2 Anno LXI-Trimestrale-Poste Italiane Spa-Spedizione in abbonamento postale-d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2-DCB Roma Aprile-Giugno 2008 Articoli di Caterina Brignone, Francesco Antonio Cancilla, Angelo Caputo, Mario Chiavario, Vania Contrafatto, Luca De Matteis, Marco Formentin, Ennio Fortuna, Fulvia Fratantonio, Luigi Levita, Rosario Minna, Stefano Montoneri, Antonio Mura, Lucio Napolitano, Gioacchino Natoli, Giacomo Oberto, Livio Pepino, Luigi Petrucci, Daniela Piana, Antonello Racanelli, Michele Ruvolo, Armando Spataro, Rosario Spina, Francesco Viganò. Organo dell’Associazione Nazionale Magistrati Organo dell’Associazione Nazionale Magistrati 2 Aprile-Giugno 2008 Sommario Impaginato 2-2008 18-12-2008 Le opinioni espresse in ciascun articolo sono proprie dell’autore e possono non coincidere con quelle della redazione o della direzione o con la linea dell’ANM Direzione e Amministrazione Roma-Palazzo di Giustizia, presso l’Associazione Nazionale Magistrati Telefono: diretto 06/6861266; centralino 06/68831; interno 2792 Fax 06/68300190 Sito internet: http://www.associaz ionemagistrati.it Reg. Trib. di Roma n.259 del 23 giugno 1948 Direttore Responsabile Aldo Celentano Codirettori Antonio Balsamo Nicola Di Grazia Comitato di redazione Antonio Ardituro Carlo Citterio Anna Giorgetti Giuseppe Rana AD Gerardo Spera Illustrazioni Fabiano Spera Finito di stampare nella Litotipografia Fratelli Begliomini Via Gerolamo Adorno, 55 Tel 06/5126444 Fax 06/5139959 16:05 Pagina 1 EDITORIALE di Antonio Balsamo e Nicola Di Grazia Riforme necessarie e riforme minacciate 2 LE IDEE Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi di Mario Chiavario 6 GIUSTIZIA E TERRORISMO La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror di Armando Spataro Dati sulle sentenze di condanna pronunciate in Italia successivamente all’11 settembre 2001, per reati di terrorismo internazionale o per reati collegati al terrorismo internazionale 20 44 IL GIUDICE E LA BIOETICA Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” di Francesco Viganò Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto di Caterina Brignone Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona di Luigi Petrucci 112 IL DIBATTITO SULLA GIUSTIZIA Il mestiere del giudice e i tornelli di Ennio Fortuna Riformare il processo e non i magistrati. di Antonello Racanelli 130 132 GIUSTIZIA ITALIANA E STANDARD EUROPEI Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali di Francesco Antonio Cancilla Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea di Luca De Matteis Un codice per l’Europa di Rosario Minna Analyse et propositions sur la méthode de collecte des donnéès par la CEPEJ di Gioacchino Natoli La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo di Daniela Piana GLI STRUMENTI DELLA LOTTA ALLA MAFIA Poteri violenti e mafie di Livio Pepino IL DIBATTITO SULLE RIFORME Una riforma necessaria e urgente: i reati collegati all’espulsione di Angelo Caputo Il nuovo testo unico in materia di sicurezza sui luoghi del lavoro: prime osservazioni di Vania Contrafatto e Marco Formentin Riflessioni sulla Riforma del diritto di famiglia e dei Tribunali per i minorenni di Fulvia Fratantonio Un nuovo giudice per la persona, la famiglia ed i minori di Lucio Napolitano Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile di Michele Ruvolo e Luigi Petrucci Le difficoltà di accertamento del reato di usura: proposta di modifiche normative di Rosario Spina Sulle scuole di specializzazione per le professioni legali: una proposta di riforma per il loro effettivo rilancio di Luigi Levita 56 80 146 158 170 174 194 206 222 228 234 240 246 258 262 MAGISTRATURA GIOVANE Diario semiserio di un uditore con funzioni di Stefano Montoneri 266 CRONACHE DELL’UNIONE INTERNAZIONALE DEI MAGISTRATI L’associazionismo giudiziario al di là delle frontiere nazionali di Antonio Mura e Giacomo Oberto 280 CRONACHE DELL’ANM La composizione della Giunta 287 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 2 Riforme necessarie e riforme minacciate Editoriale di Antonio Balsamo e Nicola Di Grazia N on è un momento facile per chi vuole affrontare i problemi della giustizia in Italia da una prospettiva concreta, che tenga conto dei reali interessi dei cittadini e del sistema-paese. La necessità urgente di riforme è da tutti condivisa e non è in discussione. Ma è la prospettiva del processo riformatore da avviare, appunto, che appare controversa nelle intenzioni del mondo politico. L’Associazione Nazionale Magistrati si è espressa con chiarezza per un’ampia serie di interventi diretti ad assicurare funzionalità ed efficacia al sistema giudiziario, perché i cittadini italiani hanno in primo luogo diritto ad ottenere decisioni in tempi ragionevoli. Perché nel leggere i dati statistici tremendi sui ritardi e sul numero dei processi pendenti, non bisogna mai dimenticarsi che dietro ad ogni numero c’è un cittadino, e che questo fallimentare rapporto del singolo con il sistema-giustizia finirà con l’essere la “cifra” del grado di fiducia della intera collettività nei confronti dello Stato. Interventi urgenti, dunque; anche per ridurre i costi economici connessi alla lentezza delle controversie giurisdizionali civili e quelli derivanti dalla violazione dei termini di ragionevole durata del processo di cui lo Stato italiano risponde avanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questo, sin dal 28 maggio 2008, abbiamo proposto, con apposite schede programmatiche presentate al Ministro della giustizia, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie con la soppressione degli uffici giudiziari minori, la riforma del processo civile, con la semplificazione dei riti ed il processo telematico, la depenalizzazione dei reati minori, la introduzione di pene alternative alla pena carceraria, la riforma del processo penale, con la eliminazione di tutti quei formalismi che di fatto impediscono di arrivare ad una sentenza in tempi ragionevoli, l’introduzione generalizzata della posta elettronica certificata nel processo penale e nel processo civile. Per questo abbiamo contestato con forza l’impatto straordinariamente negativo dei tagli alle risorse di organico ed economiche del comparto giustizia operati con l’ultima legislazione finanziaria ed abbiamo richiamato il Ministro ai suoi doveri, secondo le competenze affidategli dalla Costituzione, in materia di organizzazione dei servizi. Per questo abbiamo denunciato la situazione ancora più drammatica in cui si troveranno a breve i più esposti uffici giudiziari del meridione, per le scoperture di organico non risolvibili con gli ultimi provvedimenti di legge sulla mobilità dei magistrati verso le sedi disagiate, e abbiamo 2 18-12-2008 16:05 Pagina 3 proposto interventi correttivi per evitare la paralisi. Ma la riflessione della magistratura associata ed il suo contributo propositivo al dibattito in corso non si sono limitati a questo. L’ANM non trascura l’esigenza che viene da più parti ribadita di assicurare equilibrio e responsabilità nei rapporti con gli altri poteri dello Stato, con la politica e con la stampa, perché anche tale aspirazione corrisponde al bisogno di rinsaldare il rapporto di fiducia con i cittadini. Abbiamo perciò sottolineato l’impegno della magistratura, in tutte le sue articolazioni, nella attuazione delle importanti innovazioni introdotte con la recente riforma dell’ordinamento giudiziario in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, di periodiche valutazioni di professionalità, di temporaneità degli incarichi direttivi e di selezione degli aspiranti in base a criteri solo attitudinali. Perché siamo convinti che l’attuazione della riforma costituisca una occasione per un ampio rinnovamento dell’organizzazione giudiziaria che consentirà anche il superamento di difetti e ritardi che si sono registrati nel passato. E abbiamo affermato che è compito e dovere anche dell’ANM sostenere questo sforzo di rinnovamento interno, riempiendo di contenuti concreti i principi introdotti dalle nuove norme ordinamentali per assicurare ai cittadini una magistratura capace, motivata, responsabile e professionalmente adeguata, così come disegnata dalla Costituzione. Una magistratura, insomma, in grado di fare appieno la propria parte. Ma è proprio questo il punto Le riforme necessarie ed urgenti sono quelle che servono a garantire l’efficacia e la qualità della giurisdizione, per ripristinarne la credibilità nella cornice dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura come delineata nel sistema costituzionale. Su questi temi registriamo iniziative isolate e addirittura interventi negativi. Le riforme minacciate nel dibattito politico sembrano orientate, invece, verso una nuova riforma dell’assetto della magistratura che risponde ad ideologismi pregiudiziali e che non serve ai cittadini e al paese. Non servono la separazione delle carriere del giudice e del pubblico ministero e la creazione di un CSM separato per i pubblici ministeri, in quanto ne discenderebbe inevitabilmente la perdita di autonomia e di indipendenza del pubblico ministero. Non serve cambiare la composizione del CSM e sottrargli la competenza disciplinare, perché il sistema di autogoverno non è certamente immune da difetti e disfunzioni, ma aumentare il peso della politica nell’organo di autogoverno e in sede di giudizio disciplinare non servirà a risolvere i problemi reali, servirà solo a dare maggiore potere alla politica sui giudici e a ridurre e mortificare la indipendenza e l’autonomia della magistratura. I cittadini non possono avere interesse a soluzioni che finiscono col rafforzare i legami con la politica e che non incidono sulle cause delle disfunzioni nell’amministrazione della giustizia. Alle prerogative dell’autonomia e dell’indipendenza, assegnate alla magistratura dalla Costituzione, corrispondono, ne siamo consapevoli, doveri e responsabilità A queste responsabilità non intendiamo sottrarci. 3 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Editoriale Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 4 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 5 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 6 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi *Ordinario di Diritto Processuale Penale nell’Università di Torino, già Presidente dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale Le idee di Mario Chiavario* 1. Premessa1. Il riferimento alla “giustizia europea” contiene una espressione, a dire il vero, polisenso. Basti pensare che è Europa l’Unione europea, che ha una sua Corte di giustizia, ma è anche Europa il Consiglio d’Europa, che comprende un’area più larga e nel cui ambito opera la Corte europea dei diritti umani. E poi, giustizia europea non è solo quella delle Corti: è giustizia europea anche la collaborazione investigativa e giudiziaria su scala continentale tra organi di diversi Stati europei. I frammenti di contributo alla riflessione comune che vorrei offrire sono in larga parte, per così dire, “trasversali”. Ho cercato di raccoglierli attorno ad un paio di interrogativi, che prospetto a voi nello stesso modo in cui mi sono venuti alla mente. Primo interrogativo: che cosa è cambiato e che cosa sta cambiando, nel nostro processo penale, con il procedere, sia pure in modo tortuoso, della costruzione dell’unità europea? E poi, secondo interrogativo, quali e quanti, i problemi nuovi? E come affrontarli? 2. Un nuovo sistema di fonti. Dunque, che cosa è cambiato e sta cambiando. Anzitutto, è cambiato e sta cambiando il quadro delle fonti 6 normative di riferimento. Qualcuno, a dire il vero, può osservare con ragione che da sempre lo studioso e l’operatore della giustizia penale avrebbero dovuto tenere in gran conto i profili di rapporto con il diritto internazionale. E non si può dire che sempre lo si sia fatto, sebbene rogatorie ed estradizioni non siano invenzioni degli ultimi decenni... Non c’è dubbio, tuttavia, che dal dopoguerra in avanti il quadro si sia arricchito come forse mai prima di allora, da questo punto di vista: beninteso, non solo per quanto è accaduto e sta accadendo in Europa, ma anche per quanto è accaduto e sta accadendo in un panorama planetario. È però altrettanto vero che lo scenario europeo ha contribuito parecchio a cambiare le cose. Parlo anzitutto della Convenzione europea dei diritti umani, che vive ormai da più di cinquant’anni e che da subito avrebbe dovuto essere avvertita, più di quanto non sia accaduto, come qualcosa di non assimilabile, puramente e semplicemente, alle classiche convenzioni internazionali, per la cui immissione nell’ordinamento poteva essere sufficiente l’altrettanto classica formuletta dell’ordine di esecuzione («piena e intera esecuzione è data alle norme contenute nella Convenzione...»). Il carattere paracostituzionale dei contenuti 18-12-2008 16:05 Pagina 7 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi della Convenzione avrebbe forse potuto e dovuto essere riconosciuto già all’epoca della ratifica, adottandosi una legge costituzionale come strumento idoneo ad assicurare una loro inserzione nell’ordinamento a un livello effettivamente adeguato. Non è andata così (e non è questa la sede per approfondirne i motivi): la legge del 1955, di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione della Convenzione di Roma, è una semplice legge ordinaria, e la Corte costituzionale ha dovuto prenderne atto, respingendo sempre – se non in un’isolata sentenza del 1993 – i tentativi di far leva su questa o quella norma costituzionale di contesto per attribuirle una forza superiore a quella delle leggi ordinarie. E neppure è stata accolta, ai tempi della Commissione bicamerale e poi ancora all’epoca della legge cosiddetta di costituzionalizzazione del “giusto processo”, una proposta che mi ero permesso di avanzare, suggerendo di integrare l’art. 10 della Costituzione, e cioè di agganciare esplicitamente, al riferimento alle norme del diritto internazionale generale cui l’ordinamento italiano «si conforma», quello, appunto, alle convenzioni internazionali di tutela dei diritti umani. Oggi, peraltro, in virtù della modifica apportata all’art. 117 della Costituzione, alle norme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati della Convenzione il carattere paracostituzionale è stato riconosciuto – e sia pur entro certi limiti – da due importanti sentenze della Corte costituzionale (la 348 e la n. 349 del 2007), che vi hanno individuato i connotati delle cosiddette “norme interposte”, dichiarandole idonee, dunque, a fungere da parametri di legittimità rispetto alle norme ordinarie, anche quando queste siano entrate in vigore successivamente alla legge esecutiva della Convenzione. Ciò, sia pur con la riserva di un controllo – così come per altre “norme interposte” quali quelle delle leggi di delegazione – della loro non contrarietà a norme costituzionali di fonte “interna”. La Convenzione di Roma, come è noto, è fonte che trova la sua origine e la sua area applicativa, sul piano transnazionale, nell’ambito del Consiglio d’Europa; e però, oggi, va espandendo un’efficacia vieppiù stringente anche in rapporto all’ordinamento comunitario, a sviluppo di un processo che dovrebbe trovare il suo sbocco con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il cui art. 6 non si limita più, come anteriormente, a richiamare la Convenzione sui diritti umani come una delle fonti il cui rispetto deve esser assicurato all’interno dell’Unione, ma giunge ad esplicitare una forma di “adesio7 Le idee Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 8 Le idee La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ne” formale alla convenzione stessa, sia pur precisando che «tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati». D’altronde, anche in via autonoma il diritto dell’Unione europea contribuisce a quell’arricchimento di fonti cui si alludeva: e la sfera del processo penale non è affatto immune da questa incidenza. Sono ormai numerose le decisioni – quadro adottate al riguardo, a cominciare da quella sul mandato di arresto europeo: e si tratta di fonti, appunto, specifiche dell’ordinamento comunitario vigente, che vincolano gli Stati membri quanto alle finalità perseguite, anche se lasciano agli Stati margini di apprezzamento discrezionale quanto alla scelta dei mezzi e dei modi con cui perseguire le finalità medesime, e che hanno bisogno non di una ratifica ma di leggi attuative, la cui conformità alla fonte comunitaria non è esente da controlli e sanzioni di competenza degli organi dell’Unione. E, soprattutto, non si può dimenticare che anche per quanto concerne i diritti umani l’Europa comunitaria dispone ormai di una “sua” Carta, la cosiddetta “Carta di Nizza” del 2000, di cui l’art. 6 del Trattato di Lisbona afferma «che ha lo stesso valore giuridico dei trattati»europei. 8 3. Un nuovo scenario di soggetti: un ruolo sempre più rilevante della Corte europea dei diritti dell’uomo. D’altronde, un arricchimento – o se si preferisce una maggiore complessità rispetto al passato – si riscontra pure quanto ai soggetti che figurano come protagonisti o come comprimari sulla scena della giustizia penale. Anche a questo proposito non si può non partire dalla Convenzione europea dei diritti umani., e perciò non si può non cominciare con il richiamare l’attività della Corte omonima, che giudica su doglianze per violazioni di diritti garantiti dalla Convenzione stessa. E di fronte a un uditorio come questo non ho bisogno di ricordare quanta parte, nella giurisprudenza della Corte europea, abbiano in particolare le pronunce attinenti al processo penale. Tuttavia, non può negarsi che fino a qualche tempo fa l’attenzione per le pronunce della Corte europea era fortemente condizionata in negativo dalla diffusa sensazione di un’efficacia molto limitata delle sue pronunce. Al riguardo, la preoccupazione più forte, per i nostri governanti (e non voglio dire che fosse una preoccupazione da poco) era quella dell’accantonamento di riserve monetarie, per adempie- 18-12-2008 16:05 Pagina 9 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi re, in caso di sentenze che accertassero la violazione della Convenzione, alle frequenti condanne consequenziali, a danni e spese. E i principi affermati dalla Corte in sede interpretativa e applicativa della Convenzione? A questo proposito, bisogna ammettere che anche la maggior parte di coloro che qualche attenzione, a questa giurisprudenza, la davano, finivano per lo più col comportarsi come si fa con un ospite di riguardo a un banchetto di prestigio, che si ascolta e magari si cita con rispetto (anche quando parla di specialità prelibate) ma che non vale poi la pena di tenere realmente in conto perché si presume che non si sporchi mai le mani in cucina. Ebbene, oggi non può più essere così. Intanto, sappiamo che, nelle citate sentenze del 2007, la nostra Corte costituzionale ha fatto riferimento alla giurisprudenza di Strasburgo come al ”diritto vivente” della Convenzione, che non può essere trascurato neppure quando della Convenzione si fa un uso “interno”, compreso quello, al massimo livello, tipico del controllo di costituzionalità delle leggi nostrane. Per altro verso, dobbiamo constatare che sono sempre più numerose e significative le sen- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati tenze della Corte europea, le quali non si limitano ad accertare una violazione della Convenzione e a farne conseguire una condanna di carattere pecuniario: ci sono quelle che io chiamerei sentenze “inibitorie” (tipiche quelle in tema di estradizione, che impongono allo Stato di non estradare una persona verso un determinato Paese (per quanto quest’ultimo non sia parte della Convenzione), se vi è il fondato timore che, una volta estradata, la persona possa subire lesioni di diritti fondamentali. E vi è il caso, per certi versi clamoroso, della sentenza-diktat (mi riferisco all’”affare Sejdovic”), ossia a una pronuncia che nel suo stesso dispositivo contiene una formula che impone allo Stato una modifica legislativa, al di là di quanto potrebbe occorrere per la soddisfazione del ricorrente del caso di specie, e perciò a tutela di tutti quanti si trovino o possano venire a trovarsi in identica situazione. E ancora. Come dimenticare che ormai, non solo la stessa Corte europea ma gli organi “politici” del Consiglio d’Europa rivolgono sempre più pressanti moniti per ricordare agli Stati – e in primis allo Stato italiano – l’obbligo di dare seguito concreto alle decisioni della Corte, il che vuole talvolta comportare qualcosa che va al di là della (o 9 Le idee Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 10 Le idee La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati che prescinde dalla) “soddisfazione” pecuniaria, in particolare richiedendo l’adozione di strumenti che pongano rimedio, anche superando l’ostacolo di un’avvenuta formazione del giudicato interno, allo svolgimento di “processi non equi”, come tale accertato dai giudici di Strasburgo. 4. ... e la crescente “presenza” di organi dell’Unione europea. Meno intensa è stata, ed è tuttora, la “presenza”, con pronunce attinenti al processo penale, della Corte di giustizia dell’Unione europea, dati i limiti alle sue possibilità d’intervento, sino ad ora particolarmente notevoli in relazione a materie rientranti nel cosiddetto “terzo pilastro” della costruzione comunitaria. Negli ultimi tempi, tuttavia, questa presenza si è fatta a sua volta sentire, anche se con modalità diverse da quelle in cui si esplica la giurisprudenza Corte dei diritti umani. Il leading case in materia può essere considerato l’“affare Pupino”, in relazione al quale la Corte del Lussemburgo ha statuito l’obbligo del giudice italiano, di interpretare la normativa interna (nella specie, quella riguardante l’incidente probatorio avente come protagonista un minorenne) alla luce della decisione-quadro sulla tutela delle 10 vittime del reato. Né si può dimenticare il cospicuo apporto che la Corte di giustizia è poi stata ed è chiamata a dare in materia di mandato di arresto europeo, in quanto a sua volta disciplinato da una decisionequadro. Ma il diritto comunitario ha fatto irrompere sulla scena anche altri soggetti, come i Magistrati di collegamento, la Rete giudiziaria europea, Europol, Eurojust: tutte realtà che, sia pur con più o meno forti limitazioni di attribuzioni, svolgono ruoli di non trascurabile rilevanza sotto vari aspetti della cooperazione investigativa e giudiziaria. 5. Novità nei modi di esplicarsi della cooperazione giudiziaria. Sensibili mutamenti si avvertono anche per quanto concerne i modi di esplicarsi della cooperazione. Mi limiterò, a questo riguardo, a pochi aspetti, ben consapevole che parecchi altri se ne potrebbero individuare. Da parecchi punti di vista si coglie, intanto, una parziale, ma non trascurabile, erosione del dogma della sovranità nazionale come impedimento a certe forme di collaborazione a fini di giustizia. È un’erosione parziale e non porta a una cancellazione di prerogative importanti, che conti- 18-12-2008 16:05 Pagina 11 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi nuano ad essere riservate agli Stati nazionali, i quali, in particolare, non cedono nulla all’Europa quanto ad esercizio della giurisdizione in materia penale: non ci sono e presumibilmente non ci saranno, almeno a breve e medio termine, giudici penali europei. Però, l’apertura alla creazione di squadre investigative comuni è un fatto di non scarso rilievo, così come lo sono i potenziamenti che il Trattato di Lisbona configura per l’attività di Europol e soprattutto di Eurojust, rendendola comprensiva del vero e proprio avvio di indagini penali. Maggiore significato potrebbe avere quella che l’art. 86 della versione consolidata del Trattato per il funzionamento dell’Unione, secondo il testo di Lisbona continua a prospettare come creazione di una “Procura europea”, sia pur ridimensionandola alquanto rispetto a più ambiziosi progetti del passato, perché la confina negli stretti limiti della tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione e la circonda di tanti “paletti” procedurali. Non meno significativi certi capovolgimenti di principio che si configurano nelle procedure di assistenza giudiziaria. Due tendenze mi sembrano in particolare da rimarcare: la tendenza a non scorgere più, nella presenza di autorità dello Stato richiedente La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati all’esecuzione degli atti richiesti, un evento eccezionale; e soprattutto la tendenza ad erigere a regola l’adozione, ai fini di quell’esecuzione, delle forme e delle procedure indicate dallo Stato richiedente, salva l’osservanza dei principi fondamentali di diritto dello Stato richiesto (come si esprime l’art. 4 della Convenzione di assistenza giudiziaria, adottata a Bruxelles nel 2000, e destinata sotto tanti profili a sostituire, nell’ambito dell’Unione europea, quella di Strasburgo del 1959, a suo tempo elaborata dal Consiglio d’Europa). Anche da un altro punto di vista si può notare un capovolgimento di principio. È nella definizione dei rapporti tra autorità giudiziarie (o investigative) e autorità politiche nella dinamica della cooperazione. Si tratti di consegna di persone (mandato di arresto europeo) o di altre forme di assistenza giudiziaria, si tende ormai, sempre di più, a favorire il rapporto diretto tra i soggetti direttamente investiti di compiti investigativi o giudiziari, lasciando alla politica e all’amministrazione soltanto un ruolo di supporto organizzativo e di controllo “in extremis”. Può trattarsi di una delle espressioni di una volontà di semplificazione, che a sua volta emerge anche sotto parecchi altri punti di vista; 11 Le idee Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 12 Le idee La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ma direi che c’è soprattutto una robusta scelta di principio. 6. Improcrastinabile il dare un seguito tangibile alle sentenze della Corte europea in tema di “processo non equo”. Quali e quanti, i problemi nuovi? E come affrontarli? Urgente problema è certo quello di dare finalmente risposta alla pressante richiesta che ci viene da Strasburgo, per non lasciare senza seguito concreto e tangibile le sentenze della Corte europea, particolarmente in tema di “processo equo”. Negli ultimi anni abbiamo assistito a parecchi interventi giurisprudenziali, sia da parte della giurisdizioni di merito sia di quella di legittimità. È stata ed è una sorta di supplenza all’inerzia legislativa: supplenza spinta sino al punto di dichiarare cessata l’esecuzione di sentenze passate in giudicato, come conseguenza che si vorrebbe trarre hic et nunc dal riconoscimento europeo che un processo penale si è svolto in modo “non equo”. Altri giudici hanno invece portato davanti alla Corte costituzionale la questione della lacuna legislativa, chiedendo ai giudici di Palazzo della Consulta una pronuncia additiva con cui si venisse a legittimare, in casi del genere, la revisione del giudicato. 12 A questa richiesta, la Corte costituzionale ha risposto di no, dichiarando infondate le questioni prospettate in rapporto agli articoli 3, 10 e 27 della Costituzione. Le argomentazioni della sentenza 129 di quest’anno mi sembrano, nel complesso, convincenti, ma non escluderei un ripensamento della Corte se la questione dovesse ripresentarsi sotto l’angolo dell’art. 117. La stessa sentenza appena citata auspica comunque – e su ciò non si può non esser d’accordo – che finalmente sia il legislatore a stabilire un rimedio efficace, che a mio modo di vedere potrebbe proprio essere una revisione, sia pur sui generis. So che si sono frapposte resistenze alle iniziative già avviate in tal senso, già nelle legislature precedenti, e va detto che le resistenze sono venute anche da associazioni altamente meritorie per il loro impegno civile nella lotta contro la mafia. Vi è il timore che di questo nuovo tipo di revisione possano profittare gli esponenti della peggiore criminalità. Ma nel bilanciamento delle esigenze non se ne può esasperare soltanto una. D’altronde, questo timore dovrebbe poter essere esorcizzato con adeguate cautele nella strutturazione del nuovo istituto, senza dimenticare che proprio la Corte europea ha più volte precisato che l’accertamento della 18-12-2008 16:05 Pagina 13 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi “non equità” del processo non significa di per sé che la condanna eventualmente inflitta sia ingiusta: orbene, proprio questa osservazione dovrebbe anche spingere la giurisprudenza ad evitare ulteriori “fughe in avanti” come quella cui ho accennato, della cessazione dell’esecuzione come effetto automatico della pronuncia della Corte europea che abbia accertato la violazione della norma convenzionale. 