Testo e foto di Luigi Ruggeri
Q
uesta mattina, tra i gruppi di avventure nel mondo presenti a colazione ci sono tre compagni di
viaggio che festeggiano il loro compleanno. Nel
nostro gruppo un altro compleanno verrà festeggiato fra
qualche giorno.
Tutti questi festeggiamenti sono in concomitanza alla festa
del sole o INTI RAIMY, qui a Cuzco.
L’Inti Raimi oggi per il Perù segna la festa dell’indio.
Alla fine del mese di giugno, al solstizio d’inverno quando il sole si allontana dal nord, si realizza l’Inti Raimy.
La festa più grande dell’Impero degli Incas e probabilmente la più bella di tutta l’America precolombiana.
Prima dell’arrivo degli Spagnoli a Cuzco gli Incas adoravano il sole, essendo fonte principale di vita.
L’Inca stesso era figlio del sole, (sovrano dinastico assoluto e capo religioso e militare che regna sull’impero) il
quale evocava ogni 22 di giugno una festa chiamata Inti
Raimy.
Questa festa cade quando si ha il solstizio d’inverno, momento in cui il sole incontra il punto più lontano dall’equatore, questo avveniva come scongiuro, perché la terra non si allontani da dio, perdendosi nell’oscurità profonda dell’universo, per questo gli Inca lo invocano ogni
anno.
Solo cosi i suoi raccolti saranno abbondanti e non carestia e fame sul Tawantisuyo (composto da Collasuyo il sud
est, da Contisuyo il sud ovest, Chinchasuyo il nord ovest,
Antisuyo il nord est).
Nel solo Cuzco viveva la famiglia reale, i sacerdoti e personaggi influenti.
Unicamente il 22 giugno, alcuni semplici abitanti con accordo al suo merito potevano entrare nella città e partecipare alla festa religiosa che si celebrava nell’antica
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Huacaypata (attuale piazza de Armas).
In tal caso si arrivava a riunire una media di 50 mila
persone. Le persone che arrivavano avevano offerte
per l’Inca.
Al mattino il sole arrivava, con i suoi raggi scintillanti,
d’improvviso arrivava il “ Sa Pan Inca Apu Tayta (figlio
del sole), dal Qoricancha (corte d’oro, era il tempio
del sole) invitava il popolo a partecipare alla cerimonia. Molti cronisti, uno con informazioni obiettive, arrivò con le sue informazioni a considerare che l’Inti
Raimy era la cerimonia di maggior trascendenza nell’esteriorizzare il ringraziamento alla fonte di energia
per il quale tutte le cose tengono il movimento, vita.
Alla cerimonia assistevano persone selezionate dei
quattro Suyos (regioni, agli angoli geografici remoti)
dell’impero.
Al tempo degli Incas, nelle notti di vigilia dell’Inti
Raimy si spegnevano i fuochi su tutto l’impero e nel
Cuzco, nella piazza di Huacaypata si concentravano
tutte le personalità più nobili dell’impero.
La moltitudine aspettava l’apparizione del sole con
gran rispetto. Generali, principi, regine, tutta la nobiltà aspettava in profondo silenzio.
I nobili, i generali e gli alti funzionari avevano digiunato vari giorni, essi si erano allontanati dalle loro mogli e avevano masticato ierba chucan (corroborante
vegetale).
Avvenivano sacrifici in onore dell’Intihuatanas (letteralmente luogo dove si appende il sole, orologio solare) al fine che la luce ritorni.
Al primo raggio dell’aurora che rompeva l’oscurità
della notte si ascoltava un grido immenso che riempiva i cuori rimbombando sulle montagne in lontananza. Si ascoltavano i suoni emessi dai Pututeros (gli incaricati di utilizzare gli strumenti del vento).
La moltitudine in adorazione, con le braccia aperte saluta il sole.
Il Wilca Nina (fuoco sacro) era rinnovato, un
piatto concavo
in oro, finemente lucidato, si poneva contro la luce
solare, i cui riflessi si proiettavano sopra un mucchio di
cotone ben pettinato, che si incendiava.
