dei Tumori, il 2° seminario regionale Snop (il primo in giugno a Brescia) sulla sorveglianza ambientale e sanitaria nel comparto sanità. Organizzato in collaborazione con l'Assessorato regionale, il Sindacato Funzione Pubblica e - interessante e proficua novità - il Tribunale dei diritti del malato, portatore di temi essenziali e dati di inchiesta particolarmente utili, il seminario ha visto una buona partecipazione di operatori dei servizi di prevenzione e delegati; come sempre latitanti le direzioni sanitarie. Ed è proprio alla mancata cultura della prevenzione delle strutture aniministrative e tecniche (comitati di gestione e dei garanti, coordinatori vari, primari, amministratori straordinari, direzioni sanitarie, uffici tecnici...) delle U.S.L. e dei grandi ospedali che dobbiamo la sostanziale sottovalutazione dei problemi di igiene e sicurezza, la carenza di informazioni e formazione sui rischi ed i possibili danni, l'incapacità di applicare soluzioni consolidate di bonifica nelle strutture sanitarie. Concordi tutti gli interventi della mattina (Ghezzi, Carreri, Pianosi, 89/655 89/656 90/394 90/269 90/270 90/679 direttiva quadro prescrizioni minime nei luoghi di lavoro attrezzature di lavoro mezzi di protezione personale agenti cancerogeni carichi pesanti Vdt agenti biologici Allo scopo di non trovarci a dovere costituire, dopo RIMEDIA 91, anche RIMEDIA 92, 93, ecc., è nostra intenzione inserirci immediatamente sia nel dibattito concernente la stessa definizione della legge comunitaria (rispetto alla quale, peraltro, abbiamo già pre- Laura Bodini Graziano Frigeri RISCHIO AMIANTO: UNA QUESTIONE APERTA? Nella rivista SNOP n. 13 e 17 si è riferita una preliminare esperienza di rilevazione dei mesoteliomi realizzata a cura dei servizi territoriali di medicina del lavoro. Questo lavoro, oltre alle implicazioni relative allo specifico problema per le quali si rimanda alle note citate, ha costituito certamente una concreta occasione di ricerca attiva dei tumori professionali, argomento oggetto di un ricco dibattito teorico anche sulle pagine de "La Medicina del Lavoro". Da un primo interesse a recuperare eventi-sentinella al fine di identificare esposizioni professionali prima praticamente misconosciute, si è inevitabilmente passati alla necessità di effettuare, se pur tardivamente, una mappatura sistematica del rischio passato e presente. I risultati ottenuti, anche se preliminari e parziali stante la difficoltà a ricevere utili informazioni su un argomento che oggi evoca allarme e suscita reticenze, hanno stimolato interventi di vigilanza e prevenzione primaria a cura di alcuni Servizi territoriali. Questo, in sintesi, l'itinerario di un lavoro durato circa due anni (e in parte ancora in corso) che il Seminario organizzato a Brescia il 28/5/1991 ha cercato di illustrare offrendo anche un'occasione di scambio e confronto con altre esperienze. E nostra convinzione che la fuoriuscita dell'amianto vada accelerata con ogni mezzo e al tempo stesso non debbano cadere nel silenzio i danni che l'esposizione al minerale ha prodotto. Entrambi questi aspetti della questione devono vedere gli operatori dei servizi attivamente impegnati per almeno tre motivi che sinteticamente richiamiamo dalle precedenti note pubblicate sui fascicoli n. 13 e 17 della Rivista: 1) la necessità di disporre sia di un progetto organico di prevenzione di un rischio ancora presente e poco noto sia di strumenti di intervento efficaci, già oggi disponibili ma probabilmente sottoutilizzati; 2) l'utilità di estendere e sistematizzare la sorveglianza sul danno, particolarmente neoplastico, su cui pesa ancora ignoranza e talora indifferenza; 3) l'opportunità di svolgere valide iniziative di informazione. Tutto ciò possibilmente operando in modo coordinato ed omogeneo ad evitare comportamenti marcatamente difformi da parte dei Servizi di prevenzione. La necessità di proseguire e approfondire gli interventi sinora attivati raccogliendo le utili indicazioni emerse nel Seminario del 28 maggio scorso ci ha indotto a individuare quattro linee operative che costituiscono proposte di lavoro per il prossimo futuro. Queste riflettono la realtà bresciana che tuttavia crediamo possa assimilarsi a quelle di molte altre province italiane in cui l'argomento in questione non ha probabilmente impegnato le strutture sanitarie, ai vari livelli, come era giusto attendersi. 1. MAPPATURA DEL RISCHIO Benché a Brescia si osservi una rapida (e a volte incontrollata) eliminazione e sostituzione dell'asbesto dai cicli produttivi con i problemi che intuibilmente ciò può comportare, è ragionevole proseguire, estendere e completare la mappatura del rischio. Al fine di superare alcuni limiti che hanno caratterizzato la fase preliminare, sarà utile: - definire più adeguatamente i criteri orientativi per l'inclusione delle unità produttive che si vogliono reclutare in una mappatura che si intenda selettiva escludendo utilizzatori a rischio poco significativo per quantità e/o modalità d'uso dell'asbesto; - individuare nuove fonti informative ad integrazione delle esistenti sul commercio di amianto per il censimento degli utilizzatori; - predisporre una scheda-questionario più adeguata e strumenti più impositivi per garantire un ritorno di informazioni attendibili e complete. E bene sottolineare che questa mappatura in buona parte costituisce al tempo stesso una preliminare mappatura di un nuovo rischio, per alcuni aspetti ancora oscuro, legato all'esposizione alle fibre minerali artificiali che molti utilizzatori saranno costretti ad introdurre. Per questo motivo e per l'utilità di raccogliere dati relativi anche al pregresso utilizzo di asbesto, la mappatura deve proseguire non giustificandosi la sua sospensione con la contemporanea cessazione dell'uso di amianto. 2. PREVENZIONE L ' attivazione di interventi di prevenzione primaria nelle situazioni di rischio attuale dovrebbe essere imperativa e non costituire fonte di dubbio alcuno. 11 problema crediamo si ponga per gli strumenti da utilizzare per conseguire risultati significativi (eliminazione del rischio) in tempi ragionevoli. In via preliminare ne proponiamo alcuni che si integrano reciprocamente: - estensione dei provvedimenti di prescrizione con diffida (e/o disposizione) al divieto d'uso o sostituzione dell'asbesto secondo criteri prestabiliti e possibilmente omogenei; - disincentivazione, attraverso adeguata informazione ai fornitori, alla messa in vendita di manufatti a base di amianto; - predisposizione e diffusione ad hoc di schede tecniche ed informative sull'uso dei materiali sostitutivi. Sulla prevenzione secondaria dei possibili effetti biologici conseguenti a pregresse esposizioni, riteniamo necessario riprendere ad aggiornare il protocollo di sorveglianza sanitaria per esposti ed ex-esposti. Nella convinzione che, laddove le risorse lo consentano e se ne condivida l'utilità, sia opportuno sottoporre ad accertamenti sanitari i lavoratori ex esposti che non hanno mai ricevuto alcun controllo saranno definiti i criteri di inclusione dei soggetti nel programma di sorveglianza che si propone almeno trasversale. 3. MAPPATURA DEL DANNO La prima esperienza di rilevazione delle patologie asbesto correlate e la loro revisione anamnestica è nata quasi occasionalmente ed ha sofferto dei limiti comuni alle indagini retrospettive. Soprattutto si è sviluppata col solo apporto di qualche operatore in un contesto di disinteresse da parte di molti servizi e di mancata collaborazione dei medici. Ciononostante, è nostra opinione che per il futuro si debba uscire dalla occasionalità dell'osservazione di queste patologie per giungere a una rilevazione sistematica dei casi e all'istituzione di un Archivio Provinciale e Regionale delle patologie asbesto correlate sostenuto attivamente da tutti i servizi e centralizzato a livello almeno provinciale. A questo fine è stata predisposta un'apposita scheda individuale di rirevazione dei dati clinici e professionali e sono stati proposti i criteri e i metodi di una sorveglianza epidemiologica attiva. 4. INFORMAZIONE Tra gli aspetti maggiormente trascurati, almeno nella realtà bresciana, si trova senza dubbio l'informazione e l'educazione rivolta tanto a lavoratori e datori di lavoro quanto ad altre parti sociali e alle istituzioni stesse, non ultime quelle sanitarie. Ciò può in parte spiegarsi da un Iato con la difficoltà a svolgere compiutaniente questo intervento in settore lavorativo in cui la questione è spesso ignorata o rimossa da parte dei lavoratori quanto taciuta o sottovalutata dai datori di lavoro per gli effetti devastanti cui è tragicamente legata, dall'altro con la constatata e diffusa disinformazione degli stessi operatori della pubblica amministrazione, sanitaria e non. Nonostante i limiti e i problemi che prevedibilmente si pongono affrontando l'aspetto dell'informazione/educazione nel campo dei cancerogeni professionali, per il futuro andranno colmate queste lacune recuperando ai servizi spazi ed occasioni di lavoro. in particolare risulterà prezioso il contributo che il centro di documentazione sulla questione amianto dell'Istituto Superiore di Sanità potrà offrire soprattutto per preparare gli operatori della prevenzione a fornire risposte adeguate ai quesiti che un'informazione diffusa e capillare inevitabilmente comporterà. Queste, in sintesi, le proposte di interventi indirizzate ai servizi di prevenzione delle USSL per iniziare o proseguire quel lavoro che il Seminario (Prevenzione del rischio e censimento del danno da amianto. Ruolo dei servizi territoriali di prevenzione) ha tentato di stimolare. In questo senso, l'inattesa emanazione del D.L. 10/8/91 n. 277 di recepimento delle Direttive Cee sul- l'amianto, successivo al Seminario di Brescia, costituisce un decisivo vincolo operativo. La normativa che contiene alcuni aspetti innovativi, risulta di non agevole applicazione e consente ancora esposizioni a rischio elevate non tutelando sufficientemente i lavoratori dai possibili effetti più gravi. Ciò rende quindi ancor più attuale la necessità di approfondire le problematiche emerse nel corso del Seminario anche alla luce di questo nuovo riferimento legislativo. Tra i numerosi gruppi di lavoro della SNOP ne manca forse uno che produca analisi e proposte utili a proseguire interventi sul rischio da amianto in questa nuova prospettiva. UMBRIA I° CONVEGNO REGIONALE SNOP BOLZANO (26-28 MARZO 1992) MOSTRA CONVEGNO SUI MEZZI PERSONALI DI PROTEZIONE L'8/10/91 si è tenuto a Perugia il primo convegno regionale della SNOP avente per titolo: "PREVENZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO: TRA RIFORMA E CONTRORIFORMA?". I lavori si sono articolati in due sessioni: nella prima è stata illustrata da Graziano Frigeri la proposta SNOP per la riorganizzazione dei servizi di prevenzione; quindi gli operatori hanno illustrato le attività svolte dai servizi sia fornendo le cifre relative agli aspetti più significativi, sia evidenziando le problematiche di maggiore rilevanza a livello regionale. Relazioni specifiche hanno riguardato la prevenzione degli infortuni, il sistema informativo e la questione del rapporto tra interno ed esterno della fabbrica. La seconda parte ha dato spazio ad interventi non certo rituali delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, dell'Istituto di medicina del lavoro dell'Università di Perugia, del l'Assessorato regionale alla sanità, della magistratura. Il bilancio induce ad un certo ottimismo per vari motivi: innanzitutto la partecipazione molto qualificata e rappresentativa degli operatori dei servizi, delle forze sociali, imprenditoriali e professionali dà prova della vitalità dei servizi di prevenzione umbri e del loro forte radicamento nella realtà in cui operano. Inoltre, la SNOP ha avuto la possibilità di farsi conoscere anche in Umbria come interlocutore qualificato sulle questioni della prevenzione: è intenzione dei soci non venir meno agli impegni che ciò comporta. Armando Mattioli Il volume degli atti del Seminario di Brescia è disponibile fino ad esaurimento al prezzo di L. 30.000 Rif. P. Gino Barbieri UOTSLL - USSL 36 Iseo (Brescia) Tel. 03 0/98873 1 1. Ai mezzi personali di protezione, da più parti {imprenditori, ma anche a livello CEE), si sta dedicando sempre maggiore attenzione e i servizi ci si devono confrontare. Anche se non è un tema tipico SNOP, sarebbe opportuno riuscire a dare qualche indicazione: Quando, per quanto tempo e in che condizioni usarli? Quali requisiti e informazioni chiediamo alle ditte produttrici? L'associazione RISCHIOZERO/RISIKONU LL di Bolzano, si propone di organizzare, in collaborazione con la SNOP, una mostra convegno sull'argomento, da tenersi presso la Fiera di Bolzano, dal 26 al 28 marzo 1992. L'esposizione dovrebbe essere aperta a mezzi di protezione personale di tutti i tipi, mentre dovrebbero per ora essere approfonditi da un punto di vista tecnico solo alcuni argomenti: protezione da rumore, protezione delle vie aeree, cinture di sicurezza e sistemi anticaduta, educazione al corretto uso. Dovrebbero intervenire, in apposite sessioni per argomento, rappresentanti delle aziende produttrici ed esperti italiani e stranieri, con particolare riferimento a cosa bolle in pentola CEE. Gli operatori dei servizi interessati o che si sono già occupati dell'argomento, sono pregati di contattare Stefan Faes Laboratorio medico provinciale via Amba Alagi 5 39100 Bolzano Tel.: 0471/286530 EUROPEAN SUMMARY Quality e/o Quantity Alberto Baldasseroni PAGE 3 BARI 92 IN-OUT The veterinary service in a preventative system Giovanni Belcari Roberto Elia PAGE 10 Pesticides and prevention Valentino Patussi Andrea Collareta PAGE 13 A Data-file for industrial wastes Domenico Marcucci Enrico Cigada PAGE 16 RIMEDIA '91 Italian Intakes in CEE Guidelines on lead, asbestos, noise Graziano Frigeri A project for cancerogene risk prevention U.S.S.L, N. 27 BOVOLONE (VR) PAGE 43 The XIIth Congress of SNOP will take piace in Bari, 28th-30th Aprii 1992. The theme of 1992 Congress is "Agricolture Project", and the aim is to take stock of Italian and EEC situation about legislation, experiences and Publics lntervents in Environmental Protection, workers health and generai popuiation health. Occupational Physician, Hygienists, Veterinary (coming both from University, National Health Serviccs) together with Agricolture Workers and Employer Organization, Environmental Associations and National and Loca] Government representatives will discuss the main aspects of this "Planet Agricolture", so important (also economically) in Europe, and so ignored. It's also preview the partecipation of EEC and OMS experts. Organizing Committee: Paola Bertoli 0039 521 852710 - 858163 Giuseppe Cappelli - 0039 80 674832 674887 Scientific Committee: Stefano Baiardi 0039 546 673111 Eugenio Ariano - 0039 371 51151 OUTLOOK SHEFFIELD BACK IN EUROPE After a large and animated discussion, which involvcd workers, Trade Unions, Occupational Health Professionals, employers, politicians and (last but not least!) the President of the Republic itseli, below the August's sun Italy absorbed in a low (DL 277/91) the EEC directives on Lead, Asbestos and Noise. Why a so animated discussion? Because the law (and the directives), besides some positive aspects (such as information for workers, definition of attiibutes, duties and penalties for Occupational Physicians, penalties for machines' producers and dealers, and others) introduces in the Italian legislation some extremely negative "newness" and very