7. Collaborazione istituzionale per prevenire conflitti tra Corti. Problemi spinosi – e, questi, non facilmente risolubili nemmeno con opportune iniziative legislative – si prospettano, più in generale, in conseguenza dell’accavallarsi di fonti e di competenze circa la tutela dei diritti umani, tra Costituzioni interne (per noi, tra la Costituzione italiana), la Convenzione europea dei diritti umani, la Carta di Nizza, e, correlativamente, tra Corti costituzionali, Corte di Strasburgo, Corte del Lussemburgo. Senza entrare sul terreno dei rapporti tra i due ambiti “europei”, particolarmente complesso e forse destinato a diventarlo ancor di più con la versione dei trattati europei adottata a Lisbona mi limito a un cenno quanto alle relazioni tra Corte costitu- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati zionale e Corte europea dei diritti umani, per dirmi dubbioso sul fatto che ogni difficoltà possa considerarsi risolta a seguito delle pur apprezzabilissime aperture della nostra Corte, circa il rango delle norme ricavabili dalle convenzioni internazionali di tutela dei diritti umani, e in primo luogo delle norme desumibili dalle clausole della Convenzione europea. Qui, lo sforzo di una collaborazione istituzionale mi pare essenziale, per prevenire potenziali conflitti ed eventualmente per risolverli pianamente. Collaborazione che si deve affidare anzitutto alla sensibilità dei giudici delle rispettive Corti, sebbene abbia forse bisogno anche di qualche strumento normativo. Un primo profilo da approfondire dovrebbe essere quello dei possibili contrasti tra norme costituzionali “interne” e norme della Convenzione, così come risultanti dal “diritto vivente” applicato dai giudici di Strasburgo. Qui, i giudici di Palazzo della Consulta hanno detto che deve prevalere la norma costituzionale interna, e lo si può comprendere; ma quando un quel contrasto vi fosse, e si dichiarasse incostituzionale (e dunque non applicabile in Italia) la norma ricavabile dalla Convenzione, non si configurerebbe un illecito internazionale? È pur 13 Le idee Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 14 Le idee La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati vero che, per lo più, il profilarsi di conflitti dovrebbe essere scongiurato dalla clausola di riserva, che la Convenzione stessa pone in favore di eventuali maggiori garanzie del diritto statale; ma non è escluso che in qualche interstizio delle rispettive normative (tanto più se viste alla luce del ”diritto vivente”, come ritiene necessario la stessa Corte costituzionale) potrebbero pur rimanere contrasti non risolubili: e penso specialmente alle ipotesi di garanzie fondamentali in potenziale conflitto tra loro (ad esempio, pubblicità delle udienze e riservatezza dei singoli). In ogni caso, proprio per la ricognizione del “diritto vivente” europeo, mi sembra che si ponga un problema: chi deve garantire, in ultima analisi, l’autenticità della rilevazione, dal momento che la giurisprudenza, anche dei giudici di Strasburgo, non è definita una volta per tutte ma risulta da un susseguirsi di pronunce su singoli casi concreti? Sarebbe allora inimmaginabile l’instaurazione di un meccanismo costruito sulla falsariga di quella “pregiudiziale comunitaria”, in forza della quale una risposta della Corte di giustizia è sollecitata dal giudice interno al fine di sapere come interpretare questa o quella clausola della normativa dell’Unione? Insomma, è troppo ardito pensare a una specie di ”pregiu14 diziale human rights”, da costruire in favore della Corte europea dei diritti umani per non lasciare ai giudici interni (Corte costituzionale compresa) la responsabilità di fraintendimenti? 8. “No” a eccessi di “patriottismo giuridico”. È, quello appena evocato, un settore della problematica in relazione al quale sarebbe probabilmente eccessivo agitare come attuale un rischio, che pure può intravedersi sullo sfondo: è il rischio di un patriottismo fuori luogo, costruito sulla presunzione che sotto ogni profilo le soluzioni normative (tanto più se costituzionali) raggiunte nell’ordinamento italiano siano il non plus ultra in tema di garanzie individuali e di loro armonizzazione con le esigenze di tutela della collettività. Questo rischio mi pare semmai essersi fatto tangibile in rapporto ad altri aspetti della problematica che si va ad affrontare in questo nostro convegno. Penso soprattutto a quanto è spesso emerso a proposito del mandato di arresto europeo. Intendiamoci. Certe perplessità sulle soluzioni adottate nella formulazione della decisione-quadro possono anche essere condivise, soprattutto (ma non solo) per quanto riguarda la genericità 18-12-2008 16:05 Pagina 15 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi di alcune delle categorie di fattispecie inserite nella lista dei reati “a consegna obbligatoria” a prescindere da accertamenti circa la “doppia incriminazione” da parte dello Stato emittente e da parte dello Stato richiesto. Quella che mi è parsa sempre inaccettabile è stata la pretesa di imporre agli altri Stati, come condizione per la consegna, garanzie del tutto identiche a quelle previste nel nostro ordinamento. Pensiamo ai limiti temporali alla custodia cautelare. Non esito a dire che ho trovato sconcertante l’idea di escludere l’esecuzione del mandato di arresto europeo, quando la richiesta provenisse da uno Stato come il Regno unito, solo perché non vi è prevista una normativa come quella dei nostri articoli 303 e seguenti del codice di procedura penale, anche se in quel Paese è notorio che, se si prescinde dalle recenti e a loro volta sconcertanti leggi antiterrorismo, le persone sono largamente più tutelate che in Italia contro eccessive durate delle carcerazioni in attesa di giudizio; e, questo, non soltanto per un diverso costume giudiziario, ma anche in virtù di sistemi alternativi di tutela, ben più efficaci dei nostri, a partire da quello imperniato sul controllo periodico a brevi intervalli circa la “tenuta” delle ragioni per cui una persona è stata imprigionata ... La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Fortunatamente le Sezioni unite della Cassazione hanno optato per un’interpretazione “ortopedica” della legge italiana di attuazione del mandato, che depotenzia la condizione ostativa stabilita dalla legge stessa all’esecuzione del mandato: non necessariamente – ha sottolineatola Corte di legittimità – i ”limiti” della custodia cautelare devono essere stabiliti, nell’ordinamento dello Stato emittente, secondo lo schema dei termini massimi legislativamente fissati in giorni, mesi e anni, ma possono ben risultare dal funzionamento, appunto, di meccanismi diversi, e in particolare dalla efficace messa in opera di controlli giudiziari periodici. 9. Fiducia reciproca tra gli Stati europei e armonizzazione legislativa: non contrapposizione, ma interazione. L’opporsi a quella sorta di patriottismo giuridico fuori luogo non equivale a liquidare ogni problema – tra quelli che sorgono per la diversità delle legislazioni nazionali d’Europa – con un semplice richiamo, a mo’ di passe-par-tout, alla reciproca fiducia tra gli Stati europei, anche se essa è posta, e doveva essere posta, alla base dello sviluppo, in termini anche assolutamente inediti, della cooperazione nell’ambito dell’Unione. 15 Le idee Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 16 Le idee La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Soprattutto non mi sembra che quel richiamo possa tramutarsi in un troppo facile slogan per eludere l’esigenza perdurante (e direi, sempre più pressante) di un’armonizzazione tra le legislazioni europee, che a mio modo di vedere può e deve ancora essere portata alquanto avanti, sebbene non sia pensabile, nel breve e nel medio periodo, l’adozione di codici uniformi di procedura. Insomma, tra fiducia e armonizzazione ci deve essere interazione, non contrapposizione o sovrapposizione dell’una sull’altra. Mi auguro che a tal fine possa svolgere un ruolo importante la stessa legislazione comunitaria, secondo quanto previsto dall’art. 82 della versione consolidata del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (mi riferisco al testo di Lisbona), secondo cui, «laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazioni di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale», gli organi legislativi europei (Parlamento e Consiglio) «possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive»che «tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri«»; e mi sembra importante che al 16 riguardo si indichino, quali possibili oggetti di disciplina, materie come quella dell’«ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri», ma altresì quelle dei «diritti delle persone nella procedura penale» e «delle vittime della criminalità», lasciando poi ancora aperta la porta per l’individuazione, sia pur attraverso procedure di normazione molto rigorose, di «altri elementi specifici della procedura penale». In proposito spero mi si permetta di ribadire un’idea già espressa nella Relazione generale affidatami nel 2004 a Dublino nell’ambito XXI Congresso della Federazione Internazionale del Diritto Europeo, e cioè che ci sono qui le premesse per la costruzione di una sorta di “regole intermedie”, tra i grandi princìpi (che, soprattutto per quanto concerne i diritti dell’accusato, già troviamo fissati – e forse persino con una sovrabbondanza e un accavallamento di fonti – nelle diverse “Carte” dei diritti fondamentali della persona umana) e le regole procedurali di maggior dettaglio, giustamente da lasciare alle legislazioni nazionali. Sono le “regole intermedie”, quelle senza le quali mi sembra rimanere un miraggio quel livello adeguato di armonizzazione che è indispensabile per una reciproca fiducia non solo di facciata. 18-12-2008 16:05 Pagina 17 Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi Tante altre considerazioni potrebbero ancora farsi, ma, naturalmente, non pretendevo di offrire nulla di esaustivo né, tantomeno, di risolutivo, cercando soltanto di presentare congetture e convinzioni come mi sono venute più spontanee in occasione di questo appuntamento, anche se in qualche caso sono tratte da elucubrazioni di più lunga data. Un cenno, semmai, mi pare ancora opportuno alla linea di tendenza che – come ho detto – emerge dalla più recente evoluzione della normativa europea, nel senso di spostare in via di principio sulle relazioni dirette tra autorità giudiziarie la responsabilità maggiore delle iniziative volte a sollecitare e ad attuare la cooperazione. È una scelta che mi pare del tutto positiva, per liberare la cooperazione di giustizia dai condizionamenti, spesso pesanti, che la politica è in grado di esercitare a fini non sempre di interesse pubblico. Questo va detto con forza, ma mi sembra opportuno aggiungere che rimane un’esigenza di tempestiva informazione verso chi ha il compito di curare il quadro generale delle relazioni europee e internazionali del Paese, affinché possa, se del caso, quantomeno illuminare le autorità straniere sulle eventuali perplessità che potrebbero far sorgere inizia- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati tive giudiziarie non sufficientemente attente a quel quadro. 10. “Libertà, sicurezza e giustizia”: tre obiettivi inscindibili per la costruzione dello “spazio giuridico europeo”. Non vorrei però terminare senza una riflessione d’insieme, come mi viene suggerita dalla qualificazione che si è voluta dare allo “spazio” in cui si concentra lo sforzo dell’Unione europea per un comune impegno nel settore penale ad opera dell’Unione stessa e degli Stati che ne fanno parte. Vuol essere – lo ribadiscono i trattati europei anche nella loro ultima versione – uno spazio «di libertà, sicurezza e giustizia». Ora, le tre specificazioni, se si vogliono mantenere e potenziare adeguati livelli di civiltà giuridica, sono inscindibili. Come giuristi e come cittadini europei dobbiamo sottolinearlo con forza. In tempi non remoti, si è forse avuta troppa indulgenza da parte di molti – e ancora oggi la tendenza non si è del tutto spenta – per visioni unilaterali delle garanzie processuali, come se l’attaccamento alle libertà civili dovesse farsi a scapito della sicurezza e della giustizia e come se, accanto alle garanzie dei singoli, non ci fossero le garanzie per la 17 Le idee Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 18 Le idee La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati collettività o come se, accanto ai diritti dell’accusato, non dovesse aversi riguardo per i diritti della vittima (o della potenziale vittima) del reato. Oggi, però, il rischio è tornato ad essere soprattutto quello di esasperazioni unilaterali delle esigenze di sicurezza: esigenze di per sé sacrosante, intendiamoci, specialmente quando toccano la vita dei poveri e degli umili, che più sentono sulla loro pelle i problemi della sopravvivenza contro i prepotenti di ogni genere e della difesa contro gli attacchi di una criminalità brutale. Ma esigenze, intanto, da non strumentalizzare al servizio di interessi contingenti di parte, a scapito di un’autentica attenzione per la giustizia; ed esigenze, comunque, da coordinare con un’adeguata tutela di diritti e di libertà fondamentali. Tutto ciò, anche per non fare il gioco di chi, attentando alla sicurezza dei cittadini, vuole in realtà colpire al cuore i livelli di civiltà giuridica che la parte migliore dell’umanità ci ha trasmesso in una faticosa lotta contro barbarie di ogni genere, di generazione in generazione. E quando dico parte migliore dell’umanità non penso assolutamente all’appartenenza a questa o quella parte del mondo, geograficamente o politicamente intesa, anche se certamente, nel18 l’elaborazione del concetto di diritti umani e nella predisposizione di strumenti per la loro tutela, molti figli dell’Occidente e in particolare dell’Europa hanno dato un apporto determinante, forse anche per reazione al fatto che proprio in Europa sono nate ed hanno dato i loro perversi frutti alcune tra le peggiori aberrazioni antiumanitarie. Espressione massima di civiltà giuridica è l’idea della preminenza di una serie di diritti umani, al di là delle controversie e delle oscillazioni storiche sui contenuti della categoria e sulle loro modulazioni concrete. Guai se ce lo dimenticassimo. Note: 1. Il presente scritto riproduce la parte centrale della relazione introduttiva del XX Convegno Nazionale dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “Gian Domenico Pisapia”, svoltosi a Torino nei giorni 26-27 settembre 2008. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 19 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 20 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror1 *Procuratore della Repubblica Aggiunto in Milano Coordinatore Dipartimento Eversione ed Antiterrorismo Giustizia e terrorismo Intervento di Armando Spataro* Il ruolo della magistratura italiana nel contrasto del terrorismo interno e di quello internazionale è stato – ed è ancora – oggetto di analisi e commenti di fonti diverse e di segno opposto. Taluni giudizi critici, però, sono stati spesso formulati senza il necessario approfondimento storico: ci si intende riferire, in particolare, a quanti hanno sostenuto, da un lato, che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, i magistrati italiani avrebbero in qualche modo assecondato la logica delle cd. leggi dell’emergenza, prestando poca attenzione alla lesione dei diritti e delle garanzie degli imputati che di quelle leggi sarebbe stata la naturale conseguenza e, dall’altro, che pubblici ministeri e giudici non sarebbero oggi in grado di affrontare con la necessaria professionalità e fermezza il tragico fenomeno del terrorismo internazionale, eccedendo in garantismo e non rendendosi conto che “questo terrorismo non si può certo contrastare con il codice in mano”. Per il passato, quindi, un’accusa di insensibilità ai principi su cui si regge ogni democrazia; per l’attualità, quella opposta, di ignorare, cioè, che le regole sono ormai cambiate e che, più del processo e della risposta giudiziaria, conta oggi l’intelligence. Vediamo come stanno veramente le cose, partendo da una 20 ricostruzione, dedicata soprattutto ai magistrati più giovani, di quanto avvenne tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80: proprio in quegli anni, infatti, i magistrati italiani dimostrarono l’importanza di una elevata specializzazione professionale ed “inventarono” il lavoro di gruppo ed il coordinamento spontaneo tra uffici impegnati in indagini collegate. La magistratura italiana negli “anni di piombo”. La situazione della Polizia Giudiziaria, prima del sequestro Moro (16 marzo 1978), era sostanzialmente la seguente: nel 1974, dopo il sequestro Sossi e la strage di Piazza della Loggia erano stati, sì, costituiti l’Ispettorato per l’azione contro il terrorismo (affidato al Vice Capo della Polizia, Emilio Santillo) ed il Nucleo Speciale di P.G. dei CC. (diretto dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa), entrambi finalizzati, nella sostanza, a dare supporto all’A.G. di Torino nelle prime indagini sulle BR, ma entrambi tali reparti, nonostante gli ottimi risultati conseguiti, erano stati sciolti o trasformati. Tale scelta, secondo alcuni commentatori dovuta all’erroneo convincimento che le BR fossero state definitivamente sconfitte con l’arresto di Curcio e di altri storici esponenti di quell’orga- 18-12-2008 16:05 Pagina 21 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror nizzazione, non aveva però determinato un effettivo indebolimento degli apparati di investigazione: ne aveva piuttosto determinato una diversa strutturazione, con perdita della guida centralizzata e della capacità di muoversi agilmente su tutto il territorio dello Stato senza vischiosità burocratiche. Tutti gli uomini di quel primo Nucleo di Dalla Chiesa, ad esempio, erano stati trasferiti nelle sezioni specializzate antiterrorismo di Milano, Torino, Genova, Padova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Taranto e Catania, costituite a seguito dell’espandersi del terrorismo in varie zone d’Italia. Erano reparti esentati da qualsiasi altro tipo di indagini ed impiego. Mancava, certo, una guida unica, ma la loro dipendenza dai tre Comandi di Divisione di Milano, Roma e Napoli ne assicurava comunque un buon coordinamento. Ai “veterani” furono affiancati giovani e promettenti ufficiali e sottufficiali e le loro dotazioni, in termini di materiali e mezzi, furono certamente di qualità. Anche la Polizia di Stato si strutturò più o meno allo stesso modo: l’Ispettorato generale di Santillo era articolato anche in alcuni nuclei regionali istituiti presso le sedi più importanti, le cui competenze talvolta si sovrapponevano a quelle degli Uffici politici allora esistenti La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati presso le Questure. Ma, dopo la riforma dei Servizi di informazione del 1977, cioè all’inizio del 1978, i nuclei regionali e gli uffici politici furono sostituiti dalle Digos (Direzioni Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) – costituite nelle Questure capoluoghi di Regione nonché a Padova, Trento e Catania – cui fu attribuita la competenza per le indagini in materia di terrorismo. Ma mentre le forze di polizia giudiziaria avevano già intrapreso il cammino verso una più diffusa specializzazione in questa materia, la magistratura, salvo che a Torino, era decisamente indietro: mancavano la cultura del coordinamento reciproco tra uffici giudiziari e la capacità di coordinare gli uffici di polizia giudiziaria. Si spiega, allora, perché il sequestro dell’on. Moro colse le istituzioni impreparate: indagini frammentate, talvolta approssimative e comunque prive di coordinamento, costituivano la normalità quasi dappertutto. Proprio nel ’78, però, in particolare nel periodo post Moro, la situazione registrò un’evoluzione positiva grazie all’iniziativa autonoma di PM e Giudici Istruttori, che diedero vita ad un coordinamento spontaneo tra gli uffici giudiziari interessati dal fenomeno ed alla creazione, al loro interno, di gruppi specializzati 21 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 22 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati nel settore del terrorismo. Il sistema di legge non prevedeva allora né Direzioni Nazionali né alcuna norma in tema di coordinamento, anzi conosceva barriere formali che ostacolavano lo scambio di notizie. Ciononostante, a partire dalla metà del ‘78, quei magistrati, superando ogni logica formalistica ed ogni possibile diversità di estrazione culturale, cominciarono ad incontrarsi spontaneamente, con periodicità molto ravvicinata, sempre con modalità riservate e, talvolta, persino presso sedi ubicate in località decentrate. Quel gruppo di magistrati investigatori non superava il numero di venti-venticinque unità: nei loro incontri, si scambiavano in tempo reale notizie sulle indagini ed elaboravano indirizzi giurisprudenziali applicati uniformemente (in quegli anni, ad esempio, fu elaborata la teoria del concorso morale, poi confermata dalla Cassazione, secondo cui vennero chiamati a rispondere degli attentati rivendicati dalle organizzazioni coloro che, pur in assenza di prove sulla loro partecipazione materiale ad omicidi e ferimenti, rivestivano funzioni di capi ed organizzatori nel periodo e nelle aree territoriali ove quei delitti venivano commessi e rivendicati). Quando poi si manifestarono i primi “pentiti”, tra la fine del ‘79 22 e l’inizio ‘80, ne facevano immediatamente circolare i verbali, accordandosi sulla ripartizione di competenze “a fare” e su tempi e modalità di eventuali e conseguenti sbocchi operativi (perquisizioni ed arresti). Anche l’evoluzione delle strategie dei gruppi armati, le loro “risoluzioni strategiche” e i volantini di rivendicazione venivano analizzati dai magistrati che indagavano sul fenomeno, alcuni dei quali avevano il compito di confrontare e sintetizzare i documenti d’interesse: in assenza di computer e banche dati, essi divennero la memoria storica della produzione ideologica dei gruppi terroristi. Questo tipo di specializzazione e di auto-organizzazione – non è superfluo ricordarlo – vide protagonisti solo i pubblici ministeri ed i giudici istruttori, senza che alcuno invocasse la crezione di tribunali speciali o di un’unica Corte o di una Procura competenti su tutto il territorio nazionale per quel tipo di reati. In breve, a quelle riunioni, presero a partecipare anche i responsabili locali, e talvolta nazionali, degli organismi investigativi della P.G. che andavano a loro volta recuperando la loro specializzazione (il nuovo nucleo speciale interforze comandato dal gen. Dalla Chiesa venne costituito il 10.8.78): pro- 18-12-2008 16:05 Pagina 23 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror prio per effetto di questo stretto rapporto tra magistrati e polizia giudiziaria fu possibile non solo dare attuazione piena al principio della sottoposizione della P.G. alle direttive del Pubblico Ministero (ed, all’epoca, anche dei Giudici Istruttori), ma anche, attraverso il leale confronto tra le rispettive esperienze ed impostazioni di lavoro, favorire reciprocamente una consistente crescita di professionalità e la capacità di coordinamento di tutte istituzioni impegnate nelle indagini giudiziarie sul terrorismo. Risale a quel periodo, dunque, la creazione di una sorta di task force composta da magistrati e poliziotti, capace di valutare congiuntamente le modalità ed i tempi degli sviluppi investigativi con l’attenzione rivolta alle regole e alle necessità del futuro dibattimento, prudente nell’analizzare la reale pertinenza o meno dei fenomeni di cd. antagonismo sociale (fisiologici in qualsiasi democrazia avanzata) alla pratica del terrorismo vero e proprio: insomma, nulla a che vedere con la deleteria prassi delle “deleghe in bianco” per le indagini (“...per indagini e rapporto”), o con la pretesa di alcuni corpi di P.G. – purtroppo oggi riaffiorante – di arrogarsi la funzione di coordinamento propria degli uffici del P.M. Si è già ricordato in premessa La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati che, secondo alcuni commentatori, quegli anni furono pure caratterizzati dalla produzione di una legislazione emergenziale in nome della quale sarebbero stati sacrificati diritti e garanzie degli imputati. Si fa spesso riferimento, a tal proposito, alla legge “Reale”, cioè alla L. n. 152/’75 (Disposizioni a tutela dell’ ordine pubblico) che introdusse, tra l’altro, divieti alla concessione della libertà provvisoria, una nuova disciplina del fermo di P.G., nonchè possibilità di un più ampio ricorso a perquisizioni personali “sul posto” senza autorizzazione dell’A.G., ma si omette di ricordare che questa legge risale ad un periodo in cui il terrorismo non si era ancora manifestato nelle sue forme più cruente: si trattava di una normativa che cercava di fronteggiare soprattutto gli effetti delle manifestazioni violente di piazza dei primi anni ‘70. Era, dunque, una legge sull’ordine pubblico, non sul terrorismo, proprio per questo poco utilizzata per il contrasto di questo fenomeno. Del tutto inutilizzati furono anche altri nuovi strumenti introdotti in quegli anni, come ad esempio, la possibilità, in presenza di determinati requisiti, della perquisizione per blocchi di edifici (introdotta con il D.L. n. 59/78, conv. nella L. n. 191/78): nessun serio investigatore, infatti, potrebbe preferire uno strumento 23 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 24 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati di questo genere al paziente lavoro di osservazione e pedinamento indispensabile nelle indagini contro ogni tipo di criminalità organizzata. Magari fu utile, invece, l’obbligo imposto ai proprietari di immobili di denunciare i contratti di locazione dei medesimi, una norma che disorientò almeno Prima Linea, i cui capi – come poi si seppe – decisero di abbandonare molti appartamenti che usavano come basi dell’organizzazione. Ma gli strumenti “emergenziali” effettivamente utili contro il terrorismo, invece, sono stati altri, sostanzialmente due: in primo luogo, l’aggravante dell’avere commesso il fatto per finalità di terrorismo con divieto di giudizio di comparazione con le possibili attenuanti. Questa norma venne introdotta con il D.L. n. 625/79 (conv. nella L. n. 15/80), dopo il tragico episodio di Via Ventimiglia a Torino, dove in una scuola di formazione aziendale, un nucleo di terroristi di Prima Linea scelse a caso dieci persone che la frequentavano, le fece allineare contro un muro, “gambizzandole” tutte. L’aumento della pena, naturalmente, produsse conseguenze sulla durata della custodia cautelare. L’altra utile innovazione, introdotta con lo stesso D.L., fu la normativa premiale in favore dei cd. “pentiti”. La legge n. 15/80 è tuttora in vigore e non è dunque una legge 24 eccezionale, ma uno strumento ordinario introdotto nel sistema. Si tratta di una legge che si rivelò talmente utile da essere stata poi estesa al contrasto di molti altri fenomeni criminali, come la mafia, il traffico di stupefacenti, la tratta delle persone etc.. Meccanismi analoghi – come si sa – sono conosciuti in molti altri sistemi e sono caratterizzati, peraltro, da un tasso minore di rispetto per le garanzie degli “accusati”. I magistrati, peraltro, alla luce dei risultati conseguiti grazie a quella legge, formularono precise osservazioni tecniche che servirono da base per un successivo intervento normativo, preceduto da un vasto dibattito nel Paese ed approvato in Parlamento praticamente all’unanimità: la legge n. 304/82, che, all’indomani dell’omicidio di Roberto Peci (3.8.81), fratello del primo pentito delle BR, introdusse benefici ancora maggiori (possibilità di più incisive riduzioni di pena e di libertà provvisoria, nonché casi di non punibilità per i responsabili di alcuni delitti) per i terroristi che avessero scelto la strada della piena collaborazione processuale entro il breve termine previsto dalla legge. Ma gli stessi magistrati, consci dell’eccezionalità di questo ulteriore strumento, che aveva senso solo in quel contesto storico, si pronunciarono compatti contro la 18-12-2008 16:05 Pagina 25 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror proroga della sua validità. Furono questi, dunque, gli “strumenti eccezionali” utilizzati contro il terrorismo: è facile constatare come essi non si collocassero in alcun modo al di fuori di un sistema di leggi che, salvaguardando le libertà dei singoli, si proponeva solo di rendere più efficace il contrasto di quel tragico fenomeno criminale. Tanto più ove si consideri che i benefici premiali previsti dalle leggi citate, diversamente da quanto avviene in altri sistemi, potevano – e possono – essere concessi solo dal giudice competente a seguito del vaglio dibattimentale. Va anche doverosamente