Il Burattinaio di Fango di Asurayuda AVERTENZE La seguente opera è il prodotto della mia immaginazione. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti non sono reali. Ogni riferimento a fatti o persone esistenti è puramente casuale. Vietata ai minori di diciotto anni: presenza di scene erotiche omosessuali m/m, scene esplicite di violenza e/o di sesso. Opera protetta da Licenza Creative Commons. PROLOGO Il cellulare prese a vibrare con insistenza ed emettendo una musichetta metallica e ovattata attirò l'attenzione del ragazzo che si affrettò a rispondere: “Pronto. Ah sei tu. Arrivo subito”. Andrew Godwin premette il tasto rosso sul telefonino, infilandoselo distrattamente in tasca, e rivolgendosi ai suoi compagni di classe comunicò semplicemente: “Devo andare”. “Ma come, te ne vai già? Non abbiamo nemmeno mangiato i nostri hamburger” lo fermò dispiaciuto uno di loro. “Devo andare” ripeté con fermezza il ragazzo, prima di spiegare: “Era il mio patrigno, se faccio tardi s'incazza”. “Ma che vuole quello da te, è venerdì sera, tutti i ragazzi di questo mondo restano a cena fuori con gli amici” protestò un altro con fare piccato “E poi lui non è tuo padre”. “Mh, finché sto sotto il suo tetto non fa poi così tanta differenza” affermò Andrew infilandosi il corto giubbotto di jeans. “Mah, se lo dici tu. Ci becchiamo domani?” domandò l'amico. “Certo”. E sollevando la mano in segno di saluto Andrew usci dal fast-food, tuffandosi nel caos del marciapiede. Il giovane esitò un istante di fronte al moderno e imponente palazzo che ospitava la Malthus Corporation, ma subito dopo entrò con un'andatura sicura e tranquilla, varcando la soglia della portineria deserta e illuminata debolmente dalle luci di servizio. “Buona sera” lo salutò l'uomo addetto alla sorveglianza non appena lo vide “Il presidente la sta aspettando. Prenda l'ascensore a sinistra, gli altri sono stati tutti disattivati per la notte”. “La ringrazio”. L'ascensore si arrestò all'ultimo piano producendo una vibrazione appena percettibile e il ragazzo uscì non appena le porte metalliche si aprirono emettendo il classico segnale acustico. Non fu affatto sorpreso di trovare vuote le scrivanie e le varie postazioni che occupavano l'immenso locale - a quell'ora tutti i dipendenti del patrigno erano a casa o in qualunque altro posto a godersi l'inizio del fine settimana - così procedette velocemente lungo il corridoio per raggiungere l'ufficio dell'uomo che lo stava aspettando. Andrew batté con decisione due colpi in successione sulla porta, entrando subito dopo aver ottenuto il permesso. “Ciao, hai fatto presto” lo salutò con un sorriso l'affascinante uomo d'affari seduto dietro l'elegante scrivania. “Ero qui nei paraggi con i miei amici” rispose con superficialità il ragazzo, lasciandosi cadere sul divano di pelle nera che abbelliva l'ufficio assieme ad una libreria ben fornita e ad un raffinato mobiletto in ciliegio che conteneva bevande e liquori da offrire agli ospiti più importanti. “Mi dispiace, ti ho disturbato?” domandò il signor Richard Malthus, alzandosi dalla poltrona un po' preoccupato. “Non importa, non avevamo in mente niente di interessante. Mi dai una coca?” “Sì certo”. Il patrigno prese la bibita per il ragazzo mentre versò per sé un bicchiere di whisky con ghiaccio e, appoggiandosi al legno levigato della scrivania, domandò: “Allora, come è andata oggi a scuola?”. “Niente di speciale” rispose l'altro, giocherellando un po' annoiato con una ciocca di capelli corvini che casualmente gli era scivolata sopra un occhio. “Quando hai il prossimo test?” “Fra una settimana”. “Scommetto che non sei affatto preoccupato?” sbuffò l'uomo, leggermente esasperato dall'aria di sufficienza che ostentava sempre quel ragazzo “E il club?” continuò ad informarsi senza aspettare una risposta alla sua domanda precedente. “Bene” rispose Andrew con un po' più di entusiasmo “La nostra scuola si sta battendo piuttosto bene contro le altre squadre di calcio della contea, abbiamo buone probabilità di vincere il campionato”. “Mi fa piacere, uno di questi giorni verrò a vedere una tua partita”. “Non ce n'è bisogno” dichiarò l'altro, smorzando subito l'entusiasmo del signor Malthus “É stupido che tu perda tempo per una cosa del genere”. “Ma a me farebbe molto piacere vederti” rivelò l'uomo, posando il bicchiere vuoto sulla scrivania e fissando il suo sguardo sul ragazzo. Andrew rimase in silenzio per diversi istanti intento ad osservare con attenzione l'uomo che aveva davanti e dopo aver scrutato minuziosamente ogni suo gesto e il suo stato d'animo decise di arrivare subito al sodo. “Dov'è la mamma?” domandò, lasciando perdere la questione del calcio. “È tornata a casa, non c'erano più appuntamenti per oggi ma avevo dei documenti arretrati da visionare”. “Nh, e allora perché hai fatto venire qui me?” L'uomo distolse lo sguardo e, quasi inconsapevolmente, si passò una mano fra i folti capelli castani per sfogare l'agitazione che aumentava vistosamente in lui. “Allora? Sto aspettando!” lo sollecitò Andrew. L'altro esitò ancora qualche secondo prima di vincere l'imbarazzo e mormorare debolmente: “Lo sai perfettamente”. “No, io non lo so” disse il liceale indurendo all'istante il proprio sguardo che diventò, se possibile, ancora più scuro. “Ti prego Andrew, per l'ultima volta” lo supplicò l'uomo con voce tremante “Sai che ho bisogno di te!” “Smettila, ti ho già concesso un'ultima volta”. “Perché sei venuto qui, allora?” cambiò tattica il signor Richard “Nonostante quello che dici, sapevi perfettamente cosa volevo e tu ti sei precipitato da me all'istante”. “Ma come fai a non capire?” ringhiò il ragazzo esasperato “La mamma sospetta già che tu abbia un'amante, vuoi che scopra tutto?” “Lo so ma…” “No, tu non sai. Tu non ti rendi conto, altrimenti non ti comporteresti in questo modo così assurdo”. “Hai ragione, sono debole e meschino” ammise l'uomo accasciandosi a terra come una bambola rotta “La tua bellezza, la tua sicurezza e anche la tua mente così pronta e arguta. Mi hanno reso folle di desiderio, ma voglio davvero bene a tua madre. Per questo lascerò l'Inghilterra assieme a lei la prossima settimana”. “Che, che significa?” chiese spiegazioni Andrew. “Ho pensato a lungo ad una soluzione possibile e questa è l'unica che ho trovato. Fra qualche giorno sarà inaugurata la filiale dell'azienda a New York e con la scusa di occuparmi personalmente della sua gestione potrò allontanarmi da te il tempo necessario per riacquistare il mio equilibrio. Mi dispiace solo di doverti separare da tua madre”. “Non ha importanza, è la cosa migliore per tutti” si affrettò a rassicurarlo Andrew, distogliendo però lo sguardo. “Bugiardo” mormorò Richard, piegando le labbra in un sorriso triste, consapevole della solitudine che già cominciava ad aleggiare nella mente del giovane. “Sta zitto!” Alzandosi dal pavimento, l'imprenditore si avvicinò lentamente al divano e al bellissimo giovane che ospitava e, portandosi quasi a sfiorare le sue gambe con le proprie, rimase immobile senza smettere di sorridere e di guardarlo con occhi pieni di comprensione. “Oh al diavolo, vieni qua!” sbottò infine Andrew, afferrando l'uomo molto più grande di lui per la cravatta, tirandolo verso di sé “Questa è davvero l'ultima volta, chiaro?” “D'accordo, piccolo, adesso però aiutami, non resisto più!” E il giovane accontentò la sua richiesta impossessandosi delle sue labbra, con forza, quasi con rabbia, sfogando in quel modo la frustrazione di non saper resistere ad una tentazione così profondamente sbagliata. ~~~~~ “Buona sera signor Harry”. “Oh, buona sera Signora Malthus, non era tornata a casa?” domandò sorpreso l'agente addetto alla vigilanza dell'azienda. “Sì, sono andata a prendere la cena e poi sono tornata per mangiare con mio marito e aiutarlo con il suo lavoro” spiegò la bella donna dagli occhi grandi e gentili come un elegante bambola di porcellana, mostrando il sacchetto con le cibarie all'uomo. “Lei sì che è una moglie premurosa, il nostro presidente è un uomo davvero fortunato” constatò sinceramente ammirata la guardia. “La ringrazio. Ma mi dica, signor Harry, mio marito è solo?” domandò la donna, prima di spiegarsi meglio per non dare adito a dubbi poco onorevoli “Sa, non vorrei disturbarlo se stesse lavorando con un collega”. “No, signora, c'è suo figlio con lui”. “Mio figlio?” ripeté lei confusa, ma innegabilmente rincuorata. “Sì, è arrivato circa mezz'ora fa e non è ancora sceso”. “Ah d'accordo, allora li raggiungerò anch'io” dichiarò sorridendo la signora e, avviandosi verso l'ascensore all'angolo, mormorò fra sé “Per fortuna ho preparato una cena abbondante, basterà sicuramente per tutti e tre”. ~~~~~ Malthus ricadde sul divano, parzialmente soddisfatto e spossato. “Tu” ruppe il silenzio “Tu sei un piccolo demonio!” “Ti faccio paura?” “Sì, ma la paura può essere anche eccitante. Vieni”. ~~~~~ Le porte di metallo lucido si aprirono davanti alla donna ancora sorridente, lasciandola entrare nell'ascensore che velocemente prese a salire piano dopo piano. ~~~~~ Andrew, ansimante e stremato, ricadde sui cuscini accoglienti del divano senza perdere il contatto con il suo amante. “E va bene lo ammetto, tu e la mamma mi...” Il ragazzo non riuscì a terminare la sua frase perché la porta si aprì inaspettatamente, lasciando entrare una sorridente signora Malthus. “Ciao, cosa…” Una sensazione viscida e appiccicosa colò improvvisamente su di lei lordando la sua anima. Un violento conato di vomito aggredì il suo stomaco quando vide il marito, completamente nudo, sdraiato prono sul divano, la pelle cosparsa di sudore e le natiche ancora imbrattate di sperma. Lo sperma del figlio, seduto fra le gambe dell'uomo. Senza emettere nemmeno un debole suono la donna fece un passo indietro, poi un altro, lentamente, intontita dall'umiliazione e dall'orrore e infine, lasciando cadere al suolo tutto ciò che aveva in mano, scappò via con gli occhi pieni di lacrime e di disperazione. Andrew passò il resto della notte a casa da solo, aspettando che Richard tornasse con la madre. Troppo sconvolto per quello che era accaduto, aveva cominciato a rendersi conto della sua situazione solo all'alba quando era scoppiato a piangere improvvisamente, promettendo a se stesso che avrebbe trovato il modo per farsi perdonare da sua madre. Il signor Malthus tornò senza la moglie poche ore dopo e fu costretto a subire la reazione violenta e disperata del figliastro che, troppo ansioso di chiedere perdono, non aveva contemplato l'ipotesi di un suo fallimento. Con la promessa che dopo una doccia veloce e un caffè l'uomo sarebbe uscito nuovamente a cercarla, Andrew riuscì a calmarsi, ma proprio quando anche lui si stava preparando per andare fuori, il campanello suonò, rimbombando per tutta la villa come un colpo di pistola. Malthus e il ragazzo si precipitarono alla porta e i loro cuori si fermarono contemporaneamente quando si trovarono di fronte un agente di polizia. “Salve, lei è il signor Malthus?” domandò educatamente l'uomo. “Sì, sono io” farfugliò agitato l'imprenditore. “La signora Anna Malthus è sua moglie?” “Sì”. “Mi dispiace molto, ma sono costretto ad informarla che si è suicidata questa notte con la sua auto” comunicò loro l'agente con un tono sinceramente dispiaciuto “Alcuni testimoni l'hanno vista gettarsi in mare a tutta velocità dal molo quattordici del porto”. Il poliziotto continuò a parlare di un corpo recuperato e di un riconoscimento da effettuare, ma Andrew non stava più ad ascoltare. Ogni speranza di essere perdonato era stata stroncata e il senso di colpa aveva fatto calare un velo opaco davanti ai suoi occhi, rendendo tutto quanto viscido e fangoso. Assecondando un assurdo istinto di conservazione, aveva abbassato le palpebre per schermarsi da uno spettacolo così disgustoso, ma era stato un gesto inutile, il fango straripava da dentro di lui. Per Andrew ormai era tutto finito. PRIMO TEMPO Il grosso furgone era quasi vuoto, constatò Noah Orwell saltandovi agilmente dal marciapiede: un ultimo viaggio e il trasloco sarebbe terminato, e con esso il suo lavoro per quella sera. Sempre che lui e i suoi colleghi fossero riusciti a trasportare il massiccio pianoforte della signora Pratt nel suo appartamento al terzo piano del palazzo. “Andiamo ragazzi, vediamo di portare su quel pezzo d'antiquariato” li esortò il capo, sfregandosi le mani avvolte dai robusti e pesanti guanti da lavoro per sgranchirle dalla fatica e dal freddo pungente di novembre. Dieci minuti e sei rampe di scale dopo il proprietario della ditta di traslochi e i suoi uomini erano riusciti a portare a destinazione il vecchio piano senza nemmeno un graffio, nonostante la preoccupazione e le snervanti raccomandazioni della vecchietta. “Bene, con questo abbiamo finito. Io porto il furgone in ditta, con voi ci vediamo domani”. I ragazzi salutarono il datore di lavoro e si riunirono tutti e quattro per stabilire cosa fare nel tempo che rimaneva della serata. “Allora andiamo a farci una birra?” propose subito uno di loro. “Io ci sto”. “Io passo” rifiutò Noah, accendendosi una sigaretta. “Ma come, non sono nemmeno le nove, che ci fai a casa a quest'ora?” protestò il collega. “Devo ancora studiare per il test di domani” spiegò il ragazzo. “Ma chi te lo fa fare di sgobbare così con quella merda?” domandò incredulo il compagno poco più grande di lui “Tanto, per noi comuni mortali, il lavoro non c'è comunque. Ahi!” Si lamentò, portandosi una mano sulla nuca dove il collega più anziano lo aveva colpito. “Non dire stronzate e tu Noah, non dare ascolto a quello che dice questo stupido, studia e studia seriamente, solo così potrai ottenere qualcosa dalla vita”. “Ok, dopo questa perla di saggezza ho proprio bisogno di quella birra” lo sfotté il collega che aveva parlato per primo “ci vediamo domani Orwell”. L'uomo si incamminò verso il pub più vicino, subito seguito dagli altri due che continuavano a beccarsi, lasciando solo il giovane amico. Aspirando le ultime boccate di fumo dalla sua Pall Mall Noah si diresse velocemente verso la stazione con la speranza di riuscire a prendere il treno delle nove; non aveva assolutamente voglia di aspettare più di venti minuti per la corsa successiva, con quel freddo sarebbe morto assiderato. Il ragazzo si mise a sedere sul logoro seggiolino del vagone - rigorosamente non riscaldato - e cercando di recuperare il fiato perso nella corsa che aveva dovuto fare per mantenere il suo proposito si strinse nel pesante giaccone, proteggendosi il volto fin sopra il naso con la sua voluminosa sciarpa di lana. Solamente diversi minuti dopo si rese conto di non essere solo in quella carrozza e che i passeggeri che viaggiavano con lui stavano dando uno strano spettacolo. Rimase ad osservarli per pochi istanti, ma gli furono sufficienti per capire come stava la situazione. Il giovane con i capelli neri aveva recuperato da qualche parte il tipo fuori di testa riportandolo da sua madre e in quel momento il secondo stava costringendo il primo a farsi fotografare insieme dalla donna la quale continuava a ripetere, con un certo orgoglio, che il figlio era un vero artista con la sua inseparabile Polaroid. Ridacchiando nascosto dalla sciarpa, Orwell non poté fare a meno di notare ed invidiare l'infinita pazienza di quel poveretto che, nonostante l'insistente chiacchiericcio di madre e figlio, continuava a sopportare l'allegra famigliola mantenendo completamente la calma. Quando poi per il ragazzo dai capelli neri arrivò il momento di scendere, questo si avvicinò alle porte della carrozza non prima di aver salutato cortesemente i suoi torturatori, augurando loro buon proseguimento di viaggio. Noah rimase talmente stupito da quel modo di fare che quasi si dimenticò di scendere a sua volta. Non riusciva a credere che in una città incasinata come quella ci fossero ancora persone così altruiste; lui stesso, che pure si considerava un ragazzo migliore di tanti altri, se si fosse trovato in una situazione simile non avrebbe resistito tanto. “Ehi tu, aspetta” gridò Orwell all'indirizzo del moro. “Dici a me?” domandò sorpreso questo. “Sì, ho fatto un pezzo di viaggio con te e… Wow, cerchi di vincere la palma d'oro di mister santità?” “Ti riferisci a quei due?” “Già”. “Erano madre e figlio”. “E con questo?” Noah si pentì subito di aver fatto quella domanda ad uno sconosciuto così si affettò a rimediare: “Ah lascia perdere, comunque complimenti amico io al tuo posto li avrei volati dal finestrino”. “Be', visto che la cosa ti ha sconvolto tanto ti lascio questa in ricordo, sinceramente io non so che farmene”. E così dicendo il ragazzo dai capelli corvini infilò la foto che gli aveva regalato il tipo svitato nella tasca del giubbotto di Orwell, andandosene senza aggiungere altro. “Mh, e io cosa dovrei farmene?” borbottò fra sé e sé Noah, rigirandosi fra le mani il pezzetto di carta plastificato, prima di infilarselo distrattamente in tasca assieme alle mani infreddolite e incamminarsi verso casa. Il tempo, gli impegni con il suo lavoro e lo studio fecero dimenticare a Noah lo strano incontro di quella sera. Orwell uscì dal cancello della scuola maledicendo per la milionesima volta il tempo assurdo di Liverpool e di tutta l'Inghilterra. Non era tanto il fatto che il sole pallido di quella mattina lo avesse fatto uscire di casa senza ombrello ad infastidirlo e nemmeno la pioggia scrosciante che in quel momento lo stava infradiciando. Ma l'impotenza nel non riuscire ad accendere anche una sola misera sigaretta, dopo due ore di diritto aziendale, per colpa di quella sotto specie di diluvio universale, lo stava facendo inferocire. Camminando con la sua solita andatura indolente nonostante il temporale, Noah svoltò l'angolo per lasciare la strada principale ed imboccare il vicolo che lo avrebbe condotto più velocemente alla ditta di traslochi dove lavorava. Improvvisamente però, si ritrovò un ragazzino spaurito dagli occhi grandi come fanali di un treno abbarbicato al torace. “Ehi, mi hai preso per un peluche gigante, mollami” borbottò Orwell in direzione del piccoletto. “Per, per favore aiutami” pigolò l'altro senza mollare la presa. Solo allora il ragazzo più alto si accorse dei tipi poco raccomandabili che sopraggiungevano di corsa dalla parte opposta del vicolo. “Oh merda, ci mancava solo questa!” imprecò con rabbia accorgendosi dell'imminente pericolo. Tuttavia non ebbe nemmeno il tempo di scrollarsi di dosso il moccioso e fare dietrofront che i due teppisti lo circondarono e lo aggredirono senza la minima esitazione. I colpi gli arrivavano da ogni direzione confondendolo ancora di più ma, dopo i primi attimi di stordimento, Noah cominciò a difendersi contrattaccando con rabbia crescente i suoi aggressori. Nel frattempo, il biondino che era stato la causa di tutto se ne stava completamente schiacciato contro il muro del palazzo seguendo ogni minima mossa del suo salvatore, sbalordito, nonostante la paura che continuava a serpeggiargli in corpo, che un singolo ragazzo riuscisse a tener testa a quattro balordi da strada. “Allora, ne avete abbastanza?” abbaiò Noah contro i ragazzi stesi per terra, tenendosi stretta la mano destra con l'altra per calmare il doloroso pulsare che i pugni dati avevano inevitabilmente provocato. “Se per te è lo stesso puoi continuare con noi”. Accecato dal furore e dall'adrenalina del combattimento il ragazzo aveva perso di vista tutto ciò che lo circondava e, con esso, anche il gruppetto di sgherri arrivato in un secondo momento. Quando anche il biondo si accorse di loro gridò e schizzò verso la strada principale mentre Orwell, più indietro rispetto a lui, riuscì a fare solo pochi passi prima di essere agguantato dalla seconda banda di giovani malviventi. Questa volta Noah non ebbe alcuna possibilità di difendersi, i pugni e i calci che riusciva a sferrare erano deboli ed imprecisi mentre quelli dei suoi avversari, più freschi e numerosi, andavano tutti quanti dolorosamente a segno sul suo stomaco e sulla sua faccia. “Ehi, le sirene!” gridò diversi minuti dopo uno di loro. “Quel bastardo ha chiamato gli sbirri, filiamocela”. “Non possiamo tornare a mani vuote” li fermò un altro “il Capo si incazzerà a morte”. Per un attimo rimasero tutti immobili a riflettere poi, quasi all'unisono, i loro sguardi si abbassarono sul tipo che avevano frollato come un pezzo di carne da macello. “Merda lo abbiamo ridotto male” constatò uno. “Un po' d'acqua, qualche cerotto e tornerà come nuovo. Aiutatemi a caricarlo in macchina, svelti” ordinò il leader della banda. Noah, che aveva perso i sensi durante il pestaggio, fu afferrato per le braccia e per i piedi e scaraventato nel cofano dell'auto parcheggiata in fondo al vicolo, la quale partì a gran velocità prima che la polizia arrivasse e bloccasse tutta la zona. Orwell aprì a fatica gli occhi, ma non riacquistò propriamente conoscenza. Il dolore, diffuso in tutto il corpo, era così acuto da fargli provare un fastidiosissimo senso di nausea e le percosse subite gli avevano rintronato il cervello, facendolo rimbombare nella sua testa come una campana. Rimase in quello stato confusionale per una ventina di minuti, poi i ricordi cominciarono a mettersi in fila nella sua mente. Rivide l'acqua cadere implacabile, il ragazzino chiedergli aiuto, i teppisti stesi a terra e i loro compagni circondarlo di nuovo, infine l'ultima immagine che si fece largo fra la confusione fu quella dell'asfalto che si avvicinava impietoso mentre cadeva a terra sconfitto. Noah era sicuro di essersi ricordato tutto, di non aver tralasciato niente, allora per quale motivo adesso non si trovava steso in quella strada secondaria ma appeso come un salame in una stanza buia e dall'aria opprimente? Un attimo dopo essersi posto questa domanda, la risposta baluginò fastidiosa fra il caos dei suoi pensieri, facendogli provare un moto di panico. Quei balordi lo avevano rapito portandolo nel loro covo. Gli avevano legato assieme i polsi con spesse corde che gli laceravano impietosamente la pelle e, costringendogli le braccia sopra la testa, lo avevano attaccato ad un grosso gancio arrugginito che pendeva dal soffitto. Respirando a fatica a causa di quella posizione Orwell cercò di voltare la testa per guardasi in giro sfruttando la fioca luce di una lampadina e quello che vide gli fece capire subito dove si trovava. Le pareti erano ricoperte per metà da piastrelle bianche -una volta lucide, adesso rese opache da una patina di vecchiaia e di sporcizia- che proseguivano sul pavimento fino alle griglie di scolo al centro di esso. L'aria, grazie anche alle assi inchiodate sulla stretta finestra posizionata in alto alla sua destra, era decisamente viziata, sapeva di chiuso e grondava dell'odore dolciastro e ferruginoso tipico del sangue rappreso. Noah era certo di trovarsi in un mattatoio e quei bastardi lo avevano appeso come un maiale pronto per… Il ragazzo si rifiutò di continuare con quei pensieri. Un gemito improvviso gli fece voltare la testa verso sinistra e grazie a quel movimento si rese conto di non essere il solo in quella situazione. Accanto a lui, infatti, si trovavano un uomo sulla sessantina ancora svenuto e un giovane poco più grande di lui che aveva appena ripreso i sensi, tossendo debolmente per cercare di riprendere fiato. Il rumore prodotto dal giovane attirò l'attenzione dei tipi fuori dalla stanza che in un attimo si riempì di ragazzi dall'età compresa tra i nove e venti anni, facendo strabuzzare gli occhi di Orwell per la sorpresa. Aveva sentito parlare di un esercito di mocciosi che infestava i bassi fondi della città e delle efferatezze che compivano tutti i giorni per conto dei “grandi”, ma lui non aveva mai creduto pienamente a quelle storie. Certo, i quartieri periferici della metropoli in cui abitava non erano propriamente il paese dei balocchi ed era più che probabile che bambini e ragazzi provenienti da famiglie disastrate cercassero di sopravvivere arrangiandosi come meglio potevano per strada, scippando vecchiette, rubando piccoli supermarket e affari simili, ma trovava impossibile che gente tanto giovane, addirittura bambini, riuscisse a compiere azioni così crudeli e spietate per conto di papponi, mafiosi e uomini potenti corrotti. Le sue elucubrazioni furono interrotte dalla voce di uno dei ragazzi più grandi che, rivolgendosi ad uno decisamente più piccolo, ordinò: “Vai a chiamare Chief, i nostri ospiti si sono svegliati”. Il ragazzetto schizzò mentre un altro dichiarava : “Il vecchio sta ancora dormendo”. “Allora svegliatelo”. “No, lasciatelo...” biascicò a stento il giovane appeso al soffitto con il solo risultato di ricevere una violenta ginocchiata sullo stomaco. “Ti conviene chiudere il becco”. Il capo ed il suo vice entrarono quando anche il povero uomo era stato costretto con la forza ad aprire gli occhi. “Vediamo di fare in fretta, ho un appuntamento con Stokes” ordinò con voce piatta e incolore prima di fermarsi con lo sguardo sul loro ostaggio più giovane, rivolgendo una muta domanda al ragazzo accanto a sé. “Lui non c'entra niente, Chief, te lo spiego dopo” lo informò prontamente l'altro. “Allora cominciamo” dichiarò voltandosi verso le sue vittime “Signor Hadley, sa vero perché lei e suo figlio vi trovate in una situazione simile?” L'uomo più anziano ignorò la domanda e l'ultimo arrivato, un ragazzo dai capelli e dagli occhi neri come la pece, fece un piccolo gesto ad un suo sottoposto, che si mosse subito per colpire con forza il volto del figlio, facendogli uscire sangue dalla bocca e dal naso. “Per l'amor del cielo basta!” gridò l'uomo incredulo. “Bene signore, abbiamo attirato la sua attenzione con questo?” continuò il capo. “Sì”. “Perfetto, allora risponda alla mia domanda per favore”. “Volete… Voi volete che io accetti la protezione di quel bastardo per il mio negozio” sputò con rabbia il povero uomo, nonostante la sua situazione. “Esattamente, allora cosa mi dice?” “Non diventeremo mai schiavi di quella feccia!” Un altro gesto e la gamba destra del figlio produsse un rumore innaturale che andò ad unirsi al grido disperato del giovane. “Mi dica, signor Hadley, è piacevole fare l'eroe sulla pelle di suo figlio?” Orwell, che assisteva impotente a quella scena, era sconvolto da tanta crudeltà e tanto distacco concentrati in un solo individuo e il pensiero che fra pochi minuti quelle stesse attenzioni sarebbero state rivolte a lui lo fece tremare violentemente di puro sgomento. L'uomo piangeva disperato e le lacrime gli sgorgavano senza vergogna dagli occhi, infradiciandogli le guance infossate fino alla bocca mentre invocava pietà verso gli aguzzini che gli stavano davanti e chiedeva perdono al figlio che, sfinito dalla sofferenza, se ne stava immobile al suo fianco con gli occhi chiusi e la testa ciondolante rovesciata all'indietro. “Lo spettacolo che sta offrendo è alquanto patetico signore e c'è solo un modo per farlo cessare. Accetti la nostra proposta” ordinò il moro scandendo bene le ultime parole. In profondo stato di shock l'uomo non riuscì a rispondergli immediatamente, ma l'ennesimo urlo del figlio lo fece risvegliare immediatamente e, sconfitto, sancì in un soffio: “Va bene, avete vinto voi, vi pagherò tutto quello che volete, lo farò fino a dissanguarmi, ma non toccate più mio figlio”. Un altro gesto dello spietato ragazzo e i due uomini precipitarono bruscamente a terra finalmente liberi. “Perfetto, signor Hadley, sapevo che era una persona ragionevole” lo schernì il capo “I miei uomini verranno a riscuotere il primo pagamento la settimana prossima. Si faccia trovare pronto con i soldi senza dire a nessuno della nostra piccola riunione ed io le prometto che lei e la sua famiglia vivrete sereni e tranquilli come angioletti. In caso contrario…” fece una pausa significativa quanto crudele “Riporteremo qui suo figlio e lo utilizzeremo per controllare se i canali di scolo di questa stanza funzionano ancora. Tutto chiaro?” L'uomo, che appena libero si era trascinato dal figlio per sostenerlo ed aiutarlo, si limitò ad annuire con la testa. “Bene. Portateli fuori di qui e lasciateli dietro la stazione di Lime Street” fu l'ultimo ordine del capo prima di guardare l'orologio “Fra un'ora devo essere da Stokes, dov'è il ragazzo che vi ho chiesto di rapire?” “Non c'è” rispose il suo vice. “Cosa?” domandò facendo raggelare la stanza con il suo tono di voce. “Bevis mi ha fatto rapporto, Chief”. “E che è successo?” “I suoi uomini stavano per prenderlo quando si è messo in mezzo quel tipo” il vice indicò l'unico ostaggio rimasto “Ha steso quattro di loro, dando il tempo al nostro obiettivo di scappare, prima di essere sistemato”. “Ok, fin qui ci arrivo, ma quello che proprio non capisco è perché adesso è LUI a trovarsi qui e non il NOSTRO ragazzo?” “Perché mentre lo pestavano l'obiettivo ha chiamato la polizia, i nostri uomini sono dovuti scappare ma per non tornare a mani vuote hanno preso lui”. Il capo chiuse gli occhi trattenendo un fremito e i ragazzi ancora presenti, compreso Bevis, fecero un passo indietro. “Hanno preso lui come sostituto?” domandò con un tono orribilmente calmo. “Esatto”. Il moro si avvicinò lentamente a Noah il quale chiuse un istante gli occhi per raccogliere tutto il coraggio e sostenere l'attenta analisi di quel folle. “Bevis?” “Agli ordini Chief” scattò immediatamente il sottoposto, raggiungendolo. “Conosci il significato del termine efebico?” “S… Sì Capo” rispose decisamente agitato. “E questo tipo ti sembra efebico?” Bevis lanciò un'occhiata all'ostaggio che penzolava dal soffitto nella vana speranza che in quella manciata di minuti il suo corpo magro, non particolarmente muscoloso, ma comunque tonico ed evidentemente allenato dal ripetersi di un'attività faticosa, fosse diventato armonioso e delicato come quello di un bambino e che le ferite infertegli in quel vicolo - che inutilmente i suoi uomini avevano tentato di curare una volta giunti lì - fossero miracolosamente scomparse. Ma quando tutto ciò non accadde rispose con un 'no' decisamente stentato. Orwell nel frattempo restava immobile e in silenzio, senza la minima idea di quello che gli sarebbe successo alla fine di quella pantomima, mentre una rabbia incontrollata cominciava ad invaderlo con forza sempre crescente.Era finito in quella situazione di merda per colpa di un deficiente. “E vogliamo parlare di questi?” continuò imperterrito il capo, affondando una mano fra i corti capelli di Noah, strattonandoli con forza. “Di che colore sono questi capelli, Bevis?” “C… castani”. “Oh bene, allora non sei daltonico, conosci la differenza tra biondo e castano”. “Mi dispiace Chef” piagnucolò alla fine il ragazzo “eravamo alle strette, gli sbirri stavano per arrivare, dovevamo agire in fretta”. “E così avete preso lui?” “Era l'unica soluzione possibile!” “No, l'unica soluzione possibile era eseguire i miei ordini. Portarmi uno sconosciuto con la faccia così pesta da non riuscire nemmeno a vedergli gli occhi, rinchiudendolo oltretutto assieme agli altri, è stato solo un grosso sbaglio”. “Ma…Aaah”. Bevis fu definitivamente tacitato dal capo il quale lo colpì in pieno volto con un calcio che, scaraventandolo contro il cerchio di uomini dietro a lui, gli ridusse il naso ad una poltiglia sanguinolenta. “Che facciamo adesso Chief?” domandò il vice mentre gli altri portavano via il malcapitato. “Non ci resta che scegliere fra quelli che battono per noi. Chiedi a Flash di darti quello più giovane ed esile, digli di vestirlo come un ragazzino per bene e di tingergli i capelli se non è biondo, tanto quel porco non si renderà conto della differenza”. “Va bene. E di lui che ne facciamo?” Il capo alzò lo sguardo sul prigioniero e, senza il minimo cenno d'interesse nella voce, stabilì: “Slegatelo e dategli una ripulita”. “Non dovremmo sbarazzarcene? Ha visto troppe cose” consigliò il vice. “Domani ci penserà King. Se non sbaglio ci sarà l'Incontro” rispose il capo. “Giusto! King sarà contento di massacrare qualcuno senza doversi controllare” esultò uno dei ragazzi rimasti. “Non sembra, ma è sempre molto dispiaciuto quando deve combattere contro un compagno” lo assecondò un altro. “Avete sentito il capo?” intervenne il vice “Tiratelo giù e fate quello che ha ordinato, non perdete altro tempo”. I sottoposti si mossero veloci: uno di loro raggiunse la pulsantiera vicino alla porta e, premendo un grosso pulsante verde, fece calare il gancio e con esso il prigioniero che vi era appeso finché non toccò con i piedi il pavimento, mentre gli altri lo circondarono per staccarlo dalle catene rugginose dell'argano, tenendolo sotto controllo per impedirgli qualsiasi iniziativa. Più volte Noah fu tentato di chiedere spiegazioni. Voleva sapere chi diavolo fosse King e cosa era l'Incontro, ma parlare di fronte a quel tipo inquietante non era sicuramente un'idea intelligente, quindi si lasciò condurre fuori dal mattatoio senza nemmeno respirare. L'Incontro era l'evento più atteso da tutti i ragazzi che componevano quella numerosa banda e si svolgeva una volta al mese in una delle tante sedi dislocate nella parte est della città. La sala comune -l'intero piano di un palazzo fatiscente- si trasformava per l'occasione in una vera e propria arena e si riempiva di giovani, poco più che bambini, esaltati da litri e litri di birra, dall'adrenalina dei combattimenti all'ultimo sangue e dalle scommesse urlate sopra il pandemonio che faceva tremare la vecchia costruzione fin quasi alle fondamenta. Il braccio destro del capo raggiunse l'ultimo piano dell'edificio e senza stupirsi di trovarlo completamente deserto, entrò nell'ufficio del suo superiore evitando di bussare, come accadeva ogni volta che c'era un'emergenza. “Che sta succedendo?” “Forse è meglio che tu venga a dare un'occhiata al piano di sotto, Chief”. “Perché?” “Il bamboccio di ieri ha messo al tappeto King e adesso si sta scontrando con Nash”. Senza aggiungere altro il ragazzo si alzò e seguì il suo vice al piano inferiore. Quando entrò nell'enorme stanza notò che il solito vociare incontrollato era inverosimilmente rimpiazzato da un brusio soffuso, carico di sconcerto e fastidio. L'uccellino che avevano tolto dalla gabbia per assumere il ruolo di vittima sacrificale si stava rifiutato di recitare diligentemente la sua parte, mandando all'aria tutte le scommesse più sicure. “Da non credere, sta mettendo fuori gioco anche Nash. Se continua così dovrà intervenire uno dei Gemelli”. Il capo non fece nessun commento, rimase perso nei propri pensieri con lo sguardo piantato sul prigioniero mentre colpiva con una serie di montanti lo stomaco del suo uomo. “Prestami il tuo serramanico” impose al suo luogotenente, che obbedì nonostante la perplessità suscitata da quell'ordine. “Nash!” attirò l'attenzione del sottoposto. “Prova con questo” continuò lanciandogli l'arma. “Grazie Chef!” Il mormorio si fece più intenso e il ghigno soddisfatto di Nash fu ricambiato con una smorfia di disgusto misto a panico da Orwel. Era ferito ed esausto, la faccia e lo stomaco gli pulsavano ferocemente a causa dei pugni ricevuti e quello svantaggio improvviso aveva definitivamente fiaccato la sua capacità di concentrazione, portandolo ad arretrare fino a raggiungere la cerchia di uomini che delimitavano l'area del combattimento. Fu il suo primo e gravissimo errore. Senza nessuno scrupolo gli spettatori lo scagliarono contro l'avversario che, andandogli a sua volta incontro, gli piantò il coltello in un fianco. “Principiante” commentò il capo senza inflessioni particolari. “Ha parato il colpo troppo in alto e con indecisione. Al nostro uccellino è bastata la sua cassa toracica per non crepare” ammise il vice “Adesso che facciamo, gli ordiniamo di finirlo a sangue freddo?”. Nash, intanto, osservava il corpo sfinito disteso ai suoi piedi mentre tutti gli altri facevano una baraonda infernale intorno a lui che, ansimante ed incredulo, dall'alto dei suoi diciassette anni non aveva mai visto tanto sangue ricoprire una persona. “É più sconvolto del tipo là per terra” constatò Chef. “E allora dobbiamo far intervenire Chuck”. “No”. “Lo vuoi lasciare andare?!” “No, guardandolo mi è venuto in mente una soluzione alternativa. Portalo via da là e curalo come meglio puoi. Lo voglio sveglio il prima possibile quindi occupatene tu”. Noah si svegliò il giorno seguente scosso da violenti brividi di freddo. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse e, come era continuamente accaduto nelle ultime ore, sentiva un dolore acuto martellargli in testa e nel resto del corpo. “Maledizione” imprecò debolmente, strattonando le braccia ammanettate sopra la propria testa. Era disteso in un sudicio materasso posizionato direttamente sul pavimento, così nodoso da sembrare imbottito di sassi; i polsi erano ancorati ad un moncone di ferro che sbucava dalla parete e che in tempi migliori aveva costituito la tubatura del riscaldamento; e a coprirlo, nonostante il gelo della piccola stanza, c'erano solamente un paio di pantaloni ridotti quasi a brandelli e le fasciature che avvolgevano il suo torace ferito. “Merda, merda, merda!” continuò ad agitarsi senza ottenere nient'altro che un pesante fiatone. “Se fossi in te mi darei una calmata” consigliò una voce perentoria, della quale non riuscì a vedere il proprietario. “Che sta succedendo?” domandò Noah senza preoccuparsi di schiarirsi la gola rimasta muta per ore. “Perché non mi avete fatto fuori?” “Sinceramente non lo so. Chief è un tipo strano, ma adesso ce lo spiegherà” dichiarò prendendo il cellulare. “Sono Ross, si è svegliato. Bene”. Il capo entrò nell'ufficio del vice dove era stato provvisoriamente ricoverato il prigioniero pochi minuti dopo la fine dell'incontro. “Ottimo lavoro Ross” commentò soddisfatto della rapidità con cui si era ripreso. “Le ferite non erano gravi”. “Bene” affermò il moro squadrando il ragazzo alla sua mercé “Però guardalo, sta tremando come un cucciolo e non penso si tratti di paura”. “Cosa?” “Sai, ha messo in difficoltà la banda di Bevis e ha quasi fatto fuori due dei nostri uomini migliori. Potrebbe tornarci comodo in qualche modo e sarebbe davvero seccante se adesso morisse di freddo”. “Oh cazzo, non c'ho proprio pensato” disse il vice, chiamando subito uno dei suoi uomini affinché gli procurasse qualcosa di pesante con cui coprire il prigioniero. Il capo aspettò l'arrivo della coperta dopodiché iniziò il suo interrogatorio. “Come ti chiami?” Orwel rimase in silenzio. “Hai sentito il Capo?” abbaiò il vice. “No, i vostri bimbetti mi hanno picchiato così tanto da farmi diventare sordo”. Noah maledì immediatamente la sua vena sarcastica: non poteva essere masochista a tal punto da uscire fuori in un momento simile, gli era stato ampiamente dimostrato che quelli davanti a lui erano tipi che non scherzavano. Dalla gola del capo sgorgò tuttavia una risata forzata. “È anche spiritoso!” “Mh” mugolò il vice poco convinto. “Come ti chiami?” ripeté il ragazzo dagli occhi neri come il carbone. “Noah Orwel” rispose, sapendo che sarebbe stato inutile e svantaggioso continuare a restare in silenzio. “Bene, Noah, che cosa sai fare oltre che scherzare e fare a pugni?” “Niente” continuò a rispondere a quell'interrogatorio, tenendo gli occhi ammaccati aperti a fatica. “Niente?! Dovrai fare pur qualcosa, tutti lo fanno”. “Non faccio niente che a te possa interessare”. Nello sguardo del capo luccicò un lampo di fastidio che attirò subito l'attenzione del vice. “Vuoi che lo ridimensioni, Chief?” “No, per il momento no, è interessante parlare con lui”. Noah chiuse gli occhi e cercò di recuperare la calma: non poteva permettersi di fare arrabbiare quel tipo, oltretutto, agitandosi non sarebbe più riuscito a controllare il dolore feroce che gli serpeggiava lungo il fianco ferito. “Non costringermi a farlo intervenire Noah” gli consigliò l'altro, mantenendo sempre un'imperturbabilità che sapeva di follia “Sei già messo male, non sopravvivresti”. “Dimmi cosa vuoi” lo sfidò ancora una volta Orwel. “Voglio che tu lavori per me”. “Ho già un lavoro”. “Non importa, lo lascerai” sentenziò il moro. Inutile, sapeva che era contro ogni regola del buon senso, ma quel tipo aveva il potere di farlo infuriare più che spaventarlo. “Io non vado in giro ad ammazzare la gente” sibilò Noah, proseguendo seppur a fatica “Non sarò l'uomo a cui chiederai di riscuotere il pagamento di quel povero vecchio. Non mi costringerai a vendere il culo sotto la protezione di Flash o a fare qualunque altra cosa per compiacere Stokes e tutti gli altri tirapiedi della mafia per farti fare carriera. Sono stato chiaro, Chief?” Il calcio che arrivò al suo stomaco, sebbene attutito dalla coperta, fu così forte che gli risucchiò tutto il fiato dai polmoni e gli fece tossire un fiotto di sangue misto a saliva. “Ross, se non sbaglio cinque minuti fa ti ho detto che lo voglio vivo” ordinò il capo, ammonendo il suo vice con lo sguardo. “Ma”. “Esci di qui”. “Agli ordini”. Il robusto ragazzo con i capelli rasati non aggiunse altro e lasciò immediatamente la stanza. “Vai a scuola Noah?” Orwel rimase spiazzato da quella domanda così decise ancora una volta di non rispondere. “Sei un tipo piuttosto sveglio, si vede che sei abituato ad usare il cervello”. “Se fosse così adesso non mi troverei in questa situazione”. Il moro annuì. “Effettivamente non è stato molto furbo da parte tua intrometterti”. “Non mi sono intromesso, quel moccioso è sbucato fuori proprio mentre svoltavo in quel vicolo e i tuoi stupidi uomini mi sono saltati addosso come cani in calore” ringhiò l'altro. “E pensare che se mi avessero scansato, adesso io sarei tranquillo con la mia vita e tu avresti avuto il tuo pacco regalo per quel maiale”. “Dove studi Noah?” tornò alla carica il capo. “Alla Hartington High School”. “Di sicuro non sei un figlio di papà, il che significa che sei un secchione e la cosa, scusa se te lo dico, mi lascia decisamente sorpreso”. “Oh non dire così, amico mio, mi spezzi il cuore. Smettila con questa pagliacciata! Perché non mi torturi come hai fatto con quei poveri cristi?” gli urlò contro Orwel innervosito fino all'inverosimile. “Sta calmo, voglio solo trovare un compromesso fra me e te”. “Perché?” “Al mio fianco ho bisogno anche di uomini intelligenti, non solo di scimmioni spacca ossa. Non so, ma ho la sensazione che sarebbe uno spreco farti fuori senza darti una possibilità”. Noah restò in silenzio ed il capo ne approfittò per fargli una altra domanda: “Che lavoro fai?” “Lavoro in una ditta di traslochi”. Le labbra del ragazzo libero si stesero in un altro sorriso di pietra prima di porre l'ultima domanda: “Hai la patente?” “Certo”. “Perfetto, allora è deciso”. “Ehi, aspetta un attimo, cosa è deciso?” “Mi farai da autista e da guardia del corpo”. “Io non…” “Adesso ascoltami bene, Noah, perché ti sto per dire le uniche due possibilità che hai. La prima è quella di accettare la mia offerta di lavoro, la seconda è quella di rifiutare e morire maciullato dai colpi dei nostri Gemelli. Scegli!” “Se accetto la tua proposta potrò continuare ad andare a scuola?” “È probabile”. “D'accordo”. Orwel accettò senza esitare oltre poiché farlo sarebbe equivalso ad un suicidio. Per una non ben precisata grazia divina stava simpatico a quel pazzo furioso e a lui non restava altro da fare che approfittarne. “Perfetto. Allora è il caso che anch'io mi presenti. Tutti mi chiamano Chief ma il mio nome è Andrew Godwin. Benvenuto nel mio mondo” lo salutò con lo stesso ghigno di un clown crudele che saluta il bambino di turno protagonista di un film dell'orrore “Adesso devo andare, ma non temere, i miei uomini si occuperanno di te e ti terranno compagnia finché non sarai tornato come nuovo. Ci vediamo Noah Orwel”. Orwel aveva trascorso l'ultima settimana in una stanza angusta e sudicia, con la sola compagnia di qualche blatta e di un topo che di notte usciva timidamente dalla sua tana per rubargli gli avanzi dei sandwich stantii che le sue guardie gli concedevano, ma che lui non aveva la forza di finire. Era pomeriggio inoltrato quando qualcuno lo svegliò scuotendolo bruscamente. “Alzati muoviti”. “Che succede?” domandò, rallentato nei movimenti a causa del torpore. “Ross ti sta aspettando fuori di qui, sbrigati”. Evitando di fare commenti e domande inutile Noah eseguì l'ordine che gli era stato impartito. “Finalmente ti sei deciso ad uscire, uccellino” lo accolse il vice palesemente alterato. “Wow, ha addirittura mandato il vice a farmi da scorta, devo ritenerlo un complimento?” “Ci puoi scommettere” ringhiò l'altro palesemente alterato da quella situazione “Muoviti, Chef ti sta aspettando”. Il viaggio in auto fu caratterizzato da un lungo silenzio, Noah non aveva niente da dire a quello scimmione calvo e restò a lungo con lo sguardo concentrato fuori dal finestrino per imprimersi bene nella memoria le strade che avevano imboccato e che lo avrebbero portato dal suo nuovo datore di lavoro. “Che hai da guardare?” sbottò tuttavia dopo l'ennesima occhiata che gli rivolgeva il vice. “Niente, mi domandavo come diavolo hanno fatto gli uomini di Bevis a perdere contro uno come te”. “Non so, sfortuna, qualche pugno, un po' di calci” lo sfotté Noah. “Non prendermi per il culo, uccellino, con me non ti conviene”. Orwell si morse il labbro inferiore e non rispose alla provocazione. L'interminabile viaggio si concluse, finalmente, ma Noah era ugualmente turbato dalla spiacevole sensazione di non sapere dove si trovasse. Aveva seguito con facilità il percorso fatto prima di Lime Street ma, oltrepassata la stazione, Ross aveva preso una serie di