high limits for all the agents considered. The most negative aspect is the introduction of the "European" principle of "reasonability" in order to adopt measures to eliminate or reduce workplace hazards. Instead of the principle of technical feasibility, proper of the whole italian legislation on work protection (starting from Constituction itself artt. 32, 41) now we have the "concrete feasibility" which means, in faci, that employers could avoid adapting security measures if "too expansive". Talking about limits, the EEC directives introduce for Lead, Asbestos and Noise very high values (PbB 60 mcg%cc; Asbestos 0,1 f/cc; Noise 90 dbA) where in Italy the most part of workers and worplaces are far below: for instante, the finding of a PbB higher than 40 mcg%cc is extremely rare in an exposed workers, and in the majority of the worplaces, due to the intervention of both workers and Occupational Health Services, noise is below 85 dBA. Finally, for asbestos ita]ien Parliament is discussing a complete ban law. But Mr. Andreotti ignored all the appeals called by SNOP, Trade Unions, Universities, Activist Associations, and the same Parliament, and passcd the law. So, we carote the directly at the President of the Republic Francesco Cossiga, who refused to sign and sent back the law to the Government which nevertheless went on, in force of an article of the Constitution which oblige the President to sign if asked again. But the opposition movemcnt didn't surrender, and on September 23th in Milan SNOP, Ambiente e Lavoro (an environmentalist association dose to the greatest italian Union, CGIL), Magistratura Democratica (the progressive part of the magistrates) and more of 100 membcrs of the Parliament of alt parties founded the movement RIMEDIA 91 (an acrnonym that means "remedy") with the aim to modify the negative aspects of the law 2877/91. The proposals were presented in Parliament on October 12th. Graziano Frigeri Nei giorni 18 e 19 ottobre, presso la scuola sindacale CGIL di Ca' Vecchia si è tenuta la 2° riunione del Comitato Organizzatore della IV conferenza Europea degli operatori della prevenzione nei luoghi di lavoro che avrà luogo a Sheffield (Inghilterra) nei giorni 5 e 6 settembre 1992. Sono stati esaminati gli aspetti tecnicoorganizzativi (con particolare riferimento all'inserimento della Conferenza nell'ambito delle iniziative CEE per il 1992: l'anno europeo della sicurezza) che al programma di lavoro. In merito a questo ultimo punto i partecipanti all'incontro provenienti da Inghilterra, Scozia, Danimarca, Olanda, Germania e Italia (Francia e Spagna giustificate) hanno deciso il seguente calendario di massima: 5 settembre mattina: seduta plenaria con tre relazioni sui problemi dell'integrazione delle normative, delle procedure e degli standard a livello comunitario. Di queste relazioni quella relativa alla legislazione con particolare riferimento all'impatto delle direttive comunitarie sulle singole legislazioni nazionali sarà affidata all'Italia. Nel pomeriggio del 5 inzieranno i "workshops", due dei quali (servizi di prevenzione e tabelle di malattie professionali) saranno condotti da SNOP. I lavori proseguiranno nella mattina del 6 settembre (domenica) per concludersi nel pomeriggio in seduta plenaria per la discussione finale degli elaborati di gruppo e la stesura di un programma di lavoro comune da svolgere negli anni '90. I] prossimo ed ultimo meeting prima della Conferenza si svolgerà il 29 febbraio (sede: Parigi o Amburgo). Per ulteriori informazioni sulla Conferenza fare riferimento a Graziano Frigeri U.S.L. n. 7, Via Toschi, 3 43013 Langiu rano (PR) Tel. 0521/858163 Fax 0521/853723 RIMEDIA 91 ll 23 settembre scorso, presso la Camera del Lavoro di Milano, si è tenuto il Convegno "RIMEDIA '91 ", promosso da SNOP, Ambiente e Lavoro, Magistratura Democratica, Istituto Ambiente Europa e numerose personalità del mondo scientifico, politico e sindacale, per presentare una proposta di legge di modifica del Decreto 277/91. Nella sua introduzione Rino Pavanello, Segretario Nazionale di Ambiente e Lavoro, ha fatto la "storia" del Decreto a partire dal 23 luglio, data presentazione congiunta della (SNOP-Ambiente e Lavoro) del pacchetto di emendamenti al testo in corso di approvazione da parte del Governo. In realtà, per quanto riguarda gli Operatori della Prevenzione la storia inizia qualche mese prima del 23 luglio, e precisamente in aprile, quando per vie non ufficiali siamo venuti in possesso della bozza del decreto, redatta su carta intestata del Ministero del Lavoro che ne aveva curato, del tutto autonomamente, la stesura. Quella bozza, che ben pochi hanno avuto la possibilità di esaminare, oltre a recepire acriticamente il contenuto delle direttive CEE cui si riferiva, in palese contrasto con la legge delega n. 212/90, che espressamente faceva obbligo al governo di ricondurre il tutto al quadro normativo definito dal DPR 303/56, stravolgeva anche gli assetti istituzionali in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro: non venivano indicati né le Unità Sanitarie Locali né il Servizio Sanitario Nazionale quali organi di vigilanza (anzi, USL e SSN non venivano neppure mai nominati), mentre tutte le competenze in materia di regolamentazione, definizione di normativa e concessione di deroghe venivano attribuite al Ministero del Lavoro o, tutt'al più, all'ISPESL. Contemporaneamente, in Parlamento, si discuteva la legge comunitaria 1991 (anche questa conosciuta da pochi) che, per la parte dedicata al recepimento delle direttive sulla tutela della salute dei lavoratori (tra cui la direttiva 89/391) prevedeva espressamente che "per rischi di particolare rilevanza (sicl) la vigilanza fosse esercitata anche dall'Ispettorato del Lavoro". Se si considera che nel frattempo il Ministero del Lavoro, con due distinti decreti, da un Iato ristrutturava gli Uffici Regionali e Provinciali (prevedendo apposite strutture per esercitare competenze in materia di infortuni e malattie professionali) mentre dall'altro rior- AGGIORNAMENTI Mentre andiamo in stampa è stata depositata dai parlamentari aderenti a RIMEDIA '91 la PdL di revisione del Decreto Legge n. 277. In questo periodo si sono moltiplicate sia le iniziative di sostegno a queste modifiche che quelle di commento e gestione "alternativa" o al "meglio" del decreto di agosto. Abbiamo ritenuto su questo numero della rivista di fare conoscere non tanto gli emendamenti (già pubblicati su Dossier Ambiente e comunque richiedibili ad Ambiente e Lavoro) ma le motivazioni scientifiche che sottendono alle nostre principali proposte di modifica contenute non solo nell'attuale proposta di revisione ma in ulteriori emendamenti per i quali abbiamo già chiesto audizione alle commissioni parlamentari. La Redazione ganizzava l'Ispettorato Medico Centrale, il quadro, sul piano istituzionale, si fa completo: il decreto 277, in fase di incubazione, al di là degli aspetti di merito specifico, si inquadrava in un "unico disegno criminoso" (come direbbero i Magistrati) finalizzato alla restaurazione del sistema precedente la 833, in netto contrasto, tra l'altro, con quanto affermato nelle relazioni finali delle indagini condotte sia dalla Commissione Lama che dalla Commissione Affari Sociali, che riconfermano in pieno la validità della scelta istituzionale voluta dalla legge di Riforma Sanitaria. Il DL 277/91, anzi, avrebbe dovuto costituire il "cavallo di Troia" di questo disegno, creando un precedente difficilmente eludibile in seguito. Contro questo tentativo la SNOP si è mossa, fin da aprile, con l'invio di note di merito ai Ministeri, e in particolare al Ministero della Sanità, ancora una volta messo (o messosi ?) fuori gioco, al Parlamento, alle Regioni, alle forze politiche, ai Sindacati (che avevano proposto autonomamente una serie di emendamenti che tuttavia non affrontavano il nodo istituzionale), alle altre associazioni scientifiche per il tramite della Consulta Interassociativa per la Prevenzione. Ebbene: se oggi sul DL 277/91 (che pure vogliamo andare a modificare) leggiamo che l'organo di vigilanza deve identificarsi nelle strutture del Servi- zio Sanitario Nazionale, o che i registri degli esposti vanno consegnati anche alle USL (oltreché all'ISPESL) lo si deve proprio al fatto che la SNOP ha saputo attirare su questi aspetti l'attenzione del Parlamento e, in particolare, dei numerosi Parlamentari che hanno successivamente aderito a Rimedia 91. Ho ritenuto giusto ricordare questa "preistoria" del decreto, perché aiuta a capire la portata generale degli argomenti di cui stiamo discutendo, che va molto oltre la pur doverosa disamina dei numeri e dei singoli aspetti della nuova normativa. La SNOP non si batte contro il recepimento delle Direttive Comunitarie: riteniamo anzi doveroso creare le condizioni affinché la tutela della salute dei lavoratori raggiunga livelli sempre più significativi in Italia e nel resto d'Europa. Per questo, tra l'altro, siamo fortemente impegnati nel tentativo di creare collegamenti e momenti di riflessione e di azione comune con altre associazioni europee, al fine di poter incidere anche sulla fase di definizione delle normative comunitarie. Nei giorni scorsi (18 e 19 ottobre) abbiamo organizzato, a Bologna, la riunione del Comitato Promotore della [V Conferenza Europea degli Attivisti negli Ambienti di Lavoro che avrà luogo nel settembre del prossimo anno a Sheffield, mentre siamo in stretto contatto con l'Associazione degli Ispettori del Lavoro francesi per l'organizzazione a Parigi, nel giugno del '92, di un Seminario destinato specificamente alle questioni attinenti l'intervento istituzionale per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. La comparsa sulla nostra rivista, a partire dal numero 18, dell'inserto in lingua inglese, è un piccolo segnale ma eloquente. La SNOP è quindi per l'integrazione, ma ai livelli più alti di tutela, sia sul piano tecnico che su quelli normativo e istituzionale: ed è proprio in riferimento in particolare ai livelli normativi ed istituzionali che, anche in virtù dei contatti e degli scambi di esperienze di cui dicevo, avevamo potuto constatare come, fino al 27 agosto 1991 la situazione italiana, pur con tutti i limiti che più volte abbiamo denunciato, si situasse su un piano più avanzato rispetto agli "standard medi" europei per quanto riguarda la tutela della salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro. E questa la seconda premessa senza la quale può risultare difficile, anche a qualche operatore, comprendere il giudizio complessivo espresso da SNOP sugli effetti del DL 277/91: una normativa che peggiora, complessivamente, le possibilità di tutelare efficacemente la salute dei lavoratori e, per alcuni aspetti, consente addirittura di annullare i risultati positivi di molti interventi di prevenzione. L'affermare questo non ci impedisce di apprezzare gli aspetti positivi del Decreto 277/91, che esistono ed è giusto che siano valorizzati. Mi riferisco in particolare alla dettagliata definizione delle misure di tutela, definite sia a livello generale dall ' art. 4 che, nei campi 11, 111 e IV, dai singoli articoli che trattano, per il piombo, l'amianto e i l rumore, la valutazione del rischio (artt. 1 1 , 24 e 40); l'informazione dei lavoratori (artt. 12, 26 e 42); le misure tecniche, organizzative e procedurali (artt. 13, 27 e 41). Si tratta di aspetti che, pur contenendo alcuni punti sui quali abbiamo ritenuto di osservare obiezioni (ritrovabili nelle modifiche che sono state proposte), consentono di esprimere un giudizio globalmente positivo. Più problematica, e meno felice nel testo legislativo, la definizione delle misure igieniche e, soprattutto in riferimento al piombo e all'amianto, degli aspetti anche tecnici del controllo sanitario. Un giudizio francamente positivo deve essere espresso, al di là della vexata quaestio della dipendenza o meno dal Servizio Sanitario Nazionale, sulla definizione (finalmente!) dei requisiti professionali del medico competente (art. 3), sui suoi obblighi generali (art. 7) e particolari in riferimento ai singoli agenti (artt. 8, 12, 15, 16, 18, 20, 21, 29, 31, 35, 42, 44, 47, 48, 49), così come sulla previsione di specifiche sanzioni penali in caso di inadempienza (art. 53). Anche le parti che riguardano gli obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti (art. 5) e gli obblighi dei lavoratori (art. 6) meritano una valutazione sostanzialmente positiva, al di là di alcune modifiche che intendiamo proporre, così come positivamente sono da accogliere, anche per il fatto di avere valenza generale, i contenuti degli articoli 8 (allontanamento temporaneo dall'esposizione) e 9 (norme di salvaguardia per l'ambiente esterno). Da ultimo, meritano di essere citati l'attivazione dei Registri degli Esposti e, novità assoluta, sanzioni per il medico competente in caso di inadem- pienza, e sanzioni per i produttori e i commercianti di macchine e apparecchiature non rispondenti ai requisiti previsti per la protezione dei lavoratori dai rischi dovuti alla esposizione a rumore. Della individuazione del Servizio Sanitario Nazionale e delle USL quali organi di vigilanza si è già detto. Come si vede gli aspetti positivi ci sono, nel DL 277/91, e non sono di poco conto. Da questo punto di vista, al di là dell'impegno per l'approvazione delle modifiche, si pone per gli operatori (e per la SNOP), un problema di studio accurato delle norme contenute nel DL 277, al fine anche di una sua efficace gestione operativa. Tuttavia, anche per questa ragione, diviene un imperativo categorico procedere il più rapidamente possibile alla modifica di quegli aspetti negativi che, sul piano della sostanza, sono di tale portata e rilevanza da oscurare ampiamente le parti valide del Decreto. Ed allora vediamo, in rapida successione e attraverso il filtro delle proposte di modifica, quali sono questi aspetti negativi. Della dizione "concretamente attuabili si è già parlato a lungo, anche il 23 settembre, e non ritengo di dover spendere troppe parole per chiarire l'urgenza e la necessità di ricondurre la normativa ai principi della Costituzione e allo spirito dell'art. 2087 del Codice Civile, cui in definitiva si rifacevano gli abrogati articoli 19, 20 e 24 del DPR 303/56, nel momento in cui stabilivano nella mera fattibilità tecnica il limite oggettivo per l'adozione di misure di bonifica e risanamento. E fin troppo chiaro, infatti, come la dizione "concretamente" introduca elementi di valutazione tanto estranei al dettato costituzionale (per cui la salute e la sicurezza costituiscono diritti non negoziabili), quanto impossibili da gestire da parte degli organi di vigilanza, che non hanno alcun titolo e strumento per valutare eventuali compatibilità economiche rispetto a programmi di risanamento. Nonostante la possibilità di una lettura "aderente ai principi costituzionali" in sede interpretativa, auspicata anche da Raffaele Guariniello nel suo intervento di Milano, è indubbio che questo punto, insieme a quello dei limiti di esposizione a rumore, piombo ed amianto, costituisce uno dei tratti essenziali sui quali si fonda il nostro giudizio negativo sul complesso del decreto. I limiti per l'esposizione a rumore costituiscono certamente l'aspetto che più ha fatto "rumore" nell'opinione pubblica: il DL 277/91 di fatto consente l'esposizione a rumore fino a 90 dBA in livello equivalente, senza che il datore abbia alcun reale obbligo di ridurre l'inquinamento acustico alla fonte. Nell'attuale art. 41, infatti, complice il