Ritornare
alla Costituzione
ANM e Magistratura Onoraria
Roberto Braccialini
Claudio Viazzi
E’
vero che la scure della
Commissione
Bilancio
sembra essersi abbattuta sul
disegno di legge che avrebbe introdotto nel nostro
ordinamento il “magistrato
di complemento” (d.d.l. n.51632004, presentato dal sottosegretario
on.VITALI ma partorito dalla
FEDERMOT), questo ibrido tra
magistrato professionale ed onorario
destinato a costituire un canale parallelo di accesso alla magistratura
togata. Ma è troppo presto per parlare definitivamente di scampato pericolo - anche se l’argomento economico è stato in oggi risolutivo - fin
quando i precari della giustizia, i giudici onorari di tribunale ed i viceprocuratori onorari, potranno farsi
forti del loro ruolo di supplenza e
spesso di “alter ego” della magistratura professionale e sostenere con il
loro vivace sindacalismo la richiesta
di un accesso preferenziale in magistratura.
La temporanea bocciatura del
progetto della FEDERMOT non ci
esime dal chiederci ancora che prospettive di impiego vi siano nel sistema giudiziario per la magistratura
onoraria, diverse dalla discutibile
assimilazione di giudici onorari di
tribunale e giudici di pace, che sta
alla base del testo VITALI.
Occorre invece cominciare a
costruire, insieme agli altri protagonisti della giurisdizione, un’alternativa al puro e semplice mantenimento
del g.o.t. come clone del giudice professionale, buono per tutte le necessità perchè “massa di manovra a
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basso costo”; e dobbiamo nello stesso tempo superare l’idea di un giudice di pace ancora troppo scolpito per
“la pace dei giudici”, come si diceva
ai tempi del suo ingresso sulla scena
giudiziaria.
Partiamo proprio dal giudice di
pace, mettendo subito in luce il suo
diretto radicamento nell’art. 106
Costituzione, e chiediamoci se il
disegno originario del Costituente,
che evidentemente immaginava un
magistrato onorario in grado di trattare il contenzioso a basso tenore
giuridico, legato alle controversie
della vita quotidiana, non sia stato
tradito da riforme recenti di segno
opposto, fino a farne una specie di
giudice contenitore buono per tutte le
esigenze: la vicenda dell’attribuzione
della competenza per le convalide
relative alle espulsioni, scippata ai
giudici togati, è emblematica.
Al di là delle ricorrenti perplessità
dell’avvocatura, e di un’aneddotica
spesso ingenerosa, questo tipo di giudice ha dato buoni risultati nel settore civile nell’ultimo decennio, ma
permane una sua crisi di identità e di
modello organizzativo.
Incidere sulla figura del giudice
di pace per riavvicinarlo al modello
costituzionale significa intervenire
su diversi piani congiuntamente. In
primo luogo, premendo l’acceleratore sulla competenza per materia per
farne il protagonista del contenzioso
di prossimità senza largheggiare
invece rispetto alla competenza per
valore, che va comunque ragionevolmente aumentata. Si deve poi risolvere il nodo del modello organizzati-
vo perché la direzione degli uffici
affidata al giudice di pace piu’ anziano non si è rivelata efficace rispetto
ai compiti dirigenziali previsti nell’art. 47 quater dell’ordinamento giudiziario, e molte opacità sono state
segnalate nell’assegnazione dei
fascicoli. Lo stesso associazionismo
dei giudici di pace propone che la
direzione dei loro uffici sia affidata
ad un presidente di sezione (togato),
e questo inciderebbe profondamente
su trasparenza ed efficacia organizzativa, rendendo veramente serio il
momento programmatorio del lavoro
giudiziario riportato nelle tabelle
biennali.