vicoli labirintici e sconosciuti, facendogli perdere completamente l'orientamento. L'unica cosa di cui era certo era quella di trovarsi in uno dei quartieri più degradati e pericolosi di Liverpool. “Accogliente vero?” lo prese in giro il bestione, riferendosi al palazzo fatiscente che, una volta scesi dall'automobile, si ritrovarono di fronte. E questa volta Noah non dovette sforzarsi molto per non rispondere. Stentava a credere che esistesse qualcuno così coraggioso da entrare là dentro. Quello che aveva di fronte era un edificio di sette piani schiacciato sulla strada e soffocato da costruzioni più imponenti e meno trascurate. L'intonaco rossiccio che lo rivestiva era ormai del tutto incrostato da una patina di inquinamento ed in alcuni punti si aprivano profonde crepe che facevano intravedere i mattoni che ne costituivano l'ossatura. I vetri delle finestre, piccole e strette come feritoie, erano quasi tutti rotti o completamente divelti dai loro alloggiamenti e le pareti del piano terra erano ricoperte da orribili scarabocchi che solo una persona con un grande senso dell'umorismo avrebbe potuto definire murales. Senza nemmeno ordinargli di seguirlo, il vice si diresse verso l'entrata e allorché la trovò occupata da un tossico, seduto sui gradini con la testa priva di vita appoggiata alla ringhiera, gridò prendendolo a pedate senza troppi problemi. “Via, levati dai piedi!” e sbottò subito dopo: “Tsè, tossici del cazzo, sono più ingombranti di un San Bernardo di dieci anni”. La situazione dentro all'edificio non era di certo migliore: c'erano ragazzi sparsi un po' ovunque, in tutti i primi sei piani, intenti nelle più svariate attività. Molti bevevano e fumavano stesi in sudici materassi rattoppati, alcuni si divertivano ad imbrattare le pareti già piene di graffiti, scarabocchi e scritte oscene, altri litigavano, altri ancora si divertivano a tirare calci ad una vecchia lattina di birra. Il caos era soverchiante, soprattutto per Noah che non era abituato a tanta gente malsana riunita in uno stesso luogo. “Che cosa fanno tutti questi tipi?” domandò al vice che, pur notando la debolezza di Noah dopo il ricovero ed il suo fiatone, continuava a salire imperterrito i piani di quella bolgia infernale. “Aspettano ordini dal capo. Se riescono a portare a termine l'incarico ricevono una ricompensa, ma ovviamente non c'è mai lavoro per tutti”. “Ma allora di che campano?” “Non ne ho la minima idea e sinceramente non me ne frega un accidente” rispose Ross asciutto come al solito. “Siamo arrivati” annunciò bussando un paio di volte alla pesante porta. Il ragazzo di guardia aprì solo dopo essersi accertato dell'identità del visitatore, salutando con un cenno della testa il suo superiore. “Chief vi sta aspettando, è nel suo ufficio”. “Bene”. Il settimo piano, quello in cui avevano appena messo piede, era pervaso da tutt'altra atmosfera. Il silenzio era quasi assoluto, come se tutto l'ambiente fosse insonorizzato, e ogni stanza, al contrario di quelle ai livelli inferiori, era chiusa da una porta dotata di robusta serratura. In giro c'era pochissima gente che sembrava sapere perfettamente cosa stesse facendo e agire con la massima serietà. “Capo sono io, ti ho portato il ragazzo” lo avvisò Ross picchiando il pugno contro la porta. “Entra”. Il tipo dalla testa rasata spinse Noah ad entrare, imitandolo subito dopo. “Ben fatto Ross, adesso puoi lasciarci soli”. “Come vuoi, sono di là” rispose prima di andarsene. Godwin lasciò il tempo al nuovo arrivato di guardarsi intorno ed osservare l'arredamento spoglio ma efficiente di quella stanza. C'erano semplicemente una scrivania piuttosto vecchia, un paio di sedie malconce, un divano letto e un portatile ultima generazione che fece sgranare gli occhi increduli di Orwell. “Cos'è che ti rende tanto sorpreso?” lo interrogò il capo. “Che se ne fa uno come te di un giocattolo simile?” “Ah questo? Ci lavoro” rispose il moro senza approfondire troppo la questione. “Siediti, Noah, abbiamo molto da discutere” esortò invece l'altro, indicando il divano dietro di lui “Vuoi qualcosa da bere, hai già mangiato?” “Sto bene così” dichiarò deciso il ragazzo dai capelli più chiari, sedendosi sui cuscini del sofà. Prendendo una delle sedie vicino alla scrivania, il capo la girò, la trascinò fino al divano e si sedette a sua volta con le braccia piegate e appoggiate comodamente alla spalliera, rimanendo in silenzio per diversi istanti ad osservare il suo ospite. “Allora, Andrew” lo sfotté, pronunciando il suo nome come l'altro faceva con il suo “non dovevi dirmi tante cose? Perché adesso te ne stai muto come un pesce a fissarmi?” Godwin intuì il nervosismo del ragazzo e le sue labbra si piegarono in un sorriso di superiorità: adorava incutere soggezione nella gente. “Pensavo al povero Bevis. Dopotutto non avrei dovuto colpirlo così forte”. “Che stai dicendo?” “Be', guardandoti adesso, con la faccia sgonfia e le ferite guarite, posso capire il suo abbaglio”. “Mi stai dicendo che somiglio a quel moccioso biondo?” ringhiò Noah senza riuscire a trattenersi. “No, ma infondo non sei poi così male come avevo pensato” confessò, scrutandolo fin nel profondo con il suo sguardo più tagliente “E poi, hai gli occhi nocciola, potrebbero piacere a molte persone”. “Cosa stai cercando di dirmi?” “É semplice, Noah, vedi di fare sempre quello che ti dico altrimenti ti spedisco a Victoria Street da Flash, lì ci sono un sacco di gay bar e lui saprà sicuramente come sfruttarti”. “Tsè”. “Cosa?” Fu la volta di Godwin domandare. “Se pensi che diventerò come uno di quegli sciacalli di sotto sei più matto di quello che pensavo” parlò con sicurezza Orwell “E poi te l' ho già detto, certe cose non le farò mai, quindi sbattimi dove ti pare, riuscirò comunque a scappare in qualche modo”. Ancora una volta il moro si fermò ad osservarlo incuriosito, quel ragazzo si innervosiva come un bimbetto se qualcuno lo osservava o faceva apprezzamenti sul suo corpo, ma diventava improvvisamente sicuro e risoluto quando riceveva minacce. Era strano e per questo motivo la cosa lo intrigava. “Ne sei convinto?” L'altro non rispose nemmeno alla provocazione, quasi che la questione non lo interessasse. “Va bene ti credo” annunciò il moro, scostandosi un po' dallo schienale della sedia per assumere una postura più eretta “Ma cerca di non sottovalutarmi, sarebbe un errore piuttosto stupido da parte tua”. “Grazie per il consiglio”. “Ok, adesso veniamo a noi” si decise finalmente Godwin “La tua scuola si trova in Hartington Road, giusto?” “Nh”. “È troppo lontana” dichiarò il capo, spiegando subito dopo “È lontano dalla mia, dal posto in cui vivo e in cui vivrai tu. Impiegheresti troppo tempo per raggiungermi quando ti chiamo, per cui dovrai trasferirti alla St. Sebastian”. Malgrado la sua mente pronta Noah era rimasto indietro, avendo ricevuto tutte assieme troppe informazioni che avrebbero stravolto la sua vita. “Mi stai dicendo che, oltre a cambiare scuola, dovrò pure cambiare casa?” “Esattamente” confermò l'altro “Ti trasferirai in un appartamento vicino a casa mia, ho già preso contatto con il proprietario”. “E dove abiteresti?” “In Park Lane”. Noah fece una risata sarcastica e piegò indietro la testa. “Oddio, tu sei tutto matto, dico davvero, sei completamente fuori” mormorò continuando a ridere, per niente divertito “Come cazzo pensi che possa pagare l'affitto di un appartamento situato in una zona così ricca?” “Tranquillo Noah, il tuo stipendio coprirà tutte le spese, tu devi solo pensare a lavorare bene per il sottoscritto”. “Non mi faranno mai entrare alla St. Sebastian, non sono cattolico e…” “Che ingenuo” lo prese in giro ostentando la sua superiorità e la sua maggior esperienza in quel mondo “Pensi davvero che al preside Glover interessi il tuo orientamento religioso? Basterà un bel regalino, magari consegnato da una delle nostre ragazze, e lui ti spalancherà le porte del suo liceo srotolando pure un bel tappeto rosso”. “Se penso che la St. Sebastian è pure più prestigiosa della Hartington mi viene il voltastomaco” espresse disgustato il suo parere al riguardo “Bene, a quanto vedo hai pensato a tutto e immagino che ti sarai informato sul mio conto prima di mettermi il guinzaglio al collo”. “Noah Orwell, diciotto anni, orfano di madre e di padre, entrambi deceduti quindici anni fa a causa di un incendio scoppiato misteriosamente nel vostro appartamento, dove ha perso la vita anche tuo fratello maggiore” prese ad elencare Godwin “Sei cresciuto con la nonna materna fino all'anno scorso, quando anche lei è morta di infarto, attualmente risiedi in Wordsworth Street, mantenendoti con il tuo lavoro nella piccola impresa del signor Jacobs. Praticamente un modello di virtù, impegno e dedizione!” “Buttato nel cesso da uno stronzo con manie di grandezza e un cartello con su scritto 'torno subito' al posto della coscienza” continuò sinceramente amareggiato il ragazzo dagli occhi screziati d'oro “Tu mi hai chiesto di non sottovalutarti, ed io non lo farò. Ho dei principi, ma non voglio morire. Però ti giuro che te la farò pagare cara per avermi trascinato in questa merda, non te lo scordare mai, Godwin, anche quando ti sembrerà di avermi coinvolto completamente”. Il capo non disse niente, rimase in silenzio ad osservare il ragazzo che aveva davanti e il suo sguardo pericolosamente sincero e, per la prima volta dopo molto tempo, provò rispetto e una punta di autentica ammirazione per un'altra persona. La cosa lo fece irritare terribilmente. “Prima che tu sia riuscito anche solamente a ricordare questa minaccia ti ritroverai sotto un metro di terra” lo sfidò a sua volta e i suoi occhi, notevolmente più abituati, si trasformarono in due fessure orribili e vacue, che per un attimo obbligarono la mano di Orwell a stringere irrazionalmente il bracciolo del divano. “Bene” esclamò soddisfatto Godwin conscio della reazione di Noah “Dopo questa promessa di eterno amore possiamo pure ritenere chiusa la riunione. Fra meno di quaranta minuti hai l'appuntamento per firmare il contratto d'affitto della tua nuova casa, è meglio che ti sbrighi”. “Dove dovrei incontrarlo?” “Vai da Ross, sa già tutto”. Orwell uscì dall'ufficio del capo e, appoggiandosi con le spalle alla porta chiusa, emise un profondo sospiro di sollievo. Cielo, quegli occhi! Un secondo di più fissi sui suoi e, ne era sicuro, sarebbe morto, la sua anima sarebbe stata strappata dal suo corpo e sarebbe precipitata dritto all'inferno tramite quelle fessure di nulla assoluto. “Sei uscito vivo, è già qualcosa”. Ripensando allo spavento provato, il ragazzo non si era accorto dell'avvicinarsi di Ross. “Mh” si lamentò non propriamente convinto, ringhiando successivamente “Ti è tornato improvvisamente il buonumore, bastardo?” Il vice ridacchiò soddisfatto senza rispondere, esortandolo semplicemente: “Andiamo, non dobbiamo fare tardi all'appuntamento”. Quando furono di nuovo fuori Ross lanciò le chiavi all'altro, indicandogli con un cenno il lato destro della propria macchina. “E questo che significa?” domando sorpreso Noah. “Prendilo come un secondo esame di guida”. “Ho capito ma cosa dovrei fare? Non so dove siamo e non so dove dovremmo andare, come…” “Vedi di ficcarti il nome di ogni strada in quella testa, uccellino, al capo non piace perdere tempo ed io non verrò di certo a recuperarti tutte le volte che ti perderai” gli consigliò scontroso Ross “In ogni caso ci troviamo in Albany Road, ad est di Lime Station, spero che almeno questo tu l'abbia capito” continuò a provocarlo senza per altro ottenere particolari reazioni da parte di Noah. Il ragazzo, infatti, aspettò che il vice avesse terminato la sua predica, dopodiché mise in moto e cominciò a spostarsi con sicurezza per le vie transitate della città. “Mh, vedo che continui a prendermi per il culo” sbuffò il ragazzo più robusto scendendo dall'auto una volta arrivati. “Io ti ho chiesto semplicemente dove eravamo, sei tu che hai cominciato a farti voli mentali sulla mia incapacità” replicò soddisfatto Orwell, spiegando subito dopo “Ho fatto traslochi in ogni zona di questa città e la mia memoria è piuttosto fotografica”. “Allora perché mi hai chiesto dove stavamo, genio?” “Perché in un quartiere tanto pidocchioso, dove per traslocare basta un sacchetto della spesa, non ci avevo mai messo piede”. “Sappi che i saputelli me li mangio a colazione” borbottò Ross più divertito che arrabbiato: stava cominciando a capire perché il capo aveva messo gli occhi su quel tipo. Noah non disse niente e, limitandosi ad un accenno di sorriso mentre chiudeva lo sportello, seguì la sua guida all'interno dell'elegante palazzo che ben presto sarebbe diventato la sua casa. I giorni che seguirono furono occupati da Noah a mettere in atto tutti i cambiamenti che dì lì a poco avrebbero rivoluzionato la sua vita. Portando pochi effetti personali dalla vecchia abitazione, traslocò nel nuovo appartamento in Park Lane già abbondantemente ammobiliato e senza troppi problemi, proprio come aveva previsto Godwin, si trasferì nella nuova scuola. Infine lasciò il suo lavoro, salutando con un po' di difficoltà il signor Jacobs ed i suoi vecchi colleghi che lo riempirono di domande alle quali dovette rispondere accampando una scusa dietro l'altra. “Allora è tutto sistemato, Noah?” domandò il capo, seduto sul grosso davanzale del suo ufficio. “Sì”. “Che ti avevo detto, non è stato difficile”. “Risparmiami, ok?” “Poveretto, sei triste perché ti mancano i vecchi amici” lo prese in giro il moro “Ma guarda che qui potrai fartene quanti ne vuoi” lo consolò come se fosse stato un moccioso di sei anni. “Dimmi cosa devo fare” tagliò corto l'altro. “Per me niente al momento. Vai da Ross e fai tutto quello che ti dice di fare”. “Cosa?” domandò spiazzato Orwell. “Deve spiegarti un paio di meccanismi che ti saranno utili per capire come funzionano le cose da questa parte del mondo” asserì Andrew con lo sguardo scuro fisso fuori dalla finestra “Tornerai da me solo quando il mio vice mi dirà che sei pronto. Così non mi servi a niente”. Sicuro che il capo non avrebbe aggiunto altro, Noah uscì dalla stanza con un certo sollievo: per un po' non avrebbe più avuto a che fare con quel pazzo e, dopo tutto, la compagnia di Ross non lo disturbava più di tanto. Era irascibile e scontroso, ma il suo sguardo era spontaneo, non aveva nulla di artefatto e rispecchiava la sua mente pronta e pratica che a Orwell non dispiaceva affatto. Andando in giro con lui scoprì in pochissimo tempo quelle che erano le principali attività illecite che la banda di Godwin realizzava per conto dei boss più potenti. Fornire ragazzi e ragazze per il traffico della prostituzione e riscuotere il pizzo, terrorizzando i poveri commercianti dei quartieri più disagiati -e non solo-, non erano le uniche mansioni che svolgevano. Le organizzazioni criminali, infatti, erano solite usare i più giovani, maggiormente tutelati dalla legge per via della loro età, soprattutto per lo spaccio di droghe leggere nelle discoteche, nei luoghi di ritrovo, arrivando addirittura fin dentro le scuole. Andrew Godwin era dunque segretamente a capo di una delle più grandi baby-gang, come amavano definirle i giornali, di Liverpool. Sotto di lui militavano oltre centotrenta ragazzi, dai dieci ai vent'anni, disposti a qualunque cosa per eseguire un suo ordine e far carriera con lui nel mondo della malavita. Contrario a questo genere di cose, Andrew non aveva dato nessun nome alla sua banda, ma i membri delle altre chiamavano lui Black Doll per il suo sguardo vuoto ed i suoi uomini Bloody Puppets o più spregevolmente Mad Puppets per la loro ferocia. I grandi capi avevano assegnato a Godwin il controllo di Kensington e tutto l'eastside mentre a Scott Farrell, il suo rivale più accanito nella lotta al potere, avevano affidato Vauxhall, Everton e tutta la parte nord della città. Il sud, invece, in mano ai cinesi, e l'ovest, sede dei Docks -dichiarati addirittura patrimonio dell'umanità dall'Unesco- erano rimasti relativamente indipendenti dalla loro rete d'azione. Oltre ad istruire il nuovo arrivato sulla situazione generale che riguardava il loro territorio e quello delle altre gang, Ross lo allenava ogni giorno nella lotta e nell'uso di alcune armi indispensabili per la sopravvivenza. “Bene, ti piace tanto comportarti da bravo bambino, ma vedo che te la cavi bene sia con il coltello sia con il tirapugni” Fu il velato complimento del vice alla fine di una sessione d'allenamento “Chi ti ha insegnato a combattere così?” “Il mio angelo custode” rispose Noah abbozzando un ghigno divertito. “Cioè?” “Mi sorprendi Ross, non sai cos'è un angelo custode?” lo sfotté apertamente “Eppure c'è chi sostiene che tutti possono avercelo, anche quelli grossi e bastardi come te”. “Un giorno o l'altro te la farò ingoiare quella maledetta lingua, accompagnata da tutti i denti” ringhiò il vice inevitabilmente alterato, sbattendo con noncuranza una pistola sul petto dell'altro. “Cosa dovrei farci con questa?” domandò Orwell, incupendosi all'istante. “Ti servirà per accendere le sigarette”. “Gli altri non ce l'hanno perché io…” “Gli altri sono cialtroni senza cervello, con un affare simile combinerebbero altro che guai e già ne creano tanti con quello che riescono a trovare da soli” gli spiegò con più serietà “Ma tu diventerai l'ombra del Capo e dovrai essere pronto ad ogni evenienza”. Noah soppesò l'arma automatica che aveva in mano e, quasi soprappensiero, mormorò: “Ma chi gli dice che non la userò contro di lui la prima volta che resteremo da soli? Come cazzo fa a fidarsi di me?” Fece una pausa ma continuò subito dopo: “Io non sono come voi, non mi interessa far carriera in quello schifo e odio questa situazione con tutte le mie forze, quindi non capisco…” “Capirai presto Orwell” gli assicurò Ross con un tono pericolosamente greve e, senza lasciargli spazio per altre domande, ordinò “Adesso torna ad allenarti”. Noah, finalmente libero da Ross, si accese una sigaretta e cominciò a scendere le scale lentamente, strizzando gli occhi per vedere meglio attraverso la luce fioca delle lampadine sudice che penzolavano irregolarmente dal soffitto. Era sabato sera e il palazzo era deserto, erano quasi tutti al lavoro, ad impestare cioè le discoteche e i locali dei dintorni con la loro presenza diventata ormai sinonimo di droga per i clienti abituali. Gli unici rimasti erano già strafatti di acido o di fumo e offrivano uno spettacolo davvero troppo pietoso per i suoi gusti. “Ehi, Orwell te ne vai?” lo fermò una voce alle sue spalle. “Sì ho finito” rispose senza nemmeno conoscere il tipo con cui stava parlando. “Vieni con noi a ballare?” “No” nessuna gentilezza né esitazione nella voce. “Andiamo” insistette il ragazzo “abbiamo intenzione di andare a divertirci sul serio questa sera”. “Ropewolks” intervenne un altro, come se quella parola fosse la chiave per il paradiso. “E sai questo cosa significa?” riprese la parola il primo con un ghigno ebete “Figa di prima qualità”. Noah rimase un attimo a riflettere, non aveva nessuna intenzione di stare con quei tipi, ma non aveva voglia nemmeno di tornarsene a casa. “Ok” accettò senza spiegare il suo improvviso cambiamento. Si sarebbe fatto dare un passaggio e poi avrebbe trovato il modo per seminarli. “Bene, allora andiamo”. Arrivati nel quartiere dei divertimenti notturni i quattro ragazzi e Noah tentarono di entrare in diversi locali, ma tutte le volte venivano bloccati all'entrata dal buttafuori di turno, facendo precipitare ben presto il loro morale sotto i piedi. “Maledetto bastardo, lui non sa con chi ha a che fare” sbraitò Nail, il ragazzo più grosso, agitando la bottiglia di Beck's quasi vuota “Forza ragazzi tiriamo fuori i coltelli e facciamogliela vedere”. “Sei scemo” lo riprese aspramente Quinci “Se il Capo scopre che abbiamo fatto casino fuori dalla nostra giurisdizione ci ammazza”. “E allora che cazzo facciamo adesso? Io non ho voglia di stare qui a sbattermi tutta la sera”. Noah si diede mentalmente dell'idiota per essersi lasciato coinvolgere in quella situazione e decise di prendere la parola: “Bene ragazzi è stato un piacere trascorrere…” “Ehi, ma che cazzo fanno quei due laggiù?” eruppe Kaleb con gli occhi di fuori come una ranocchia per lo stupore. “Chi?” chiese subito Nail. “Quelli” urlò alzando la mano per indicare la direzione “quelli in quel vicolo laggiù!” Noah spostò gli occhi verso la mano dell'algerino e un bruttissimo presentimento gli si incuneò nel cervello quando vide due ragazzi appartati baciarsi appassionatamente appoggiati al muro di un palazzo. “Cristo santo che roba!” imprecò Mason che fino a quel momento si era dimostrato il più silenzioso di tutti “Andiamo, se sto a guardarli ancora un po' divento verde come Hulk”. “Io me ne vado” dichiarò Noah categorico. “Ma come, proprio ora che inizia il vero divertimento” lo trattenne Nail, afferrandolo per una spalla. Noah cercò di liberarsi, ma in cambio ricevette un poderoso pugno sullo stomaco che gli tolse il fiato dai polmoni. “Sta buono, Orwell, non fare il guastafeste” gli intimò con voce cantilenante, continuando a tenerlo fermo. Bloccato fra le braccia di Nail, simili a due morse d'acciaio, e lievemente intontito dalla birra che aveva bevuto, rimase impotente a guardare gli altri tre avvicinarsi furtivi alle loro ignare vittime e circondarle come tre iene affamate. “Bene bene, che cosa abbiamo qui?” cinguettò Mason con tono beffardo, facendo sussultare i due ragazzi che si separarono all'istante “Due froci che ci danno dentro”. E scimmiottando quello più alto con gesti volgari e allusivi Quinci continuò: “Te lo volevi scopare contro quel muro, eh?” “Che, che cosa volete da noi?” domandò questo in risposta. “Una cosa molto semplice, rimanete fermi dove siete e non fate troppo casino” intimò loro Mason avvicinandosi assieme ai compagni. A quelle parole Noah cercò di liberarsi dalle braccia di Nail, dimenandosi ferocemente, ma fu tutto inutile: la stretta salda del bestione non cedette di un millimetro e i suoi amici diedero inizio allo spettacolo. I due ragazzi, ancora strettamente abbracciati, furono allontanati con la forza, scaraventati a terra e colpiti a ripetizione: i pugni riempirono i loro corpi di ematomi, le suole rigide degli scarponi lacerarono la loro pelle ricoprendola di sangue e terra, tagli profondi si aprirono sui loro volti e le ossa scricchiolarono ad ogni nuova frattura. Orwell, ormai sfiancato dalla fatica e dal disgusto, se ne stava immobile con gli occhi sbarrati e una mano del gorilla premuta davanti alla bocca, mentre quelle bestie continuavano imperterrite a massacrare i due giovani ormai completamente privi di difese. “Ehi Mason” proruppe Kaleb ansimando, interrompendo il suo pestaggio “Guarda che roba, non l'avevo visto prima, ma questo sembra una donna”. “Veramente adesso somiglia più ad una pizza farcita” sghignazzò Quinci, riferendosi al volto ferito del ragazzo più minuto. Mason, incuriosito, si avvicinò e senza fare nessun commento si abbassò per strappargli la camicia già lacerata. “Mh” grugnì la sua approvazione mentre si abbassava la cerniera dei jeans, ordinando nel contempo: “Toglietegli i pantaloni”. A quella visione il corpo di Noah fu infiammato da una nuova rabbia ancora più cieca e devastante. Sebbene la cosa lo ripugnasse con tutto se stesso fino a quel momento aveva compreso il motivo di quel pestaggio, da che mondo è mondo i gay erano bersaglio delle peggiori ritorsioni e lui non poteva farci niente. Ma adesso, adesso che quel porco aveva costretto a terra il giovane ragazzo, aveva spalancato le sue cosce tumefatte e infilato il suo lurido coso dentro di lui, su, fino in fondo, in un unico colpo, facendogli ingorgare di lacrime gli occhi sbarrati e vitrei, non aveva più senso; tutto quello che avevano fatto quei vermi non aveva più una logica e non riusciva a credere che la vita di quei due ragazzi fosse stata rovinata gratuitamente per il puro divertimento di quattro sadici annoiati. Orwell cercò di recuperare le ultime energie rimastegli. Sentendo il bestione allentare un po' la stretta, intento a godere dello spettacolo che il suo gemello gli offriva, tirò indietro la testa con violenza, mandandola a sbattere contro la faccia dell'altro. Istintivamente Nail mollò la presa su di lui per portarsi le mani al naso dolorante e, approfittando di quella distrazione, Noah assestò al gigante un calcio in mezzo alle gambe, mandandolo a terra con quell'unico colpo. Subito dopo si gettò contro gli altri, non fu difficile ridurre Kaleb all'impotenza, ma proprio mentre l'algerino si accasciava al suolo per la ginocchiata ricevuta, Quinci colpì il protetto del capo alla nuca con un pezzo di legno fracido, trovato per caso fra i bidoni lì vicino, facendogli perdere immediatamente i sensi. “Che cazzo hai fatto?” domandò Mason furioso, mentre si tirava in piedi riabbottonandosi velocemente i calzoni. “Io…” “Ti rendi conto di chi è quello” gridò sempre più nervoso “Ross ci ammazzerà per questo, e il capo ci spellerà vivi”. “Ma ha cominciato lui, guarda come ha ridotto gli altri” si difese Quinci con tono piagnucolante. “Sbrigati, dammi una mano a metterlo in macchina” ordinò Mason. “Dove lo vuoi portare?” “Alla base, idiota, vuoi lasciarlo in questo buco?” E quando dall'espressione dell'altro si accorse che era proprio quello che aveva avuto in mente di fare ringhiò: “Ci hanno visto uscire con lui, stupida testa di cazzo, quando domani il vice non lo vedrà arrivare chi pensi che verrà a cercare?” “Ma cosa gli diciamo?” “Che eravamo ubriachi, che ci stavamo divertendo, che il piccoletto ha cominciato a fare le bizze e che nella confusione tu non hai saputo dosare la forza, ecco cosa gli diciamo, qualche obbiezione?” “N…no, no, andiamo… Ma lui…” “È Ross il nostro problema, questa mezza sega non mi spaventa di certo”. Arrivati al vecchio palazzo in Albany Road, Mason e Quinci cercarono il loro vice per consegnargli Orwell e spiegargli, secondo il loro discutibile punto di vista, come erano andati i fatti e, con somma sorpresa di entrambi, Ross li congedò senza nessuna punizione particolare. “Tsè, è stato più facile del previsto” affermò Mason, trattenendo a stento un tono sollevato “Ma me lo dovevo immaginare, anche Ross non sopporta quel finocchio”. “Io invece ho un brutto presentimento” mugolò Quinci più preoccupato. “Non dire stronzate e andiamo a recuperare gli altri”. Noah si svegliò nel primo pomeriggio della domenica. Il forte dolore alla nuca che sentì non appena provò a muoversi gli inumidì leggermente gli angoli degli occhi, ma cercò di ignorarlo, aprendo e chiudendo un paio di volte la bocca con un gemito soffocato, come a voler vedere se il cervello era ancora in grado di comandare i muscoli del suo corpo. Quando poi con uno sforzo notevole riuscì a girare la testa, il ragazzo vide una figura famigliare seduta in una sedia accanto a lui e capì subito dove si trovava. “Che hai da guardare?” mugolò con tono dolorante, cercando di alzarsi dal divano senza peraltro riuscirci. “Allora?” insistette dal momento che Andrew continuava a rimanere in silenzio, ostentando quel sorriso di superiorità che lui non sopportava. “Quando dormi sembri più piccolo” commentò il capo senza scomporsi. “Non hai niente di più intelligente da dirmi?” “Potrei dirti che sei uno stupido”. “I tuoi uomini sono delle bestie” vomitò il suo disgusto il ragazzo dai capelli castani, non potendo fare a meno di tornare con il pensiero ai fatti della notte appena trascorsa. “Sei uscito con i Gemelli, Noah, cosa ti aspettavi che facessero?” “Io non so nemmeno chi cazzo sono questi Gemelli e non conoscevo nemmeno i tipi di ieri” esplose l'altro sempre più arrabbiato. “Mason e Nail, due trogloditi che si eccitano al solo pensiero di torturare la gente” spiegò Godwin con leggerezza come se stesse parlando di due graziosi gattini “Avere a che fare con loro è come giocare con una bomba a mano senza sicura, ma una volta ottenuta la loro totale obbedienza sono davvero molto utili”. “Allora perché non usi loro come guardie del corpo?” “Perché sarebbero antiestetiche e poi sono stupidi, soprattutto Nail”. Noah strinse la coperta che ancora parzialmente lo copriva per trattenere la rabbia e domandò: “Cosa hai fatto?” Andrew lo guardò con un'espressione falsamente interdetta, facendo finta di non capire quando invece aveva compreso perfettamente il senso di quella domanda. “Andiamo, hai capito benissimo, come li hai puniti?” Il moro, palesemente soddisfatto per aver fatto cadere l'altro nella propria trappola, scoppiò a ridere e, scuotendo la testa divertito, confessò: “Ah Noah, a volte sai essere ingenuo come un bambino. Per cosa avrei dovuto punirli? Per aver pestato due sconosciuti? Per aver violentato uno di loro? Mi hai preso per un paladino della giustizia?” continuò, imperterrito, con le sue domande derisorie “Oppure avrei dovuto farlo perché hanno picchiato te? Non dirmi che hai pensato davvero ad una cosa simile, perché non potrei sopportare la delusione” concluse con un tono di voce pericolosamente serio. “Non voglio niente da te” latrò Orwell cercando di fronteggiare lo sguardo oscuro dell'altro “Ma se tu non sei capace di tenere sotto controllo i tuoi uomini allora ci penserò io”. Ignorando il pulsare furioso della testa, il ragazzo dagli occhi dorati si sollevò di scatto dal divano precipitandosi fuori dall'ufficio. “Soddisfatto?” domandò il vice affacciandosi dalla porta ancora spalancata “Non pensi che sia troppo presto?” “No” rispose senza esitare il moro “Penso che sia pronto ormai, ma stiamo a vedere quello che succede”. Il fagotto di vestiti e carne pesta volò nella stanza attraverso l'entrata priva di porta e, cadendo con un tonfo sordo sul pavimento, fece ammutolire di colpo tutti i presenti che come al solito se ne stavano stravaccati sui materassi o per terra. “Cristo, ma è Quinci!” imprecò uno di loro quando riconobbe nell'ammasso sanguinolento il compagno. Tuttavia i loro sguardi non restarono a lungo sul ragazzo perché immediatamente furono catturati dall'arrivo di Noah, che entrò con tutta calma portando una spranga di ferro appoggiata sulla spalla. “Ma, ma che sta succedendo?” si azzardò a domandare uno dei tanti. Orwell ovviamente non rispose, ma vagò con lo sguardo per tutta la stanza finché non ebbe individuato il suo obiettivo. Lentamente si mosse scansando persone, rifiuti e tutto ciò che intralciava il suo cammino, fermandosi infine davanti a Mason che se ne stava seduto per terra, la schiena appoggiata alla parete imbrattata, a bere tranquillo la sua birra come se non fosse successo niente. “Che cazzo vuoi da me finocchio?” borbottò alla fine il Gemello, stanco di vedersi davanti agli occhi quel moscerino insignificante e fastidioso. Senza proferire parola il ragazzo dai capelli castani afferrò con entrambe le mani la sbarra preparandosi ad attaccarlo. “Vuoi picchiarmi con quello stecchino?” lo schernì Mason senza muovere un muscolo “Avanti, colpisci con tutta la forza che hai”. E Noah lo assecondò, facendo cadere sulla stanza un silenzio surreale, rotto un secondo dopo dagli urli di dolore di Mason. “Oh merda, lo ha inchiodato al muro!” gridò il tipo seduto accanto al gemello sconvolto dal panico e dalla sorpresa. Ma lo sgomento dei presenti raddoppiò quando, senza la minima esitazione, Orwell continuò ad infierire sulla sua vittima, scaricando un calcio sulla sua faccia, seguito subito dopo da un secondo in mezzo alle gambe, che fece guaire il bestione ormai sfinito. Altri ragazzi intanto erano accorsi per vedere cosa stava succedendo e un mormorio si diffuse rapidamente. “Non ci posso credere, ha schiacciato Mason come se fosse una zanzara!” “Cazzo, anche lui?” “Che significa?” “Ma come non lo sapete? Ha spezzato un braccio a Kaleb e a Nail ha frantumato i denti”. “Che cosa?!” “È vero, l' ho visto con i miei occhi! Aveva appena finito con il nero ed era voltato di spalle, Nail stava per fregarlo ma Orwell s'è girato di scatto e, tenendo quel cazzo di sbarra come una mazza da baseball, lo ha beccato proprio sulla bocca spaccandogli tutto”. Il chiacchiericcio si fermò di nuovo quando videro Noah afferrare e tirare il pezzo di metallo che fuoriusciva dalla spalla di Mason, il quale cadde pesantemente con la faccia per terra non appena fu libero da quella specie di spiedo che lo teneva infilzato al muro di cartongesso. Ancora non soddisfatto il magro ragazzo dagli occhi nocciola si portò sopra la schiena dell'altro e afferrandogli i lunghi capelli tenuti assieme da una coda li mozzò con il suo serramanico, sbattendoglieli subito dopo davanti agli occhi. “La prossima volta che ti azzarderai anche solo a toccare un'altra persona in mia presenza, riserverò lo stesso trattamento al tuo uccello”. Dopo quell'unica minaccia Noah si tirò in piedi e se ne andò fra le occhiate incredule e improvvisamente deferenti degli altri, tenendo gli occhi piantati per terra nel momento in cui passò accanto a Godwin, arrivato in quella stanza diversi minuti prima con il resto dei suoi uomini. Nonostante tutto, non aveva il coraggio di fronteggiare il sorriso di trionfo che, ne era certo, stava increspando le labbra di colui che in quell'istante era diventato indiscutibilmente il suo capo. Orwell non riusciva a dormire, erano le due inoltrate e lui non si era nemmeno avvicinato alla sua camera. “Non ti hanno insegnato a chiudere la porta quando entri in casa?” La voce profonda che squarciò improvvisamente il silenzio della sala lo fece sobbalzare, ma senza scomporsi troppo rispose: “Le abitudini sono dure a morire”. Andrew aggrottò per un istante la fronte, sinceramente perplesso, e l'altro spiegò: “Quando non possiedi niente che possano rubarti, che senso ha chiudere una porta? Per me è stato quasi sempre così”. “Perché non sei a dormire?” continuò ad informarsi il capo. “E tu perché sei qui?” “Ero sicuro che ti avrei trovato sveglio” affermò Godwin, piegando le labbra in un sorriso con il quale dimostrava, per l'ennesima volta, di avere ragione “Magari a riflettere su ciò che è accaduto oggi”. “Sei soddisfatto?” soffiò pieno di risentimento Noah “Sono completamente caduto nella tua trappola, no?” “Molto, hai superato in maniera quasi geniale le mie aspettative e anche quelle del mio vice” confessò compiaciuto il moro, prima di continuare “Ovviamente avrei dovuto punire i miei uomini per aver combinato un casino simile fuori dal mio territorio, ma Ross mi ha suggerito di lasciare a te quest'incombenza”. “Così, sapendo che non avrei mai agito di mia spontanea iniziativa, mi hai provocato fino a farmi infuriare, giusto?” “Già, ad essere sinceri Ross era un po' preoccupato per le tue condizioni, il colpo che avevi preso in testa non era stato leggero e secondo lui era più saggio aspettare qualche giorno. Ma per me era meglio farti agire quando la rabbia era ancora bella bruciante nella tua mente e i fatti mi hanno dato ragione”. “E dimmi, cosa sarebbe stata, una prova di coraggio? Un esame per vedere quanta follia poteva scaturire dal mio cervello?” domandò incalzante Noah, palesemente nauseato dalle sue azioni. “Effettivamente mi serviva per vedere quanto eri forte. E ovviamente per farti ottenere il rispetto degli altri, non so se lo sai ma la tua reputazione lasciava molto a desiderare”. “E adesso è migliorata?” “Mi prendi in giro!?” esclamò Andrew allargando il suo sorriso di ghiaccio “Hai stroncato i gemelli senza riportare nemmeno un graffio, adesso tutti ti temono e ti venerano”. “Mh”. “Presto ti renderai conto quanto invece ti sarà utile questa cosa” gli spiegò il capo, comprendendo in quel monosillabo il suo disprezzo. “Adesso che ho superato l'esame presumo che comincerò il mio lavoro, giusto?” cambiò discorso Noah. “Sì, domani mattina passerai a prendermi per andare a scuola e dovrai seguire ogni mio spostamento. Ti ho lasciato le chiavi della tua nuova auto sul mobiletto all'ingresso”. “Che macchina è?” “Una Mercedes nera”. “Sul serio? E magari targata I Love Mafia!” “È una Classe M” sbuffò Andrew per trattenere un sorriso, uno vero, irrigidendosi all'istante a causa dell'inconsueta sensazione. “Oh scusa, visto quello che mi hai detto cinque minuti fa, tu una macchina del genere non l'hai nemmeno mai vista, giusto?” lo provocò velenoso “Quindi per farti capire dovrei dire fuoristrada”. “In realtà è una Sport Utility” lo corresse senza scomporsi l'altro “Come si fa a confondere una Classe M con una Classe G? Eppure un tipo come te deve averne viste di macchine costose”. “Adesso ti do la prima regola d'oro per una vita brillante e duratura” lo ammonì prontamente Godwin “Non provocare mai le persone che tengono in mano il tuo futuro”. “E in che modo mi terresti in pugno?” Noah approfittò subito di quell'occasione per capire quello che aveva in mente il ragazzo seduto davanti a lui. “Non posso farti un elenco completo, Noah, impiegherei tutta la notte”. “Allora dimmi la tua arma più efficace”. “Vuoi che ti sveli il mio asso nella manica?” “Sì”. La schiettezza di quel ragazzo era pericolosa come il suo senso dell'umorismo, Andrew si alzò di scatto, raggiungendo la grande finestra che dava sul piccolo giardino pubblico, per non perdere il controllo dei suoi pensieri. “Qualche giorno fa è misteriosamente scomparso il piccione viaggiatore di Mister Eccles “ si risolse a parlare il moro “Sai cos'è un piccione viaggiatore?” “La persona che il Boss usa per comunicare con tutti i suoi…” Noah fece appena in tempo a rimangiarsi la parola tirapiedi prima di continuare “sottoposti. È il metodo più semplice per diffondere i suoi ordini senza rivelare la sua identità ai pesci più piccoli”. “Esatto. Al momento la polizia sta brancolando nel buio e così gli uomini del Boss, ma io posso sempre dar loro una mano” si interruppe Godwin con un certo appagamento nel vedere gli occhi dell'altro allargarsi per la comprensione “Certo, la mia non sarebbe una spinta verso la verità, ma mi sembra di averti già detto che non sono un cultore della giustizia”. “E come intenderesti provare il mio coinvolgimento in questa storia? Non hai niente contro di me”. “No, infatti, non riuscirei a convincere la polizia, come dici tu, avrei bisogno di prove, testimoni, moventi e tutto il resto, ma ti assicuro che basterà una mezza parola sulla tua presunta colpa per farti passare un brutto quarto d'ora con i mastini del signor Eccles”. Andrew aspettò che Orwell digerisse quel brutto colpo prima di sferrare l'ennesimo attacco: “Allora, sei disposto a rischiare? Tu mi fai fuori, il mio uomo di fiducia diffonde la voce e nel giro di cinque minuti ti ritrovi circondato da venti Mason&Nail armati fino ai denti. Che mi dici, è un piano che ti può interessare?” “No, al momento no” ammise Noah con gli occhi fissi sul tappeto. “Allora siamo d'accordo, io ordino tu esegui”. “Ok”. “Bene”. “Ma prima voglio mostrarti una cosa” lo interruppe il ragazzo castano che, alzandosi dal sofà, si diresse verso la libreria per prendere un libro, estraendo da esso un foglio. “Tieni”. Andrew afferrò il pezzo di carta e, come prima aveva fatto Orwell, sgranò i suoi occhi scuri. “Bella foto vero?” lo sfidò Noah con la sicurezza che aveva ritrovato “La qualità dell'immagine si è un po' persa nella fotocopia a colori che ho fatto, ma l'originale è perfetta. Il tuo sorriso è molto luminoso e si vede benissimo l'espressione dolce che scintilla nei tuoi occhi divertiti”. “Come…” “Tu non mi hai riconosciuto perché quella sera avevo il volto coperto con la sciarpa” non lo lasciò parlare “Ed io mi ero dimenticato del nostro primo incontro perché per me eri solo un ragazzo strano che si divertiva a farsi torturare da due tipi ancora più strani e, sinceramente, non so nemmeno perché ho tenuto la tua fotografia. Ma quando l'ho rivista, proprio mentre stavo trasferendo le mie cose in questa casa… Be', in quel momento ha avuto tutto un altro valore”. “Dove è l'originale?” domandò Godwin con il gelo polare nella voce. “Mi dispiace ammetterlo, Andrew, ma abbiamo avuto la stessa idea. La foto è in mano ad una persona di mia fiducia” e prima che potesse nascere idee malsane nella mente dell'altro chiarì “Ma non è nessuno dei miei vecchi amici, potrai torturarli tutti fino alla morte, nessuno ti saprà dire niente”. “Cosa pretendi che faccia per una misera foto?” “Non ti scaldare” lo prese in giro Orwell “Ti ho già detto che eseguirò tutti i tuoi ordini. Voglio solo un po' di respiro”. “Che intendi?” “Sarò solo il tuo autista e la tua guardia del corpo, non proverai mai a coinvolgermi nei tuoi piani di conquista dell'universo e non mi darai il tormento ogni volta che aprirò bocca”. “Altro?” “No, mi accontento di questo. Allora, accetti la mia proposta o preferisci che i tuoi uomini e soprattutto i tuoi nemici sappiano quanto gentile può diventare il gelido Black Doll?” insistette il ragazzo dagli occhi nocciola “Se non sbaglio prima mi avevi parlato dell'importanza che ha il saper incutere timore negli altri”. “Sei un bastardo!” “Detto da te lo prendo come un complimento”. Noah mascherava a fatica la tensione che attanagliava ogni suo muscolo ma, per non mostrare all'altro le reali condizioni del suo stato d'animo, rimase immobile ostentando sicurezza nonostante il silenzio opprimente che Andrew aveva fatto cadere nella stanza. La risata che sgorgò incredibilmente spontanea dalla bocca di quest'ultimo però lo colse del tutto impreparato. “Che cazzo hai da ridere?” “Oddio sei, sei” gli occhi del moro stavano brillando come mai prima di allora, era divertimento e qualcosa di molto, molto vicino all'eccitazione “Io non ho parole, davvero, dovrò promuovere Bevis per la sua stupidità”. “Ma che stai dicendo?” “Portarti per sbaglio da me è stata la cosa più intelligente che abbia fatto in tutta la sua vita” spiegò Godwin scuotendo la testa, anche lui incredulo “Tu ed io faremo grandi cose assieme”. “Non mi hai ancora dato una risposta”. “Accetto, non mi lasci altra scelta”. “Bene, ma non provare a fregarmi” si lasciò sfuggire Orwell. “No, non lo farò” tornò finalmente serio il capo “Ma ricordati anche tu della mia polizza assicurativa”. “Mh, come potrei scordarmela”. Il mattino seguente, con gli occhi ancora incollati di sonno, Noah aprì la saracinesca del box, fino a quel momento inutilizzato, e per cinque minuti abbondanti rimase con un'espressione trasognata a fissare la macchina nera metallizzata che, posta al centro del garage, sfoggiava tutta la propria sfacciata bellezza. La sua vita aveva preso un brutta piega, ma un'auto così non avrebbe potuto permettersela nemmeno dopo cento anni di traslochi. Le disquisizioni del ragazzo furono interrotte bruscamente dal trillo insistente del cellulare. “Pronto. No eccomi, non ti agitare”. Senza aggiungere altro chiuse la comunicazione e si affrettò a raggiungere il ragazzo che lo stava aspettando. I giorni che seguirono furono piuttosto tranquilli e si svolsero uno dopo l'altro pressoché nel solito modo. Noah ed Andrew rimanevano a scuola fino a metà pomeriggio, dopodiché raggiungevano Albany Road, dove Ross aggiornava il capo su ciò che era stato fatto fino a quel momento dai suoi uomini e gli riportava eventuali comunicazioni dai piani alti. Se tutto era tranquillo il capo si metteva a lavorare al suo computer, continuando la progettazione dettagliata di piani che persino il vice ignorava e che Noah non voleva nemmeno sentir nominare. Se invece c'erano novità, o più frequentemente problemi da risolvere, Godwin rifletteva velocemente su ciò che era meglio fare e impartiva senza indugio i suoi ordini, assicurandosi poi che tutto si svolgesse come da lui stabilito. Quasi mai i ragazzi restavano alla base oltre l'ora di cena, ma Noah doveva comunque essere sempre pronto a portare indietro il capo in caso di necessità. “Non vai in mensa oggi?” I due giovani si trovavano a scuola quando era da poco iniziata la pausa pranzo. “Non ho fame” rispose Noah, scostando di poco la sedia per appoggiarsi alla parete. “Mi fai compagnia?” propose allora Andrew. “Non vengo fuori con questo freddo”. “Giusto, tu non sopporti le basse temperature, ma se vuoi possiamo restare qui”. “Che c'è?” domandò secco l'altro. “Non capisco”. “Perché non sei con i tuoi amici spocchiosi a recitare la parte del bravo signorino inglese?” Come Noah aveva potuto constatare da diverse settimane, a scuola Andrew impersonava la parte del ragazzo comune, un po' introverso e misterioso, ma niente a che vedere con il folle che, schioccando semplicemente le dita, aveva ai suoi ordini una schiera di ceffi decisamente poco raccomandabili. La scuola, inoltre, era stata utile per scoprire che il compagno aveva diciannove anni e che, come affermavano diverse voci di corridoio, aveva perso un anno di studio a seguito del profondo turbamento scaturito dal suicidio della madre. Ma ovviamente di tutto questo non aveva mai fatto parola con il diretto interessato. “Volevo parlare un po' con te”. Il ragazzo più giovane lo squadrò sempre più perplesso: in quel luogo non discutevano mai di “lavoro” e non c'era molto altro che accomunava i loro interessi. “È vero quello che dicono di te?” si informò diretto Andrew. “Cosa dicono di me?” “Che sei gay”. Orwell, abbandonando la posizione scomposta che aveva assunto fino a quel momento, si drizzò immediatamente sulla sedia, arrossendo di brutto come mai prima di allora. “Cos… che…” “Che ingenuo sono stato, avrei dovuto accorgermene subito”. “Ma che cazzo dici io non…” Andrew non lo ascoltò e proseguì: “I commenti futili che faccio sul tuo aspetto sono gli unici che ti fanno arrabbiare e ti