famigerato avverbio "concretamente", si viene a limitare sostanzialmente la portata del primo comma in ordine alla connessione tra misure per ridurre l ' esposizione e progresso tecnico, mentre l'unica certezza rimane quella della segnalazione e della eventuale perimetrazione di aree soggette ad esposizioni superiori a 90 dBA o, per i rumori impulsivi, a 140 dBA: nella nostra proposta tali valori divengono rispettivamente 80 dBA e 130 dBA. Di qui la necessità di sopprimere le parole "concretamente attuabili", ripristinando il diritto precedente, e consentendo così, tra l'altro, di portare a termine gli interventi di bonifica già iniziati o programmati dalle aziende in base alle prescrizioni dei Servizi, e che avevano come obiettivo di portare l'esposizione dei lavoratori al di sotto dei fatidici 85 dBA, limite al di sotto del quale solo una esigua minoranza dei lavoratori esposti può sviluppare un danno uditivo nel corso della vita lavorativa. Come per gli altri agenti, proponiamo di abolire i "due steps" relativi al- l'informazione ai lavoratori, che nella proposta che presentiamo va fornita "tutta, a tutti e subito" ogniqualvolta vi sia esposizione all'agente (nel caso del rumore, un livello equivalente superiore a 80 dbA). Per le stesse ragioni vengono abbassati di 5 dBA i livelli ai quali diviene obbligatorio sia il fornire i mezzi personali di protezione (da 85 dBA a 80 dBA) che il loro uso effettivo da parte dei lavoratori (da 90 dBA a 85 dBA), così come vengono adeguate le soglie alle quali scatta l'obbligo del controllo sanitario da parte del medico competente. In generale, tutte le modifiche proposte fanno riferimento ad un limite di 85 dBA, mentre si corregge l'errore (si fa per dire) per cui le deroghe per situazioni lavorative particolari vanno richieste al Ministero del Lavoro (art. 48) anziché all'organo di vigilanza, come noi proponiamo, eè come è logico che sia. Quello che deve essere chiaro, al di là del l'impegno e della buona volontà degli operatori nella applicazione del Decreto, è che la normativa attualmente in vigore contribuisce a bloccare le iniziative di prevenzione in corso fondate sulla riduzione del rischio alla fonte, e ne ostacola la futura programmazione se non per livelli di rischio tali da produrre, comunque, un danno certo alla salute dei lavoratori, in quanto una esposizione a 89 dBA (quindi "legale") per otto ore al giorno, per cinque giorni la settimana e per trenta anni comporta un danno uditivo certo (seppure di diversa gravità) a troppi lavoratori esposti. Analoghe considerazioni possono essere svolte per quanto riguarda l'esposizione a piombo per il quale, rispetto al decreto, proponiamo l'eliminazione dell'assurda discriminazione a danno degli addetti alle attività estrattive, esclusi ai sensi del comma 2 dell'art. 10 (di cui si suggerisce la soppressione in toto) dalle norme di protezione previste per tutti gli altri lavoratori esposti, nonché, come già detto a proposito del rumore, l'abolizione degli steps per l'informazione dei lavoratori. All'art. 13 si ripropone la soppressione del concetto di "concreta attuabilità" delle misure di sicurezza, mentre il controllo sanitario (art. 15) viene previsto dalla nostra proposta per tutti gli esposti, e non solamente in caso di superamento delle soglie definite dal comma 3 dell'art. 11 (40 mc)mc in aria o 35 mcg%cc nel sangue). Il limite biologico al di sopra del quale scattano le misure tecniche e sanitarie previste dall'art. 16 viene ridotto da 60 mcg%cc nel sangue ad un valore di piombemia pari a 50 mcg%cc, mentre la soglia per l'allontanamento immediato (e non "al più presto", come dice il DL) scatta a 60 mcg%cc. Le lavoratrici in età fertile, peraltro, vengono allontanate dall'esposizione per valori di piombemia superiori a 35 mcg%cc, anziché 40 mcg°/acc. A tale proposito giova ricordare a che da anni i Servizi di Prevenzione osservano una soglia pari a 40 mcg%cc, al di sotto della quale si situa ormai, per fortuna, la maggior parte dei lavoratori addetti a lavorazione che espongono a piombo: un limite di 60 mcg%cc, pertanto, non solo rappresenta un evidente peggioramento delle condizioni di tutela, ma costituisce anche un oggettivo incoraggiamento sia ad incrementare l'utilizzazione del piombo che la sua dispersione nell'ambiente di lavoro. Lo stesso limite da noi proposto (50 mcg%cc) equivale in qualche modo a un compromesso, "accettabile" solo nel contesto della globalità delle modifiche da noi presentate. il limite di esposizione, infatti, viene ridotto da 150 mcg/mc a 75 mcg/mc, valore che, in base agli studi compiuti e all'esperienza dei Servizi e delle Strutture di Prevenzione, garantisce ampiamente il rispetto dei limiti biologici negli esposti. Da segnalare, infine, nella nostra proposta, la priorità assegnata, nel monitoraggio biologico, all'indicatore di dose "piombemia" rispetto alI'ALAU e alla stessa ZPP, in accordo con la più recente letteratura scientifica nazionale e internazionale. II capo III, riguardante la protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto, è quello sul quale si è ritenuto di non effettuare se nonin sede di seconda audizione estese proposte di modifica, anche per la ragione che è in fase di approvazione definitiva in Parlamento il disegno di Legge che prevede la totale abolizione dell'uso dell'amianto, e dei materiali contenenti amianto, sia nei luoghi di lavoro che negli ambienti di vita. Anche questa circostanza sta a dimostrare la eccessiva fretta con la quale si è voluto recepire una direttiva destinata ad essere immediatamente abrogata, in virtù di una "sana" tradizione che risale alla legge sul benzolo (e che auspichiamo non venga accantonata nella fretta di omologarsi al "resto d'Europa") per la quale non è giustificabile alcuna esposizione ad un agente che si sia dimostrato essere un sicuro cancerogeno. Ci si è quindi limitati ad intervenire sugli aspetti più immediatamente contraddittori, anche all'interno della filosofia del decreto stesso, coerentemente con gli obiettivi tattici di Rimedia 91 (giungere cioè ad una rapida approvazione di una legge di modifica, senza puntare ad un improbabile stravolgimento del DL), e tenendo conto che l'approvazione della legge sull'abolizione dell'uso dell'amianto non significherà, "sic et simpliciter", la scomparsa immediata dell'amianto dagli ambienti di vita e di lavoro. Anche in considerazione di ciò, stiamo comunque lavorando affinché in sede di discussione parlamentare (e nelle audizioni che vi saranno) sia della pdl che della legge specifica sull'amianto, si possano apportare quelle modifiche radicali che riconducono la normativa al principio della abolizione di ogni esposizione ad agenti cancerogeni. In estrema sintesi, nella pdl, si propone l'abolizione della distinzione di soglia tra attività continue e attività di carattere saltuario (soppressione dei commi 4 e 5 dell'art. 24) e si porta da triennale ad annuale la periodicità con la quale il datore di lavoro effettua la valutazione del rischio, nonché l'informazione completa dei lavoratori (art. 26)*. 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SISTEMI E MACCHINE PER LAVAGGI ECOLOGICI Via Barona, 31 - 20142 Milano - Tel. 02-817565 - Telex 321035 - Telefax 02-8137380 Circa il controllo sanitario si propone l'abrogazione del Decreto del Ministero del Lavoro che consente la sostituzione della radiografia del torace con la sola presenza di reperti quali, ad esempio, "rantoli crepitanti", "corpuscoli dell'asbesto" o "siderociti" nell'espettorato, ai fini della diagnosi di asbestosi (DM 21/1/87, GU n. 35 de l ll11 /2/87). Nella parte riguardante l'ipotesi di superamento dei valori limite (art. 31: 1 f/cc per il crisotilo, 0,2 f/cc per le altre varietà di asbesto), si propone la soppressione della distinzione di soglia tra attività lavorative normali, attività saltuarie e attività estrattive, e si prevede la sospensione della attività in caso di avvenuto superamento dei limiti. Infine, la registrazione dei tumori (art. 36) viene prevista non solo per i casi di mesotelioma asbesto-correlati (che avrebbe una valenza meramente medico-legale), ma per tutti i casi di neoplasie verificatesi in esposti ad asbesto: è noto infatti che i1 mesotelioma, pur essendo indubbiamente il più specifico, non è né il solo tumore correlabile all'amianto, né il più frequente. La valenza eminentemente epidemiologica di un Registro Tumori impone pertanto la registrazione sistematica di tutte le neoplasie che potrebbero essere correlate alla esposizione ad amianto. Questi sono, per gli agenti considerati, gli aspetti più significativi da affrontare in sede cli modifica, quelli che ci hanno fatto parlare, per il DL 277/91, di "ferita da risanare". Vi sono nel decreto altri punti critici, pur non determinanti complessivamente, che hanno tuttavia attirato la nostra attenzione: mi riferisco, rapidamente, alla opportunità di neutralizzare il "blitz" del Ministro De Lorenzo, che è riuscito "in extremis" ad escludere le sale operatorie degli ospedali dal campo di applicazione del DL; - alla necessità di specificare meglio chi, nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, esercita le funzioni di organo di vigilanza; - alla necessità di informazione contestuale, e non alternativa, dei lavoratori e dei rappresentanti; - alla necessità di garantire la consegna ai lavoratori dei risultati dei propri controlli sanitari, non limitandosi alla semplice possibilità cli accesso agli stessi; - alla necessità di prevedere una adeguata tutela dei lavoratori autonomi che prestano la propria attività al- l'interno delle imprese, al di là della pur doverosa opera di informazione; - alla necessità, infine, di garantire misure igieniche adeguate per tutti i lavoratori, indipendentemente dai livelli di esposizione, così come previsto anche dall'ultimo dei Regolamenti Comunali di igiene! (il DL 277, invece, garantisce il "diritto" alle docce solo a chi può "vantare" una piombemia superiore a 35 mcg%cc, o una esposizione ad amianto superiore a 0,1 f/cc con il privilegio in quest'ultimo caso, "ove possibile", dell'uso esclusivo!!!). Da ultimo vorrei affrontare la problematica inerente il profilo istituzionale dei medico competente, in quanto la soluzione indicata nella pdl precostituisce una virata di 180 gradi rispetto alla prassi finora vigente, ed introduce un elemento di novità assoluta anche rispetto al dibattito in corso da tempo tra gli addetti ai lavori, e all'interno stesso della SNOP. Per comprendere appieno la portata della proposta, ed anche i problemi che potranno sorgere in ordine alla sua gestione pratica, è indispensabile fare chiarezza sulla situazione attuale, su come funziona oggi il sistema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori. Innanzitutto vi è da dire che enorme è ancora l'area della evasione all'obbligo del controllo sanitario dei lavoratori, soprattutto in quelle regioni e in quelle zone in cui non si è provveduto alla istituzione di adeguati Servizi di Medicina del Lavoro all'interno delle Unità Sanitarie Locali che hanno, tra gli altri, il compito del controllo e del coordinamento dell'attività di sorveglianza sanitaria sui lavoratori esposti a rischi. L'evasione all'obbligo è un dato storico: l'Ispettorato del Lavoro non ha mai intrapreso azioni volte a sviluppare le attività di sorveglianza sanitaria dei lavoratori, limitandosi al massimo a comminare sanzioni per inadempienza. Peraltro, almeno tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, una parte di responsabilità la portano anche molti Sindacalisti e, diciamolo pure, molti Operatori dei Servizi che, in nome della sacrosanta lotta alla "medicalizzazione", hanno finito poi purtroppo col considerare la sorveglianza sanitaria una questione di scarsa rilevanza nell'ambito delle attività di prevenzione. Per quanto riguarda l'area di coloro che adempiono agli obblighi vi è da dire che, contrariamente a quanto da molti ritenuto, oggi la quasi totalità degli accertamenti sanitari preventivi e periodici previsti dalle normative vigenti viene effettuata da medici assunti e pagati direttamente dalle imprese. In una minoranza dei casi si ha il coinvolgimento di strutture sanitarie private (laboratori, poliambulatori, case di cura) o pubbliche (per lo più cliniche o istituti universitari). L'articolo 5 della legge 300 del 1970, lo Statuto dei Lavoratori, è in realtà rimasto fino ad oggi lettera morta per quanto concerne gli accertamenti sanitari preventivi e periodici nella popolazione lavorativa. La bozza di decreto redatta dal Ministero del lavoro non affrontava la questione della afferenza istituzionale del medico competente (in questo conformemente alla delega che il governo aveva ricevuto dal Parlamento) limitandosi a precisarne i requisiti tecnico-professionali. Anche per questo, oltreché in ragione dell'urgenza di presentare gli emendamenti alle Commissioni Parlamentari, non si era ritenuto in prima istanza di intervenire su una problematica avente valenza generale, che esula dal merito del recepimento delle direttive. Poiché tuttavia il movimento sindacale considera l'afferenza del medico competente al Servizio Sanitario Nazionale un punto essenziale, le Confederazioni Sindacali hanno spinto affinché in sede di redazione del testo definitivo venisse inserita la clausola della dipendenza del medico competente dal Servizio Sanitario Nazionale, successivamente "mitigata" dalla dizione "ove possibile", suggerita dalia Confindustria. Questa formulazione dell'art. 3, combinata col disposto dell'art. 55 (norme transitorie e finali), ha finito col creare un "doppio regime" per cui chi come le aziende che già hanno medici di fabbrica alle proprie dipendenze continuano come prima, mentre le altre dovranno ricorrere, ove possibile, a medici dipendenti dal Servizio Sanitario Nazionale i quali, peraltro, non si capisce bene a che titolo e in base a quali rapporti di lavoro potranno svolgere l'attività di medico competente. Di qui la soluzione proposta nella pdl, che si rifà all'esperienza in corso da anni in molte Unità Sanitarie Locali, soprattutto in Toscana ed in Emilia. Sinteticamente si propone riconduzione al Servizio Sanitario Nazionale di tutta l'attività di esecuzione degli accertamenti sanitari dei lavoratori esposti, attraverso l'utilizzazione di personale medico, in possesso dei requisiti professionali previsti, dipendente dal SSN o appositamente convenzionato. L'intera attività di controllo sanitario dei lavoratori dovrà essere a carico, economicamente, del datare di lavoro (come previsto anche dal decreto), ma potrà svolgersi solo mediante convenzionamento tra aziende e Unità Sanitarie Locali competenti per territorio, in base ad una convenzione-tipo valida a livello nazionale. L'USL, a sua volta, utilizzerà medici dipendenti (ad esempio quelli delle Unità Operative Ospedaliere di Medicina del Lavoro, ove presenti) oppure medici in possesso dei previsti requisiti e appositamente convenzionati, anche in questo caso sulla base di uno schema valido a livello nazionale. Gli attuali medici d'azienda in possesso dei requisiti o che ricadono nell'ipotesi prevista dal l'art. 55 (quattro anni di esperienza, opportunamente verificata) potranno accedere alla convenzione e continuare così a svolgere la propria attività, ma per conto del SSN e non più del datore di lavoro. Come molti Operatori sanno, si tratta di una esperienza già concretamente operante: in Emilia Romagna con questo sistema (concordato tra UUSSLL, Sindacati e Imprenditori) viene oggi garantita