venerdì 7 agosto 2015
IL CERTIFICATO DEL MEDICO MILITARE E’ LEGITTIMO
SOLO SE RILASCIATO IN CASERMA
(di Ruggero Pettinelli) - Il caos burocratico italiano genera mostri con
cadenza ormai mensile. Per questo, da ormai troppo tempo gli appassionati
sono costretti a restare costantemente sugli spalti, a rintuzzare le “genialate”
partorite dalla pubblica amministrazione.
La novità di questo mese è che alcune questure (quella di Roma in primis)
stanno rifiutando agli appassionati che presentano i documenti per il rilascio
o il rinnovo di un Porto d’armi, i certificati di idoneità psicofisica rilasciati dai
medici militari. A meno che dal certificato stesso non risulti che è stato
rilasciato non solo da un medico militare, ma anche all’interno della relativa
struttura di servizio (ospedali militari, strutture sanitarie della polizia di
Stato). Se, invece, il medico con le stellette ha rilasciato il certificato in un
proprio ambulatorio o in altro luogo (pensiamo alle autoscuole), e quindi
manca il bollo della struttura, nisba, carta straccia. Ma perché?
Una lunga diatriba
Si tratta dell’ennesimo capitolo di una diatriba che va avanti da oltre 15 anni,
cioè da quando (28 aprile 1998) fu emanato l’ultimo decreto del ministero
della Sanità relativo all’accertamento dei requisiti psicofisici per il rilascio dei
porti d’arma. Infatti, mentre l’articolo 35 del Tulps, nello specificare quali
autorità fossero competenti al rilascio del certificato medico per il nulla osta
(e in senso lato per il Porto d’armi) indicava genericamente “dal settore
medico legale delle Aziende sanitarie locali o da un medico militare, della
polizia di Stato o del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”. Il decreto
ministeriale del 14 settembre 1994 (sostituito da quello del 28 aprile 1998)
stabiliva inoltre che il certificato potesse essere rilasciato da “strutture
sanitarie militari o della polizia di Stato o da singoli medici del ruolo
professionale dei sanitari della polizia di Stato o da medici militari in
servizio permanente e in attività di servizio”. Invece l’articolo 3 del decreto
attribuì tale competenza agli uffici medico-legali, ai distretti sanitari delle
Unità sanitarie locali e alle “strutture sanitarie militari e della polizia di
Stato”. Sembra la stessa cosa, ma non lo è: nella prima indicazione, infatti, è il
“medico militare” a essere competente al rilascio, mentre nella seconda è la
“struttura sanitaria militare”. Ne consegue che nel primo caso il medico
militare può rilasciare il certificato sia che stia operando fisicamente nella
struttura militare, sia che si trovi nel proprio ambulatorio privato, nel
secondo caso teoricamente no. Teoricamente, appunto.
Della questione si occupò, in tempi molto rapidi, il Tar del Veneto
(logicamente dietro ricorso), pronunciando il 3 settembre 1998 l’ordinanza
numero 1.217, con la quale si sospese cautelarmente l’efficacia dell’articolo 3
del decreto. In attesa di un pronunciamento definitivo sulla questione che, a
quanto pare, non arrivò mai.
A stretto giro si pronunciò anche la Direzione generale della sanità militare
del ministero della Difesa con la circolare 559/C28180.10100A(1) del 1°
giugno 1999, nella quale oltre a dar conto dell’ordinanza sospensiva del Tar, si
precisò che “È parere di questo ufficio che deve ritenersi applicabile il
precedente decreto del ministero della Sanità del 14 settembre 1994,
limitatamente alla parte oggetto dell’impugnativa (art. 3), ovvero devono
ritenersi validi i certificati forniti dai singoli sanitari”. La circolare specificò
anche che “Nella considerazione che un decreto ministeriale non può
abrogare una norma di legge tuttora vigente (art. 35 del Tulps), la scrivente
ritiene che tutti i medici militari in servizio permanente e in attività di
servizio, possono rilasciare le certificazioni in argomento che, comunque,
come sempre dovranno essere redatte secondo gli inderogabili dettami
suggeriti da scienza e coscienza e avvalendosi, se del caso, anche della
consulenza di specialisti”.
Occorre intendersi sul termine “in attività di servizio”, perché ci sarà utile per
procedere nel ragionamento. Con tale termine non si intendeva, infatti, che i
medici militari dovessero trovarsi fisicamente all’interno dell’ospedale
militare, ma che semplicemente vi risultassero in servizio attivo, per
differenziarli dai medici militari in quiescenza. La precisazione non era
secondaria, perché l’articolo 119 del codice della strada consentiva anche a
questi ultimi di emettere i certificati per il rinnovo della patente di guida,
mentre per il rilascio dei certificati per il Porto d’armi risultavano
tassativamente esclusi.