mettono in imbarazzo”. “E questo cosa dovrebbe significare?” “È un tassello che avrei dovuto aggiungere al fatto che finora non hai mostrato particolare interesse per le ragazze. E non ti parlo delle 'nostre', che possono non soddisfare i tuoi gusti, ma anche quelle di questa scuola o del nostro quartiere”. “Anche tu non sembri mostrare tutto questo accanimento, devo giungere alla stessa conclusione”. “No, per me è diverso, in questo momento non sono interessato a questo genere di cose”. “Perché non potrebbe valere la stessa cosa per me?” sbottò sempre più irritato e agitato Noah. “Perché è così e basta” ridacchiò l'altro con la certezza matematica di avere ragione “E il tuo agitarti in questo modo insolito è una prova palese”. “Tsè” “Ma se vuoi posso continuare”. “Sì, ti prego, sono proprio curioso” affermò l'altro con tono acido. “In genere tu non ti scomponi mai, giusto? Lasci che quasi tutto ti scivoli addosso senza intaccare particolarmente il tuo autocontrollo” sostenne Andrew prima di precisare “Questo non perché sei un tipo freddo e calcolatore, ma fondamentalmente perché sei un menefreghista. Non so, forse perché sei troppo pigro per occuparti degli altri o più probabilmente perché hai sempre dovuto preoccuparti di te stesso per riuscire a tirare avanti, ma la verità…” “Dove vuoi andare a parare?” “Ti saresti infuriato nello stesso modo se i Gemelli e gli altri si fossero limitati a pestare quei tipi?” Fu la domanda incriminante che il compagno gli pose e che lo fece rimanere improvvisamente senza parole. “Ti saresti preso il disturbo di difenderli o addirittura di vendicarli, se la loro aggressione non ti avesse colpito a livello personale? Rispondimi, Noah!” “No” alitò il ragazzo più piccolo abbassando lo sguardo sconfitto. “Adesso ti rifaccio la domanda di prima. È vero quello che dicono di te?” “Sì”. “Ok”. “Ok? Che cazzo significa ok?” domandò a dir poco sconcertato Orwell. “Quello che ho detto” rispose il moro serafico. “E quel terzo grado?” “Semplice curiosità”. “Quindi non mi farai spellare vivo dai tuoi gorilla?” “No, se resterai lontano dal mio culo”. Il rossore sul volto di Noah si trasformò in un’esplosione cremisi e, stringendo le mani a pugno per impedirsi di saltare al collo dell'altro, gridò in direzione delle sue spalle: “Non mi ci avvicinerei nemmeno se fosse l'ultimo in tutto l'universo!” Al termine delle lezioni Noah uscì con l'auto dal parcheggio della scuola e aspettò Andrew ad un isolato di distanza affinché nessuno li vedesse andarsene insieme. “Allora sei pronto per la tua prima uscita?” domandò il moro, allacciandosi le cinture di sicurezza subito dopo essere salito, l'espressione tranquilla e divertita di poche ore prima ormai del tutto rimpiazzata da una maschera impassibile. “Certo, Ross mi ha detto tutto”. “Ci incontreremo con Stokes in Mount Pleasant, conosci la strada?” “Sì”. “Ok allora andiamo, gli altri sono già là per tenere sotto sorveglianza la zona”. Quando diversi minuti dopo arrivarono a destinazione Zach, il braccio destro del vice, si avvicinò velocemente per fare rapporto. “Tutto tranquillo, Chief, niente Pigs e niente Reapers” gli comunicò, riferendosi rispettivamente ai poliziotti e ai loro nemici giurati del nord. “Stokes è dentro?” “Sì, ti sta aspettando”. “Perfetto” esclamò Andrew e, facendo un cenno a Noah affinché lo seguisse, entrò nel palazzo che ospitava clandestinamente uno dei laboratori di droghe più grandi della città. La guardia all'ingresso salutò Godwin con un rispettoso cenno del capo e, senza dire una parola, perquisì il ragazzo che lo accompagnava; quando poi fu sicuro che non portava con sé alcuna arma, li scortò fino all'ufficio del capo. Orwell rimase decisamente deluso dall'uomo che si ritrovò davanti, per essere la persona che controllava l'intero traffico di stupefacenti per conto del Boss era piuttosto insignificante: media statura, magro, occhi azzurri annacquati e occhialetti tondi che avrebbero dovuto conferirgli un'aria da intellettuale, ma che nella faccia scarna risultavano del tutto banali. “Ben arrivato mister Godwin” lo salutò con un tono al limite dell'ossequioso “La stavo aspettando con ansia”. E così dicendo posò i suoi occhi ingordi sul ragazzo sconosciuto che stava accanto al suo ospite, continuando subito dopo “Vedo che oggi è andato un po' fuori dai miei canoni, ma devo dire che i suoi gusti sono sempre ottimi. Gli occhi dorati di quest'angelo imbronciato sono meravigliosi”. Noah sentì una frustata di disgusto serpeggiargli lungo la schiena, ma rimase completamente impassibile e in silenzio come era suo dovere di guardia del corpo, lasciando tutto nelle mani del capo. Andrew rimase in silenzio per alcuni secondi, lasciando con enorme soddisfazione l'altro nell'ansia finché non si decise a spiegare: “Mi dispiace, signor Stokes, ma deve esserci stato un equivoco. Il ragazzo con me è la mia guardia del corpo, il suo omaggio la sta aspettando fuori con i suoi uomini”. “Oh be', peccato” sbuffò l'altro dispiaciuto, fissando con insistenza il ragazzo avvolto dal lungo cappotto nero “lo avrei assaggiato molto volentieri”. “Non ne dubito signore, ma che ne dice di iniziare la transizione?” “Mi legge sempre nel pensiero” esclamò l'ometto, ansioso di andare a scartare il suo pacco regalo. Stokes si spostò velocemente dietro la propria scrivania e, scostando un quadro dalla parete, rivelò una piccola cassaforte, digitò velocemente la combinazione e con un clic sommesso si aprì lo sportello metallico. “Uffa che sbadato, confondo sempre le combinazioni” ammise, richiudendo immediatamente la cassaforte per poter premere sulla pulsantiera la combinazione giusta, la quale, con un rumore ben più accentuato, attivò un automatismo che prese a far salire la porzione di pavimento proprio sotto la scrivania. “Prego dopo di voi”. L'uomo e i suoi ospiti scesero velocemente nei sotterranei nascosti dell'edificio, arrivando a destinazione dopo aver attraversato un lungo dedalo di corridoi. “La vettura è quasi pronta, sarà sufficiente aspettare solo un attimo” assicurò loro mentre si fermava davanti ad un gruppetto di uomini indaffarati come formiche. La macchina con cui gli uomini di Andrew avrebbero dovuto trasportare la droga al loro covo era a prima vista un semplicissimo quanto innocuo monovolume, ma in realtà meccanici fidati avevano dotato la tappezzeria e addirittura la carrozzeria di tasche segrete in grado di contenere e nascondere grandi quantitativi si sostanze stupefacenti. Quando tutta la merce fu caricata, Stokes consegnò agli uomini di Godwin la mappa dei sotterranei, senza la quale difficilmente avrebbero trovato la strada giusta che li avrebbe condotti all'autorimessa -gestita ovviamente da altri gregari del Boss- posta a qualche isolato di distanza in Oldham Streat. “Bene, adesso non mi resta che augurarle buon lavoro e salutarla, signor Godwin” esclamò l'uomo una volta tornato con gli altri nel suo ufficio “Ah, quasi stavo per dimenticare, le ho fatto mettere un nuovo tipo di Adam*, oltre ovviamente alle intramontabili Red Playboy, Number One* eccetera. È di colore viola tendente al fucsia, vedrà che avrà un successo formidabile con le ragazzine”. “La ringrazio signor Stokes, le farò sicuramente sapere. Ci vediamo alla prossima transizione” lo salutò con molta più freddezza il capo dell'Eastside. “Alla prossima. Spero che varrà accompagnato ancora dal suo angelo custode”. “Senz'altro”. Noah salì al posto di guida della sua Mercedes sbattendo piuttosto violentemente lo sportello mentre Andrew, occupando il sedile posteriore, scoppiò in una risata così fragorosa da far voltare Ross verso di lui con gli occhi sgranati. “Se lo voleva fare” spiegò al suo vice cercando in tutti i modi di ricomporsi. “Cosa?” “Lo ha scambiato per il ragazzo di turno. Te lo giuro, ho dovuto mordermi le guance a sangue per non mettermi a ridere”. “Non è affatto divertente” borbottò Orwell, spingendo bruscamente la leva della freccia verso l'alto per immettersi nella strada “Quel porco è viscido come la bava di una lumaca”. “Te lo avevo detto che i tuoi vestiti attirano troppo l'attenzione” lo ammonì il ragazzo più grosso sorridendo a sua volta. “Veramente il cappotto di lana e il berretto di velluto glieli ho comprati io. Non volevo che si assiderasse proprio durante la nostra uscita” lo sfotté ancora il capo. “Avete finito di prendermi per il culo? O volete che spari in testa ad entrambi?” “Ok, ok non ti scaldare e pensa alla strada, non voglio morire giovane” lo ammansì il moro. “Piuttosto, dove andiamo a festeggiare?” “Non c'è proprio niente da festeggiare” brontolò ancora arrabbiato il ragazzo alla guida “Sono stato importunato da un vecchio bavoso e ho assistito senza battere ciglio ad un crimine”. “Nail ha ragione sei un guastafeste” sbuffò l'altro infastidito “E va bene, allora decido io per tutti, andiamo al Rocket, ho voglia di fare una partita a biliardo. Sai giocare a biliardo Noah?” “Sì”. “Uffa, sai fare tutto, sei proprio noioso”. Orwell alzò lo sguardo sullo specchietto retrovisore e fissò confuso il ragazzo seduto dietro, domandandosi inevitabilmente che cosa stava combinando quel folle. Non era molto esperto in materia, quindi non poteva dirlo con sicurezza, tuttavia aveva l'inquietante sensazione che stesse flirtando con lui. Quando gli occhi laccati di nero agganciarono i suoi, fissandoli in maniera strana attraverso lo specchio, Noah tornò immediatamente con lo sguardo sulla strada, imponendosi di non pensare più a sciocchezze simili. Arrivati al locale, Godwin si trovò subito un pollo da spennare mentre gli altri due si sedettero al banco con i loro boccali di Timothy Taylor ghiacciati. “Te la sei cavata bene oggi” lo elogiò con insolita schiettezza il vice. “Non ho fatto assolutamente niente, tutto è andato liscio”. “Sì ma non hai perso la calma con Stokes e so quanto può essere disgustosamente insinuante”. “Non dirmi che ci ha provato anche con te?!” lo prese in giro Noah ridendo. “Idiota!” Sorseggiarono in silenzio le loro birre per qualche secondo poi Ross non poté fare a meno di chiedere: “Che hai fatto al capo?” “Non gli ho fatto niente” dichiarò il ragazzo castano, stringendo forte il manico umido del bicchiere. “Quella di prima era una risata. Non l'ho mai visto così rilassato dopo una transizione”. “Mi stava sfottendo, sembra il suo passatempo preferito!” “Io non credo”. “Cos'è che ti preoccupa?” volle sapere Orwell. “Niente, ma non renderlo debole”. “Non capisco cosa vuoi dire”. “Ehi Noah vieni” lo chiamò improvvisamente Andrew “Ho già battuto tutti e qui da solo mi sto annoiando, fammi vedere quanto sei bravo”. “Sul serio?” lo smentì il vice, chiudendo lì il discorso, ma aprendo una voragine nella mente dell'altro. I tre giovani rimasero a giocare a biliardo fino a notte inoltrata, uscendo dal locale solo pochi minuti prima della chiusura. “Cristo Santo che freddo” si lamentò Orwell per lo sbalzo di temperatura improvviso, affondando il collo nella sciarpa di lana bianca. “Sei peggio di un gatto” lo stuzzicò Ross. “Come cazzo fai tu a startene tanto tranquillo con la testa così rasata?” gli domandò, sinceramente ammirato, senza cogliere la provocazione. “Non sono un poppante come te, io ho…” “Shh” li zittì improvvisamente il capo prima di sporgersi dietro l'angolo che il Rocket faceva con la strada. “Cazzo!” “Che c'è?” si informarono gli altri due all'unisono. “Tre uomini di Farrell hanno messo alle strette Willy”. “Che ci fanno qui quei bastardi?” domandò preoccupato Ross. “Sicuramente lo stavano seguendo e si sono fatti avanti non appena è entrato in territorio neutro” rispose seriamente preoccupato il moro. “Ma che vorranno da lui?” “Glielo chiederemo meglio domani, adesso andiamo a toglierlo dai guai”. “Wow siete così generosi con tutti i vostri compagni?” “No, idiota, solo con quelli che hanno una laurea in chimica e sanno riconoscere se la roba è buona oppure una schifezza” lo ammonì sferzante il capo “Andiamo adesso”. Una mano ferma però lo bloccò prima che svoltasse l'angolo. “Dove pensi di andare?” domandò accigliato Orwell. “Sei sordo? Dobbiamo…” Il ragazzo dagli occhi nocciola lanciò le chiavi dell'auto a Ross, ordinandogli con decisione: “Portalo in macchina, aspettate cinque minuti dopodiché andate via”. “Noah è rischioso da solo, quelli non sono dei semplici Reapers ma Grim Reapers e il loro nome non è una buffonata” lo avvertì il vice. “Fa come ti dico” gli intimò per la seconda volta, irritato “Mi avete tirato voi in questa storia, adesso fatemi fare il mio lavoro”. I cinque minuti passarono in fretta e Ross fu costretto ad andare, anche se Orwell non era ancora tornato. Mancava solamente una manciata di minuti all'alba quando Noah raggiunse barcollando la porta di casa. Procedeva un passo dopo l'altro, strascicando i piedi come se fossero di piombo e si aggrappava a tutto ciò che aveva a portata di mano nei momenti in cui, a causa della debolezza, la sua vista si annebbiava e le cose davanti a lui si sdoppiavano, vorticando violentemente. Dopo aver preso la chiave del suo appartamento tentò più e più volte di infilarla nella stretta fessura della serratura, ma una fitta di dolore proveniente dal suo fianco gli provocò uno spasmo talmente acuto da fargliela scivolare di mano. Cercò di piegarsi per raccoglierla, ma quel semplice sforzo fu per lui soverchiante e lo fece svenire. Il corpo ferito del ragazzo tuttavia non cadde per terra né andò a sbattere contro il legno della porta perché due braccia robuste lo sostennero e, sollevandolo di peso, lo portarono all'interno dell'appartamento. “Distendilo sul suo letto” ordinò Godwin al proprio vice “Devo vedere quanto sono profonde le sue ferite”. Ross eseguì la richiesta dell'altro e in silenzio rimase a guardarlo mentre velocemente toglieva ad Orwell i suoi vestiti. “Ha una ferita profonda sul petto e altre più lievi sul resto del corpo, ma non c'è bisogno dell'ospedale” constatò il moro con fare clinico mentre dall'armadio prendeva asciugamani puliti per tamponare il poco sangue che ancora fuoriusciva “Vai a casa mia e prendi la borsa dei ferri, ho bisogno del filo per suture”. Ross volò fuori dalla stanza e, ansimando pesantemente per la corsa, tornò solo cinque minuti dopo con ciò che gli era stato richiesto. Andrew iniziò a disinfettare con cura la lacerazione più profonda dopodiché, con mano ferma, prese a ricucire i suoi bordi slabbrati. Impiegò diverso tempo e molta concentrazione per terminare il delicato lavoro poi continuò a detergere il corpo pallido del ragazzo disteso sul letto, occupandosi anche dei tagli più lievi. “Sinceramente mi ero preparato a qualcosa di peggio” commentò Ross, non prima che il capo si fosse tirato in piedi per non disturbare le sue azioni. Andrew, il volto insensibile come quello di un asceta in meditazione, non rispose, uscendo dalla stanza per buttare la biancheria sporca di sangue. “Cosa facciamo adesso?” “Vai a cercare Willy” stabilì con voce piatta, pericoloso indice della sua collera “Non sappiamo cosa è successo, ma forse è ancora vivo e bisogna sapere cosa volevano quelli da lui. Prova alla base e se non lo trovi lì vai a casa sua”. “Bene”. “Ross” lo richiamò il ragazzo dai capelli d'inchiostro “Te la senti di prendere il controllo per qualche giorno?” Il giovane fissò il capo per alcuni istanti, sorpreso ma consapevole delle implicazioni delle sue parole, prima di rispondere: “Non ti preoccupare. Ti chiamerò solo in caso di estremo bisogno”. “Grazie”. Noah aprì gli occhi a notte fonda e il suo mugolio infastidito svegliò il ragazzo seduto accanto al letto. “Come ti senti?” domandò Andrew con tono neutro. “Ho sete” si limitò a comunicare il ragazzo ferito. Andrew gli servì da bere tornando successivamente a sedere. “Che è successo?” “Willy sta bene, è fuggito ed io sono riuscito a trattenere gli uomini di Farrell”. “Non ti ho chiesto come sta Willy, ti ho detto che è successo?” insistette l'altro. “Non capisco, cosa vuoi che ti racconti?” “Perché sei tornato solo all'alba?” “Perché ho impiegato più del previsto a sistemare quei tipi”. “Hai combattuto con loro per tre ore?!” sbottò Godwin, palesando sempre di più il suo nervosismo. “No, certo che no, ma sono svenuto in un vicolo”. “Perché non hai chiamato appena era tutto finito?” “È arrivata la polizia e sono dovuto scappare” parlò a fatica il ragazzo più giovane “Lo sforzo mi ha fatto perdere i sensi e quando sono rinvenuto non avevo più nemmeno uno spicciolo, i barboni della zona mi hanno ripulito completamente, mi hanno lasciato il cappotto solo perché infradiciato di sangue. Mi spieghi di preciso cos'è che ti fa incazzare? Ho salvato il culo al tuo chimico e quindi a te, di cosa ti lamenti?” “Non provare mai più a darmi ordini, chiaro?” sentenziò l'altro con il suo sguardo più minaccioso. “Mi dispiace ma non puoi dirmi come fare il mio lavoro, se non ti sta bene puoi sempre licenziarmi” replicò pacatamente Noah, non più spaventato dagli occhi scuri del compagno. “Da solo contro tre Grim Reapers, è stata una stronzata, una pura e semplice follia!” “Ti sei preoccupato per me? Per questo sei così seccato?” indagò incredulo Orwell. Ma a quella domandò Andrew non rispose in nessun modo previsto da Noah, lasciandolo per l'ennesima volta spiazzato e confuso quando, senza proferire parola, si alzò dalla sedia e si distese con lui sotto le coperte. “C…cosa…Che, che stai facendo?” “Ho sonno, sono stanco e voglio dormire”. “E perché non lo fai a casa tua?” domandò l'altro notevolmente imbarazzato. “Perché è troppo lontana e perché devo assicurami che un idiota non muoia durante la notte”. “Ma…” “Chiudi il becco!” E con quell'ultima imposizione Godwin chiuse la discussione. SECONDO TEMPO Andrew fissava accigliato l'andatura incerta di Orwell mentre saliva le scale del vecchio palazzo. “Lo sapevo, saresti dovuto rimanere a casa”. “Piantala di preoccuparti per me” bisbigliò Noah con un mezzo ringhio “Mi fa impressione”. Il ragazzo dai capelli castani non riusciva a togliersi dalla testa gli ultimi giorni trascorsi ventiquattro ore su ventiquattro con quello squilibrato che, se possibile, era ancora più spaventoso nelle sue presunte vesti di “premurosa crocerossina”. Oltretutto in quell'inconcepibile situazione era stato costretto a trascorrerci insieme persino l'ultima notte dell'anno e la cosa lo aveva irritato non poco. Non che avesse avuto particolari progetti per l'occasione, ma sin da ragazzino era abituato a passare quelle ore scorrazzando libero per la città con i propri amici, scolandosi fiumi di birra e inventandosi ogni volta cose sempre più assurde, da fare rigorosamente quando il livello alcolico nei loro corpi aveva ormai raggiunto un punto critico; per questo essere stato segregato in un letto da un inquietante assistente lo aveva maggiormente messo di malumore. “Vedi almeno di non essermi di intralcio, non sono qui per divertirmi” lo provocò il capo dei Bloody Puppets e, rivolgendosi agli uomini che gli aprirono la porta del settimo piano, ordinò “Dite a Ross che lo voglio subito nel mio ufficio”. Il vice bussò con forza entrando, come al solito, senza aspettare il permesso di Godwin. “Ben tornato Chief” lo salutò il ragazzo calvo, rivolgendosi subito dopo a Noah “Come ti senti?” “Bene grazie, la ferita si è completamente rimarginata” rispose tranquillo il ragazzo più giovane che se ne stava seduto scompostamente sul divano, con le gambe allungate davanti a sé e le mani intrecciate sullo stomaco. “Mh”. “Allora, hai scoperto cosa è successo?” catturò subito la sua attenzione il capo. “Sì, ho parlato con Willy” rispose immediatamente Ross “Mi ha spiegato che qualche settimana fa ha incontrato Farrell in persona in un locale vicino ai Docks e che quello gli ha chiesto esplicitamente di mollare te e mettersi con lui”. “Che cosa?” sibilò il capo indignato, prima di domandare “Perché diavolo non me l'ha riferito subito?” “Mi ha detto che pensava si trattasse di una provocazione, infatti quel bastardo non si è fatto sentire per giorni. Quattro notti fa però è tornato alla carica. Come avevamo intuito lo ha fatto pedinare per scoprire le sue abitudini, approfittandone al momento opportuno. Se non ci fossimo trovati lì lo avrebbe sicuramente rapito e costretto a collaborare con la forza”. “Questo significa una cosa sola: quel figlio di puttana vuole fregarmi”. “È quello che ho pensato anch'io. Per volere il nostro chimico ha sicuramente intenzione di ampliare il suo mercato sul campo della droga. Dobbiamo assolutamente prendere provvedimenti”. “Già” assentì il moro pensieroso “Che ne hai fatto di Willy?” “L' ho spedito al nostro rifugio fuori città, deve stare nascosto finché non avremo risolto la situazione con Farrell”. “Bene, il caro vecchio Scott ci ha di nuovo dichiarato guerra e noi non possiamo certo deludere il nostro amico”. “Che hai intenzione di fare?” gli domandò Ross. “Di' ai nostri pusher di oltrepassare il confine” ordinò deciso Andrew “Che comincino con i parchi e i campetti nelle zone limitrofe a West Derby Road per poi spingersi verso Everton. Facciamogli conoscere la sensazione che si prova quando qualcuno tenta di fotterti così spudoratamente”. Ross, ricevuti gli ordini, uscì dall'ufficio lasciando il suo capo solo con Noah. “Questa situazione ti diverte?” ruppe il silenzio Orwell. “No”. “E allora che cazzo hai da sorridere in quel modo?” “Stavo solo pensando alla tua reazione” spiegò ancora più divertito Andrew. “La mia reazione? Ma di che stai parlando?” “Adesso che è finita la tregua dovrai trasferirti a casa mia, e mi ero fermato a riflettere su come l'avresti presa”. “Te lo puoi scordare. Ecco come la prendo” dichiarò categorico il ragazzo dai capelli più chiari. “Sta per scoppiare un casino di proporzioni grandiose, come pensi di svolgere il tuo lavoro stando in due case separate?” “Io non mi sposto dal mio appartamento, non ho assolutamente voglia di fare un altro trasloco. Tu fai quello che ti pare”. “Mi stai forse invitando a stare da te?” “Non ti sto invitando, ti sto solo dicendo che se vuoi che ti faccia costantemente da balia devi essere tu a muovere il culo” spiegò Noah tranquillamente, senza abbandonare la sua comoda posizione sul sofà di pelle. “La tua pigrizia sa essere molto irritante”. “Prendere o lasciare, amico, non sono io che sto per cominciare una stupida guerra”. “Bah” sbottò il moro dopo qualche attimo di meditazione “Dopo tutto per me è indifferente, ma sto cominciando a viziarti troppo”. Quelle parole, accompagnate dalla voce insinuante di Andrew, fecero come sempre imbarazzare Noah che, borbottando un insulto incomprensibile, si sdraiò sul divano con le mani intrecciate sotto la nuca, sfuggendo in questo modo allo sguardo divertito dell'altro con la scusa di dormire. Senza preoccuparsi troppo delle conseguenze i Puppets eseguirono fiduciosi gli ordini del loro leader e già dalla sera stessa si riversarono sulle strade del nord, sottraendo metro dopo metro territorio importante ai loro nemici. Nei giorni successivi West Derby, Boundary Lane, Everton Road e le strade limitrofe diventarono scenario di feroci scontri. Il massacro di ragazzini, per la maggior parte ignari di ciò che veniva macchinato alle loro spalle, riempiva le pagine di cronaca cittadina e la bocca dei giornalisti che, spremendo la loro fantasia fino all'ultima stilla, inventavano nomi ed appellativi sempre più coloriti per descrivere quella situazione preoccupante. “È questo che intendevi per 'casino di proporzioni grandiose'?” Come ogni mattina Noah stava sfogliando il giornale davanti alla sua tazza di caffè e dopo l'ennesima notizia di scontri fra gruppi di giovani criminali aveva rivolto quella domanda ad Andrew, appena uscito dalla camera degli ospiti - diventata da pochi giorni la sua. “Mh”. “Mi spieghi che senso ha questa specie di guerriglia fra pesci piccoli? Sono già stati feriti ventitré ragazzi e tre sono addirittura morti” asserì Orwell lasciando cadere il giornale sul tavolo con una certa stizza. “Preferiresti qualcosa di più elegante?” domandò Godwin, sedendoglisi di fronte “Mi dispiace non posso accontentarti, è così che si fa finché siamo costretti a nuotare sul fondo”. “Così come?” “Si colpisce senza regole e senza tregua finché uno dei due è costretto a cedere e a quel punto chi si è dimostrato più debole viene spolpato fino all'osso”. “È in questo modo che ti sei impossessato del territorio che controlli adesso?” “Sono partito da un vicolo che non è nemmeno segnalato nella mappa della città” affermò il moro, lasciando però in sospeso il resto della frase poiché Noah ben sapeva quale era la sua attuale potenza. “Mi hanno detto che Farrell è un osso duro”. “Non ho mai pensato che sarà facile toglierlo di mezzo. La zona che controlla è molto più limitata della mia e anche il numero dei suoi uomini, ma nonostante sembri un inutile damerino è un tipo molto intelligente. Occorrerà soprattutto una buona strategia per sopraffarlo”. “Ne parli come se steste giocando una partita a scacchi” commentò Noah esasperato. “Non è forse così? Vince chi per primo riesce a fare scacco al re, il principio è identico”. “Peccato che le pedine non sono pezzi di plastica, ma ragazzi. D'accordo, molti sono insulsi avanzi di riformatorio, ma sono pur sempre ragazzi, e sai quanti anni aveva l'ultimo che è morto?” domandò spingendo il giornale sotto il naso dell'altro “Solamente dodici!”. “Non mi fare la predica” ordinò con voce tagliente il moro “Non ho costretto nessuno di loro a fare questa vita”. “Oh bene, allora io sono un'eccezione, devo ritenermi onorato?” “Avresti preferito trovarti in fondo al mare con una pietra legata al collo? Avevi visto troppo e non potevo in alcun modo lasciarti andare, lo sai perfettamente, quindi smettila di ripetere le solite cose, comincio a stancarmi sul serio”. “Gran bella giustificazione, avete fatto tutto voi” borbottò Noah e, alzandosi per posare la tazza vuota sul lavello, continuò “Ti aspetto in macchina, muoviti non ho voglia di arrivare tardi a scuola”. “Che stai facendo?” si informò Godwin quando, scendendo in garage, vide l'altro accovacciato accanto alla macchina, intento ad esaminarne la parte inferiore. “Sto controllando che sia tutto a posto”. “L'allarme avrebbe suonato se qualcuno avesse cercato di manometterla, non pensi?” “Nh, il signorino non è cresciuto per strada, non può capire”. Andrew alzò gli occhi al cielo ed esclamò aprendo lo sportello: “Oltre ad essere indolente sei anche permaloso, se avessi saputo prima che avevi tutti questi difetti ti davo sul serio in pasto ai pesci”. Durante il viaggio i due smisero di azzuffarsi, e nonostante le provocazioni del ragazzo più grande Noah non lo prese in considerazione, restando più concentrato del solito sulla strada. “Presto, passa sul retro” ordinò all'improvviso. “Ma cosa?” “Muoviti!” gridò Orwell sterzando in un vicolo secondario, facendo sbandare bruscamente la vettura. “Che accidenti ti prende? Razza di deficiente, volevi rompermi l'osso del collo?” abbaiò Andrew riemergendo dallo stretto vano fra i sedili posteriori e quelli anteriori, dove era caduto a seguito dell'improvvisa manovra di Orwell. “Sta giù” lo spinse indietro l'altro senza la minima gentilezza, prima di rispondere: “I tuoi amici hanno deciso di farci visita questa mattina e se non ho visto male sono armati fino ai denti”. “Ma che dici, non è possibile”. Il lunotto della Classe M che andò in mille pezzi con un secco scoppio fu tuttavia la conferma, piuttosto esagerata, che cercava. “Cristo, sono passati al gioco pesante!” esclamò mentre anche lo specchietto laterale destro saltava “Ma in quanti ci sparano?” “Sono due auto, una è dietro di noi, l'altra ci ha perso quando ho svoltato” affermò Noah, accelerando per quanto la strada transitata da vetture e pedoni gli consentiva “Ma che gli salta in mente di assalirci in questa zona della città, oltretutto a quest'ora del giorno?” “Quando dicevo senza regole e senza tregua pensavi forse che scherzassi?” “No ma… Cazzo!” “Che succede?” “Ecco l'altr…” Entrambi i finestrini posteriori si frantumarono e i vetri piovvero con una certa violenza sulla schiena e sulla faccia di Andrew, graffiandolo in diversi punti. “Sei ancora vivo?” “Sì”. Noah continuò a svoltare di vicolo in vicolo per impedire ai loro inseguitori di prendere bene la mira poi, quando l'orologio digitale sul cruscotto scattò segnando le otto e tredici, gli venne improvvisamente un'idea. “Stai giù e tieniti più forte che puoi, ho trovato il modo per levarceli di torno, sempre se saremo fortunati”. Così dicendo il ragazzo alla guida lasciò l'intricato groviglio di strade secondarie per immettersi in quella principale, zigzagando fra una macchina e l'altra senza preoccuparsi minimamente degli improperi che la gente gli lanciava contro. Quando infine fu in vista del passaggio a livello che cercava gridò al compagno di tenersi pronto e, aumentando ulteriormente la velocità, superò la colonna di macchine forzando senza alcuno scrupolo le sbarre abbassate. Occorsero diversi secondi prima che il treno sfrecciasse velocemente dietro alla Mercedes, ma la distanza che si era accumulata grazie alla guida incosciente di Noah fu sufficiente a far rimanere i loro inseguitori al di là del treno. “Mh, e la gente si ostina a sostenere che i treni inglesi non sono puntuali”. Godwin, tuttavia, non era più in vena di scherzi. “Andiamo alla base”. “E la scuola, sono giorni che…” “Subito” sibilò l'altro perentorio. “Ok ok non ti scaldare. Nh, e poi sarei io quello permaloso”. Appena arrivati in Albany Road, Godwin raggiunse il suo ufficio mentre Orwell ordinò ad uno dei meccanici a loro disposizione di riparare al più presto la sua auto e di trovargli una nuova targa. L'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era di avere problemi con gli sbirri, che di sicuro stavano già girando in lungo e in largo la città, spulciando ogni Classe M che riuscivano a trovare. Quando salì vide Ross uscire dalla stanza del capo e lo salutò con un sorriso tra il beffardo e il divertito: “Wow, hai ancora entrambe le braccia, pensavo che te le avrebbe staccate a morsi”. “È furioso” commentò il vice quasi incredulo “Te lo giuro, non l' ho mai visto in questo stato”. “Immagino che nessuno, da quando è diventato il capo dell'eastside, avesse osato attaccarlo così direttamente”. “Infatti non era mai accaduto. Farrell sta veramente osando troppo”. “Che cosa ti ha ordinato di fare?” si informò preoccupato Orwell. “Per il momento mi ha chiesto di contattare Sid, abbiamo bisogno di armi, non possiamo assolutamente permetterci di restare indietro”. “Adesso sì che inizia il casino vero, eh?” bisbigliò Noah guardando l'amico negli occhi. “Dare armi così potenti a ragazzini deviati non è un casino, è un vero e proprio massacro” lo contraddisse il ragazzo più grande “Se fino a questo momento i notiziari locali hanno parlato di risse e qualche morto, fra un po' di giorni si comincerà a parlare di fiumi di sangue, te lo posso garantire”. “Mh”. “Comunque, sei stato bravo oggi” lo elogiò Ross posandogli una delle sue grandi mani sul capo “Chief mi ha detto che ti sei accorto subito di loro e che nonostante fossero due le auto che vi stavano inseguendo sei riuscito a fregarle entrambe”. “È stata solo fortuna, se non mi fossi ricordato che il treno passa da quelle parti alle otto e quindici a quest'ora saremmo due colabrodo”. “Appunto, sei stato bravo anche per questo”. “Uhm, come mai così gentile?” domandò divertito il ragazzo più piccolo “Hai bisogno d'affetto per come ti ha trattato prima il capo?”. “Anche se fosse, non verrei di certo a chiederlo a te”. “E a chi lo chiederesti?” “Forse fra cento anni te lo dirò” replicò l'altro, altrettanto divertito, mentre si allontanava. “Ma come… Ehi, guarda che sono geloso”. “Piantala di fare il cretino e vai dal capo” tornò nel suo ruolo di vice. “Non ci penso nemmeno, non voglio ris…” “Noah” lo ammonì di nuovo il ragazzo dai capelli rasati. “Agli ordini”. Quando Noah entrò nella stanza di Godwin poté vedere di persona la maschera di rabbia che incrostava la sua espressione, mentre alcune ciocche di capelli celavano in parte il nulla che si era aperto nei suoi occhi. Senza dire niente la giovane guardia del corpo entrò in bagno, prese dal mobiletto accanto alla specchiera disinfettante e cotone e, tornando indietro, si avvicinò con prudenza all'altro, seduto alla sua scrivania. “Se ti volti disinfetto quei graffi” parlò a bassa voce Noah, rimanendo notevolmente sorpreso quando il moro ubbidì senza protestare. Senza preoccuparsi troppo di essere delicato, Orwell passò il cotone imbevuto di antisettico sulla pelle liscia, soffermandosi di più dove il sangue, ormai raffermo, aveva formato una sottilissima crosta. Rimase in silenzio per tutto il tempo che impiegò per terminare quell'operazione poi, appoggiandosi sul ripiano del tavolo a pochi centimetri dalla sedia di Godwin, domandò: “Mi spieghi che razza di reazione sarebbe questa?” Silenzio. “Ti spaventa che gli uomini di Farrell siano già in possesso di armi da fuoco? Oppure non riesci a digerire l'affronto che ti ha fatto?” continuò subito dopo, attirando l'attenzione dell'altro. “Non doveva spingersi così oltre”. “Che intendi per 'così oltre', non sei stato tu a parlare di scacco al re?” “Non si tratta di questo. L'idea di non poter sistemare quel bastardo presuntuoso mi dà la nausea”. “Che significa? Perché non puoi?” “Perché adesso è proprio quello che si aspetta, dopo quest'agguato è scontato che io cerchi di vendicarmi su di lui, è praticamente una regola”. “E tu non intendi rispettarla?” “No. Farrell ha usato questa strategia per distogliere, almeno per il momento, la mia attenzione dal suo territorio” rispose Andrew, spiegando subito dopo “Sa che solamente una trentina dei suoi uomini sono all'altezza dei miei e che non possono competere con loro in uno scontro aperto, per questo ha tentato di farmi la pelle, anche se fossi sopravvissuto avrei impegnato le mie forze contro di lui. Tuttavia ha fatto male i suoi conti, non appena Sid ci avrà fornito le armi che ci occorrono continueremo a spingerci verso nord”. “E cosa penseranno gli altri di questa tua decisione?” “Non lo so, probabilmente che sono un vigliacco e che non ho abbastanza palle per affrontare direttamente il mio nemico”. Ed ecco spiegata tutta la rabbia dell'altro, che a Noah, dopo le sue parole, non faceva più tanta paura. Al contrario, erano proprio quei sentimenti che si agitavano nella mente del ragazzo più grande a tranquillizzarlo, a fargli capire che anche lui era in grado di provare delle sensazioni umane, perché invece trovava a dir poco spaventoso che un diciannovenne riuscisse a pianificare una strategia di attacco così lucida, trenta minuti dopo che qualcuno aveva attentato alla sua vita. “Con la reputazione che ti sei fatto non penso che avrai troppi problemi, qualunque cosa tu faccia” commentò soprappensiero Orwell. “Stai cercando di consolarmi?” “Be', penso di sì, Ross mi sembrava molto spaventato” rispose altrettanto ironicamente l'altro. “Nh, e tu perché non sei spaventato?” “Perché prima o poi ci si abitua anche alle cose peggiori”. “Non mi dire, sono la cosa peggiore che ti è capitata nella vita?” “No, però sei al secondo posto”. “E cosa c'è al primo?” Noah rimase in silenzio con gli occhi fissi in quelli dell'altro, ripensando per un attimo ai suoi genitori, dopodiché afferrò la bottiglietta di disinfettante e si allontanò, eludendo spudoratamente la domanda. “Vado a controllare come procedono i lavori con l'auto, fammi uno squillo se hai bisogno di me”. Il trafficante di armi impiegò meno di quarantotto ore per procurare a Godwin tutti gli articoli che aveva richiesto e, non appena la trattativa con Sid fu conclusa, il capo fece riunire tutti i suoi uomini nella stanza più grande della palazzina, per spiegare loro come sarebbero andate le cose da quel momento. “Sarò breve e chiaro” iniziò il suo discorso “Come sapete i bastardi del nord ci hanno dichiarato guerra ma nonostante gli insulsi trucchi che continuano ad usare per provocarci non riusciranno in nessun modo a distrarci dal nostro unico obiettivo: quello di spazzare via quei maledetti Reapers dalla nostra città una volta per tutte”. Andrew aspettò che gli strepiti di approvazione cessassero poi, posando una mano sulla cassa di legno al suo fianco, continuò: “Qui dentro troverete qualcosa che vi sarà utile per farlo. Si tratta all'incirca di cinquecento Beretta 92S calibro 9 che fra pochi minuti saranno distribuite ad ognuno di voi”. Altri urli, ancora più eccitati ed esaltati dei precedenti, si levarono rimbombando in maniera assordante fra le vecchie pareti della stanza e questa volta, per placare gli animi infiammati di tutti, occorse la voce potente del vice. “Le 92S serviranno a togliere dalla faccia della terra tutti quelli che vi impediranno di allargare il nostro territorio verso nord, ma chiunque di voi abuserà di esse, procurando noie alla banda, sarà considerato alla stregua di un nemico e sarà immediatamente liquidato. Ognuno di voi è utile alla nostra causa, ma tutte le volte che premerete il grilletto ricordate che nessuno è indispensabile. Mi avete capito?” Nonostante la minaccia che avevano appena ricevuto tutti quanti si premurarono di rispondere, chi usando la voce, chi annuendo semplicemente. “Bene, adesso i capi di ogni sezione si presentino da Ross e comunichino il numero di uomini sotto la loro responsabilità, penseranno lui e Zach a consegnarvi tutto e a rispondere alle vostre domande”. Il viaggio di ritorno da Albany Road fu caratterizzato da un opprimente silenzio, che proseguì anche quando i due ragazzi entrarono in casa. “Ehi, dove stai andando, non mangi?” domandò Andrew quando vide l'altro dirigersi verso la sua stanza. “Non ho fame”. “L'uccellino è rimasto sconvolto dalla vista di tante armi?” “Sì” ammise Noah senza alcuna difficoltà, frustrato e arrabbiato per quella situazione decisamente insostenibile per lui “Il pensiero che un branco di criminali adesso giri armato per le strade della mia città con una semiautomatica mi fa semplicemente ribrezzo”. “Non è colpa mia, non ho fatto io la prima mossa”. “Oh, davvero? Allora mi sento più tranquillo!” sbottò sarcastico l'altro. “Piantala, lo sai che non sopporto quando fai così”. “Cazzi tuoi, 'sta sera non sono certo in vena di trastullare il tuo umore” sbraitò Orwell, chiudendosi con forza la porta della propria camera alle spalle. Qualche ora dopo il ragazzo uscì dal suo rifugio con addosso i pantaloni del pigiama ed una pesante coperta posata sulle spalle che gli avvolgeva il torace nudo. “Ma che stai facendo?” chiese Godwin sorpreso, distogliendo lo sguardo dal televisore. “Ho sete” fu l'ermetica risposta dell'altro. “E c'è bisogno di conciarsi in quel modo per prendere un bicchiere d'acqua?” “Fa freddo”. “Ma non potresti indossare il sopra del pigiama, come la gente normale?” “È fastidioso”. “Nh, lasciamo perdere. Vuoi una birra?” “No, torno a dormire”. “Torni?” domandò scettico Andrew “Se veramente stavi dormendo non saresti sceso dal letto nemmeno se fosse andato a fuoco l'appartamento”. “Ok allora torno in camera mia, contento adesso?” “Mi spieghi perché te la prendi tanto per questa storia, tu sei l'ultimo a doversi preoccupare”. “Cristo, hai davvero una faccia tosta incredibile a dire certe stronzate. Ci saranno almeno mille motivi per i quali dovrei preoccuparmi”. “Tipo?” “Tipo che sono la tua guardia del corpo e dopo lo scherzetto che gli farai, quello stronzo di Farrell manderà tutti e trenta i suoi uomini migliori a farti la pelle” prese ad elencare Noah “Tipo che la mia coscienza non è ancora del tutto marcia, e sapere che fra qualche ora i giornali saranno pieni di notizie sanguinarie mi fa incazzare. Tipo che sono preoccupato per quei pochi amici che mi sono rimasti, al pensiero che camminando semplicemente per strada possano imbattersi in uno dei tuoi uomini in caccia. Vuoi che continui?”. Il moro non aprì bocca ma si limitò a fissare la figura slanciata del ragazzo più giovane che, una mano aggrappata ai bordi della coperta per tenerla ferma sul petto, se ne stava in piedi accanto a lui pervaso da tutta la sua indignazione. La voglia di alzarsi, strappargli via quell'assurdo panno di lana dalle spalle e baciargli le labbra atteggiate in un broncio da bambino tradito e spaventato fu talmente violenta e improvvisa che colse impreparato persino Andrew. “Che ti prende?” borbottò confuso Orwell. “Cosa?” “Hai fatto una faccia strana”. “Ma che dici, non ho fatto proprio niente” assicurò l'altro sulla difensiva. “E invece sì ti dico. Per un attimo è sembrato che ti trovassi faccia a faccia con un marziano”. “Io non ho fatto proprio niente, sei tu che sei strano e fai discorsi assurdi al limite del patetico”. Scontato, dopo i pensieri che per un lungo attimo avevano inquinato la sua mente doveva assolutamente trovare il modo di allontanare quel ragazzo pericoloso da sé. “Vaffanculo” fu l'inevitabile replica di Noah che, ancora più arrabbiato, si rifugiò di nuovo nella propria stanza. Andrew si infilò una mano fra i capelli scuri e, sfregandosi con forza la cute, si alzò innervosito dal divano dandosi mille volte dello stupido. La sua vita era già troppo complicata, soprattutto in quel periodo, non poteva nella maniera più assoluta permettersi distrazioni che avrebbero potuto mandare in fumo anni di sacrifici e progetti a lungo termine. Anche se, doveva ammettere, la tentazione cominciava ad essere terribilmente irresistibile. Quando la mattina entrò in cucina Noah si era già alzato ma, al contrario degli altri giorni, il giornale stava perfettamente ripiegato sopra il tavolo mentre lui sorseggiava la sua tazza di caffè bollente davanti alla finestra che dava sul giardino pubblico sul retro del palazzo. “Buon giorno” provò a salutarlo Andrew senza ottenere risposta “Sei ancora arrabbiato?”