Artefice, probabilmente, era il Willaq Uma (sacerdote), seguiva la cerimoniale danza del Qanchi Tusup. Il
fuoco sacro era conservato al Qoricancha, dove sarà
custodito dalle Acllas (vergini del sole).
L’Inca prendeva due calici in oro, pieni di Chicha (birra di mais), brindava al sole e versava il contenuto di
uno dei vasi a una gran fontana dorata che stava al
centro della piazza Huacaypata, unita con delle canne speciali ad una enorme fontana di pietra.
Luogo dove l’Inca versava una sorsata dell’altro calice
e dopo divideva con i membri della nobiltà.
Di fronte all’Inca, che invoca il dio sole il Turpuntay
(sacerdote del sole) realizza il sacrificio di un lama
(nero o forse bianco), consegna le viscere al Capac
Ricuy (veggente che faceva le previsioni mentre il grasso lo prendeva il Wirapiruj che a sua volta esprimeva
degli auspici osservando il fumo le lingue di fuoco e le
braci.
Continuava la cerimonia con la divisione del Sankhu o
pranzo sacro elaborato a base di mais e sangue del
lama offerto, accompagnato con la Chicha.
Nel 1572 il vicerè Francisco de Toledo proibì questa
celebrazione, considerata pagana.
Trascorrendo il tempo, nell’attualità, l’Inti Raimy si realizza principalmente nella spianata di Saqsayhuaman
(una delle fortezze del Cusco).
Ogni 24 di giugno di ogni anno dal 1944 per iniziativa del Dr. Humbrto Vidal Hunda, in onore del giorno del Cuzco.
Il soggetto teatrale fu recuperato da Faustino Espinosa
Navarro, membro fondatore dell’accademia peruana
della lingua Quechua.
Riscattando dai commentari reali dell’Inca Garcilasco
de la Vega (1612) figlio del primo governatore spagnolo di Cuzco e di una principessa
Inca, i frammenti
Il gruppo Ruggeri a Machupicchu
dell’antico Inti Raimy. Cercando il testo guida di questa festa scrisse un testo teatrale per 600 attori ed ebbe il privilegio di rappresentare per la prima volta agli
Inca uno scritto che è stato ripetuto con molto orgoglio
consecutivamente per 14 anni.
Oggi, la scenografia di maggior splendore della città
di Cuzco è senza dubbio il legame all’Inti Raimy.
L’impresa municipale delle feste del Cuzco e un’impresa incaricata dell’organizzazione si adopera con gran
cura alla buona riuscita di questa rievocazione.
Alle nove di mattino ha inizio l’Inti Raimy al tempio del
Qoricancha, tempio religioso di maggior importanza
al tempo degli Incas.
Cerimonia che termina nove ore più tardi nella spianata di Saqsayhaman.
L’Inca seduto sul trono è sollevato dai suoi portatori
verso l’Huacaypata, moltitudine di suonatori soffiano
a tutto polmoni i Pututu (le conchiglie), annunciando il
suo arrivo.
Il passaggio avviene per la calle Panpa del Castillo,
prima dell’ Inti Pampa e Intikijllu e poi l’attuale piazza
de Armas.
Con loro sfila anche il popolo portando bandiere, non
lontano un gruppo di donne scaccia gli spiriti maligni
agitando rami di Cedroncillo.
Una trentina di Nust’acunas (elette, concubine) spargono sulle stade i fiori rossi di Retana, altrettante portano cesti di giunco con frutti tuberosi.
Tutti camminano danzando, si sentono i suonatori di
conchiglie e i tamburi.
Nella piazza de Armas,
l’Inca discende dal trono e
invita a lavorare uniti per la
prosperità del popolo.
Quindi irrompono sulla
scena le ballerine con belle coreografie, si riprende il cammino lungo la
salita
conducendo
Il Qoricancha
e l’orologio solare
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Il gruppo Ruggeri alle isole Uros
l’Inca al complesso di Saqsayhuaman che qui si incontra con il pieno del pubblico.
L’Inca salito l’Unsu (una piattaforma altare) ha attorno
a se la sua corte.