l'effettuazione degli accertamenti sanitari da parte del SSN a circa 2500 aziende, a totale carico delle imprese, mediante l'utilizzo di medici convenzionati, diretti e coordinati dai Servizi di Medicina del Lavoro. Occorre qui ribadire un punto fonda- mentale: l'effettuazione degli ASPP non è un compito dei Servizi di Medicina del Lavoro che da questo punto di vista esercitano le funzioni di organo di vigilanza, rispetto a cui i medici competenti hanno numerosi obblighi e sono soggetti a sanzioni in caso di inadempienza. I Servizi, al di fuori dell'attività sanitaria esercitata d'ufficio per i fini di indagine e verifica di situazioni particolari (che come tale è a carico del SSN), esercitano, e continueranno ad esercitare anche nell'ipotesi del passaggio al nuovo sistema proposto, funzioni di coordinamento e controllo dell'attività di sorveglianza sanitaria. La SNOP ha sempre ritenuto che questo sia il compito principale, nell'ambito delle attività sanitarie, dei Servizi, e non c'è ragione di cambiare opinione. Questa posizione, tuttavia, non è in contrasto con la possibilità di attribuire al SSN la titolarità della effettuazione degli ASPP, e la soluzione proposta, anche sul piano tecnico, appare la più percorribile. Devo anche aggiungere che, in base all'esperienza, questo sistema si è dimostrato efficace nel migliorare da parte dei Servizi Stessi la capacità complessiva di intervenire nei luoghi di lavoro, in quanto il medico competente convenzionato col SSN diviene in pratica un' operatore della prevenzione aggiunto", un "terminale operativo" che, soprattutto nelle aziende di maggiore dimensione, consente una presenza più continua e costante di quanto non possa fare il Servizio col proprio personale, insufficiente per definizione. I punti critici del sistema (ma che rimangono tali anche nell'ipotesi prevista dalla vigente normativa) consistono innanzitutto nel fatto che i medici in possesso dei titoli necessari non sono sufficienti a coprire il fabbisogno, ed in se- condo luogo, per contro, nel pericolo che l'art. 55, come tutte le "sanatorie" che si rispettino, rischia di laureare "medici competenti" anche molti che tali non sono. Su questi punti critici occorrerà lavorare per limitarne il più possibile l'impatto sull'intero sistema. Questo decreto legislativo deve essere quindi profondamente modificato: i punti che abbiamo indicato e fe soluzioni che abbiamo proposto ci pare colgano le principali contraddizioni tra la norma emanata e la visione complessiva della Prevenzione nei luoghi di lavoro che nel nostro Paese rappresenta un patrimonio consolidato dei lavoratori e di tutti coloro che della Prevenzione hanno fatto il loro lavoro quotidiano, non solo nei Servizi Pubblici, ma anche nelle Università, negli Istituti Scientifici e nei Centri di Ricerca, ed anche in molte Strutture e Istituzioni Private: non è un caso che, finora, nessuna voce proveniente dal mondo scientifico si sia levata a difesa del DL 277, sui principali punti contestati. L'illusione, che ha affascinato anche qualche operatore, che il definire limiti precisi ai vari agenti (il "dare i numeri") rappresenti comunque un passo in avanti è, appunto un illusione: questo decreto non incrementa né potenzia la capacità di intervento dei Servizi di Prevenzione: dove i Servizi non esistono, o dove faticano a camminare, sarà impossibile far rispettare qualsiasi limite, alto o basso che sia, perché mancheranno gli strumenti operativi e le condizioni oggettive per agire. Farà chiarezza, a questo proposito, fa nostra Operazione Prevenzione SUD, che si concluderà a Bari il 27 aprile 1992. Graziano Frigeri RIMEDIA 91 PERCHE CAMBIARE IL 277 SUL PIOMBO 1) I valori guida previsti per la PbB sono sicuramente troppo elevati: basti ricordare che i limiti NIOSH-OSHA, USA, fissati in pratica nello stesso periodo, prevedono il valore limite biologico per l'allontanamento dal lavoro a 50 mcg/100ml con riammissione al lavoro a valori inferiori a 40 mcg/100 ml e che il valore limite nell'aria è stato posto a 50 mcg/mc. Alcuni paesi che hanno recepito la direttiva hanno adottato limiti più bassi (Germania, PbA 100mcg/mc, PbB nei maschi 70 mcg/100ml e 30 mcg/100ml nelle donne. Danimarca, PbA 100 mcg/mc PbB 50 mcg/100ml si ridurrà a 40 nel 1992). 2) Non si tiene conto del fatto che esistono effetti anche per dosi più basse di piombemia (v. tabella) e per i quali, tenuto conto di cosa avviene nella popolazione generale, vanno individuati altri criteri preventivi. 3) Si prevede un uso degli indicatori senza determinarne una precisa gerarchia: alla luce delle più accreditate ipotesi anche di tipo tossicocinetico, Lowest observed effect level (PbB)' Heme synthesis and hernatological effects 100-120 µg/dl 80 µg/11 l'indicatore guida dovrebbe essere la PbB. Inoltre si prevede l'uso di indicatori di effetto per i quali sono indicati valori limite (ad esempio l'ALA-U di 15 mg/g di creatinina) ai quali corrispondono valori di PbB sicuramente più elevati di 70-80 mcg/100 ml, limite per la PbB. 4) Non si introduce una valutazione per i gruppi di esposti. 5) Non si prevedono requisiti di qualità per i laboratori impegnati nelle attività di monitoraggio ambientale e biologico. 6) lI recepimento della Direttiva senza introdurre i correttivi, del resto consentiti dalla normativa europea, rappresenta un grave errore perché: di fatto e da molti anni in Italia nelle situazioni in cui si è intervenuti con corrette attività di controllo ambientale e biologico, anche grazie al lavoro dei servizi territoriali, si sono create condizioni di rischio molto più contenuto risultato dell'uso di criteri preventivi più cautelativi. La CEE ha già deciso di rivedere la Direttiva, vecchia di 10 anni, ed in questo senso è già stato consegnato un rapporto nel 1991, ora all'esame della Commissione per le modifiche previste per il prossimo anno. Già da anni, in Italia, sono stati pubblicati studi e proposte sulla diret- Neurological effects Effects on the kidney Encephalosathic signs and symptoms Cronic nephropathy Frank anemia 50 p.g/rll Reduced hemoglohin production Overt subccphalopathic neurologica) symptoms 40 µg/dl Increased urinary ALA and elevated coproporphyrins Peripheral nerve dysfunction (slowed verve conduction) 30 p, g/dl Erythrocyte protoporphyrin (EP) elevation in males 15 - 20 p.g/dl Erythrocyte protoporphyrin (EP) elevation in females <10 µg/di ALA-17 inhibition Proposte di modifica: - Scelta della PbB come indicatore guida e classificazione degli altri (ALA-U e ZPP) come indicatori integrativi da usare in situazioni limitate in cui non si disponga di PbB. Pertanto ALAU e ZPP vengono usati, in questo caso, per "prevedere" determinati livelli di PbB. - Integrazione del dosaggio di Pb nell'aria con dati di granulometria e solubilità dei composti aerodispersi. - Diminuzione dei valori di riferimento e limiti. a cura degli operatori di Brescia BIBLIOGRAFIA NIOSHA Department of Labor, Occupational Safety and Health Administration, "Advance Notice of Proposed Rulemaking - Occupatiti/ Exposure to Lead" Docket No. H004E (Aprile 14, 1981). Reproductive function effects Cardiovascular eflècts Female reproductive effects 60 p.g/dl 25 - 30 pg/dl tiva C.E.E., da parte di gruppi di studio della S.I.M.L.I.I. 1 Altered testicular function Elevated blood pressure (White males) aged 40-59 Federa/ Register, "Occupational Expo- sure to Lead, New 7rigger Levels forMe- dica! Rernoval Protection, Occupational Safety and Health Administration, Vol. 47, No. 39 (Friday, February 26, 1982). RIMEDIA 91 PERCHF CAMBIARE IL 277 SULL'AMIANTO Questa parte del decreto 277 recepisce acriticamente (8 anni dopo!) la Direttiva CEE 83/477, non solo non integrandola nelle Leggi quadro nonché in quelle specifiche sull'amianto già emanate nel nostro paese (e la cui esistenza appare ignorata dal decreto) ma altresì omettendo di adeguarla ai rilevanti progressi compiuti - in tema di amianto, e di prevenzione dei rischi conseguenti - dalla scienza e dalla tecnica nell'ultimo decennio. ll decreto 277 può quindi rappresentare paradossalmente quasi un'occasione di rilancio dell'amianto, o comunque una contro-tendenza, in una fase nella quale invece il nostro paese sembrava avviato alla soluzione graduale del problema, addirittura con l'iniziativa di legge-apparentemente in dirittura d'arrivo - per dettare «norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto». Nello specifico, l'articolato del Capo III, a partire dallo stesso " linguaggio" utilizzato (vedi il termine " polveri" invece di fibre, o la definizione del conteggio per cc invece che per fibre/litro), è assai poco in sintonia con le risultanze delle esperienze di questi anni, nonché per alcuni aspetti con la stessa Circolare 45/'86 del Ministero della Sanità che, pur se limitata al problema amianto per gli edifici scolastici ed ospedalieri, è divenuta da tempo un abituale punto di riferimento metodologico e normativo. l limiti stabiliti nel decreto, che riprendono quelli definiti dalla Direttiva, sono certamente assai lontani da quanto ormai diffusamente adottato almeno per quanto si riferisce al rischio nelle situazioni insieme di lavoro e di vita (edifici, ecc.); cos'i pure appare sempre meno condivisibile la separazione di un limite per il crisotilo da quello per gli altri amianti. La nostra proposta, pertanto, prevede una profonda modifica dello spirito e del contenuto del Capo III, e si basa essenzialmente sulle seguenti innovazioni di fondo: 1) "omologare" dal punto di vista del rischio - tutti gli amianti definendo come limite unico per gli ambienti di lavoro le 200 ff/1 (ossia le 0,2 ff/cc del Decreto); 2) stabilire comunque un primo livello di intervento, definibile come livello di allarme, in presenza del quale vi sia il vincolo dell'adozione di misure informative, tecniche ed igieniche, a partire da 50 ff/I; 3) separare nettamente le situazioni di lavoro su amianto da quelle nelle quali l'esposizione deriva dalla presenza di amianti come coperture di superfici ed impianti: si tratta di due situazioni (o gruppi di situazioni) totalmente differenti sia dal punto di vista dei rischi e delle modalità di esposizione, sia in genere da quello dei possibili interventi; per le seconde, già ampiamente trattate nella Circolare 45 -come dalla stessa esplicitato non si può che esprimere il concetto del mantenimento della concentrazione ambientale di fibre ai livelli più bassi tecnicamente possibili, il che è in genere interpretato come non superamento dei livelli di inquinamento ritenuti in questa fase (ahinoi) abituali negli insediamenti urbani. F del resto, è soprattutto nelle situazioni di edifici pubblici o abitativi che si può comunemente verificare la cosiddetta esposizione indebita e non conosciuta: va a maggior ragione in questi casi scongiurata l'eventualità di concretizzare anche nella normativa il principio deprecabile di limiti accettabili di esposizione ad un cancerogeno per il quale non sono conosciuti livelli di soglia non pericolosa. Non deve sfuggire, tra l'altro, che una volta accettato per un cancerogeno come l'amianto, un simile principio potrebbe essere ripetuto per altri cancerogeni: non è neppure il caso di analizzare lo scenario che in questo caso si verrebbe a configurare nel nostro paese, con passi indietro di decenni rispetto alle attuali indicazioni tecnico-scientifiche soprattutto con nefaste conseguenze per la salute di tutti. La proposta di emendamenti sull'ambiente che verranno portati da SNOP in commissione è stata elaborata a cura di: Claudio Calabresi Massimo Bruzzone Fulvio D'Orsi Umberto Laureni RIMEDIA 91 PERCHÉ CAMBIARE IL 277 SUL RUMORE Nel 1990 sulla autorevole rivista americana 'AMA (vol. 263 n. 23 3185-3 1 90) sono stati pubblicati i risultati della Consensus Development Conferente sul tema "rumore e ipoacusia". Si ricorda che tali conferenze organizzate sempre su temi di grande importanza, riuniscono i maggiori esperti con il compito di elaborare documenti conclusivi di risposta ai vari quesiti sull'argomento, documenti che devono essere considerati la base delle conoscenze più avanzate, da cui partire per nuove ricerche. AI quesito: "quale intensità sonora può danneggiare l'udito?" viene risposto in sintesi quanto segue. La causa del danno uditivo è individuabile nella quantità di energia sonora che raggiunge l'orecchio interno, l'effetto è cumulabile per cui due sono i parametri che definiscono il rischio: il livello sonoro misurato in dBA e il tempo di esposizione. Un rumore con un livello inferiore a 75 dBA non può provocare un danno uditivo anche se l'esposizione è protratta per lungo tempo; un rumore con un livello superiore a 85 dBA ed una esposizione di 8 ore/giorno, può provocare un danno dopo alcuni anni. Da un punto di vista scientifico non esiste quindi allo stato attuale alcun dubbio circa la potenzialità lesiva di un rumore di 85 dBA per 8 ore al giorno. Tale assunto è accettato non solo in sede scientifica ma anche normativa, infatti nella stessa Direttiva CEE/188 del 12 maggio 1986, nella premessa viene esplicitamente dichiarata la non completa efficacia protettiva del limite proposto di 90 dBA "considerando che la situazione attuale degli stati membri non consente di fissare un valore di esposizione al rumore al di sotto del quale non si presentino rischi per l'udito dei lavoratori". Ciò che non è ancora completaniente chiarito è l'entità del rischio di danno uditivo espresso in termini numerici precisi, relativi ai diversi livelli di rumorosità. E tuttavia possibile fare riferimento ad alcune stime che si basano su dati epidemiologici contenuti nello Standard Internazionale ISO/DIS 1999 del 1984: "Determination ofoccupational noise exposure and estimation of noi se induced hearing impairment" e pubblicate da Merluzzi e coll. (Med. Lav. 1985, 76: 6; 435-444). Nelle figure allegate è riportata la percentuale di soggetti la cui perdita uditiva media per le frequenze 1, 2, 4 KHz è rispettivamente uguale o superiore a 15, 20, 25 dB. E evidente come il rischio, espresso in percentuale di soggetti la cui soglia uditiva supera un certo valore, aumenti in proporzione agli anni di esposizione e ai livelli di rumorosità. Facendo riferimento in particolare alla figura 11 e partendo dalla ipotesi che una soglia media per le frequenze 1, 2, 4 KHz superiore o uguale a 25 dB costituisca un danno uditivo in soggetti con una età massima di 60 anni, è possibile stabilire che: una esposizione di 8 ore/giorno a 85 dBA; provoca un danno uditivo nel 5% degli esposti, dopo 30 anni e nel 20% dopo 40 anni; tali percentuali salgono rispettivamente al 15% e al 32% per esposizioni a 90 dBA. Considerando che tale danno sia da attribuire in parte anche al rumore esterno all'ambiente di lavoro e che tale rumore possa essere stimato di 80 dBA, è possibile calcolare il rischio relativo che per esposizioni a 85 dBA è del 5% dopo 30 anni e del 8% dopo 40 anni, mentre sale al 15% e al 20% per esposizioni a 90 dBA. In altre parole è possibile affermare che al termine di una vita lavorativa trascorsa in ambienti con rumorosità di 90 dBA, circa il 32% della popolazione avrà subito un danno uditivo, il 12% a causa del rumore ambientale e il 20% a causa del rumore lavorativo. lm R Fig. 9 H O 26 dB 1W Fig. 10 C0 -i 93- H325 eO ® i903. 