sottolineato che pubblici ministeri e giudici istruttori, in quegli anni, non intrattennero – salvo che in un caso riguardante lo stragismo di destra, da cui scaturirono polemiche ed un processo penale – rapporti funzionali con i Servizi d’Informazione ma solo con la polizia giudiziaria: non certo per preconcetta ed ingiustificata diffidenza nei confronti dei primi, ma per la precisa consapevolezza della diversità di ruoli e competenze tra P.G. e Servizi stessi. Non a caso per i servizi, riformati nel ’77, fu previsto l’obbligo di riferire le notizie di reato alla polizia giudiziaria, tramite i rispettivi vertici: un obbligo che permane con la recente riforma del 2007.2 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati È giusto ricordare, infine, che maturò proprio in quegli anni la convinzione dei magistrati italiani di dovere “uscire” dai loro palazzi per discutere di legalità in scuole ed università, in circoli di quartiere e nelle fabbriche, in sedi di associazioni culturali ed ovunque fosse possibile : allora per diffondere la conoscenza della perversa ideologia terroristica e così contrastare con fermezza il verbo di chi teorizzava la neutralità (“né con lo Stato, né con le Brigate Rosse”), negli anni seguenti – ed ancora oggi – contro la logica mafiosa, la corruzione ed a difesa dei principi costituzionali. Il terrorismo interno del periodo storico, sia di destra che di sinistra, fu dunque definitivamente sconfitto nell’88 proprio grazie a questi strumenti, alcuni dei quali vennero poi “codificati” solo negli anni seguenti: tra l’ultimo omicidio consumato in quegli anni, quello del senatore della DC Roberto Ruffilli (Forlì, 16.4.88), e quello del prof. Massimo D’Antona (Roma, 20.5.99), che ruppe il lungo silenzio delle BR, trascorsero infatti undici anni. Certo, le B.R. hanno ucciso ancora: il 19.3.2002, a Bologna, hanno colpito il giuslavorista Marco Biagi ed il 2.3.2003, a Castiglion Fiorentino, il Sovr.te Emanuele Petri, ma più di cinque anni sono trascorsi da quest’ulti25 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 26 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ma tragedia e di nuovo le B.R. (anche quelle definite le “nuove B.R.”), paiono scompaginate grazie all’efficacia dell’azione delle forze di polizia e della magistratura italiana. Non è possibile abbassare la guardia neppure ora, ma non vi è dubbio che i vecchi metodi di indagine, il proficuo rapporto tra PG e PM (all’interno della descritta task force investigativa) e la professionalità degli investigatori specializzati sono risultati ancora indispensabili contro il terrorismo interno, rafforzati, anzi, dalla capacità di utilizzo delle moderne tecnologie. Si tratta, a ben vedere, esattamente dello stesso “armamentario”, fatto di esperienza e cultura giuridica, messo utilmente in campo, da qualche anno, anche contro la nuova emergenza costituita dal terrorismo internazionale. Vediamo come ciò sia stato possibile, pur in un contesto internazionale che sembra favorire il ricorso a strumenti e logiche incompatibili con le nostre tradizioni culturali e con i principi su cui si regge ogni democrazia. L’“11 settembre” e la “war on terror” Sono passati più di vent’anni da quando l’allora Capo dello Stato, Sandro Pertini, affermò, riferendosi alle B.R. ormai scompaginate, che il nostro 26 Paese poteva vantarsi di avere sconfitto il terrorismo con gli strumenti previsti dalla Legge, dunque nelle aule di giustizia e non negli stadi. Né mai alcuna voce si levò in quegli anni a teorizzare l’utilizzo di pratiche illegali o di “modiche quantità” di tortura per contrastare quel fenomeno criminale che così duramente aveva colpito le istituzioni ed i cittadini italiani. Ma anche nel resto d’Europa (in Germania e Francia contro altri terrorismi “interni” di matrice politicoideologica; in Spagna, Gran Bretagna ed Irlanda contro i terrorismi separatisti), il contrasto del terrorismo degli anni ’70 ed ’80 fu condotto in un contesto che, pur caratterizzato da non marginali differenze ordinamentali e procedurali, appariva generalmente rispettoso delle regole del processo. Oggi la situazione a livello internazionale è purtoppo diversa: la condivisa ed orgogliosa rivendicazione del Presidente Pertini, il cui fondamento si è fin qui cercato di dimostrare, sembra ormai lontana un secolo o più, ove si considerino il sistema Guantanamo introdotto dall’Amministrazione Bush, o tante “autorevoli” parole di esperti e governanti, cariche di significative allusioni, tra cui quelle di Tony Blair (“The rules of the game are changing”) e del Presidente pro tempore del Consiglio 18-12-2008 16:05 Pagina 27 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror del Ministri italiano, pronunciate nel dicembre del 2005 (“non ci si puo’ aspettare che i governi combattano il terrorismo con il codice in mano”). Persino in ambienti accademici d’oltreoceano si diffonde il pensiero di quanti teorizzano la flessibilità dei principi e l’esistenza di zone grigie in cui sarebbero ammissibili, in nome della sicurezza, attività normalmente considerate contra legem: teorizzazioni che, senza concessione alcuna, devono semplicemente essere respinte. Il terrorismo, infatti, quando si manifesta al di fuori dei contesti di guerra, non è una modalità bellica, ma, persino quando determina tragedie di immani proporzioni, è una forma di criminalità organizzata, sia pure con caratteristiche e motivazioni ben diverse da quelle note al tempo dei citati “terrorismi interni”. Ovviamente, atti di terrorismo vengono realizzati anche in tempo ed in zone di guerra, ed in questo caso l’intervento del giurista non può che esaurirsi nel richiamo al diritto bellico, all’invocazione del rispetto assoluto della Convenzione di Ginevra, dei suoi protocolli addizionali e, più in generale, del diritto umanitario. Ma anche queste regole vengono spesso violate, a partire, ad esempio, dalla stessa creazione della categoria dei cd. enemy combatants, che deve la sua La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ragion d’essere proprio al disegno di sottrarre i sospetti terroristi “catturati” in ogni parte del mondo alle regole del diritto umanitario e persino alla giurisdizione dei Tribunali Militari ordinari : seguendo questa logica, però, si corre il rischio di vanificare, attraverso atti amministrativi e politici unilaterali, decenni di elaborazione sul rispetto dei diritti umani e delle norme pattizie intervenute in materia. Proprio avvocati statunitensi, civili e militari, infatti, hanno più volte denunciato che la segretezza sulle fonti di prova a carico degli accusati ed i metodi utilizzati per l’acquisizione delle prove stesse, hanno reso i processi ai detenuti di Guantanamo, assolutamente incompatibili persino con le regole dei processi che si celebrano dinanzi alle Corti marziali. Quelli che seguono sono alcuni dati su quanto avviene a Guantanamo forniti da un avvocato di Boston, Willet P. Sabin, specialista in difese dinanzi alle Commissioni militari, in un meeting internazionale tenutosi a Stoccolma il 19.11.2007: - periodo di detenzione media per i prigionieri di Guantanamo: 6 anni; - percentuale catturati in guerra: 5%; - percentuale persone detenu27 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 28 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati te non accusate di atti di violenza: 55%; - numero di persone formalmente accusate: 10. - condannati tra 2002 e 2007: 1. Il fallimento del sistema in questione – che, come è noto, ormai imbarazza le Autorità USA – è già dimostrato da questi dati, ma anche dalle recenti dimissioni dell’ ex Chief Prosecutor di Guantanamo, il col. Morris DAVIS dell’U.S. Air Force ed, ancor più, dalla storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 12.6.2008 nei casi Boumediene vs. Bush – Al Odah vs. United States. Il col. Davis ha prima formalmente denunciato le pressioni del Pentagono in relazione ai casi che dovevano essere giudicati a Guantanamo dinanzi alla Commissioni Militari e, dopo essersi rifiutato di utilizzare prove acquisite attraverso sistemi illegali, quali tortura e waterboarding, si è dimesso dall’incarico. Successivamente, nell’aprile del 2008, in uno dei primi processi celebrati a Guantanamo dopo l’entrata in vigore del Military Commission Act del 2006, ha testimoniato a favore di Salim Ahmed Ahmed Hamdan, accusato di essere stato l’autista di Osama bin Laden, riferendo delle pressioni subite e delle ragioni che lo avevano indotto a dimettesi. La storica sentenza 28 della Corte Suprema nei casi Boumediene-Al Odah, invece, ha inferto un durissimo colpo al Military Commission Act, affermando il diritto dei prigionieri di Guantanamo a ricorrere alla giustizia ordinaria “...perché le leggi e la Costituzione sono state definite proprio per sopravvivere e non piegarsi in tempi straordinari. Perché libertà e sicurezza possono essere riconciliate nella cornice dello Stato di diritto”. Ma, al di là di qualche infastidito commento, non sono ancora note le iniziative che, dopo la sentenza, saranno eventualmente assunte dalla Amministrazione USA, già fortemente critica nei confronti della Convenzione di Ginevra, al punto da auspicarne la revisione. Il delicato equilibrio tra esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti e delle garanzie degli imputati sembra comunque a rischio: una sommaria ricognizione dei contenuti essenziali delle scelte legislative e di politica criminale attuate nel mondo occidentale dopo l’11 settembre sembra portare a concludere che, soprattutto nei Paesi di tradizione giuridica anglossassone, stia prevalendo una filosofia che sembra negare in radice ogni conflitto teorico fra sicurezza e libertà, essendo vista la prima soltanto come un mezzo – anzi il mezzo privilegiato – per difende- 18-12-2008 16:05 Pagina 29 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror re e garantire la seconda. L’11 giugno 2008, ad esempio, appena un giorno prima della citata decisione della Corte Suprema americana, l’House of Commons aveva approvato la norma, fortemente voluta dal Primo Ministro Gordon Brown, che avrebbe permesso alla polizia britannica di sottoporre a fermo per ben 42 giorni (ma attualmente sono pur sempre 28) i sospetti terroristi senza formalizzazione dell’accusa. Certo, la norma era passata per soli sei voti ed è stata poi severamente bocciata in ottobre dall’House of Lords (309 voti a 118), ma si tratta in ogni caso di una scelta che deve far riflettere l’intera comunità internazionale. La “filosofia” di certi interventi è ormai nota: interessano le “informazioni”, non i processi e si pensa che, sacrificando i diritti, sia più facile ottenerle e così prevenire i rischi per la sicurezza della collettività. E si aggiunge che questa sarebbe la conseguenza accettabile della difficoltà di ottenere condanne in sede giudiziaria. L’una e l’altra osservazione sono prive di fondamento. È falso, innanzitutto, che, sottratta una persona ad una procedura legale e trasportata in una prigione “dura” o segreta, sia più facile ottenere dalla medesima informazioni su complici e progetti illegali: sono gli stessi esperti, non più sottovoce e non solo di scuo- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati la europea, a dire che mai una sola informazione veramente utile è stata ottenuta per questa via.3 Chi è sotto tortura, infatti, è portato a dire ciò che il torturatore si aspetta, non certo la verità (anche se è ovvio che, seppur fosse vero il contrario, ciò non basterebbe a giustificare alcuna forma di illegalità). Soprattutto, però, si ignora che tali forme di illegalità “istituzionali” costituiscono fattore di moltiplicazione di potenziali terroristi: ai gruppi estremisti, cioè, vengono in tal modo elargite nuove ragioni di proselitismo. Quanto alle difficoltà di ottenere una condanna in sede giudiziaria, si tratta, da un lato, di un’affermazione anch’essa falsa4, dall’altro di un rilievo ovvio in democrazia, ove ci si riferisca al fatto che le condanne possono fare seguito solo all’acquisizione di prove certe e rassicuranti, “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Non si comprende perché mai per una certa categoria di reati e – peggio – per certe categorie di imputati, per lo più stranieri, le democrazie occidentali dovrebbero adottare regole diverse, fondate su una sorta di “depersonalizzazione del terrorista”, cioè sulla collocazione nella categoria dei terroristi di qualsiasi persona sospetta rispondente ad un determinato tipo di autore. Ed, in ogni caso, anche in presenza di molteplici sospetti a carico 29 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 30 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati di una persona, possono le democrazie occidentali accettare che questa venga, per ciò solo, sottratta alle ordinarie procedure legali e ad un giusto processo in un’aula di giustizia? Tutto ciò – come si può facilmente intuire – rimanda al controllo di legalità che, in ogni democrazia, spetta al potere giudiziario. Certo nei Paesi dell’Europa continentale, – anche in quelli colpiti da gravissimi attacchi terroristici, come la Spagna – la tendenza prima descritta è meno accentuata e le scelte fondamentali sono state improntate a criteri assai diversi, quasi ovunque compatibili con i principi dello Stato di diritto e gli standards normativi internazionali. Tuttavia, anche in Europa, si estendono deroghe, strappi, lesioni più o meno profonde del principio di legalità . L’affievolirsi dei controlli giurisdizionali, ad esempio, sta diventando persino eclatante nelle norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo che si diffondono in ogni parte d’Europa. Non si può negare che esistono problemi rilevanti per i Paesi occidentali relativi a quanti vi si trasferiscono con il deliberato proposito di delinquere ed è chiaro che in tali casi il discorso chiama in discussione altre logi30 che di risposta, preventive e repressive. Ma non possono accettarsi soluzioni generalizzate, uguali ed applicabili per ogni tipologia di migranti, nè è accettabile l’equazione, falsa in fatto, secondo cui gli immigrati clandestini o irregolari sono tutti, od in buona parte, delinquenti comuni o terroristi, quando invece sono spesso vittime di un sistema criminale che prospera sul loro sfruttamento. Questo terrorismo – è ovvio – va combattuto al livello più alto di capacità e determinazione, ma nessuna esigenza di prevenzione, pur comprensibile, può spingere le democrazie occidentali verso la adozione di scorciatoie per bypassare i procedimenti giudiziari ed il loro carico di “scomode” regole per trasformarli da luogo di accertamento delle responsabilità personali in strumento di ratifica di scelte, non rispettose dei diritti individuali, operate altrove. La comunità internazionale, infatti, non ha bisogno, neppure nei confronti di chi si dichiara nemico irriducibile dell’Occidente, di simili insopportabili “strappi”, ma solo di strategie condivise fondate sull’adozione di una legislazione specialistica intelligente, sul rafforzamento della cooperazione internazionale e sull’affinamento delle tecniche investigative. 18-12-2008 16:05 Pagina 31 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror La magistratura italiana ed il terrorismo internazionale. In questo contesto, la polizia giudiziaria e la magistratura italiana – sia consentito affermarlo – sono ancora una volta in prima linea, opponendosi alla deriva “barbarica” sin qui descritta e dimostrando la necessità e l’efficacia del rispetto delle regole anche nel contrasto di questo nuovo tragico terrorismo. Sin dalla metà degli anni novanta, infatti, si sono sviluppate in Italia le prime inchieste sul terrorismo internazionale con i primi arresti e le condanne dei militanti dei gruppi indagati. Alle soglie del 2000 ed anche prima dell’11 settembre tali indagini si sono estese ed hanno interessato numerose sedi giudiziarie, nel Nord, Centro e Sud d’Italia. Sono stati numerosi gli aderenti ad organizzazioni terroristiche di cd. matrice islamica condannati in questi ultimi anni in Italia, in molti casi anche in via definitiva, pur se, fino al 2004, le loro condanne riguardavano prevalentemente reati di associazione per delinquere (art. 416 cp) finalizzate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ed al traffico di documenti di identità falsi. Ciò è dipeso – è chiaro – dal fatto che il reato di associazione per delinquere con finalità di terrorismo anche inter- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati nazionale è stato inserito nell’art. 270 bis cp solo con il D.L. n.374/2001, convertito nella L. n.438/2001, mentre le condotte giudicate in quei primi processi erano temporalmente anteriori all’autunno 2001. Tuttavia, nelle motivazioni delle sentenze di condanna per condotte così temporalmente collocate, viene esplicitamente riconosciuto che le attività dei condannati rientravano nel programma criminale di associazione agenti con finalità di terrorismo internazionale. A partire dal 2004, invece, sono intervenute numerose condanne anche per violazione dell’art. 270 bis cp, che smentiscono l’erroneo assunto (alimentato in Italia da alcune pronunce del 2005 che hanno suscitato polemiche e che, a seguito delle impugnazioni proposte, sono state annullate e definitivamente ribaltate) secondo cui questo terrorismo non potrebbe essere affrontato e sanzionato nelle aule giudiziarie. Si tratta di risultati resi possibili non solo grazie alla professionalità della nostra polizia giudiziaria, ma anche grazie al ritorno alle virtuose esperienze del passato: ancora una volta, cioè, i magistrati italiani hanno dato prova di capacità di auto-organizzazione e di coordinamento spontaneo, pur nella perdurante assenza di una Procura Nazionale Antiterrorismo e della correla31 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 32 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ta Banca dati. Le Procure Distrettuali competenti in materia di terrorismo ed eversione ex art. 51 c. quater cpp, infatti, sin dai primi mesi del 2003, hanno assunto la decisione di organizzare spontaneamente – come già avvenne nel 1978 – il loro coordinamento. Conseguentemente, ogni tre mesi circa, magistrati appartenenti alle 26 Procure in questione si incontrano per scambiarsi aggiornamenti sulle indagini in corso in ciascuna sede, per elaborare indirizzi strategici e giurisprudenziali in materia, per intensificare i rapporti di coordinamento e fare il punto del non sempre soddisfacente livello della cooperazione internazionale. A tale ultimo fine, il membro italiano di Eurojust partecipa agli incontri cui, talvolta, sono stati invitati anche i magistrati di collegamento di Spagna, Francia e Gran Bretagna operanti in Italia. Gli incontri si svolgono ormai stabilmente presso il Consiglio Superiore della Magistratura che ha messo a disposizione un’aula attrezzata. I partecipanti alle riunioni in questione spesso realizzano supporti informatici per i colleghi delle altre Procure al fine di un più agevole scambio di informazioni: niente di diverso rispetto a quanto, nella fine degli anni ’70 ed inizio anni ’80, veniva realizzato con lo scambio di 32 fotocopie. In questo caso, però, lo scambio di informazioni su supporto informatico serve anche ad alimentare il sistema di banche dati che, sempre spontaneamente, le 26 Procure Distrettuali stanno mettendo a punto e che si trova già in uno stato di avanzata realizzazione. È doveroso ricordare, a questo punto, che anche nel settore del cd. terrorismo islamico, così come avvenne tra il ’78 e l’82, si sono succeduti interventi legislativi, ovviamente utilizzabili anche contro il terrorismo interno. È qui impossibile analizzarli in dettaglio o anche solo elencarli5, ma ne vanno citati almeno due: il primo, quello decisamente più rilevante, intervenuto subito dopo l’ “11 settembre”, costituito dal citato D.L. n. 374/2001, convertito nella L. n. 438/2001 (“Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”), è caratterizzato da una precisa scelta di estensione ai procedimenti in materia di terrorismo di istituti nati per il contrasto della criminalità organizzata mafiosa. Sono stati così introdotti non solo il reato di Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale” (con riformulazione dell’articolo 270 bis del Codice Penale), ma, in analogia con quanto previsto per il contrasto della mafia, anche la competenza delle 26 Procure 18-12-2008 16:05 Pagina 33 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror della Repubblica presso le sedi di distretto in ordine alle indagini in materia di terrorismo, al fine di garantire la concentrazione del sapere investigativo; la possibilità di effettuare intercettazioni telefoniche, ambientali e di flussi informatici in presenza di sufficienti (e non gravi) indizi di reato e di necessità (non assoluta indispensabilità) delle intercettazioni; l’estensione al settore del terrorismo internazionale delle misure di prevenzione personali e reali, originariamente previste per il settore della mafia etc.. Il secondo intervento legislativo, immediatamente successivo agli attentati di Londra del luglio del 2005, è il D.L. n. 144/2005 (cd. Decreto Pisanu), recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, convertito con L. n. 155/2005. presenta, tra l’altro, alcuni aspetti sicuramente innovativi, come l’introduzione di nuovi reati nel Codice Penale e l’attesa definizione giuridica delle “condotte con finalità di terrorismo” (attraverso formule che richiamano il testo dell’art.1 della Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea del 13.6.2002). Ma si tratta di un intervento sicuramente caratterizzato, diversamente da quelli del 2001, da una manifesta logica di enfatizzazione del tendenziale primato – rispetto ad La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ogni altra istanza – delle funzioni di prevenzione dei rischi per la sicurezza dello Stato tipicamente proprie degli apparati di polizia e di intelligence e, in generale, delle connesse responsabilità dell’autorità politica. Si spiega, così, la tendenza che obiettivamente emerge dal nuovo “pacchetto” a svincolare l’azione antiterrorismo dalla direzione e dal controllo degli uffici del Pubblico Ministero: si vedano, a tal proposito, le nuove norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, che rivelano la pericolosa tendenza del nuovo “pacchetto” ad affievolire la tutela dei diritti delle persone; o la possibilità per i direttori dei servizi di informazione di richiedere di essere autorizzati dalle Procure Generali presso le Corti d’Appello allo svolgimento di intercettazioni preventive. Resta inspiegabile, invece, la mancanza di un intervento diretto a favorire il coordinamento giudiziario delle indagini in materia di terrorismo, attraverso l’istituzione della Procura Nazionale Antiterrorismo. Al di là delle variegate giustificazioni date nel dibattito politico alla perdurante assenza nel sistema di una siffatta disciplina, appare chiaro che l’attribuzione ad un ufficio giudiziario centrale delle funzioni che, con riferimento alla 33 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 34 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati criminalità organizzata mafiosa ovvero a questa assimilata, dal 1993 effettivamente svolge la Direzione nazionale antimafia, consentirebbe elaborazione razionale delle strategie di intervento giudiziario, concentrazione e circolazione delle conoscenze da realizzarsi anche attraverso un efficace sistema di banca dati, nonché l’adeguamento del nostro sistema alla logica della cooperazione internazionale, che espressamente esige l’individuazione di riferimenti nazionali unitari per lo scambio delle informazioni e il coordinamento delle iniziative investigative.6 La pur sommaria menzione delle caratteristiche principali di questi due più rilevanti interventi legislativi ha in questa sede una precisa ragione: dimostrare che, come già avvenuto all’epoca del terrorismo interno degli anni settanta ed ottanta, il Legislatore ha adottato strumenti che, in alcuni casi, sono effettivamente utili per un più incisivo contrasto del terrorismo internazionale ed in altri poco significativi. Ma esiste una parte residua e fortunatamente non prevalente, di dubbia compatibilità con il sistema delle regole conosciute nel nostro ordinamento, quale conseguenza della descritta tendenza internazionale a considerare il processo un ingombrante ostacolo sulla strada della sicurezza e della pre34 venzione dei rischi. Ecco perché, ancora oggi, come trenta e venti anni fa, tocca alla magistratura un ruolo equilibratore del sistema, capace, da un lato, di valorizzare, anche in questo settore, gli strumenti efficaci che non determinano lesioni delle garanzie individuali e, dall’altro, di “contenere” derive pericolose per la stessa credibilità della nostra democrazia. Si spiega lo sforzo di pubblici ministeri e della polizia giudiziaria nella direzione del recupero ed affinamento delle tecniche investigative conosciute, oggi arricchite dal sapiente governo delle tecnologie disponibili. Spetta ad una moderna magistratura “investigante” la conoscenza e l’uso mirato delle nuove tecniche di intercettazione telefonica e delle comunicazioni tra presenti (pur se le possibilità di proficuo sfruttamento di queste ultime potrebbero essere seriamente compromesse dalla annunciata modifica del c. 2 dell’art. 266 Cpp7), come spetta ai giudici l’obbligo di un rigoroso controllo giurisdizionale della ricorrenza dei presupposti autorizzativi dei provvedimenti in questione e la loro motivazione effettiva (il che determina una situazione ben diversa da quella conosciuta in altri ordinamenti, ove siffatte valutazioni sono affidate ad Autorità politiche o di Polizia). 18-12-2008 16:05 Pagina 35 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror Spetta ai Pubblici Ministeri l’amministrazione oculata dei propri poteri autorizzativi delle intercettazioni preventive ad opera della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, in modo da evitare che il loro abuso determini un aggiramento sostanziale delle norme che presidiano le intercettazioni giudiziarie. E le Procure Generali, dal canto loro, pur non disponendo del know-how necessario per valutare la potenziale interferenza delle attività informative dei servizi di sicurezza nelle ordinarie attività di investigazione, sono chiamate a gestire con prudenza le autorizzazioni delle intercettazioni preventive dei Servizi di Informazione (che, per la verità, le hanno fino a questo momento richieste in quantità molto modeste), onde scongiurare quel rischio di sovrapposizione di competenze di cui si tratterrà appresso. Ma se il tema dei limiti legali per le intercettazioni telefoniche, specie in chiave preventiva, si presta a rappresentare l’esempio concreto di come uno strumento di indiscutibile necessità ed utilità investigativa possa essere utilizzato in violazione dei diritti fondamentali dei cittadini, sono molti altri i moderni strumenti che la magistratura italiana e la nostra polizia giudiziaria sanno La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati sapientemente utilizzare nelle indagini contro il terrorismo internazionale: dall’analisi delle tracce degli apparati telefonici mobili (che così eclatanti risultati hanno consentito di conseguire anche nei confronti delle BR) alle indagini scientifiche, le cui potenzialità sono innegabili pur in presenza del pericolo di atteggiamenti troppo fideistici in relazione ai risultati che esse permettono; dalle possibilità di disporre il ritardato arresto, il differimento di perquisizioni e sequestri etc. offerte dalla L. 146/2006 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle N.U. contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea Generale il 15.11. 