La richiesta di una piu’ significativa voce in capitolo in seno agli
organi di autogoverno dovrebbe fare
i conti con processi di revisione
costituzionale dell’articolazione del
Consiglio Superiore, e non sembra
questo il momento per trasformarci
in alfieri del cambiamento della
nostra Legge fondamentale: mentre
decisamente piu’ semplice e percorribile è la strada che punta ad un autogoverno locale realmente rappresentativo dei magistrati onorari attraverso un’apposita sezione del consiglio
giudiziario su base distrettuale, unita
ad un forte decentramento di competenza dal CSM alla periferia.
Il quadro riformatore dovrebbe
essere completato poi da interventi
meditati sul rito, perchè non ha senso
operare ripartizioni per valore se poi
le forme processuali e decisionali
sono identiche davanti al tribunale ed
al giudice di pace. È un punto sul
quale l’accademia, salvo un paio di
contributi, brilla per assenza ed il
vuoto progettuale verrà prossimamente a galla con l’introduzione per
via di regolamento europeo di una
specifica disciplina per gli small
claims comunitari, che difficilmente
resterà senza effetto sul rito “normale” del giudice di pace.
Ritornare alla Costituzione è
quindi l’imperativo categorico per
chi voglia mettere mano ad una ridefinizione di compiti e funzioni del
giudice di pace, senza dimenticare
che una buona base elaborativa era
già contenuta in alcune opzioni della
Commissione ACONE, il cui progetto giace ingiustamente nella selva
degli insepolti da un triennio. Con
qualche significativo aggiornamento,
però, perché l’idea del giudice della
terza età non è piu’ seriamente riproponibile negli stessi termini del
modello originario del giudice di
pace : va bene reintrodurre l’elevazione dell’età dell’accesso, ma il
bacino di reclutamento dei prossimi
giudici di pace non può che fare riferimento, in prospettiva, all’avvocatura, che ha certamente valide risorse
da mettere in campo una volta che si
risolvesse la questione del trattamento previdenziale, in considerazione in
primo luogo della “pervasività tecnica” che contraddistingue anche il
processo presso il giudice di pace.
Ben maggiori difficoltà e dubbi si
pongono rispetto alla figura del
g.o.t., che non gode dello stesso
addentellato costituzionale del giudice di pace e che il legislatore della
riforma del 1998 aveva previsto
come figura temporanea ed invece,
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ANM e Magistratura Onoraria
La
Magistratura
Organo
della
Associazione
Nazionale
Magistrati
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della
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Nazionale
Magistrati
dal 2003, si riproduce di proroga in
proroga. Come interrompere questa
spirale? Vi è una prima posizione,
nella magistratura associata, che
addebita la crescita incontrollata del
ruolo di questi giudici alle lacune
nella disciplina (e nel numero) dei
magistrati distrettuali e vorrebbe
rimpolpare convenientemente quest’ultima figura eliminando definitivamente i g.o.t. Fermo restando che è
sotto gli occhi di tutti l’insufficienza
della legge sui distrettuali nel rispondere alle esigenze lavorative create
da scoperture temporanee o picchi di
lavoro in certe sedi, c’è da chiedersi
se veramente convenga alla magistratura (ed all’utenza) rinunciare ad
una figura professionale che, depurata dalle attuali pericolose derive neocorporative, abilmente sfruttate da un
sindacalismo agile e battagliero,
potrebbe dare invece un utile contributo in un diverso modulo organizzativo degli uffici giudiziari per
aumentarne significativamente le
capacità di lavoro.
Nell’ambito di alcuni laboratori
associativi, in particolare, negli ultimi mesi è stata messa a fuoco l’idea
dell’ufficio del processo come insieme di relazioni tra i protagonisti della
giurisdizione in vista del conseguimento degli obiettivi di qualità ed
efficacia del processo, che sono alla
base dell’art. 111 della Costituzione.