50- a3020 lo i, 10 u p; 20 4,1 2; 30 35 Le ANNI DI ESPOSIZIONE Figg. 9, 3P 11 . Percentuali di soggetti, uomini e donne, 'a cui perdita uditiva media (H) per le frequenze di 1, 2, 9 kFiz è rispettivamene 15, 20, 25 2S. La rumorosità è espressa in dBA;,.. Inizio def ' esposizione a 18 anni. GRUPPI Di LAVORO SNOP LAPIDEI UN NUOVO APPROCCIO PER RISCHI ANTICHI A partire dai convegni nazionali di Rapolano Terme (1985) e di Morbegno (1987), si è sviluppata un'intensa attività di lavoro dei servizi di prevenzione con una estensione delle sedi nazionali attive sulle problematiche del comparto e con la realizzazione di molteplici esperienze di indagine e di bonifica. Infatti nuove realtà regionali (Trentino Alto Adige, Veneto, Sardegna, Lazio) hanno iniziato ad affrontare concratemente indagini di comparto in collegamento con le esperienze esistenti (Toscana, Lombardia, Liguria, ecc.). Nel campo della bonifica sono stati raggiunti importanti risultati di validazione eli interventi concreti (diffusione dei dischi silenziati in fresatura, cappatura dei telai in segagione). ll Gruppo di lavoro nazionale SNOP, costitutori nel 1988, ha svolto una positiva funzione di coordinamento, di socializzazione delle esperienze e di collegamento con le associazioni di categoria. In particolare, estremamente positiva è stata l'esperienza di una presenza costante con stand e convegni tematici nelle Fiere del settore di Carrara e S. Ambrogio Valpolicella (Verona). Questa esperienza, ormai stabile dal 1989, ha consentito di stabilire momenti di contatto con le Ditte produttrici di tecnologie nel settore. I temi affrontati hanno in un primo tempo riguardato la bonifica dei rischi professionali per poi collegarsi nell'ultimo anno anche a tematiche ambientali esterne, nell'ottica di approccio complessivo alla prevenzione propria della SNOR A riprova della validità di questa impostazione, il convegno di Carrara del 1990 sulle problematiche dell'inquinamento acustico esterno ha coinvolto la Magistratura locale in un'azione di promozione di bonifiche alla fonte dei telai che hanno favorito anche la bonifica interna all'ambiente di lavoro. L'appuntamento del 23 settembre '91 a S. Ambrogio Valpolicella, da una parte ha collegato la legislazione sull'inquinamento acustico interno ed esterno (DPCM 1/03/91 e DL. 277/91) a proposte di bonifica ormai validate (cappatura telai, dischi silenziati ecc.) e dall'altra ha aperto una prima riflessione sulle corrette tecniche di smaltimento dei fanghi di lavorazione. Nonostante questi risultati positivi, i rischi per i lavoratori e l'ambiente esterno permangono elevati; gli obiettivi di prevenzione sono quindi ben lungi dall'essere esauriti e impongono, anzi, un rinnovato impegno. In questi anni sono pervenute al Gruppo di lavoro nazionale ripetute richieste di produzione di materiale di lavoro: dai servizi per la definizione cli protocolli di indagine e di schede di bonifica, dalle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro nonché da studi tecnici di bonifica, per la divulgazione di criteri standard nel campo della progettazione edilizia, della bonifica sugli impianti, delle tecniche efficaci di contenimento dell'impatto ambientale esterno. Programma di lavoro Si pone quindi l'esigenza di raccogliere le esperienze svolte per ricavare un primo momento divulgativo: - stesura entro il 1992 di un manuale di prevenzione, per il momento limitato alla fase di lavorazione dei materiali lapidei, cui successivamente dovrà seguire un analogo elaborato per l'estrazione. II manuale dovrà affrontare in sintesi il quadro attuale dei rischi e dei danni, proporre metodologie standardizzate di indagine, fornire schede tecniche di bonifica sui principali impianti; - realizzazione nel primo semestre 1993 di un convegno nazionale (sedi possibili: Carrara, Verona, Valtellina) di ampio respiro che faccia il punto sul livello di avanzamento delle proposte di prevenzione per i rischi esterni ed interni all'ambiente di lavoro sia in estrazione che in lavorazione; Il convegno dovrà, da una parte, presentare ufficialmente il manuale di cui al punto precedente e dall'altra aprire il dibattito su questioni ancora aperte (le proposte di bonifica in estrazione, gli interventi per contenere l ' impatto ambientale esterno, il rapporto con il mondo della progettazione, il coordinamento con professionalità e istituzioni esterne al Servizio Sanitario Nazionale, le prospettive comunitarie riguardo alle direttive tecniche e all'aggiornamento delle norme legislative ecc.); - riconferma delle presenze SNOP e USSL ai prossimi appuntamenti fieristici per progredire nei rapporti con le Ditte produttrici, gli enti fiera e le associazioni di categoria in vista degli obiettivi precedenti; - invio a tutto le sedi nazionali interessate di una circolare illustrativa del programma del Gruppo di lavoro na- zionale con allegati due questionari separati sull'estrazione e lavorazione, al fine di avere un quadro filtrato dai servizi sulle caratteristiche produttive del comparto e sulle iniziative di prevenzione in atto; - ristrutturazione organizzativa del coordinamento nazionale del Gruppo di lavoro: Flavio Coato SPISAL ULSS 26 - Via Foro Boario 28 Bussolengo (VR) Tel. 045-6769404/8: rapporti esterni, riferimento territoriale Triveneto; Rita Ansuini SPISLL USL 3 Versilia - Via Garibaldi 92 - Pietrasanta (LU) Tel. 0584-71151 Fabrizio Franco SPISLL USL 2 Carrara - Viale XX Settembre 244/bis Avenza di Carrara (MC) Tel. 050553701: rapporti tecnico-scientifici, riferimento territoriale Centrosud; Roberto Pattarin Servizio 1PA TSLL USSL 21 - Via C. Dominioni 33 - Morbegno (SO) Tel. 0343/60730451 organizzazione (segreteria Sig.ra Milena Paieri), riferimento territoriale Lombardia, Piemonte e Valle d'Aosta. Si invitano pertanto le sedi e gli operatori interessati a contattare la segreteria per ampliare l'attuale livello di coordinamento, per ricevere suggerimenti e contributi, per costituire un indirizzario nazionale il più ampio e completo possibile. Roberto Pattarin Milena Paieri SICUREZZA E ROBOT Il gruppo innovazione tecnologica ha "gemmato" un gruppo sulla questione sicurezza e robot. Chi fosse interessato è pregato di fare riferimento a Riccardo Tartaglia Usi 10/D via della Cupola, 64 50745 Firenze tel. 055/373604 fax. 055/301376 VRQ DALLE PAROLE AI FATTI Con questo contributo si conclude il cammino di introduzione alla VRQ nei servizi di prevenzione. Da qui innanzi si tratta di dar luogo a esperienze sul campo che amplino quelle finora illustrate e soprattutto consentano di procedere nel cammino di messa a punto di strumenti operativi nel campo di Monitoraggio e della Verifica e Revisione della Qualità. 11 tema delle note che seguono è rappresentato dalle modalità d'impostazione di uno studio valutativo basato su corretti criteri epidemiologici. VRQ ELEMENTI DI DISEGNO DELLO STUDIO VALUTATIVO 1. ELEMENTI GENERALI. 11 primo requisito che deve essere esplicitato nel "razionale" di una qualsiasi ricerca riguarda l'opportunità stessa di eseguirla in quel particolare contesto spazio-temporale (non è ragionevole proporre uno studio epidemiologico sui Melanomi Maligni nella popolazione nera della Tanzania, né tantomeno nella popolazione bianca della Groenlandia). La traduzione di questo concetto sul campo del disegno degli studi valutativi implica la sua articolazione in quattro parti: a) Committenza. Lo studio deve essere promosso da un "Ente" dotato di quella Autorità e di quei Mezzi necessari per innescare un processo di cambiamento. Qualsiasi studio di VRQ che non innesca un cambiamento nel modo di lavoro è inutile, nella accee unica nel zione contemporanea contesto valutativo - di inefficace, inefficiente (perché spreca risorse) ed inadeguato (perché non risponde alle aspettative di miglioramento degli l'effioperatori). Il primo requisito cacia del processo valutativo - può sconfinare nel danno: questo accade ogniqualvolta l'Ente promotore è solo "Autoritario" e le conclusioni dello studio valutativo sono vissute dagli operatori come un giudizio negativo sul loro operato. Ne consegue il seguente dogma: affinché la VRQ sia ef- ficace il Committente deve avere la proprietà della Partecipazione (Gaber, 1973; Romiti, 1990). Ciò non vuoi dire che il Committente svolge in proprio la ricerca. Un comitato tecnico (con statistici anglosassoni, epidemiologi italiani e professionisti, preferibilmente giapponesi, della valutazione di qualità) incaricato dal Committente avrà la responsabilità della conduzione dello studio, salvaguardando la oggettività nella raccolta dei dati. b) Obiettivi. La valutazione non può essere estesa a tutto, un giudizio globale su un'attività complessa come quella dei servizi sarebbe fondamentalmente ingiusto e riduzionista. Oggi dobbiamo affrontare la complessità e rimandare perciò i giudizi sommari a quelle epoche della storia della scienza, e della storia umana, in cui avvengono rivoluzionari cambiamenti di paradigma. Possiamo enunciare ora un secondo dogma: la ricerca valutativa ha per obiettivo piccoli miglioramenti. I piccoli passi di larga parte della tradizione culturale asiatica si traducono qui nella selezione di alcuni problemi su cui effettuare la valutazione, e, contemporaneamente, nella consapevolezza che gran parte del lavoro è svolto in modo corretto. Gli obiettivi selezionati devono perciò essere individuati da ogni servizio e possono essere anche assai diversi a seconda delle realtà locali che si considerano. La ricerca valutativa è infatti di natura "particolaristica". c) Aspetti della Qualità esaminati. La relatività del concetto di qualità rende ragione della necessità di esplicitare in quale accezione essa venga intesa in ogni ricerca valutativa. Poiché la natura del Committente implica la possibilità concreta di innescare cambiamenti riguardanti alcuni, e mai tutti, gli aspetti della qualità, razionalità vuole che esista una stretta corrispondenza tra tipo di Committente ed aspetti della qualità indagati. d) Ricadute. L' individuazione di priorità per la ricerca valutativa, che ha portato a formularne gli obiettivi concreti deve possedere il requisito della efficacia pratica. 11 criterio della possibilità di avere ricadute pratiche è il criterio principale che si utilizza nell'identificazione delle aree prioritarie di intervento. Nel disegno dello studio valutativo occorre perciò che vengano indicate prima di iniziare lo studio, le ricadute, che questo avrà (nei due aspetti di formazione del personale e di mutamento nel modo di organizzare il lavoro). 2. ELEMENTI SPECIFICI PER UNO STUDIO DESCRITTIVO DELLA QUALITÀ. In generale una ricerca epidemiologica prevede la definizione degli "eventi morbosi" (il numeratore nelle misure di frequenza come i tassi di incidenza e mortalità) e della popolazione a rischio di sperimentare l'evento. La ricerca valutativa è essenzialmente una ricerca di epidemiologia descrittiva, volta cioè a misurare la frequenza degli "eventi" negativi di cattiva prestazione sperimentati dagli utenti del sistema sanitario. Vediamo gli elementi costitutivi di tale misura: a) Definizione dell'evento. Questa fase si attua per mezzo della definizione delle unità di analisi valutativa, degli indicatori e dei criteri di valutazione. La "cattiva prestazione" si genera solo al momento della interazione tra gli operatori ed il singolo utente. Definiamo questa interazione come "Unità minima di analisi valutativa" o unità di assistenza. II ricercatore dovrà esercitare la massima cura nello scegliere l'unità di analisi valutativa perché essa rappresenterà l'unità statistica che verrà classificata come "buona" o "cattiva" prestazione. Per esempio, nel caso di una analisi sulla Qualità del lavoro svolto nei campo dei Nuovi Insediamenti Produttivi (NIP), l'Unità di analisi valutativa potrà essere scelta in varia maniera, secondo l'aspetto della qualità che il Committente decide di privilegiare. Se si ritiene essenziale, quale "criterio" di buona qualità quello del grado di integrazione fra giudizio sul NIP dato dal servizio d'Igiene Pubblica e quello dato dal Servizio di medicina del Lavoro, allora l'Unità di analisi valutativa potrà essere rappresentata dai sopralluoghi congiunti realizzati, ovvero dall'esistenza di una sede deliberante (Commissione NIP) congiunta dove tali pareri vengano discussi e concordati. Si usa distinguere tre tipologie generali di indicatori, a seconda del segmento del "processo produttivo di salute" da cui abbiamo enucleato le unità di analisi valutativa (tab. I). Seguendo le definizioni aristoteliche possiamo vedere che una buona abitazione (prestazione nel nostro caso) ha una causa formale nel progetto dell'architetto ed una causa materiale nel tipo di mattoni e cemento usati (indicatori strutturali), una causa efficiente (indicatori di processo) nelle capacità dei muratori, una causa finale (indicatori di esito) nella rispondenza alle nostre esigenze di abitabilità. Mentre è interessante notare che la cultura moderna ha ristretto l'accezione aristotelica di causa alla sola causa efficiente, nella ricerca valutativa non solo non è così, ma siamo sempre molto attratti dagli indicatori di esito che sono i parenti della causa finalistica che di tutte è quella che è stata espunta per prima come non scientifica. Una volta identificate le unità di analisi valutativa, occorre classificarle secondo un giudizio qualitativo. Come per la codifica della causa di morte riportata nel certificato (stat distinguiamo l'insieme delle regole (la ICD 9 ed il manuale d'uso) dal codificatore così nel nostro caso definiamo le regole usate con il termine di "criteri" ed il codificatore con il termine "valuta- Tab. 1: Caratteristiche principali dei tre generi di indicatori usati negli studi di VRQ. Indicatori Motivazioni Pro Contro Struttura Una dotazione adeguata di personale migliora la qualità Facili da misurare Influenzano direttamente la qualità Processo Una buona esecuzione migliora la qualità Esito Una buona prestazione determina un esito favorevole Immediata ricaduta nella organizzazione dei servizi Misura direttamente il grado di aderenza degli obiettivi preposti Fonti dirette sulla prestazione non esiste materiale scritto materiale scritto non strutturato -O> - È influenzato da molti fattori e richiede un follow-up Strumenti osservatore partecipante valutazione critica di un comitato di esperti (Audit) registri e moduli di routine raccolta e codifica su scede ad hoc attività di QA rilevazione del dato Fonti indirette dai soggetti coinvolti nella prestazione Difficili da misurare Strumenti utenti direzione d'azienda sindacati singoli lavoratori operatori dei servizi non laureati figure professionali (laureati) terviste o questionari tore". I criteri possono essere espliciti e consistere nella raccolta delle descrizioni di come "dovrebbe essere" (*) o impliciti cioè allo stato delle conoscenze non oggettivabili. II giudizio qualitativo in quest'ultimo caso riposa tutto sul valutatore (come nel caso dell'Audit medico). A seconda degli obiettivi e delle condizioni particolari dello studio i valutatori possono essere "esterni" al servizio che viene indagato o "interni" ad esso. E comunque sempre preferibile una figura professionale esterna per quanto riguarda il coordinamento tecnico della fase di raccolta di informazioni e di giudizio qualitativo tecnico. b) Definizione della popolazione a rischio. Abbiamo detto che la "cattiva prestazione" si genera nella interazione tra servizio sanitario ed utente. Restando nel formalismo statistico, il denominatore della misura qualitativa dovrebbe essere il numero di unità di analisi valutativa considerate. In realtà, tuttavia, le prestazioni dipendono dalle caratteristiche del singolo utente (per esempio in medicina clinica dalla diagnosi e dalla diversa