2000 ed il 31.5.2001) alla valutazione ed oculata selezione dei tanti, forse troppi, dati personali cui la modernità ci consente di accedere, con il rischio – però – che il loro accumulo generi difficoltà nel distinguere quelli utili da quelli inutili ed amplifichi a dismisura l’area dei potenziali sospetti. Gli strumenti tradizionali, d’altro lato, non sono meno importanti, ai fini dell’ accertamento della verità, delle moderne tecnologie. Quanto alle tecniche di interrogatorio, ad esempio, mentre altrove si discute incredibilmente della legittimità del waterboarding8, i magistrati 35 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 36 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati italiani ben sanno quanto sia preferibile la strada del rispetto della identità di indagati ed imputati che può persino favorire, anche in relazione al cd. terrorismo islamico, la scelta della collaborazione processuale. Anche su altri “terreni”, però, si sta manifestando la “tenuta” costituzionale e la correttezza dell’agire della magistratura italiana: ci si intende riferire al sistema delle cd. black list, al tema della collaborazione internazionale ed ai rapporti con i Servizi di informazione. Il sistema delle “black list”, come è noto, risponde alla giusta esigenza di contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale, dando luogo a procedure di cd. congelamento dei fondi, delle risorse economiche e dei beni delle persone o delle associazioni inserite nelle liste stesse, in quanto sospettate di attività terroristiche o a sostegno di gruppi terroristici. Ma l’inserimento nelle black list (che vengono periodicamente aggiornate) avviene, a livello di organismi sia delle N.U. che dell’E.U., all’interno di una procedura che muove da opzioni e proposte politiche (fondate, soprattutto, su fonti di polizia e di intelligence) senza, cioè, che sia richiesto alcun definitivo accertamento giudiziario preliminare: ne deriva che tanto più forte è il peso 36 politico dello Stato proponente, tanto più alte saranno le probabilità di accoglimento delle sue proposte. Il sistema, però, appare complessivamente inaccettabile sul piano della tutela delle garanzie non tanto per l’assenza di preliminari statuizioni giudiziarie circa le responsabilità penali dei titolari di risorse e beni congelati (non essendo la sentenza definitiva una condizione dell’azione preventiva), quanto per l’assenza di efficaci rimedi giuridici che consentano a queste persone di far valere le proprie ragioni, ad es. attraverso un ricorso contro i provvedimenti che le riguardano, e richiedere, così, la cancellazione dalle liste. Vari altri problemi, di cui è qui possibile solo la citazione, si ricollegano peraltro a questo sistema: quelli delle modalità di conservazione dei beni oggetto del freezing, della tutela dei diritti dei terzi in buona fede, degli errori derivanti dalla mancanza di precisi dati anagrafici o dalle omonimie dei soggetti inseriti nelle liste etc.. La normativa italiana è stata ovviamente adeguata a quella internazionale, determinando, nella pratica investigativa, un interrogativo di non secondaria importanza: può ritenersi, cioè, che il mero inserimento del nominativo di una persona (o di un’associazione) nelle cd. black list costituisca elemen- 18-12-2008 16:05 Pagina 37 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror to di prova a suo carico, penalmente rilevante ? Dopo isolate incertezze iniziali, la risposta fornita dalla magistratura italiana, compresa la Corte di Cassazione, è stata assolutamente negativa, essendosi correttamente affermato che, dati i suoi presupposti, il mero inserimento nelle liste può costituire, quando non accompagnato da esiti di accertamenti giudiziariamente utilizzabili, solo uno spunto per avviare o arricchire le indagini, ma non certo un elemento di prova. Ed in un caso clamoroso – conclusosi con l’archiviazione di un procedimento per violazione dell’art. 270 bis cp, originariamente iscritto sulla sola base dell’inserimento nelle black list dei nomi di quattro indagati– le pertinenti valutazioni critiche dei P.M. italiani sono risultate perfettamente in linea con la evoluzione della giurisprudenza comunitaria, secondo cui le misure dell’Unione Europea in questa materia devono salvaguardare i diritti fondamentali dei soggetti (persone ed entità) coinvolti in tali procedure, tra cui il diritto ad un giusto processo con contraddittorio, il diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale ed a conoscere le ragioni delle decisioni adottate.9 Nella stessa direzione – ed, anzi, con ulteriori passi in avanti – la fondamentale sentenza La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati “Kadi-Al Barakaat” del 3 settembre 2008 della Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande sezione).10 La Corte di Giustizia ha infatti esplicitamente affermato che la Comunità europea, in ragione di quanto dispongono gli articoli 60, 301 e 308 del Trattato comunitario, è competente ad adottare regolamenti sul congelamento di fondi e altre risorse economiche per contrastare il terrorismo internazionale adottati in attuazione di risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Ma anche questi regolamenti, come tutti gli atti comunitari, devono rispettare i diritti fondamentali tutelati dalla Comunità europea, in particolare i diritti della difesa e il diritto di proprietà. I diritti fondamentali – ha scritto la Corte – sono principi costituzionali del Trattato comunitario, aventi una forza giuridica superiore rispetto agli atti del diritto comunitario derivato, nei cui confronti si pongono quale condizione di legittimità. Il Consiglio d’Europa a Strasburgo, peraltro, ha già esaminato la compatibilità tra il sistema delle black list ed i principi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali : dopo il rapporto fortemente critico del 16.11.2007 del sen. Dick Marty, Relatore della Commissione 37 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 38 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Affari Legali e Diritti Umani, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio ha approvato il 23.1.2008 la Risoluzione n. 1597 e la Raccomandazione n. 1824 in cui sono stati accolti tutti i rilievi formulati dal Sen. Marty rispetto al sistema delle Black List. Gli Stati membri dell’Unione Europea sono stati invitati, tra l’altro, ad adottare i provvedimenti necessari a rendere effettivo il principio dell’habeas corpus e garantita la procedura di freezing nei confronti di coloro che vi sono di volta in volta sottoposti, mentre la Commissione dei Ministri è stata invitata a rivolgersi allo stesso scopo alle Nazioni Unite e ad verificare in futuro se gli Stati membri del Consiglio di Europa adotteranno le misure auspicate “nell’interesse della credibilità della lotta internazionale contro il terrorismo. Può affermarsi, insomma, che almeno l’Europa si muove nel solco delle valutazioni proprie dei magistrati italiani che se ne sono occupati: il sistema delle black list, in sostanza, sta al contrasto del finanziamento del terrorismo come il sistema Guantanamo sta alla “punizione” senza regole dei terroristi, almeno finchè non saranno possibili un’efficace difesa ed il ricorso giurisdizionale di persone ed entità avverso i provvedimenti di freezing che le riguardino. 38 Quanto alla cooperazione internazionale, i dati desumibili dall’esperienza concreta consentono di affermare che in alcuni casi i rapporti di cooperazione tra organi di p.g. e magistrature di Stati diversi hanno funzionato e determinato ottimi risultati (tra Italia, Spagna e Germania, innanzitutto). In altri, invece, la cooperazione è stata soltanto declamata senza alcun effettivo risultato pratico. Ma sempre la magistratura e le forze di polizia italiane, forti dell’esperienza conseguita in passato anche nel campo dell’antimafia, hanno sostenuto con forza – e nei fatti attuato – il principio secondo cui, in particolare nel contrasto del terrorismo, nessuno è il proprietario esclusivo della notizia e la circolazione delle informazioni deve essere invece immediata e spontanea, anche in assenza di formali richieste di assistenza giudiziaria (pur dovendosi ovviamente concordare obblighi di reciproco rispetto di eventuali esigenze di riservatezza). Certo esistono problemi giuridici da risolvere a livello internazionale (quelli, ad es., della definizione, non ancora condivisa, di “atto di terrorismo” e di “associazione terroristica”, dell’ammissibilità del processo in absentia, dell’effettivo riconoscimento del principio del ne bis in idem e dell’utilizzabilità delle prove 18-12-2008 16:05 Pagina 39 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror raccolte secondo la lex loci, salva l’ovvia eccezione delle prove acquisite in violazione dei diritti umani e dei principi fondamentali di ciascuno Stato) ma, al di là della creazione di nuove istituzioni preposte al contrasto del terrorismo internazionale o dell’approvazione di nuove convenzioni e risoluzioni, di cui non si avverte l’urgente bisogno, occorre far vivere ed operare effettivamente quelle già esistenti, secondo mentalità e convinzioni che purtroppo non sono, come in Italia ed in altri pochi Stati, patrimonio diffuso in Europa, né tra gli investigatori statunitensi. Strettamente connesso a queste considerazioni è il tema dell’uso improprio dei Servizi di informazione. Secondo alcuni governi l’utilizzo prioritario dei Servizi contro il terrorismo internazionale sarebbe indispensabile sia per consentire un’azione preventiva in nome della sicurezza attraverso metodi border line o più semplicemente illegali (ma di questa opzione, richiamando quando precisato in precedenza, non è più il caso di occuparsi), sia perché solo gli appartenenti ai medesimi sarebbero in grado di comprendere ed analizzare ideologia, proclami e programmi dei terroristi cd. islamici. Tale affermazione appare risibile in relazione al sistema italiano, vista la ben nota e rico- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati nosciuta capacità di ciascun appartenente ai reparti antiterrorismo della Polizia Giudiziaria ordinaria di compiere efficacemente tali analisi. È più utile, invece, una riflessione sugli equivoci che ancora animano la comunità internazionale circa il ruolo dei Servizi nel contrasto del terrorismo, un ruolo certamente essenziale che però non può essere confuso con quello proprio della polizia giudiziaria: tali equivoci riguardano il tema della provenienza e della effettiva utilizzabilità delle informazioni all’interno dei processi. Occorre sul punto chiarezza: l’attività degli organi di polizia giudiziaria è direttamente mirata all’individuazione ed acquisizione di prove destinate ad essere utilizzate nei processi e valutate nelle sentenze dei giudici, mentre quella dei cd. servizi di informazione è funzionale a compiti di prevenzione da perseguire anche attraverso la raccolta di notizie con modalità diverse da quelle previste nel campo giudiziario. Ovviamente, i servizi di informazione e le forze di polizia giudiziaria dovranno sapersi tra loro coordinare e le notizie che dagli uni perverranno alle altre ben potranno essere sviluppate ed assumere eventualmente forma legale nel corso delle indagini; ma va evitato che, da un lato, polizia e magistratura tra39 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 40 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati sferiscano nei processi, senza alcuna attività di riscontro investigativo, dati e notizie di fonte meramente informativa; dall’altro, che i servizi di informazione si ritengano titolari di funzioni investigative in senso proprio, assimilabili a quelle della polizia. Se ciò è ammesso in altri sistemi, non lo è in Italia. Queste valutazioni devono essere ribadite pur dopo l’approvazione della Legge di riforma dei Servizi di informazione 3.8.2007, n. 124 (“Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”), approvata in tempi rapidissimi ed a larghissima maggioranza anche nel dichiarato intento di impedire l’insorgere di contrasti tra magistratura e Presidenza del Consiglio in tema di opposizione di segreto di Stato. Non è questa la sede per un più articolato commento su questa legge ed, in particolare, per una valutazione delle procedure autorizzative e dell’ambito di operatività delle garanzie funzionali di cui all’art. 17, ma è certo che queste sono finalizzate a conferire maggiore efficacia all’attività di prevenzione dei Servizi e non ad attribuire loro le competenze tipiche della polizia giudiziaria. Ne è prova l’immutato obbligo dei direttori dei servizi di riferire alla P.G. (a sua volta obbligata dal codice di 40 rito a fare altrettanto, nel più breve tempo possibile, nei confronti del PM competente) ogni notizia di reato di cui vengano a conoscenza a seguito delle attività svolte dal personale dipendente (art. 23, commi 6,7 ed 8 della Legge). Certo, non si può ignorare che in alcuni ordinamenti (ad es., in quello britannico e francese), i servizi ivi operanti rivestono anche compiti di polizia in senso proprio, ma – in una dimensione di cooperazione europea – occorre che, ove ciò si verifichi, i servizi si attengano ai protocolli propri dell’attività di polizia giudiziaria, innanzitutto facendo circolare le notizie nella loro pienezza e con le forme legali richieste (in modo che le notizie stesse e le relative fonti siano pienamente conoscibili dai difensori di indagati ed imputati). Diversamente, quelle notizie devono restare fuori dai processi e costituire mero spunto per le indagini della P.G., sotto la direzione del P.M. . La guerra per la conquista dei cuori e delle menti. Ancora una volta, insomma, sia i pubblici ministeri che i giudici italiani si ritrovano a costituire – come sin qui è stato – un argine invalicabile contro la generale assuefazione all’idea che le regole della giurisdizione siano un inutile impaccio del 18-12-2008 16:05 Pagina 41 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror quale liberarsi, anche per contrastare – in futuro – fenomeni criminali ben meno gravi del terrorismo: si tratta di una tendenza che preoccupa anche il Parlamento Europeo ed il Consiglio d’Europa che sul tema sono intervenuti più volte con solenni risoluzioni. Le affermazioni che precedono potrebbero far nascere il sospetto che chi scrive attribuisca all’azione della magistratura e delle collegate forze di polizia giudiziaria ruoli e competenze da sé sufficienti a sconfiggere questo terrorismo. Non è così, poiché nessuno può seriamente pensare che il successo sperato possa essere raggiunto solo con le indagini, con i processi, così come con la cosiddetta attività di intelligence, e neppure con la guerra. Occorre all’evidenza anche la piena e convinta collaborazione delle comunità da cui i terroristi provengono. Sarebbe facile, a tal proposito, invocare la necessità di favorire la integrazione delle comunità degli immigrati nel nostro tessuto sociale, ma occorre anche altro, qualcosa di diverso e più specifico. Se è vero, infatti, che non si può fingere una integrazione che non c’è e che spesso è anzi rifiutata in nome di una incrollabile fedeltà ai canoni più rigidi della propria identità religiosa e culturale, è La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati pur vero che nelle nostre democrazie è ben praticabile la strada del confronto con i musulmani, attraverso la rottura della incomunicabilità ed al fine di stabilire le basi di un rispetto reciproco. Il vero universalismo dei diritti, come è stato scritto, sta proprio in questo, nel rispetto – ovunque – delle persone come sono, evitando ogni tendenza a trasferire su tutti i componenti di una comunità le responsabilità di pochi o di una parte della medesima. Diversamente, non riusciremo ad impedire che nelle comunità islamiche si diffonda l’odio contro le democrazie occidentali che tradiscono se stesse. L’ex Presidente della Corte Suprema d’Israele, Ahron Barak, ha scritto in una storica e pluricitata sentenza del 2004 che le democrazie sono costrette a combattere il terrorismo con una mano legata dietro la schiena, ma che proprio questo apparente fattore di debolezza si rivela alla fine la ragione della tenuta e del successo dei sistemi democratici. Non c’è immagine più efficace per spiegare i nostri doveri ed è un’immagine bellissima ed a noi cara anche perchè proviene dalla penna di un giudice. È giusto esigere che le regole della nostra società siano osservate fino in fondo anche da parte di chi, proveniente da Paesi lontani, solo da poco le ha conosciu41 Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 42 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati te, ma perché ciò avvenga occorre che vi siano innanzitutto sottoposti coloro che hanno istituzionalmente il dovere di farle rispettare. Ecco, in poche parole, il ruolo della magistratura : assicurare la sottoposizione alla legge di tutti, in posizione di eguaglianza, anche in presenza di emergenze tragiche. Ciò conferisce autorità morale a chi intende dissuadere gli altri dal terrorismo, convincendoli che esistono – e sono praticabili – alternative efficaci per il miglioramento delle condizioni di vita proprie e della comunità di appartenenza. Ma ogni volta che si usa la forza si finisce con il fornire all’avversario nuove prove dello scontro di civiltà su cui egli fonda il suo sforzo di radicalizzazione. Per questo credo che proprio l’azione della magistratura e delle forze di polizia giudiziaria italiane costituisca un modello per le democrazie occidentali e tracci la strada per vincere la battaglia in corso tra l’Occidente ed il terrorismo, che “non è una battaglia per la supremazia globale. È una battaglia per la conquista dei cuori e delle menti”.11 42 Note 1. Quest’articolo utilizza anche riflessioni già oggetto di precedenti relazioni ed interventi dell’autore 2. Il tema delle diverse competenze di P.G. e Servizi d’informazione verrà comunque trattato più avanti, con riferimento all’attualità. 3. A tale proposito, Malcolm W. Nance , consigliere dell’Antiterrorismo statunitense (U.S. government’s Special Operations Homeland Security) ha efficacemente ricordato: “On a Mekong River trip, I met a..man..In torture, he confessed to being a hermaphrodite, a CIA spy, a Buddhist Monk, a Catholic Bishop and the son of the King of Cambodia. He was actually just a schoolteacher whose crime was that he once spoke French.” 4. Sul punto, si rimanda all’allegato prospetto, aggiornato a novembre del 2008, delle numerose condanne intervenute in Italia, per reati di terrorismo internazionale, dopo l’11 settembre 2001. 5. Sia consentito, sul punto, il richiamo alla relazione su “Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti umani” (pagg. 48-55) di A. Spataro, tenuta in occasione dell’Incontro di Studi del CSM su “Terrorismo e crimine transnazionale: aspetti giuridici e premesse socio organizzative del fenomeno” (Roma, 5/7.3.2007), consultabile sul sito del CSM. 6. Con risoluzione adottata dall’Assemblea Plenaria del 12.7.2006, anche il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo un approfondito esame della normativa e delle prassi internazionali, nonché delle esigenze concretamente imposte dal fenomeno del terrorismo internazionale, si è categoricamente espresso sul punto: “ In conclusione, la costituzione di un organismo di coordinamento (ndr.: definito nel documento “D.N.A.T.”, cioè “Direzione Nazionale Anti Terrorismo”) è ormai necessaria. Essa è anzi urgente, in quanto occorre dare risposta alle esigenze derivanti dal contrasto del terrorismo internazionale” 7. Secondo l’art. 3 del Disegno di Legge governativo recante “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice, degli atti di indagine e integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”, infatti, il c. 2 dell’art. 266 cpp dovrebbe essere così modificato : “Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti solo se vi è fondato motivo di ritenere che nei Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 43 La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di piombo alla war on terror La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Giustizia e terrorismo luoghi ove è disposta si stia svolgendo l’attività criminosa.” (ci si riferisce al testo della bozza del suddetto DDL diffusa il 13.6.2008). 8. Dopo le dimissioni dell’ Attorney General Alberto Gonzales, il Presidente Bush ha designato alla carica il giudice federale in pensione Michael Mukasey . Presentatosi il 18 ottobre 2007 dinanzi alla Commissione Giustizia del Senato USA, egli ha sostanzialmente rifiutato di rispondere alla domanda di un senatore democratico che gli chiedeva se considerasse il “waterboarding” una forma di tortura, evasivamente affermando che “se il waterboarding equivale ad una tortura, allora esso non è costituzionale”. Il Presidente Bush, continuando a sostenere la candidatura di Mukasey, ha detto che “i cittadini americani devono sapere che qualsiasi tecnica noi usiamo essa è dentro la legge “. E poi, richiesto di precisare se consideri il waterboarding legale, il Presidente Bush ha aggiunto “Io non parlo delle tecniche. C’è il nemico fuori di qui”. 9. Ci si intende riferire alle due sentenze emesse dal Tribunale di prima istanza – Second Chamber (Corte di giustizia): la T-47\2003 (nella causa promossa dal cittadino filippino Josè Maria Sison, residente in Olanda, contro il Consiglio dell’Unione Europea, sostenuto dai governi olandese e britannico) e la T-327\2003 (nella causa promossa dalla fondazione filopalestinese Stichting Al Aqsa, avente sede legale in Olanda, contro il Consiglio dell’Unione Europea, sostenuto dal governo olandese), entrambe pubblicate l’11.7.07. Con queste due sentenze, i giudici comunitari hanno accolto i ricorsi, annullando la decisione del Consiglio dell’Unione Europea 2006/379/CE del 29 maggio 2006 e sbloccato, almeno a livello comunitario, i fondi congelati delle persone ed entità ricorrenti. 10. La sentenza è stata emessa, su conforme parere del 16.1.2008 dell’Avvocato Generale Poiares Maduro, nelle cause riunite C-402/05 P e 415/05 P (Iassin Abdullah Kadi e Al Barakaat Internazional Fundation) promosse contro il Consiglio dell’Unione Europea e la Commissione delle Comunità Europee. La Corte di secondo grado ha annullato il regolamento contenente le sanzioni individuali nella parte relativa ai ricorrenti, peraltro dando alle istituzioni comunitarie tre mesi di tempo per adottare un nuovo atto conforme alla sua pronuncia. 11. Jason Burke (“Al Qaeda, la vera storia”, pag. 288), il quale conclude: “Ed è una battaglia che noi e i nostri alleati del mondo musulmano stiamo perdendo 43 Impaginato 2-2008 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:05 Pagina 44 Dati sulle sentenze di condanna pronunciate in Italia, successivamente all’11 settembre 2001, per reati di terrorismo internazionale o per reati collegati al terrorismo internazionale1 *Procuratore della Repubblica Aggiunto in Milano Coordinatore Dipartimento Eversione ed Antiterrorismo Dati aggiornati al 9-5-2008, raccolti, elaborati e presentati dadi Armando Spataro* I dati che seguono sono relativi alle sole sentenze di condanna emesse dai giudici italiani in data successiva all’ 11 settembre 2001 nell’ambito di procedimenti per reati connessi al terrorismo cosiddetto islamico. Vanno però fatte alcune precisazioni: 1) molte sentenze non sono ancora definitive e, comunque, mancano i numeri relativi alle assoluzioni pure pronunciate, anche se si tratte di una percentuale marginale rispetto al numero degli imputati complessivamente tratti a giudizio; 2) Le pene a cui gli imputati sono stati condannati possono apparire in qualche caso di modesta entità, ma vanno tenute presenti due circostanze. La prima è che, fortunatamente, mai in Italia si sono verificati attentati o sono stati sequestrati esplosivi ed armi: ciò indubbiamente induce ad una graduazione delle pene inflitte. La seconda è che un certo numero di condanne risultano inflitte dai giudici a seguito di giudizio con rito abbreviato o su richiesta congiunta di applicazione della pena, cioè procedure che sono risultate sin qui sfruttate frequentemente e che consentono consistenti riduzioni di pena. In due casi, peraltro, è stata 44 applicata una consistente riduzione di pena conseguente al riconoscimento della speciale attenuante prevista per i collaboratori processuali; 3) solo con l’art.1 del Decreto Legge 18.10.2001 n. 374, convertito con modificazioni nella Legge 15.12.2001, n. 438, è stato introdotto in Italia il reato di “associazione con finalità di terrorismo internazionale” (articolo 270 bis del Codice Penale). In precedenza, dunque, il reato associativo per finalità di terrorismo internazionale è stato contestato agli imputati sotto forma di associazione per delinquere semplice ai sensi dell’art. 416 cp (ma sono stati contestati spesso agli imputati anche altri reati come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ricettazione e falsificazione di documenti). Ciò è avvenuto anche nell’ambito di procedimenti iscritti dopo l’ottobre del 2001, ma relativi a condotte criminose anteriori a tale periodo. Pertanto, in molte delle sentenze indicate nel prospetto, essendo le condotte degli imputati condannati anteriori al Decreto Legge 18.10.2001 n. 374, il reato associativo contestato è, appunto, quello di associazione per delinquere “semplice”. Nella motivazione delle sentenze elencate, tuttavia, si può spesso Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 45 Dati sulle sentenze di condanna pronunciate in Italia leggere che i giudici hanno esplicitamente descritto quelle associazioni come finalizzate al terrorismo internazionale e riconducibili, in gran parte, a sigle terroristiche conosciute (ad es., G.S.P.C., G.I.A. etc.). Ciò anche quando i pubblici ministeri avevano ritenuto di non dovere contestare l’aggravante prevista dall’art.1 della L. 6.2.80 n. 15, certamente applicabile a quei reati (e, difatti, ritenuta sussistente in alcune recenti sentenze dei giudici milanesi con condanne ormai definitive degli imputati prima assolti). Per questa ragione, dunque, la citazione delle sentenze elencate è corretta in relazione alla raccolta di dati sulle sentenze per terrorismo internazionale di cosiddetta “matrice islamica”, pur se esse non risultano emesse per violazione dell’art. 270 bis C.P.. Si può quindi rilevare che, in Italia, sono ormai intervenute molte condanne per reati associativi in materia di terrorismo internazionale e ne stanno intervenendo anche per il reato previsto dall’art. 270 bis cp.: vista la già ricordata epoca di introduzione nell’ordinamento di questo reato, era evidente che solo parallelamente al progredire dei più recenti procedimenti, si sarebbero registrate condanne per violazione di tale norma (altri dibattimenti sono peraltro in corso in varie sede giudiziarie e la loro prossima definizione renderà possibile un ulteriore aggiornamento dei dati). Questo rilievo consente di definire non condivisibili le posizioni di quanti, fondandosi su alcune criticate decisioni (peraltro, annullate nell’ottobre del 2006 dalla Corte di Cassazione e tutte riformate in grado di appello in accoglimento della impugnazione del PM di Milano), avevano ipotizzato una inadeguatezza del sistema giudiziario italiano a fronteggiare questo nuovo fenomeno; sarà necessario, certo, attendere le definitività di alcune sentenze di condanna, ma sin d’ora è possibile affermare che la risposta giudiziaria italiana al terrorismo è certamente efficace, pur in un quadro di evidenti difficoltà investigative legate non solo alla tipologia e transnazionalità di questo fenomeno criminale ed alla perdurante assenza di una definizione “universalmente” condivisa dell’atto di terrorismo, ma anche al modo in cui esso si è sin qui manifestato nel nostro paese. Va dunque riaffermata la centralità della risposta giudiziaria al terrorismo, pur con il suo irrinunciabile fardello di regole poste a tutela dei diritti dei cittadini, anche di quelli stranieri, 45 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 46 Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati imputati di reati gravissimi. Il dato numerico appresso riportato, infine, è confortante anche in relazione al numero delle pronunce intervenute in altri Stati, in particolare nei paesi di common law (U.S.A. e Gran Bretagna, soprattutto), ove il contrasto del terrorismo è fondato su opzioni differenti rispetto a quelle adottate nella gran parte dell’Europa continentale. Dalle pagine seguenti, dunque, il prospetto dei dati che riguardano tutte le sentenze di condanna pronunciate in Italia dopo l’11 settembre 2001 (nel settore del terrorismo internazionale di cd. matrice islamica) Dati che riguardano tutte le sentenze di condanna pronunciate in Italia dopo l'11 settembre 2001 (nel settore del terrorismo internazionale di cd. matrice islamica) Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati Reati oggetto della accusa Reati oggetto della condanna Pena irrogata BOLOGNA I Sezione Tribunale, 13 gennaio 2003 AKLI Mohamed Amine Associazione per delinquere (partecipe), falsificazione documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati, false dichiarazioni su proprie generalità, riciclaggio autovettura rubata Associazione per delinquere (partecipe), falsificazione documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati, false dichiarazioni su proprie generalità Anni 4 di reclusione, 2.000,00 euro di multa Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e spendita banconote false, falsificazione documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e spendita banconote false Anni 2 di reclusione, 500,00 euro di multa (alias: Elias, Ali, Kali Sami, Killech Shamir) (Non impugnata) DEFINITIVA Nato a Abordj El Kiffani (Algeria), 30.3.1972 IDEM Essadi Moussa Ben Amor (Non impugnata) (alias: Dah Dah) DEFINITIVA