. L'altro continuò a comportarsi come se non fosse entrato nessuno nella stanza e quando ebbe finito la sua bevanda prese lo zaino e scese in garage. “Sei permaloso come un moccioso” lo apostrofò il capo nel momento in cui lo raggiunse in auto, ottenendo ancora silenzio. “Fa come ti pare, tanto sarai tu il primo a stancarti di questo giochetto”. Godwin cominciava a trovare quella situazione esasperante. Poteva accettare il suo modo di fare un po' infantile, ma tre giorni senza rivolgergli la parola erano indiscutibilmente troppi. “Va bene senti, ti chiedo scusa” dichiarò tutto d'un fiato Andrew, mettendosi a sedere davanti al banco di Noah nella classe completamente deserta “Mi avevi fatto venire in mente una cosa strana e volevo farti innervosire”. Niente. “Mi spieghi perché te la sei presa tanto 'sta volta? Dico sempre qualcosa che ti fa incazzare”. Orwell, imperterrito, restò chiuso nel suo mutismo ma, prendendo a dondolare sulle gambe posteriori della sedia, fissò gli occhi di ambra scura in quelli dell'altro. Le scuse di Andrew lo avevano effettivamente colpito; molto probabilmente, da quel poco che aveva capito di lui, aveva assistito ad un evento più che raro e non sapeva come comportarsi. Fu però il moro a decidere per lui perché, afferrandolo con entrambe le mani per il colletto della giacca, lo trascinò bruscamente verso di sé, sbottando: “Vuoi smettere una buona volta di farmi perdere tempo!” Quelle parole furono come benzina e andarono ad alimentare la rabbia del ragazzo più giovane che, strappando da sé le mani dell'altro, si alzò per allontanarsi da lui. Tuttavia non riuscì nemmeno a fare un passo perché il moro lo bloccò e, mandando in malora tutti i propri buoni propositi, si impadronì delle sue labbra. Noah a quel contatto allontanò la testa come una molla e rimase a fissare l'altro con un'espressione stranamente indecifrabile impressa sul volto: Godwin lo stava deliberatamente sfidando e lui non si sarebbe lasciato sopraffare. Pochi secondi dopo si ritrovò a spingere il ragazzo dai capelli di pece contro la parete dell'aula, incatenando la sua bocca con un bacio pericolosamente intrigante per entrambi. “Allora serve anche a qualcosa di utile”. “Cosa?” chiese Andrew lievemente frastornato. “Questa stupida bocca” rispose Orwell tornando a baciare il compagno. Per quanto inesperto fosse doveva far capire all'altro che non era una ragazzina, quei trucchetti non lo impressionavano minimamente. Molti minuti più tardi, dopo che più volte i ragazzi si erano alternati nel controllo del bacio, fu la volta di Godwin separarsi dall'altro e con il suo tipico ghigno, un po' crudele, un po' beffardo, mormorò: “Se avessi saputo che bastava così poco per ammansirti non avrei perso tanto tempo a cercarmi una polizza assicurativa”. “Non montarti troppo la testa, Chief” replicò altrettanto pungente Noah “Per ammansirmi in quel senso avresti dovuto darmi molto di più”. Il caos che Orwell si era immaginato non fu minimamente paragonabile all'effettivo tumulto che si scatenò nei bassifondi della città. La vendetta dei Mad Puppets si ripercosse sui loro nemici con un'onda d'urto spaventosa che, grazie anche all'effetto sorpresa, in poche settimane ridusse il loro territorio ad una manciata di isolati. Nei giorni a seguire i Reapers tentarono di recuperare terreno con vere e proprie azioni di guerriglia. Fecero dunque incursioni improvvise nei luoghi in cui si riunivano tipicamente i loro rivali e terrorizzarono i negozianti dei quartieri più degradati, distruggendo o addirittura incendiando i loro locali, al fine di farsi rivelare il covo nemico, ma fu tutto inutile poiché Godwin, prima ancora del micidiale attacco, aveva organizzato una difesa impenetrabile che copriva il confine e tutti i punti nevralgici del suo territorio. Inoltre - e forse era proprio questa la sua vera forza - per ogni uomo che i Reapers eliminavano, Andrew ne aveva almeno due pronti a prendere il suo posto. La polizia in tutto questo era entrata completamente nel panico, nel giro di pochi giorni aveva visto aumentare la criminalità quasi del doppio e le piste su cui indagare erano praticamente inesistenti. Gli investigatori sapevano perfettamente a chi attribuire la colpa, ma gli abitanti degli isolati colpiti non collaboravano per paura di possibili ritorsioni. A coloro che indagavano su quella serie di reati dunque non restava altro che qualche ragazzino finito per sbaglio nelle loro mani, quasi sempre ignaro di quello che stava accadendo o, nel peggiore dei casi, già troppo insensibile per cedere alle allettanti proposte degli sbirri e che per questo motivo preferiva finire dritto in riformatorio, piuttosto che confessare i nomi di chi si celava dietro a quella specie di guerra urbana. Ross entrò nell'ufficio del capo spalancando la porta con più vigore del solito. “Le informazioni che ci hanno fornito gli ostaggi erano esatte” annunciò con un tono lievemente esaltato “Abbiamo preso la loro sede principale”. “Farrell?” “Sparito, come avevamo previsto non c'era più nessuno, ma in compenso il loro magazzino era decisamente ben fornito”. “Bene, questo ci consentirà di rafforzare le nostre entrate e riprendere un bel po' di fiato” constatò soddisfatto il moro “Senza contare che Farrell impiegherà qualche settimana per riorganizzarsi, dando anche a noi il tempo di prepararci al prossimo scontro”. “Mh” assentì il vice “Finalmente ti deciderai a tornare a casa, sono praticamente tre giorni che non dormi”. “Non mi sembra che tu abbia dormito molto di più” commentò l'altro spegnendo il notebook. “Dov'è Noah?” “Di sotto con gli altri”. “Cosa?!” domandò incredulo Ross. “In questi giorni penso che preferisca addirittura la compagnia dei Gemelli, piuttosto che rimanere coinvolto in questa storia”. “Perché non gli hai ordinato di…” “Non posso” lo interruppe il moro. “Che cazzo significa?” “Non posso e basta”. Ross non aggiunse altro, ma il suo sguardo fu più eloquente di mille discorsi. “Hai qualcosa da dire, per caso?” lo esortò l'altro. “Troppe, ma te ne dico solamente una: stai attento, ok?” “Nh, me ne vado”. “Ci vediamo, Chief”. Godwin trovò Noah al secondo piano, disteso in disparte su uno dei tanti giacigli e addormentato. O, almeno, era quello che voleva fare credere agli altri, perché non appena sentì qualcuno avvicinarsi aprì gli occhi di scatto. “Lo trovi più comodo del mio divano?” lo sfotté immancabilmente Andrew. “No, ma la musica qui è decisamente migliore”. “Andiamo a casa”. “Hai finito?” domandò sorpreso Orwell. “Sì, almeno per il momento”. Noah si alzò senza farselo ripetere, scortando il capo alla macchina. Come ogni volta, da quando erano stati sorpresi la mattina di alcune settimane prima, cambiò percorso per raggiungere Park Lane. Quella sera decise di scendere per Mason Street, svoltando poi sul lungo viale di Oxford Street. Alla loro destra videro sfilare l'università di Liverpool, poi svoltando in Hope Street si lasciarono alle spalle l'avveniristica Metropolitan Cathedral ed andarono incontro all'altra grande cattedrale della città - quella anglicana decisamente più monumentale e tradizionale. “Avresti un futuro come guida turistica” ruppe il silenzio il ragazzo dai capelli più scuri “Ho visto più cose di Liverpool con te in quindici giorni che in tutta la mia vita”. “Vuoi scherzare!” se ne uscì Noah offeso “Quelle conoscono solo un paio di strade, se le metti fuori dai Docks si perdono subito”. Giunti a casa, Godwin si lasciò cadere distrutto sul divano mentre Orwell corse in bagno per una doccia: doveva prima di tutto lavare via l'odore di fumo e di chiuso che inevitabilmente gli era rimasto addosso dopo tre giorni trascorsi in quel posto squallido. Quando una ventina di minuti dopo tornò in soggiorno frizionandosi i capelli bagnati con un piccolo asciugamano, Noah raccolse il pacchetto di Pall Mall sopra il tavolo e si accese subito una sigaretta sotto lo sguardo attento del compagno. Non gli disse niente, sebbene non riuscisse a capire il motivo di quel suo modo di fare, ormai si era abituato a quegli occhi neri che sempre più a lungo restavano fissi su di lui. “Hai fame?” domandò invece aspirando una lunga boccata di fumo. “Sì, ordina una pizza”. “Ok, ma apri tu quando vengono a portarla, io ho da fare”. Il ragazzo si chiuse nella sua camera, uscendo solo una trentina di minuti dopo quando Andrew lo chiamò. Entrambi si misero a mangiare in soggiorno davanti alla tv sintonizzata su Sky per vedere la partita di Champions League. “Non pensavo ti piacesse il calcio” esclamò Orwell stupito dall'attenzione che l'altro prestava al gioco. “Un tempo giocavo persino nella squadra della scuola, ora come vedi non ho più molto tempo”. “Mh, roba da non credere”. “Tu invece non mi sembri molto ferrato” constatò Andrew. “No, infatti, preferisco il rugby”. Per il resto della cena i ragazzi continuarono a parlare dei loro interessi, non solo sportivi, e forse per la prima volta da quando si erano incontrati si comportarono veramente come una coppia di amici. “Io non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere” dichiarò Noah incredulo, pulendosi le mani con un tovagliolo di carta. “E invece è successo veramente” assicurò subito l'altro “Ma se lo dirai a qualcuno ti uccido con le mie mani”. “Ma come si può fare una cosa del genere è, è semplicemente inconcepibile”. “Stronzate, al mio posto avresti fatto la stessa cosa” garantì Andrew convinto. Noah rimase a riflettere qualche secondo, prima di dichiarare: “Be', in effetti per un concerto dei Rolling Stone, questo ed altro. E tua madre non disse niente?” “Scherzi, si divertì come una matta a fare in modo che somigliassi il più possibile a lei. Riesco ancora a vederla piangere per il troppo riso mentre era affaccendata a stendermi il fondotinta sulla faccia”. “Ma tuo padre non poteva cambiare il nominativo del biglietto?” “No, erano un omaggio della ditta per cui lavorava e avevano un nome proprio perché potevano utilizzarli solamente i dipendenti e i loro consorti”. “Certo che avrei proprio voluto vederti vestito da signora Godwin” scoppiò a ridere il ragazzo più giovane. “Fortunatamente all'ingresso non controllavano i documenti altrimenti non mi avrebbero mai fatto entrare” continuò l'altro sorridendo a sua volta. “Che storia” commentò ancora non del tutto convinto Noah “Mi spieghi come cazzo hai fatto a diventare così stronzo se sei cresciuto in una famiglia tanto divertente?”. Il sorriso sulle labbra di Andrew morì all'istante; in silenzio prese i piatti su cui avevano mangiato le loro pizze e li portò in cucina, facendo intendere piuttosto chiaramente che quello non era un argomento gradito del quale era disposto a parlare. “Mi dispiace” dichiarò Orwell non appena l'altro tornò in soggiorno “È stata una domanda davvero poco intelligente, non volevo metterti in imbarazzo”. Andrew rimase piuttosto colpito dalle scuse di Noah e dal suo sincero rimorso, e si affrettò a sdrammatizzare: “Mh, per questa volta eviterò di ordinare ai miei uomini di toglierti di mezzo”. L'altro sorrise per quella battuta, ma si fece subito serio nel dire: “A proposito, scendo un secondo a parlare con loro”. “Perché?” “Prima, arrivando, ho notato che hanno lasciato scoperto un tratto di strada dietro il palazzo” spiegò un po' seccato “Qualcuno da lì potrebbe entrare facilmente nei giardini pubblici e aggirare non visto l'edificio, devono stare più attenti”. Orwell non rimase a lungo fuori casa, ciononostante quando fu di ritorno trovò Andrew addormentato sul divano. Non ne fu molto sorpreso: negli ultimi giorni non aveva quasi dormito per scoprire dove poteva essere ubicata la base dei Reapers e per organizzare il suo assalto, era quanto meno ovvio che ora cedesse alla stanchezza e alla tensione accumulata, pensò, coprendolo con la coperta che aveva trovato sulla poltrona, ancora arruffata dall'ultima volta che l'aveva usata. Spegnendo la luce, Noah si ritirò in camera, ma l'immagine del compagno restò immobile nei suoi pensieri. Era bello. La bellezza di Andrew, forse, si poteva solamente paragonare alla sua pericolosità e questa cosa spaventava Orwell a morte. Inoltre, la sua intelligenza molto spesso squilibrata, la sua crudele indifferenza di fronte ai crimini più gravi, la sua irrefrenabile sete di potere in quel mondo malavitoso - che invece soffocava il ragazzo più giovane come uno stretto cappio intorno al collo - lo rendevano del tutto insicuro dei propri sentimenti. La sua ragione, infatti, scalpitava furibonda e si adoperava costantemente affinché l'interesse per quella strana quanto affascinante creatura restasse semplicemente un impulso di curiosità verso qualcuno tanto diverso da lui e non si trasformasse mai in qualcosa di più profondo e rischioso. Ma diventava ogni giorno più difficile. La mattina seguente il moro fu svegliato da una secca imprecazione pronunciata a mezza voce dalla sua guardia del corpo, scottatasi accidentalmente con il caffè che stava preparando. Lasciandosi avvolgere dal confortante profumo di pino selvatico che la coperta emanava e che richiamava l'odore del bagnoschiuma che era solito usare il suo proprietario, Godwin rimase in silenzio ad osservare Noah in ogni suo singolo movimento. Quell'attività, aveva scoperto da quando stava in casa con lui, era più rilassante di un Valium. Per l'esattezza non sapeva spiegarne il motivo, ma di certo la sicurezza che dimostrava in ogni sua azione, da quella più pericolosa a quella più quotidiana - come prepararsi la colazione, appunto - e la salubrità che si rispecchiava in tutti gli aspetti del suo carattere erano motivazioni molto importanti che incatenavano come mastice gli occhi e l'attenzione del moro. Andrew, nel vedere come l'altro continuava ad agitare la mano scottata mentre imperterrito finiva di prepararsi la colazione, si alzò senza fare rumore, avvicinandosi lentamente al ragazzo con i capelli più chiari ancora un po' arruffati. “Buongiorno, non ti avevo…” Il saluto di Noah si interruppe bruscamente e le sue guance andarono a fuoco quando sentì l'altro afferrargli la mano per portare la parte lesa alle labbra che, dischiudendosi leggermente, fecero spazio alla lingua affinché accarezzasse con calma quella porzione di pelle calda. “Che, che cosa fai?” lanciò un grido strozzato Orwell, ritirando di scatto la mano. Andrew non rispose ma, approfittando dello smarrimento del compagno, lo imprigionò contro il mobile della cucina per strappargli un bacio profondo, decisamente diverso da quello che gli aveva rubato a scuola. “È tutta colpa del tuo modo di fare” spiegò Godwin, separandosi dall'altro “Sei tu che mi costringi a comportarmi così”. “Tu mi avevi assicurato che non ti interessavano i ragazzi” sibilò Noah indurendo lo sguardo e la voce: era per questa convinzione che si era permesso di giocare con lui giorni prima. “Mi dispiace, ma non mi risulta” lo contraddisse il compagno “Sono certo di averti detto che al momento non mi interessava questo genere di cose, ma non abbiamo mai discusso delle mie preferenze sessuali”. “Be', fa lo stesso. Se ti è tornata voglia di ragazzi va dal tuo amico Flash e fattene procurare uno, ma lascia stare me”. “È questo il problema” asserì Andrew insinuante “Non mi è tornata voglia di ragazzi, mi è venuta voglia di te”. “Non dire stronzate” gridò il più piccolo “Se credi che mi lasci prendere per il culo tanto facilmente sei proprio fuori strada” proseguì sempre più arrabbiato “Che cazzo può desiderare un tipo come te da uno come me, insignificante nell'aspetto e negli ideali?” “Soffri per caso di complesso d'inferiorità?” domandò acido il moro. “Tsè, nemmeno nei tuoi sogni mi sentirei inferiore a te, stronzo!” “E allora perché ti scaldi tanto?” “Perché non voglio che un pazzo come te mi tocchi. Sei troppo vuoto per provare dei sentimenti ed io non intendo sprecare i miei per te!” “Allora è questo?” chiese Andrew, gli occhi scuri resi vivi dalla comprensione “Ti stai innamorando di me e temi che io sfrutti i tuoi sentimenti per farti del male?”. Era quello che pensava Noah da un bel po' di tempo senza però riuscire ad accettarlo, ma ascoltare quelle parole, dette con tanta leggerezza, dal diretto interessato, lo fece sentire scoperto e vulnerabile. La reazione dunque fu immediata: con forza afferrò l'altro per la camicia che ancora indossava dalla sera precedente e facendogli piegare violentemente la schiena lo inchiodò al tavolo della cucina. “Non cercare più di sfiorarmi” gli intimò, sopraffacendolo con il suo corpo e tutta la sua collera. “È difficile per un animale come te mantenere il controllo, ma vedi di sforzarti se non vuoi finire male”. Dopo quella minaccia Orwell lasciò la presa e, incurante delle proteste dell'altro, andò a rifugiarsi come sempre nella sua stanza. Un rumore insolito proveniente dalla finestra attirò subito la sua attenzione e rimase di sasso quando, alzando la testa dal cuscino che teneva stretto per trattenere la collera, vide Andrew sul cornicione mentre colpiva ripetutamente il vetro. “Ma sei scemo!” strepitò aprendo un'anta “Ti sei dimenticato che siamo all'ottavo piano?” “Occorre sempre qualcosa di plateale per attirare l'attenzione dei bambini capricciosi” borbottò il moro entrando nella stanza “Ti stavo chiamando, perché non mi hai aperto la porta?” “Forse perché non volevo parlare con te?” Godwin proprio non riuscì a tollerare quel tono acido rivolto verso di sé, era qualcosa che faceva contorcere il suo stomaco di rabbia; colpì Noah con un pugno in piena faccia, facendolo sbilanciare e cadere per terra. “Ti ho detto mille volte di non parlarmi con quel tono” chiarì sempre più esasperato, prima di continuare “E poi mi spieghi che cazzo era la sceneggiata di prima?” “Era un avvertimento” rispose Orwell rialzandosi dal pavimento. “Per cosa? Pensi davvero che non sia in grado di provare sentimenti?” “Sì, dopo tutto quello che ho visto perché dovrei pensare il contrario, su cosa dovrei basare la mia fiducia in te?” lo sfidò Noah, trafiggendolo con uno sguardo duro. “Sul serio non la vedi?” bisbigliò Andrew con la voce lievemente incrinata dalla tristezza “Non riesce a percepire la differenza di come sono con te e di come invece mi comporto con gli altri?” Orwell strinse i pugni dentro le tasche dei jeans e, distogliendo gli occhi dall'altro, mormorò: “Nemmeno un cieco riuscirebbe a non notarla”. “E non conta niente per te?” “Non lo so” confessò sinceramente il più giovane “Io sento qualcosa, però ho anche paura: di te, di questo tipo di vita, di tutte le persone che hanno lasciato la pelle in una guerra che ancora non riesco a capire. Sono sicuro che non mi abituerò mai a tutto questo”. Gli occhi lucidi di Noah lo colpirono come un calcio violento sullo stomaco poiché, nonostante l'orgoglio non gli avrebbe consentito di lasciarsi andare oltre, il moro sapeva che per essere arrivato a quel punto dentro di lui doveva animarsi un doloroso turbamento. “Io non ho qualità da mostrarti, né azioni degne di lode da usare come prova del mio onore, ho solo una coscienza lurida e un passato di cui mi vergogno” parlò deciso Godwin “La mia follia sta nel fatto che faccio qualunque cosa pur di raggiungere i miei obiettivi ed è ancora per egoismo che voglio te e non uno dei ragazzi di Flash, per sentirmi un po' meno sporco e un po' più vivo”. Noah rimase completamente ammutolito da quelle parole del tutto inaspettate e sconcertanti. “Non posso dirti molto di più” continuò allora il ragazzo più grande “Sono certo che farò ancora cose che ti disgusteranno, che commetterò ancora molti crimini, forse sempre più gravi, ma volutamente non farò mai qualcosa che ti farà del male, per questo ti chiedo di accettarmi così come sono e di restare ancora con me, qualunque cosa accada. Vuoi?” Orwell esitò per diversi minuti, combattuto ancora fra la paura e i suoi sentimenti, infine si decise a parlare: “Va bene, ti darò una possibilità. Ma…” interruppe sul nascere il sorriso dell'altro “ad una condizione”. “Mh, te lo ha mai spiegato nessuno che si possono accettare richieste senza dover per forza imporre delle limitazioni?” “Sì, ma tu mi fai sempre proposte svantaggiose, non sono uno scemo!” “Sentiamo”. “Voglio che tu mi lasci la possibilità di convincerti ad abbandonare questa città e questo modo di vivere” dichiarò Noah “Se mi assicuri che considererai sinceramente anche questa possibilità per il tuo futuro e non soltanto ipotesi di reati, allora resterò con te”. “Non è facile abbandonare questa strada una volta che si è intrapresa” mormorò Andrew incerto “E non solo per i numerosi pericoli che la fuga comporterebbe, ma anche perché dopo un po' che si percorre diventa il tuo unico modo di essere”. “Lo so, ma per conquistare la mia fiducia devi per lo meno dimostrarmi che non godi come i Gemelli nel vedere la gente soffrire e che se ti offrirò la possibilità di cambiare, avrai il coraggio di afferrarla”. “…” “Non sono un santo, Andrew, e come ben sai nemmeno così altruista. Stare con te significherà fare quotidianamente a pugni con la mia coscienza, e rischiare di andare fuori di testa per i sensi di colpa. Non m'interessa, posso anche scommettere su questa cosa, ma tu dovrai fare altrettanto”. “Sei sempre tu che alla fine mi mette alle strette” commentò il moro fingendo fastidio. “Non accettare solamente per farmi rimanere” lo dissuase all'istante Noah “Mi farebbe incazzare più ancora di un tuo rifiuto”. “Va bene, allora dammi un po' di tempo per pensarci, una cosa del genere non mi era mai passata per la mente”. “D'accordo, non ho fretta” rispose l'altro dirigendosi alla porta “Adesso vado a prendere il caffè, che per inciso dovrò scaldare di nuovo a causa tua”. La momentanea tregua si trascinava ormai da una settimana, i crimini erano rientrati sotto il livello di guardia e i Reapers - Farrell in primis - si erano come volatilizzati. “Dopo fermati alla stazione di Lime Street” stabilì Godwin di ritorno dalla base con Noah “Devo controllare a che ore arriverà domani l'intercity di Willy”. “Lo avete richiamato?” “Sì, la situazione ora è più o meno sotto controllo e dopo domani arriverà altra merce da Stokes”. “Ma non c'è nessun altro in grado di svolgere il suo lavoro?” “Improbabile, quel ragazzo a volte sa riconoscere la qualità della merce con una semplice occhiata”. “Ma allora perché non lavora con Stokes o con il Boss?” “Perché è grazie ai miei finanziamenti che ha potuto terminare gli studi e per questo mi è piuttosto riconoscente”. “Si rende conto almeno che non lo hai fatto per un misericordioso slancio di generosità?” “Non saprei, lui non è cinico come te” ironizzò Andrew “Vive in un mondo tutto suo fatto di reazioni e lunghe catene molecolari”. “Peccato che il prodotto del suo divertimento distrugga i cervelli di un terzo della popolazione”. “Questo è un altro discorso”. “Lasciamo stare” commentò Orwell, entrando con l'auto nel parcheggio sul lato destro della stazione. Percorrendo solo pochi metri prima di svoltare in Lime Street, i ragazzi si trovarono di fronte l'imponente facciata della stazione che con le sue guglie e le sue cuspidi richiamava uno stile gotico, che fece storcere il naso al moro. “Che c'è?” domandò l'altro, non riuscendo a giustificare quella reazione. “Penso che Liverpool sia l'unica città inglese che ha una stazione che sembra una cattedrale del Trecento ed una cattedrale che invece potrebbe essere scambiata per uno Shuttle”. “Se consideri che è più vecchia la stazione della cattedrale. Ma poi che ti importa, da quando ti interessi tanto all'arte?” “È più forte di me, non posso fare a meno di pensarci quando mi fermo a guardarla. E per tua informazione” continuò piccato “io sono un grande appassionato d'arte, dopo storia è la mia materia preferita”. “Davvero? Ed io che pensavo studiassi solamente diritto per conoscere meglio il nemico”. “Mh, sei spiritoso quanto un sasso in una scarpa” sbottò il ragazzo più grande entrando in stazione. All'interno l'aspetto artistico della facciata era del tutto soppiantato da quello funzionale, e la stazione diventava simile a tante altre con i suoi negozi, i suoi cartelloni pubblicitari e i grossi orologi, sormontati da un lungo soffitto a volta di pannelli trasparenti sostenuti da una massiccia armatura di ferro. “Ci fermiamo qui a mangiare?” propose Andrew adocchiando uno dei fast-food. “Per me va bene” accettò l'altro guardandosi in giro. I ragazzi cenarono tranquilli, discorrendo come due amici qualsiasi, dopodiché si recarono alla biglietteria per controllare l'orario che interessava loro. “Dovrebbe arrivare…” “Ok, siamo nella merda!” Fu la brusca esclamazione di Noah che interruppe il compagno. “Che ti prende?” “Guardati intorno”. “Cristo!” Sei uomini di Farrell stavano piantonando l'uscita della biglietteria e guardavano soddisfatti i due ragazzi che, secondo le loro ottimistiche previsioni, sarebbero finiti dritti in trappola. “Che stronzo sono stato!” eruppe Orwell furioso con se stesso “In una situazione come questa era scontato che tenessero sotto controllo la stazione principale”. “Che possiamo fare?” Noah si guardò furiosamente intorno e nel momento in cui vide un cartello con su scritto “Ai binari 7-9” posto sopra l'entrata di un sottopassaggio, disse: “Le scale alla nostra destra portano alla piattaforma aperta, se ci muoviamo fra la folla possiamo ancora sperare di uscire da qui con un treno”. “Va bene, andiamo”. I ragazzi si incamminarono verso la direzione stabilita e naturalmente gli uomini di Farrell si spostarono con loro tenendoli costantemente d'occhio. Aumentando gradualmente l'andatura, Andrew e Noah arrivarono in vista dei treni e, sentendo il fischio di un capotreno, il secondo gridò: “Corri dobbiamo assolutamente prenderlo al volo”. Entrambi iniziarono a correre, ma il tratto di stazione che li separava dal treno in partenza sembrava non finire mai. Quando finalmente arrivarono le porte si erano già chiuse e il locomotore aveva già iniziato a muoversi; tuttavia, senza farsi prendere dal panico, Orwell tirò una manata al pulsante verde posto accanto all'entrata e lo sportello si aprì con rassicurante facilità. “Sali, salii!” Fu l'urgente incitamento di Noah. Il ragazzo più grande non esitò un attimo a saltare sul treno, imitato subito dopo dall'altro, ma nel momento in cui Orwell mise piede sul primo gradino quattro mani robuste lo afferrarono da dietro trascinandolo di nuovo a terra. “Noaah” gridò incredulo Andrew, il quale aveva assistito, impotente, alla scena. Senza nemmeno riflettere afferrò la leva del freno d'emergenza, ma fu costretto a lasciarla quando sentì la voce perentoria della sua guardia del corpo che gli ordinava di non scendere nella maniera più assoluta. Il treno stava prendendo sempre più velocità e stava per uscire completamente dalla stazione. Ciò nonostante, prima che la porta si sbloccasse e tornasse al suo posto, il moro riuscì a vedere i subordinati di Farrell colpire violentemente Noah alla testa, facendolo cadere svenuto. La disperazione invase la mente di Godwin che, del tutto svuotato, si lasciò scivolare per terra, appoggiando la fronte contro i pugni serrati fino allo spasimo per la frustrazione di essersi salvato a discapito dell'incolumità dell'altro. Fu nel momento in cui si accorse che il treno stava per lasciare la città che Andrew riacquistò tutto il suo autocontrollo e afferrando la stessa leva di prima la tirò con più forza del necessario, quasi come se la tempestività della frenata dipendesse dalla sua mano, producendo immediatamente uno stridio acuto e un brusco arresto che lo mandò a sbattere contro una delle pareti dello stretto abitacolo. Prima ancora che il treno si fosse fermato del tutto il ragazzo aprì meccanicamente la porta e, saltando a terra con agilità, corse via senza essere visto dagli altri passeggeri. Il ragazzo di guardia alla porta della base segreta si agitò quando inaspettatamente si ritrovò davanti il suo capo: non lo aveva mai visto così sconvolto. “Chief ma, ma che è successo?” “Dove è Ross?” domando Andrew sbrigativo. “Se n'è andato da qualche minuto”. “Richiamalo e digli di tornare immediatamente indietro”. “Agli ordini”. Poco tempo dopo il vice entrò precipitosamente nell'ufficio di Godwin. “Che è successo?” “Ci hanno attaccati di nuovo, questa volta alla stazione principale”. “Dov'è Noah?” si informò subito il ragazzo più robusto. “Lo hanno preso” bisbigliò flebilmente l'altro con la voce quasi irriconoscibile. “Merda” esplose sbattendo violentemente la mano sulla scrivania “Ma come è accaduto?” Andrew raccontò tutto quello che era successo e concluse: “Dobbiamo tirarlo subito fuori da questa situazione, il prima possibile”. “Farrell potrebbe tenderci una trappola”. “Non glielo lascio, Ross, anche a costo di rivoltare tutta la città, rivoglio indietro Noah”. “Andrew” lo chiamò per nome l'altro - come raramente avveniva - “Potrebbe essere già morto”. “Potrebbe anche non esserlo” rispose deciso il capo “E finché non ne avrò la certezza, farò tutto il possibile per trovarlo. O hai forse qualcosa da obbiettare?”. “No”. “Bene, richiama tutti alla base e falli radunare al secondo piano, mi serve ognuno di loro”. Un'ora dopo tutti gli uomini erano riuniti e pronti ad eseguire gli ordini del loro capo. “Da questo momento voglio che interrompiate tutte le vostre attività” impose secco, andando dritto al nocciolo della questione. “Poco più di un'ora fa Orwell è stato rapito dai tirapiedi di Farrell ed io voglio che voi lo cerchiate perlustrando ogni vicolo di questa città. Riceverete una ricompensa adeguata per ogni informazione utile che mi riferirete e chi mi saprà dire dove lo tengono nascosto riceverà un compenso di cinquecento sterline. Chiaro?” Un' ondata di agitazione si infranse fra i presenti e un brusio concitato si levò a testimoniare quanto fosse gradita quella notizia. “Se avete capito tutto andate, non dovete perdere nemmeno un secondo”. Sbattendo molto lentamente le palpebre, Noah riuscì ad aprire gli occhi; tuttavia, inspirando quanta più aria possibile, si affrettò a richiuderli per evitare che le pareti, appena rischiarate dalla luce che penetrava a fatica attraverso la stretta fessura fra la porta ed il pavimento, si rovesciassero su di lui schiacciandolo. Immerso ancora una volta nell'oscurità, la stanza cessò di vorticare con tanta violenza ed Orwell fu in grado di controllare il devastante senso di nausea che, partendo dalla sua testa, arrivava fino allo stomaco, strizzandoglielo come un bambino dispettoso si diverte a strizzare un cubetto di plastilina. Diversi minuti dopo, quando il malessere gli sembrò parzialmente attenuato, provò di nuovo e questa volta le pareti rimasero al loro posto, tuttavia la luce era troppo debole per riuscire a vedere qualcosa così si concentrò su ciò che poteva percepire. Era seduto per terra, caviglie e polsi erano legati assieme da spesse corde e le braccia erano imprigionate sopra la sua testa, fissate con particolare cura al muro, al contrario delle gambe lasciate libere sul pavimento. Si mosse adagio, provando a forzare le corde che gli tenevano bloccati gli arti superiori, ma senza convinzione, più per sentire quanto fossero strette che per tentare sul serio di liberarsi. Noah aveva perso troppo sangue ed era troppo stanco per riuscire a mettere in pratica un qualsiasi piano di fuga, anche il solo pensare gli provocava fitte alla testa e nel resto del corpo. “Cazzo!” imprecò, accasciandosi completamente privo di forze. La situazione si era messa molto male. Nemmeno lui sapeva dove lo avessero portato, Godwin avrebbe impiegato giorni per trovarlo, sempre che avesse deciso di andarlo a cercare. Il ragazzo sorrise, dandosi mentalmente dello scemo: Farrell, attaccando così spudoratamente il suo rivale, aveva di nuovo esagerato e questa volta l'orgoglioso capo dei Mad Puppets non si sarebbe fermato di fronte a niente pur di punire una simile insolenza. “Fai in fretta”. Immerso nell'oscurità, stordito dalla debolezza ed ipnotizzato da quello che sembrava il fruscio del mare e dall'inquietante ticchettio provocato dalle gocce di sangue che dalla rozza fasciatura sul suo fianco - ormai satura di quel liquido denso - precipitavano a terra, Noah stava per scivolare nuovamente nell'incoscienza. A riportarlo indietro fu l'avvicinarsi concitato di alcuni passi e il tonfo sordo della porta che si spalancava, lasciando entrare il suo sequestratore e una valanga di luce che ferì gli occhi pesti del ragazzo. “Ti sei ripreso velocemente” constatò il capo dei Reapers con una nota di disappunto “Devo desumere che i miei uomini sono stati troppo teneri nell'ultima seduta?”. La prima volta che Noah si era trovato di fronte Farrell, qualche giorno prima, non era riuscito a trattenere un sorriso divertito. Molto spesso aveva sentito Andrew accostare l'appellativo damerino al suo nome e vedendolo per la prima volta con i suoi occhi ne aveva compreso perfettamente la ragione. Nonostante la situazione di emergenza in cui si trovava indossava un completo grigio cenere dal taglio perfetto e una cravatta della stessa identica tonalità del vestito, le scarpe italiane erano lucidissime e i capelli biondi erano pettinati all'indietro con una cura maniacale. Sembrava un boss in miniatura ed Orwell, paragonandolo ad una bimba che indossa i vestiti della madre per sembrare più grande, lo aveva trovato semplicemente ridicolo. Quella mancanza di rispetto tuttavia gli era costata un trattamento completo da parte degli uomini di Farrell e una dimostrazione sulla propria pelle di quanto potessero essere affilate le falci del nord. “Allora, ti sei deciso a parlare?” lo incalzò Farrell, trattenendo a stento la collera e l'ansia che gli serpeggiavano in testa. “Ti avverto, questa è la tua ultima possibilità”. Noah rimase in silenzio proprio come aveva fatto da quando era stato rapito. “Come vuoi. Le gambe!” ordinò secco ai due bestioni che erano con lui. Visibilmente spaventato Noah si tirò le gambe al petto e, stringendo a pugno le mani, cercò di richiamare le ultime forze per lottare contro i due boia. Fu però tutto inutile, nonostante il suo agitarsi ed il suo scalciare impacciato i due riuscirono a bloccarlo e ad eseguire l'ordine del loro capo facendo urlare il prigioniero con quanto fiato aveva in gola. Farrell scoppiò a ridere soddisfatto dallo spettacolo e di nuovo pose la domanda che da giorni continuava a ripetere al collaboratore di Godwin: “Dove si trova la base del tuo capo?” “Fottiti bastardo!!” continuò ad urlare Noah per cercare di sfogare in qualche modo il dolore e la rabbia che aveva in corpo. “Va bene hai vinto tu, mi arrendo” ammise il biondo con un tono sicuro che smentiva le sue stesse parole “Non ti farò più toccare, però che ne dici di cambiare stanza?” Orwell, concentrato sul feroce pulsare delle gambe rotte, non lo stava nemmeno ad ascoltare, ma sgranò gli occhi in preda al terrore quando venne a sapere che cosa aveva in mente il suo nemico. “Vedo che l'idea ti piace, allora è deciso, rimarrai nella cella frigorifera finché non ti si saranno rinfrescate per bene le idee”. Bastò un cenno e gli energumeni si mossero in fretta per eseguire l'ultimo crudele ordine del loro capo. Per un'intera settimana Godwin non si era allontanato dal suo ufficio. Voleva essere sempre pronto a ricevere le ultime notizie dai suoi uomini, che senza sosta si erano riversati per le strade della città domandando, minacciando, pestando pur di ottenere anche la più piccola informazione. “Ci siamo capo” gridò uno dei sottoposti più giovani, entrando come un uragano nell'ufficio di Godwin “So dove si trova e cosa gli hanno fatto”. “Cosa?” lo interrogò cupo il superiore. “Quel bastardo di Farrell, sapendo che Orwell è uno dei tuoi collaboratori più stretti, ha deciso di non ucciderlo ma di usarlo per estorcergli informazioni che riguardano la nostra organizzazione, capisci no?” domandò agitato ed alquanto emozionato il ragazzino, prima di continuare “Il luogo dove si trova il nostro quartiere generale, i nostri piani, dove è nascosto il chimico e così via. Mi hanno detto che per questo è stato conciato molto male”. “Dove lo tengono?” si decise a domandare Andrew. “Si trova a Birkenhead, lo tengono prigioniero nel cantiere navale vicino alla stazione Nord, dove si è rifugiato anche Farrell”. “Quanto sono attendibili queste informazioni?” “Me le ha date il piccione viaggiatore del Boss”. Il capo si accigliò all'istante. “Che stai dicendo? Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?” “I piani alti sono un po' infastiditi dallo stop forzato che ha avuto lo smercio della roba e quando hanno saputo il motivo hanno collaborato per sbloccare la situazione” spiegò il ragazzo, ora più titubante. “Stronzate” intervenne notevolmente preoccupato il vice “C'è sotto qualcosa è evidente come una battona di Connaught Road in una chiesa”. “Non importa” lo tacitò irremovibile il capo “Organizzeremo subito un piano d'attacco. Come ti chiami tu?” “Gabe”. “Bene, Gabe, se le informazioni che ci hai dato saranno precise riceverai la tua ricompensa”. “Grande! Grazie Chief” urlò entusiasta il piccoletto. “Adesso raggiungi gli altri e resta in attesa dei miei ordini” lo congedò il moro. Il silenzio calò opprimente sulla stanza. “Mi dispiace” mormorò Ross sinceramente preoccupato. “Questa volta lo uccido, Farrell è un uomo morto”. “Lo farò io” annunciò inaspettatamente l'altro. “Non crederai davvero che me ne resterò qui ad aspettare...” “Che tu lo voglia o no, è quello che farai. Anche a costo di legarti a questa sedia”. “Cazzate, tu non...” “Sei il capo qui e se tu muori siamo tutti nella merda” sostenne il ragazzo più grande con la sua solita logica concisa ma inconfutabile. “Le vittorie che abbiamo riportato fino a questo momento andrebbero a puttane, la nostra banda si disgregherebbe e il nostro territorio verrebbe spartito fra un'infinità di inutili coglioni. Per non parlare di Noah che se per caso sopravvivesse mi infilzerebbe come un maiale allo spiedo”. “E allora cosa dovrei fare?” domandò dubbioso il moro. “Elabora una delle tue strategie e poi lascia fare a me”. Andrew rimase zitto, diviso tra il dovere che gravava sulle proprie spalle e la voglia bruciante di vendicarsi del bastardo che aveva osato sfidarlo in ogni modo possibile immaginabile, e solo dopo una lunga meditazione decise di assecondare le parole del suo vice. “D'accordo, farò come dici tu, adesso dammi un po' di tempo per pensare” lo accomiatò, già concentrato sul lavoro che lo stava aspettando. Il porto di Birkenhead era in piena attività sebbene mancassero pochi minuti alle tre del mattino. Le gru sottili e sporgenti come grosse zampe di ragno si spostavano nel loro incessante movimento semicircolare, caricando un container dopo l'altro nelle stive dei mercantili, mentre gli scaricatori si occupavano della merce già a terra, stoccandola negli enormi magazzini tutti uguali e anonimi. Ross lasciò cadere la cassa di cui ignorava il contenuto sopra le altre e guardò per l'ennesima volta l'orologio: mancavano cinque minuti alla pausa, dopodiché avrebbero avuto un quarto d'ora per trovare Noah e sistemare definitivamente Farrell. Il capo non aveva avuto molto tempo per organizzare tutto nei minimi dettagli, ma dopo un paio di telefonate era riuscito a far entrare una trentina dei suoi ragazzi - fra i quali Ross e i Gemelli - in una squadra di scaricatori stipendiati giornalmente. Per non destare sospetto avrebbero lavorato come tutti per le prime due ore poi, durante la pausa a loro disposizione, sarebbero entrati in azione. Quando il fischio prolungato avvertì gli operai che potevano fermarsi per il loro intervallo Ross si accese una sigaretta e aspettò che qualcuno gli si avvicinasse. “Ti piacciono le navi?” gli domandò un collega. “Perché?” “Si vede che le fissi con interesse”. “Be' sì, mi piacciono molto”. “Anche a me” attaccò definitivamente bottone l'altro. Ross lasciò parlare l'uomo più a lungo possibile, poi decise di iniziare con le domande. “Ma le navi sostano molto in questo porto?” “No, solo il tempo di scarico, carico e del rifornimento”. “Neanche quelle private?” “Qui non se ne vedono molte”. “Cazzo, ed io che volevo rifarmi gli occhi con uno di quegli yacht da ricconi”. “Mi dispiace amico, niente navi super lusso qui. Non è uno scalo importante” lo informò l'uomo un po' dispiaciuto. Ross finì di fumare la sigaretta in silenzio, guardandosi in giro cercando di non destare troppi sospetti, poi vide qualcosa di strano e lo fece notare all'altro. “Perché non c'è movimento attorno a quel cargo?” “Quale?” “Quello ancorato alla banchina opposta alla nostra, quello sulla destra. Vedi che ha le gru ferme?” “Ah quello!” esclamò lo scaricatore “È qui da diversi giorni, hanno detto che ha dei problemi alla sala macchine e lo stanno riparando”. “Chissà com'è incazzato il capitano?!” “Veramente non l' ho mai visto in giro, ora che mi ci fai pensare è strano”. “Bah, non è molto interessante, io volevo uno yacht” borbottò il suo disappunto il vice, lanciando lontano la cicca. “Sarà meglio che vada a pisciare prima che finisca la pausa”. Con quella scusa il ragazzo dai capelli rasati si defilò dall'uomo e si diresse verso il piccolo mercantile inattivo. Quando Godwin gli aveva illustrato a grandi linee il piano gli aveva anche consigliato di non sprecare tempo a cercare nei magazzini poiché - non essendo nessuno di proprietà di Farrell - era praticamente impossibile nascondervi una persona con tutta la gente che vi transitava. Le navi invece, o meglio chi vi lavorava, potevano essere comprate facilmente ed erano un ottimo nascondiglio temporaneo. “Convergete tutti alla banchina numero sette” comunicò agli altri tramite una piccola ricetrasmittente “C'è un mercantile sospetto che potrebbe essere il nostro obiettivo”. L'ultimo ad arrivare sul luogo fu Mason con un portacarrelli elettrico carico di casse di legno. “Quali sono?” domandò Ross sbrigativo. “Le due in penultima fila”. Il vice, aiutato da quattro compagni, scaricò le casse e, aprendole con relativa facilita, cominciò a distribuire il loro contenuto ai presenti. “Questa volta Sid ha superato se stesso” gongolò Neil come un bambino di fronte al sacco di babbo natale “Non avevo mai avuto l'onore di maneggiare un M16”. “Vedi di dare il meglio di te, allora” consigliò Ross consegnando l'ultimo mitragliatore “Questa volta niente regole ragazze, sfogatevi come preferite e togliete di mezzo tutti i Reapers che vi capitano sotto tiro”. Considerato il tempo che avevano a disposizione i ragazzi optarono per un attacco diretto - un suicidio se si fosse trattato di una trappola architettata da Farrell - contando almeno sui primi minuti sulla sorpresa. Nonostante il caos del porto, i primi colpi di M16 risuonarono nella notte come il rombo inquietante di un terremoto. Sparpagliandosi velocemente sul ponte, i Puppets riuscirono a cogliere quasi del tutto impreparati i pochi nemici che si erano barricati con il loro capo sulla nave. Ne massacrarono la maggior parte e, con la canna di un fucile conficcata in bocca, costrinsero un superstite a rivelare il luogo dove tenevano il loro prigioniero. “Io vado a liberare Orwell” stabilì Ross, dirigendosi verso i compartimenti refrigerati vicino alla stiva “Voi occupatevi di Farrell, voglio vedere la sua testa con i miei occhi”. “Agli ordini” gridarono i Gemelli esaltati. Sparando a qualunque cosa si muovesse lungo i corridoi il giovane raggiunse la prigione di Noah, rimasta sprovvista di qualsiasi tipo di sorveglianza dal momento che le guardie, lontane anni luce dall'essere dei professionisti, avevano visto bene di darsi alla fuga ai primi segni di disordine. Ross sfondò la porta della stanza con un singolo colpo di fucile e, una volta dentro, notò subito l'amico steso in un angolo con la schiena nuda, del tutto coperta di ferite e sangue raffermo, rivolta verso l'alto. “Noah!” gridò preoccupato, precipitandosi da lui per accertarsi delle sue condizioni. Il corpo di Orwell era intirizzito come uno straccio congelato e per un attimo, prima di rendersi conto che respirava ancora, credé che fosse morto. “Noah!” provò a chiamarlo ancora senza nessun risultato. Quei bastardi lo avevano praticamente massacrato, Ross non riusciva a vedere un centimetro della sua pelle che non fosse livido o lacerato e lo spazio dal fianco destro fino a sotto l'ombelico era percorso da un taglio piuttosto profondo, curato in qualche modo dai suoi torturatori solamente per non farlo morire dissanguato troppo presto. La cella frigorifera, pensò poi il vice, era molto probabilmente l'ultima trovata di quei vermi, che lo avrebbero lasciato lì a morire - forse nel modo peggiore per uno come Noah che non sopportava il freddo - almeno fino a quando non si fosse deciso a parlare. Avvolgendolo con la propria felpa e il proprio giaccone, il braccio destro del capo si caricò sulle spalle l'amico e tornò di corsa sui suoi passi. “Presto Ross, stanno arrivando i Pigs” lo incitò Zach non appena lo vide risalire le scalette che portavano alla stiva. “Sparpagliatevi e raggiungete le macchine. Avete un minuto, non un secondo di più”. Tutti i Puppets superstiti raggiunsero le auto nel tempo stabilito e si allontanarono dal porto a gran velocità. Correndo come un folle per le vie sgombre di Liverpool, Ross arrivò nei pressi del Royal Hospital e, accertandosi che nessuno lo vedesse, scaricò il ferito dalla sua auto lasciandolo in un vicolo secondario. “Allora ascoltami bene, Gabe” attirò l'attenzione del ragazzino che li aveva seguiti proprio per attuare quella parte del piano “Chiama subito un'ambulanza e fai portare Noah in ospedale. I dottori avvertiranno subito gli sbirri e tu dovrai rispondere alle loro domande. Gli dirai che eri uscito con gli amici e stavi tornando a casa quando hai visto Orwell - che tu ovviamente fingerai di non conoscere - in questo vicolo. Loro non potranno farti niente, ma per i prossimi giorni ti terranno costantemente sotto controllo quindi non ti avvicinare mai alla base e non parlare con nessuno dei nostri, vai regolarmente a scuola e non combinare casini. Sono stato chiaro?” “Chiarissimo”. “Bene, ti contatterò io per sapere quali sono le condizioni di Orwell” concluse il giovane, togliendosi la maschera di collagene che cominciava ad infastidirlo, prima di salire nuovamente in macchina ed andarsene. “Allora come sta?” domandò il mattino dopo Godwin, pallido come uno spettro, quando l'amico entrò nel suo ufficio - diventato negli ultimi tempi la sua unica casa. “Non bene” riferì l'altro con voce cupa come il suo umore. “Dovrà passare una quarantina di giorni, forse anche più, chiuso là dentro. Quando è arrivato in ospedale aveva un principio di assideramento, entrambe le gambe rotte e numerose lesioni, anche interne. I medici lo hanno subito riscaldato con qualche flebo di fisiologica, poi lo hanno operato per asportargli la milza praticamente spappolata”. Nonostante il terribile elenco Andrew rimase in silenzio con lo sguardo fisso sulle carte sopra la scrivania, così il vice proseguì: “La polizia lo ha interrogato e lui ha detto che non conosceva i suoi aggressori. Ha inventato che un gruppo di uomini lo aveva sequestrato qualche giorno fa a scopo di estorsione. Ha dichiarato di essere stato torturato per ore, prima che i sequestratori si convincessero che lui non aveva nessuno a cui chiedere il riscatto, e che quindi lo avevano lasciato mezzo morto in quel vicolo. Ha fornito agli investigatori una descrizione fittizia e confusa degli uomini, ma non ha fatto alcun riferimento ai Reapers. Quel ragazzo è davvero un genio”. “Mh” mugugnò il capo, piegando le labbra in un sorriso beffardo, pieno di amarezza. “Tu lo sapevi, vero? Ti fidi ciecamente di lui e del suo giudizio, per questo hai lasciato che se la sbrigasse da solo con la polizia”. Ross considerò il silenzio del moro una conferma alla sua affermazione e non aggiunse altro, prima di andare tuttavia gli domandò se avesse potuto fare qualcosa per lui. “Vai pure, Ross, qui non c'è più niente da fare, grazie”. “Mi dispiace, Chief” ammise sincero il vice con una mano sulla maniglia della porta “Vorrei solo che quel figlio di puttana non si fosse sparato alla testa da solo, gli avrei volentieri restituito il favore che ha fatto a Noah moltiplicato per cento”. Per i due mesi successivi Andrew non si spostò da Albany Road, andando a scuola solo per recitare la sua parte e trascorrendo il resto della giornata chiuso nel suo ufficio, pensando a Noah ed ingoiando fiele per non essere in grado di stare con lui in un momento simile. Da quando poi era riuscito a vederlo, durante una visita con i compagni di scuola, era stato ancora peggio: aveva visto i suoi occhi soli, pericolosamente spenti e non aveva potuto fare niente per tranquillizzarlo e per spazzare via l'inferno che aveva dovuto subire a causa sua. Più volte, ripensando al suo sguardo, aveva perso la testa deciso ad andare da lui, ma Ross nonostante la sua feroce determinazione era sempre riuscito a fermarlo, usando quasi sempre la forza. Noah ed Andrew frequentavano la stessa scuola ma non la stessa classe, per tutti erano semplici conoscenti, numerose visite quindi potevano destare