gravità della malattia). La misura qualitativa deve essere perciò riferita alla popolazione degli utenti. Tuttavia simili misure "grezze" sono di scarsa utilità qualora si voglia procedere a confronti tra servizi o all'interno di un servizio. Infatti saranno fortemente dipendenti dalle caratteristiche della popolazione di utenti. Forse nella fase attuale è conveniente, più che pensare a misure standardizzate, muoversi su un piano descrittivo e basarsi su misure specifiche. Nel caso dei ricoveri ospedalieri è ormai diffuso il sistema di classificazione ROD (Raggruppamenti Omogenei per Diagnosi o DRG) per cui tutti gli indici sui ricoveri (ad esempio la durata media) sono calcolati per singolo ROD (a parità cioè di diagnosi ed età). Nel caso dei servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro una prima base per la disaggregazione degli "utenti" può essere costituita dalla esperienza dei "comparti" (l'equivalente delle diagnosi di malattia) ed in secondo luogo dal numero di addetti (qualcosa di analogo all'età nella definizione dei ROD)_ c) Distorsioni. Nel caso di misure descrittive le fonti di errore riguardano separatamente il numeratore (le "cattive prestazioni") ed il denominatore (la popolazione di utenti). Per quanto riguarda il numeratore la fonte principale di distorsione è legata alle informazioni di cui si dispone per il riconoscimento dell'evento. In ricerche di VRQ è necessario dotarsi di strumenti ad hoc per la rilevazione delle informa- zioni. Questionari andranno perciò ad integrarsi a fonti esistenti: troppo spesso si pensa che le informazioni siano già raccolte in modo routinario, confondendo la ricerca di VRQ con un'attività di valutazione in continuo (QA). D'altro canto la fase preliminare di uno studio di VRQ può consistere nella ricognizione dell'esistente, specialmente per quanto riguarda i flussi informativi (sulla scorta del dogma: ciò che non è scritto non è fatto) (tab. Il). Possiamo allora vedere come studi successivi possano portare all'uso di strumenti informativi più completi ed affidabili, semplicemente perché una prima ricerca di VRQ può ad esempio aver introdotto registri di attività che prima non erano usati. Occorre sottolineare la povertà informativa di tali strumenti dal punto di vista della qualità della prestazione. Pertanto è opportuno precisare bene gli obiettivi dello studio ed il tipo di unità di analisi valutativa indagata per ottenere informazioni puntuali e non generiche ed in ultima istanza inutili. Per esempio la mancanza di dati (registri non riempiti, moduli non conservati, eccetera) può sfociare in una impossibilità di valutare una prestazione, mentre per esprimere un giudizio sul flusso informativo interno del servizio tali dati sarebbero stati sufficienti. Gli errori nel denominatore riguardano la popolazione degli utenti. In particolare per i servizi questo argomento rimanda al censimento delle attività produttive ed alla affidabilità delle diverse fonti informative. Ogni sorgente di selezione non riconosciuta degli utenti potrebbe risultare infatti in misure della qualità distorte. Non è difficile immaginare come un censimento dei cantieri edili aperti sul territorio che non fosse in grado di individuare quelli di più modeste dimensioni, gestiti da piccoli imprenditori, meno organizzati, potrebbe falsamente configurare il quadro delle inadempienze di legge presenti in tale settore produttivo. 3. ALCUNI PRESUPPOSTI PER UNO STUDIO ANALITICO DEI DETERMINANTI DELLA QUALITA In assenza di ipotesi "forti" sulle cause di un deficit nella Qualità, si rende necessario un lavoro specifico di approfondimento analitico che renda possibile connettere certi fattori (i possibili determinanti della mancata qualità) con gli esiti (maggior frequenze di certi risultati tra gli "esposti", verso i "non esposti"). Dal punto di vista del tipo di studio che può essere impostato ci si può rifare al tradizionale schema degli studi analitici in epidemiologia, quello che cioè prende in considerazione gli "esposti" per verificare gli esisti di tale esposizione a distanza (Studio di Coorte) e quello che a partire da un particolare "esito" ricostruisce la storia di Esposizione (Studio caso-controllo). Nel primo caso ricadranno situazioni del tipo "Intervention Trial" (ci si attende che gli "esposti a rischio", per esempio le popolazioni-Unità Produttive servite da servizi sotto-organico, abbiano livelli inferiori a quelli della coorte di utenti "non esposti", cioè serviti da strutture di medicina preventiva ad organico pieno); viceversa si può usare la tecnica caso-controllo per attivare ricerche di VRQ su base locale, che utilizzino, ad esempio, interventi "integrati" con l'Igiene pubblica "non realizzati" (casi), rispetto a quelli "realizzati" (controlli) per capirne retrospettivamente i determinanti. Uno schema del primo genere (coorte) è immaginabile possa essere adottato anche in sede sovrazonale, per verificare ipotesi "a priori" circa i determinanti strutturali o di processo nei confronti di esiti diversi. Il confronto tra servizi sarebbe pertinente a questo genere di approccio. Lo studio caso-controllo potrebbe invece essere più adatto ad analizzare e revisionare le modalità dei proprio lavoro quotidiano di un qualsiasi servizio. Infatti si partirebbe da casi di "mal-funzionamento" "scostamenti da protocolli procedurali adottati", per risalire all'eventuale presenza di determinanti sui quali intervenire. In ogni caso questo genere di studi necessita di accurata pianificazione, strumenti informativi ad hoc, personale dedicato, risorse adeguate. E bene quindi intraprendere studi di questo genere solo dopo un'adeguata valutazione sulla loro fattibilità, così come indicato nei paragrafi precedenti. (*) A questo proposito si segnala che il Gruppo VRQ-SNOP sta elaborando delle proposte di Linee-Guida sui Criteri di valutazione della Qualità nelle attività dei Servizi territoriali di Prevenzione nei luoghi di lavoro e che è stato presentato a Bologna il 4 dicembre. BIBLIOGRAFIA Romiti Cesare (1990) Intervento conclusivo al seminario "Piano della Qualità Totale" Marentino 21/10/89 citato da IL MANIFESTO del 25/04/90. Gaber Giorgio (1973) in "Far finta di essere sani" 12-20 Settembre 1973 - Piccolo Teatro di Milano ed. Ricordi OSSERVATORIO EDILIZIA Questa volta penso proprio sia il caso di dire che "siamo arrivati in cantiere"! II progetto obiettivo edilizia, preparato, lanciato e coordinato dal gruppo di lavoro Snop, ha percorso tutto il tragitto previsto ed è ora il momento di tirare le somme. Vale la pena di ricordare in sintesi la storia. Nel 1988 inizia a riunirsi a Bologna, coordinato da Fausto Calzolari, un gruppo di tecnici dei servizi di prevenzione delle USL provenienti da 7-8 Regioni d'Italia, con l'obiettivo di mettere a punto un modello di intervento di prevenzione antinfortunistica nel settore edile. Dopo quasi due anni di lavoro viene prodotto un dettagliato "verbale di ispezione" e una serie di indicazioni procedurali e di strumenti operativi (fra i quali spicca il "registro provinciale delle Q^ ST4 VoLT4 ? 7J$o PRopRIo cH F 94 IL ^^sO Di b)RL. 9E' No &H X1 Pi ú Pt1BkE /M/PEPE/ -c aziende"), in massima parte ricavati dall'esperienza delle poche realta che gia intervenivano con sistematicita nei cantieri edili. Nel settembre 1989 viene organizzato a Vicenza da SNOP e FLC, un convegno nazionale in cui si presenta pubblicamente il materiale prodotto e si propone a tutti gli interlocutori (USL, Regioni, Magistratura, OO.SS., Associazione Imprenditoriali) una iniziativa straordinaria di prevenzione degli infortuni nel settore, utilizzando metodi e strumenti elaborati dalla SNOP. La partecipazione ed il consenso sono elevati, tanto che si decide di considerare il 1990 (anno dei mondiali di calcio, e quindi di grandi opere edili) come Anno della sicurezza in edilizia. Vengono definiti i passaggi irrinunciabili per dare omogeneità all'intervento (vedi bollettino n. 13): 1 - considerare la vigilanza in edilizia come attività a carattere permanente; 2 - intervenire in materia coordinata su un territorio vasto, quantomeno provinciale (o dipartimentale); 3 - costruire un sistema informativo per l'archiviazione dei cantieri (la proposta è di utilizzare il modello di registro provinciale o dipartimentale); 4 - raccogliere i casi di infortunio in edilizia e svolgere le indagini per i casi gravi. Si scelgono gli obiettivi da raggiungere: a - diffondere su tutto il territorio nazionale la vigilanza in edilizia, coprendo un grave ritardo dei Servizi di prevenzione delle USL. h - ridurre le violazioni di legge almeno relative a rischio di caduta dall'alto e fol-gorazione; c - ultimo obiettivo, mai detto esplicitamente per sacro timore reverenziale, la riduzione degli indici di frequenza e gravità per queste due cause. A supporto dell'iniziativa si da vita sul bollettino ad un "Osservatorio edilizia", rubrica fissa che raccoglie alcune delle iniziative più significative in corso nel Paese. Nel '90 nasce la L. 55, la cosiddetta Nuova legge antimafia, che all'art. 18 regola il meccanismo dei subappalti e istituisce il piano di sicurezza obbligatorio per le opere pubbliche. Il Sindacato è sensibilissimo a questa legge attorno alla quale partecipa e organizza numerose iniziative. Il gruppo di lavoro SNOP si riunisce ancora una volta per elaborare le sue proposte sul come utilizzare il nuovo strumento legislativo (vedi n. 18 del bollettino). Ed ora, a distanza di due anni, ci siamo trovati nella stessa sede di Vicenza per tracciare un consuntivo dell'attivita svolta sul territorio nazionale, cercando di individuare i possibili indicatori di efficacia dell'intervento, definendo i pregi e i difetti dell'iniziativa, mettendo a fuoco gli obiettivi centrati e i problemi ancora da risolvere. QUALI I RISULTATI RAGGIUNTI Ad una prima riflessione, ancora parziale e bisognosa dell'apporto di numerosi altri soggetti interessati, si possono a mio avviso fare le seguenti considerazioni. Sul versante degli aspetti positivi c'è da porre il buon accoglimento del progetto e del metodo nei Servizi di prevenzione. Con ovvie variazioni da zona a zona, l'invito ad intervenire nei cantieri edili è stato accolto più o meno su tutto il territorio nazionale; non da tutti, ma un po' dovunque. Possiamo ora affermare che la vigilanza in edilizia non è più un fatto sporadico ma è di diritto entrato nella routine quotidiana dei Servizi di prevenzione. Dalle notizie che abbiamo finora potuto raccogliere, risulta che in un gruppo di Regioni si interviene in maniera massiccia e con una sufficiente omogeneità; fra queste poniamo I'EmiIia-Romagna, il Veneto, la Lombardia, la Toscana, la Liguria, l'Umbria. Un secondo gruppo risente cli un carente coordinamento e quindi di una discreta disomogeneità di intervento fra le diverse USL (Friuli Venezia Giuria, Lazio, Marche). Vi sono poi le Regioni meridionali, nelle quali i cronici problemi di politica sanitaria si ripercuotono pesantemente anche sulla prevenzione infortuni: mancano i servizi di prevenzione e, dove esistono, c'è carenza di personale. Pur tuttavia, arrivano segnali confortanti darla Calabria (una ULS interviene in edilizia già da 5 anni) e dalla Sicilia, che sembrano voler superare la cronica immobilità. Qualche segnale arriva dalla zona di Avellino e dalla Puglia. Dalle altre Regioni non abbiamo notizie certe. Sappiamo altresì che in una Regione così importante come il Piemonte, non esiste attività di vigilanza nel settore. Fra gli aspetti che definirei contraddittori (o non ancora sufficientemente positivi) c'è l'atteggiamento delle Regioni alle quali avevamo chiesto e richiederemo di intervenire attivamente coordinando la vigilanza ed inserendo il P.O. edilizia nel P.S.R.. Da quanto abbiamo potuto raccogliere solo poche Regioni hanno inserito il Emilia RomaP.O. nel P.S.R. (Veneto Umbria - Toscana); c'è, da dire, gna peraltro, che alcune Regioni non hanno ancora il P.S.R (esempio la Lombardia). Non risulta poi che nessuna Regione abbia attivamente coordinato l'intervento. Fa storia a parte la Lombardia, la quale già nel 1988 ha costituito un gruppo di lavoro che ha messo a punto dei "Protocolli di intervento di attività di vigilanza" in edilizia. Nell'ambito di questo tipo di attività sono stati avviati dei Dipartimenti di Prevenzione al l'interno dei quali si è tentato di omogeneizzare gli interventi. Anche le "solite" Emilia Romagna e Toscana segnano un po' il passo: più che programmi per la raccolta dati e una circolare Toscana sui Piani della Sicurezza, non si è visto. E ovvio che se il fondamentale ruolo dell'Istituzione non comincerà a marciare spedito nel senso della programmazione e del coordinamento della vigilanza, sarà molto difficile non dico progredire ma rimanere attestati sui livelli raggiunti oggi. Tra gli aspetti cronicamente negativi, porrei per prima l'assenza del Ministero della Sanità. Mai si è attivato. Mai ha risposto all ' invito di occuparsi degli infortuni nel settore produttivo a rischio più elevato. Ma ormai siamo abituati a considerare che la prevenzione ha un capo (inteso come testa e cervello) che, quando va bene, è assopito. Per quanto riguarda infine gli aspetti più decisamente di prevenzione, in termini di riduzione delle violazioni delle norme antinfortunistiche e degli infortuni, qualche risposta più precisa è venuta da Vicenza e si può trovare negli Atti del Convegno. Ciò che si può dire fin da ora è che dove si interviene con continuità, i cantieri cambiano aspetto. Con un effetto a macchia d'olio si nota sempre più frequentemente che gli impalcati dei cantieri circostanti quelli ispezionati migliorano rapidamente. Non ci si può certo accontentare di questo livello, ma credo sia un segno importante di una sensibilità che sta mutando o quantomeno di un reale passaggio di informazione. Ciò che è fuori dubbio è che nel Settore non esiste più la quasi certezza di rimanere impuniti, quella strana sensazione di qualche tempo fa, secondo la quale le norme di sicurezza in edilizia si potevano anche non rispettare. Il progetto obiettivo va avanti. Gli atti di Vicenza si richedono al servizio di Vicenza, via IV Novembre, 46 fotocopia di versamento lire 30.000 su CCP SNOP. Flavio Coato NOTIZIARIO REFERENDUM AMBIENTE IL COMUNICATO DELLA LEGA PER L'AMBIENTE REFERENDUM AMBIENTE COMUNICATO SNOP PROG ETTO FINALIZZATO AMBIENTE 1991-1995 La Lega per l'Ambiente non sosterrà il referendum promosso dagli Amici della Terra e dai sindaci di alcune grandi città italiane per togliere alle USL la responsabilità di effettuare controlli in campo ambientale per i seguenti motivi: 1) il ricorso allo strumento del referendum in questo caso è improprio. Infatti la vittoria del referendum avrebbe come conseguenza giuridica che nessuno in Italia avrebbe più l'obbligo di effettuare i controlli ambientali. E non vi sarebbe nessuna garanzia che questo vuoto legislativo verrebbe celermente colmato da una nuova normativa legislativa. Anzi, visto l'orientamento che si sta diffondendo in molte pubbliche amministrazioni, il referendum potrebbe aprire la strada al tentativo di sostituire i Presidi Multizonali di Prevenzione con il ricorso a convenzioni esterne, lautamente retribuite, più facilmente influenzabili dai committenti. 2) Le USL sono in gran parte inadempienti, ma nell'affrontare il problema delle strutture incaricate dei controlli ambientali non si può evitare di affrontare il nodo di fondo, e cioè la necessità di fornire loro personale e mezzi adeguati. Questo a prescindere dalla collocazione giuridica eformale delle strutture a cui affidare i controlli ambientali. 