Nato a Tabarka (Tunisia), 4.12.1964 IDEM Baazaoui Mondher DEFINITIVA IDEM Memo: dopo la sentenza di I grado il Dumont è stato arrestato in Francia dove e'è ancora detenuto per reati ivi commessi Associazione per delinquere, Ricettazione autovetture Ricettazione autovetture rubate Nato a Kairouan (Tunisia), rubate 18.3.1967 Dumont Lionel Nato a Roubaix (Francia), il 29.1.1971 Fettar Rachid Associazione per delinquere, Falsificazione e ricettazione di passaporti francesi e italiani, uso pubblici sigilli falsi, introduzione nello Stato detenzione e porto di 2 pistole da guerra semiautomatiche e relative munizioni Falsificazione e ricettazione Anni 5 di reclusione, di passaporti francesi e italiani, 2.000,00 euro uso pubblici sigilli falsi, di multa introduzione nello Stato, detenzione e porto di 2 pistole da guerra semiautomatiche e relative munizioni Associazione per delinquere, Falsificazione permesso di spendita banconote false, soggiorno ed uso sigilli Nato a Boulogin (Algeria). ricettazione passaporti, pubblici falsi il 16.4.1969 falsificazione permesso di soggiorno ed uso sigilli pubblici falsi 46 Anni 2, mesi 6 d reclusione e 1.000,00 euro di multa Anni 1, mesi 2 di reclusione e euro 120,00 di multa 18-12-2008 16:05 Pagina 47 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati Reati oggetto della accusa Reati oggetto della condanna Pena irrogata BOLOGNA I Sezione Corte di Appello, 10 maggio 2004 Jarraya Mounir Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e spendita banconote false, falsificazione passaporto bosniaco ed altri documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati, ricettazione altri beni Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e spendita banconote false, falsificazione passaporto bosniaco ed altri documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati Anni 3, mesi 6 di reclusione e 1.700 euro di multa Associazione per delinquere (organizzatore), detenzione e spendita banconote false, falsificazione passaporto bosniaco ed altri documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati Associazione per delinquere (organizzatore), detenzione e spendita banconote false, falsificazione passaporto bosniaco ed altri documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati Anni 4, mesi 6 di reclusione, 2.700,00 euro di multa Associazione per delinquere (partecipe) Associazione per delinquere (partecipe) Anni 2 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), riciclaggio autovetture rubate Associazione per delinquere (partecipe) Anni 2 di reclusione Associazione per delinquere, Falsificazione di passaporto bosniaco, riciclaggio autovetture rubate Falsificazione di passaporto bosniaco Mesi 8 di reclusione Riciclaggio autovetture rubate Anni 3 di reclusione, 1.500,00 euro di multa Nato a Sfax (Tunisia), 25.10.1963 DEFINITIVA IDEM Jarraya Khalil DEFINITIVA Nato a Sfax (Tunisia), 8.2.1969 BOLOGNA I Sezione Corte di Appello, 17 maggio 2004 Jendoubi Faouzi La pena così determinata è frutto di patteggiamento tra le parti intervenuto in grado di appello La pena cosìi' determinata è frutto di patteggiamento tra le parti intervenuto in grado di appello Nato a Beja (Tunisia), 30.1.1966 DEFINITIVA IDEM Saleh Nedal DEFINITIVA Nato a Taiz (Yemen), 1.3.1970 IDEM Mnasri Fethi Ben Rebai DEFINITIVA (alias: Amor, Amar, Abu Omar, Alic Fethi) IDEM DEFINITIVA Hamami Brahim Ben Hedili Associazione per delinquere, riciclaggio autovetture Nato a Goubellat (Tunisia), rubate il 20.11.1971 IDEM Aouni Bachir DEFINITIVA Nato a Ouenza (Algeria), 21.1.69 Nato a Nefza (Tunisia) Associazione per delinquere Associazione per delinquere organizzatore), detenzione e (organizzatore), detenzione spendita banconote false, e spendita banconote false falsificazione documenti identità, uso pubblici sigilli falsi, ricettazione documenti di identità rubati Anni 6 di reclusione e1.000,00 euro di multa (la pena è stata unificata, ex articolo 81 codice penale, con quella oggetto della sentenza del 22.4.99 del Tribunale di Milano) IDEM Amdouni Mehrez DEFINITIVA Nato a Tunisi (Tunisia), 18.12.1969 IDEM Rarrbo Ahmed Hosni Associazione per delinquere, Falsificazione e ricettazione Nato a Bologhine (Algeria) di una carta di identità 12.9.1974 francese Falsificazione di una carta di identità francese Mesi 8 di reclusione IDEM Ouaz Najib Nato a Hekaima (Tunisia), 12.4.1960 Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone Mesi 6 di reclusione DEFINITIVA BRESCIA Corte Assise Appello, Rafik Mohamed DEFINITIVA 16 giugno 2005 Nato a Casablanca (Marocco), 3.1.1965 Associazione per delinquere, Falsificazione e ricettazione Anni 2, mesi 6 di Falsificazione e ricettazione di documenti di identità, uso reclusione, 1.200,00 di documenti di identità, uso di sigilli pubblici falsi euro di multa di sigilli pubblici falsi Associazione per delinquere, Estorsione e falsificazione di visti marocchini Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P (organizzatore) art. 270 bis C.P (partecipe) immigrazione ed emigrazione illegali a scopo di terrorismo Anni 4, mesi 8 di reclusione Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P (organizzatore) art. 270 bis C.P (partecipe) immigrazione ed emigrazione illegali a scopo di terrorismo Anni 3, mesi 8 di reclusione Associazione con finalità di Incitamento a commettere terrorismo internazionale ex atti di violenza per motivi art. 270 bis C.P (organizzatore) religiosi immigrazione ed emigrazione illegali a scopo di terrorismo Anni 1, mesi 4 di reclusione Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P (organizzatore) art. 270 bis C.P (partecipe) immigrazione ed emigrazione illegali a scopo di terrorismo Anni 7 di reclusione Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P (organizzatore) art. 270 bis C.P (partecipe) immigrazione ed emigrazione illegali a scopo di terrorismo Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P (organizzatore) art. 270 bis C.P (partecipe) Anni 5, mesi 6 di reclusione DEFINITIVA IDEM Hamraoui Kamel Ben Mouldi DEFINITIVA nato a Beja (Tunisia), 21.10.1977 IDEM RouassNajib DEFINITIVA Nato in Marocco il 13.11.1966 BRESCIA Corte Assise Appello 29.6.2007 Trabelsi Mourad nato Menzel Temine (Tunisia), il 20.05.1969 (I grado: sentenza C. Ass. Cremona del 15.7.2006) DEFINITIVA IDEM Drissi Nourredine DEFINITIVA nato il 30.5.1964 a Tunisi (Tunisia) IDEM Khamlich Khalid DEFINITIVA nato a Casablanca (Marocco) il 16/07/1965 (pena ridotta per rito abbreviato) (pena ridotta per rito abbreviato) (pena ridotta per rito abbreviato) (con concessione attenuanti generiche) 47 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 48 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati BRESCIA Corte Assise Appello Boughanemi Faical 29.6.2007 Reati oggetto della accusa Reati oggetto della condanna Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex nato il 28.10.1966 a Tunisi art. 270 bis C.P (organizzatore) art. 270 bis C.P (partecipe) (Tunisia) immigrazione ed emigrazione illegali a scopo di terrorismo Anni 7 di reclusione Kishk Samir (alias Hammada) DEFINITIVA Giustizia e terrorismo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati MILANO Giudice Udienza Preliminare, 8 maggio 2002 (patteggiamento della pena) Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d'identità falsi, uso e falsificazione di documenti immigrazione illegale Anni 1, mesi 11 e giorni 15 di reclusione ESSID SAMI BEN KHEMAIS, Associazione per delinquere alias Saber (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti n. Menzel (Tunisia ) d' identità falsi, uso e il 10.2.68 falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Anni 4, mesi 6 di reclusione, 9810,00 euro di multa BOUCHOUCHA MOKHTAR, Associazione per delinquere alias Farid, (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti n. a Tunisi il 13.10.69 d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Anni 4, mesi 6 di reclusione, 9810,00 euro di multa CHARAABI TAREK, alias "Frank", "Haroun" o "Tarek" Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Delinquere (organizzatore), Anni 4, mesi 10 di ricettazione di passaporti e reclusione, 4.700,00 documenti d' identità falsi, euro di multa falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Delinquere (organizzatore), Anni 3, mesi 6 di ricettazione di passaporti e reclusione, 3.600,00 documenti d' identità falsi, euro di multa falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Delinquere (organizzatore), Anni 3, mesi 6 di ricettazione di passaporti e reclusione, 3.600,00 documenti d' identità falsi, euro di multa falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), immigrazione illegale Nato a Gharbia (Egitto), il 14.5.55 DEFINITIVA IDEM DEFINITIVA IDEM DEFINITIVA n. a Tunisi, il 31.3.70 IDEM AOUDI MOHAMED BEN BELGACEM DEFINITIVA n. a Tunisi, il 22.2.2002 MILANO 4^ Sezione Corte d'Appello Kammoun Mehdi, alias Khaled n. Tunisi il 3.4.68 23 aprile 2003 DEFINITIVA IDEM Ben Soltane Adel alias Zakaria DEFINITIVA n. Tunisi il 17.5.2002 IDEM Jelassi Riadh alias Abu Obeida DEFINITIVA n. Tunisi il 15.12.70 ora collaboratore processuale MILANO Giudice Udienza Preliminare 8 maggio 2002 Bouyahia Hamadi Ben Abdlaziz alias Gamel Mohamed n. in Tunisia il 29.5.1966 (patteggiamento della pena) DEFINITIVA MILANO II CORTE D'ASSISE D'APPELLO 13 novembre 2007 (rito abbreviato in 1° grado) 48 (pena cosiì' determinata a seguito di patteggiamento intervenuto in II grado) Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d' identità falsi, uso e falsificazione di documenti di identità, immigrazione illegale DEFINITIVA MILANO 4^ Sezione Corte d'Appello, 11 dicembre 2002 (patteggiamento pena dopo giudizio di I grado celebrato con rito abbreviato) Pena irrogata Zarkaoui Imed Ben Mekki Nato a Tunisi (Tunisia), il 15.1.1973 (pena ridotta per il patteggiamento intervenuto tra pubblico ministero e imputato) (pena ridotta per il patteggiamento intervenuto in grado di appello tra pubblico ministero e imputato) (pena ridotta per il patteggiamento intervenuto in grado di appello tra pubblico ministero e imputato) Anni 3, mesi 6 di reclusione, 8519,00 euro di multa (pena ridotta per il patteggiamento intervenuto in grado di appello tra pubblico ministero e imputato) Anni 3, mesi 6 di reclusione, 8519,00 euro di multa (pena ridotta per il patteggiamento intervenuto in grado di appello tra pubblico ministero e imputato) Anni 1, mesi 11 di reclusione, 400,00 euro di multa (pena ridotta per il patteggiamento intervenuto tra pubblico ministero e imputato) Anni 4, mesi 6 di reclusione (pena ridotta per il rito abbreviato) Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso sent. 8.5.2002 Gup Milano che aveva assolto l'imputato per quel reato condannandolo per immigrazione illegale aggravata 18-12-2008 16:05 Pagina 49 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati Reati oggetto della accusa Reati oggetto della condanna Milano Quarta Sezione Corte d'Appello El Mahfoudi Mohamed Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggiamento immigrazione illegale Associazione per delinquere, Anni 1, mesi 4 di favoreggiamento reclusione immigrazione illegale (pena ridotta per il rito abbreviato adottato in I grado: sent. GUP Milano 22.1.2004) Nato in Marocco, il 24.9.1964 12 dicembre 2007 MILANO Giudice Udienza Preliminare, 19 aprile 2004 (patteggiamento della pena) Mohammed Thari Hammid Nato a Pohok (Iraq), 1.11.1974 Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di documenti di identità, immigrazione ed emigrazione illegali aggravate Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di documenti di identità, immigrazione ed emigrazione illegali aggravate DEFINITIVA MILANO VIII^ Sezione Tribunale 2 febbraio 2004 DEFINITIVA Ben Heni Lased alias Mohamed Ben Belgacem Awani, o Mohamed il tedesco, o Abu Obeida, Pena irrogata Anni 1, mesi 11 di reclusione (pena così ridotta per il patteggiamento intervenuto tra pubblico ministero ed imputato) Associazione per delinquere Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione (organizzatore) di documenti d' identità falsi, immigrazione illegale Anni 6 di reclusione Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d' identità, immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d' identità, immigrazione illegale Anni 8, mesi 4 di reclusione Remadna Abdelhalim Associazione per delinquere Hafed (organizzatore), ricettazione alias Abdelfattah o Jalloul di documenti d' identità immigrazione illegale Nato il 2.4.1966 a Biskra (Algeria) Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d' identità, immigrazione illegale Anni 7, mesi 9 di reclusione Benattia Nabil alias Abu Salim Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d' identità immigrazione illegale Associazione per delinquere (partecipe), immigrazione illegale Anni 5, mesi 3 di reclusione Associazione per delinquere (organizzatore), ricettazione di documenti d' identità, immigrazione illegale associazione per delinquere (partecipe), immigrazione illegale Anni 4, mesi 3 di reclusione Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggiamento immigrazione illegale, falsificazioni scritture contabili attraverso fatturazioni fiscali per operazioni inesistenti, appropriazione indebita e simulazione di reato, ricettazione di autovettura Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggia- Anni 4, mesi 1 d mento immigrazione illegale, reclusione falsificazioni scritture contabili attraverso fatturazioni fiscali per operazioni inesistenti, appropriazione indebita e simulazione di reato Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggiamento immigrazione illegale, appropriazione indebita e simulazione di reato, ricettazione di autovettura Associazione per delinquere Anni 3, mesi 4 di (organizzatore), favoreggia- reclusione, 1.700,00 mento immigrazione illegale, euro di multa indebita e simulazione di reato e ricettazione di autovettura Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggiamento immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggiamento immigrazione illegale Associazione per delinquere (organizzatore), favoreggiamento immigrazione illegale, falsificazioni scritture contabili attraverso fatturazioni fiscali per operazioni inesistenti, ricettazione documenti falsi, appropriazione indebita e simulazione di reato, ricettazione di patente e di autovettura Associazione per delinquere Anni 4, mesi 1 di (organizzatore), favoreggia- reclusione mento immigrazione illegale, falsificazioni scritture contabili attraverso fatturazioni fiscali per operazioni inesistenti, appropriazione indebita e simulazione di reato Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto d'armi e esplosivi, spaccio banconote false Associazione per delinquere (partecipe), spaccio banconote false Anni 3 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), spaccio banconote false Anni 1, mesi 9 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa Nato il 5.2.69 a Tripoli (Libia) MILANO 1^ Sezione Corte d'Appello, 7 ottobre 2004 DEFINITIVA IDEM DEFINITIVA IDEM DEFINITIVA Es Sayed Abdelkader Mahmoud alias Abu Saleh Nato a El Minia (Egitto), il 2.2.04 Nato a Tunisi, l'11.5.66 IDEM Chekkouri Yassine DEFINITIVA Nato il 06.10.1966 a Safi (Marocco) MILANO I^ Sezione Corte d'Appello 29 settembre 2005 Abdaoui Youssef Nato a Kairouan (Tunisia), il 4.9.66 DEFINITIVA IDEM DEFINITIVA Abdelhedi Mohamed Ben Mohamed Nato a Sfax (Tunisia), il 10.8.1965 IDEM Darraji Kamel DEFINITIVA Nato in Tunisia, il 22.7.1967 (dal 10.11.2006) IDEM Loubiri Habib Ben Ahmed DEFINITIVA Nato a Menzel Tenine (Tunisia), il 17.11.1961 MILANO 5^ Sezione Tribunale, 28 maggio 2003 Senoussaoui Houcine Alias: Brahim DEFINITIVA Nato a Sidi Bel Abbes (Algeria), 1.10.1968 MILANO 4^ Sezione Corte d'Appello, 22 febbraio 2005 Boughagha Lakhdar Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e Nato in Algeria, il 2.3.1964 porto d'armi e esplosivi, spaccio banconote false Anni 3, mesi 7 di reclusione DEFINITIVA (dal 4.6.2005) 49 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 Pagina 50 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati Reati oggetto della accusa IDEM Fettar Rachid Alias: Amin, Djafar 4^ Sezione Corte d'Appello, 22 febbraio 2005 Nato in Algeria, il 16.4.1969 Associazione per delinquere Associazione per delinquere (promotore), detenzione e (partecipe), spaccio porto d'armi e esplosivi, uso banconote false di pubblici sigilli falsi, spaccio banconote false, falsificazioni certificati amministrativi e favoreggiamento immigrazione illegale Anni 1, mesi 9 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa Associazione per delinquere Associazione per delinquere (promotore), detenzione e (partecipe), spaccio porto d'armi e esplosivi, uso banconote false di pubblici sigilli falsi, spaccio banconote false, falsificazioni certificati amministrativi e favoreggiamento immigrazione illegale Anni 1, mesi 9 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Anni 8, mesi 10 di reclusione Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 9.5.05 della I^ Corte Assise di Milano che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Anni 6, mesi 10 di reclusione Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 9.5.05 della I^ Corte Assise di Milano che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Anni 8, mesi 10 di reclusione Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 9.5.05 della I^ Corte Assise di Milano che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp Nato ad Haidra (Tunisia) il 28.7.79 Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), falsificazione e ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale aggravata Anni 8, mesi 6 di reclusione Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 9.5.05 della I^ Corte Assise di Milano che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp Bouyahia Hamadi Ben Abdlaziz alias Gamel Mohamed Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe) Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe) Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (organizzaNato in Libia, il 28.11.1980 tore) ; falsificazione di documenti personali vari, tra cui conosciuto anche come passaporti; ricettazione di Mohamed Abdullah Imad moduli per documenti falsi; nato a Gaza il 28.11.1980 tentativo di procurare la immigrazione illegale in Italia di altre persone Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (organizzatore) ; falsificazione di documenti personali vari, tra cui passaporti; ricettazione di moduli per documenti falsi; tentativo di procurare la immigrazione illegale in Italia di altre persone Anni 5, mesi 10 di reclusione ed euro 5.000 di multa (con concessione attenuanti generiche) MILANO Giudice Udienza Preliminare 18 ottobre 2005 Jelassi Riadh alias Abu Obeida (patteggiamento della pena) ora collaboratore processuale Furti e ricettazioni di autovetture, lesioni personali, spendita banconote false e reati minori, tutti con l'aggravante della finalità di terrorismo Furti e ricettazioni di autovetture, lesioni personali, spendita banconote false e reati minori, tutti con l'aggravante della finalità di terrorismo Mesi 8 di reclusione in aumento sulla precedente sentenza del Tribunale di Milano del 17.5.02 (la pena cosìi' determinata è frutto dell'intervenuto patteggiamento e della concessioni delle speciali attenuanti previste per i collaboratori processuali) Associazione per delinquere ex art. 416 cp, ritenuta operante all'interno delle strutture religiose islamiche milanesi; Estorsione continuata aggravata Memo: i fatti oggetto del procedimento sono risalenti al 1995 Estorsione continuata aggravata Anni 6 di reclusione e 1.000,00 euro di multa Definitiva dal 28.6.06 IDEM 4^ Sezione Corte d'Appello 22 febbraio 2005 Tanout Youcef Alias: Jafala, Danouta Youcef Nato a Bab El Oved (Algeria), il 16.1.1964 Definitiva dal 28.6.06 MILANO 1^ Corte d'Assise di Appello 7 febbraio 2008 Giustizia e terrorismo 16:05 Cherif Said Ben Abdelhakim Alias: Djallal, Youssef, Abu Salman Nato a Menzel (Tunisia) il 25.1.1970 IDEM Lazher Ben Khalifa Ben Ahmed Rouine Alias: Salmane Lahzar Nato a Sfax (Tunisia) il 20.11.75 IDEM Saadi Nassim Nato ad Haidra (Tunisia) il 30.11.1974 IDEM IDEM Saadi Fadhal alias Moussab Reati oggetto della condanna Nato in Tunisia il 29.5.1966 IDEM Faraj Faraj Hassan alias Hamza il libico Nato in Tunisia il 15.12.70 DEFINITIVA MILANO VIII Sezione Tribunale 28 maggio 2007 50 Hussein El Sayed El Harmil Yousry Nato a Beheira (Egitto), il 17.1.55 Pena irrogata Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 9.5.05 della I^ Corte Assise di Milano Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 18.12.06 della I^ Corte Assise di Milano che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp (previa concessione attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti) 18-12-2008 16:05 Pagina 51 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati Reati oggetto della accusa IDEM Omar Makram Essam Mohamed Associazione per delinquere Tentata estorsione aggravata ex art. 416 cp, ritenuta operante all'interno delle strutture religiose islamiche milanesi; Tentata estorsione aggravata Memo: i fatti oggetto del procedimento sono risalenti al 1995 Anni 4 di reclusione e 800,00 euro di multa Associazione per delinquere ex art. 416 cp, ritenuta operante all'interno delle strutture religiose islamiche milanesi; Rapina e Tentata estorsione continuata aggravate Memo: i fatti oggetto del procedimento sono risalenti al 1995 Rapina e Tentata estorsione continuata aggravate Anni 4 di reclusione e 1.200,00 euro di multa Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsificati, emigrazione ed immigrazione illegali aggravata Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 24.01.05 del GUP di Milano (che aveva suscitato numerose polemiche nel 2005), parzialmente confermata il 28.11.05 dalla I^ Corte Assise Appello di Milano, che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp (Sentenza annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione l'11.10.2006) Anni 4 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsificati, emigrazione ed immigrazione illegali aggravata Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. emigrazione ed immigrazione illegali aggravata Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 24.01.05 del GUP di Milano (che aveva suscitato numerose polemiche nel 2005), parzialmente confermata il 28.11.05 dalla I^ Corte Assise Appello di Milano, che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp (Sentenza annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione l'11.10.2006) Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità falsificati Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. Memo: condanna per 270 bis in accoglimento appello del PM avverso assoluzione da questo reato del 24.01.05 del GUP di Milano (che aveva suscitato numerose polemiche nel 2005), parzialmente confermata il 28.11.05 dalla I^ Corte Assise Appello di Milano, che aveva ritenuto il reato di cui all'art. 416 cp (Sentenza annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione l'11.10.2006) Anni 4 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), rapine, detenzione e porto d'armi, detenzione e vendita di stupefacenti, spendita banconote false, tutti con l'aggravante della finalità di terrorismo Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), rapine, detenzione e porto d'armi, detenzione e vendita di stupefacenti, spendita banconote false, tutti con l'aggravante della finalità di terrorismo Anni 1, mesi 8 di reclusione, euro 7.000 di multa Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Anni 5, mesi 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Anni 10 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Anni 7 di reclusione Nato a a Beheira (Egitto), il 17.1.55 IDEM Mohamed Mohamed Omar Makram Alaa Nato a Beheira (Egitto), il 17.10.69 MILANO Seconda Corte d'Assise d'Appello 23 ottobre 2007 Bouyahia Maher Ben Abdelaziz Nato a Tunisi (Tunisia) il 30.4.1964 DEFINITIVA dall'11.6.2008 IDEM DEFINITIVA dall'11.6.2008 IDEM DEFINITIVA dall'11.6.2008 Toumi Alìi' Ben Sassi Nato a Tunisi (Tunisia) il 24.12.1965 DAKI Mohamed Nato a Casablanca (Marocco), il 29.3.1965 MILANO Giudice Udienza Preliminare, 9 maggio 2006 Zouaoui Chokri (patteggiamento della pena) ora collaboratore processuale Nato in Keliba (Tunisia), il 31.3.75 DEFINITIVA MILANO 1^ Corte d'Assise Appello Ciise Maxamed Cabdullah Nato in Somalia, l'8.10.1974 17 luglio 2007 IDEM El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid (alias Merai) Nato a El Gharbia (Egitto), il 2.1.1972 IDEM Housni Jamal (alias Jamal Al Maghrebi) nato in Marocco, il 22..2.1983 Reati oggetto della condanna Pena irrogata (previa concessione attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti) (previa concessione attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti) (la riduzione della pena èe' anche frutto dell'adozione del rito abbreviato in primo grado) (la riduzione della pena è anche frutto dell'adozione del rito abbreviato in primo grado) (la riduzione della pena è anche frutto dell'adozione del rito abbreviato in primo grado) (la pena cosi' determinata è frutto dell'intervenuto patteggiamento e della concessioni delle speciali attenuanti previste per i collaboratori processuali) 51 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Giustizia e terrorismo Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 Magistratura Onoraria La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:05 Pagina 52 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati IDEM IDEM Reati oggetto della condanna Pena irrogata Mohemmed Amin Mostafa Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), nato a Karkuk (Iraq), ricettazione di passaporti e l'11.10.1975 documenti díi dentità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Anni 7 di reclusione Muhamad Majid Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Associazione con finalità di Anni 10 di reclusione terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (organizzatore), ricettazione di passaporti e documenti d' identità, immigrazione illegale, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo Associazione per delinquere, con l'aggravante della finalità di terrorismo (organizzatore), furti di autovettura con la stessa aggravante Associazione per delinquere con l'aggravante della finalità di terrorismo (organizzatore), furti di autovettura con la stessa aggravante Anni 6 di reclusione Ricettazione e falsificazione di patenti di guida e documenti di identità, contraffazione di pubblici sigilli e di strumenti di pubblica certificazione Ricettazione e falsificazione di patenti di guida e documenti di identità, contraffazione di pubblici sigilli e di strumenti di pubblica certificazione Anni 2 di reclusione, euro 3.000,00 di multa Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione e falsificazione di documenti di identità, con la aggravante della finalità di terrorismo Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. (partecipe), ricettazione e falsificazion di documenti di identità, con la aggravante della finalità di terrorismo Anni 5, mesi 4 di reclusione nato a Baghdad (Iraq), l'1.12.1970 MILANO Seconda Corte d'Assise d'Appello 11 ottobre 2007 Cherif Said Ben Abdelhakim Nato a Menzel (Tunisia). Il 25.1.1970 (la sentenza di I grado era stata emessa il 5.10.06 a seguito di giudizio abbreviato) IDEM El Kaissi M'hamed Nato ad Ouled Arif (Marocco), il 28.1.1973 Seconda Corte d'Assise d'Appello 13 novembre 2007 Mannai Mohamed Ben Mohamed (alias "Djabri" o "Gassi") (la sentenza di I grado era stata emessa il 5.10.06 a seguito di giudizio abbreviato) Nato ad El Guettar (Tunisia), il 7.2.1978 Reati oggetto della accusa (la pena così determinata è anche frutto della riduzione conseguente all'adozione del rito abbreviato in I grado) (la pena così determinata è e' anche frutto della riduzione conseguente all'adozione del rito abbreviato in I grado e del patteggiamento in II grado) (la pena così determinata è anche frutto della riduzione conseguente all'adozione del rito abbreviato) DEFINITIVA dal 18.09.2008 MILANO Terza Corte d'Assise d'Appello 27 ottobre 2007 DEFINITIVA Rabei Osman El Sayed Ahmed Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. art. 270 bis C.P. (partecipe) (organizzatore) Anni 8 di reclusione IDEM Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P. art. 270 bis C.P. (partecipe) Nato a Samanoud (Egitto), (partecipe) il 17.05.1983 Anni 4 di reclusione DEFINITIVA Yahia Mawad Mohammed Rajeh MILANO Prima Corte d'Assise d’Appello di Milano Arman Ahmed El Missini Helmy alias Abu Imad 20 novembre 2008 nato a Qena (Egitto), il 14.01.1961 IDEM Bouchoucha Mokhtar alias Farid Nato a Gherbia (Egitto), il 22.07.1971 Nato a Tunisi (Tunisia), il 13.10.1969 IDEM Maaoui Lofti Ben Sadok alias Abu Hodeifa Nato a Tunisi (Tunisia), il 28.02.1966 