sospetti. Oltretutto nessuno sapeva che condividevano lo stesso appartamento - e dai documenti Andrew risultava ancora residente nella sua vecchia casa - quindi il vice, più distaccato e razionale, non voleva nella maniera più assoluta che gli sbirri cominciassero a ficcare il naso nella vita del suo capo. “Cristo santo, Chief!” imprecò una sera di fine aprile il vice “Io non ti riconosco più, mi spieghi che cazzo ti prende?” “…” “Noah è a casa da una settimana ormai, perché non sei con lui?” continuò incalzante “Dove diavolo è finita tutta la voglia che avevi di vederlo?” “Io non so…” si bloccò il moro pungolato dal proprio orgoglio. “Hai paura che dopo quello che è successo ti disprezzi definitivamente. È così?” “Sarebbe comprensibile, ma io non voglio… Nella maniera più assoluta non posso perderlo”. “È una stronzata, te ne rendi conto? Scegliere di stargli lontano o perderlo non è la stessa cosa?” Il capo non rispose. “Se ne andrà, Andrew, non ti aspetterà ancora per molto. Questa è l'unica certezza che posso darti”. “Hai parlato con lui?” domandò Godwin sorpreso. “Certo, sono andato da lui il giorno stesso della sua dimissione, gli sbirri non lo sorvegliano più da un bel po' ormai, lo sai perfettamente”. “Come stava?” “Bene. Si è ripreso ed è tornato a camminare come prima”. “E che ti ha detto?” “Niente, non mi ha detto niente.” “Ross!” “Adesso basta” sancì il vice alzando la voce “Ti stai comportando come un moccioso e la cosa non mi piace per niente. Se ti sei rammollito fino a questo punto non avrò più intenzione di considerarti il mio capo, mi sono spiegato?” Lo sguardo di Andrew cominciò a ribollire rabbia e con voce tetra domandò: “Hai intenzione di sfidarmi di nuovo, Ross? Ti sei già scordato come ti ridussi tre anni fa, vuoi provarlo di nuovo?” “No”. “Bene, allora non osare sfidarmi mai più. Adesso lasciami in pace”. Ross uscì dall'ufficio del capo come gli era stato ordinato, sorridendo soddisfatto quando nemmeno cinque minuti dopo lo vide uscire a sua volta per lasciare il palazzo. Entrando in casa Andrew trovò Noah seduto di traverso sulla poltrona di sala. Aveva la schiena addossata ad un bracciolo e le gambe, avvolte dalla sua inseparabile coperta, appoggiate comodamente all'altro ed era intento nella lettura di un libro. “Ciao” lo salutò il moro frenato dall'imbarazzo. Lui, da sempre così spigliato e sicuro delle proprie capacità, non si era mai sentito tanto impacciato in vita sua. “Ciao” rispose l'altro indifferente, come se non lo vedesse semplicemente da un paio di ore. “Io… Mi dispiace di non essere venuto”. “Non hai bisogno di scusarti”. “Se non ho bisogno di scusarmi perché non mi guardi nemmeno negli occhi?” Orwell alzò la testa dal suo libro e fissò il compagno come gli era stato richiesto. “Contento ora?” “Noah per favore”. Ma il ragazzo dai capelli castani non gli concesse nessun favore e, alzandosi dalla poltrona con una mano occupata dal libro e l'altra dalla coperta, andò a chiudersi nel suo rifugio personale. Godwin tuttavia non gli permise di isolarsi. “Apri, Noah, dobbiamo parlare”. Per dieci minuti abbondanti il moro rimase fuori dalla camera dell'altro ripetendogli sempre la solita richiesta, poi perse la pazienza e senza il minimo preavviso scardinò la porta di compensato con un unico calcio, facendo sobbalzare il compagno sdraiato sul proprio letto. “Ti sei bevuto il cervello? Razza di maniaco deviato!” lo insultò alzandosi di scatto. La rabbia di Andrew aumentò a dismisura con quelle parole. Ormai privo di controllo spinse il ragazzo più giovane di nuovo sul letto e, appoggiando a sua volta un ginocchio sul materasso per bloccargli meglio le braccia con le mani, si scaraventò sulle sue labbra, incurante delle proteste dell'altro. Le lacrime cominciarono a piovere lentamente sul viso di Noah all'improvviso, quando ancora la bocca disperata del moro continuava a cercare la sua, facendolo immobilizzare all'istante. Andrew stava piangendo, non era un abbaglio, quegli occhi che molto spesso aveva considerato come l'anticamera dell'inferno in quel momento stavano versando delle lacrime, unica prova dei suoi reali sentimenti e della sua pena. Vittima di un simile spettacolo, il ragazzo non trovò più la forza di opporsi e, immergendo per la prima volta una mano fra quelle lunghe ciocche di capelli nerissimi, prese ad assecondare il bacio di Andrew, accarezzandogli dolcemente la nuca. “Non mi lasciare” mormorò la sua unica paura il ragazzo più grande. “Perché non c'eri Andrew?” domandò l'altro, anche lui con un bisbiglio “Sono arrivato e non c'era nessuno, la polizia aveva smesso di indagare sul mio caso e tu non eri comunque qui. Perché?” “Non lo immagini?” “Ti sentivi in colpa per non essere stato con me durante la convalescenza?” Il moro restò in silenzio, confermando in quel modo l'ipotesi dell'altro che continuò: “Se tu non mi avessi lasciato solo in questi sette giorni, sul serio non avresti avuto bisogno di scusarti”. “Ma…” “Avevo costantemente due agenti di guardia alla porta, se credi che io avessi preteso la tua presenza all'ospedale allora credi anche che voglia il tuo suicidio”. “Mi dispiace” ammise ancora una volta Andrew “Scusa, io… Sono davvero troppo egoista per te”. Il più piccolo rimase in silenzio ad osservare il ragazzo sopra di sé e, scostandogli gentilmente alcune ciocche dagli occhi, ammise sorridendo: “Questa tua aria sofferente è strana, ti rende ancora più bello. Potrei affezionarmici subito, sai?” Era la prima volta che Orwell faceva un complimento simile al compagno, il quale ridendo replicò: “Non soffiarmi le battute, uccellino, o potrei arrabbiarmi sul serio”. Godwin tornò a baciare Noah, ma con più calma, lasciandosi invadere dalla dolcezza più profonda e dalla passione, dimostrando a se stesso e alla sua stupida coscienza che nonostante tutto era ancora in grado di provare sensazioni simili. Presto anche le mani cominciarono a muoversi ed introducendosi sotto il maglione leggero dell'altro, presero ad accarezzargli la pelle compatta della pancia. Prendendosi tutto il tempo necessario, risalirono leggere fino al suo petto, andando a scoprirgli quasi del tutto il torace magro. Allontanandosi dalle labbra di Noah, Andrew si sollevò e rimase a guardarlo in silenzio mentre una collera prepotente gli oscurava improvvisamente la vista. Quelle cicatrici, alcune piccole, quasi invisibili, decisamente più profonde altre, che sfregiavano indelebili la cute pallida del compagno, non dovevano trovarsi lì, pensò amareggiato il ragazzo più grande, ma sul proprio torace. “Basta” dichiarò in un soffio il moro, abbassandosi a baciare ognuno di quei marchi, soffermandosi soprattutto su quello che risaltava sul fianco destro. “Andrew” invocò Noah, imbarazzato e stranito dall'atteggiamento dell'altro. “Da questo momento sei licenziato”. “Ma che stai dicendo?” domandò Orwell, costringendolo a sollevare la testa dal suo fianco per farsi dare una spiegazione e farsi guardare negli occhi. “Non voglio più la tua protezione. Anzi, cancellerò dal mondo chiunque oserà toccare ancora il tuo corpo”. “Non…” “Niente storie e niente condizioni” lo interruppe Godwin perentorio “Questa volta si fa come dico io”. “Agli ordini Chief” lo sfotté immancabilmente l'altro, suscitando l'inevitabile vendetta del compagno che tornò a divorargli le labbra con forza. Le carezze leggere vennero dimenticate, la coperta di Noah finì aggrovigliata ai piedi del letto ed entrambi i ragazzi si scordarono della porta che pendeva instabile da un singolo cardine. Il giovane Orwell non aveva mai fatto l'amore con un uomo, non era sicuramente un esperto in materia, ma non occorreva essere dei geni per capire che la reazione di Andrew dopo aver raggiunto il piacere, non era normale. Separandosi da lui, infatti, era andato a raggomitolarsi sull'altra parte del letto matrimoniale, dandogli persino le spalle. “Non credi che dovrei essere io quello offeso? Dopo quello che hai fatto al mio povero fondoschiena” lo canzonò leggero Noah. Godwin restò in silenzio. “Ehi, si può sapere che hai?” domandò l'altro avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. “Lasciami stare”. “Che significa 'lasciami stare'?” continuò ad informarsi, perdendo pericolosamente la pazienza. “Tu non puoi capire” sbottò Andrew prima di sollevarsi dal letto ed indossare di nuovo i suoi pantaloni “Quindi lasciami in pace, fra un attimo mi passa”. Al ragazzo più giovane, guardando sempre più stranito il compagno chiudersi in bagno, occorsero diversi minuti prima di infuriarsi definitivamente e, avvolgendosi la vita con il plaid del letto, si precipitò alla porta del bagno cominciando a colpirla ripetutamente con il palmo della mano. “Andrew vieni fuori”. La situazione si era paradossalmente capovolta. “Apri, due porte rotte in un giorno sono troppe!” “…” “Mi hai sentito, stronzo? Apri e dammi una spiegazione o giuro su Dio che questa volta ti strangolo con le mie mani”. Il rumore della chiave che girava nella serratura fece calmare Noah che, allontanandosi dalla porta, aspettò di vedere uscire l'altro. “Allora, che ti è preso?” domandò cercando di recuperare la pazienza persa, avvertendolo però subito dopo “E non dirmi 'niente' perché mi incazzo sul serio”. Il moro andò a sedersi sul bordo del letto e con lo sguardo fisso sui propri piedi nudi confessò: “Sono tre anni che non lo faccio”. Noah lo fissò a lungo intontito, cercando di capire il vero significato che si nascondeva dietro quella frase, ma non riuscendoci fu costretto a domandare: “E allora? Io in diciotto non l'ho mai fatto”. “Idiota!” sbottò l'altro esasperato, prima di spiegare “Non è che non l'ho fatto per mancanza di occasioni”. “E allora per cosa?” “Perché non provavo più niente”. Noah sentì il bisogno di sedersi a sua volta prima di balbettare: “Cioè, tu non potevi… Non eri…” “Esatto”. Il cervello del ragazzo più giovane cominciò a lavorare furiosamente per vincere l'imbarazzo e ricordare tutto quello che sapeva su Andrew e dopo un paio di conti domandò esitante: “Tua madre?” “Già”. Orwell non sapeva assolutamente cosa fare, non era abituato ad affrontare certi argomenti con altre persone, a parlare con loro dei problemi che li affliggeva, ma per Andrew doveva assolutamente fare uno sforzo e trovare le parole giuste per far fronte a quel delicato problema. Decise quindi di cominciare da lontano. “Perché non sei andato in America con il tuo patrigno, quando lei è morta?” domandò inaspettatamente “Come hai potuto preferire rimanere qui, invischiato in una vita così difficile e violenta?” “Non sarei andato con lui anche a costo di seguire mia madre” rispose l'altro sorprendendo Noah, sicuro di dover interrompere lì la discussione. “Lo odi così tanto?” “No, assolutamente. Solo che non possiamo più stare assieme, dopo ciò che è successo il semplice vederci rischierebbe di farci perdere definitivamente la ragione”. Noah cominciò a tremare impercettibilmente dall'emozione: gli stava… Andrew gli stava per raccontare il suo passato, quello di cui si vergognava terribilmente e che senza dubbio era responsabile del suo carattere instabile, a tratti dolce, quasi debole, e a tratti agghiacciante. “Ma perché la strada?” lo incalzò Orwell “Avevi qualsiasi possibilità davanti a te, perché ti sei infilato in quel marciume?” “Se vuoi possiamo dare la colpa alla fisica” rispose con un sorriso ironico il moro, spiegando subito dopo: “Ce n'era così tanto in me che per ristabilire la giusta pressione, senza correre il rischio di scoppiare, sono stato costretto a circondarmene anche di fuori”. L'altro rimase zitto e Godwin continuò: “La sua morte… È tutta colpa nostra, mia e del mio patrigno, mi sentivo… Mi sento un mostro, per questo non riesco a stare nei posti puliti”. Noah comprese senza problemi il senso di quelle parole grazie alla logica egoistica, atta esclusivamente alla sopravvivenza quotidiana, che condivideva con lui. Questa logica, molto semplicemente, gli permetteva di vedere i Gemelli - solo per fare un esempio - e pensare che al mondo esisteva sempre qualcosa di peggiore. Certo, non era giusta, non era eticamente perfetta, ma cosa lo era? “Ed io cosa rappresento in tutto questo?” formulò quella domanda, determinato ormai ad arrivare fino in fondo “Sono marcio anch'io?” “No” dichiarò Andrew, alzando una mano ad accarezzargli i corti capelli dietro la nuca “Tu puoi diventare la mia terapia stai già cominciando a farmi effetto”. “Mh, se mi vuoi solo per questo, ti consiglio gli psicofarmaci: sono più economici e non creano tante seccature”. Godwin rise e baciò a lungo il compagno, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia sottili ma indiscutibilmente forti. Finendo di nuovo distesi sul letto continuarono a scambiarsi baci e carezze, con le gambe intrecciate per stare più vicini e gli sguardi fissi gli uni sugli altri. “Perché tua madre si è uccisa?” trovò finalmente il coraggio di chiedere Noah. “Perché…” Andrew abbracciò forte il corpo del compagno e proseguì “Perché suo marito la tradiva… Con me”. Dopo una pausa per trovare il coraggio, il moro raccontò tutto di quella sera di tre anni prima senza tralasciare niente. Parlò della chiamata di Richard, del suo rifiuto iniziale, del suo cedimento; spiegò che non era amore quello che sentiva per l'uomo, ma un irresistibile attrazione fisica che a volte riusciva a sovrastare l'affetto profondo che provava per sua madre. Continuò descrivendo l'orrore che si era dipinto sul volto di lei quando per puro caso aveva scoperto la loro colpa, e infine raccontò l'incubo che il patrigno e lui avevano vissuto quella notte e che, appreso del suicidio della donna, si sarebbe protratto per il resto della loro vita. “Dopo il funerale Richard andò come stabilito in America” concluse il ragazzo dai capelli neri “Mi chiese se volevo andare con lui ma io rifiutai. Cercò di non mostrarmelo, ma fu chiaramente sollevato dalla mia decisione. Il resto lo avrai sicuramente sentito raccontare in giro. Persi quasi un anno per strada, facendo le cose peggiori. Poi mi resi conto che quel mondo poteva dare un potere pressoché illimitato a chi aveva un po' di cervello e il pugno saldo e allora cominciai la mia recita. Tornai a scuola, mi affidai alle cure di uno psicologo per rendere più credibile la mia redenzione e intanto mi battevo, strada dopo strada, per allargare il mio territorio e conquistare la fiducia del Boss”. Noah era rimasto muto per quasi mezzora, ascoltando attentamente il racconto dell'altro senza interromperlo mai, per timore di spezzare quel delicato equilibrio che si era creato e che permetteva ad Andrew di andare avanti. “Non dici niente?” domandò Godwin ansioso. “Scusa stavo pensando”. “A quanto sono disgustoso?” “Non essere ridicolo”. “Non sono ridicolo, quello che ho fatto è disgustoso”. “Cristo santo, Andrew, ti ho visto torturare persone innocenti e sono ancora qui” sibilò Noah furioso “So che ragazzini anche minorenni spacciano e uccidono per conto tuo ed ora dovrei essere turbato per il semplice fatto che in passato sei andato a letto con un uomo più vecchio di te, sposato con tua madre. Scusami tanto, ma non ci riesco. Non per questo motivo”. “Io non…” “Quello che hai fatto con il tuo patrigno per te è mostruoso perché ha causato la morte di tua madre, ma per me, che non ho mai conosciuto quella donna, è mille volte più orribile quello che fai ogni giorno, quindi posso solo provare a capire il tuo dolore e offrirti il mio aiuto quando ne avrai bisogno, ma per il resto non cambia niente. Non ti giudicavo prima, non ti giudicherò nemmeno ora, non è un compito che spetta a me”. “Mh, adesso ho capito” dichiarò Andrew, continuando a passare una mano fra i capelli dell'altro. “Cosa?” “Il motivo per cui mi piaci tanto. Tu sei mille volte più pazzo di me”. “E ti ci sono voluti cinque mesi per scoprirlo?” lo assecondò Noah portandosi sopra di lui. “Già, mi spieghi cosa stai cercando di fare?” chiese il moro ora leggermente preoccupato, non tanto per la bocca dell'altro che gli succhiava avidamente la gola, quanto piuttosto per la sua mano che trafficava minacciosa con l'abbottonatura dei propri jeans. “Niente di particolare” replicò Orwell, staccando le labbra dal collo dell'amante per guardarlo negli occhi “Mi prendo solamente la mia rivincita”. TERZO TEMPO Il cellulare stava già squillando da diversi minuti quando Noah, allungando un braccio sopra al tavolino di vetro, decise pigramente di rispondere: “Pronto”. “Era ora” sbottò la voce alterata all'altro capo “Non dirmi che stavi dormendo!” “Mh, non avevo niente da fare, che vuoi?” “Ross ci ha invitato a cena a casa sua, mi raggiungi là?” chiese Andrew, decidendo di sorvolare sul tono scontroso del suo compagno. “Ehi, ci sei?” richiamò la sua attenzione quando la risposta tardava ad arrivare. “A cena? Da Ross!?” domandò sbalordito Orwell. “Non essere così sorpreso” lo esortò Andrew prima di spiegare “Andavo spesso da lui prima che succedesse tutto il casino con Farrel. Allora vieni?” “Sì arrivo, dammi l'indirizzo”. Il ragazzo più giovane segnò la via e il numero che gli dettò l'altro, chiudendo subito dopo la comunicazione per andare a cambiarsi. Ross viveva in un quartiere residenziale più modesto di quello in Park Lane, ma la graziosa villetta a schiera in cui - sorprendentemente per Noah - abitava si trovava comunque in una zona tranquilla e del tutto rispettabile. Orwell suonò il campanello e rimase in attesa qualche istante prima che una giovane donna di colore arrivasse ad aprirgli la porta. Era più bassa di lui solamente di pochi centimetri, aveva i folti capelli ricciuti raccolti in una vaporosa coda e gli occhi grandi, dall'aria terribilmente furba, lo fissavano con un'espressione divertita. “Buonasera... Io… “ balbettò Noah incerto, controllando con lo sguardo che il numero civico fosse quello giusto “Io sono…” “Tu devi essere Noah, giusto?” lo aiutò la bella ragazza davanti a lui “Io sono Angela Marlow, la moglie di Ross”. Quando gli occhi di Orwell, stordito dalla sorpresa, si spalancarono, Angela non fu più in grado di trattenersi e scoppiò a ridere divertita. “Scusa. È solo che hai fatto una faccia!” la ragazza fece una pausa per riprendere il controllo “Ross non ti ha parlato di me?” “No” rispose l'altro ancora un po' confuso “Mi dispiace, ma non mi sarei mai aspettato che ad aprirmi arrivasse sua, sua… Sua moglie!” “Se è per questo le sorprese non sono ancora finite” annunciò la donna facendo strada “Accomodati pure e fai come se fosse casa tua”. “Grazie”. Scendendo rumorosamente le scale che portavano al secondo piano la sorpresa di cui parlava Angela non tardò ad arrivare: era un ragazzino biondo, con gli occhi verdi come due smeraldi e l'espressione sveglia e vivace tipica dei dodicenni. “Chief scendi, è arrivato il tuo ragazzo” urlò eccitato il bambino, facendo inevitabilmente imbarazzare Orwell per quell'appellativo. “Questa sottospecie di terremoto è Tzvetan” lo presentò Angela bloccandolo davanti a sé, “nostro figlio”. “Ciao” lo salutò il bambino. “C… ciao” ricambiò il saluto Noah, sentendosi il cervello come uscito da una centrifuga. “Vai a lavarti le mani, fra poco si mangia” si raccomandò Angela. “Wow, era ora!” esclamò il biondino schizzando via come una scheggia. “Mi somiglia vero?” Noah si voltò verso la voce conosciuta dell'amico e indispettito dichiarò: “Tsè, è tutto sua madre”. “Ok, ok, avrei dovuto parlarti prima di loro solo che…” “Scusa, Angela” lo interruppe bruscamente il ragazzo più piccolo “Dove posso mettere la giacca?” “Vieni, ti mostro dov'è il guardaroba”. “Adesso mi credi quando ti dico che è permaloso come un moccioso?” domandò Andrew, stando appoggiato al corrimano delle scale mentre osservava la scena divertito. “Ross si preoccupa molto per noi” dichiarò dal nulla la giovane donna, mentre sistemava il giubbotto di jeans in una gruccia “Per questo…” “Non temere lo capisco perfettamente, visto il suo lavoro e l'ambiente che è costretto a frequentare anch'io farei di tutto per tenere nascosta e al sicuro la mia famiglia” la rassicurò subito il ragazzo “Però devo vendicarmi per la figuraccia che mi ha fatto fare con te. Devo esserti sembrato uno stoccafisso”. “Tranquillo, mi ero preparata ad una reazione simile anche se più per il mio aspetto”. “Già, hai ragione. Come mai una bella donna come te si è sposata con quel bestione?” Angela scoppiò di nuovo a ridere e dichiarò: “Ross ha ragione, sei proprio strano”. “Che ho detto?” “Mi riferivo al colore della pelle”. “Ah quello”. Noah alzò le spalle, indicando con quel gesto tutto il suo disinteresse per l'argomento, prima di tornare alla carica: “È da molto che lo conosci?” “Praticamente da sempre. Ci siamo aiutati a vicenda nei momenti più difficili e sinceramente non riuscirei ad immaginare la mia vita senza di lui”. “Anche se è uno scimmione scorbutico?” “Anche” sorrise dolcemente la ragazza. Quando Tzvetan - e con lui tutti gli altri - scoprì che Noah sapeva suonare la chitarra, attese con impazienza la fine della cena per trascinarlo in camera e mostrargli quello che sapeva fare con la sua mitica Fender. “Adesso basta Jimi Hendrix” lo prese in giro la madre salendo a sua volta “È ora di andare a dormire e di lasciare libero il tuo povero ostaggio”. “Mamma!” l'accolse il ragazzino esaltato “Ho chiesto a Noah se mi insegna a suonare sul serio e lui ha detto di sì”. “In realtà ho detto che dobbiamo prima chiedere il permesso ai tuoi”. “Ma veramente?” domandò sorpresa Angela. “Da quando non faccio… Sì insomma, da quando non lavoro più con Andrew non so mai cosa fare” asserì il ragazzo “Tzvetan mi sembra piuttosto portato per la musica, sarà divertente insegnargli quello che so”. “Be', allora grazie” esclamò Angela un po' imbarazzata. Contento, il bambino prese a saltare come un pazzo sul letto. “Aspetta a saltare dalla gioia” fu subito quietato dalle parole di Orwell “Ti garantisco che sarò un insegnante severissimo”. “Non importa” dichiarò il biondino, fissandolo deciso con i suoi occhi smeraldo. “Adesso vai a lavarti i denti” gli impose gentilmente la madre “Mi metterò d'accordo io con Noah per la tua prima lezione”. Il ragazzo scese assieme ad Angela e subito raggiunsero gli altri in salotto. “Allora Ross” sbottò Orwell sedendosi sul divano accanto all'amico “Ti decidi o no a spiegarmi da dove salta fuori questa bella famiglia”. “Non c'è molto da dire” borbottò l'amico un po' impacciato “Conosco Angela da una vita e Tzvetan…” “Tzvetan?” “Be', Angela fa l'assistente sociale e un paio di anni fa le capitò il suo caso fra le mani”. “Tzvetan è nato in Bulgaria” prese la parola la moglie “È venuto qui con il padre ma è rimasto quasi subito solo, visto che l'uomo è sparito da un giorno all'altro e da allora non si è più fatto vivo. Ha vissuto di espedienti per un po', poi è stato arrestato per scippo e aggressione a pubblico ufficiale”. “Però!” commentò meravigliato Noah. “Già, quando la polizia mi chiamò trovai il bambino inferocito e a dir poco sospettoso. Scappava in continuazione dall'istituto a cui lo avevo affidato e ogni volta dovevo sudare sette camice per ritrovarlo”. “E poi che è successo?” “Domandai aiuto a Ross” confessò la ragazza stupendo non poco il nuovo amico “Gli chiesi di mostrare a quella peste cosa significava veramente vivere per strada e lui lo portò a fare un giro nelle zone più malfamate”. “Questo si chiama terrorismo psicologico” protestò Orwell. “Ma ha funzionato! In ogni caso, Ross si affezionò subito al bambino così…” “Ma che stai dicendo?” sbottò il giovane in preda alla vergogna “Sei stata tu a chiedermi di sposarti per ottenere l'affidamento di quella peste”. “Sì, sì, certo, come no!” “Uffa, basta con questi discorsi” impose Ross interrompendola e, lanciando un'occhiata inferocita ai suoi due ospiti che sghignazzavano spudoratamente, borbottò “Non c'è niente da ridere”. “No, infatti” ammise Orwell tornando serio “È veramente una cosa inverosimile, ma ti si addice”. “Mh, adesso basta sul serio, prendete un'altra birra piuttosto”. I ragazzi si congedarono dagli amici a sera inoltrata, Noah ringraziò Angela per la cena deliziosa e le ricordò che sarebbe venuto da Tzvetan il martedì successivo per la sua prima lezione, dopodiché raggiunse assieme ad Andrew la macchina. “Lei non sa niente vero?” domandò inaspettatamente il ragazzo più piccolo, distogliendo per un attimo gli occhi dalla strada, fissandoli su quelli del suo compagno. “Mh?” “Angela... Sa cosa fa Ross?” “No” confessò Andrew sentendosi stranamente in colpa, come se fosse lui la causa di tutto “E non voglio nemmeno immaginare cosa accadrebbe se lo venisse a sapere”. “E come pensa che si guadagni da vivere?” “È convinta che sia a capo della sicurezza nei locali di Mister Eccles” rispose il moro “Sa che il suo lavoro ha a che fare con la malavita, ma non si immagina nemmeno lontanamente che suo marito è coinvolto in prima persona in quei loschi affari”. “E durante la guerra con Farrel come ha fatto? E poi mi spieghi come mai ti chiamano tutti Chief?” “Una volta Ross mi chiamò Chief in loro presenza, così si inventò che uno dei direttori è il mio tutore o qualcosa del genere, non ricordo. Comunque pensarono subito ad un soprannome scherzoso e decisero di usarlo anche loro. E ha giustificato tutte le ore di straordinario” ironizzò volutamente su quella parola “con l'aumento della sorveglianza nei vari locali, ripetendole che se lui voleva mantenere quel lavoro doveva proteggere i clienti dagli scontri fra Reapers e Puppets”. “Ma sei sicuro che non sospetti niente? Angela mi sembra una donna molto intelligente”. “Lo è, indubbiamente” gli assicurò il compagno “Ma lo è anche Ross, sa cosa raccontarle e cosa invece tenerle nascosto”. “Mh”. “Pensi che non sia giusto, è così?” “Se non intende cambiare vita, probabilmente è l'unico modo che ha per non farla soffrire inutilmente”. “Lo credi veramente?” domandò stupito il ragazzo più grande. “Sì, se la vostra fosse rimasta una semplice banda di quartiere. Ma adesso la trovo una pazzia, un atteggiamento rischioso e assolutamente egoistico” ammise Noah proseguendo “Se Farrel avesse saputo della loro esistenza non avrebbe esitato un istante ad usarli come…” “Come ha fatto con te?” continuò al suo posto Andrew. “Già”. “Pensi che Ross non ci abbia mai riflettuto?” “Penso che non sia abbastanza” sostenne con fermezza Orwell “Ma è inutile continuare questo discorso con te, sei come lui. Nel vostro delirio di onnipotenza siete convinti che sia sufficiente la vostra volontà per proteggere le persone che vi stanno accanto e non vi rendete conto che sopra di voi esistono schiere di giganti capaci di spazzarvi via sbattendo semplicemente le palpebre”. L'altro non seppe trovare nessun argomento per confutare le parole del compagno ed il silenzio calò di nuovo nell'abitacolo della Classe M sebbene, dopo quel veloce scambio di battute, si fosse fatto più grave. La mattina dopo Andrew si svegliò presto nonostante fosse domenica. Noah dormiva tranquillamente al suo fianco, la faccia rivolta verso di lui affondata sul cuscino e il braccio sinistro, nascosto sotto di esso, schiacciato dal peso della testa. Quello sciocco svegliandosi avrebbe fatto un sacco di storie, pensò divertito il moro, e si sarebbe lamentato ancora una volta per la sgradevole sensazione di formicolio dovuta a quella posizione poco salutare. Sollevando lentamente una mano, Andrew iniziò a giocare con i corti capelli del suo ragazzo che privi del minimo ordine gli ricadevano arruffati sulla tempia e, plagiato da quel movimento rilassante, cominciò senza nemmeno rendersene conto a divagare con la mente. Il ragazzo che dormiva beato accanto a lui era una creatura estremamente spietata nella sua sincerità, rifletté Godwin pensando alla discussione della sera prima. Era l'unico che aveva il coraggio di afferrarlo per i capelli e mandarlo a sbattere, senza il minimo tentennamento, con la faccia contro le sue paure e le sue vergogne più intime. Ed era anche il solo capace, poi, di stringerlo forte a sé e lasciarsi amare per ore con la stessa spontanea e dolcissima determinazione. Proprio come la notte appena trascorsa quando, raggiungendolo in cucina ed abbracciandolo da dietro, gli aveva mormorato all'orecchio un rarissimo: “Ti amo” e ridendo leggero, lievemente malizioso, aveva continuato “se ti sbrighi ho un regalino per te”. Non era rimorso e nemmeno un modo velato di chiedere perdono per la sua brutale severità, quello. Noah non si scusava mai dei principi in cui credeva fermamente ed era indubbio che ritenesse vere le cose dette pochi minuti prima in macchina. Ma era vero anche che non si fossilizzava su giudizi sterili, quelli che molti invece avrebbero preso a paradigma per incasellarlo in uno dei tanti gironi dell'inferno, condannato senza nemmeno possibilità di replica. “Nhm” mugolò Orwell, arricciando in maniera buffa il naso e la bocca, infastidito dalle ciocche di capelli che Andrew gli aveva inavvertitamente tirato andando incontro ad un piccolo nodo. Il moro si mise a ridere e Noah, togliendo svogliatamente la mano destra da sotto le coperte, allontanò quella del compagno dalla propria testa, continuando a mugugnare monosillabi di protesta. “Piantala di ridere e lasciami dormire, visto quello che mi hai fatto questa notte” si decise infine ad usare una lingua comprensibile, senza tuttavia sollevare le palpebre. “Non ti è piaciuto come ho trattato il tuo regalo?” lo prese in giro Godwin. “Nnh” rispose l'altro tornando ai brontolii. “Te l'ha mai detto nessuno che i tuoi mugolii sono sexy?” Gli occhi di Orwell si spalancarono all'istante e, fissando il ragazzo disteso accanto a lui quasi con odio, gli intimò: “Stai-lontano-da-me!”. “Ok, ok non mi muovo” si affrettò a tranquillizzarlo Godwin, scoppiando a ridere senza freno. “Ehi, deficiente, che hai da ridere tanto? Forse non hai ben chiaro il concetto che nemmeno fra cento anni rivedrai il mio cufhh…” Il ragazzo più grande si decise finalmente a tacitare gli sproloqui dell'altro con un bacio e, trascinandolo sopra di sé, mormorò sincero: “Non importa, ne è valsa comunque la pena”. “Mh… Aaahh”. “Che ti prende?” “Il braccio!” “Cosa?” “Il braccio sinistro, non lo sento più” gridò agitandosi, premendo il volto sul collo dell'altro “Mi si è bloccata la circolazione, fai qualcosa!” Godwin, massaggiando pazientemente l'arto in questione, nascose un sorriso soddisfatto sulla tempia del suo ragazzo, rassegnato a dover seguire sempre il solito, rassicurante, piacevolissimo copione. L'orologio a forma di ragnatela sparata da un rocambolesco Uomo Ragno appeso alla parete bianca della cameretta segnò le cinque, stabilendo la fine della lezione. “Va bene, per oggi abbiamo fatto abbastanza. Per la prossima volta esercitati bene sul barrè” si raccomandò Orwell rivolgendosi al piccolo Tzvetan, intento ancora a guardarsi le dita sulle corde della chitarra. “Hai voglia di fare un giro al St John's?” “Grande!” gridò il biondino distogliendo finalmente l'attenzione dal suo strumento e, scendendo al volo le scale, avvisò la madre “Mamma vado al centro commerciale con Noah”. “Ok, ma non fare tardi”. “Lo riporto per cena” la rassicurò il ragazzo più grande, prima di uscire con il giovane amico. Seduti ad un tavolino, in uno dei rumorosi bar del centro commerciale, i ragazzi si riposavano dopo gli acquisti che Orwell aveva fatto. “Allora, fra un paio di settimane finisce la scuola” asserì il più grande sorseggiando piano il suo caffè “Sei preoccupato?” “No, non molto, forse un po' per matematica. Quel maledetto mi ha dato C nell'ultimo compito”. “Se quelli prima erano andati bene non dovresti avere tanti problemi”. “Già. Tu invece che intenzioni hai?” si informò il ragazzino senza alzare lo sguardo dal suo gelato “Che farai dopo il diploma?” “Non ne ho la minima idea, molto probabilmente mi prenderò un anno sabbatico, sì insomma un…” “Lo so cosa vuol dire sabbatico, mi hai preso per un idiota?” commentò stizzito l'altro. “Non ti scaldare, non sono abituato a parlare con i mocciosi della tua età” lo provocò ancora Noah, senza tuttavia ottenere reazioni particolari. “Allora?” “Forse mi troverò un lavoro per racimolare un po' di soldi e studierò per l'esame d'ammissione del prossimo anno all'università di Oxford o di Cambridge”. “Accidenti, punti in alto!” fischiò ammirato il ragazzino “Hai la media della A?” “Be' sì, ma quella sola non basta per ottenere la borsa di studio, devo fare anche un buon colloquio, per non parlare dello scritto”. “Che facoltà sceglierai?” “Non so, molto probabilmente legge, ma mi piacerebbe anche lettere classiche”. “Greco?!” storse la bocca Tzvetan. “Non ti piace, tu allora cosa mi consigli?” “E che ne so, se ti piace greco fai greco. Anche se di sicuro facendo l'avvocato guadagneresti di più”. “Stare con Ross non ti fa bene” borbottò Noah, posando sul tavolino la tazza ormai vuota “Sei scontroso e materiale come lui”. Il bambino sorrise mentre si divertiva a rigare con il cucchiaino il gelato rimasto attaccato alle pareti della coppetta. “Tu e Chief andrete in vacanza in qualche posto interessante quest'estate?” “No, non credo, Andrew è sempre impegnato con il suo lavoro”. “Anche papà e mamma lo sono, però io vado in campeggio per tutto il mese di agosto con i miei amici”. “Davvero, e dove andrete?” “Quest'anno ci portano in Scozia, a… Uffa aspetta!” Tzvetan si fermò a riflettere, picchiettando una mano chiusa a pugno sull'altra. “Accidenti, non mi ricordo mai quel maledetto nome”. “Me lo dirai la prossima volta, adesso sarà meglio andare o tua madre mi ammazza”. Andrew, come accadeva alla fine di ogni mese, arrivò in Mount Pleasant per incontrarsi con Stokes. Sbrigò in fretta e senza particolari variazioni la trattativa tuttavia, nel momento in cui stava per salutarlo, l'uomo gli pose una strana domanda: “La sua deliziosa guardia del corpo non lavora più per lei?” “No, è stato licenziato il mese scorso” rispose Andrew in maniera sbrigativa. “E come mai, non era abbastanza competente?” “Esatto, sto cercando qualcuno con più esperienza”. “Capisco. E mi dica, il suo vice è con lei oggi?” “Sì, mi sta aspettando in strada”. “Potrebbe farlo salire? Ho una proposta molto interessante da farvi”. Andrew fu colto da un brutto presentimento, non gli piaceva affatto l'espressione soddisfatta e depravata che in parte sfigurava il suo viso, ma fu comunque costretto ad assecondare il superiore. Ross lo raggiunse immediatamente altrettanto stupito e insospettito da quella novità e, accomodandosi accanto al suo capo, si affrettò ad indagare: “Allora signor Stokes, di cosa voleva parlarci?” “La settimana scorsa ero al St John's Shopping Center con mia moglie” iniziò a parlare il piccolo uomo dall'aspetto insignificante “Un'esperienza davvero terrificante. Se vi dovesse capitare l'occasione di fare shopping con una donna mi raccomando, fuggitela come la peste perché è una noia mortale”. Stokes continuò a divagare sul mondo incomprensibile delle donne e soprattutto delle mogli, poi decise di arrivare finalmente al sodo: “Ad ogni modo, ero al centro commerciale quando inaspettatamente scorgo un giovane dalla fisionomia familiare che attira immediatamente la mia attenzione. Pianto con una scusa mia moglie e decido di seguirlo finché l'illuminazione mi coglie improvvisa, facendomi ricordare chi fosse. Sorpreso di vedere la sua guardia del corpo in giro da solo, signor Godwin, continuo a tenerlo d'occhio, un po' incuriosito”. L'uomo fece una pausa, trattenendo a stento un sorriso inquietante, per poi continuare: “E devo dire che la mia costanza è stata notevolmente premiata perché l'ho visto incontrarsi con un creatura davvero celestiale”. Ross, sapendo già a chi si stesse riferendo, strinse a pugno le mani per non aggredire brutalmente quella specie di nano, evitando di creare problemi inutili, almeno per il momento. “Restarli a guardare mentre discorrevano tranquillamente al bar è stato veramente un piacere unico, che non provavo da un'infinità di tempo” dichiarò Stokes galvanizzato “Ed ero talmente preso da quello spettacolo che i fremiti si sono placati solamente molti minuti dopo che se ne erano andati. Naturalmente il giorno seguente ho ordinato ai miei uomini di svolgere delle indagini per scoprire chi fosse il delicato ragazzino, e non potete immaginare la sorpresa nel momento in cui ho scoperto che il piccolo Tzvetan era il figlio adottivo di Ross Marlow, il vice di un mio collaboratore”. “Cosa c'entra il ragazzino con l'offerta che deve farci?” domandò Andrew con un'intonazione gelida, proprio come la collera che era montata prepotente in lui nel sentire quei discorsi disgustosi. “Dunque, è molto semplice” illustrò Stokes “Visto che il moretto non lavora più per voi e che il biondino non è altro che un randagio straniero, vi propongo di lasciarli a me in cambio dello smercio di cocaina ed eroina”. L'ometto occhialuto lì guardò con un'espressione soddisfatta, certo di aver fatto loro una proposta che non potevano rifiutare: controllare la distribuzione anche delle droghe pesanti, infatti, avrebbe significato incrementare più del doppio le loro entrate. “Se poi con la guardia del corpo avrete dei problemi, non importa” aggiunse comprensivo “Se mi portate l'angioletto biondo la mia offerta resta identica”. “Mi dispiace ma non ci interessa” dichiarò il giovane capo senza nemmeno riflettere. “Ma come è possibile?! Ha capito la portata della mia offerta?” domandò Stokes colto del tutto impreparato. “Sì certo, è stato molto generoso, tuttavia è uno scambio che non possiamo proprio accettare” ripeté l'altro risoluto, prima di congedarsi “Adesso se vuole scusarci”. “Un attimo!” li bloccò il subordinato del boss “Se la mia offerta non vi interessa ditemi voi il prezzo, sono disposto a pagare qualunque cifra”. “Non ha capito” asserì Godwin cercando di mantenere la calma “Non è un problema di prezzo, semplicemente quei due non sono in vendita”. “Non è possibile!” esplose a quel punto l'uomo sbattendo le mani sulla scrivania “Siete voi a non aver capito. Quando qualcuno più potente vi fa una proposta simile è perché non la si deve rifiutare, mi sono spiegato adesso?” Ross, provocato fino allo stremo da quelle parole, non riuscì più a contenere la sua collera e, sollevandosi di scatto dalla sedia, afferrò l'altro per il colletto della camicia, iniziando a scuoterlo come un fuscello. “Tocca mio figlio con un dito e sei un uomo morto, sono stato altrettanto chiaro? Razza di lurido bastardo” lo minacciò furente. “Come, come hai osato!?” strillò Stokes rosso di indignazione e di collera, ricadendo sulla sua poltrona “Non avresti dovuto osare…” “Non le conviene agitarsi tanto” lo interruppe Andrew “Questo palazzo è circondato dai miei uomini e non hanno niente da invidiare ai suoi, lo sa benissimo”. “Me la pagherete!” “Accomodati pure!” lo provocò rabbioso Ross, uscendo dall'ufficio con il suo capo. “Mi dispiace” proruppe il vice colpendo con rabbia il volante, interrompendo il silenzio che si era prolungato da quando erano saliti in auto. “Tzè, di che ti scusi? Se non l'avessi fatto tu l'avrei fatto io. E forse sarebbe stato ancora peggio”. “Maledizione, proprio adesso che le acque si erano calmate. Non ci voleva, non ci voleva assolutamente!” “Quel deviato non può fare molto, non può compromettere gli affari del boss per questioni personali, però devi fare attenzione perché è molto vendicativo”. “Se si dovesse mettere male dirò ad Angela di lasciare la città con il piccolo” concordò il ragazzo più grande. “E che scusa inventerai?” “Non lo so, ma devo trovare qualcosa di molto plausibile che la convinca senza insospettirla, non sarà facile” ammise piuttosto preoccupato “Comunque anche tu non abbassare la guardia e avverti subito Noah”. “Mh”. “Grazie per il passaggio” il moro salutò l'amico scendendo dalla macchina “Domani non venire alla base, ok?” “Ma...” “Fai come ti dico!” “Ok, grazie Chief”. “Figurati, ci vediamo” rispose Andrew chiudendo subito dopo lo sportello dell'auto che si allontanò, immettendosi nel traffico della sera. “Sono tornato” annunciò entrando in casa. Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a riporre la giacca nel guardaroba che fu subito aggredito da una furia che lo mandò a sbattere contro la parete, cogliendolo del tutto impreparato. “Tu, razza di bastardo, sei un coglione e un grandissimo stronzo!” Andrew non riusciva proprio a capire: se Noah era tanto furioso da insultarlo in quel modo perché continuava a riempirlo di baci e a ridere come un deficiente? Bloccandogli il volto con entrambi le mani, il ragazzo più grande costrinse l'altro a calmarsi e a guardarlo negli occhi. “Mi dici che accidenti ti è preso?” “Te lo spiego subito, vieni con me” ordinò Noah spostandosi in cucina “Ecco guarda” lo esortò mostrandogli una lettera. “Cos'è?” “Leggi!” La lettera era indirizzata all'Egregio Signor Godwin, ma poiché il signore in questione odiava la corrispondenza cartacea lasciava al compagno l'incombenza di leggere tutte le sue lettere, gettare le pubblicità e ogni pezzo di carta inutile e mostrargli solamente quelle importanti. Quindi, per essere nelle sue mani, quella doveva sicuramente appartenere alla seconda categoria. Andrew scorse velocemente le poche righe e scoprì di cosa si trattava. “Nh”. “Che cazzo significa 'Nh'? Sei stato ufficialmente accettato all'università di Oxford e tutto quello che sai dire è uno stronzissimo nh?” “…” “Perché non mi hai detto che avevi fatto l'esame d'ammissione?” “Non lo so, non abbiamo parlato mai di questo, era importante?” Lo sguardo vivace del più piccolo si inquietò all'istante e incredulo chiese: “Non avrai per caso intenzione di rifiutare a priori, vero?” “No, questo no, non sono così scemo, è solo…” “È solo?” “Non me lo aspettavo…” “Che cosa?” “Ho fatto l'esame solamente perché il professore di storia mi ha costretto” spiegò il moro un po' imbarazzato “Ma sinceramente, non pensavo di riuscire a passarlo con quanto studio”. “Non essere idiota, lo sai perfettamente che dieci minuti del tuo lavoro equivalgono ad un'ora per una persona normale”. “Sì, come no”. “In ogni caso questa è l'occasione di cui ti parlavo” annunciò Orwell entusiasta “Dopo l'estate potremmo lasciare questo posto di merda e trasferirci ad Oxford dove entrambi avremo la possibilità di farci una nuova vita, che ne pensi?” “Niente male” mormorò il compagno appoggiando una mano sul collo dell'altro. “Davvero?” “Sì, sono decisamente stanco di stare nella spazzatura” dichiarò Godwin senza esitare, spinto dal senso di repulsione che, quel pomeriggio più di ogni altro, aveva provato di fronte a Stokes. “Bene, allora andiamo a festeggiare”. “Mi dici che cosa hai?” Dopo una serie di partite favorevoli al biliardo Noah ed Andrew si erano seduti ad uno dei tavolini del Rocket per un ultimo giro di birre e dal nulla il primo se ne era uscito con quella domanda. “Che ho cosa?” “Sei pensieroso” affermò Orwell “E sono sicuro che l'ammissione non c'entri niente”. “…” “Oggi avevi appuntamento con Stokes, è andato storto qualcosa?” “No, almeno non nella transizione” si corresse subito Andrew. “Dove?” “Qualche settimana fa sei stato al centro commerciale con il figlio di Ross?” “Sì perché?” “Vi ha visto Stokes”. “E allora?” chiese Noah, già consapevole che la risposta non gli sarebbe affatto piaciuta. “Ha chiesto a me e a Ross di venderglielo”. Il ragazzo ascoltò allibito tutto il resoconto delle parole di Stokes e inevitabilmente si informò: “Ross che ha fatto?” “All'inizio niente, ma quando ha continuato ad insistere nonostante il nostro rifiuto ha perso completamente la ragione, l'ha sbattuto come un tappeto e gli ha ordinato di stare lontano da Tzvetan”. “Questa non ci voleva, accidenti a me e alle mie idee!” “Non dire stronzate, sai perfettamente che non è colpa tua”. “Ross che conta di fare?” “Per il momento gli ho detto di stare con il figlio e la moglie” asserì il moro “Se si accorgerà di movimenti strani li spedirà subito fuori città”. “Sarebbe sicuramente meglio spedire Stokes al cimitero”. “Lo so, ma non possiamo farlo: se osiamo alzare la testa con un superiore gli altri ci annienterebbero senza pensarci due volte per rappresaglia”. “Quindi non vi resta che aspettare la mossa di quel porco?” “Sì”. “È troppo pericoloso”. “Ma non c'è altra scelta, Ross non può fare niente con Stokes e non può raccontare la verità ad Angela, ha praticamente le mani legate. E comunque cerca di stare attento anche tu”. “Io?” “Anche la deliziosa guardia del corpo era compresa nel prezzo”. Noah rimase immobile come uno stoccafisso per un'infinità di secondi, prima di domandare seriamente: “Mi stai prendendo per il culo?” “Assolutamente no”. “Ok, va bene, non ci voglio pensare” cercò di convincersi, ma subito dopo si alzò di scatto, facendo oscillare pericolosamente la sedia e persino il tavolo. Godwin lasciò una manciata di monete accanto al bicchiere di birra consumato solo a metà e, alzandosi a sua volta, gli corse dietro. “Ehi aspetta, dove stai andando?” domandò trattenendolo. “Lasciami!” sibilò l'altro strattonando con violenza il braccio per continuare ad allontanarsi “È uno schifo, davvero troppo…” Il ragazzo smise di parlare e di camminare, fermandosi all'improvviso. “Noah?” provò a chiamarlo il moro. “Ti rendi conto? Non posso nemmeno andare a comprare un libro senza correre il rischio di sprofondare in un pozzo di melma, trascinando con me persone che non c'entrano niente”. “Non capisci, Stokes in realtà vuole il ragazzino, sei tu ad entrarci ben poco”. “Se quel figlio di puttana non avesse visto Tzvetan con me, ma con sua madre o con i suoi compagni di scuola, non sarebbe venuto fuori tutto questo casino, non l'avrebbe nemmeno notato o comunque si sarebbe limitato a scaricarsi in un cesso prima di raggiungere la mogliettina”. “Sbagliato!” negò con furibonda convinzione Andrew “Se non l'avesse visto con te, che sei uno stretto collaboratore del sottoscritto, non avrebbe avuto il minimo riguardo. In quel cesso ci avrebbe trascinato anche il figlio di Ross e se lo sarebbe fatto senza chiedere il permesso a nessuno” illustrò molto concretamente prima di concludere “Quindi risparmiami questi assurdi sensi di colpa perché in una situazione simile non mi servono a niente, chiaro?”