Anni di quiete, e poi…
Una volta raggiunto questo “equilibrio” di interpretazioni da parte del
ministero della Difesa, la situazione non è più cambiata fino al 2013: i medici
militari hanno seguitato a rilasciare i certificati in questione nei propri studi o
nelle autoscuole (con significativi vantaggi in termini di tempo d’attesa e orari
di ricevimento, per gli appassionati d’armi, rispetto ad alcune Asl), questure e
commissariati hanno continuato ad accettarli senza colpo ferire, anche dopo
l’eventuale perenzione del giudizio davanti al Tar del Veneto (in parole
povere, la decadenza di tutto il processo amministrativo del 1998 per il
mancato compimento di atti necessari al suo proseguimento da parte delle
parti, cosa che generalmente avviene nel termine massimo di cinque anni) e,
quindi dell’altrettanto inevitabile decadenza dell’ordinanza sospensiva.
Tutto questo fino, appunto, al 2013, più precisamente fino al 4 luglio, allorché
l’Ispettorato generale della sanità militare dello stato maggiore della Difesa ha
inviato alla questura di Salerno e per conoscenza al ministero dell’Interno una
lettera, nella quale ha voluto ribadire e chiarire il concetto di medici “in
servizio”. Nella lettera, infatti, si legge che “L’accertamento dei requisiti
psicofisici… è riservato esclusivamente al personale medico in attività di
servizio. Pertanto, a parere di questo Ispettorato generale, gli ufficiali
medici in “ausiliaria” o in “riserva” possono rilasciare i certificati in titolo,
purché si trovino nella condizione di trattenuti o richiamati
temporaneamente in servizio ed operino presso le strutture sanitarie
militari di cui al summenzionato articolo 3. In tale contesto, si ritiene infine
opportuno ribadire che risultano tassativamente esclusi dalla potestà
certificativa in oggetto i medici militari in quiescenza ovvero cessati
definitivamente dal servizio, ancorché gli stessi siano, a mente dell’articolo
119 del decreto legislativo 30 aprile n. 285 recante Nuovo codice della
strada, legittimamente abilitati ad altra attività certificativa concernente
l’idoneità alla guida di autoveicoli e motoveicoli”.
Insomma, si ritorna all’inizio: il ministero della Difesa non intendeva dire che
i medici militari dovessero rilasciare i certificati obbligatoriamente dentro le
strutture di riferimento ma semplicemente che, per poterli rilasciare,
avrebbero dovuto risultarvi in servizio. Vi pare la stessa cosa?
In effetti, la scelta delle parole utilizzate nella lettera del 2013 è stata forse
poco felice, anche se tutto sommato, per interpretarla nel modo corretto, si
sarebbe potuto semplicemente fare riferimento alla “storia” precedente della
vicenda (che abbiamo cercato di riassumervi). Alcune questure però hanno
preso la strada apparentemente più comoda (in buona o cattiva fede, questo
non è dato sapere), ed ecco il patatrac. E ora?
E ora, la situazione è così fatta: alcune questure (per fortuna) non si sono
adeguate a questo grossolano equivoco, e quindi proseguono con la prassi
consolidata; dal ministero dell’Interno, indicazioni precise che giustifichino
questo nuovo orientamento non sembrano esserne state emanate. Anzi, nel
frattempo, secondo le indiscrezioni pervenuteci sembra che il ministero sia
stato recentemente investito della questione, e che i funzionari stiano
cercando una soluzione che possa riportare il tutto nell’alveo della normalità.
Per quanto riguarda le questure “creative”, in attesa di un provvedimento
ministeriale (che si auspica rapido) che possa ripristinare la situazione
precedente, le strade sono in effetti tre: la prima, spesso (purtroppo) preferita
dagli appassionati per quieto vivere, è quella di abbassare supinamente il
capo e mettersi in coda all’Asl quando c’è da rinnovare il Porto d’armi; la
seconda è quella di cercare di far ragionare l’ufficio armi della questura,
portando a loro conoscenza tutta la vicenda e non solo l’ultimo capitolo (sì, lo
sappiamo, è quasi sempre tempo perso, ma non si sa mai!); la terza, al solito,
è quella di fare ricorso al Tar quando la questura dovesse rifiutarsi di
accettare il certificato medico rilasciato dal medico militare, al di fuori della
struttura di servizio. Ma in quest’ultimo caso, visti anche i costi, è preferibile
attendere gli sviluppi ministeriali.
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