IDEM Riabi Zied Ben Abdallah alias Tarek o Dhirar Nato a Tunisi (Tunisia), il 9.04.1970 IDEM Riabi Zouheir Ben Abdallah Nato a Tunisi (Tunisia), il 26.09.1971 52 con concessione attenuanti generiche Associazione per delinquere semplice (416 cp) con l'aggravante della finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): organizzatore Associazione per delinquere semplice (416 cp) con l'aggravante della finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): organizzatore Anni 3, mesi 8 di reclusione Lesioni personali aggravate, porto illegale di coltello aggravato e spaccio di banconote false, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Lesioni personali aggravate, porto illegale di coltello aggravato e spaccio di banconote false, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Aumento fino ad anni 7 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa della pena inflitta con sentenza dell'11.12.2002 della corte Appello di Milano Associazione per delinquere semplice (416 cp) con l'aggravante della finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): partecipe Associazione per delinquere Anni 2 di reclusione semplice (416 cp) con l'aggravante della finalità di con concessione terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): attenuanti generiche partecipe Associazione per delinquere semplice (416 c.p.) con l'aggravante della finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): partecipe; spaccio di banconote false, porto di coltello, reati pure aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione per delinquere Anni 6, mesi 6 di semplice (416 c.p.) con reclusione ed euro l'aggravante della finalità di 1.200,00 di multa terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): partecipe; spaccio di banconote false, porto di coltello, reati pure aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione per delinquere semplice (416 c.p.) con l'aggravante della finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): partecipe; spaccio di banconote false, aggravato dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione per delinquere Anni 6 semplice (416 c.p.) con di reclusione ed euro l'aggravante della finalità di 1.000,00 di multa terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): partecipe; spaccio di banconote false, aggravato dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) con concessione attenuanti generiche 18-12-2008 16:05 Pagina 53 Distretto, Giudice e data sentenza Generalità dei condannati IDEM Sassi Lassad Ben Mohamed Associazione per delinquere alias Abu Hashem semplice (416 c.p.) con l'aggravante della finalità di Nato a Cartaghena terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): (Tunisia), il 10.12.1969 partecipe; furto aggravato anche - dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione per delinquere Anni 5 di reclusione semplice (416 c.p.) con l'aggravante della finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80): partecipe; spaccio di banconote false, aggravato dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Ben Yahia Mouldi Ben Rachid alias Kamel Mahbouba o Assalam Ulikum, Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): organizzatore; ricettazione e falsificazione di documenti d'identità falsi, immigrazione/emigraz. clandestina; detenzione e porto di armi comuni e da guerra; rapine; detenzione e vendita di stupefacenti (hashish ed eroina); compra/ vendita di banconote false; reati tutti aggravati - anche dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione con finalità di Anni 10 di reclusione terrorismo internazionale (270 bis c.p.): organizzatore; ricettazione e falsificazione di documenti d'identità falsi, immigrazione/emigrazione clandestina; compravendita di banconote false; detenzione e vendita di stupefacenti (eroina); reati tutti aggravat - anche - dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe; detenzione e vendita di stupefacenti (hashish ed eroina); compravendita di banconote false; reati tutti aggravati - anche - dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe Anni 5, mesi 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe Anni 5 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe; ricettazione e falsificazione di documenti d'identità falsi, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione con finalità di Anni 6 di reclusione terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe; ricettazione e falsificazione di documenti d'identità falsi, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione con finalità di terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe; ricettazione e falsificazione di documenti d'identità falsi, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione con finalità di Anni 6 di reclusione terrorismo internazionale (270 bis c.p.): partecipe; ricettazione e falsificazione di documenti d'identità falsi, reati tutti aggravati dalla finalità di terrorismo (art. 1 L. n. 15/80) Associazione per delinquere (organizzatore e dirigente), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere Anni 8 di reclusione (organizzatore e dirigente), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (organizzatore e dirigente), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere Anni 8 di reclusione (organizzatore e dirigente), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (organizzatore), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (organizzatore), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 8 di reclusione Associazione per delinquere (organizzatore), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (organizzatore), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 8 di reclusione IDEM Nato a Tunisi (Tunisia), l' 11.04.1971 IDEM Hekiri Hichem Ben Mohamed Nato a Tunisi (Tunisia), il 18.03.1969 IDEM Kneni Kamel Nato a Aroussa (Tunisia), il 7.05.1969 IDEM Sahraoui Nessim Ben Romdhane alias Daas Nato a Bizerta (Tunisia), il 3.08.1973 IDEM Zoghbai Merai alias F-radj il Libico o Jaffar il Libico Nato in Libia il 4.04.1960 NAPOLI 6^ Sezione Corte d'Appello, Lounici Dijamel Nato ad Algeri l'1.02.1962 16 marzo 2004 Reati oggetto della accusa Reati oggetto della condanna Pena irrogata Definitiva IDEM Deramchi Othman Definitiva Nato a Tigheniff il 7.06.1954 IDEM Aider Farid Definitiva Nato a Algeri il 12.10.1964 IDEM Bendebka L'Hadi Definitiva Nato a Algeri il 17.11.1963 IDEM Ahmed Nacer Yacine Nato ad Annata il 2.12.1967 Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 5 di reclusione Definitiva IDEM El Heit Alììi' (alias Kamel Mohamed) ì Nato ad Algeri il 30.01.1971 Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 5 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di Nato ad Algeri il 30.01.1971 certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 5 di reclusione Definitiva IDEM Maoel Kamel Nato a Bologhine (Algeria) il 2.07.1969 Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 5 di reclusione Definitiva Definitiva IDEM Abd Al Hafiz Abd Al Wahab (alias Ferdjani Moulaudì) Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative 53 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Magistratura Onoraria Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 Distretto, Giudice e data sentenza Magistratura Onoraria La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 16:05 Pagina 54 Generalità dei condannati IDEM Haddad Fethi Ben Assen Definitiva Nato a Tataouine il 28.03.1963 IDEM Boughera Azzedine Definitiva Nato ad Algeri il 31.07.1962 IDEM Youcef Belhady Definitiva Nato ad Algeri il 14.10.1957 IDEM Abbes Moustafa Definitiva Nato a Osniers il 5.02.1962 IDEM Abbes Youcef Definitiva Nato a Bal Al Wad il 5.01.1965 NAPOLI Corte d'Assise d'Appello Tartag Samir 13 novembre 2007 Nato a Baraki (Algeria), il 10.4.1972 (la sentenza di I grado era stata emessa a seguito di giudizio abbreviato il 30.11.06) IDEM Achour Rabah Nato a Meftha (Algeria), il 12.10.1975 IDEM Achour Rabah Nato a Meftha (Algeria), il 12.10.1975 NAPOLI Quarta Sezione Corte d'Assise Bouhrama Yamine Nato a Hussein Dey (Algeria), il 9.7.1973 10 gennaio 2008 IDEM Larbi Mohamed Nato in Algeria l'8.7.1974 IDEM Serai Khaled Nato in Algeria il 3.8.1970 PERUGIA Corte d'Assise d'Appello 23 gennaio 2008 Eravi Nato ad Aksaray (Turchia), il 10.7.1971 Reati oggetto della accusa Reati oggetto della condanna Pena irrogata Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 5 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 4, mesi 6 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 3, mesi 6 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 3, mesi 6 di reclusione Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Associazione per delinquere (partecipe), detenzione e porto di armi comuni da sparo, falsificazioni di certificazioni amministrative Anni 3, mesi 6 di reclusione Associazione con finalità di idem terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Anni 6 di reclusione (la pena così determinata è anche frutto della riduzione conseguente all'adozione del rito abbreviato in I grado) idem Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Anni 6 di reclusione (la pena così determinata è anche frutto della riduzione conseguente all'adozione del rito abbreviato in I grado) (la pena così determinata è anche frutto della riduzione conseguente all'adozione del rito abbreviato in I grado) Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., (promotore), ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., (partecipe) ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., (partecipe) ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P., (partecipe) ricettazione e falsificazione di documenti d' identità, favoreggiamento immigrazione clandestina Anni 6 di reclusione Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P.,: organizzatore Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P.,: organizzatore Anni 7 di reclusione Associazione con finalità di Associazione con finalità di terrorismo internazionale ex terrorismo internazionale ex art. 270 bis C.P.,: art. 270 bis C.P.,: partecipe organizzatore Anni 5 di reclusione Favoreggiamento di immigrazione clandestina e di illegale permanenza in Italia attraverso false dichiarazioni per regolarizzazione del lavoro utili al rilascio di permessi di soggiorno Anni 2 di reclusione e 33.000,00 euro di multa (Sent. I grado del 10 gennaio 2008) IDEM Ercan Nazan alias Kilic Zeynep Nato a Konia (Turchia), il 5.7.1969 TORINO Giudice Udienza Preliminare, 8 novembre 2005 (patteggiamento della pena) definitiva 54 Ben Ali' Mohamed Nato a Tunisi (Tunisia), il 4.3.1963 Favoreggiamento di immigrazione clandestina e di illegale permanenza in Italia attraverso false dichiarazioni per regolarizzazione del lavoro utili al rilascio di permessi di soggiorno (la pena così determinata è frutto dell'intervenuto patteggiamento tra pubblicoministero ed imputato) Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 55 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 56 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” *Ordinario di Diritto Penale all’Università di Milano Il giudice e la bioetica di Francesco Viganò* 1. Il problema. Le recenti vicende giurisprudenziali relative ai casi Welby ed Englaro hanno posto all’ordine del giorno, tra l’altro, la questione se i giudici italiani abbiano ‘sconfinato’ dai loro poteri istituzionali di applicatori ed interpreti del diritto positivo, ed abbiano così arbitrariamente invaso terreni riservati al legislatore democraticamente eletto; al punto che, in relazione al caso Englaro, le camere hanno addirittura ritenuto di sollevare, l’estate scorsa, un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato avanti alla Corte costituzionale, invero prontamente giudicato inammissibile dalla Consulta1. A molti esponenti politici, ma anche a qualche autorevole professore universitario, è parso — in effetti — che almeno alcuni dei giudici che si sono occupati di tali vicende abbiano scavalcato il Parlamento nell’affermare la legittimità di pratiche eutanasiche, in assenza di qualsiasi legge che consentisse di pervenire a tale risultato, e in presenza anzi di dati normativi orientati in senso diametralmente opposto. Con il risultato, per utilizzare un’espressione familiare nel lessico giuridico nordamericano, di un anomalo ‘attivismo giudiziale’, che si risolverebbe in un frontale attacco al principio della separazione dei poteri e al suo 56 corollario della soggezione del giudice alla legge. Il carattere indubbiamente innovativo delle soluzioni cui la giurisprudenza è pervenuta nei due casi suscita, del resto, un diffuso allarme in relazione alla natura particolarmente ‘sensibile’ della materia delle decisioni mediche di fine vita. Da un lato, la creatività interpretativa dei giudici è da sempre guardata con sospetto dai giuristi quando, come nei casi di specie, abbia ad oggetto (diretto o indiretto) l’applicazione del diritto penale, e cioè di quel settore dell’ordinamento che più è informato ad esigenze di legalità formale e di certezza nell’applicazione della legge. Dall’altro, e soprattutto, la materia qui in discussione tocca nientemeno che il valore della vita umana, e della sua ‘sacralità’: tema politicamente assai caldo, non solo in Italia, e che costituisce da vari decenni un acuto terreno di scontro tra posizioni liberal e visioni religiosamente orientate del mondo, delle quali in particolare la Chiesa cattolica è indiscussa portavoce nel nostro Paese. Di qui l’istanza a che ad assumere decisioni in una materia così delicata sia il Parlamento, in esito a un procedimento trasparente nel quale si canalizzi la volontà della maggioranza della popolazione — non già di giudi- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 57 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” ci sprovvisti di una (diretta) legittimazione democratica. Una simile istanza viene formulata, è inutile nasconderlo, in un momento di acuta tensione tra potere politico e giudici in Italia; e rischia pertanto di assumere sin da subito connotazioni che trascendono, e di gran lunga, il merito della specifica questione controversa. In discussione è, in generale, la questione del rapporto tra legislatore democratico e potere giudiziario: da una parte invocandosi l’idea di uno stretto vincolo del giudice alla volontà sovrana della legge, e dall’altra rivendicandosi il potere-dovere del giudice di interpretare le singole norme di legge alla luce del quadro complessivo dei principi su cui l’intero ordinamento si fonda, con conseguente possibilità per il giudice di pervenire autonomamente a risultati innovativi rispetto alla tradizione, senza necessariamente passare per una previa presa di posizione da parte del legislatore. Questo intervento vorrebbe costituire un piccolo contributo ad una pacata impostazione della questione, con specifico riferimento al tema delle decisioni mediche di fine vita: al riparo, per quanto possibile, dalle suggestioni immediate provenienti dal dibattito politico, e dalle tensioni istituzionali in atto. 2. Un breve sguardo al di là dei confini nazionali. Uno sguardo anche solo cursorio all’esperienza giuridica di altri Paesi mostra, per cominciare, come il ruolo fortemente proattivo dei giudici in questa materia non sia una peculiarità soltanto italiana. 2.1. — Illuminante, in proposito, è l’esperienza degli Stati Uniti: del Paese, cioè, dove questi temi sono stati per primi estesamente affrontati, ormai da più di tre decenni. Il quadro normativo di partenza era, in tutti gli ordinamenti statunitensi, in buona parte sovrapponibile a quello italiano. Anche lì costituiva, e tuttora costituisce reato cagionare la morte di un uomo, ancorché con il suo consenso; e pressoché in ogni Stato erano e sono tuttora in vigore norme che incriminano l’istigazione e l’assistenza all’altrui suicidio. A partire dalla metà degli anni settanta, tuttavia, le giurisprudenze statali — e poi la stessa Corte Suprema federale2 — hanno preso a riconoscere un diritto fondamentale, di rango costituzionale, a rifiutare il trattamento medico, affermando la regolare prevalenza di tale diritto rispetto alle istanze di tutela della stessa vita umana, alla quale pure si attribuisce pacifica57 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 58 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati mente un connotato di ‘sacralità’. Con il risultato di legittimare, per questa via, le condotte strumentali all’esercizio di tale diritto da parte del paziente, e in particolare l’interruzione di trattamenti medici di sostegno vitale come la respirazione assistita. Chiave di volta in questo sviluppo giurisprudenziale è stata la valorizzazione del diritto costituzionale alla privacy: diritto, invero, non espressamente menzionato dalla Costituzione federale né dalla più parte delle Costituzioni statali, ma elaborato da una giurisprudenza fortemente ‘creativa’ della Corte Suprema federale tra gli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, e culminata nel 1973 con la celebre Roe v. Wade in materia di aborto3. In queste pronunce, la Corte gradatamente enuclea e sviluppa la prospettiva di un diritto fondamentale alla privacy, dotato di rango costituzionale e inteso — con l’inevitabile approssimazione che è inevitabile in ogni formula di sintesi — come il diritto di ciascuno a essere lasciato solo nelle decisioni che più intimamente concernono la propria esistenza, e a non subire conseguentemente intrusioni da parte della collettività in questa sfera personale. Tale diritto comprende, in particolare, le decisioni concernenti la propria vita sessuale, l’e58 ducazione dei figli, la scelta se portare avanti una gravidanza, nonché — per l’appunto — la decisione se sottoporsi, o non sottoporsi, a un trattamento medico. Con conseguente riconoscimento, per l’appunto, di un diritto ‘fondamentale’ — come tale tutelabile dalla giurisprudenza a prescindere da ogni mediazione legislativa, ed anzi resistente a qualsiasi eventuale scelta di segno contrario da parte del legislatore federale o statale — a rifiutare trattamenti medici. Tale diritto soggiace, invero, a possibili bilanciamenti con altri diritti o valori fondamentali nell’assetto costituzionale, primo fra tutti il valore della vita umana. Ma, nella quasi totalità dei casi affrontati dalle corti statali negli ultimi trent’anni, la giurisprudenza statunitense ha sempre coerentemente negato che le istanze di tutela della vita in quanto tali possano tradursi in una (legittima) limitazione del diritto a rifiutare trattamenti medici, anche nell’ipotesi in questi ultimi siano necessari per assicurare la sopravvivenza del paziente medesimo. Il quale, dunque, ha un vero e proprio diritto costituzionale a non essere sottoposto a trattamenti di sostegno vitale contro la propria volontà (ad es., emotrasfusioni necessarie quoad vitam)4, ovvero ad ottenere dal medico la loro Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 59 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” interruzione nell’ipotesi in cui siano già in atto (ad es., la respirazione assistita) — corollario, quest’ultimo, costantemente affermato dalle corti americane a partire dalla fine degli anni settanta, in relazione a casi di specie in tutto e per tutto sovrapponibili al caso Welby5. In relazione poi ai casi concernenti pazienti incapaci, le giurisprudenze statali si sono assai precocemente orientate — a partire dal seminal case Quinlan, deciso nel 1976 dalla Corte Suprema del New Jersey6 — a ritenere che il diritto fondamentale a rifiutare trattamenti medici, in quanto espressivo di un’idea di sovranità dell’individuo sulle scelte che più intimamente attengono alla propria persona, debba essere in linea di principio riconosciuto anche al paziente incapace, il quale potrà esercitarlo tramite il proprio legale rappresentante, che ha istituzionalmente il compito di tutelare la globalità degli interessi del rappresentato. Il legale rappresentante sarà chiamato, più in particolare, a vagliare se il trattamento medico (anche di sostegno vitale) sia davvero rispondente agli interessi soggettivi dell’incapace, ovvero se si risolva soltanto in una inutile e/o dannosa intrusione nel suo corpo, contraria ai suoi reali interessi; e ad esprimere, così, in sua vece il consenso o — all’opposto — il dissenso rispetto all’intervento medesimo, in esito a quello che le corti statunitense chiamano ‘giudizio sostitutivo’ della volontà dell’incapace. Compito delle corti sarà, a questo punto, soltanto la verifica della correttezza dell’iter che ha condotto il legale rappresentante alla eventuale decisione di negare il consenso al trattamento, assicurandosi in particolare che il rappresentante sia davvero pervenuto alla decisione calandosi nei panni del paziente — nel suo mondo di valori, nella sua personalità, nei suoi reali interessi —, e non già sovrapponendo indebitamente a tutto ciò i propri personali convincimenti o, peggio, i propri personali interessi (economici o di altra natura). Un esito, come è evidente, identico a quello cui è pervenuta la Cassazione nella sua sentenza sul caso Englaro. 2.2. — Di notevole interesse appare anche l’esperienza dell’ordinamento inglese, caratterizzato da un sistema normativo assai diverso da quello statunitense — stante, in particolare, l’assenza di una carta costituzionale. Anche qui, i referenti normativi immediati sono assai simili a quelli italiani: pacifica la responsabilità penale di chi cagioni la 59 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 60 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati morte di un uomo con il suo consenso; e anche qui le condotte di aiuto e assistenza al suicidio sono penalmente rilevanti in forza di una incriminazione ad hoc. Eppure, seppur con qualche ritardo rispetto agli Stati Uniti, nemmeno le corti inglesi hanno avuto dubbi nell’affermare l’inapplicabilità di tali norme penali nel caso in cui il medico si limiti ad aderire alla richiesta del paziente di omettere o interrompere un trattamento medico indesiderato7. L’argomentazione che consente di giungere a tale conclusioni si muove qui sul piano delle regole tradizionali di common law. Ogni trattamento medico, si afferma, costituisce un’invasione del corpo del paziente, che integra come tale l’elemento oggettivo del reato (e del corrispondente illecito civile) di battery. Ogni trattamento necessita dunque di una specifica ragione giustificativa per essere considerato lecito. Ora, rispetto al paziente cosciente e capace, la sola ragione giustificativa che può venire in considerazione — a parte i marginalissimi casi di trattamento obbligatorio per legge, in vista della tutela di interessi collettivi — è rappresentata dal consenso informato del paziente, in difetto del quale il trattamento resta illecito: produttivo, assieme, di responsabilità civile e penale a 60 carico del sanitario che lo abbia praticato. Ciò vale, come le corti inglesi hanno ormai ampiamente riconosciuto, anche nell’ipotesi in cui il trattamento sia necessario ad assicurare la sopravvivenza del paziente (come nel caso paradigmatico dell’assistenza respiratoria): le istanze di tutela della ‘scaralità della vita’ cedono qui il passo di fronte alla tutela della inviolabilità del corpo del paziente assicurata dalla dottrina del consenso informato. La questione della liceità della interruzione di un trattamento di sostegno vitale nei confronti di un paziente incapace, e segnatamente nei confronti di un paziente in stato vegetativo permanente, è invece venuta in considerazione nel caso Bland, deciso dalla House of Lords nel 1993. In quell’occasione, i supremi giudici inglesi si discostarono dalle cadenze argomentative della giurisprudenza americana, evitando di percorrere la strada del giudizio sostitutivo sulla presumibile volontà dell’incapace. Piuttosto, essi argomentarono direttamente dalla futilità di un trattamento di sostegno vitale (come l’alimentazione e l’idratazione artificiale) nei confronti di un paziente ormai irreversibilimente incosciente rispetto a qualsiasi pensabile scopo della medicina — terapeutico, o anche Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 61 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” solo palliativo —, per dedurne la non doverosità della sua prosecuzione a oltranza. La mancata prosecuzione di tale trattamento deve pertanto, secondo la House of Lords, considerarsi penalmente irrilevante, in difetto di qualsiasi obbligo in capo ai sanitari di continuare a praticare il trattamento medesimo8. 2.3. — Si potrebbe a questo punto pensare che l’attivismo giudiziale sia fisiologico, anche in una materia così delicata come quella delle decisioni di fine vita, in ordinamenti di common law come quelli sin qui considerati; ma che le cose stiano diversamente in ordinamenti di civil law, nei quali non si riconosce — almeno formalmente — alla giurisprudenza il ruolo di autentica fonte del diritto. Uno sguardo all’esperienza tedesca in materia smentisce tuttavia radicalmente questa ipotesi. In presenza, anche qui, di un quadro normativo di partenza in larga misura sovrapponibile a quello italiano (con la presenza, in particolare, di una norma che incrimina l’omicidio del consenziente), la giurisprudenza tedesca — preceduta da una vasta elaborazione dottrinale — è giunta negli ultimi decenni ai medesimi esiti pratici cui si è pervenuti negli Stati Uniti e in Inghilterra: liceità (e anzi, doverosità) dell’o- missione o interruzione di cure, anche di sostegno vitale, rifiutate dal paziente; possibile liceità dell’interruzione di trattamenti di sostegno vitale a pazienti incoscienti, in particolare in stato vegetativo permanente. Quanto ai pazienti capaci, il fondamento del diritto al rifiuto di ogni trattamento medico, anche se necessario per la sopravvivenza, viene concordemente ravvisato nell’art. 2 co. 2 della Costituzione federale, che tutela il diritto fondamentale alla inviolabilità corporea9. Poiché ogni trattamento implica una invasione della sfera corporea, esso necessita di una speciale legittimazione dal punto di vista costituzionale. Tale legittimazione è normalmente costituita, nel caso del paziente capace, dal suo consenso informato, al quale è possibile dergoare soltanto nei casi particolarissimi in cui il trattamento sia imposto per legge per soddisfare preminenti interessi pubblici. In assenza di una specifica legge autorizzativa, dunque, nessun trattamento medico potrà essere legittimamente compiuto su di un paziente capace che lo rifiuti; e, laddove un trattamento sia già in atto, esso dovrà essere interrotto alloché il paziente lo richieda. Ciò vale anche nel caso, intensamente discusso da almeno quarant’anni in Germania, dello 61 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 62 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati spegnimento del respiratore: qualunque sia, infatti, la soluzione adottata dai diversi autori circa la natura attiva od omissiva della condotta del medico che, su richiesta del paziente, spenga il pulsante del respiratore10, vi è ormai assoluta concordia sulla valutazione finale di liceità (dal punto di vista non solo del diritto penale, ma dell’intero ordinamento) di una simile condotta, necessaria ad assicurare il rispetto del diritto costituzionale del paziente a non essere sottoposto a un trattamento medico indesiderato. Quanto poi ai pazienti incapaci, e in particolare a quelli in stato vegetativo permanente, il Tribunale Supremo Federale affermò per la prima volta nel 1994 la possibile liceità dell’interruzione dell’alimentazione e idratazione artificiale, in presenza di una diagnosi medica di irreversibilità di quella condizione patologica e allorché possa evincersi una volontà presunta del paziente in tal senso11. La successiva giurisprudenza civile ha poi precisato che la decisione di interrompere il trattamento deve essere assunta — una volta che consti la diagnosi medica di irreversibilità — dal legale rappresentante del paziente, al metro di ciò che il paziente medesimo avrebbe desiderato se avesse avuto la possibilità di esprimersi, 62 e tenendo conto di eventuali sue reali manifestazioni di volontà anticipate; salvo il controllo di ultima istanza del giudice tutelare, il quale dovrà fornire l’autorizzazione finale all’interruzione del trattamento12. Nonostante qualche controversia di dettaglio, la soluzione di fondo riscuote un larghissimo consenso anche presso la dottrina, la quale rileva in sostanza come essa si fondi sul principio secondo cui anche il trattamento compiuto nei confronti di un paziente incapace, in quanto invasivo della sua sfera corporea, necessita di una positiva legittimazione al metro del diritto costituzionale; positiva legittimazione che è normalmente fornita dalla volontà presunta del paziente di sottoporsi al trattamento, così come interpretata e espressa dal suo legale rappresentante. Con l’ovvio corollario che, laddove risulti invece una volontà (presunta) contraria alla prosecuzione del trattamento, potendosi fondatamente ritenere che quel concreto paziente non avrebbe desiderato continuare a essere sostenuto in vita in quelle condizioni, il trattamento ben potrà (e a rigore dovrà) essere interrotto. 