. Questa volta a restare senza parole fu Noah che, accorgendosi di dare spettacolo in mezzo alla strada, si limitò a mormorare: “Torniamo a casa”. La calma piatta delle settimane che seguirono impedì al vice di prendere una decisione definitiva. Nonostante la profonda inquietudine che aumentava in lui di giorno in giorno, non poteva chiedere ad una donna impegnata nel suo lavoro e con la propria famiglia di lasciare tutto per allontanarsi da quella città, non in maniera così improvvisa e senza una giustificazione plausibile che, indiscutibilmente, lo avrebbe costretto a svelare una parte di verità molto, molto scomoda. “Sei sicuro di quello che fai?” domandò Ross una mattina di metà giugno, seduto alla scrivania del proprio ufficio in compagnia del capo. “Sì, sono sicuro che sia la scelta migliore per me e per Noah” assicurò il moro deciso “Solo non voglio lasciare te in una situazione così incerta con la tua famiglia e con quel bastardo di Stokes”. “Io non sono come te Chief. Non sono ricco di famiglia, ho quasi trent'anni, non ho un titolo di studio decente e in un posto come questo ci sono nato” elencò senza problemi il vice “Questo lavoro lo faccio da sempre e ormai ha avvelenato la mia vita come le schifezze che spacciamo. Mi sono rassegnato ad essere un criminale, ma tu forse puoi ancora migliorare, forse”. “Ma come farai con Angela?” “Le dirò tutta la verità, mi sono spaccato la testa a furia di pensare ad un modo per farle lasciare questa città senza scoprirmi, ma adesso basta, non ho nessun diritto di rischiare la sua vita e quella di Tzvetan fino a questo punto. Devo solamente trovare il coraggio”. “Ma lei non lo accetterà”. “Già, lei non chiuderà gli occhi come Noah, il suo cervello conserva ancora quel pizzico di disciplina che le imporrà di mandarmi al diavolo” dichiarò Ross con un sorriso amaro “E sinceramente è quello che spero”. “Come vuoi tu, anche se credo che…” Godwin però non terminò la sua constatazione perché il cellulare dell'amico prese a suonare, richiamando l'attenzione di entrambi. “Pronto” rispose al volo il proprietario. “Pronto, parlo con il signor Marlow?” domandò una voce sconosciuta. “Sì sono io”. “Chiamo dal Royal Hospital, suo figlio e sua moglie sono stati ricoverati qui a seguito di un incidente automobilistico, ci può raggiungere il prima possibile per favore?” “Arrivo”. Il giovane spense il cellulare restando pietrificato come un pilone di cemento armato. “Che è successo?” domandò Andrew seriamente preoccupato. “Angela ha avuto un incidente. È in ospedale”. “Andiamo!” Giunti davanti ai medici appresero la verità e Ross si accasciò su una sedia della sala d'aspetto come un manichino rotto. Tzvetan stava bene, aveva riportato un leggero trauma cranico, ma niente di serio e in quel momento stava riposando in una camera. Angela invece era in coma irreversibile e il suo cuore batteva ancora solo perché attaccato ad una macchina. “Posso vederla?” domandò Ross con un filo di voce, la testa bassa e gli occhi coperti da una mano. “Certo, mi segua” lo invitò comprensivo il medico. Andrew restò solo in quella stanza beffardamente luminosa, si sedette sulla sedia occupata prima dall'amico e con l'amarezza che gli perforava il cervello si decise a chiamare Noah. “Andrew!” urlò il ragazzo più giovane raggiungendo il compagno quasi di corsa. “Noah”. “Che è successo?” “Un grosso furgone ha travolto l'auto di Angela mentre accompagnava Tzvetan al dopo scuola… non c'è niente da fare…” “Ma che dici? Come…” Noah si bloccò con i pugni stretti e un nodo amarissimo in gola. “Tzvetan sta bene ma per Angela… I medici hanno dichiarato la morte cerebrale”. “Sono stati loro?” soffiò pianissimo l'altro. “Non lo so, per il momento sembrerebbe un incidente” lo informò Andrew “Anche il conducente che guidava il furgone è stato ricoverato. È stato colto da un arresto cardiaco e ha perso il controllo del suo mezzo travolgendo Angela e altre macchine. È morto poco minuti fa”. “Io non credo alle…” Noah non terminò la frase perché attraverso la porta aperta della stanza vide Ross uscire dalla sala di rianimazione. La disperazione e la rabbia sfiguravano a tal punto il volto dell'uomo da renderlo quasi irriconoscibile. Ross non disse niente, ma avvicinandosi agli amici consegnò loro il proprio cellulare. << Ecco mantenuta la mia promessa, signor Marlow >> lessero con occhi febbrili il messaggio che pochi istanti prima era arrivato all'amico << Spero che dopo questa piccola lezione si deciderà a giungere a più miti consigli >>. Orwell chiuse gli occhi, mentalmente sfinito da quelle situazioni insostenibili che continuavano a susseguirsi senza tregua nella sua vita, mentre Andrew si affrettò a fermare il vice. “Dove stai andando?” “Lasciami”. “Vuoi farti ammazzare?” bisbigliò il moro risoluto. “Non sono affari che ti riguardano, Chief”. “Lascialo andare” intervenne con rabbia Noah “Te l'ho spiegato mille volte, a voi non importa niente degli altri. Figurati che cazzo gli frega ad un bastardo simile se suo figlio resterà completamente solo per la seconda volta!” Andrew sgranò gli occhi colpito dalla cattiveria che grondava da quelle parole e Ross si soffermò per un istante dando loro la schiena, prima di proseguire verso l'uscita incurante di tutto e tutti. I ragazzi rimasero a lungo in silenzio senza il coraggio di guardarsi negli occhi. La tensione stava salendo sempre di più, ma a smorzare quel pericoloso nervosismo intervenne improvvisamente il medico. “Il signor Marlow?” “È uscito” rispose Godwin “aveva bisogno di una boccata d'aria e di stare da solo”. “Posso capire il suo stato d'animo” asserì il dottore “Lasciare andare una persona cara è sempre un trauma insostenibile, tuttavia sono qui per avvisarvi che il sedativo che abbiamo dato al bambino sta per terminare il suo effetto. Fra poco si sveglierà e sarebbe il caso di non lasciarlo solo”. “Capisco, grazie di averci avvisato” annuì Andrew “Se possibile staremo noi con lui, almeno finché suo padre non si sarà ripreso”. “Certo, l'infermiera vi mostrerà la sua stanza”. Quando il ragazzino si svegliò i suoi occhi erano già lucidi: evidentemente il dolore aveva continuato a tormentarlo anche nel sonno. “Tzvetan” lo chiamò piano il moro seduto accanto al letto. “Chief, la mamma?” “…” “Non ce l'ha fatta, vero?” “Mi dispiace”. Il velo di lacrime si ingrossò all'istante e, rompendo l'argine delle palpebre, le gocce salate rotolarono silenziose ed inarrestabili lungo le guance pallide del biondino, che per un tempo infinito restò immobile senza dare - ad eccezione di quel pianto sommesso - il minimo segno di vita. Non riuscendo più a tollerare quella vista, Andrew si piegò d'istinto su di lui ed abbracciandolo forte lo sollevò per stringerlo al proprio torace. “Perché?” cominciò a singhiozzare più forte il piccolo, artigliando con le mani la maglia del moro “perché… perché… io non voglio… non… voglio…” “Mi dispiace” continuò a ripetere Andrew sentendosi paurosamente inutile, proprio come Noah che se ne stava in disparte, la fronte incollata al vetro della finestra e gli occhi chiusi, con il vuoto che gli scavava il petto e l'angoscia del bambino che gli sfondava la testa con la stessa violenza di un piccone. “Voglio andare da lei” bisbigliò esausto Tzvetan. “Sicuro?” domandò esitante il ragazzo più grande. “Sì”. Noah andò subito a chiamare un'infermiera che, facendolo sedere in una sedia a rotelle, scortò il bambino fino a destinazione. Rimase da solo con la madre per più di un'ora e quando uscì i ragazzi erano lì ad aspettarlo per riportarlo nella sua camera. Dopo la visita Tzvetan aveva smesso di piangere e nel suo sguardo si era prepotentemente fatta spazio una triste rassegnazione. “Perché papà non è qui?” domandò all'improvviso “È arrabbiato?” “Tuo padre è fuori di sé, Tzvetan” rispose Andrew cercando di non mentire “Non vuole che tu lo veda in questo stato”. “Pensi che avrebbe preferito me? Sì insomma…” “Hai così poca stima di lui?” domandò severo Godwin. “Scusa, però vorrei che fosse qui in questo momento. Come faremo senza di lei?” Andrew non lo sapeva. Sebbene anche lui avesse vissuto lo stesso tipo di perdita, non era in grado di aiutarlo perché le situazioni in sé erano profondamente diverse. Dopo il suicidio della madre, infatti, si era praticamente vietato il diritto di sentirne la mancanza, obbligandosi invece a provare solo rimorso e un opprimente senso di colpa, che lo avevano condotto alla strada che poi aveva intrapreso senza la minima esitazione, come una punizione. Per quel ragazzino invece era tutto diverso perché lui non aveva nessuna colpa, lo avevano strappato via da sua madre e adesso aveva il sacrosanto diritto di disperarsi per il proprio futuro. “Prima, quando ero con lei, vi ho sentito parlare” li sorprese Tzvetan con le sue parole “Non sono riuscito a sentire tutto ma… Non è stato un incidente, vero?” “No, non lo è stato” questa volta fu Noah a parlare anche se la sua voce uscì incerta e turbata dalle labbra. “Perché?” “Non possiamo rispondere noi a questa domanda, devi aspettare tuo padre”. Il ragazzo strinse con rabbia le lenzuola e con gli occhi di nuovo lucidi chiese ad entrambi di lasciarlo solo. Andrew e Noah uscirono dalla camera, approfittando di quell'occasione per prendersi un caffè ai distributori automatici. “Ci mancava solo questa!” sbottò Orwell sentendosi inevitabilmente in colpa. “Prima o poi lo avrebbe saputo”. “Stava a Ross deciderlo”. “Quello stupido doveva starsene qui” dichiarò l'altro, schiacciando il bicchiere di carta prima di gettarlo con rabbia nel cestino dei rifiuti. “Cosa possiamo fare noi per il ragazzino?” All'improvviso dalla camera di Tzvetan giunsero dei rumori violenti ed entrambi, allarmati, tornarono di corsa indietro. Il ragazzino sembrava come impazzito: teneva in mano lo sgabello di metallo che di solito stava accanto al letto e, brandendolo come una mazza, colpiva con forza tutto ciò che gli capitava, distruggendo tutte le suppellettili - per fortuna poche - che arredavano la camera. L'infermiera che era accorsa non sapeva assolutamente cosa fare ma Noah non si fece prendere dal panico e, sorprendendo da dietro il bambino, lo cinse con entrambe le braccia bloccandolo contro il proprio torace, mentre Andrew intervenne prontamente per togliergli quell'arma impropria dalle mani. “Lasciami” cominciò a sbraitare Tzvetan “Ti ho detto di lasciarmi, brutto stronzo”. “Calmati” parlò piano il ragazzo castano. “STA ZITTO” strillò il ragazzino continuando ad agitarsi “STA ZITTO NON MI DIRE DI CALMARMI. TU NON LO SAI, TU NON LO SAI… tu non sai… …quando ti ammazzano tua madre…” terminò con un lamento sempre più basso, mentre si lasciava cadere in avanti sostenuto dalle braccia dell'altro. “Shh lo so invece, lo so bene” continuò a confortarlo Noah accarezzandogli ripetutamente la nuca “È come non averla persa una sola volta, ma cento, mille volte concentrate tutte insieme. Vorresti gridare fino a farti sanguinare le corde vocali, ma allo stesso tempo non hai assolutamente niente da dire né da chiedere perché tutto sarebbe privo di significato”. Sentendolo acquietarsi, nonostante il continuo tremore, Orwell lo prese in braccio e lo adagiò di nuovo sul letto, sedendosi sul materasso per non allontanarsi troppo da lui. “Chiamatemi immediatamente se dovesse agitarsi ancora” sussurrò l'infermiera in direzione di Andrew, prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle. “Come fai a saperlo?” parlò piano Tzvetan, fissando i suoi occhi arrossati e gonfi in quelli dell'altro. “Anche la mia famiglia è stata uccisa” confessò Noah, ignorando l'occhiata allibita del compagno. “Perché?” “Mio padre era un giudice, nel suo ultimo caso stava indagando sull'esistenza di conti bancari segreti, utilizzati da un'azienda siderurgica piuttosto importante per la corruzione di pubblici ufficiali” raccontò Noah senza entrare nel dettaglio “Poiché il suo lavoro risultava scomodo a diverse personalità importanti, decisero di far saltare in aria il nostro appartamento. Oltre ai miei genitori e a mio fratello morirono tutti gli inquilini del palazzo, ma la polizia non impiegò più di una settimana a chiudere il caso, dichiarando che si era trattato di un brutto incidente”. “E tu, come hai fatto a salvarti?” “Io ero rimasto a dormire a casa di mia nonna”. “Come fai a sapere queste cose?”intervenne a quel punto Andrew “Tu avevi tre anni quando è successo”. “Mio padre collaborava con un giornalista freelance, è stato lui a raccontarmi tutto qualche anno fa, mostrandomi anche le prove che avevano raccolto” il ragazzo si voltò di nuovo verso Tzvetan e proseguì “Quel giorno è come se la mia famiglia fosse morta ancora una volta. È stato terribile e lo è tuttora”. “Ma tu sei contento così? Non pensi ai loro assassini?” “Quell'impresa è colata a picco dopo pochi anni e tutti i soci sono stati uccisi dallo stesso boss mafioso con cui cooperavano. Come vedi Tzvetan c'è sempre un sistema, in un modo o nell'altro i torti si pagano”. “Vale anche per mia madre?” “Sì”. “Come fai ad esserne certo?” “Perché è così, te lo assicuro”. “Grazie”. Il piccolo si addormentò nuovamente e i ragazzi decisero di uscire per non rischiare di disturbarlo con i loro bisbigli. Avevano bisogno di parlare, ma appena furono fuori videro Ross appoggiato alla parete del corridoio. “Ti sei deciso a tornare, finalmente” sibilò Godwin guardando duramente il giovane di fronte a sé. “Vi chiedo scusa”. “Non me ne faccio niente delle tue scuse” continuò il capo “Va là dentro e rimani con tuo figlio, non voglio rivederti in giro per nessuna ragione”. “Ma…” “A Stokes penserò io e ti chiamerò non appena avrò trovato un modo per liquidarlo definitivamente” promise il moro lapidario, andandosene subito dopo con Noah. Dopo più di quaranta giorni, durante i quali Godwin aveva elaborato un piano per la vendetta ai danni di Stokes ed atteso i tempi giusti, Ross fu richiamato alla base. “Ben tornato” lo salutò il moro stringendogli forte la mano. “Grazie”. Ross guardò l'altro amico, seduto in silenzio sul divano, ed esitante chiese: “Sei ancora incazzato con me?” “Non ti sei fatto ammazzare in tutto questo tempo, è già qualcosa” replicò Noah, andandogli incontro per abbracciarlo, un istante solo ma con forza. “Come sta Tzvetan?” domandò poi preoccupato. “Così” rispose Ross sollevando le spalle “Gli manca indicibilmente Angela e anche a me. Sarò banale ma a volte mi sembra di soffocare”. “Non credere che la morte di Stokes risolverà questi problemi” lo avvertì subito Noah. “Ma...” “Lo so, non hai bisogno di spiegazioni”. Seduti tutti e tre attorno alla scrivania, i ragazzi cominciarono a discutere su ciò che doveva essere fatto. “Ti spiego dall'inizio altrimenti rischi di non capire tutti i punti del piano” prese la parola Andrew “A fine giugno mi sono incontrato come sempre con Stokes. Ovviamente mi sono scusato del brutto incidente avvenuto la volta prima, assicurandogli inoltre di averti tolto di mezzo”. “Cioè?” lo interruppe Ross. “Mi sono inventato che dopo la morte di Angela tu eri come impazzito e volevi a tutti i costi ucciderlo. Io, che non volevo assolutamente perdere il mio preziosissimo giro d'affari per una 'insignificante donnetta', ho risolto il problema sbarazzandomi anche di te che, tra l'altro, non sapevi mai stare al tuo posto”. “E ti è bastato questo per rabbonire quell'animale?” “Devo dire che questa cosa lo ha lusingato molto, ma i due gemellini che mi ha fornito Flash hanno avuto sicuramente un ruolo decisivo, e non solo per curare l'orgoglio ferito di Stokes”. “E che hanno fatto?” “Hanno cominciato a strofinarglisi addosso come micini in calore e quel porco non ha resistito molto, dandomi il tempo di agire indisturbato. Così, mentre Stokes era distratto, sono riuscito a collegare un keylogger al cavo della tastiera del suo computer e…” “Frena, frena!” lo interruppe di nuovo il vice “Che diavolo è un keylogger?” “Ne esistono di vari tipi” spiegò subito Godwin “Quello che ho usato con Stokes è hardware, cioè è uno strumento fisico in grado di intercettare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera, password tanto per fare un esempio”. “E che ce ne facciamo delle sue password? Non vogliamo mica svuotargli il conto in banca!” “Se mi lasci finire!” “Scusa, vai pure avanti”. “Con questo strumento riusciremo a controllare tutta quanta la sua posta elettronica, anche le mail che si scambia con Eccles e che riguardano le informazioni sul traffico di droga”. “Ma a quelle non ci pensa il piccione viaggiatore?” “Solo in parte” lo informò l'altro “Il piccione viaggiatore porta a Stokes una lista ordinata di quantitativi e specifiche varie mentre il boss, tramite e-mail, gli invia una lista di nomi propri, ognuno dei quali indicante un tipo di droga. In questo modo la polizia per decifrare il loro codice deve entrare in possesso di entrambe le liste, che tuttavia non costituirebbero una prova valida per il tribunale perché da una parte si leggono solo numeri mentre dall'altra solo nomi”. “Capisco”. “Noah ed io abbiamo già identificato la password giusta per entrare nel suo account di posta elettronica. Se riuscissimo a fare la stessa cosa con quello di Eccles potremmo intercettare la lista di nomi, modificarla a nostro piacimento e inviarla a Stokes con il mittente del boss, senza destare nessun sospetto”. “Comincio a capire dove vuoi andare a parare” dichiarò soddisfatto il ragazzo più grande. “Stokes, con i quantitativi sballati, produrrà sostanze stupefacenti di bassissima qualità e noi, grazie a Willy, lo faremo notare prontamente ad Eccles che di conseguenza si occuperà di quel bastardo”. Era un buon piano, pensò fra sé Ross, tuttavia c'erano ancora delle cose che lo preoccupavano. “Ma che mi dici delle prove?” domandò per chiarire ogni dubbio “Voglio dire, Stokes è un aborto della natura ma non è stupido, quando le cose volgeranno al peggio mostrerà sicuramente le mail che ha ricevuto”. “No potrà farlo” lo rassicurò il capo “Tutti, ad accezione di Eccles, sono tenuti a sbarazzarsi immediatamente di qualunque cosa costituisca anche una minima prova di reato. Quindi, alla fine di tutto, Stokes non si ritroverà niente in mano che possa scagionarlo”. “Perfetto. Ma come farete a mettere il dispositivo sulla tastiera del boss?” continuò a chiedere Ross. “Con lui dobbiamo usare un keylogger di tipo software, ma è inutile che ti spieghi, non capiresti niente”. “Ok, spero solamente che funzioni”. “Deve funzionare per forza”. “Domani parto per la Scozia, devo accompagnare Tzvetan in campeggio e resterò fuori una settimana. Da quello che ho sentito, non dovrebbe causarvi problemi”. “Al contrario” sostenne Andrew “Abbiamo aspettato agosto proprio perché Noah sapeva del campeggio: tu e tuo figlio, per il momento, non potete tornare a Liverpool”. “Va bene, allora resterò fuori città, ma voi fatemi sapere”. “Sta tranquillo” lo rassicurò subito l'amico. “Adesso torno alla casa sicura da Tzvetan, ci vediamo”. Il giorno seguente, nel tardo pomeriggio, Noah ed Andrew erano intenti a controllare la posta di Stokes quando sentirono bussare alla porta. “Avanti” ordinò subito Godwin. “Ho finito, Chief” annunciò compiaciuto uno dei suoi uomini sventolando un cd-rom. “Come è venuto?” “Te lo assicuro, Capo, questo codice è più invisibile dell'aria, ma devi usarlo entro un paio di giorni altrimenti diventerà vecchio, e a quel punto potrebbe rilevarlo anche un antivirus da quattro soldi”. “Perfetto Jeff, fatti dare la tua ricompensa da Zach”. “Agli ordini” esclamò il ragazzo uscendo soddisfatto dall'ufficio. “Adesso speriamo che quel verme sia puntuale e spedisca al boss ciò che ha promesso qualche giorno fa” mormorò Noah massaggiandosi gli occhi, stanchi di fissare il monitor. Come previsto, la sera stessa Stokes inviò la mail che i due ragazzi stavano aspettando e che subito intercettarono per manipolarla. Il messaggio di posta elettronica, che apparentemente sembrava un semplice invito per un party, conteneva il luogo e l'orario in cui il pezzi grossi della mafia avrebbero tenuto la loro prossima riunione. Tuttavia non era quell'informazione che Noah ed Andrew aspettavano con ansia. Per loro fortuna Eccles era un tipo molto scrupoloso; ogni volta che si riuniva con i suoi soci, da Stokes pretendeva un filmato con la dislocazione e la struttura della villa che li avrebbe ospitati per organizzare al meglio la sorveglianza e una via di fuga sicura in caso di necessità. Ed era proprio quel filmato allegato alla mail che interessava ai ragazzi. “Vediamo se Jeff ha fatto bene il suo lavoro!” esclamò Godwin inserendo il cd-rom nel portatile. Premendo velocemente alcuni tasti il ragazzo salvò l'allegato in una cartella, immettendovi subito dopo il codice trojan creato dal suo subalterno, così che nel momento in cui Eccles avrebbe visionato il filmato il file server con keylogger annesso sarebbe andato ad installarsi nel suo computer. “Bene, adesso non ci resta che spedire la nuova mail corretta” affermò Godwin premendo invio dalla casella di posta di Stokes. “E sperare che il file server non venga rilevato dal pc di Eccles”. Andrew fu costretto a trascorrere diverse ore di fronte a quella maledetta macchina, ma a notte fonda fu finalmente accontentato. “A quanto pare Jeff si è meritato tutte le cinquecento sterline che gli ho dato” sbuffò sollevato, iniziando a ricevere nel proprio notebook le lettere e i segni che Eccles utilizzava. “Siamo dentro?” domandò Noah sollevandosi dal divano su cui, vista l'ora tarda, riposava. “Prendi nota” borbottò sarcasticamente il moro “Il boss controlla la posta molto tardi”. Nel giro di pochi giorni furono in grado di individuare la password che l'uomo utilizzava per la sua casella di posta e ai ragazzi non rimase altro da fare che attendere la mail giusta. “Non ti sembra strano?” domandò una sera Orwell “Eccles non è il vero nome del boss, immagino, altrimenti non avrebbe senso nemmeno il piccione viaggiatore”. “Certo”. “E allora perché ha solo un indirizzo con quel nome?” “Perché il computer che usa per gli affari illegali non può essere lo stesso del suo alter ego 'rispettabile' ti pare?” “Giusto, non ci avevo pensato”. “Però a volte quegli aggeggi si guastano” proclamò divertito il moro. “Che vuoi dire?” “Il pc che usa onestamente ha dei problemi, così ha risposto alla mail di sua moglie con questo che controlliamo noi?” “È sposato?!” domandò Noah sorpreso. “Ovviamente non ha fatto nomi ed è stato molto breve, l'unica cosa che ho capito è che vive all'estero”. “Dove?” “Non lo so, suo fratello però vive qui a Liverpool”. “E non sei in grado di rintracciarlo?” domandò ancora più interessato l'altro. “No, con i nostri mezzi è impossibile e poi, non sapendo l'altro indirizzo, non possiamo seguire la loro corrispondenza”. “Peccato” fu subito smontato Orwell “Usando il fratello non sarebbe stato così complicato ottenere la collaborazione del boss”. “Già, ma concentriamoci su ciò che possiamo fare. Il risultato sarà lo stesso, te lo garantisco”. “Eccola” esultò Godwin nel momento in cui, il giorno seguente, vide la mail contenente la lista di nomi. “Era ora! Un altro giorno davanti a quel maledetto schermo e mi sarebbero prese le convulsioni” si sfogò Noah esasperato. “Allora eccolo qua, il signor Paul 'Ecstasy' Clay lo mettiamo al posto della bella signorina Alison 'Eroina' Finn”. “Hai scelto in base a qualche criterio?” “La quantità” rispose il compagno “In media in una pasticca di ecstasy ci sono dai settantacinque ai centocinquanta milligrammi di principio attivo, le dosi medie di eroina invece sono molto, molto più basse”. “In pratica un sacco di overdose da eroina e chili di pillole efficaci quanto lo zucchero per sballare”. “Non proprio” lo corresse il moro mentre inoltrava di nuovo la mail a Stokes, cancellando dal suo account quella vecchia. “Se diminuisci i quantitativi di MDMA* nelle pillole di ecstasy devi necessariamente aumentare le sostanze da taglio, come ad esempio l'acetato di piombo che è uno dei responsabili principali delle intossicazioni più acute”. “Quindi una marea di avvelenamenti?” domandò preoccupato Orwell. “Noi non metteremo in commercio nemmeno una pillola, fregheremo il bastardo molto prima e gli altri verranno subito fermati dal boss, quindi penso che non ci saranno tante perdite”. “Ma scegliendo proprio l'Adam non pensi che Stokes capirà che sei stato tu?” “Sì, ma non avrà nessuna prova contro di me. Ti ricordo che io ho addirittura fatto fuori il mio vice per chiudere la questione, per lui però può non essere così”. La risposta turbata del responsabile del traffico di sostanze stupefacenti non tardò ad arrivare ed Andrew impedì prontamente che giungesse al signor Eccles. Inoltre, usando il nome di quest'ultimo, assicurò al confuso Stokes che l'ordine dei nomi era quello giusto e lo invitò a procedere come al solito. Non era stato affatto facile per Godwin ottenere un colloquio diretto con il boss, aveva dovuto parlare con il piccione viaggiatore, con il segretario e con l'avvocato, spiegando ogni volta lo stesso problema con l'aiuto del suo infallibile chimico. E finalmente Mister Eccles aveva accettato di parlare con lui. Il segretario, accompagnato da due guardie del corpo, era andato a prelevarlo in Albany Road, lo aveva incappucciato e scortato alla villa del suo superiore che, protetto dal buio davanti agli occhi di Andrew, si era finalmente fatto vivo. “Tu sei Black Doll, giusto?” domandò l'uomo. “Sì, questo è il nome ridicolo che mi ha affibbiato gente altrettanto ridicola. Mi chiamo Andrew Godwin”. Eccles si esibì, non visto, in un lieve sorriso sarcastico prima di dichiarare: “Ho sentito parlare molto di te”. “Allora ha molta gente noiosa intorno” rispose il moro con la voce soffocata dal cappuccio. “Affatto” asserì il suo importante interlocutore ridendo “Le tue trovate sono molto divertenti ed efficaci, visto dove ti hanno fatto arrivare”. “È stata una reazione a catena che di certo non ho innescato io. In ogni caso, se non le dispiace, non sono qui per conversare”. “E perché saresti qui allora?” “Per queste” rispose Andrew, togliendosi dalla tasca della giacca una bustina di pillole che il segretario consegnò al boss “Fanno parte dell'ultimo carico che il signor Stokes mi ha consegnato. Sono veleno”. “Che intendi?” si informò Eccles improvvisamente interessato. “Contengono una percentuale irrisoria di MDMA e le sostanze da taglio che compongono il resto della pillola la rendono altamente tossica”. “Ma come è possibile? Perché Stokes avrebbe fatto una cosa simile?” “Forse si è trattato di un errore, ma qualche mese fa ha avuto una violenta discussione con il mio vice” diede la sua versione dei fatti Godwin “Molto probabilmente voleva crearmi dei problemi con la polizia, nonostante avessi già provveduto a sbarazzarmi di quell'insubordinato”. Senza aggiungere altro, lasciando il ragazzo in piedi ed ancora incappucciato, Eccles uscì dalla stanza portandosi dietro il sacchetto trasparente. Mezz'ora dopo tornò indietro letteralmente imbestialito. “Voglio tutta quanta la merce” urlò all'indirizzo del suo uomo di fiducia “Manda qualcuno con lui a prelevarla e convoca immediatamente quel pidocchio deviato di Stokes. Se trovo un'altra delle sue pillole con tutta quella merda lo cancello dal mondo!” Stokes entrò nell'ufficio del boss poco meno di un'ora dopo. “Mi ha fatto chiamare, signore?” domandò il subordinato. “Sì, ho bisogno di farti un paio di domande”. “Dica pure”. “Che ne pensi di Andrew Godwin?” “Intende il ragazzino dei bassifondi?” “Sì”. “Sinceramente signore, non penso che quel ragazzo farà molta strada, la sua arroganza un giorno o l'altro gli taglierà le gambe” sentenziò Stokes aggiustandosi gli occhiali per darsi un tono. “Hai avuto dei problemi con lui?” “Come non averne, non ha nemmeno venti anni e si crede il padrone del mondo”. “Capisco”. “Scommetto che ha causato dei problemi anche a lei”. “No, anzi, se quello che dice è vero mi ha evitato un'infinità di rogne con la polizia” asserì Eccles e premendo un tasto sul telefono chiese al segretario “È pronto il rapporto?” “Sì”. “Portamelo”. L'uomo lesse con attenzione ciò che i suoi tecnici di laboratorio avevano riscontrato analizzando la merce sequestrata dai magazzini in Albany Road, dopodiché tornò a rivolgersi al suo subalterno. “Queste sono tue vero?” chiese mostrandogli le pillole di bassissima qualità. “Sì certo, è il mio marchio” confermò l'altro. “È possibile che qualcuno lo abbia contraffatto?” “No, nella maniera più assoluta. Da quando sono io il responsabile non è mai accaduta una cosa del genere”. “Allora spiegami, questo è dovuto ad un errore o si è trattato di uno scherzo di pessimo gusto per punire un ragazzino arrogante?” lo interrogò Eccles mostrandogli il foglio appena letto. Le parole del capo e quello sguardo spietato ridussero Stokes ad un ammasso di gelatina tremolante, che a stento riuscì ad afferrare il rapporto e leggerlo. “Ma, mi perdoni… Ma è stato lei a chiedermi questo” affermò terrorizzato. “Non è un tuo sbaglio, è questo che mi stai dicendo?” “S…sì, io ho fatto quello che mi ha ordinato lei, ne sono… Ne sono certo perché le ho anche chiesto conferma, per evitare possibili malintesi da parte mia”. “Bene, vediamo subito” esclamò il boss controllando sul computer l'ultima lista di nomi che aveva inviato. “Mh no, qui non c'è nessuno sbaglio” mormorò con finta noncuranza, gettando Stokes nel panico totale “E non mi risulta nessuna mail di risposta, quindi non vedo proprio come tu possa avere eseguito i miei ordini”. “Ma io…” “Basta così” sibilò l'uomo più potente mostrando finalmente tutta la sua collera “Non so che diavolo avevi in mente, ma quel che è certo è che stavi per rovinarmi”. “Mi ascolti la scongiuro” cercò di supplicarlo l'altro “deve esserci stato qualche problema nella rete o…” “Ne ho abbastanza” decretò Eccles, richiamando alcuni dei suoi uomini nell'ufficio ai quali ordinò: “Portatelo via. Mi occuperò di lui più tardi”. Tra proteste e suppliche Stokes fu condotto fuori dalla stanza e pochi minuti dopo Andrew entrò al suo posto. “Avevi ragione tu ragazzo” dichiarò il boss senza esitazione “La merce era tutta sabotata. Ma come hai fatto ad accorgertene?” “Uno dei miei uomini è laureato in chimica ed è veramente un genio in questo campo” rispose Andrew “Controllo sempre quello che ci viene consegnato ed è stato lui a comunicarmi il problema”. Senza che Godwin potesse vederlo, Eccles fece un gesto al suo collaboratore e questo si mosse subito per liberare il ragazzo dal cappuccio. “Ehi, che cosa sta facendo? Ehi…” “Calmo, solo un piccolo premio” lo tranquillizzò l'uomo. Il ragazzo, finalmente libero da quella cecità forzata, rimase immobile e palesemente sorpreso a fissare il giovane uomo di fronte a lui. L'aspetto, a dir poco trascurato, si discostava molto dall'immagine che da sempre si era fatto del boss: i capelli castani, tendenti al biondo, erano corti e abbandonati a se stessi, tanto per usare un eufemismo; il volto magro, ma dai lineamenti decisi, era incorniciato da un velo di barba lasciata incolta da un paio di giorni e i suoi occhi azzurri, penetranti come due stiletti, erano in parte celati da un paio di occhiali dalla montatura spessa e rettangolare, di un assurdo colore rosso fuoco. “Qualcosa non va?” “È… cioè… senza offesa ma… è giovane!” “Solo perché il mio predecessore era un ottuagenario non significa che debba esserlo anche io”. “Ma lei non ne ha nemmeno quaranta!” “Trentatré per l'esattezza, vuoi vedere la mia carta d'identità?” “N… no, si figuri” si affrettò a rispondere Andrew, spiazzato e anche un po' imbarazzato da quello strano modo di fare, riacquistando però la sua proverbiale calma nel domandare “Perché mi ha permesso di vederla?” “Perché tutti i miei collaboratori più stretti conoscono la mia identità”. “Collaboratori più stretti?” “Siccome da oggi Stokes è… licenziato, prenderai tu il suo posto” annunciò l'uomo come se tutto fosse già stato deciso. “Ehi, freni, freni io non…” “Ritieni di non essere in grado di svolgere questo compito?” “Esatto” ammise il moro assumendo l'espressione di chi doveva rispondere ad una domanda ovvia “Non ho la più pallida idea di quello che faceva Stokes e…”. Il boss tuttavia non lo fece terminare e con sicurezza asserì: “Sciocchezze. Imparerai, e visto quello che hai fatto finora sono sicuro che lo farai molto in fretta”. Andrew rimase in silenzio ad osservare l'uomo davanti a sé e dopo pochi attimi di meditazione annuì abbassando lievemente la testa. “Va bene signore, farò tutto ciò che è in mio potere per sostituire al meglio Stokes”. L'ultima volta che aveva rifiutato una proposta tanto generosa da un uomo più potente di lui si era scatenato il finimondo, e una persona innocente aveva ingiustamente pagato per la sua avventatezza. Anche a costo di deludere profondamente le aspettative del suo compagno, non avrebbe ripetuto il solito sbaglio. “Mh, non sarà difficile” commentò sarcasticamente il boss “Per cominciare voglio presentarti agli altri soci quindi venerdì sera fatti trovare pronto alla tua base, il signor Stan verrà a prenderti di nuovo e ti accompagnerà nel luogo dove ci riuniremo” stabilì Eccles prima di concludere “Ah, dimenticavo, come tutti potrai portati un solo gorilla quindi fai bene la tua scelta”. Erano ormai le prime ore del sabato mattina e Noah rientrò a casa con uno stato d'animo avvelenato dalla rabbia e dalla delusione, che inutilmente cercò di scaricare sulla porta del bagno quando la sbatté con una violenza inaudita. Andrew invece, che lo aveva seguito senza proferire parola, si era fermato in cucina e con entrambe le mani appoggiate sul tavolo si era fermato a riflettere disperatamente per trovare una via di fuga dal vicolo cieco in cui si era cacciato. “Noah” lo chiamò il moro nel momento in cui l'altro lo raggiunse in cucina. “Sta zitto” ordinò con voce pericolosamente incrinata. L'amarezza era così opprimente che il ragazzo più giovane trovava difficile anche solo trattenere le lacrime. “Mi avevi dato la tua parola, maledetto figlio di puttana, ma per te non conta nemmeno quella”. “Ti avevo avvertito che sarebbe stato difficile”. “Sarebbe bastato un no, uno stramaledettissimo no a quel bastardo e tutto sarebbe finito”. “Ne sei sicuro?” provò a farlo ragionare il ragazzo più grande “Secondo te perché mi avrebbe fatto la proposta dopo avermi tolto il cappuccio, e perché si sarebbe affrettato a farmi incontrare gli altri questa sera?” Noah non rispose. “Un no, fra le tante risposte possibili, non era certamente contemplato”. “E allora intendi rinunciare all'università?” domandò con disprezzo Orwell. “Al momento non vedo altra scelta” rispose l'altro stringendo a pugno le dita: quella sarebbe stata la parte più difficile da fargli accettare. “E pensi che io ti seguirò in questa follia?” “...” “No, non lo pensi” asserì Noah con un ghigno di disprezzo “Per questo ti sei premurato di trascinarmi in quel covo di criminali, coinvolgendo anche me in questa geniale impresa, giusto?” “Non avevo nessuno all'altezza, se ci fosse stato Ross avrei...” “Non prendermi per il culo!” gridò l'altro ormai senza controllo “Per chi cazzo mi hai preso? Non ho il cervello bruciato come i tuoi uomini, riesco ancora a fare due più due. Tu sapevi che questa volta non ti avrei assecondato e così mi hai incastrato, facendomi conoscere il boss e i suoi tirapiedi e lasciando che mi vedessero a loro volta”. Il ragazzo castano si fermò per ingoiare il rospo che gli occludeva la gola per poi proseguire: “Che stronzo sono stato, una cena di addio con i compagni di scuola... Non ci saresti andato nemmeno morto e soprattutto non avresti portato anche me. Cristo, mi sono lasciato fregare come un bambino”. “Mi...” “É così che intendi risollevarti dal fango?” domandò Noah senza ascoltare le parole dell'altro “Buttandolo addosso a me?” Colpito ed affondato. Andrew si rese finalmente conto che, decidendo di portare il compagno alla riunione, non si era limitato a deluderlo, ma lo aveva vigliaccamente tradito, proprio come aveva fatto con la madre: per puro e semplice egoismo. Il panico cominciò a formicolare lungo i suoi nervi e a quel punto reagì nell'unico modo che gli era famigliare: con una violenza gelida che non ammetteva replica. “Non mi hai dato altra scelta” affermò, scrutando l'amante con i suoi occhi obliqui, velati dall'asprezza dei vecchi tempi “Se ti avessi spiegato come stavano realmente le cose non avresti capito, avresti reagito come ora, da bambino viziato che adora fare la vittima. E che non è stato per mia scelta non ti sarebbe mai entrato in testa. Mai!” “Non è vero, sei...” “Cosa, cosa sono?” lo incalzò Andrew, giocando crudelmente sul fugace senso di colpa che aveva attraversato lo sguardo dell'altro “Adesso sei tu a sottovalutare la mia intelligenza, Noah!” “Non avresti dovuto portarmi là” mormorò di nuovo il ragazzo castano, più incerto. “Mi dispiace” riuscì finalmente a dire il moro e, avvicinandosi piano all'altro per non urtare ancora di più le sue emozioni già fin troppo scosse, lo abbracciò con gentilezza, aspirando il rassicurante profumo della sua pelle. “Non ne posso più” confessò Noah aggrappandosi con le mani alla schiena del compagno, intaccando con quel gesto e quelle parole il proprio orgoglio. “Lo so” lo rassicurò Andrew “Ce ne andremo, troverò una soluzione. Dammi solo un po' di tempo, solo questo, ok?” “Va bene” capitolò il ragazzo più giovane separandosi dall'abbraccio del compagno “Ma è la tua ultima possibilità, niente più sbagli o ti garantisco che sarà la fine di tutto”. QUARTO TEMPO La regione delle Highlands, pensò Noah, era un luogo davvero seducente e, nonostante le numerose ore di viaggio con la sua Mercedes, riuscì a comprendere il motivo per cui tanti poeti ed artisti inglesi ne erano rimasti affascinati al punto da imprimere nelle loro opere la meraviglia di quei paesaggi. Chilometro dopo chilometro il panorama davanti a loro era cambiato più volte; i boschi della catena dei Grampian, ancora rigogliosi malgrado l'inverno che avanzava a passi veloci, avevano lasciato spazio a colline tappezzate d’erica e punteggiate di pecore e mucche, fino a diventare una vasta pianura che pochi mesi prima doveva essere stata ricoperta d'orzo e d'avena. La natura era la costante che dominava su ogni altra cosa e solo raramente veniva messa in discussione da piccoli gruppi di case o da qualche distilleria di whisky isolata. Dopo aver attraversato i piccoli ma suggestivi fiordi che si allungavano sul Mar del Nord, Andrew e Noah arrivarono finalmente a destinazione nell'elegante cittadina di Dornoch. Orwell fermò la macchina in un parcheggio in riva alla spiaggia e scese stiracchiandosi i muscoli intorpiditi della schiena. “Seicentosettantotto chilometri in un giorno, è il mio record personale” ammise piuttosto soddisfatto di sé. “Hai azzerato il contachilometri?” “Sì, perché?” “Sei un fissato” borbottò Godwin, guardandosi in giro. “Invidioso?” “E di cosa?” “Con te saremmo stati ancora in garage, a cercare di capire qual era il primo pedale da premere per far muovere la macchina”. “Hai mai sentito parlare di quella cosa chiamata treno?” Noah si mise a ridere: con tutti i cambi che avrebbe dovuto fare, un signorino non abituato come Andrew sarebbe finito a Londra, sempre se fosse stato fortunato. “Che vorresti insinuare scusa?” volle sapere il moro cercando di nascondere l'irritazione provocata da quella risata. “Niente, niente” tagliò corto l'altro cambiando immediatamente discorso “Forse è meglio che lo chiami, io non ho la minima idea di dove cercarlo”. “Mh” Andrew raggiunse la cabina telefonica vicino al parcheggio e velocemente compose il numero che ricordava a memoria, sperando che fosse rimasto lo stesso. “Allora?” domandò Orwell quando lo vide tornare. “Chiudono il bar e vengono a prenderci”. “Il bar?!” Il moro sollevò le spalle incapace di dare una spiegazione a quella domanda e, raggiungendo il compagno appoggiato al cofano nero della Classe M, rimase in attesa del loro arrivo. “Chief, Noah!” gridò una voce conosciuta proveniente dal finestrino aperto della Land Rover che stava entrando nel parcheggio. I ragazzi si incamminarono sorridenti verso il biondino che, scendendo al volo dalla macchina, corse a scambiare il cinque con i suoi vecchi amici. “Come stai Tzvetan?” domandò Noah circondando le spalle del ragazzino. “Bene, grazie. Finalmente vi siete decisi a venire”. “Scusaci, abbiamo avuto un po' di problemi”. “Fa niente, adesso ci siete”. “Già, adesso ci sono” borbottò una voce alle loro spalle “Sono venuti a rompere anche quassù”. “Bell'amico che...” Andrew si bloccò incredulo, rimanendo a bocca aperta per diversi secondi, prima di riuscire a balbettare: “M... ma... ma quelli... sono... sono capelli!” “E allora?” borbottò Ross notevolmente imbarazzato. “Io credevo che tu fossi calvo” sbottò l'altro “Non mi dire che ti radevi la testa per sembrare più minaccioso?!” “Mh, non dire stronzate, erano semplicemente più comodi”. “E allora perché non li porti in quel modo anche ora?” “Perché i clienti del bar restano meno impressionati” spiegò velocemente il giovane uomo dai corti capelli scuri, prima di domandare irritato: “Ti sei fatto mezzo Paese in macchina per prendermi per il culo, Chief?” “Andiamo, non ti scaldare, la mia era solo sorpresa” lo rabbonì il moro, prima di chiedere come se la passasse stringendogli la mano. “Bene, questo posto è una vera pacchia”. “Immagino la noia” esclamò Andrew in direzione del ragazzino. “No, mi sono fatto un sacco di nuovi amici e troviamo sempre qualcosa da fare”. “Che ne dici Tzvetan, li portiamo a cena da Grace?” propose Ross dopo uno sguardo al suo orologio. “Be', vista la miseria che piange il nostro frigo, direi proprio di sì” “Intendi rinfacciarmi ancora per molto il fatto di essermi dimenticato di fare la spesa?” “Devo sempre ricordarti quando è il tuo turno” continuò a battibeccare il piccoletto. “Porta pazienza ragazzino, è già tanto se ho imparato a cuocere le uova senza bruciarle” scherzò il padre posando una mano sulla testa bionda e rivolgendosi agli amici lì esortò a seguirlo con la loro auto per raggiungere il ristorante. Al termine della deliziosa cena a base di frutti di mare, insalata di salmone fresco e Deuchars - la real ale senza la quale Ross ormai si rifiutava di mangiare - Noah ed Andrew, ansiosi di riposare dopo il lungo viaggio, furono accompagnati a casa dagli amici, ben disposti ad ospitarli per tutto il tempo che sarebbero rimasti con loro in Scozia. Noah, dopo più di dodici ore di sonno, fu il primo a svegliarsi il mattino seguente e per sdebitarsi della cortese ospitalità decise di preparare la colazione per tutti con le poche cose che riuscì a trovare nel frigo. “Tuo figlio ha ragione, lo fai morire di fame” salutò Ross, entrato sbadigliando in cucina. “Nh, ti ci metti pure tu adesso” borbottò il giovane sedendosi a tavola. “Grazie, non dovevi disturbarti” affermò quando Noah gli servì le uova accompagnate da una misera strisciolina di pancetta affumicata. “Allora, come vanno realmente le cose?” domandò il ragazzo castano sedendosi accanto all'amico. “Tiriamo avanti”si limitò a rispondere l'altro. “Ieri hai parlato di un bar, è tuo?” “Sì, sai avevo un po' di risparmi, così ho deciso d'investirli in un'attività che mi sembrava abbastanza remunerativa”. “Va bene?” “Alla grande. Ho speso un bel po' per averlo ma ne è valsa la pena. É il bar del club di golf e i clienti non mancano mai”. “Non ti smentisci mai, hai gli affari nel sangue tu”. “Peccato sia completamente sprovvisto di tempismo, avrei dovuto costruirmi molto prima una vita così”. “Già, avresti dovuto farlo” lo assecondò Orwell squadrandolo severamente “Ma tu almeno sei riuscito ad averla, quindi goditela e pensa a tuo figlio”. Ross non riuscì ad aggiungere altro a causa dei sensi di colpa che provava nei confronti dell'amico e Noah, accorgendosene, si affrettò a cambiare discorso. “Oggi è domenica, ci sarà un mucchio di gente al club, non vai ad aprire il tuo bar?” “Ci penserà David, il ragazzo che lavora per me, caso mai lo raggiungerò più tardi, per vedere com'è la situazione”. “Sei sicuro, guarda che noi possiamo...” “Se ho detto che vado dopo, vado dopo. Non fare il rompi palle”. “Ok, ok, non ti agitare. Mi spieghi come cazzo fai a gestire un bar con il carattere che ti ritrovi? Oltretutto in un club simile. Che poi mi immagino quanto possa essere grande questo campo da golf, cinque buche, comprese quelle scavate dalle talpe!” “Mh, per tua informazione il percorso del Royal Dornoch Golf Club è classificato come il nono in tutta la Gran Bretagna, e sai quanti ce ne sono? Tanti!” “Wow, allora devi farmici giocare ad ogni costo”. “Nei tuoi sogni! É tutto prenotato da qui fino a Natale. Ma poi che ti importa? Tu non sai nemmeno com’è fatta una mazza da golf” “Be', in