Suo figlio Auki, il gran sacerdote Willaq Uma (zio o
fratello dell’Inca), il ministro Kallpa Rikuq, quattro
Wamink’a generali dell’esercito incaico, quattro
Hamaut’akuna uomini di scienza, sei eroi i
Auwaphuru, quattro sacerdoti militari i Chakurikuna e
due guardiani del tempio i Kamani.
Quando raggiungono i loro rispettivi posti l’Inca si pone in piedi e alzando le braccia verso il cielo intona,
sempre in lingua Quechua, un inno che la traduzione
dice: Prosperoso sole della felicità eterna, calda fonte,
principio di vita, padre potente di tutto il creato.
Anche le Nust’acunas e i guerrieri hanno preso la loro posizione, uno alla volta i rappresentanti dei quattro Suyos interpretano la loro danza, l’Inca brinda con
la Chicha e offre, un sacrificio simbolico, la vita di un
lama, toglie con la mano insanguinata, il cuore dell’animale sacrificato.
E’ ora il turno dei sacerdoti, leggono il futuro nei visceri dell’animale, il grasso, il sangue, il cuore i polmoni dicono che ci sarà un’invasione di gente avversa, nemica.
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Quindi discendono dal trono il sommo sacerdote e i
sacerdoti militari.
Nelle loro mani portano fiaccole incendiate, si dispone per bruciare i cumuli di paglia.
Per dare modo di studiare le lingue di fuoco e fumo.
Il grande sacerdote avvisa: l’Impero va verso un miglioramento, con enormi ricchezze, l’uomo lavorando
incontra il benessere.
Rispettando il profondo sentimento religioso e una diffusa moralità, l’abituale formula di saluto recita:
Mana kella (non oziare), Mana llulla, Mana suwa (non
essere bugiardo o ladro) e ben riassume i semplici ma
sani principi su cui il popolo improntava la propria vita. L’Inca prende mescolati farina di mais con il sangue
del lama. In questa parte centrale della cerimonia
brinda con suo padre, il dio sole, e con devozione recita la sua orazione.
O supremo creatore della luce, creatore e nostro padre sole, alla luna, alle stelle, e agli astri, a questo
mondo terreno che vive qui per volontà della luce
astrale, a te, grandioso padre brindo con la Chicha
spumeggiante, bevo per mitigare la tua sete.
Nella vasca ritua-
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le del tuo tempio sta preparata la tua volontà, padre
nostro che stai nel cielo, felice sono nel tuo giorno
gioioso.
Attingere salute nella tua anfora consacrata, dando
conforto alla comunità del Cuzco, scongiuro all’impero dei quattro Suyos, grazie padre mio.
Culmina la maestosa cerimonia con la preghiera e i
canti al sole, con devozione armonia e forza per la
prosperità. La cerimonia volge alla conclusione, il sole
cade obliquo ingrandendo le sue ombre, la sera si
congeda. Anche l’Inca e la sua corte per dare spazio
alle comunità cuschegne, che sono arrivate con i loro
gruppi folcloristici. A questo punto il pubblico si mescola ai danzatori e i turisti riprendono fotografie in
questo meraviglioso scenario naturale. Ripongo frettolosamente, nel taschino della camicia, il rullino completato. Ricarico la reflex e poi una rincorsa dietro ai
personaggi in costume, tutte le apparecchiature da ripresa sono alla massima efficienza.
Gli operatori sono euforici, mi fermo al fianco di un fotografo aspettando che riesca a impressionare il soggetto sulla pellicola, poi passo avanti.
Un’altra macchina fotografica sta inquadrando la folla, a questo punto mi chino e passo ancora più avanti, una telecamera è in funzione, l’operatore con lo
sguardo mi frena, non posso fare altro che gattonare
al livello del treppiede da ripresa.
Arrivo in fondo, completo anche questo rullino sul finire della processione e mi accorgo che il rullino scattato in precedenza non c’è più nella tasca.
Torno sui miei passi, chiedo a tutti se hanno visto un
rullino fotografico per terra, dietro l’operatore tv una
signora capisce subito qual’è l’oggetto della mia ricerca, mi consegna la pellicola, le dico molte grazie e
buona fortuna.
Cosi, come la fortuna di ritrovare la pellicola, la speranza di mostrarle, buona
fortuna Perù.
Sfilata
dei capi
militari
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