2.4. — Tirando le somme: in ognuno degli ordinamenti ora esaminati sono stati i giudici ad Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 63 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” avere, di fatto, modificato lo stato del diritto vigente, affermando in via pretoria principi e regole prima inesistenti nel sistema. Le ragioni sono intuibili: i giudici non temono di perdere voti con decisioni magari sgradite a una parte del loro elettorato, e si trovano d’altra parte ad affrontare i drammi dell’esistenza umana in maniera assai più diretta di quanto non faccia il parlamento — i giudici devono dare una risposta immediata alle persone in carne ed ossa che a loro si rivolgono, e non possono sottrarsi alla responsabilità di una decisione qui ed ora. Diverse, invero, le vie seguite dalle diverse giurisprudenze, in relazione alle peculiarità di ciascun ordinamento; e qualche volta diverse le stesse rationes decidendi, come nell’ipotesi dell’interruzione del sostegno vitale nei confronti del paziente in stato vegetativo permanente, dove al criterio della ricostruzione della sua volontà presunta adottato negli Stati Uniti e in Germania fa da contraltare la soluzione inglese, che prescinde del tutto da tale volontà presunta e afferma la liceità dell’interruzione del trattamento sulla base di un mero giudizio medico di futilità della terapia. Ma del tutto analoghi gli esiti pratici cui tali elaborazioni giurisprudenzali conducono, e segnatamente: — diritto del paziente di rifiutare ogni trattamento medico, anche se di sostegno vitale, e anche se già in corso di esecuzione, con conseguente liceità dal punto di vista giuridico-penale dell’omissione o interruzione delle terapie rifiutate dal paziente; — possibile liceità (dal punto di vista dell’intero ordinamento, e dunque anche dal punto di vista del diritto penale) della interruzione di trattamenti di sostegno vitale nei confronti di pazienti in stato vegetativo permanente. 3. Vincoli normativi e libertà interpretativa del giudice italiano: a) il caso Welby Si obietterà: tutto ciò varrà pure per gli Stati Uniti, per l’Inghilterra, per la Germania; ma, nell’ordinamento italiano, il giudice è soggetto alla legge (art. 101 Cost.), e a quella deve attenersi. Interpretandola e applicandola al caso concreto: non creando una nuova disciplina, a prescindere da, e magari contro, la stessa volontà del legislatore. Proprio questo sarebbe invece accaduto, si sostiene, in relazione ai casi Welby e — soprattutto — Englaro. I giudici che di tali vicende si sono occupati avrebbero deliberatamente ignorato i dati normativi, i quali avrebbero invece indicato loro una soluzio63 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 64 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ne univoca: quella, cioè, dell’illiceità, e anzi della rilevanza penale, di condotte interruttive di trattamenti di sostegno vitale. Cominciando dal caso Welby, alcuni dei giudici che si erano occupati del caso avevano fatto leva sulla presenza, nell’ordinamento penale, di una norma incriminatrice dell’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.), considerata applicabile al caso dello spegnimento del respiratore, che non pareva loro lasciar spazio ad un giudizio di liceità della condotta13. D’altra parte, da tale norma e da altre presenti nell’ordinamento (in particolare, l’art. 580 c.p. e l’art. 5 c.c.) si evincerebbe un generale principio di indisponibilità della vita umana, che si opporrebbe frontalmente all’idea secondo cui un paziente possa rifiutare o addirittura chiedere l’interruzione di un trattamento di sostegno vitale, esponendosi così volontariamente alla prospettiva di una morte certa e disponendo, dunque, della propria vita. L’argomento, insomma, è duplice, fondandosi da un lato sull’ostacolo rappresentato dalla singola norma di legge di cui all’art. 579 c.p.; dall’altro, su di un principio di indisponibilità della vita umana che si assume sotteso all’ordinamento positivo nel suo complesso, che il giudice non potrebbe disattendere in via 64 di interpretazione. 3.1. — L’idea, tuttavia, che l’art. 579 c.p. in quanto tale opponga un ostacolo insuperabile alla soluzione della liceità della interruzione del sostegno respiratorio è quanto meno ingenua. Chiunque abbia una qualche familiarità con il diritto penale sa che la verifica della corrispondenza di un fatto concreto al paradigma astratto disegnato da una norma incriminatrice è soltato il primo passo verso l’affermazione della responsabilità penale di un individuo, essendo ben possibile che la commissione di quel fatto risulti in realtà facoltizzata o imposta da un’altra norma dell’ordinamento, prevalente sulla norma incriminatrice ex art. 51 c.p. Senza contare poi che, laddove l’interruzione del trattamento venisse categorizzata come omissione della prosecuzione del trattamento, la rilevanza penale della condotta verrebbe a dipendere dalla questione preliminare se sussita un obbligo giuridico, rilevante ex art. 40 co. 2 c.p., di continuare a praticare il trattamento medesimo nonostante il dissenso manifestato dal paziente. L’una e l’altra verifica impongono naturalmente al giudice penale — come si legge su qualsiasi manuale — di allargare il proprio sguardo all’intero ordi- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 65 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” namento, al di là degli angusti confini segnati dalle norme incriminatrici, abbracciando anche le norme costituzionali su cui l’intero ordinamento si fonda. Norme, queste ultime, la cui immediata precettività è da decennni affermata dalla nostra giurisprudenza, che utilizza costantemente tali norme quali diretti parametri di decisione del caso concreto. Del tutto ovvio, allora, che nella decisione del caso Welby abbia fatto irruzione l’art. 32 co. 2 Cost.: che viene qui in rilievo, si noti, non tanto come normaprincipio dai contenuti vaghi e generici, come a volte si sostiene; bensì come regola, dal contenuto chiaro e preciso, che lapidariamente sancisce il diritto di ciascuno a non essere sottoposto a trattamenti sanitari “obbligatori”, a meno che il trattamento non sia previsto come tale da una legge rispettosa della persona umana. Diritto, quest’ultimo, ulteriormente ribadito (e ivi circondato da ulteriori garanzie: predeterminazione legislativa di “casi e modi” della sua possibile limitazione; riserva giurisdizionale) dall’art. 13 Cost., che secondo l’interpretazione ormai costantemente accolta dalla Corte costituzionale tutela l’individuo contro ogni diretta coercizione sul corpo. Come sciogliere, a questo punto, l’antinomia tra l’art. 579 c.p., da un lato, e gli artt. 13 e 32 co. 2 Cost., dall’altro, in relazione al caso Welby? Posta la sicura prevalenza, sul piano della gerarchia delle fonti, delle norme costituzionali sulla norma ordinaria, il giudice avrebbe teoricamente potuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 579 c.p., nella parte in cui vieta di cagionare la morte di una persona con il suo consenso anche nell’ipotesi in cui la condotta consista nell’interruzione di un trattamento da quest’ultima rifiutata. Ma il rinvio degli atti alla Corte non era a ben guardare necessario nel caso di specie, l’antinomia potendo essere qui pianamente sciolta con gli ordinari strumenti interpretativi di cui il giudice penale dispone: sul piano del giudizio di antigiuridicità della condotta, ovvero sul piano della determinazione del contenuto dell’obbligo giuridio di impedire l’evento di cui all’art. 40 co. 2 c.p. La strada prescelta dal g.u.p. di Roma è stata, come è noto, la prima. Se dall’art. 32 co. 2 (e dallo stesso art. 13) Cost. discende in capo a ciascun individuo un diritto fondamentale a rifiutare trattamenti medici indesiderati, eventuali trattamenti già in atto nei confronti di un paziente dissenziente dovranno essere giudi65 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 66 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati cati lesivi di tale diritto fondamentale, e come tali dovranno essere interrotti. Il medico che interrompa il trattamento, allora, starà semplicemente adempiendo un proprio dovere, che è necessario pendant al diritto del paziente di rifiutare di trattamenti medici riconosciutogli dalla Costituzione; con conseguente esclusione dell’illiceità della condotta ai sensi dell’art. 51 c.p.14 Una strada alternativa — adottata dalla dottrina prevalente in Germania — era quella che io stesso avevo ipotizzato in un contributo ‘a caldo’ sul caso Welby, prima che intervenisse la pronuncia esaminata del g.u.p. di Roma. Interrompere un trattamento di sostegno respiratorio significa, in definitiva, omettere l’ulteriore trattamento necessario a mantenere in vita il paziente (a poco rilevando la circostanza che, naturalisticamente, tale interruzione di cure debba passare per una condotta positiva come lo spegnimento di un bottone, la sostanza della condotta riducendosi pur sempre alla rinuncia ad ulteriori sforzi terapeutici, e a lasciar morire in pace — anziché ad uccidere! — il paziente). Ma un’omissione è penalmente rilevante soltanto allorché contravvenga ad un dovere di agire che trovi la sua fonte nell’intero ordinamento 66 (art. 40 co. 2 c.p.). E tale dovere di agire non sussiste allorché un paziente capace di autodeterminarsi rifiuti il trattamento, esercitando così il proprio diritto costituzionale ex artt. 13 e 32 co. 2 Cost. — il dissenso del paziente operando qui come limite alla stessa posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente15. L’una e l’altra strada convergono, comunque, verso il medesimo risultato: la condotta del medico che interrompa un trattamento di sostegno vitale nei confronti di un paziente che tale trattamento rifiuti deve essere considerata lecita (e, a ben guardare, doverosa), e comunque penalmente irrilevante, nonostante la presenza nell’ordinamento dell’art. 579 c.p. Norma, quest’ultima, che continuerà ad applicarsi in una quantità di altre ipotesi (si pensi al caso del paziente che chieda e ottenga la somministrazione di una sostanza letale): ma non al caso in cui la condotta (attiva od omissiva che sia) dalla quale deriva la morte del paziente consista soltanto nel far venir meno un trattamento, invasivo del suo corpo, e rifiutato dal paziente medesimo. 3.2. — Superato così l’ostacolo rappresentato dall’art. 579 c.p., resta a questo punto l’obiezione legata al principio di indi- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 67 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” sponibilità della vita umana, che si vorrebbe desumere in via induttiva, oltre che dallo stesso art. 579 c.p., dagli artt. 580 c.p. e 5 c.c., e che si opporrebbe alla soluzione della liceità dell’interruzione di trattementi di sostegno vitale su richiesta del paziente. Al riguardo, non v’è dubbio che l’idea dell’indisponibilità della vita (e della stessa integrità fisica oltre i limiti segnati dall’art. 5 c.c.) fosse sottesa a quelle norme, secondo le intenzioni del legislatore storico del 1930 e del 1942. Ma il problema è, evidentemente, se quella idea — e le ragioni che ne costituivano allora il fondamento — abbia oggi una copertura costituzionale tale da consentirle di prevalere sullo stesso diritto (questo sì di rango certamente costituzionale, ex art.. 13 e 32 co. 2 Cost.) di rifiutare trattamenti medici, nell’ipotesi in cui il rifiuto equivalga nei fatti ad un atto dispositivo della propria vita da parte del paziente. Il mero richiamo al diritto alla vita, tutelato dall’art. 2 Cost. in quanto ‘diritto inviolabile’ della persona, si rivela qui inconferente: perché l’‘inviolabilità’ allude in primo luogo ad una tutela del diritto contro aggressioni da parte di terzi, e non si estende necessariamente anche ad una tutela contro aggressioni prove- nienti dallo stesso titolare del diritto, cui fa riferimento invece il concetto di ‘indisponibilità’. Il rango costituzionale del principio di ‘indisponibilità’, in effetti, è in genere postulato ma non dimostrato, in difetto di qualsiasi base testuale nella Costituzione; il principale argomento in suo favore essendo, in definitiva, quello fondato sulla tradizione giuridica precedente all’avvento alla Costituzione, che si assume implicitamente richiamata ed avallata dai costituenti in difetto di una specifica presa di posizione in senso contraria. Davvero un po’ poco, per fondare in questo modo limitazioni al diritto costituzionale all’inviolabilità del proprio essere fisico (sotteso al diritto al rifiuto dei trattamenti medici) in assenza di qualsiasi legge che — nel rispetto delle riserve di legge e di giurisdizione poste dagli artt. 13 e 32 co. 2 Cost. — definisca ‘casi e modi’ della possibile limitazione, prevedendo i necessari controlli giurisdizionali per l’eventuale uso di una ‘coazione terapeutica’. 3.3. — In conclusione: la soluzione cui è pervenuto il g.u.p. di Roma appare non solo sostenibile al metro del diritto positivo italiano; ma, lungi dal costituire una anomala forma di ‘supplenza giudiziale’ di suppo67 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 68 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ste lacune legislative, appare a ben guardare come l’unica compatibile con il diritto (in primis costituzionale) vigente. L’assenza di una legge ordinaria che disciplini il rifiuto di trattamenti di sostegno vitale non significa affatto, come da molte parti superficialmente si ritiene, che si sia di fronte ad una lacuna, giacché ben due norme costituzionali risultano applicabili al caso, vietando l’esecuzione di trattamenti coattivi nei confronti del paziente a meno che il legislatore non abbia previsto espressamente la possibilità di eseguire il trattamento nonostante il dissenso del paziente. Il silenzio del legislatore ordinario significa dunque che quel divieto non tollera, allo stato, eccezioni; e che, laddove sia in atto un trattamento coattivo (id est, un trattamento imposto ad un paziente nonostante la sua contraria volontà), esso dovrà essere interrotto, per un’elementare esigenza di rispetto dei diritti fondamentali del paziente. 4. (Segue): b) il caso Englaro Quanto al caso Englaro, la soluzione era certamente più complessa, e meno univocamente desumibile dal diritto positivo. 4.1. — Anche in questo caso v’era, tuttavia, un dato dal quale partire, e che da poche parti è 68 stato messa in adeguata luce: la legittimità della prosecuzione di un trattamento invasivo del corpo della paziente, come l’alimentazione e l’idratazione artificiale, non può essere data per scontata, giacché ogni invasione del corpo richiede una specifica giustificazione al metro del diritto costituzionale. Il problema non è qui dunque solo quello di valutare la legittimità di una eventuale interruzione del trattamento che tiene in vita il paziente; quanto, ancor prima, di accertare la stessa legittimità del trattamento che attualmente gli viene praticato16. Nella nota sentenza dell’ottobre 200717, che tante critiche ha attirato da parte dell’attuale maggioranza parlamentare, la Cassazione aveva in effetti assunto questo (implicito) punto di partenza, interrogandosi anzitutto sulle possibili condizioni di legittimazione del trattamento medico. Lungi dal rappresentare — come pure si è da taluno sostenuto — un lungo obiter dictum, le considerazioni sul punto della sentenza sono essenziali nell’iter motivazionale che conduce alla decisione del caso di specie, e si muovono sulla base di principi di ormai universale accoglimento in ambito nazionale e internazionale, tanto da essere stati codificati nella Convenzione di Oviedo: e cioè nello strumento inter- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 69 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” nazionale elaborato in seno al Consiglio d’Europa che si propone di declinare i diritti fondamentali dell’uomo nella materia della medicina e della sperimentazione clinica. Il normale presupposto di liceità del trattamento medico, osserva la Cassazione, è rappresentato dal consenso informato del paziente (art. 5 Conv. Oviedo). Laddove non sia possibile acquisire un tale consenso, segnatamente nel caso in cui il paziente sia incapace, la regola suppletiva posta dall’art. 6 Conv. Oviedo è quella che attribuisce la responsabilità della decisione al legale rappresentante del paziente medesimo: regola, questa, perfettamente in linea con il diritto di famiglia italiano, che conferisce al legale rappresentante il potere-dovere della “cura della persona” dell’incapace, oltre che dei suoi interessi partrimoniali (artt. 357 e 424 c.c.). Un trattamento effettuato nei confronti di un paziente incapace sarà dunque lecito soltanto a condizione che venga effettuato sulla base del consenso informato del legale rappresentante, salvi i casi di urgenza terapeutica nei quali non vi sia il tempo di acquisire tale consenso (per irreperibilità o mancata nomina del legale rappresentante), nei quali il medico sarà senz’altro legittimato ad agire nell’interesse del paziente (art. 8 Conv. Oviedo, e art. 54 c.p. nell’ordinamento italiano), e salvi i casi di trattamento legittimato da apposite disposizioni di legge (ad es. nei confronti dei pazienti psichiatrici: art. 7 Conv. Oviedo, e art. 33 ss. l. 833/1978 nell’ordinamento italiano). Al di fuori di queste particolari ipotesi, il dissenso del legale rappresentante esclude di regola che il trattamento possa ritenersi legittimo. Ciò posto, il problema che più specificamente era posto all’attenzione della Cassazione concerneva i criteri decisionali ai quali il legale rappresentante è tenuto ad attenersi nell’esprimere la propria volontà in ordine al trattamento da praticare all’incapace. Poiché, in effetti, le decisioni del legale rappresentante devono comunque essere funzionali agli interessi del rappresentato, potendo altrimenti il tribunale sostituirsi alla sua valutazione per assicurare la salvaguardia di tali interessi, il nodo reale del contendere era se potesse considerarsi legittima la decisione di un tutore (nel caso di specie, il padre di Eluana) di negare il consenso alla prosecuzione dell’alimentazione e idratazione artificiale che attualmente tiene in vita la ragazza. Per quanto prima facie la risposta negativa potesse apparire come la più plausibile (come 69 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 70 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati può essere considerata nell’interesse di un incapace una decisione che ha per effetto la morte dell’incapace medesimo?), la Cassazione osserva — sulla scorta dei precedenti americani e tedeschi ricordati poc’anzi — come il criterio decisionale cui il legale rappresentante deve sempre attenersi sia quello della volontà presunta dell’incapace: della volontà, cioè, che il paziente ora incapace avrebbe verosimilmente formato ove fosse stato in condizione di prevedere, allorché ancora era capace, di trovarsi in futuro in una simile situazione di incapacità. Né tale criterio decisionale appare il frutto di una acritica importazione di modelli elaborati nell’ambito di ordinamenti stranieri, posto che è lo stesso legislatore italiano ad avere già utilizzato il criterio medesimo nell’ambito della normativa in tema di sperimentazione clinica su incapaci (l.lgs. 211/2003): in un settore, dunque, estremamente sensibile e delicato, nel quale massime sono le esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali dei soggetti ‘deboli’ e non in grado di far sentire direttamente la propria voce. Un tale delicato giudizio può compiersi, osserva ancora la Cassazione, soltanto calandosi nei panni del paziente: nel suo mondo personalissimo di interes70 si, di valori, di convincimenti etici, e nella sua generale visione del mondo; in maniera tale, comunque, che la decisione appaia il più possibile quella che dà voce al paziente medesimo, anziché quella che altri (poco importa se i medici, i giudici o il legale rappresentante) ritengono la più opportuna per il paziente. Se questo è il test, allora — conclude la Cassazione — non può darsi per scontato che il paziente avrebbe senz’altro deciso di sottoporsi ad un trattamento in grado di prolungare la sua sopravvivenza. Esistono situazioni cliniche in presenza delle quali è del tutto plausibile che il paziente non avrebbe mai desiderato essere tenuto in vita indefinitamente; e lo stato vegetativo permanente è probabilmente una di esse. Il mero prolungamento dell’esistenza biologica, in assenza di qualsiasi processo psichico che consenta al paziente di percepire ed apprezzare la propria stessa esistenza, potrebbe essere fondatamente essere giudicato come una situazione indesiderabile, non foss’altro che perché una tale situazione finisce per prolungare ad infinitum una scomparsa a tutti gli effetti già avvenuta, impedendo a tutte le persone che amavano il paziente di risolvere ed elaborare il lutto legato a quella scomparsa. Di qui il principio di diritto Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 71 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” tanto contestato, e frainteso, della Cassazione: spetta al legale rappresentante, una volta che i medici abbiano espresso un giudizio (ragionevolmente certo) sulla irreversibilità dello stato vegetativo, valutare se quel concreto paziente avrebbe desiderato essere mantenuto in vita indefinitamente in quella condizione, ovvero avrebbe — all’opposto — desiderato essere lasciato morire in pace. Laddove dunque il legale rappresentante concluda in questo secondo senso, con un giudizio condiviso dall’eventuale curatore speciale e passato al vaglio dal tribunale affinché sia escluso ogni vizio nel processo decisionale (quale quello che potrebbe derivare da un eventuale conflitto di interessi con il paziente incapace), il trattamento ben potrà — e fors’anche dovrà — essere interrotto. Non ostano, ancora una volta, a tale conclusione le vigenti norme penali in tema di omicidio: perché, laddove si convenga almeno in questo caso con la categorizzazione in termini omissivi della condotta del sanitario che, su istruzione del legale rappresentante, non sostituisca le sacche di liquidi e di sostanze nutritive esaturitesi, l’omissione non potrebbe dirsi penalmente rilevante ex art. 40 co. 2 c.p. in difetto di un corrispondente obbligo giuridico di proseguire con la somministrazione di liquidi e sostanze nutritive. 4.2. — La decisione della Cassazione rimane, con tutto ciò, aperta a possibili critiche e dissensi su una quantità di profili problematici: a cominciare dalla controversa qualificazione dell’alimentazione e idratazione artificiale come autentico ‘trattamento medico’ ovvero come assistenza di base (basic care) che non potrebbe mai essere pretermessa — questione, peraltro, che personalmente ritengo essere sopravvalutata, a fronte della natura indubitabilmente invasiva di tali pratiche e della conseguente necessità di una loro legittimazione al metro della volontà reale o presunta del paziente, alla pari dei trattamenti medici stricto sensu —; per giungere sino alla questione cruciale relativa all’affidabilità di una ricostruzione della volontà presunta demandata al tutore sulla base di indizi tratti dalla vita precedente del paziente, spesso di non univoca interpretazione e di limitato valore probatorio rispetto alla scelta di vita o di morte che ci si trova, anni dopo, a dover compiere. Un dato, però, è certo: la Cassazione non si è affatto ‘inventata’ una soluzione avulsa dal diritto positivo, ma ha argomentato rigorosamente a partire dal dato 71 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 72 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati centrale del bisogno di legittimazione, dal punto di vista dell’ordinamento positivo, di ogni trattamento invasivo del corpo del paziente, interrogandosi conseguemente sulle condizioni di liceità del trattamento medesimo, alla luce di dati normativi presenti nel nostro ordinamento, e di principi sui quali converge ormai l’unanime consenso internazionale. L’assenza di una specifica normativa di rango ordinario che disciplini la possibile interruzione dell’alimentazione e idratazione artificiale a pazienti nelle condizioni di Eluana Englaro non significa affatto, in questo quadro, che l’interruzione non sia mai consentita; restando piuttosto tutto da dimostrare, a monte, se la prosecuzione a oltranza del trattamento – invasivo del corpo della paziente – debba ritenersi sempre legittima e doverosa in nome della salvaguardia della vita del paziente; ovvero se l’obbligo di mantenere in vita un paziente possa ragionevolmente arrestarsi a un certo punto, anche con l’effetto di far venir meno l’obbligo giuridico di impedire la morte del paziente evocato dall’art. 40 co. 2 c.p. Il richiamo al generale divieto di uccidere posto dall’art. 575 c.p. non basta a risolvere il problema: perché il problema qui in discussione è, ripeto, quella dell’even72 tuale sussistenza di un limite al dovere di cura, la cui violazione soltanto potrebbe legittimare un addebito di responsabilità penale a carico del medico che si sia semplicemente astenuto (con una condotta omissiva!) dal proseguire un trattamento di sostegno vitale. Anche in questo caso, dunque, nessuna indebita violazione da parte della Cassazione del dato normativo. Il dovere del giudice è anche quello di decidere anche i casi difficili, non essendogli mai consentito pronunciare un non liquet; e la Cassazione lo ha fatto individuando una soluzione magari opinabile, ma certamente non arbitraria e illogica, bensì coerente con il sistema e in linea, come si è visto, con analoghi precedenti di altre giurisprudenze straniere che si sono trovate ad affrontare il medesimo dilemma. 5. Per concludere: qualche spunto di riflessione su un luogo comune Benissimo, si potrebbe ancora obiettare: ma non sarebbe comunque il caso che, ad evitare tutte queste discussioni, il legislatore si decidesse ad assumersi le proprie responsabilità, emanando una organica disciplina della materia delle decisioni di fine vita, e ponendo così fine a Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 73 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” questa anomala supplenza giudiziaria? La doglianza realtiva alla latitanza del legislatore sul punto è, in effetti, divenuta ormai un luogo comune. Ho, tuttavia, l’impressione che le cose siano un po’ più complesse di quanto non appaia a prima vista, e che l’invito al legislatore ad intervenire sia viziato da alcuni non trascurabili fraintendimenti. Due, mi pare, sono le ragioni forti che si invocano a sostegno della necessità di una soluzione ‘legislativa’ della materia dell’omissione e/o interruzione di trattamenti di sostegno vitale. Da un lato, una chiara presa di posizione da parte del legislatore sarebbe preferibile rispetto alla situazione attuale, in quanto garantirebbe la conoscibilità per i consociati delle norme di condotta e la conseguente prevedibilità delle sanzioni ricollegate alla loro inosservanza: valori, questi, non garantiti dall’attuale stato di cose, come la tormentata vicenda del dottor Riccio in relazione al caso Welby parrebbe dimostrare. Dall’altro, bilanciamenti così delicati come quelli che devono essere compiuti nella materia in esame dovrebbero passare per una diretta assunzione di responsabilità da parte del legislatore, che è organo avente una legittimazione democratica di cui il potere giudiziario è, invece, carente. Vorrei allora, prima di concludere, spendere qualche breve riflessione su entrambi questi profili: anche perché, lo dico sin d’ora, sono fermamente convinto che una soluzione giurisprudenziale di hard cases come quelli sin qui discussi possa essere, a conti fatti, preferibile rispetto a una cattiva soluzione legislativa, sul modello di quelle che paiono profilarsi all’orizzonte sulla base dei disegni di legge attualmente in discussione alle camere. 