effetti”. Quando anche Andrew e Tzvetan ebbero terminato di fare colazione il secondo, conoscendo la passione degli amici per l'arte e la storia, propose una visita turistica nella sua nuova città, costringendo anche uno svogliato Ross a seguirli. Con un certo entusiasmo li accompagnò all'antica cattedrale risalente agli inizi del tredicesimo secolo e al museo che raccoglieva i reperti di Dornoch dalla preistoria ai giorni moderni e, guidandoli in un giro attorno alla città, mostrò loro i tumuli, i dolmen e tutti i segni lasciati dall'antico popolo dei Pitti, che abitava quelle terre ancor prima dei vichinghi. “Accidenti ragazzino, non pensavo che anche tu fossi così interessato a questo genere di cose” esclamò Andrew, ritornando a casa dalla gita. “Diciamo piuttosto che è la dolce Zoe ad esserne entusiasta” intervenne il padre per farlo arrabbiare. “Aahh, ancora con questa storia, vecchio, stai diventando monotono”. Ma la curiosità di Noah non gli diede scampo e, ghignando come una iena su di giri, lo sfotté: “Senti senti, ci siamo fatti la fidanzata e non dici niente”. “Non è la mia fidanzata, è solo un'amica”. “É per questo che ti piace tanto andare solo tu e lei a fare escursioni in campagna, perché è un'amica?” continuò a prenderlo in giro il padre. “Chi te lo ha detto?” domandò il più piccolo con voce strozzata dall'imbarazzo. “Non mi sottovalutare ragazzino, ho informatori ovunque io”. “Uffa fatevi gli affari vostri!” urlò prima di iniziare a correre, precedendoli verso casa. “Mi fa piacere che si sia ripreso” constatò Andrew seriamente. “Sta meglio, ma a volte mi capita di vederlo con gli occhi lucidi. Basta davvero poco per farcela tornare in mente: una marca di biscotti che lei adorava, una pubblicità in TV che la faceva ridere e allora diventa dura. Tzvetan piange e a me sembra inutile tutto quello che sto facendo” spiegò il ragazzo più grande “ Sapete, penso che sia per questo motivo che lui, al contrario dei suoi amici, cerchi già la compagnia di una ragazza”. “Be', io non ci vedo niente di male” affermò Andrew “Ognuno cerca di stare bene come meglio può quindi, se vuoi un consiglio, smetti di metterlo in imbarazzo con quella ragazzina, potrebbe decidere di non stare più con lei anche contro il suo interesse”. “Agli ordini, Chief” lo prese in giro l'amico, ammettendo subito dopo “Non ci avevo pensato e devo dire che mi sento un po' idiota a farmi consigliare questo genere di cose da te”. “Tzè, da quando ti ho ucciso sei diventato decisamente troppo irrispettoso” mormorò il moro allontanandosi a sua volta indispettito. Noah ed Andrew continuarono a fare i turisti anche il giorno dopo, dedicandosi questa volta agli antichi castelli delle città vicine, e nel pomeriggio, quando furono di ritorno, si fermarono al locale di Ross, curiosi di vedere il luogo dove lavorava il loro amico. Era un posto molto accogliente, il listato di legno chiaro che rivestiva il bancone e le pareti rendeva l'ambiente più caldo, mentre l'ampia vetrata che dava direttamente sul green davanti ai tavolini contribuiva a renderlo più luminoso e areato. “Allora, che ne dite?” li accolse Ross appena li vide entrare. “É carino, troppo per essere opera tua” lo prese in giro Noah. “Infatti lui non c’entra niente, l’abbiamo trovato così” “Ci sei anche tu?” domandò sorpreso Orwell quando vide sbucare il biondino da una piccola porta laterale. “Già, dopo la scuola il vecchio mi schiavizza” scherzò Tzvetan, ma dopo l'occhiataccia del padre ritrattò tutto e spiegò: “In realtà non so come tornare a casa, per questo mi fermo qui a studiare e quando finisco, se non c'è tanta gente, vado a recuperare i miei amici, oppure faccio il porta mazze al club, così mi guardo le partite e mi danno pure una bella mancia”. “E adesso che devi fare?” domandò Orwell. “Niente, perché?” “Allora accompagnami a fare la spesa, non voglio rischiare di rimanere a digiuno questa sera”. Questa volta fu il figlio a scoccare uno sguardo assassino al padre e, recuperando il giaccone dal ripostiglio, sbuffo: “Uffa, lo sapevo, finisce sempre così!” “Ci vediamo più tardi” salutò il ragazzo più grande, sorridendo divertito. Quando Ross ed Andrew tornarono a casa la cena era già pronta, mangiarono tranquillamente quello che Noah e Tzvetan avevano preparato e quando ebbero finito quest'ultimi si spostarono nella camera del bambino per rispolverare la sua vecchia Fender. “Vieni, spostiamoci in sala” il padrone di casa esortò il suo ex-capo “ Ti preparo un vero cocktail scozzese”. Il giovane versò un cucchiaino di zucchero e uno di miele in due grossi bicchieri allungati, li sciolse con dell'acqua bollente, vi strizzò un po' di limone e per finire li riempì fino all'orlo di buon whisky scozzese. “Che roba è?” domandò il moro prendendo il bicchiere che l'amico gli porgeva. “Si chiama Whisky Toddy, fidati, è buono e dice che porti via tutti i mali di stagione”. “Allora mi serve proprio”sospirò Godwin mandando giù il primo sorso “É vero, è buono”. “Come va giù la situazione?” “Non lo so”. “...” “Un anno fa ti avrei detto alla grande e tuttora sarei un bugiardo se ti dicessi che quello che ho ottenuto non mi abbia dato soddisfazione, ma Noah non lo sopporta. Cerca di non mostrare il suo malessere ma è ovvio che non sempre ci riesce. Se ci pensi bene è comprensibile, dopo aver visto la possibilità di cambiare vita siamo finiti in una situazione anche peggiore di quella precedente. Ed io, attualmente, non ho la minima idea di come fare a venirne fuori”. Ross sospirò, scolando l'ultimo sorso di liquido ambrato. “So come sta quel ragazzo, non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi senza sentirmi una merda”. “Ross sai...” “Non prendiamoci in giro Chief, dovrei esserci io al vostro posto. Qualche stronzo lassù si è divertito a scambiare le nostre vite e non sarebbe accaduto se voi non aveste dovuto vendicare Angela al mio posto”. “Magari hai ragione. Sicuramente adesso saremmo stati ad Oxford, io intento a preparare qualche esame, Noah a studiare per l'ammissione, mentre tu, altrettanto probabilmente, saresti finito sotto un metro di terra e Tzvetan rinchiuso nell'ennesimo istituto. Mi spieghi cosa sarebbe cambiato?” “...” “Niente, mi sarei sentito comunque una nullità e a quel punto la situazione sarebbe stata irreversibile”. Ross non sembrò molto convinto delle argomentazioni dell'amico, ma non replicò, lasciò che il silenzio, interrotto dai secchi strepitii del fuoco acceso sul grosso caminetto, prendesse il sopravvento su tutto. I ragazzi trascorsero con i loro amici il resto della settimana, rubando un po' di tempo al lavoro di uno e allo studio dell'altro, ma nonostante il benessere di quei giorni il sabato mattina furono costretti ad alzarsi presto per intraprendere il viaggio di ritorno. “Allora ci vediamo!” esclamò Andrew richiudendo lo sportello del portabagagli dove aveva appena caricato le due borse. “Noi non ci muoviamo da qua” assicurò loro l'amico. “Tuo padre per il momento non può tornare a Liverpool, ma tu Tzvetan sei sempre il ben venuto” lo invitò Noah “Quando sei libero dalla scuola o da altri impegni puoi scendere tranquillamente, basta una telefonata e noi ci organizziamo”. “Nel frattempo però continuiamo le lezioni di chitarra con la web-cam, ok?” “Contaci” promise, scambiandosi il cinque con il ragazzino e, salutando l'amico più grande con una stretta di mano e un abbraccio veloce, salì in auto, partendo non appena Andrew lo ebbe raggiunto. Al termine di un lungo viaggio durato più o meno otto ore, Noah parcheggiò la Mercedes in garage e spegnendo il motore sospirò: “Eccoci tornati in prigione”. Dopo l'incontro di Andrew con i soci del boss gli avvenimenti si erano verificati uno dopo l'altro con una rapidità inesorabile, provocando, come era prevedibile, un drastico cambiamento nella vita dei due ragazzi. Il capo dei Bloody Puppets, infatti, era stato costretto a lasciare la sua base in Albany Road e trasferirsi in quella a Mount Pleasant per adempiere al suo nuovo incarico. Con sé aveva trasferito tutti gli uomini maggiorenni una ventina in tutto, compresi i Gemelli - che erano andati ad unirsi al piccolo esercito precedentemente gestito da Stokes, mentre gli altri erano rimasti nei sobborghi ad est della città guidati da Zach, il loro nuovo Chief. Apparentemente, a seguito della sua inaspettata promozione, Godwin aveva delegato ogni potere decisionale riguardo il suo vecchio territorio al giovane compagno, ma in pratica era ancora lui che al momento opportuno prendeva le decisioni e gestiva le situazioni più importanti e quelle critiche. Il suo potere quindi, non solo era aumentato, ma si era esteso e le sue radici, ancora ben impiantate nel mondo dei miseri spacciatori di strada, avevano cominciato a germogliare anche nel giro vero della droga, quello dei “grandi”, che coinvolgeva tutto il mondo e faceva staccare ogni volta assegni a sei zeri. Durante le prime settimane Andrew era rimasto segregato nella sede del suo nuovo potere dove Stan Lever, instancabile segretario del capo, gli aveva illustrato in maniera esaustiva e dettagliata la situazione generale della loro organizzazione, con un occhio di riguardo al settore che lo riguardava. Inoltre, rimanendo a stretto contatto con Willy -che aveva trovato il suo paradiso terrestre non appena aveva varcato la soglia della raffineria segreta - aveva appreso tutto ciò che c'era da sapere sugli articoli che producevano personalmente: quasi esclusivamente stupefacenti chimici; o su quelli che controllavano dopo che erano giunti dall'estero: marijuana e hashish dal Marocco, oppiacei dall'Afghanistan e cocaina dall'America latina. Quando, secondo il giudizio di Lever, aveva imparato a destreggiarsi discretamente in quell'ambiente, Andrew aveva iniziato ad occuparsi delle trattative vere e proprie. Mister Eccles lo aveva seguito nei suoi primi passi per indirizzarlo nella strada giusta e per dare la propria garanzia sull'affidabilità del giovane ai loro negoziatori abituali, ma dopo aver dato prova delle sue capacità nel condurre le trattative Godwin era stato lasciato libero di agire a sua discrezione per assicurare all'organizzazione i migliori profitti. Non aveva impiegato molto a comprendere che il mercato della droga era in assoluto uno dei più remunerativi in tutto il mondo. Il volume di affari annuale si aggirava intorno ai cinquecento miliardi di dollari e negli ultimi tempi, quando alle organizzazioni storiche come quelle italiane, turche, cinesi e giapponesi si erano affiancati nuovi gruppi come i cartelli colombiani, la mafia albanese, quella russa e quella nigeriana, era diventato molto più complesso. Il rigore ferreo tipico del passato si era dovuto adattare ad un contesto moderno più dinamico. Infatti, dopo gli anni Settanta tale rigidità era stata in parte soppiantata da una flessibilità delle strutture organizzative e da un'approfondita conoscenza della tecnologia, che avevano reso le varie compagini mafiose vere e proprie aziende gestite secondo i più canonici criteri imprenditoriali. A tal proposito si era stabilito una sorta di convenzione in cui anche i gruppi più violenti erano disposti a non interferire o addirittura a collaborare fra loro per un esito positivo negli affari internazionali più sostanziosi, a dispetto della situazione interna pressoché conflittuale in tutte le associazioni. La criminalità che giornalisti, opinionisti e saggisti avevano battezzato con il termine transnazionale (quella che in pratica coinvolgeva diversi Paesi violandone le leggi), aveva dunque subito un aumento vertiginoso, trovandosi la strada spianata dalla globalizzazione dei mercati, la quale forniva occasioni favorevoli di comunicazione e migrazione, rendendo possibile la libera circolazione di beni, persone e capitali con un’ovvia diminuzione di controlli su tali movimenti. Oltretutto, operando in un ambito tanto vasto, le organizzazioni criminali erano maggiormente tutelate da una legislazione mondiale piuttosto eterogenea e da un'inferiore capacità di controllo da parte delle forze dell'ordine; condizioni queste che andavano a coadiuvare i loro strumenti più tradizionali: la violenza e la corruzione. Tuttavia, con il crescente fenomeno della migrazione, il commercio di droga non era stato l'unico a subire un netto aumento. Assieme al traffico illegale di clandestini, infatti, si era formata una cospicua attività di sfruttamento che era andata ad incrementare il mercato della prostituzione, del lavoro nero e della droga stessa, generando una sorta di circolo vizioso che faceva lievitare le entrate illecite delle varie associazioni a delinquere. Eric Hawkesworth, giovane e geniale imprenditore impegnato nella guida di una delle più importanti multinazionali della nazione, nelle vesti del signor Eccles era il principale artefice di queste attività nella città di Liverpool. “Domani hai in programma nessun incontro?” domandò Noah quando vide il compagno staccare la comunicazione telefonica con Carter, l'uomo che si occupava, fra le altre cose, della sua agenda. “No, niente di particolare, solo un colloquio con Burns nel pomeriggio”. “E chi è?” “É l'intermediario che deve venire da Birmingham” “Ah ok, comunque io vado a dormire, sono distrutto”. “Ti raggiungo dopo, devo controllare alcuni documenti” lo avvertì l'altro lasciando un bacio leggero sulla sua tempia “Buonanotte”. Andrew non era stato il solo a subire gli effetti di quei cambiamenti, anche Orwell, pur non avendolo mai desiderato, era stato travolto da quella nuova vita e a causa del tormentato sentimento che provava nei confronti del moro non si era mai ribellato. Quando Godwin impartiva i suoi ordini, quando si riuniva con il boss o con i responsabili degli altri settori, o quando si incontrava con gli altri trafficanti Noah era immancabilmente al suo fianco. Silenzioso ed imperturbabile come una seconda ombra, non esprimeva mai un giudizio personale, si limitava a rassicurare il compagno con la propria presenza, pensando come sempre alla sua sicurezza. Nonostante la sua inesperienza non aveva mai tradito alcun cenno di incertezza, nemmeno di fronte alle personalità più influenti e temute del narcotraffico, e l'unica volta che aveva fatto sentire la sua voce era stata in occasione di un incontro con un boss albanese, quando aveva impedito ad uno dei gorilla stranieri di entrare nella stanza delle trattative con un'arma nascosta sotto la giacca. Aveva posato una mano sulla spalla dell'uomo, almeno due volte più grosso di lui, e cortesemente, ma con fermezza, gli aveva chiesto di consegnare la pistola al loro addetto come avevano fatto tutti i suoi colleghi. E nel momento in cui l'energumeno si era rifiutato, forte della sua apparente superiorità, Noah lo aveva sbattuto con la faccia contro il muro, puntandogli poi quella stessa arma alla nuca. Solo l'intervento del superiore albanese, che imbarazzato aveva chiesto scusa per il disdicevole comportamento del suo uomo, lo aveva convinto a mollare la presa, permettendo a tutti di iniziare la riunione senza pericolosi individui a comprometterne l'esito. Inutile dire che dopo quella dimostrazione di forza e competenza - Noah era stato il solo ad accorgersi dell'automatica nascosta - nessuno si permise più di consigliare ad Andrew un capo della sicurezza più esperto, ma l'atteggiamento diffidente e distaccato di Orwell non accennò al minimo cambiamento. Dopo la loro breve vacanza in Scozia gli affari procedettero del tutto nella norma per un discreto periodo poi, a seguito dell'intercettazione al largo della costa venezuelana della nave da crociera che trasportava per loro un carico di cocaina, subirono uno stop piuttosto negativo, suscitando l'ira e la preoccupazione di Eric Hawkesworth. Erano in sette nell'ampia sala riunioni attigua all'ufficio del boss. Hawkesworth era seduto a capotavola; in piedi, dietro di lui, se ne stavano immancabili le due guardie del corpo; alla sua destra sedeva Joyce Wilkins, il suo avvocato nonché il suo consigliere da sempre, seguito ovviamente da Lever; alla sua sinistra invece si trovava Godwin, anche lui scortato alle spalle da Orwell e accompagnato dal nuovo braccio destro Carter, seduto al suo fianco. “Allora la situazione è la seguente” iniziò a parlare il vecchio uomo di legge “Diciotto ore fa, la nave da crociera Reina del Sol è stata fermata poco distante dalle coste di Caracas dalla polizia americana e spagnola. A bordo sono stati trovati e quindi sequestrati solamente centosessanta chilogrammi di cocaina poiché l'equipaggio aveva provveduto a gettare in mare la maggior parte del carico. Gli uomini del personale sono stati arrestati, ma non è questa la nostra preoccupazione”. “Nell'ultimo anno” prese la parola Lever con davanti i libri della contabilità “abbiamo perso, più o meno analogamente, altri tre carichi come questo e la situazione sta diventando insostenibile. La rotta spagnola per l'entrata in Europa della cocaina non è più sicura, come del resto quella Olandese. Le autorità delle nazioni interessate stanno battendo palmo a palmo sia la rotta aerea sia quella marina, per questo attraversare l'Atlantico seguendo i percorsi tradizionali è diventata ormai un'impresa troppo rischiosa”. “Non hanno provveduto a creare una via alternativa?” Lever e Wilkins spostarono contemporaneamente lo sguardo verso Godwin. “La rotta alternativa che sta prendendo sempre più campo è comunque svantaggiosa per noi” affermò il più giovane seduto al tavolo. “Perché?” “Perché userebbe Varna come ultimo porto d'attracco”. “La Bulgaria?” domandò Hawkesworth sconcertato. “Esatto, per arrivare da noi i rischi di intercettazione della merce resterebbero comunque elevati e in più aumenterebbero in maniera sostanziale anche i prezzi”. “Cristo, dobbiamo trovare una soluzione” imprecò il boss rabbioso “Non possiamo perdere il commercio di cocaina, siamo uno degli stati europei con il più alto consumo”. “Le soluzioni sono due” dichiarò Godwin “o scendiamo a compromessi con quelli di Londra per utilizzare il loro scalo aeroportuale, oppure ci facciamo da soli la nostra rotta”. “Cioè?” domandò il capo vagamente affascinato da quell'ultima proposta. “Tempo fa contattai un network colombiano per parlare con lui proprio di questo problema. Gli chiesi se il porto di Liverpool poteva essere utilizzato in alterativa a quelli di Lisbona, Malaga e Marsiglia, ormai facili bersagli dell'antidroga, e lui mi comunicò che era fattibile e mi assicurò che avrebbe riferito ai dirigenti del suo cartello”. “Hai ricevuto una risposta?” si informò l'avvocato. “Per il momento no, ma quest’incidente non è arrivato del tutto a sproposito”. Due settimane dopo Hawkesworth e collaboratori erano in un aereo diretto a Bogotà per raggiungere Emilio de Neira, conosciuto dai più come uno dei maggiori produttori di caffè della Colombia. Arrivati all'aeroporto della capitale sudamericana gli ospiti inglesi trovarono ad attenderli un uomo basso e tarchiato, ma dall'aspetto gioviale, che salutò tutti con estrema ospitalità. “Ben arrivati in Colombia” li accolse parlando in un inglese quasi perfetto “Sono Alfonso Castellanos, Emilio mi ha chiesto di porgervi le sue scuse per non essere qui di persona ad accogliervi, ma è stato trattenuto da un affare urgente”. “Nessun problema signor Castellanos” assicurò Eric togliendosi i suoi occhiali scuri per presentarsi a sua volta. “Piacere di conoscerla mister Hawkesworth. Se lei è d'accordo proporrei di raggiungere subito l'abitazione del mio socio”. “Certo, la seguiamo”. “Però vi chiedo ancora un po' di pazienza signori. La nostra tenuta si trova a diversi chilometri da qui, sono costretto a chiedervi di salire su un altro aereo” li avvertì l'uomo prima di scherzare “A meno che non vogliate farvi un giro su La Linea!” “Cos'è?” domandò incuriosito l'inglese. “É la strada che si arrampica sulla Cordigliera Centrale” spiegò Castellanos senza abbandonare il suo sorriso, contento di aver ricevuto quel segno d'interessamento da parte dello straniero “Sono quasi cinquecento chilometri di curve in salita e discesa con pendenze vertiginose, percorse da bestioni della strada lenti come lumache ed enormi come palazzi. Un percorso caratteristico del nostro Paese, ma a dir poco spaventoso”. “Ok, meglio l'aereo” scherzò a sua volta Eric, scatenando l'ilarità del colombiano. Le piantagioni di caffè del signor de Neira, e quindi la sua florida azienda, si trovavano nei pressi di Santiago de Cali: una città moderna e piacevole, dove i cittadini erano così gentili e distesi da non sembrare nemmeno colombiani, scherzò Castellanos parlando agli ospiti del suo Paese. Arrivati finalmente all'aeroporto di Palmaseca furono fatti salire in lussuose auto d'importazione statunitense e scortati alla villa del socio maggioritario. “Sembri un bambino elettrizzato dal suo primo giorno di gita” bisbigliò Andrew all'orecchio del ragazzo seduto accanto a lui, quando per l'ennesima volta lo aveva visto sbirciare fuori dal finestrino. Noah, sebbene se ne fosse accorto solamente il compagno, era rimasto subito colpito da quella città. Nel momento in cui aveva messo piede fuori dal piccolo aereo privato, era stato accolto da un cielo limpido ed un clima tardo primaverile così dolci da fargli dimenticare persino la stanchezza di tutte quelle ore di volo. Poi, passando attraverso i viali alberati, fiancheggiati da negozi curati ed eleganti caffè all'aperto, era stato ammaliato dal suo stile particolare, a metà fra il moderno degli edifici più recenti e il coloniale delle chiese e dei palazzi più antichi. “Mh” si limitò a sbuffare l'altro continuando a guardare fuori dal finestrino. La villa che si trovarono di fronte alla fine del loro viaggio, immersa nella rigogliosa natura tropicale, era qualcosa che andava ben oltre l’eccesso. Noah fece mentalmente un paio di conti e poi arrivò alla conclusione che poteva contenere tranquillamente tutto il suo vecchio quartiere e parte di quello adiacente. Al loro arrivo Emilio de Neira, un uomo sulla cinquantina ma con il fisico asciutto e temprato di un trentenne, era fuori ad attenderli con la bella moglie Consuelo. Castellanos presentò loro Hawkesworth, il boss che stavano aspettando, e lasciò che gli altri si presentassero da soli. “Ben venuti nella mia casa” li salutò il padrone parlando a sua volta in inglese corretto “Vi chiedo ancora scusa per non essere stato a Bogotà al momento del vostro arrivo”. “Non si preoccupi signor de Neira, il suo socio è stato una guida eccezionale” affermò Eric sorridendo. “Non avevo dubbi. Ma prego accomodatevi” li esortò ad entrare il colombiano “Avrete sicuramente bisogno di riposare dopo un viaggio così lungo, la cameriera vi mostrerà le vostre stanze”. Gli ospiti inglesi si rinfrescarono prima di scendere per una cena veloce e leggera, dopodiché ognuno si ritirò nella propria camera per concedersi finalmente un po' di riposo. Il giorno successivo, per un tacito accordo generale, nessuno osò discutere di affari. De Neira mostrò agli invitati le sue piantagioni e li lasciò assistere alla lavorazione di uno dei caffè più buoni esportati in tutto il mondo. A cena parlarono della Colombia, della sua storia, di Liverpool e di Cali, capitale mondiale della salsa, un semplice ballo che in quella città era diventato una forma d'arte. Solamente il pomeriggio seguente gli uomini si riunirono nel fastoso ufficio del padrone di casa per affrontare il delicato argomento che interessava tutti loro. “Sono sicuro che conosciate già come funzionano le cose qui in Colombia” iniziò a parlare Castellanos adesso serio e concentrato sul lavoro “Ma lasciate che vi riassuma brevemente la situazione”. “Prego” lo esortò Hawkesworth. “Al contrario di quello che si può credere le più grandi piantagioni di coca non sono in Colombia, la materia prima ci arriva in larga parte dalla Bolivia e dal Perù, dove avviene anche la prima fase della lavorazione”. “La trasformazione delle foglie in pasta di coca?” si informò Lever. “Esatto. La pasta arriva a noi e, nella raffineria nascosta nello stabilimento per la tostatura e lo stoccaggio del caffè, viene trasformata da prima in coca base e poi raffinata in cocaina pura”. “Al momento il nostro mercato coinvolge solamente gli Stati Uniti” intervenne de Neira “Ma poiché i colleghi di Medellín stanno attraversando un periodo di forte crisi abbiamo pensato di dare il nostro supporto agli amici europei”. “A cosa è dovuta questa crisi? Può coinvolgere anche voi?” chiese l'avvocato “Dopotutto si parla di due città a poche centinaia di chilometri di distanza”. “La sua preoccupazione è del tutto legittima, signor Wilkins, ma le posso assicurare che, nonostante la vicinanza, l'organizzazione dei due cartelli è completamente diversa” lo rassicurò il socio maggioritario prima di spiegare “A Medellín prediligono ancora una struttura piramidale per la gestione della loro associazione e tutti i settori vengono amministrati, in definitiva, da una sola persona, secondo il vecchio modello della mafia italiana. Si sono guadagnati un angolino nel traffico mondiale soprattutto grazie alla loro ferocia, ma non è assolutamente lecito sperare di poter continuare a prosperare usando quel tipo di strategia. Persino i colleghi che hanno una tradizione ben più vasta alle spalle si sono resi conto che i tempi sono cambiati”. “Il cartello di Cali” prese la parola Castellanos “è riuscito ad infiltrarsi nel tessuto economico e sociale del Paese - vi basti pensare che i nostri finanziamenti sono stati utili a ben più di un politico - e le nostre strutture dirigenziali sono completamente decentrate”. “Ovvio!” esclamò Hawkesworth “Isolare i diversi settori limita eventuali danni, anche noi usiamo questa strategia”. “Infatti. Vi sembrerà impossibile, ma la nostra politica di non violenza, unita al fatto che gran parte dell'economia colombiana si basa sul traffico di droga, sta cominciando a mutare la sensibilità della gente che è sempre più propensa a ritenerlo accettabile visto il modo pacifico con cui il denaro viene guadagnato”. “Ciò significa niente controlli da parte dell'esercito e delle forze dell'ordine, almeno nel vostro terreno nazionale, giusto?” affermò Andrew compiaciuto. “Esattamente. Bene signori, questo è tutto quello che vi possiamo offrire” dichiarò de Neira “Adesso sta a voi fare la vostra offerta”. “La soluzione più logica a questo punto è lasciare alla vostra esperienza l'organizzazione del network” propose Godwin “In poche parole, voi vi assumete i rischi del trasporto e noi finanziamo tutta quanta l'operazione”. De Neira rise compiaciuto e rivolgendosi ad Eric ammise: “Mi avevano avvertito. Il suo intermediario è di poche parole, ma sa essere molto convincente”. “Come intendete coprire il traffico?” intervenne Castellanos, anche lui soddisfatto. “Nel modo più semplice” rispose il più giovane “La multinazionale del signor Hawkesworth inizierà un commercio di caffè con la sua azienda. Dopotutto, non è forse per questo motivo che siamo ospiti qui da voi?” “Perfetto, allora possiamo pure ritenere chiusa la riunione. Avremo tutto il tempo necessario per pensare alla burocrazia” sostenne l'alto colombiano, alzandosi dalla sua poltrona. “Giusto, il mio stomaco sta iniziando a protestare” tornò a scherzare Castellanos “E conosco un bel locale dove possiamo festeggiare il nostro neonato sodalizio”. Nei giorni a seguire fu stilato rigorosamente il contratto, e quando tutti i dettagli furono definiti Eric espresse il desiderio di assistere all'imbarcazione del primo carico, non per mancanza di fiducia, ma per vedere come avrebbero stivato il caffè e come avrebbero nascosto la cocaina, ed essere pronto al momento dello sbarco a Liverpool. De Neira ovviamente non ebbe alcun problema ad assecondare quella richiesta, ma poiché la merce non sarebbe stata pronta prima di una settimana, invitò i suoi ospiti a trasferirsi nella sua villa a San Andrés, un'isola meravigliosa nel Mar delle Antille che avrebbe offerto loro spiagge bianche, un mare limpidissimo e ogni genere di divertimento. Noah era seduto sui piccoli scogli artificiali posti a protezione della spiaggia davanti alla villa e come una lucertola si crogiolava sotto il sole battente con la sola compagnia di un pacchetto di sigarette e di un libro. “Sei solo, dov'è il tuo capo?” domandò una voce alle sue spalle. Orwell si voltò e si ritrovò davanti Eric Hawkesworth. Indossava un paio di pantaloni corti fino al ginocchio e bianchi come la neve, e sopra un'improbabile camicia rossa con degli enormi fiori - o quello che potevano essere quegli scarabocchi - gialli; era scalzo, del tutto spettinato ed al posto dei soliti occhiali con la montatura rossa ne indossava un paio con le lenti arancione. Più che un pericoloso gangster sembrava un hippy strafatto di fumo, commentò fra sé il più giovane. “É andato a seguire un corso di sub, signore” si limitò a rispondere, senza riuscire a dissimulare un tono infastidito. “E tu perché non sei con lui?” “Mi ha detto che in questo posto non ha bisogno di protezione e che posso fare quello che mi pare”. “Che stai facendo?” Senza dire niente Noah alzò il libro, lasciando all'altro il tempo di leggere il titolo. “Il simposio. Che razza di libro è?” “Filosofia classica”. “Ma che... Sei in un posto come questo e ti metti a leggere certa robaccia!?” “...” “Ti piace così tanto?” domandò Eric sedendosi accanto al ragazzo. “Abbastanza, aiuta a tenere allenata la mente”. “E per cosa?” “Non sapevo che servisse una ragione per non lasciare atrofizzare il cervello, signore”. Il boss prese in mano il sottile libro e con diffidenza, quasi fosse stata una bomba a mano, si mise a sfogliarlo. “Ma è scritto in greco!” sbottò incredulo. Noah, lanciando all'uomo un'occhiata piena di irritazione, si affrettò a riprendersi l'opuscolo. “E non c'è nemmeno la traduzione, come diavolo fai a leggerlo?” “L'ho studiato a scuola e comunque ci sono le note”. “Sei un cervellone, che accidenti se ne fa Godwin di un gorilla che sa il greco antico!?” “...” “Sei un tipo di poche parole, eh?” Orwell continuò a rimanere in silenzio limitandosi ad accendersi una sigaretta. “Non dovresti fumare alla tua età” Esasperato il ragazzo la spense. “Ecco bravo. Dicevo, tu non parli molto, ti vedo spesso ma...” “Non ho bisogno della voce per fare il mio lavoro e poi non è vero che non parlo molto, lo faccio tutte le volte che ce n'è bisogno o quando ne ho voglia”. “Quindi è la nostra compagnia che non ti diverte”. “...” “Ok, lo prendo per un sì” si mise a ridere Eric “Sembra quasi che tu sia incavolato con me”. Noah stava giusto ponderando se strozzarlo o limitarsi a buttarlo in acqua quando l'uomo decise saggiamente di alzarsi. “Ok, ti lascio studiare in pace, nemmeno a me piace essere disturbato mentre sono concentrato” dichiarò prima di allontanarsi dagli scogli. Il giovane dai capelli castani non fece nemmeno in tempo a ritrovare il punto del libro in cui era stato interrotto che una nuova voce arrivò a disturbarlo. “Che voleva Hawkesworth da te?” Fu la domanda sorpresa di Andrew. “Non saprei. Perdere tempo, forse”. “Che vi siete detti?” “Niente di particolare, mi ha chiesto cosa stessi leggendo. Come è andato il corso?” “É divertente, la prossima volta vieni anche tu?” “Mh, preferirei andare a visitare la Grotta di Morgan”. “Come fai a conoscerla?” domandò stupito Andrew. “Mi sono fatto un giro in rete e ho visto delle foto spettacolari”. “Se vuoi dopo ci andiamo” propose il moro abbassandosi sul collo dell'altro. “Ma che fai?” protestò Noah spostandosi velocemente dalle labbra del compagno. “Profumi di cocco”. “É la crema solare, deficiente” borbottò il più piccolo, guardandosi in giro per controllare se qualcuno avesse potuto vederli. I movimenti di Orwell furono tuttavia limitati dal corpo di Andrew che, spostatosi improvvisamente sopra di lui, lo aveva costretto a distendersi con la schiena precariamente schiacciata contro la superficie liscia dello scoglio. “Ti ha dato di volta il cervello? Tirati su!” abbaiò Noah imbarazzato. Ma Godwin non lo ascoltava più, si limitava a tenergli bloccate le braccia e divorargli la pelle del collo, incurante delle sue proteste e della gente che avrebbe potuto vederli. “Mh, a quanto pare più ti agiti più lo ecciti”. Al suono estraneo di quelle parole Noah si freddò di colpo e rovesciando la testa all'indietro, unico movimento che gli era possibile, si trovò ancora una volta faccia a faccia con il boss, accovacciato davanti a loro con un'espressione da bambino dispettoso stampata sulla faccia. “Alzati” ordinò Noah con un tono che non ammetteva repliche e nel momento in cui fu accontentato dal suo ragazzo si allontanò per non commettere impudenze. “Oh, oh, forse lo hai fatto arrabbiare” commentò Eric senza abbandonare la sua faccia tosta. “Che posso fare per lei, Hawkesworth?” tagliò corto Godwin. “Che rapporto hai con quel ragazzo?” “Stiamo insieme, la cosa le crea qualche problema?” Negarlo sarebbe stata un'azione sciocca quanto inutile. “No, ma mi domando come tu passa essere così tranquillo sapendolo costantemente in pericolo. Voglio dire, non è un atteggiamento terribilmente egoistico permettere al tuo amante di morire al posto tuo?” “Ho provato a tenerlo lontano da me e i guai ci sono piombati addosso da ogni direzione” spiegò asciutto il ragazzo “Preferisco stargli accanto sempre. E solo a titolo informativo, non gli permetterei mai di morire al mio posto”. “Quindi sei senza protezione. Come diavolo hai fatto ad arrivare vivo fin qui?” domandò il boss con tono critico. Il moro si limitò a sollevare le spalle prima di tornare a sdraiarsi sugli scogli, le mani congiunte sotto la testa, e dire: “Non lo sapeva? Sono completamente pazzo”. Per il resto del giorno, e buona parte di quello successivo, Noah fu intrattabile e come al solito si rifiutò categoricamente di rivolgere la parola al compagno. “Dove sei stato?” volle sapere Andrew con indosso la sua maschera di imperturbabilità più pericolosa. Era furioso. Noah era uscito quella mattina da camera sua e, senza più farsi vedere, era tornato alla villa di de Neira solamente a pomeriggio inoltrato. “Che ti prende? Ero con Hawkesworth. Abbiamo visitato l'isola” spiegò Orwell senza lasciarsi turbare dalla rabbia del compagno. “Vieni, andiamo dentro”. Fuori, nel soleggiato giardino, erano presenti tutti gli ospiti della casa ed Andrew non voleva dare spettacolo. “Mi spieghi perché sei andato con lui?” “Senti, io avevo voglia di vedere l'isola. Solo perché tu volevi dormire io dovevo per forza rimanere qui ad aspettarti, ammazzandomi di noia?” “Magari se tu ti fossi degnato di svegliarmi!” commentò con sarcasmo l'altro. “Ma che dici? Hawkesworth mi ha detto che sei stato tu a decidere di rimanere a dormire”. Godwin fece un veloce riepilogo di quello che era successo quella mattina e quando fu sicuro che nessuno era andato a svegliarlo i suoi occhi si fecero più minacciosi: che accidenti voleva il boss da Noah? “Non ti ha chiamato?” domandò l’altro ritrovando improvvisamente tutta la sua calma “Mi dispiace, io credevo... Sì insomma...” “Non importa” si quietò anche il moro avvicinandosi al compagno “Mi sono solamente spaventato quando non ti ho più visto”. “Mh” “Siete stati anche alla grotta?” “No”. “Perché?” “Perché non gli ho detto che c'era”. “E perché non lo hai fatto?” continuò ad informarsi Andrew con le labbra affondate fra i morbidi capelli dell'altro stirate da un sorriso. “Uffa, ma che ti importa?” “Volevi vederla con me” rispose per lui Godwin “Allora sotto sotto sei un tipo romantico”. “Se continui a prendermi per il culo” lo minacciò Orwell scostandosi per un attimo dall'abbraccio “Piuttosto di guardarla con te la faccio saltare in aria”. Il resto della settimana trascorse più o meno tranquillo ed i ragazzi riuscirono finalmente a visitare la caverna di origine corallina dove, vociferava la leggenda, il fantomatico pirata Morgan aveva nascosto il suo ricco tesoro. Per tutto il tempo che rimasero nell'isola il boss continuò a cercare la compagnia di Orwell, punzecchiandolo per tentare ogni volta di strappargli una parola in più o provocandolo per il suo carattere apparentemente ombroso. Andrew, avendo sorpreso spesso il superiore ad osservare il suo compagno, per la prima volta in vita sua si scoprì un uomo geloso. Non capiva il motivo di quell'interessamento. Noah era un ragazzo come tanti e Hawkesworth non era attratto dagli uomini, allora perché cercava con tanta assiduità il suo? Sperò si trattasse di un modo come tanti per vincere la noia dovuta all'inattività di quei giorni e ne fu praticamente sicuro quando, convocati a Cartagena da de Neira per assistere al carico del mercantile, Hawkesworth tornò ad ignorare il suo addetto alla sicurezza. Tuttavia, al loro rientro in Inghilterra, quella rassicurante ipotesi fu completamente smentita. Andrew e Lever erano nell'ufficio in Mount Pleasant e il primo aveva appena finito di esporre il suo rapporto sulla produzione di amfetamine. “Va bene, riferirò tutto a Mister Eccles” garantì Stan, usando come ogni volta in quelle situazioni non propriamente legali lo pseudonimo del suo principale “Abbiamo finito?” “Sì, io non ho altro d'aggiungere”. “Allora ci vediamo la prossima settimana. Ah, quasi dimenticavo, il capo ha bisogno di parlare con Orwell. Ha un lavoro urgente per lui”. “Che tipo di lavoro?” si affrettò a domandare Godwin, turbato da quella novità che lo aveva colto del tutto impreparato. “Di questo non sono stato informato. Parlerà direttamente con lui”. “Quando?” “Adesso, può seguirmi con la sua auto”. “Ok, arriviamo”. “Non penso che la tua presenza sia necessaria” commentò il segretario. “Orwell è un mio uomo, lui fa ciò che gli ordino io non quello che dice il boss” dichiarò categorico il moro. “Che differenza c'è, visto che tu devi fare quello che dice il boss?” “É il mio capo della sicurezza, ho bisogno di lui qui”. “Non penso che si tratti di un incarico duraturo”. “Nh, d'accordo” fu costretto a cedere Andrew “Ma in ogni caso voglio essere presente”. Era pomeriggio inoltrato quando i ragazzi tornarono alla base. “Cosa ne pensi?” si informò Andrew mettendo fine ad un lungo periodo di silenzio. Noah si strinse sulle spalle prima di rispondere: “Abbiamo scelta?” “Nh” “Per quanto mi riguarda poteva andare molto peggio. Se mi avesse chiesto di uccidere qualcuno per conto suo non so come avrei reagito”. “Non so, lezioni private ad un suo conoscente, non ne capisco il motivo” rimuginò il responsabile del traffico di droga “Perché non ha convocato un insegnate privato? Perché tu?” “Non ne ho la minima idea” ammise l'altro “In Colombia mi ha visto leggere un dialogo di Platone. É rimasto piuttosto colpito, anche se in quel momento ho avuto la sensazione che mi stesse sfottendo. Forse ritiene più prudente non coinvolgere estranei nella sua vita privata dal momento che ha la possibilità di sfruttare uno dei suoi stessi uomini”. “Mh” sbottò Godwin evidentemente infastidito “Sei contento, vero? Sembra quasi che tu non venda l'ora di cominciare?” “E la cosa ti crea qualche problema?” chiese a sua volta Noah indurendo la voce. “...” “Non so cosa ha in mente quell'uomo e non so nemmeno cosa stai pensando tu, ma se ho la possibilità, anche la più piccola, di stare lontano da questa fabbrica di schifezze e da tutte le teste di cazzo che la frequentano, io la voglio sfruttare”. “Fai come ti pare. Lo fai sempre, no?” Noah reagì all'istante lasciandosi guidare dalla rabbia che, a quelle parole, era esplosa nella sua testa come un barilotto di polvere da sparo lanciato in un falò. Con il preciso intento di fargli male, afferrò il moro per il bavero della camicia, mandandolo a schiantarsi contro la parete dell'ufficio. “Io... Io faccio quello che mi pare! Io faccio quello che mi pare?!” Il ragazzo stava poco più che sibilando, ma la violenza della sua espressione fece risuonare quelle parole come un grido ferino. “Sei un figlio di puttana della peggior specie”. Noah lo lasciò e si allontanò da lui. “Usi il cervello solamente per far fuori i tuoi nemici e per diffondere quella merda sul mercato. A volte mi fai proprio schifo” confessò con un alito di voce, abbassando desolato lo sguardo “Ed io che ti lascio fare tutto, persino manipolare la mia vita a tuo piacimento, faccio più schifo di te”. “Noah” Il ragazzo più piccolo si liberò dalla mano del moro, saettata sul suo braccio per cercare di bloccare la sua fuga e, guardando fisso negli occhi il compagno, lasciò che scorgesse tutta la delusione e la collera che frustravano i suoi pensieri, prima di andarsene senza dare la possibilità ad Andrew di proferire parola. Noah tornò a casa ben oltre le tre di notte e come previsto trovò Andrew ad aspettarlo perfettamente sveglio. “Sei tornato” mormorò Godwin nella penombra della sala. “Perché non avrei dovuto farlo? Se non sbaglio è ancora casa mia questa” rispose Orwell sottolineando con cattiveria quel aggettivo possessivo. “Hawkesworth mi ha mandato un messaggio, vuole che tu cominci domani pomeriggio” continuò l’altro senza dare peso alla sferzata del compagno. “Bene, allora sarà meglio che vada a dormire. Buonanotte”. “Mi dispiace, so che...” lo fermò il moro. “Mh, ti dispiace” lo interruppe l'altro parlando senza più astio, ma ancora molto amareggiato “Me lo dici ogni volta eppure continui a sbagliare”. “...” Noah gli concesse ancora qualche istante per trovare le parole che potevano esprimere adeguatamente i pensieri che si riflettevano come ombre vorticose nei suoi occhi poi, stanco, si arrese: “Be', io ho sonno, ci vediamo domani”. Il giorno dopo Orwell accompagnò come sempre Andrew a Mount Pleasant, rimanendo con lui per tutta la mattina poi, all'ora stabilita, lo lasciò per raggiungere la villa di mister Hawkesworth. “Cosa ci fai qui?” domandò sorpreso Godwin quando a sera inoltrata il compagno entrò nel suo ufficio “Non dovevi tornare a casa?” “Sì, ma era tardi e tu non eri ancora tornato. Ti do fastidio?” “No, ma stasera farò tardi”. Noah sollevò le spalle, noncurante di quell'ultima informazione, prima di sdraiarsi sul divano senza chiedere spiegazioni. Non gli interessava minimamente cosa stesse facendo l'altro. “Com’è andato il lavoro?” volle sapere invece Andrew. “Bene, è un ragazzo piuttosto sveglio”. “Un ragazzo?” “Sì. Frequenta l'ultimo anno delle superiori e vive in casa con Hawkesworth. Il boss vuole che passi l'esame d'ammissione per legge ed io devo fare il cane da guardia.” “Cioè?” “Devo assicurarmi che studi senza distrazioni ed aiutarlo quando si trova in difficoltà” “Tu sai chi può essere?” “No, non conosco nemmeno il suo nome”. “Forse è suo fratello, ricordi la mail?” “Può essere, non lo so”. Senza aggiungere altro Godwin tornò al lavoro e Noah chiuse gli occhi immergendosi fra i suoi pensieri, lasciando calare di nuovo il silenzio nella stanza. Fu da quella sera che i ragazzi cominciarono ad allontanarsi. La piccola crepa che si era formata, ignorata incoscientemente da entrambi, andò progressivamente ad allargarsi, fino a diventare una voragine impossibile da colmare. Nelle ultime settimane l'arrivo del mercantile dalla Colombia, il delicato piano di consegna delle bustarelle agli agenti della dogana per superare indenni il controllo, l'organizzazione dello scarico e dello stoccaggio della merce e la ricerca di un nuovo mercato, ben più ampio e ricco, erano diventate le uniche priorità di Godwin. Al contrario Noah, completamente disinteressato, o per meglio dire disgustato, da questo genere di cose, faceva di tutto per starne alla larga. Risultato: i due non si vedevano quasi più. Nei pochi momenti liberi che riuscivano a trascorrere assieme non sapevano nemmeno di cosa parlare e inevitabilmente si ritrovavano a fare sesso -sempre più freddo e meccanico- o molto più spesso a litigare. Andrew non riusciva a tollerare la vicinanza che si era instaurata fra il suo ragazzo e il suo capo e la gelosia irrazionale e repressa lo facevano parlare ogni volta con una cattiveria al limite della spietatezza. Il più giovane, invece, gli rinfacciava con altrettanta violenza i torti che aveva dovuto ingoiare a forza stando con lui, e le ferite si riaprivano una dopo l'altra senza pietà né rispetto. Smagliarsi, quello era il verbo che meglio rappresentava ciò che stava succedendo al loro rapporto. Proprio come accade ad una sciarpa quando una delicata maglia di lana si rompe, impigliandosi da qualche parte, e il filo comincia inevitabilmente a disfarsi. Era un crudele circolo vizioso quello che si era creato fra i due, perché più le cose andavano male con Noah più Andrew si rifugiava nel suo ufficio, concentrato nelle sue sporche attività per non pensare a quello che stava lentamente perdendo, e più lui lavorava, conquistandosi la stima dei criminali con cui collaborava, più il disprezzo del compagno aumentava. “Ti si è rotto l'orologio Ross, hai visto che ore sono?” scherzò Godwin rispondendo al cellulare. Era da poco passata la mezzanotte ed il ragazzo era appena tornato a casa dalla sede. Parlava piano convinto che Noah stesse dormendo, senza però aver fatto i conti con le pareti sottili dell'appartamento e il sonno leggero con cui negli ultimi tempi dormiva il compagno. Orwell, infatti, era stato svegliato dalla suoneria del telefono e adesso ascoltava completamente sveglio la conversazione del compagno. “Ah, te lo ha detto Noah. Be', in effetti, in questo periodo sono molto impegnato”. Per un attimo Orwell non sentì più niente poi Andrew rispose alla domanda che gli aveva fatto l'amico all'altro capo del telefono. “É la cosa più esaltante che mi sia successa in tutta la vita. Ho il controllo e il potere della fetta più grossa dell'organizzazione, ti rendi conto?” esclamò trattenendo a stento l'eccitazione “Nemmeno due mesi fa gli altri responsabili mi consideravano un ragazzino. Scommettevano quanto tempo sarei resistito senza essere schiacciato come una pulce e adesso vengono da me per avere finanziamenti. Alcuni di loro mi chiedono il permesso per fare qualunque cosa e tutti si rivolgono al sottoscritto quando devono intervenire nei bassifondi della città per non avere rogne con Zach e i suoi mocciosi”. “Non mi importa quello che pensa quell'idiota”. “Ma non capisci come mi sento in questo momento? Ciò per cui ho lottato, sputando l'anima nelle fogne per anni, si sta realizzando, non voglio pensare a nient'altro”. “No, io... aspetta...” Silenzio. Stranamente, nonostante il vortice di dolore asfissiante e rabbia in cui era precipitato, la prima cosa che fece Noah fu sorridere: Ross aveva riattaccato in faccia a quel bastardo. Tuttavia, il nodo che si era formato nella sua gola, ingrossandosi parola dopo parola, supplicava il ragazzo di scioglierlo attraverso un diluvio di lacrime, ma Orwell non gli diede ascolto. Raggomitolandosi su un fianco, si limitò a tornare a dormire con un'unica convinzione: presto avrebbe ripreso il pieno controllo della propria vita. “Che è successo?” domandò Ross qualche minuto dopo. “Scusa, mi è finita la batteria del cellulare, ti ho richiamato con quello di casa” spiegò Andrew spostatosi in cucina, la stanza più lontana dalla camera. “Allora, hai finito di dire stronzate?” volle sapere l'amico. “Non erano stronzate, quello che ti ho detto è tutto vero”. “Vuoi farmi credere che, veramente, non ti importa quello che pensa Noah?!” “...” “Lo vedi, ecco la prima stronzata”. “...” “Andrew?” “É scoppiato, Ross, Noah non ce la fa più, abbiamo superato il limite ed io non so cosa fare” confessò il ragazzo in un soffio di pura desolazione “Non posso nemmeno farlo scappare da solo perché quel cretino, accettando quell'incarico, è andato ad infilarsi nella bocca del boss diritto come un fuso”. “É per questo che sei arrabbiato con lui? Perché senza saperlo ha rovinato il tuo piano di emergenza?” “Sapevo che una volta entrati nel giro vero non si esce, sarò anche un ragazzino ma non sono stupido. Avevo fatto una cazzata coinvolgendo anche lui, ma ero ancora in tempo a rimediare. Dopo tutto era solamente una guardia del corpo, avrei potuto benissimo sbarazzarmi di lui come avevo fatto con te, ma adesso...” “...” “Il boss ha una moglie, Susan. Vive in America. Si vedono sì e no per tre mesi all'anno, ma li dovresti vedere insieme, sembrano due maledetti ragazzini alla loro prima cotta!” “Andrew...” intervenne Ross, sentendo la voce dell'amico pericolosamente incrinata. “Non riesco a riprendere il controllo”. “Parlane con lui, è l'unica soluzione” consigliò il giovane. “Non mi ascolta più, riesce appena a salutarmi la mattina, ormai mi detesta”. “In realtà sei tu a non sopportarti, vero? Non accetti l'idea di esserti lasciato guidare dalla brama di potere e ancora di più odi la tua incapacità di tornare indietro. Finché non fai pace con te stesso togliti dalla testa il pensiero di riavvicinarti a Noah”. “Mi spieghi come cazzo faccio?” “Potresti calmarti, prima di tutto” lo ammonì l’altro “Cristo, tu sei un genio, ma usi tutto il cervello per parare il culo a quei bastardi. Svegliati! Comincia a spremere quelle meningi del cazzo per salvare la tua vita”. “Ti sembra facile?” “Sì, per uno come te lo è!” “...” “Fai qualcosa, capito! Non costringermi a scendere per prenderti...” “Ok, ok ho capito, non mi sfondare il timpano”. “Bene!” “Nh” “Allora ci sentiamo”. “Sì Ross, io...” “Buonanotte”. Erano trascorse un paio di settimane da quella telefonata e Godwin poteva finalmente pensare a sé. Il mercantile carico di caffè -e non solo - era arrivato e aveva superato senza problemi il controllo, il resto era tutto organizzato quindi Andrew aveva tempo a sufficienza per fermarsi a riflettere e trovare una soluzione. Non riusciva ad immaginare il motivo per cui Noah, da un po' di giorni, era diventato ancora più freddo ed irascibile - aveva addirittura smesso di accompagnarlo in sede con l'assurda scusa di non volersi alzare troppo presto la mattina - ma era fermamente convinto che tutto si sarebbe risolto se fosse riuscito ad escogitare un sistema per liberarlo dal giogo da cui era oppresso. Andrew era chiuso nel suo ufficio da tutta la mattina e da più di due ore sentiva ronzargli in testa una vaga percezione. Spettri sfocati di intuizioni si susseguivano veloci come lampi nella sua mente e, nonostante la loro natura impalpabile, lui sapeva che avrebbero potuto trasformarsi in un'idea più che concreta. Ancora non erano chiari poiché la scintilla fondamentale con cui comprenderli, dando loro un ordine logico, non si era innescata e, come ogni volta che si trovava in una situazione simile, il giovane si sentiva sull'orlo di un precipizio. Se il meccanismo nel suo cervello fosse scattato, avrebbe trovato la soluzione geniale che stava cercando; un passo falso, invece, lo avrebbe fatto precipitare nel vuoto con ogni suo pensiero, costringendolo a riprendere tutto dall'inizio. Tuttavia, in quel momento sentiva la sensazione giusta, era come un prurito che non poteva grattare e aumentava minuto dopo minuto; stava per afferrare il senso di tutto quanto, un istante e poi... Qualcuno bussò pesantemente alla porta. “Avanti” abbaiò senza trattenere la frustrazione “Carter, sbaglio o avevo chiesto di non essere disturbato?” “Scusami, ma è insorto un problema che non possiamo assolutamente sottovalutare”. “Quale problema?” “Londra”. “Che significa?” “Ci hanno soffiato Birmingham” spiegò in maniera molto sintetica il collaboratore. “Stai scherzando, e l'accordo con Burns?” “Saltato. Quelli di Londra erano a conoscenza del nostro affare in Colombia, per questo si sono mossi prima di noi”. “Come hanno fatto a saperlo?! Siamo stati più che attenti a non far trapelare niente proprio per fregarci il loro mercato” sbottò Godwin furioso e dopo un attimo di meditazione domandò: “Che mi dici delle altre?”