3) La stessa presenza nel comitato promotore dei sindaci di alcune grandi città, crediamo sia fonte di confusione. Proprio ai sindaci compete infatti la responsabilità del funzionamento delle USL e della salvaguardia della salute dei cittadini. L'inadeguatezza dei controlli (peraltro non generalizzata) non può divenire un alibi per non prendere provvedimenti da tempo necessari per salvare la qualità della vita delle nostre città. Ci auguriamo comunque che la raccolta cli firme avviata contribuisca al dibattito, da tempo aperto, per affrontare la questione dell'efficacia e attendibilità dei controlli e della certezza del diritto nel campo dell'applicazione della legislazione ambientale. La SNOP, venuta a conoscenza del testo con il quale il Gruppo Promotore indice una raccolta di firme per i referendum volta "alla sottrazione dei controlli ambientali alle USL", esprime il più fermo dissenso sulle motivazioni adottate, prive di qualsiasi rigore scientifico e di dubbia onestà culturale, che si inseriscono a pieno titolo in una campagna demagogica, senza alcuna volontà di individuare le reali responsabilità e senza il minimo sforzo per valutare le proposte innovative, avanzate recentemente anche dalla SNOP, per il potenziamento e il completamento della rete dei Servizi di Prevenzione e Tutela Ambientale nel nostro Paese, di cui i Servizi delle USL e i Presidi Multizonali di Prevenzione costituiscono i nodi strutturali fondamentali. Nell'esprimere il rammarico e lo stupore degli Operatori della Prevenzione nell'apprendere che fra i membri del Comitato Promotore figurano anche esponenti politici coi quali la SNOP ha più volte intrapreso importanti iniziative nel campo della tutela dell'ambiente, alcuni dei quali anche firmatari del Patto di Consultazione Ambientale siglato nel 1987 dagli allora candidati alle Elezioni Politiche (e che prevedeva l'impegno per il rafforzamento dei Servizi delle USL), affermiamo il nostro impegno in tutte le Sedi di confronto per smascherare il carattere demagogico e qualunquista dell'iniziativa referendaria, che nulla ha a che vedere con una seria battaglia per lo sviluppo ed il rafforzamento delle strutture pubbliche di prevenzione e tutela dell'ambiente. L'Istituto Superiore di Sanità ha varato il Progetto Finalizzato AMBIENTE 1991-1995. In tale ambito il Sottoprogetto AMIANTO prevede la linea di ricerca: "documentazione e informazione, educazione sanitaria di popolazione esposta a fottori di rischio da amianto". Tale linea, prendendo atto dell'impegno sviluppato a livello locale, soprattutto nell'ambito dei Servizi di USI. e di PMP, intende censire, a livello nazionale come obiettivo a breve termine gli strumenti realizzati, anche in collaborazione con altri Enti, sotto qualsiasi forma: letteratura grigia (documentazioni e raccolte a carattere interno); pubblicazioni; libri; opuscoli; audiovisivi; materiale didattico, ecc., riguardanti rischi e danni da asbesto. Tale censimento, oltre a voler documentare quanto finora realizzato, ha io scopo di permettere: 1) una più ampia diffusione e utilizzazione dei risultati delle attività di ricerca e di sorveglianza/controllo; 2) la messa a punto di una base di dati bibliografici e fattuali; 3) la messa a punto di materiale informativo, a livello nazionale, direttamente utilizzabile per omogeneità di problema e/o di rischio. Coloro che abbiano già prodotto quanto sopra specificato o sono in via di produrne sono invitati a prendere contatti con: - M. Cristina Calicchia, Istituto Superiore di Sanità, viale Regina Elena, 299, 00767 Roma. Tel e fax 06/4440235 - Marco Biocca, SEDI, USL/28 via Triachini 17, 401.38 Bologna. Graziano Frigeri Presidente SNOP Maria Cristina Calicchia ssmimr UNICHIM: ISCRIZIONE GRATUITA Forse non tutti sanno che le unità Sanitarie e i Presidi Multizonali di Prevenzione possono iscriversi gratuitamente a UNICHIM, l ' Associazione per l ' Unificazione nel Settore dell'Industria Chimica, che è il "braccio chimico" dell'UNI. L'iscrizione dà diritto a ricevere gratuitamente il Bollettino dell'Associazione, ad uno sconto sulle pubblicazioni e per la partecipazione alle iniziative (corsi, convegni...) organizzate da UNICHIM. Tra le molte pubblicazioni di UNICHIM, citiamo le metodiche per campionare e misurare: - le nebbie di olio nell'aria - le fibre di amianto mediante microscopia ottica - il materiale corpuscolato nei fumi di saldatura - la silice libera cristallina nei materiali e nelle polveri atmosferiche - le polveri atmosferiche - le polveri atmosferiche mediante campionamenti di breve durata - la frazione respirabile delle polveri atmosferiche Questi sono solo alcuni dei metodi approntati, che permettono di standardizzare campionamento ed analisi, in modo da ottenere dati affidabili, e riproducibili; alcune di queste metodiche (per le emissioni atmosferiche, ad esempio) sono recepite in Leggi dello Stato. Nel settore della prevenzione nei luoghi di lavoro-sovente le problematiche connesse alle metodiche di campionamento (e analisi) sono trascurate: UNICHIM offre l'occasione di migliorare il lavoro che svolgiamo e lo spazio, con i suoi comitati tecnici, di partecipare alla ulteriore definizione delle norme. L)NICHIM pie Morandi, 2 20121 MILANO tel. (02) 76004450/794205 fax (02) 76014176 A PAVIA IV CONGRESSO DELLA SOCIETÀ NAZIONALE PER LA VERIFICA E , REVISIONE DI QUALITÀ Si è svolto dal 23 al 25 settembre il quarto convegno della società italiana di VRQ. Alla presenza di un numero molto ampio di operatori sanitari (medici, infermieri, dirigenti del comparto sanità) si sono articolati i lavori che hanno affrontato molteplici tematiche legate alla qualità dell'assistenza e delle cure prestate dai "Sistema" sanità. Moltissime le comunicazioni, numerose anche le tavole rotonde, le sessioni parallele, le sessioni poster. Colpiva soprattutto la presenza di un numero rilevante di contributi derivanti dal mondo sommerso e spesso denigrato della sanità di base, quelli che una volta erano detti medici di famiglia. Si è in presenza di un diffuso (anche se difficilmente quantificabile) movimento di medici delle ultime generazioni i quali cominciano a ragionare in termini non più individualistici alla propria professione sul territorio e che di conseguenza cercano di migliorare la qualità del proprio agire chiedendo aiuto a mezzi e tecniche di derivazione epidemiologica. Colpiva nella specifica situazione sentir parlare di esperienze di "Audit" per situazioni di gestione extramurale di pazienti affetti da patologie croniche, di "revisione fra pari" in medicina generale, di programmi di miglioramento dei rapporti fra medici di famiglia e reparti ospedalieri del bacino corrispondente. Segno che qualcosa si muove nel pur terribilmente arretrato e reazionario mondo della professione medica. Merito della Società di VRQ aver favorito l'emergere di queste esperienze dando loro, oltre che un palco da cui parlare, anche un contesto internazionale di riferimento (in particolare la grande tradizione anglosassone sempre presente sullo sfondo). All'osservatore SNOP è balzata anche agli occhi l'assoluta scarsità di contributi pervenuti dall'area della prevenzione: in tutto 4 lavori di igienisti e la sola comunicazione del Gruppo SNOP con qualche riferimento alla medicina del lavoro. Vale la pena di soffermarsi brevemente sui lavori dei colleghi dell'igiene pubblica. II primo, dei colleghi del servizio della USL 35 di Ravenna, riferiva della sperimentazione di un sistema informativo in un servizio di igiene pubblica orientato alla gestione per obiettivi e alla valutazione di qualità. Il secondo, dei valenti colleghi di Legnano capeggiati da Amadei, si riferiva invece al metodo di VRQ applicato alle attività certificatorie di un servizio territoriale di prevenzione, giungendo a concludere, dati alla mano come si suol dire, sull'inutilità ed anzi dannosità (quantomeno in termini economici, leggi tickets) delle attività di rilascio di attestati vari da parte del servizio di igiene pubblica. Un terzo lavoro presentato da operatori di Pavia in collaborazione con un ricercatore del King's college Hospital di Londra, si riferiva all'Audit nei servizi di Igiene Pubblica: l'opinione dei cittadini sugli interventi per inconvenienti igienici. Anche in questo caso gli autori spezzano, documentatamente, una lancia a favore della programmazione degli interventi nei confronti degli interventi cosiddetti "su chiamata", dimostratisi di scarsa efficacia nel soddisfare i bisogni dei cittadini richiedenti, nonché fonte di frustrazione per il personale dei servizi, a causa anche dell'errato indirizzamento da parte dell'utenza di tali richieste (richieste di intervento per inconvenienti che ben poco hanno a che fare con problemi sanitari i). L'ultimo contributo proveniva dal Friuli e riguardava un'esperienza di formazione del personale infermieristico nella pratica vaccinale. Come si vede il panorama nel settore dei servizi di prevenzione sul territorio è ancora molto povero. E auspicabile che già dal prossimo convegno di questa società venga dedicato uno spazio apposito a queste esperienze, chiamando maggiormente a raccolta gli operatori della prevenzione. Alberto Baldasseroni MANUALE SUGLI SCREENING DI FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA Di tale manuale, prodotto in forma di supplemento al bollettino SNOP n. 16 del luglio-settembre 1990 ed inviato a gran parte dei servizi territoriali di Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, risultano disponibili ancora alcune copie. Chi non lo avesse ricevuto, può richiederlo a: Pavilio Piccioni - Unità Operativa Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro USSL 68 - V. Baroncini 11 - 14100 ASTI n. fax 0141/392489 EPI DEMOLAGIA AMBIENTALE L ' epidemiologia ambientale affronta lo studio delle connessioni fra esposizioni a specifici fattori ambientali e insorgenza di malattie, con lo scopo di fornire basi scientifiche agli interventi di risanamento ambientale, per quanto attiene alla tutela della salute umana. Con questo convegno l'Associazione Italiana di Epidemiologia intende fornire una panoramica aggiornata delle indicazioni emerse dagli studi di epidemiologia ambientale a livello internazionale, una rassegna delle esperienze italiane ed una discussione degli sviluppi di questa disciplina, con particolare riferimento ai problemi emergenti ed ai recenti progressi della metodologia d'indagine. Programma provvisorio Il convegno si articolerà in sessioni di relazioni invitate, di comunicazioni orali e posters ricevuti su argomenti inerenti al tema generale di Epidemiologia Ambientale. Argomenti previsti: 1. Studi epidemiologici: geografici, analitici e di sorveglianza 2. Tipologia e valutazione delle esposizioni 3. Stima e valutazione dei rischi 4. Indicatori biologici e biochimici (di esposizioni, effetto e suscettibilità) 5. Sviluppi dei metodi di Epidemiologia Ambientale 6. Percezione ed antropologia del rischio Quantificazione e riconoscimento dei rischi in sede giuridica Il programma definitivo verrà inviato entro il 30 gennaio 1992 ai soci AIE, SNOP e a quanti ne faranno richiesta alla segreteria organizzativa. I partecipanti interessati a presentare una comunicazione orale o poster sono pregati di inviare un riassunto scritto entro e non oltre il 30 novembre 1991 al seguente indirizzo: Segreteria Organizzativa Registro Tumori del Veneto, via Giustiniani, 7 35128 PADOVA tel. 049/8213890-1 fax: 049/8213396. L'accettazione verrà comunicata entro il 15 dicembre 1991. 1 riassunti accettati verranno pubblicati nel volume degli atti. La partecipazione al convegno è GRATUITA. CONVEGNI, CONGRESSI & C. Promosso dal FORUM VERDE "RISORSE E RIFIUTI" Convegno nazionale su: riduzione risorse rinnovabili riuso riciclo PRODURRE MENO RIFIUTI E RICICLARLI Bologna, Piazza Maggiore Sala Notai - via dei Pignatari Sabato 14 dicembre 1991 ore 10-18 ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA XV Riunione Annuale EPIDEMIOLOGIA AMBIENTALE Venezia, 1-3 aprile 1992 Segreteria Organizzativa REGISTRO TUMORI DEL VENETO Via Giustiniani, 7 35128 PADOVA tel.: 049/8213890-1 fax: 049/8213396 WORKSHOP INTERNAZIONALE "AUDITING AMBIENTALE ED ECO-BILANCI DI IMPRESA" 3-4 febbraio 1992 Sala Congressi F.A.S.T. Piazza Morandi, 2 Milano Per qualsiasi informazione, richiesta, critica, consiglio o chiarimento, contattare: Dario Continenza / Doccia Bianchi / Anna Melone Istituto di Ricerche Ambiente Italia Via Carlo Poerio, 39 - 20129 Milano rel. (02) 29406175 fax (02) 29406213 Regione Toscana U.S.L. n° 3 Versilia - Servizio P.I.S. L.L. Società Gestione Mostre Viareggio S.p.A. Convegno Nazionale COSTRUZIONE DI IMBARCAZIONI IN VETRORESINA: ANALISI DEI PRINCIPALI RISCHI E VALUTAZIONE DELLE BONIFICHE DEI LUOGHI DI LAVORO Viareggio - maggio 1992 Segreteria Organizzativa Sig.ra Chine/1i C. (Viareggio) P I. Saccardi Pi (Viareggio) P. l. Calletti E. (Ravenna) Sede: Società Gestione Mostre Viareggio S.p.A. Via Coppino, 1 18 - 55049 Viareggio Tel. 0584/3831 14 - 383583 Fax 0584/388147 SNOP Osservatorio nuovo codice di procedura penale 3° incontro INFORTUNI E TUMORI PROFESSIONALI: QUALE RUOLO PER I SERVIZI DI PREVENZIONE E PER LA MAGISTRATURA Torino 19-20 marzo 1992 Centro incontri della Cassa di Risparmio di Torino - C.so Stati Uniti, 23 rif. Andrea Dotti U.S.L. n. 1 Via Lombroso, 16 10125 Torino Tel. 011/6502148 fax 011/6503149 DOC La Regione Veneto nell'85 ha emanato una legge "Legge Regionale 23 aprile 1985 n. 34" in cui definita i livelli e le aree di intervento per la prevenzione dei tumori: - epidemiologia - prevenzione primaria - prevenzione secondaria - diagnosi, cura e riabilitazione - interventi educativi - ricerca Questa legge indicava i Servizi di Prevenzione, Igiene e Sicurezza come struttura di riferimento per indagini epidemiologiche e per le attività di prevenzione primaria (ricerca, mappatura dei rischi, attuazione degli interventi di bonifica). Sulla base di questa normativa, ripresa anche dal recente Piano Socio Sanitario, lo SPISAL dell'ULSS 27 ha elaborato un piano di lavoro che è stato approvato dal Comitato Oncologico dell'ULSS, tuttora in fase di attuazione. REGIONE VENETO PROGETTO PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO CANCEROGENO IN AMBIENTE DI LAVORO I. PREMESSA Allo stato attuale e molto difficile stimare con precisione la quota di tumori riconducibili ad una esposizione professionale. Le ragioni di questo sono dovute a diverse cause, che provo a sintetizzare: 1.1 - assenza di nozioni sul rischio professionale e di una visione epidemiologica della patologia da lavoro del medico non specialista in medicina del lavoro; 1.2 - presenza di vari fattori di confondimento, per i possibili effetti combinati che condizioni ambientali o abitudini di vita, possono avere fra loro; 1.3 - lunghi periodi di latenza tra esposizione ed insorgenza della patologia (20 - 30 anni); 1.4 - carenza di sistemi informativi sull'esposizione lavorativa (cicli produttivi, sostanze, misure preventive); 1.5 - inesistenza o carenza di dati disponibili sulla valutazione di eventuali effetti a lungo termine per le 20.00030.000 sostanze di uso industriale nel mondo; 1.6 - carenza di sistemi informativi-sanitari: - cartelle cliniche prive di anamnesi lavorativa - registro tumori ospedalieri - registro diagnosi di dimissione 1.7 - insufficiente flusso informativo nell'articolazione della rete sanitaria, con conseguente blocco dell'informazione. di industrie del legno con 4.000 lavoratori esposti; e del mesotelioma pleurico per il largo uso di asbesto che tutt'oggi viene fatto in diversi settori produttivi del nostro territorio. Questi tumori sono definiti di "1a classe di attribuibilità professionale" da fonti scientifiche ufficiali. E evidente tuttavia che lo studio non va polarizzato su uno specifico rischio, ma deve tener conto anche degli altri di diversa natura. 