L’analisi specifica dedicata al
ruolo del g.o.t. ha segnalato che tale
figura è cresciuta in molti uffici grazie alla delega talora irresponsabile
di interi ruoli contenziosi, senza
alcun paletto che stesse a specificare
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quali materie deve continuare a presidiare il magistrato togato, o quali
snodi decisionali, fin quando la circolare del CSM sulle scorse tabelle
ha cercato di introdurre alcuni correttivi, con però un’ambiguità di fondo
sui presupposti di impiego in riferimento all’art. 43 bis dell’ordinamento giudiziario : in molti uffici, che si
sono ben guardati dal rivelare nelle
tabelle i reali impieghi dei g.o.t., la
circolare è stata letta con una certa
disinvoltura quale autorizzazione ad
usare i g.o.t. semplicemente come
risorsa aggiuntiva per alleggerire i
ruoli dei giudici togati. Come stupirsi poi delle fiaccolate sotto il Parlamento e dei testi normativi consegnati alla politica sulla magistratura di
complemento, se l’indispensabilità di
questi magistrati precari viene
costruita dai nostri dirigenti giorno
per giorno in nome del funzionamento del servizio?
È invece all’interno della dottrina
dell’ufficio per il processo, come
hanno colto le forze politiche piu’
lungimiranti, che può cogliersi una
ragionevole soluzione anche per i
problemi posti dal precariato in
magistratura.
Infatti un neolaureato uscito da
una scuola di perfezionamento, o un
praticante avvocato, o ancora un
ricercatore universitario che fossero
disponibili ad operare per due-tre
anni in una dimensione ancillare
rispetto all’affidatario togato, in funzione collaborativa e, occorrendo,
per limitati e normativamente predeterminati compiti di supplenza, completerebbe significativamente la sua
formazione professionale ma non
potrebbe certamente ambire a sostituirsi piu’ o meno stabilmente al giudice professionale. Questi però
potrebbe contare su tale risorsa per
affrontare piu’ serenamente quei picchi di attività che gli richiederebbero
il dono dell’ubiquità e che non sono
solo necessariamente lo stralcio del
contenzioso piu’ datato : si pensi
all’improvvisa sopravvenienza di un
complesso procedimento cautelare al
di fuori della normale routine d’udienza.
Una figura professionale così
concepita non andrebbe ad occupare
le mansioni che tradizionalmente la
magistratura associata chiede a gran
voce – ma sempre piu’ inascoltata siano ricoperte da dirigenti, funzionari ed assistenti amministrativi :
non vi è sovrapposizione di attività
perché la collaborazione di questo
nuovo tipo di g.o.t. è mirata sulle
udienze, e solo ad un magistrato onorario sono possibili incombenze
sostitutive del togato nelle udienze.
Naturalmente, si apre a questo
punto il dilemma del trattamento
economico : ma il modello dei borsisti medici risolverebbe i molti aspetti negativi a cui ha dato luogo l’attuale sistema del cottimo per udienza.
In conclusione, un ragionevole ed
urgente riassetto della magistratura
onoraria dovrebbe partire proprio da
questa distinzione di fondo : il giudice di pace dovrebbe consistere in una
risorsa “già formata”, come esperienza professionale; mentre il g.o.t. ed il
v.p.o. sarebbero risorse da formare
all’interno di un’esperienza formativa propedeutica ai distinti sbocchi
professionali consentiti oggi dalla
laurea in giurisprudenza.
Futuribili? Libri dei sogni? Il
fatto è che non si può continuare
irresponsabilmente a procrastinare
nel tempo le soluzioni e l’idea dell’ufficio per il processo, con un
ruolo del g.ot. ridotto ad una dimensione collaborativa, ancillare, sicuramente temporanea, è l’unica alternativa fino ad oggi emersa che possa
contrapporsi alla pura e semplice
stabilizzazione dell’impiego per una
ristretta e selezionata platea di giovani precari : l’obiettivo cui in realtà
mira il d.d.l. VITALI/FEDERMOT.
È venuto, in altri termini, il
momento di mettere in campo delle
idee per un’organizzazione giudiziaria alternativa e quindi occorre fare
delle scelte nette in avanti : anche la
scelta di non scegliere mai, e rimandare tutti i problemi di proroga in
proroga, ha costi umani e sociali che
si scaricano poi sui cittadini.
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