. “Manchester, Belfast e Glasgow sono con noi. Sheffield, lo Yorkshire e tutte le contee a sud non si fidano, preferiscono rimanere con Londra, e le offerte vantaggiose che hanno avuto le hanno convinte a voltarci definitivamente le spalle”. “Maledizione, dobbiamo trovare il traditore che ci ha fregati. Voglio la sua testa su questa scrivania e la voglio subito”. “Certo, ma intanto che facciamo con Birmingham e le altre? Quando il boss lo verrà a sapere non sarà un bello spettacolo”. “Parlerò io con Burns, lui posso ancora convincerlo, ma tu fai scovare quel figlio di puttana, altrimenti sarà tutto inutile”. “Agli ordini”. Individuare il traditore fra tutti gli uomini coinvolti nel traffico di cocaina non sarebbe stata sicuramente un'impresa facile. L'organizzazione londinese, per essere stata in grado di anticiparli così ampiamente, era stata informata prima dell'arrivo della merce in suolo britannico ed in quella fase chimici, trasportatori e addetti alla sicurezza - la fetta maggiore di personale - erano del tutto ignari del piano di vendita. Restavano quindi pochi collaboratori di Godwin, il boss stesso, il segretario ed il consigliere, tutti quanti uomini al disopra di ogni sospetto. “Ancora niente?” volle sapere Godwin quando Carter entrò nel suo ufficio. L'uomo scosse il capo e disse: “I tuoi Gemelli si sono occupati dell'ultimo sospettato, ma è stato l'ennesimo buco nell'acqua”. “Cristo, stiamo continuando a perdere una città dopo l'altra e l'incontro con Burns si avvicina. Dobbiamo trovarlo prima che mandi in malora tutto”. “In realtà ci sarebbe un altro sospettato”. “Chi?” “...” “Maledizione, Carter, ti decidi a parlare, non ho tempo per gli indovinelli”. “Orwell”. “...” “So che è tuo...” “Sta zitto” ordinò il moro, rimasto congelato fin nel profondo da quel nome. “Lui sapeva tutto e il suo atteggiamento ultimamente è molto sospetto” continuò invece l'altro “Vuole fregarti, capo. Lo hanno visto tutti farsela con il boss, vuole prendere il tuo po...” Il freddo metallo della semiautomatica premuto contro la sua fronte riuscì finalmente a zittirlo. “Tu non lo conosci” sibilò il moro in preda alla collera “Tu non sai niente di lui quindi non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere, sono stato chiaro?” “...” “Sono stato chiaro?” ripeté Andrew sfiorando il grilletto della pistola. “C... chiaro” assicurò Carter terrorizzato dall'arma e da quegli occhi scuri del tutto preda della follia. “Bene, allora continua la ricerca. Allarga il campo anche ai responsabili degli altri settori, ne conosco molti che aspirano alla mia poltrona”. Lo stress accumulato in tutto il giorno si era somatizzato in un feroce mal di testa. Godwin, tornato a casa, cercò la scatola delle aspirine e quando non riuscì a trovarle tirò una violenta manata all'armadietto dei medicinali. “Che stai combinando?” domandò una voce assonnata alle sue spalle. Andrew si stropicciò gli occhi con una mano per cercare di calmarsi e poi spiegò il suo problema. Noah sparì per alcuni istanti nella sua camera, tornando subito dopo con due compresse. “Prendile senza acqua, faranno effetto molto prima”. “Grazie”. “Problemi?” “Perché me lo chiedi? Non ti interesserebbero”. Quella sera il moro non aveva proprio voglia di essere gentile né comprensivo e Noah lo accettò senza alterarsi. “Ok, mi infilo un paio di jeans e usciamo”. “Ma che...” “Se restiamo in casa finiremo per scannarci e tu hai decisamente bisogno di scaricarti”. “Ma non stavi dormendo?” L'altro rispose limitandosi a sollevare le spalle prima di chiedere: “Allora, ti va di uscire o no?” “Assolutamente sì” ammise Andrew infilandosi di nuovo il cappotto, mentre il compagno andava a vestirsi. Come accadeva ogni lunedì, Godwin si riunì nel proprio ufficio con Lever per discutere dei piani di vendita di tutta la settimana. Quella mattina però il segretario non era solo, poiché non era un semplice rapporto quello che il giovane intermediario doveva fare: mister Eccles voleva delle spiegazioni. “Cosa sta succedendo Godwin?” domandò l'uomo mantenendo apparentemente la calma. “Stiamo perdendo terreno nei confronti di Londra” spiegò l'interpellato senza giri di parole “Qualcuno ha informato i nostri rivali dell'affare con la Colombia, dando loro la possibilità di prepararsi alla nostra sorpresa e contraccambiare”. Il ragazzo riferì con precisione tutti i problemi che erano insorti negli ultimi giorni, elencando tutte le città che avevano deciso di comprare la cocaina dalla capitale e quelle che erano ancora indecise. “Le città a sud non mi interessano” dichiarò Hawkesworth alla fine della relazione “Sono troppo vicine alla City, ci creerebbero sempre dei problemi. Ma voglio Birmingham”. “Ho già programmato un incontro con Burns la prossima settimana”. “Pensi di avere qualche possibilità?” “Sì, ho un paio di argomenti molto convincenti”. “Bene. Niente di personale Godwin e se vuoi posso darti altri uomini per scovare il verme che ci ha venduti. Ma se non recuperi quella città sei fuori!” “Chiaro” affermò il moro senza esitare. “Sono sicuro che non avrai problemi” lo salutò Stan prima di uscire con il superiore “Ci sentiamo la prossima settimana”. “Che ti ha detto?” domandò Carter, entrato quando i due ospiti se ne erano andati. “Quello che era ovvio. Vogliono Birmingham. Hai trovato qualcosa?” “Una traccia”. “Cioè?” “Ho seguito il tuo consiglio e sono riuscito a recuperare alcune informazioni su uno dei responsabili. Niente di probante, ma mister Dale è stato a Londra diverse volte negli ultimi tempi”. “A fare cosa?” “É questo il punto, nessuno lo sa” riferì l'esecutore di Andrew “Non erano viaggi fatti per conto dell'organizzazione, di questo sono sicuro, ma non riguardavano nemmeno interessi personali o, per meglio dire, non lo sappiamo per certo “ si corresse “Possiamo seguire i sui spostamenti fino all'aeroporto di Heathrow poi è come se scomparisse: niente albergo, niente spese, niente di niente e tutta questa riservatezza mi è sembrata un po' sospetta”. “John Dale” rifletté ad alta voce Godwin “É il responsabile dello smistamento dei clandestini, giusto? É lui che stabilisce al loro arrivo se destinarli al lavoro nero, alla prostituzione o ad altri settori. Ultimamente ha avuto diversi contrasti con Zach”. “Perché?” “Dale deve piazzare la maggior parte della sua merce nei bassifondi della città e lì i night, i vecchi stabilimenti e le strade stesse appartengono a Zach ed alla sua banda”. “Ossia a te” precisò il collaboratore. “...” “Zach, contando sulla tua protezione, ha potuto iniziare ad avanzare pretese nei confronti degli altri soci, magari pretendendo pagamenti per l'utilizzo del suo territorio o facendo più o meno storie per piazzare i loro articoli. E Dale comincia a non sopportare più quei mocciosi petulanti”. “Ha una certa logica” ammise il capo ancora pensieroso. “É assolutamente evidente invece!” si animò Carter “Zach può agire così solamente perché ha il culo protetto quindi se Dave togliesse di mezzo te risolverebbe tutti i suoi problemi e non dovrebbe più chiedere il permesso a nessuno per muoversi qui a Liverpool”. “Ok, però non abbiamo nessuna prova e non sappiamo nemmeno come possa essere venuto a conoscenza del nostro piano di vendita”. “É vero, ma tieni presente che molti clandestini vengono utilizzati come mulas*, per usare un termine dei nostri amici colombiani. Il boss può averlo avvertito di tenere pronto un carico per un’operazione molto importante e a quel punto raccogliere informazioni più dettagliate non deve essere stato difficile”. “Mh, visto che sono supposizioni dobbiamo essere cauti. Tenetelo sotto sorveglianza, ma finché non abbiamo prove concrete non fate assolutamente niente” ordinò Godwin prima di congedare il suo uomo. Per il resto della settimana non ci furono novità rilevanti, Carter tenne costantemente sotto controllo Dale e i piani di vendita, non solo della cocaina, procedettero come stabilito senza nessun tipo di interferenza. Burns entrò nell’ufficio di Godwin accompagnato dalle sue guardie e senza salutare si sedette sulla poltrona davanti alla scrivania, aspettando con impazienza che il proprietario si posizionasse dall'altra parte e che Lever, presente per controllare l'andamento della trattativa, si portasse in piedi dietro di lui. “Buongiorno signor Burns, grazie per aver accettato il mio invito” lo salutò educatamente il più giovane. “Mh, spero di concludere in fretta, devo tornare al più presto a Birmingham”. Andrew, autorizzato dalla scortesia dell'uomo, andò subito al sodo rassicurandolo: “Non si preoccupi, faremo in un attimo”. “Bene”. “Lei ha rotto l'accordo che avevamo fatto diverse settimane fa, come intende rimediare a questo atteggiamento poco corretto?” “Non ho niente da rimediare, non avevamo stabilito niente formalmente”. “La sua parola dunque ha così poco valore?” “Bada a come parli ragazzino” ringhiò l'intermediario alzandosi dalla sedia. “Resti seduto” gli impose Godwin con autorità e con un tono particolarmente minaccioso che convinse l'altro ad obbedire senza discutere. “Non so come è abituato ad agire lei, mister Burns, ma io sono solito prendere informazioni su coloro con i quali intendo instaurare un rapporto d'affari. E quando scopro del marcio mi diverto a rivoltare la vita del malcapitato come un guanto”. Stan trattenne a stento un sorriso, la baldanza di quello stronzo era sparita improvvisamente. “Sarò breve come mi ha pregato di essere” continuò il ragazzo “Il traffico di speed che ha messo in piedi ha un giro davvero notevole. Londra era in assoluto la maggior produttrice, ma poi, per una non ben precisata fuga di notizie la ricetta - mi conceda questo termine - è stata diffusa in tutto il paese e Birmingham ha superato tutti in questo campo. Mi dica, cosa pensa che diranno i suoi amici londinesi quando verranno a sapere che è stata proprio la vostra organizzazione ha determinare questa loro perdita?”. “Come, come hai fatto a sapere queste cose?” domandò incredulo Burns. “Ho le mie fonti. I chimici sono dei gran chiacchieroni e quando sono insieme davanti alle loro provette amano scambiarsi certe conoscenze”. “Maledizione!” “Allora, signor Burns, a lei la scelta: vuole la nostra cocaina o preferisce ancora contrattare con quelli di Londra?” “Ho forse altre possibilità?” ringhiò l'uomo. “In effetti” constatò Godwin soddisfatto. Quando l'intermediario di Birmingham se ne fu andato, Lever si complimentò con il ragazzo per la durezza e l'imperturbabilità con cui aveva condotto la trattativa nonostante le notevoli pressioni che aveva subito negli ultimi giorni. “Sapevo che Burns sarebbe tornato con noi” confessò Godwin “Quello è uno scemo che non usa il cervello. Considera gli affari come un bambino potrebbe considerare un pacchetto di figurine rare. Più che una fonte di guadagno per lui sono solamente un vanto”. “Comunque hai gestito bene la situazione sin dall'inizio”. “Grazie. Adesso mi auguro che quelli di Sheffield seguano l'esempio dei loro alleati e tornino con noi”. “É probabile visto che agiscono sempre in coppia” dichiarò il segretario del boss “Bene vado a riferire la buona notizia a mister Eccles”. Quando Andrew tornò a casa era particolarmente soddisfatto. Aveva risolto la situazione in modo rapido ed indolore; finalmente poteva tornare a pensare alla fuga di Noah e, a quel punto, alla sua. Aveva deciso che, anche se non subito, avrebbe raggiunto il compagno il prima possibile, via da Liverpool, via da quella vita che gli stava risucchiando ogni attimo di felicità che invece avrebbe potuto avere da solo con lui. Non era tardi, non erano passate nemmeno le undici di sera e la luce nell'appartamento era ancora accesa. Era contento che Noah fosse ancora sveglio perché voleva parlare con lui e confessargli la sua decisione, era sicuro che avrebbe quanto meno placato la sua inesauribile collera. Aprì piano la porta, ma subito dopo aver varcato la soglia fu travolto da una furia di rabbia e preoccupazione. “Mi spieghi che cazzo ti dice il cervello?” lo aggredì Orwell. “Che è successo 'sta volta?” domandò esasperato il moro. Da quanto tempo non rivedeva il suo sorriso? Andrew non se lo ricordava. “Perché hai mandato i Puppets ad uccidere Dale? Adesso gli altri sono furiosi e indignati per la tua arroganza. Questa te la faranno pagare cara”. “Cosa, che...” annaspò incredulo Godwin. “Qualcuno delle tue marionette ha cercato di fare la pelle a Dale. Volevano toglierlo di mezzo perché vi aveva messo i bastoni fra le ruote, ma le sue guardie lo hanno protetto e se l'è cavata con una ferita alla spalla. Adesso è molto, molto incazzato e sta convincendo uno dopo l'altro tutti gli altri membri dell'organizzazione a farti fuori”. “Non è possibile, non ho dato loro alcun ordine”. “Non lo hai fatto?” domandò il più giovane sconcertato “E allora cosa...” “Mi ha fregato” si limitò ad ammettere Andrew. “La talpa?” “Già, chiunque sia è stato più furbo di me”. “Che facciamo adesso?” “Ti consiglio di scappare, avresti già dovuto farlo senza aspettarmi”. “E tu?” “Io tornerò ad Albany e cercherò di difendermi, sempre che a fregarmi non sia stato Zach o uno dei ragazzi”. “Impossibile! Per quanto mi riguarda potrebbe essere stato Dale ad attentare alla sua stessa vita, sfruttando il tuo sospetto su di lui”. “A questo punto non so più che pensare”. “Credi che sia tutto finito?” “...” “Andiamo”. “Non penso sia una buona idea, tu non c'entri”. “Sono la tua guardia del corpo, se sei in pericolo devo difenderti”. “Non ce n'è bisogno, non sei più obbligato a farlo. In realtà non lo sei mai stato”. “Come vuoi, io vado. Tu puoi sempre raggiungermi con l'autostop”. Andrew scosse la testa e, sorridendo lievemente, si arrese: “Andiamo”. Come previsto, arrivati al vecchio palazzo in Albany Road, Zach confermò loro che nessuno dei suoi ragazzi si era mosso e che il capo era stato fregato da qualcuno che conosceva bene sia i suoi attuali movimenti sia quelli passati. Per mostrargli la propria fedeltà, Zach concesse al superiore una completa collaborazione e assicurò che per difenderlo avrebbe trasformato quella topaia in una fortezza. Furono giorni di preparativi ed attesa quelli che seguirono. I ragazzi riuscirono a recuperare altre armi, organizzarono turni di guardia, piani di difesa e di attacco, e ognuno di loro non vedeva l'ora di stendere qualche grasso maiale dei piani alti. La prima incursione dei nemici fu bloccata con relativa facilità. Erano solamente una dozzina di uomini disorientati, che avevano ampiamente sottovalutato i loro avversari e che per questo furono spazzati via in una manciata di minuti dall'esercito di ragazzini. “Siamo i più forti!” “Chi ci ferma, eh?! Chi cazzo ci ferma!” gridavano tutti, esaltati dalla vergognosa ritirata dei “grandi”. “Silenzio!” ordinò Zach dall'alto della terrazza in cui era nascosta la sua postazione “Torneranno presto ed allora saranno armati fino hai denti, organizzati e determinati a sterminarci tutti quanti. Quindi mantenete la concentrazione e state sempre all'erta”. La previsione del nuovo capo si realizzò molto presto. La notte successiva Andrew e Noah si erano da poco addormentati, condividendo lo stesso divano, quando sentirono i primi colpi di mitra. Velocemente si alzarono, precipitandosi fuori per controllare la situazione. “Sono tornati” li avvisò uno dei capibanda “E sono tanti”. “Quanti di preciso?” “Non lo so, una quarantina, forse più. Si sono uniti proprio tutti”. Gli uomini di Hawkesworth e soci caddero come mosche sotto i colpi di mitra provenienti dalle finestre più alte del palazzo, dove i ragazzi più abili potevano mirare tranquillamente restando protetti dalla loro posizione più vantaggiosa. Ma la situazione si ribaltò drasticamente quando i primi, riuscendo a penetrare le difese della base, ebbero la possibilità di combattere faccia a faccia con i secondi. Le loro armi erano indubbiamente migliori e più numerose e la loro esperienza era addirittura soverchiante. Ben presto le scritte oscene sulle pareti furono ricoperte dal sangue dei più giovani e le stanze sudice, i corridoi, persino le scale mal illuminate si riempirono dei loro cadaveri. I pochi ragazzi rimasti si erano riuniti nei sotterranei. Un brutto ricordo balenò nella mente di Noah quando attraversarono di corsa il mattatoio, ma subito lo ricacciò indietro, non c'era tempo per quelle cose, dovevano scappare al più presto utilizzando l'uscita che portava in Saxony Road. “Ci siamo” gridò Zach “Aiutatemi a spostare le casse”. Le grosse casse di legno che nascondevano l'apertura sul muro furono rimosse una dopo l'altra e quando ci fu spazio a sufficienza per passare, il giovane sfondò i manifesti che celavano il passaggio sul vicolo, uscendo. “Presto, stanno arrivando anche i pigs!” I ragazzi si muovevano veloci come formiche attraverso il foro sulla parete, mentre alle loro spalle i Gemelli ed Orwell si occupavano degli uomini che sopraggiungevano. “Muoviti Andrew, esci!” “Smettila di giocare al tiro al bersaglio e seguimi” lo esortò il moro. Noah si voltò per scappare con l'altro, ma il momento non fu quello giusto: una raffica di colpi arrivò loro alle spalle ed un proiettile andò a conficcarsi nella schiena del ragazzo. “Noah!” soffiò Andrew con un singulto nel momento in cui vide il compagno cadere di schianto emettendo a malapena un gemito. Incurante di quello che stava succedendo si gettò a terra chiamandolo di nuovo. “É morto capo, dobbiamo filarcela” lo incalzò Mason afferrandolo per un braccio. Andrew non gli diede ascolto, si liberò dalla presa e, abbassandosi sul corpo del suo ragazzo, iniziò a gridare come mai aveva fatto in vita sua, con i pugni serrati sui vestiti fradici di sangue e lo sguardo sbarrato di fronte all'immobilità di Noah. Improvvisamente si era fatto tutto confuso, sentiva i rumori che lo circondavano, ma non capiva più niente e i suoi occhi erano offuscati da qualcosa di umido che li faceva bruciare come se fossero pieni di sabbia. Si ribellò quando qualcuno lo afferrò per le spalle, divincolandosi con una foga disperata, e cercò di liberarsi: non lo voleva lasciare, non poteva abbandonare il corpo del ragazzo che amava per nessuna ragione al mondo. Ma il colpo che ricevette alla testa lo stordì e tutto prese a girare in modo vorticoso finché i sensi non lo abbandonarono definitivamente. Fu il dolore a svegliarlo qualche ora più tardi. Sentì qualcosa schiantarsi contro la sua guancia destra e quasi gli sembrò che l'occhio esplodesse dentro l'orbita. “Ti sei svegliato, stronzo!” lo schernì uno dei giganti che lo aveva colpito. Andrew era seduto in una sedia di metallo al centro di una stanza del tutto spoglia, aveva le caviglie legate alle gambe e i polsi assicurati dietro alla spalliera. “Coraggio, non perdete tempo” li esortò un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e una prominente pancia da bevitore nascosta da una camicia da duecento sterline tutta gualcita “Fracassate le ossa a questo moccioso pieno di boria”. “Come desidera signor Dale”. I pugni cominciarono a precipitare sulla faccia e sul busto del ragazzo come una grandinata violenta. Illividivano la sua pelle, squarciavano la carne più delicata ed il sangue affiorava andando ad imbrattare le mani dei suoi carnefici, tuttavia Andrew non reagiva nemmeno con un lamento, totalmente insensibile. Come un vinile incantato l’unico frammento di ragionevolezza rimastogli pensava solamente a Noah e sopra ogni altra cosa desiderava che uno di quei colpi gli permettesse di raggiungerlo. La sua coscienza però infieriva senza alcuna pietà, e subdolamente insinuava nel suo cervello la convinzione di non meritare una fine così rapida poiché, come sempre, era lui la causa di tutto. “Bene, può bastare” li interruppe Dale quando si accorse che il loro prigioniero aveva di nuovo perso i sensi “Adesso sgozzate questo inutile pezzo di merda e facciamola finita!” Ancora una volta gli uomini ubbidirono, ma proprio quando uno di loro gli tirò indietro la testa, strattonandogli con forza i capelli, nella stanza entrò Eric Hawkesworth ad interromperli. “Buoni, buoni signori, il ragazzo mi serve vivo”. “Ma, signore?!” protestò il responsabile. “Ancora per un poco” lo placò subito il boss “Ho un'ultima questione in sospeso con lui e poi ti assicuro che lo farò fuori personalmente”. “Se è così, è tutto suo allora. Ma la prego, mi faccia assistere all'esecuzione. Questo stronzetto ha osato attentare alla mia vita”. “Non ti preoccupare John, avrai la tua soddisfazione”. Godwin aprì gli occhi a fatica ed era ancora un profonda sofferenza quella che sentiva nel corpo, nel cervello ed in ogni minuscola piega della sua essenza. In un barlume di lucidità si guardò in giro e, intravedendo che la stanza era cambiata, si domandò dove fosse stato portato. “Sei nella sede di mister Hawkesworth” Se il moro ne avesse avuto la forza avrebbe sussultato. “Oddio, sei, sei...” “Sono ancora vivo, sì” continuò per lui Noah “Ho solo la schiena un po' ammaccata, ma il giubbotto antiproiettile ha attutito la maggior parte del colpo. Tu invece mi sembri ridotto piuttosto male”. “Ma... Dove hai trovato un giubbotto simile? E tutto quel sangue?” “Era finto. Serviva qualcosa che ti distraesse, ma lui non avrebbe mai permesso che mi facessi del male”. “Lui chi?” ruggì il moro strattonando le braccia legate ad una nuova sedia. “...” “Noah, dimmi chi”. “Sta calmo, adesso ti spiego tutto” sostenne Orwell con un tono di voce così distaccato da non sembrare il suo “Dopotutto se sei qui è solo per questo, mi sembrava brutto lasciarti partire per un viaggio di sola andata senza nemmeno un chiarimento”. “Cosa sta succedendo?”domandò. La gioia di prima era stata disintegrata di nuovo in pochi istanti. “Ero stufo di aspettare i tuoi comodi, Andrew. Ti ho ripetuto più volte che io non sopportavo questo genere di vita, ma tu sei sempre andato avanti per la tua strada, fregandotene di quanto male potevo stare” lo accusò apertamente il più giovane “Ogni volta c'era sempre qualcosa di più importante o pericoloso che ti teneva legato ai tuoi affari ed io ho deciso di fare a modo mio”. “Be', complimenti, facendoti il boss avrai sicuramente ottenuto molto di più di quello che potevo darti io” soffiò Andrew con disprezzo. Noah, appoggiato alla scrivania che occupava un angolo della stanza, con le braccia e le gambe incrociate in una posa quasi rilassata, si lasciò sfuggire un sorriso colmo di disprezzo prima di replicare: “Che stronzo. Credi di avere tutto e tutti sotto controllo e invece non sai niente. Non conosci nemmeno il passato del ragazzo che ti sei scopato per più di un anno”. “...” Il ragazzo che fino a poco tempo prima Andrew aveva pensato di conoscere si alzò dal ripiano di legno e gli si avvicinò di un paio di passi, piegandosi con le mani appoggiate sulle ginocchia per essere all’altezza del suo sguardo. “Penso che ricorderai la storia che raccontai a Tzvetan quando morì sua madre. Be', non era del tutto vera. Non fu il giornalista free-lance a raccontarmi la verità, perché fu proprio lui a morire nell'esplosione con i miei genitori”. “Ma allora...” “Già, mio fratello, Eric Orwell, è ancora vivo. Da quel momento però ha preferito farsi chiamare Eric Hawkesworth”. Nonostante lo shock di quella scoperta Godwin riuscì a far uscire la voce per domandare: “Perché ha cambiato nome e ha lasciato credere a tutti che fosse morto?” “Perché voleva vendicare i miei genitori” rispose Noah “Senza un'identità da salvaguardare è facile fare carriera nel vostro assurdo sistema. Facendo indiscriminatamente tutto quello che gli veniva chiesto di fare è arrivato in fretta al fianco del vecchio boss e a quel punto, per lui, è stato uno scherzo distruggere i bastardi corrotti che ci avevano rovinato la vita”. “Cristo, non è possibile, mi hai... Per tutto questo tempo mi hai ingannato?!” “Se devo essere sincero stavo bene con te, per questo ho cercato di eliminare il problema senza usare le maniere forti, ma tu hai fatto di tutto per vanificare i miei sforzi”. “Ma di che problema parli?” “Parlo del tuo potere. Stava diventando troppo importante perché mio fratello te lo lasciasse. E non mi riferisco al narcotraffico, quell'incarico te lo ha dato lui per controllarti meglio, mi riferisco a quello che hai ottenuto con le tue marionette. Controllavi tutta la città e per lui non era accettabile”. “E allora perché non mi ha fatto fuori subito?” sibilò il moro furioso “Perché inscenare questo teatrino?” “Perché molti dei suoi soci ti stimavano troppo. Vedevano in te una mina vagante, ma anche una fabbrica per fare soldi e non avrebbero mai acconsentito a farti fuori senza una ragione più che valida”. “L'attentato a Dale”. “Esatto. Dale ha un'amante a Londra, ma poiché la moglie è la figlia di un altro socio si muove con più riserbo che mai. Sapevo che i tuoi sospetti sarebbero ricaduti su di lui e non è stato difficile organizzare l’attentato lasciando la firma delle tue marionette”. “Carter aveva ragione”commentò incredulo e disperato Godwin. “Su cosa?” “Da subito aveva avuto dei sospetti su di te, ma io non ho voluto crederci. Che fine hanno fatto gli altri?” cambiò discorso il moro. “Carter e molti altri sono morti, alcuni, fra i quali i tuoi adorati gemelli, sono stati arrestati. Zach è riuscito a mettersi in salvo. Non impiegherà tanto a riorganizzarsi, ma dovrà ricominciare daccapo”. Andrew non aveva più parole, finalmente, dopo più di quattro anni, aveva compreso fin nel profondo ciò che sua madre aveva provato quella sera, e mai come in quel momento gli risultò chiaro il vero significato del termine tradimento. “So che non mi crederai, ma mi dispiace di essere arrivato a tanto” confessò Noah avvicinandosi alla porta “Non ho avuto altra scelta, ti avevo avvisato che non ero così altruista da sacrificare la mia vita per un'altra persona, non per una persona che si esalta solamente delle cose che io detesto di più”. “Alla fine hai mantenuto i tuoi propositi, sei riuscito a farmela pagare”. “Ho solamente ripreso la mia libertà”. Orwell uscì dalla stanza e freddamente annunciò: “É tutto vostro”. Hawkesworth e Lever, accompagnati come promesso dal socio, raggiunsero subito Godwin. “Ho avuto il piacere di ascoltare qualche parola della tua precedente conversazione” dichiarò malignamente Dale “Se avessi saputo che per torturati sarebbe bastato così poco, avrei risparmiato tutta quella fatica ai miei uomini”. Andrew non rispose, guardava fisso di fronte a sé senza vedere niente. Era come già morto. “Fatti indietro John, dobbiamo procedere adesso” lo esortò il boss. “Con piacere”. Stan, avvicinandosi al ragazzo con una dose letale di cloridrato di cocaina disciolto in acqua già pronto in una siringa, strappò la manica lacerata del suo maglione e con forza gli legò un laccio emostatico al braccio. Occorsero solo pochi secondi prima che le vene sporgessero fuori dalla pelle sottile e lentamente l'uomo vi inserì l'ago. Subito dopo tolse il laccio e, senza nessun indugio, prese ad iniettare il veleno dentro al braccio di Godwin, confessando con sincero disappunto: “Peccato, dopotutto eri veramente in gamba, mi dispiace...” Andrew non riuscì a sentire oltre poiché il resto della frase si perse in un rombo assordante: i battiti del suo cuore cominciarono ad accelerare e le sue pupille si dilatarono fino a coprire quasi completamente l'iride. Uno spasmo violento e finalmente tutto diventò buio. EPILOGO Noah si lasciò cadere sul divano del piccolo salotto e, soffiando verso l'alto il fumo della sigaretta, prese il blocco degli appunti appoggiato sul tavolino, cominciando a scrivere. << Ciao Eric, poiché confido nella perspicacia e nell'attenzione di Stan - che senza dubbio avrà immediatamente capito che il signor Noowel Harl in realtà ero io - sono sicuro che avrai aperto di persona questa lettera e che nessuno all'infuori di te avrà letto quanto vi è scritto. Visto gli ultimi sviluppi preferisco la forma cartacea per parlarti di certe cose, ma sta tranquillo, prenderò le dovute precauzione. Oltre ad usare uno pseudonimo, la farò spedire da un mio amico approfittando del suo imminente viaggio a San Francisco, così nessuno sarà in grado di risalire a me o al luogo dove attualmente risiedo. Allora, come va lì la situazione? Susan come sta? Dille che fra qualche mese la raggiungerò, non voglio assolutamente perdermi la nascita della mia prima nipotina. Scusa se mi faccio sentire solo adesso, ma ho impiegato più tempo del previsto per trovare un buco decente in questa assurda città. Adesso ne sono convinto, mi hai spedito qua per farmela pagare per tutte le seccature che ti ho creato negli ultimi tempi, vero? Il numero totale di abitanti non è superiore a mille, novecento dei quali sono ultra settantenni e l'unico locale presente nel giro di chilometri è un pub che non chiude mai oltre la mezzanotte. Vecchiette premurose e torte di benvenuto a parte devo ammettere che è veramente un posto tranquillo e la pace del bosco che circonda la casa mi ha dato la possibilità di riprendermi più velocemente dagli avvenimenti successi negli ultimi mesi, recuperando con rapidità ciò che credevo definitivamente perso. Dopo la sistemazione, infatti, ho ripreso a studiare seriamente e sono quasi certo che riuscirò a superare l'esame di ammissione del prossimo mese all'università di questo stato. Come ben sai mi sarebbe piaciuto frequentare Oxford o Cambridge, ma va bene anche così. L'università si trova a poche centinaia di chilometri da qui, è piuttosto prestigiosa e ha annesso un campus grande più o meno come questa cittadina, quindi posso ritenermi soddisfatto. In questi giorni ho avuto modo di riflettere molto e finalmente ho preso una decisione: voglio frequentare Lettere Classiche. Ho realizzato che le lingue antiche mi affascinano davvero tanto e mi piacerebbe diventare un esperto in questo campo. Basta con le guerre Eric, ne ho fatte decisamente troppe per i miei gusti e da adesso in poi non voglio più nemmeno trovarmi nella situazione di dover discutere , fosse anche in un'aula di tribunale. Sono un tipo troppo pigro per continuare a vivere odiando il mondo intero. Da adesso voglio una vita tranquilla. Voglio iniziare a studiare ciò che mi piace, fare feste con gli amici il venerdì sera, ammazzarmi di sbronze una volta ogni tanto e poi starmene buono buono almeno quarantotto ore per recuperare le poche facoltà mentali rimastemi, magari in compagnia della persona che mi ama davvero. Al momento è tutto quello che desidero e a questo proposito mi sono reso conto di non averti mai espresso la mia gratitudine. Tutto ciò che adesso ho lo devo solamente a te. Ti ringrazio di avermi ascoltato sempre, assecondando i miei sentimenti nonostante le mie priorità andassero spesso contro i tuoi interessi. So che Andrew era nella tua lista nera per il potere che stava conquistando, e so che, quando ti portai la sua foto dicendoti che quello era il ragazzo che volevo, per poco in quella lista non ci finivo pure io. E di sicuro non per aver scoperto che tuo fratello era gay! Tuttavia hai rispettato il mio volere e te ne sarò sempre riconoscente. Anche se, brutto stronzo, hai rischiato di ammazzarmi, spingendo Farrel a dichiarare guerra ad Andrew. E non ti azzardare a negare perché ho capito subito che c'era il tuo zampino. Il capo del nord non aveva un potere così grande da recuperare armi di quel livello senza che la voce si spargesse, e di sicuro non sono piovute dal cielo proprio sopra la sua base. Oltretutto, quando quel coglione si è lasciato trascinare dall'entusiasmo, rapendo il sottoscritto, il tuo piccione si è subito fatto vivo, diffondendo generose informazioni come la fatina di cenerentola. Ti confesso che più volte sono stato sul punto di rivelare ogni cosa ad Andrew, ma la paura di peggiorare la situazione mi ha sempre bloccato. Lo so, ho sbagliato tutto sin dall'inizio: se quel giorno nel mattatoio in Albany Road avessi fatto il tuo nome, quello stronzo non mi avrebbe trattato in quel modo e successivamente non sarebbe accaduto quello che entrambi sappiamo ma, ti sembrerà stupido ed infantile, ne sono certo, volevo riuscire a togliermi dai guai da solo, almeno per una volta. Tu ti sei preso cura di me da sempre, hai aiutato la nonna restando nell'ombra, ti sei preoccupato per la nostra incolumità, mi hai insegnato a difendermi, ad affrontare uomini anche più forti di me, hai addirittura sacrificato la tua esistenza per vendicare quella dei nostri genitori, ed io non facevo altro che crearti problemi. Per me era inaccettabile. Poi, mentre cercavo una via di fuga per togliermi da quella situazione, è successo una cosa piuttosto seccante: mi sono reso conto di non riuscire più a staccarmi da quei maledetti occhi. So che è al limite del masochistico -io stesso ho impiegato molto per riuscire ad accettarlo a livello razionale- ma era ciò che il mio istinto mi diceva ed io non potevo ignorarlo. E Cristo, ero persino riuscito a sistemare tutto con le mie sole forze! Avevo ottenuto l'attenzione di Andrew, ero stato capace di conquistare la sua stima, addirittura era giunto a promettermi che sarebbe venuto via con me, lasciando quella città di merda. E ti assicuro che lo avrebbe fatto. Dopo lo scontro con Farrel avrebbe lasciato tutto a Ross e ce ne saremmo andati... Se solo non fosse intervenuto quel lurido animale! Quando ci penso il mio stomaco si contrae e il mio cervello non desidera altro che averlo davanti per poterlo massacrare. E lo stesso vale per te. Perché gli hai fatto quella proposta, perché non hai lasciato che venisse ad Oxford con me? Ti avevo comunicato le nostre intenzioni, Andrew non sarebbe più stato una minaccia per te e per i tuoi soci. So che volevi una scusa per annientare la sua banda, ma sei veramente convinto che il piccolo impero che aveva creato sarebbe stato così minaccioso senza la sua guida? Tu sapevi che non avrei sopportato ancora per molto quella vita e che avrei chiesto il tuo aiuto per essere di nuovo libero, per questo lo hai intrappolato in un giro più grande di lui, dove sarebbe stato terribilmente facile costringerlo a sbagliare. Ma va bene, non voglio conoscere i motivi che ti hanno spinto ad agire in questo modo. Io sono di nuovo libero, proprio come desideravo, ed è il risultato ciò che conta sempre, giusto? Vivendo per un po' di tempo alla tua maniera, fratello, ho avuto la possibilità di capire quanto possa essere vero il tuo insegnamento. Quando la legge è troppo marcia o troppo codarda per fare il suo dovere, o quando si vive in un mondo dove non è mai scontato restare vivo fino a sera, non è proprio il caso di essere tanto sensibili. É lo scopo che la gente si prefigge a renderla grande, per questo prova a raggiungerlo con ogni mezzo, cercando di non rimetterci la pelle. É questo ciò che conta veramente. Ma lascia che ti dica quello che penso io: sebbene quest'esperienza mi sia servita ad aprire gli occhi, voglio assolutamente tornare ad ignorare questa tua filosofia. Preferisco senza dubbio vivere in quella che tu chiami illusione e continuare a credere che sia la maniera con il quale si raggiunge un intento a qualificare l'integrità e la dignità di una persona... >> La porta di casa si aprì con un tonfo improvviso, facendo sussultare il ragazzo impegnato nella stesura della lettera. Il suo compagno era entrato aprendo la porta con un piede, mentre cercava in tutti i modi di non far cadere le due grosse buste di carta contenenti la spesa. “Mi hai fatto prendere un colpo” sbottò Noah in direzione del ragazzo dai corti capelli biondo cenere. “Scusa, ma stavano per cadermi le borse. A proposito, potresti anche venire a darmi una mano”. Noah si alzò e raggiunse il compagno in cucina per aiutarlo a mettere al loro posto le provviste. “Che stavi facendo?” domandò curioso l'ultimo arrivato. “Stavo scrivendo a mio fratello”. “Ah, allora ti lascio continuare in pace” mormorò l'altro baciando con dolcezza la tempia di Noah “Io vado a farmi una doccia”. Orwell tornò al divano, immergendosi nuovamente nella “conversazione” con la persona che in quel momento si trovava dall'altra parte dell'Atlantico. << E sono sicuro che è possibile vivere come dico io. Se è riuscito ad accettarlo quel pazzo di Andrew, che di buchi neri nel cervello ne ha quasi quanto i tuoi, penso che non sia tutto un'utopia. Con lui non è stato facile, quando si è ripreso dall’overdose e per tutto il tempo della convalescenza non mi ha mai rivolto parola. In seguito, mi ha spiegato che si era sentito tradito: l'unica persona al mondo di cui si fidava lo aveva ingannato, era stato un brutto colpo per lui. Per me sono tutte balle. Andrew aveva iniziato ad odiare -anche più di me- lo schifo che ci circondava. E allora perché non era soddisfatto? Che accidenti c'era da tradire? Ma cosa ti posso dire? Un idiota resta sempre un idiota e sono sicuro che tutto il suo malessere stava nel fatto che lui non riuscisse a sopportare l'idea di non avercela fatta da solo ad uscirne; il pensiero di essersi lasciato fregare dal sottoscritto bruciava più delle ferite sul suo corpo. Ovviamente con il tempo il suo malumore -che ti assicuro sa essere molto irritante- è passato e adesso, le poche volte che parliamo di questa cosa, continua a borbottare che è tutto facile quando si ha un fratello maggiore che fa il tuo lavoro. Effettivamente ha ragione, ma c'è una qualche legge scritta che mi impone di dirlo anche a lui? Comunque adesso stiamo bene, Mister Black Doll si è pure schiarito i capelli pur di scrollarsi di dosso l'aspetto di principe delle tenebre. Quello scemo non si è accorto che le povere vecchiette qui sono tutte terrorizzate dai suoi occhi e più strapazza i suoi capelli più lo guardano con sospetto... >> “E così le vecchiette mi guardano con sospetto, eh?” domandò Andrew sbirciando da dietro il divano quello che Noah stava scrivendo. “Hai mai sentito la parola privacy in vita tua?” “Hai scritto un sacco di sciocchezze” lo prese in giro il ragazzo più grande ridendo divertito “Non ti facevo un tipo così profondo”. “Chi ti ha... Da quanto mi spii?” “Un po'“ rispose enigmatico Andrew e, togliendosi dalle spalle l'asciugamano con cui si era tamponato i capelli, scivolò accanto al compagno appoggiato alla spalliera del divano, mormorando: “Eri così carino tutto concentrato sulla scrittura. Mi hai incuriosito”. “Smettila di prendermi per il culo!” lo spintonò Noah, ma senza forza. Andrew sorrise accondiscendente e, piegandosi sul volto fresco del suo amante, sfiorò le sue labbra, tornando subito dopo a guardarlo. Era un ringraziamento: le parole ancora non erano in grado di uscire dalla sua bocca, ma gli occhi erano terribilmente chiari e gridavano grazie per aver avuto la possibilità di aprirsi ancora sul ragazzo che avevano di fronte. Noah sorrise e, affondando una mano sui biondi capelli dell'altro, lo costrinse ad abbassarsi di nuovo su di lui per approfondire il bacio. Il blocco cadde dal divano con un tonfo secco, ma nessuno nella stanza vi prestò attenzione. FINE Note: *Adam: uno dei tanti appellativi con cui viene chiamata comunemente l'ecstasy. *Red Playboy e Number One: alcuni tipi di ecstasy. * MDMA: 3,4-metilendiossimetamfetamina il principio attivo dell'ecstasy. * Mulas: persone che imbottiscono il corpo di cocaina o ne ingoiano diverse dosi incapsulate nel cellophane per il trasporto.