2. DATI GENERALI SUL FENOMENO Gli studi fatti per calcolare la proporzione di tumori legati a cause occupazionali, secondo stime più prudenti, attribuiscono circa il 2%-3% del totale dei tumori diagnosticati. Si può quindi stimare che alla luce delle 129.949 morti per tumori in Italia nel 1984, le morti attese per tumore da cause professionali siano 2.598. Il fenomeno quindi è tale da porsi a livello di emergenza sanitaria, pari a quello infortunistico, che conta, sempre nel1'84 1.200 decessi. Le stime derivano da una ricca e complessa letteratura scientifica di studi epidemiologici e giuridica oggi esistente, che documenta in modo oramai inequivocabile l ' associazione causale tra alcune esposizioni professionali e tumori. Nella nostra ULSS, considerando il tessuto produttivo, possiamo ritenere come scelta prioritaria lo studio dell'adenocarcinoma del naso e dei eni paranasali, per l'alta concentrazione L'identificazione del rischio oncologico occupazionale deve avere in ogni programma di "prevenzione tumori" un'attenzione superiore a quella che attualmente viene dedicata, tenendo conto anche dei riflessi medico-legali che viene ad assumere questo fenomeno. 3. OBIETTIVI a) conoscenza della patologia tumorale professionale nella nostra ULSS; b) individuazione dei cicli produttivi e delle sostanze a rischio cancerogeno; c) definizione della popolazione pro(registro fessionalmente esposta esposti); d) prevenzione primaria negli ambienti di lavoro; e) prevenzione secondaria attraverso la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti; f) riconoscimento assicurativo dei tumori professionali. Tab. 1 - Associazione evidente tra esposizione e organo bersaglio SEDE DEL TUMORE SOSTANZA CHIMICA, PROCESSO, INDUSTRIA FEGATO (tutti i tumori) AFLATOSSINE FEGATO (angiosarcroma) CLORURO DI VINILE MONOMERO PERITONEO (mesoreiioma) ASBESTO NASI E SENI PARANASALI (tutti i tumori) forte. Raffinazione del Nichel. NASI E SENI PARANASALI (adenocarcinoma) Fabbricazione e riparazione di calzature. Fabbricazione di mobili. POLMONE, TRACHEA, BRONCHI ARSENICO ED ALCUNI COMPOSTI DELL'ARSENICO ASBESTO BISCLOROMETILETERE CROMO ED ALCUNI COMPOSTI DEL CROMO GAS MOSTARDA RAFFINAZIONE DEL NICHEL PLEURA (mesortelioma) ASBESTO PELLE (tutti i tumori) ARSENICO ED ALCUNI COMPOSTI DELL'ARSENICO METHOXSALEN con tendenza ultravioletta. Fuliggini, catrami, ohi minerali. UTERO (endometrio) ESTROGENI CONIUGATI UTERO (cervice) DIETILSTILBESTROLO VAGINA DIETILSTILBESTROLO VESCICA Aminodifenile Produzione di alcool isopropilico con il processo all'acido Produzione dell'aurarnina BENZIDINA N-N BIS 12 CLOROETILI 2-NAFTILAMINA CICLOFOSFAMIDE 2NAFTILAMINA INDUSTRIA DELLA GOMMA PELVI RENALE ANALGESICI CON FENACETINA LINFOMA AZATIOPIRINA LEUCEMIA BENZENE MYLERAN ALCUNE POLICHEMIOTERAPIE PER LINFOMI CLORAMBUCILE MELFALAN TREOSULFAN FABBRICAZIONE E RIPARAZIONE DI CALZATURE INDUSTRIA DELLA GOMMA 4. PROGETTO ONCOLOGICO Sulla base di queste considerazioni, tenendo conto del quadro normativo cli riferimento (in appendice), lo SPISAL, nell ' ambito dei propri compiti di istituto, intende avvviare un intervento programmato, a carattere permanente, per la prevenzione del rischio cancerogeno negli ambienti di lavoro. La definizione della strategia tiene conto dei dati oggi disponibili o avvicinabili e delle ampie possibilità di prevenzione primaria. Infatti i tumori professionali si concentrano in gruppi ristretti di persone e con un alto rischio di malattia che può essere eliminato una volta identificato e rimosso l'agente cancerogeno. La metodologia che ci si propone si sviluppa su due fronti: - nell'ambiente di lavoro; - nell'ambiente sanitario (gestione anagrafe oncologica). 4.1 Ambiente di lavoro 4.1.1 - acquisizione dei dati sui cicli produttivi e sulle sostanze impiegate e sui lavoratori esposti; 4.1 .2 - stima della rilevanza del rischio con: - sopralluoghi; - ricerca bibliografica sui prodotti chimici; 4.1.3 - prevenzione tecnica: con protocollo mirato di prescrizio ne per singole mansioni a rischio; 4.1.4 - sorveglianza sanitaria: monitoraggio continuo con protocolli di accertamenti sanitari periodici per la diagnosi precoce dei tumori; 4.1.5 - informazione ed educazione sanitaria; 4.1.6 - indagini epidemiologiche retrospettive o prospettiche ove si giudichi opportuno. A questo proposito si ricorda che il Servizio è inserito nel "Progetto oncologico Regionale" Legge Regionale n. 34 del 23/04/1985 con Io studio caso-controllo multicentrico sulle neoplasie maligne del sistema emolinfopoietico in Italia, in collaborazione con l'Istituto di Anatomia e Istologia Patologica dell'Università degli studi di Verona. Lo studio è coordinato dal Dr. Paolo Vineis del Dipartimento di Scienze biologiche e oncologia umana dell'Università di Torino e dalla Dr.ssa Rossella Costantini del Centro per lo studio e la Prevenzione Oncologica di Firenze; 4.1.7 - archivio di lavoro: - elenco esposti o ex esposti; - elenco sostanze; - elenco aziende; Anagrafe oncologica Attivazione cli un flusso informativo sulle neoplasie di probabile natura professionale: - carcinoma polmonare; - adenocarcinoma della vescica; - adenocarcinoma del naso e dei seniparanasali; - mesotelioma pleurico e peritoneale; - angiosarcoma epatico; - leucemia; 4.2 4.2.1 - il flusso dei dati deve confluire allo SPISAL attraverso: - Ospedale dell'ULSS 27 (Bovolone e Zevio) in quanto nel registro tumori ospedaliero sono classificate/archiviate tutte le diagnosi di dimissione per tumore. - COM (Centro Oncologico Multizonale ULSS 28) e COR (Centro Oncologico Regionale) di Verona in quanto confluiscono come "centro di riferimento" le diagnosi di dimissione per tumore relative a casi di ricovero di tutti gli Ospedali della provincia di Verona; - S.I.P. (Servizio di Igiene Pubblica) che dispone di un proprio archivio delle schede di morte (ISTAT). 4.2.2 - studio dei "casi" con valutazione (anamnesi lavorativa) dell'esposizione professionale. Per questo aspetto si vede la necessità di una integrazione della cartella clinica e della scheda di dimissione; 4.2.3 - inchiesta sanitaria dei casi sospetti; 4.2.4 - valutazione igienico-ambientale del rischio, dove è possibile; 4.2.5 - protocollo generale di prevenzione tecnica; 4.2.6 - gestione di un registro tumori professionali CO/ULSS; 4.2.7 - eventuali provvedimenti di tipo medico-legale, una volta stabilito il nesso di causa. 5. RISORSE Per realizzare il progetto è possibile prevedere il fabbisogno di personale e di strumentazione informatica: Personale 1 medico a tempo pieno; 1 assistente sanitario a tempo parziale; 1 amministrativo a tempo pieno; 1 tecnico chimico a tempo parziale. Strumentazione 1 personal computer con accesso alla rete ospedaliera. Il fabbisogno di spesa si aggira sugli 80 milioni/anno (circa). APPENDICE - DPR 19 marzo 1950 n. 303 "Norme generali per l'igiene del lavoro"; - DPR 30 giugno 1965 n. 1124 "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"; - L.R 30 novembre 1982 n. 54 "Pre- venzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro"; - L.R 23 aprile 1985 n. 34 "Progetto oncologico regionale: integrazione alla legge regionale 2 aprile 1984, n. 13 - Piano socio-sanitario regionale, triennio 1984-1986" Aree di intervento: 1 - Epidemiologica - Prevenzione primaria - Delibera del Comitato di Gestione dell'ULSS 27 del 28/4/87 "Istituzione e composizione del comitato oncologico dalla L.R 23/4/1985, n. 34 - Piano Socio-Sanitario del 25.7.89 11.2 LIBRERIA Marco Blocca Rossella Salmaso LAVORATORI IMMIGRATI E ATTIVITÀ DEI SERVIZI DI MEDICINA PREVENTIVA E IGIENE DEL LAVORO Documentazione preliminare Regione Emilia Romagna - SEDI Dossier n. 6 - Marzo 1991 AMBIENTE E TERRITORIO Appunti per una politica possibile Edizioni Ediesse Roma 1991 Lire 21.000 Pur essendo ancora poco numerosi nel nostro Paese gli studi epidemiologici (anche) sulle condizioni di salute dei lavoratori immigrati, un dato emerge con tutta evidenza: i lavoratori stranieri, indipendentemente dalla loro nazionalità, presentano eccessi di mortalità per incidenti e morte violenta, presumibilmente sia perché generalmente addetti ad occupazioni più rischiose (ad esempio nella cantieristica, nel lavoro stagionale agricolo, nella siderurgia...), sia perché costretti in condizioni diffuse di emarginazione che rende estremamente problematico: dormire al caldo, mangiare in modo sano... Tutto ciò impone a tutti i servizi delle U.S.L. una sempre più complessa e qualificata attività di prevenzione e assistenza. Questo primo dossier offre a tutti una scelta di materiali di lavoro e di riflessione su questo tema. Da richiedere a Sedi Via Triachini, 17-40138 BOLOGNA Tel. 051/392436 Fax 051/392416 Il territorio non è una risorsa illimitata, anzi è un bene sempre più scarso, specialmente in Italia dove si registra il record mondiale di produzione di cemento. Ma è il territorio stesso- se ben osservato e compreso - a suggerirci crome organizzare una politica che, basandosi su una forte qualità ambientale, favorisca uno sviluppo sociale qualitativamente elevato. Il contenuto del libro - costituito dalle relazioni presentate al Seminario di formazione sindacale "Ambiente e Territorio", organizzato dall'Associazione GAIA (recentemente promossa dalla CGIL di Bologna) in collaborazione con la CGIL Emilia-Romagna spiega i motivi che rendono necessario, per la gestione del territorio e delle acque, un approccio di tipo sistemico, SNOPIUM QUALE DELLE TRE? Soluzioni del numero diciannove = merli, Merluzzi; 12 = ars, e, Nico, arsenico; 13 = nocino, nocivo; 14 = sirene, stirene; 15 = aceto, acetane; 16 = piombo, Piombino; 17 = cianuri, pianure; 18 = curaro, curato; 19 = zirlo, Zurlo; 20 - IM, postura, impostura; 21 = cattivo, attivo; 22 = Albertosi, asbestosi; 23 = Vi narro sete, vctroresina; 24 = Ivan, navi; 25 = riforma sanitaria sanitario piane piane liscie silice quarto quarzo volturno volturo emilio emilia sedi dies irae arie aria inquinamento camino manico maico curvai cesena cesana stress. 11 calibrato su quell'unità territoriale "naturale" che è il bacino idrografico. Esaminando la Legge 183/89, che istituisce le Autorità di Bacino Idrografico, il testo formula le proposte per un'efficace politica ambientale che coinvolga enti locali, associazioni, sindacati. L'attualità del libro è data dalle concrete possibilità d'intervento che tale legge fornisce, innovando fortemente l'assetto delle precedenti strutture tecnico-amministrative degli enti pubblici. La struttura del libro è costituita: dalla "Presentazione" (che illustra i motivi per cui il sindacato si occupa di tale tema, ed il metodo didattico usato); dalle "Relazioni" (che raccolgono gli interventi dei massimi esperti nazionali sul tema illustrato: G. Colli, G. Nebbia, G. Cannata, A. Cutrera, G. Damianr); dagli interventi a una Tavola Rotonda cui hanno partecipato dirigenti sindacali a livello nazionale e regionale; da una parte relativa alla contrattazione territoriale ed alla realtà regionale (R. Lewanski, F. Anderlini, P.L. Cervellalr). Il libro testimonia di un tentativo, da parte del sindacato, di occuparsi - utilizzando un metodo didattico originale, basato sui lavori di gruppo, oltre che sulle relazioni --di temi nuovi, riconoscendoli come fortemente connessi sia con le problematiche del mondo del lavoro, sia con la promozione di una qualità sociale complessiva. La redazione Una delle tre risposte descrive correttamente le lettere maiuscole AIA 1 Esclamazione del titolare artigiano quando ci presentiamo come UPG dell'USL 2 Capitale dei Paesi Bassi 3 Agenzia internazionale che si occupa della sicurezza nell'uso dell'asbesto ACG I H 1 di solito si risponde "salute!" 2 Conferenza degli igienisti americani 3 (va letto a ritroso) ho io grandi conoscenze. altolocate? GIP 1 mezzo di trasporto fuoristrada 2 magistrato 3 puntata minima al poker NIP 1 nuovi insediamenti produttivi 2 non implica prevenzione 3 persona non importante OSHA 1 organo di vigilanza negli USA 2 espressione africana per ringraziare 3 toscanismo per "segmento prossimale dell'arto inferiore": - che ti garban le bimbe di 'osha lunga? TLV 1 Te Lo Vai... 2 Tutti Li Vogliono 3 Valore limite (di) soglia VRQ 1 Via, Rimane (la) Quantità! 2 Volete Rompere (anche) Qui 3 Verifica (e) Revisione (di) Qualità a cura di Borg DIRETTIVO SNOP Emilia Romagna Graziano Frigeri (Presidente SNOP) SMIPL - USL n. 7 via Toschi, 3 43013 Langhirano PR Tel. 0.521/858163-852710 Fax 0521/853723 Piemonte - Val d'Aosta Andrea Dotti (segretario regionale) SISL - USSI. n. I via Lombroso n. 16 10125 Torino Tel. 011/6502148-5754290 Fax 011/6503149 Sardegna Antonio Omnis (segretario regionale) USL n. 15 Via Tirso 71 09037 S. Gavino Tel. 070/9375204 Liguria Rossella cl ' Acqui (segretario regionale) USL n. 10 via Jori n. 30/A 16159 Genova Tel. 010/490050 Abruzzo Silverio Gatta (segretario regionale) Servizio Medicina del Lavoro via della Stazione 65026 Scafa PE Tel. 085/8541 276 Luigi Salizzato Usi n. 39 via Fiorenzuola, 1 47023 Cesena FO Tel. 0547/352483 Claudio Calabresi (Ufficio di Presidenza) Unità Operativa Igiene e Sicurezza Ambienti di lavoro USL n. 12 piazza S. Matteo n. 15 16123 Genova Tel. 010/297780-280632 Campania Felice dell'Armi (segretario regionale) USL n. 4 C. da IZiverano 83024 Monteforte Irpina AV Tel. 0825/203168 Lombardia Laura Bodini (Vicepresidente SNOP direttore rivista) UOTSLL - USSL n. 65 via Oslavia, n. 1 20099 Sesto S. Giovanni MI Tel. 02/2499631 Fax 02/26223083 Friuli Cristina Driussi (segretario regionale) USL n. 6 via Sottomonte n. 8 33038 S. Daniele del Friuli UD Tel. 0432/955674 Fax 0432/949355 Calabria Cirillo Bernardo (segretario regionale) UOMI.. via Discesa Poerio n. 3 88100 Catanzaro Tel. 0961/25809 Elio Tagliabue (segretario regionale) UOTSLL-USSL 12 Via Cavour, 10 22063 Cantù (CO) Tel. 031/705330 Fax 031/715716 Toscana Domenico Taddeo (segretario regionale) SPISAL - USSL n. 17 viale Europa 56022 Castelfranco di Sotto PI Te!. 0571/269625 Fax 0571/269649 Puglie Fulvio Longo (segretario regionale) USL BA/14 via Lecce n. 5 Casamassima 13A Tel. 080/674832 Enrico Cigada (tesoreria) Servizio n. 1 - USSL n. 65 Via Oslavia n. 1 20099 Sesto S. Giovanni MI Tel. 02/2499625 Fax 02/26223083 Lazio Aurora di Marzio (segretario regionale) USL RM/7 viale della Letteratura n. 14 00144 Roma Tel. 06/591 5962 Eva Francesconi (segretario regionale) SMIPL - USL n. 37 c.so Beccarini n. 16 48018 Faenza RA Tel. 0546/673755 Fax 0546/664789 p P » GP ì4b o, Z22 Veneto Emilio Ciprani (segretario regionale) SPISAL - USL n. 26 via Foro Boario n. 28 37012 Bussolengo VR Tel. 045/6700500 Marcello Potì SPISAL-USSL n. 20 via P. Cosma n. 1 35012 Campo Sampiero PD Tel. 049/5790500 - Marche Giuliano Tagliavento (segretario regionale) Settore Med. del Lavoro USL n. 13 vicolo Talleoni n. 2 60027 Osimo AN Tel. 071/7130330 Fax 071/71.30209 Umbria Armando Mattioli (segretario regionale) via del Campanile 12/A 06034 Foligno PG Tel. 0742/20502 Altri riferimenti Antonio Cristofolini Servizio Medicina del Lavoro via Malta n. 6 38100 Trento Tel. 0461/230030 Stefan Faes Via Anita Alegi 5 39100 Bolzano 0471/286530 Francesco Cardi Igiene del Lavoro Via Vaccaro, 5 90145 Palermo Tel. 091/6969328