5.1. — Quanto al primo profilo, non v’è alcun dubbio che il legislatore sia sulla carta in una posizione migliore rispetto alla giurisprudenza per dettare ai consociati regole di condotta chiare e precise, e per indicare sanzioni prevedibili per il caso di inosservanza. A questo fine però occorre che il legislatore per primo abbia le idee chiare, e sappia dettare regole puntuali e ritagliate su quelli che attualmente sono ‘casi difficili’ per la giurisprudenza. Ciò purtoppo non accade quando la legge sia frutto di complicati equilibrismi e compromessi tra differenti posizioni politiche e ideologiche, che sfociano in genere in formulazioni generiche e ambigue, quando non addirittura in norme tra loro contraddittorie o comunque non coordinate (come è accaduto 73 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 74 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati recentemente nella l. 40/2004 in materia di fecondazione assistita). D’altra parte, vi è una buona dose di esagerazione nell’affermazione secondo cui la giurisprudenza non sarebbe in grado di assicurare la prevedibilità delle proprie decisioni. Anche in materie così difficili come quelle di cui stiamo ora discutendo, la soluzione non è mai individuata dal singolo giudice in esito a un personale bilanciamento tra principi, valori e interessi, condotto secondo la propria individuale visione del mondo; ma è – e deve sempre essere – rigorosamente motivata alla stregua di principi immanenti al sistema, e generalmente condivisi dalla comunità degli interpreti. Ciò al fine di garantire che le decisioni dell’hard case in discussione non si presentino come il frutto della personale creatività interpretativa del singolo giudice, ma piuttosto come il prodotto di una elaborazione collettiva di principi e di argomenti sui quali si è già convogliato un ampio consenso, e che facciano apparire la decisione in armonia con il sistema e con la tradizione giuridica, anziché come un momento di rottura. Una decisione come quella del g.u.p. di Roma nel caso Welby sarebbe stata, in effetti, impensabile senza il trentennio e oltre di riflessione dottrinale e 74 giurisprudenziale che l’ha preceduta sull’art. 32 co. 2 Cost., e senza la progressiva valorizzazione di questa norma da parte della recente giurisprudenza della Corte costituzionale: tanto che l’estensore di tale sentenza, in un convegno al quale anch’io ebbi la fortuna di partecipare, parlò di quella giurisprudenza come di un’“autostrada” che le si era spalancata dinnanzi in direzione del risultato finale (la pronuncia di non doversi procedere): risultato sul quale, incidentalmente, del tutto isolate sono state le espressioni di dissenso da parte della dottrina. Vero è che il dottor Riccio si assunse un non trascurabile rischio personale nel momento in cui decise di spegnere il respiratore a Piergiorgio Welby in assenza di un provvedimento autorizzativo da parte del giudice civile; eppure, oggi ben pochi potrebbero avere ancora dubbi sulla piena liceità della sua condotta, alla luce delle reiterate affermazioni da parte della più recente giurisprudenza di legittimità sull’esistenza di un diritto del paziente a rifiutare anche trattamenti necessari per la sua sopravvivenza18. Ma nemmeno può sostenersi che la ben più controversa decisione della Cassazione sul caso Englaro sia piombata come un fulmine a ciel sereno nel panorama giursprudenziale italiano. Nel Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 75 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” corso di quella lunghissima vicenda giudiziaria, la Corte d’Appello di Milano era più volte – tra l’indifferenza generale dei media – giunta a un passo dall’accogliere il ricorso del padre di Eluana, affermando sin dal 1999 che “la perdita irreversibile della coscienza non può non costituire il limite di ogni trattamento medico” (salvo poi arrestarsi di fronte al dubbio se l’alimentazione e l’idratazione artificiale costituissero un autentico trattamento medico)19, e avendo da ultimo ammesso le testimonianze di numerosi conoscenti e amici della ragazza sulla circostanza, dedotta dal tutore, relativa alla effettiva volontà della ragazza — che ella avrebbe espresso in passato — di non essere mantenuta in vita in simili condizioni20 (evidentemente sulla base del presupposto che, laddove una tale volontà reale fosse stata provata, l’idratazione e l’alimentazione artificiali avrebbero potuto essere lecitamente interrotte). Si era in tal modo a poco a poco scardinata l’idea che la prosecuzione del trattamento dovesse considerarsi sempre e comunque doverosa per il solo fatto di essere necessaria a garantire la sopravvivenza fisica della paziente, e si era assieme preparato il terreno all’ulteriore passaggio compiuto ora dalla Cassazione, che ha riconosciuto la pos- sibile liceità dell’interruzione del trattamento sulla base della sua volontà anche solo presunta. Né è senza significato che la Cassazione nel caso Englaro abbia sentito il bisogno di citare gli autorevoli precedenti stranieri che avevano adottato quella medesima soluzione (o soluzioni analoghe nell’esito, come quella della House of Lords nel caso Bland). Il richiamo ad altre giurisprudenze, pur se criticato da qualche commentatore italiano, rappresenta a mio avviso una novità da salutare con favore, specie in una materia come in quella all’esame in cui le soluzioni non sono normativamente ‘chiuse’, ma necessitano di essere elaborate sulla base di principi ed argomenti di portata tendenzialmente universale, che hanno come tali una naturale vocazione a circolare tra le giurisprudenze dei diversi Paesi. La materia delle decisioni di fine vita è densa di diritti fondamentali; e i diritti fondamentali, rettamente intesi, non sono né italiani né inglesi né tedeschi, ma sono diritti dell’uomo tout court, al di là di ogni barriera nazionale. Tutto ciò implica che decisioni come quelle assunte dalla giurisprudenza italiana nei casi Welby e Englaro, lungi dal porsi come arbitrarie e imprevedibili, rappresentano a ben guardare lo sviluppo di principi ed argomen75 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 76 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ti da tempo familiari alla comunità degli interpreti, e destinati pertanto a radicarsi stabilmente nella nostra giurisprudenza: fissando, così, un quadro di regole coerenti, in grado di orientare la condotta dei consociati anche in assenza di una mediazione legislativa. 5.2. — Ma – ed ecco il secondo profilo di criticità – hanno i giudici la necessaria legittimazione politica per compiere scelte così delicate, e per costruire – di fatto – le regole di condotta alle quali i consociati dovranno poi conformarsi? Al riguardo, un primo punto è fuori discussione: il giudice – a differenza del legislatore – non può sottrarsi alla responsabilità di decisioni difficili, di fronte ad un’istanza di tutela di un diritto proveniente da un privato ovvero a una richiesta della pubblica accusa. E dunque, in assenza di una regola ad hoc già predisposta dal legislatore, non c’è alternativa a che sia il giudice a stabilire la regola di giudizio del caso concreto, la cui tenuta sarà poi vagliata nei succesivi gradi di giudizio sino in Cassazione. Ma il profilo che viene spesso trascurato, anche nelle riflessioni dottrinali, è che anche laddove il legislatore si decidesse a intervenire nella materia, fissando autoritativamente le regole cui i giu76 dici dovranno poi attenersi, la sua discrezionalità non sarebbe affatto illimitata. Le esigenze di rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo che entrano in gioco nella materia delle decisioni di fine vita si impongono, infatti, come un dato indisponibile allo stesso legislatore: del tutto coerentemente con la funzione dei diritti fondamentali, che è quella di tutelare l’individuo anche contro le decisioni della maggioranza politica di turno. E in un moderno sistema costituzionale, la tutela dei diritti fondamentali è ancora una volta affidata alla magistratura, costituzionale ma anche ordinaria (spettando proprio a quest’ultima la rilevazione del conflitto e la sua possibile eliminazione in via ermeneutica ovvero mediante rimessione degli atti alla Corte costituzionale). Ogni futura decisione da parte del legislatore nella materia in esame sarà, dunque, vincolata dal rispetto dei diritti fondamentali della persona e dall’insieme dei principi consacrati nella Costituzione, nella fisionomia loro conferita da una pluridecennale elaborazione dottrinale e giurisprudenziale; tenendo conto altresì, alla luce delle indicazioni più recenti della Corte costituzionale21, dei vincoli provenienti dal diritto internazionale, e segnatamente dalla CEDU e Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 77 Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale” dalla Convenzione di Oviedo. Pena l’illegittimità costituzionale delle scelte compiute dal legislatore, che certo la Corte costituzionale non mancherebbe di rilevare e sanzionare. La legittimazione politica dei giudici nel prendere decisioni, e nel costruire regole, in materia di decisioni di fine vita sta dunque nelle cose, e assieme nella logica di un sistema costituzionale che affida, per l’appunto, in primo luogo ai giudici il compito di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo. Coerentemente con quanto è accaduto e accade in molti altri ordinamenti al nostro culturalmente affini. Note. 1 Cfr. C. cost. 334/2008. 2 Dapprima, più timidamente, in Cruzan v. Director Missouri Dept. of Health, 497 U.S. 261 (1990), e poi con maggiore decisione in Washington v. Glucksberg, 117 SCt 2258 (1997). 3 Roe v. Wade, 410 US 113 (1973). 4 Cfr. ad es. St. Mary’s Hospital v. Ramsey, 465 So.2d 666 (Court of App. of Florida, 4 Distr., 1985); Public Health Tr. of Dade County v. Wons, 541 So.2d 96 (Supreme Court of Florida, 1989), Fosmire v. Nicoleau, 551 N.E.2d, p. 81 (New York Court of Appeal, 1990); Norwood Hospital v. Munoz, 564 N.E.2d 1017 (Supr. Court Mass., 1991). 5 Cfr. ad es. Satz v. Perlmutter, 379 So.2d 359 (Supreme Court of Florida, 1978); Bartling v. Superior Court, 209 Cal Rptr 220 (Superior Court, County of Los Angeles, 1984); Bouvia v. Superior Court, 225 Cal. Rptr. 297 (Cal. App. 2 Dist., 1986); McKay v. Bergstedt, 801 P.2d 617 (Supreme Court of Nevada, 1990). 6 Quinlan, 355 A.2d 647 (Supreme Court of New Jersey,1976). 7 Cfr. in questo senso le perentorie affermazioni di Lord Keith (p. 860), di Lord Goff (p. 866), di Lord Browne-Wilkinson (p. 882) e di Lord Mustill (p. 889) in Airedale NHS Trust v. Bland, [1993] 1 All ER 858. 8 Così Lord Keith (p. 861), Lord Goff (p. 867 ss., 870), Lord Browne-Wilkinson (p. 881 ss.), Lord Mustill (p. 894 s.) nella fondamentale decisione citata alla nota precedente. 9 Cfr. sul punto la presa di posizione della Corte costituzionale tedesca in BVerfGE 52, 175 e, in dottrina, Murswiek Art. 2, in Sax (a cura di), Grundgesetz. Kommentar, IV ed., 2007, n. 206; Jarass, Art. 2, in Jarass, Pieroth, Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland, IX ed., 2007, n. 83; Di Fabio, Art. 2 Abs. 2, in Maunz/Dürig Kommentar zum GG, 2004, n. 61 e 69 ss.; Lorenz, Recht auf Leben und körperliche Unversehrtheit, in Isensee, Kirchhof (a cura di), Handbuch des Staatsrechts der Bundesrepublik Deutschland, vol. VI, II ed., 2001, n. 64; Correll, Art. 2 Abs. 2, in AK-Kommentar zum GG, III ed., 2001, n. 111; Kunig, Art. 2, in von Münch-Kunig (hrsg.), Grundgesetz-Kommentar, V ed., 2000, n. 62. 10 Su questo dibattito, cfr. ampiamente, anche per gli innumerevoli ulteriori riferimenti, Eser, § 223, in Schönke/Schröder Strafgesetzbuch Kommentar, XXLII ed., 2006, n. 32; H. Schneider Vor § 211, in Münchener Kommentar zum StGB, 2003, n. 109; Lackner/Kühl, Kommentar zum StGB, XXVI ed., 2007, n. 8a. 77 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 78 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 11 BGHSt 40, 257. 12 Cfr. in particolare, in questo senso, la presa di posizione delle sezioni civili in NJW 2003, 1588 ss. 13 Così, in particolare, Trib. Roma, sez. I civ., ord. 15 dicembre 2006 (est. Savio), in Giur. mer. 2007, p. 996 ss. con nota di Iadecola. 14 Trib. Roma 23 luglio 2007 (est. Secchi), in F. it., 2008, II, c. 105 ss. Nello stesso senso cfr., in dottrina, M. Donini, Il caso Welby e le tentazioni pericolose di uno “spazio libero dal diritto”, in Cass. pen., 2007, 909 ss.; D. Pulitanò, Doveri del medico, dignità del morire, diritto penale, in Riv. it. med. leg., 2007, 1217 ss.; A. Taruffo, Rifiuto di cure e doveri del medico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 467; A. Vallini, Rifiuto di cure “salvavita” e responsabilità del medico: suggestioni e conferme dalla più recente giurisprudenza, in Dir. pen. proc., 2008, 71 s. 15 F. Viganò, Esiste un diritto a essere lasciati morire in pace”? Considerazioni in margine al caso Welby, in Dir. pen. e proc., 2007, p. 7 ss. Nello stesso senso C. Cupelli, Il diritto del paziente (di rifiutare) e il dovere del medico (di non perseverare). Un tentativo di lettura ‘giuridica’ del caso Welby, in Cass. pen., 2008, p. 1825 ss. 78 16 L’importanza della corretta formulazione della domanda è sottolineata dalla dottrina tedesca più recente: cfr., per tutti, la relazione introduttiva di T. Verrel, Patientenautonomie und Strafrecht bei der Sterbebegleitung, in DJT, 2006, C 37 alla sessione penalistica del LXI congresso dei giuristi tedeschi del 2006 dedicata ai temi qui in discussione. 17 Cass., sez. I civ., 16 ottobre 2007, in F. it., 2007, I, 3025 ss. 18 A cominciare da Cass., sez. I civ., 16 ottobre 2007, cit., c. 3036 (“deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita”). Nello stesso senso, cfr. anche Cass., sez. III civ., 22 maggio 2008, n. 23676, che riafferma il “generale principio [...] in forza del quale va riconosciuto al paziente un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita”. 19 C. App. Milano, 31 dicembre 1999, in F. it., 2000, I, c. 2022 ss. 20 Nella decisione poi annullata da Cass., sez. I civ., 16 ottobre 2007, cit. 21 Cfr. le fondamentali C. cost. 348 e 349/2007. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 79 Impaginato 2-2008 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:05 Pagina 80 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto Giudice del Tribunale di Trapani * di Caterina Brignone* 1. Introduzione L’ineffabile fluire di pensieri e parole, speranze ed affanni, fatti minuti ed epiche gesta, che rende unica ed irripetibile l’esperienza di vita di ciascuno, è reso possibile attraverso quel corpo che, nei diversi momenti e situazioni, può essere avvertito come abile ed agile strumento per tradurre la potenza in atto o come la più temibile delle prigioni. Il corpo esaurisce o manifesta – dipende dal quadro assiologico prescelto – la dimensione intima dell’uomo, il quale se ne serve, con diversa consapevolezza ma senza soluzione di continuità, dal primo vagito all’ultimo respiro, scontando inevitabilmente le barriere di natura e rispettando confini autoimposti in nome di un’etica laica o religiosa o per il perseguimento di dati obiettivi. Gli ulteriori limiti si apprezzano una volta calato l’essere umano nella dimensione sociale: poiché certe condotte possono offendere altri consociati e lo stesso disponente, i vari ordinamenti si sono storicamente premurati e continuano a premurarsi di porre specifici divieti con riguardo a fatti stimati disfunzionali per la conservazione e lo sviluppo del corpo sociale. Tali divieti, quindi, possono colpire sia atti che incidono su terzi – ciò che esula dalla presente trattazione – sia atti che esauriscono gli effetti 80 nella sfera privata dell’agente. Le restrizioni poste in quest’ultima direzione varcano la sfera intima dell’individuo e realizzano frontiere mobili, che avanzano o arretrano a seconda delle epoche storiche, della sensibilità sociale e del contesto culturale. Tanto dà ragione del motivo per cui siffatti limiti non possono essere espressi da un’unica disposizione normativa né compresi del tutto senza estendere l’indagine ad un piano inevitabilmente metagiuridico. Sotto questo profilo, è emblematico – per restare in ambito europeo – il diritto inglese, laddove apertamente si fanno discendere le soluzioni giuridiche da quelle premesse etiche che costituiscono la banda di oscillazione del pendolo del diritto. Il giurista continentale, dal canto suo, non deve sobbalzare innanzi a quanto s’è detto sia perché la riflessione bioetica si è sviluppata negli ultimi anni sia perché, da sempre, la varietà ed irriducibilità delle posizioni espresse – a parità di dato normativo – su temi capitali è rappresentativa di quanto sia irraggiungibile il mito dell’obiettività dell’interprete. Ed allora, il metodo della comparazione può valere per far affiorare la tavola dei valori troppo spesso adombrata da un tecnicismo esasperato e mistificatore e per uscire 18-12-2008 16:05 Pagina 81 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto dalla spirale chiusa di circuiti argomentativi consunti. L’auspicio è di offrire un ulteriore contributo sul rifiuto di cure contestuale al trattamento e proveniente da soggetti capaci1. Si tratta di tema da sempre controverso in Italia e rispetto al quale la società civile ha più volte sollevato l’esigenza di regole chiare per scongiurare il rischio di degradare l’uomo – autonomo, pensante e decidente – ad infermo, in balia non solo della malattia ma anche dell’altrui volere e di un dispotismo ordinamentale con la pretesa di marchiare a fuoco la propria etica sulla pelle dell’individuo. A tal fine, può essere utile volgere lo sguardo Oltremanica – e talora anche Oltreoceano – ove da tempo si sono consolidate regole chiare, che vale la pena di considerare per valutare se un risultato equivalente in termini di certezza sia raggiungibile nel nostro ordinamento attraverso l’armamentario dell’interprete. 2. Gli atti di disposizione del corpo nel diritto inglese: premesse etiche e conseguenze giuridiche Il rifiuto di cure si inserisce nella vasta gamma degli atti di disposizione del corpo sicché, ponendosi rispetto a questi in un rapporto di species a genus, ne ripete l’estensione e ne sconta i La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati limiti. Il diritto inglese non ha avuto la pretesa di esaurire una questione tanto complessa – che involge aspirazioni individuali e pretese politiche e sociali – attraverso la positivizzazione di un precetto normativo ed ha lasciato alla giurisprudenza il compito di elaborare principi e regole operative in grado di concretizzare, nei diversi settori ed aree di intervento, la nozione di public policy come storicamente avvertita. Nell’assolvere tale incarico, la scienza giuridica ha scelto di dialogare con le altre scienze umane, avendo come interlocutore privilegiato l’etica. Così, la riflessione dell’ultimo mezzo secolo ha cercato di coniugare l’ascesa dei valori autonomistici di matrice kantiana con il tradizionale paternalismo provvidenzialistico, rinverdito e riconfermato dalle formulazioni più aggiornate della filosofia utilitaristica. Si è proceduto – in un contesto mai dimentico della necessità di fare i conti con la scarsità delle risorse disponibili2 – col metodo del bilanciamento in concreto, per contemperare il riconosciuto diritto di decidere del proprio corpo e della propria vita con eventuali confliggenti ragioni di pubblico interesse. Del resto, ogni Stato suole tracciare confini oltre i quali i valori autonomistici devono cedere il passo alla tutela di 81 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 82 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati altre istanze e finisce per presidiare quei confini con sanzioni penali non solo per evitare offese a terzi, ma anche per impedire a soggetti adulti e sani di mente di cagionare a sé stessi un harm in favore di altri o con la collaborazione di altri3. Ed ecco che le decisioni delle corti inglesi sulla validità del consenso ad atti di disposizione del corpo sono basate on public policy e passano attraverso la considerazione di tre questioni cardine: quale degree of harm è causato; quale livello di offesa era stato previsto o voluto; se l’attività considerata rientra in una delle categorie nell’ambito delle quali il consenso può eccedere i limiti ordinari. Quanto al primo punto, il consenso della vittima non scrimina un actual bodily harm che non sia passeggero o insignificante, a meno che non si versi in uno dei settori di intervento meritevoli di tutela. In ordine al secondo passaggio, non è possibile prestare consenso alle offese con esito letale, come si desume dall’art. 2 del Suicide Act 1961 – che punisce con una pena detentiva fino a quattordici anni chi aiuti altri a togliersi la vita – e dall’art. 4 dell’Homicide Act 1957, che punisce il survivor killer of a suicide pact. La definizione del limite alle non-fatal offences si ricava, invece, dalla common law e 82 segnatamente dalle eccezioni che l’Attorney-General’s Reference n. 1 del 19804 ha previsto al divieto di consentire menomazioni significative dell’integrità fisica. Nel novero di tali eccezioni dettate per ragioni di pubblico interesse5 si pone l’esercizio dell’attività medica, per la quale, dunque, il consenso dell’interessato può varcare gli ordinari limiti di disponibilità del diritto. Emerge che non è stato sposato un hard-line libertarian approach, ma la linea di tendenza è quella di circoscrivere la regolamentazione giuridica ai casi in cui si debbano regolare confini ed aree di interferenza tra più libertà od occorra un contemperamento degli interessi. Per il resto, il rispetto per la persona e le garanzie che circondano la privacy sono di ostacolo a forme di controllo su come un soggetto gestisce il proprio corpo e, quindi, vive; il pensiero liberale e le Carte dei diritti fondamentali rappresentano lo scudo di difesa da un paternalismo esasperato che voglia tradursi in totalizzante. Tale assetto non è così dissimile da quello ricavato dalla visione sinergica delle norme ordinamentali e tracciato in Italia da quella dottrina che ha voluto impostare il tema degli atti di disposizione del corpo in una prospettiva costituzionalmente 18-12-2008 16:05 Pagina 83 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto orientata e convenzionalmente conforme, ossia in armonia, oltre che col dato costituzionale, con le indicazioni provenienti dalle Carte dei Diritti sottoscritte dal nostro Paese6. Non è necessario spendere molte parole per evidenziare come sia in atto, per tramite della circolazione dei modelli culturali e sotto la spinta delle Convenzioni internazionali, un progressivo – sebbene ancora incompiuto – avvicinamento dei modelli occidentali di riconoscimento e tutela del diritto di autodeterminazione. È innegabile che nel nostro ordinamento perdurino sacche di resistenza e sia ancora molto forte il retaggio di una tradizione panpubblicistica od influenzata dall’etica religiosa, ma è anche vero che la direzione di marcia sembra ormai tracciata in senso personalistico, specie in forza dell’adesione alla CEDU e dell’avvenuta ratifica della Convenzione di Oviedo. 3. Consenso e rifiuto di cure nei sistemi anglo-americani Tornando al diritto inglese, è incontroverso che il trattamento medico trovi la propria legittimazione – necessaria ma non sufficiente7 – nel consenso, che è chiamato a svolgere diverse funzioni: legale, perché rende lecito quel che altrimenti non lo sarebbe e pone il professionista al La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati riparo da responsabilità civile per trespass o penale per criminal assault; filosofico-morale, in quanto concretizza il principle of bodily inviolability, radicato nella libertarian philosophy di John Stuart Mill e nel pensiero kantiano; clinica, dal momento che la cooperazione del paziente favorisce la buona riuscita del percorso di cura. È, quindi, sempre più marcato il passaggio dal tradizionale doctor knows the best verso un modulo autonomistico, in base al quale – a tutela sia della libertà di determinarsi sia dell’inviolabilità fisica – viene riconosciuto al paziente capace, libero e previamente informato il diritto di decidere sulle cure. La più celebre ed icastica traduzione giuridica di un tale enunciato risale al 1914 e si deve al giudice americano Benjamin Cardozo il quale, nel caso Schloendorff v New York Hospitals, ha affermato che «ogni essere umano di età adulta e sano di mente ha il diritto di decidere ciò che sarà fatto sul suo corpo; ogni chirurgo che esegue un’operazione senza in consenso del paziente commette assault»8. Nei fatti, tuttavia, la regola subisce una serie di limitazioni. Anzitutto, si accorda indulgenza sul piano sanzionatorio al professionista che, in buona fede, anteponga i best interests del pazien83 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 84 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati te al principle of autonomy. In secondo luogo, non sussiste un diritto pieno a ottenere i trattamenti richiesti, potendo essere l’accesso precluso dalla scarsità delle risorse, dalle valutazioni del medico o da sbarramenti giurisprudenziali o normativi, come tipicamente accade per la clonazione umana o per le mutilazioni genitali femminili. Infine – e qui si riscontra l’influenza dell’utilitarianism – persino per i soggetti adulti capaci sono previsti casi in cui il rifiuto di determinati trattamenti può essere superato per la salvaguardia da parte dello Stato di interessi più ampi, quali la tutela della vita, la prevenzione del suicidio, la salvaguardia dell’integrità della professione medica e la protezione di terzi innocenti9. Bisogna, però, intendersi sull’effettiva operatività di tali interessi, che è meno invasiva di quanto prima facie potrebbe sembrare. Ed infatti, la preservation of life legittima politiche e misure di promozione della salute pubblica e giustifica l’imposizione di trattamenti sanitari obbligatori, quando questi siano finalizzati a tutelare la collettività e non il solo destinatario. Non si dubita, però, che la sacralità della vita quale affermazione di principio debba arretrare a fronte della volontà del paziente concreto di rifiutare trattamenti salvavita 84 (salve le ipotesi – tuttora discusse – della donna incinta che si oppone al taglio cesareo e del minore maturo)10. La stessa British Medical Association afferma che il diritto del paziente capace di rifiutare un trattamento prevale sul dovere del medico di preservare la vita; il margine di manovra che residua al sanitario è quello della persuasione attraverso l’informazione e il dialogo, ma senza forzature11. Il riconoscimento dell’autonomia decisionale del paziente non contrasta neppure con la prevention of suicide, posto che il non ostacolare il decorso patologico non corrisponde ad agire deliberatamente allo scopo di togliersi la vita. Significativo il caso che ha avuto per protagonista Elizabeth Bouvia. La donna – quadriplegica e afflitta da dolori incessanti, ma cosciente e consapevole – aveva chiesto all’autorità giurisdizionale un order che le riconoscesse la possibilità di rifiutare la sonda nasogastrica, che le era stata applicata per l’alimentazione artificiale. La corte nel 1986 ha sostenuto il diritto di autodeterminazione sul presupposto, appunto, che permettere alla malattia di fare il suo corso non equivalga alla scelta volontaria di suicidarsi12. La prevention of suicide, da una parte, non è di ostacolo alla possibilità di rifiutare le cure e, dall’altra, dà 18-12-2008 16:05 Pagina 85 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto facoltà o impone13 al medico di praticare trattamenti life-saving a chi abbia cercato di uccidersi. La sanctity of life – la quale non si ribella alle leggi di natura che segnano i tempi della vita e della morte – si oppone, però, all’atto autolesionistico estremo, anche se posto in essere da soggetti capaci14. Le corti hanno puntellato un tal modo di vedere richiamando l’art. 2 CEDU, interpretato nel senso che lo Stato non ha l’obbligo di costringere a vivere chi non vuole ma, nello stesso tempo, non è tenuto a restare inerte innanzi a tentativi di suicidio15. Neppure il rispetto dovuto all’integrity of the medical profession può prevalere sulla volontà dell’ammalato di non essere curato. Tuttavia, la giurisprudenza opera una distinzione con riguardo all’interruzione di procedura già iniziata e prevede che il medico non possa essere obbligato a far cessare il trattamento, determinando in tal modo la morte del proprio assistito16. Lo scopo è quello di conciliare la libertà di coscienza del professionista con l’autonomia decisionale dell’ammalato, che può rivolgersi ad altro medico per richiedere la prestazione. Infine, nel diritto inglese l’interesse alla protection of innocent third parties è inteso in termini decisamente meno pregnan- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ti di quanto non accada nella giurisprudenza statunitense e non arriva a legittimare, ad esempio, l’imposizione di trattamenti obbligatori o la trasfusione coatta di sangue a genitori che, rischiando la vita, verrebbero meno al loro dovere di prendersi cura dei figli17. In realtà, taluni autori inglesi dubitano della stessa configurabilità di un tale controfattore alla libertà individuale, salvi i casi in cui ricorrano espresse previsioni di legge a tutela della salute pubblica18. Il quadro complessivo è tale per cui le esigenze della comunità statuale possono limitare i diritti individuali ove ci siano controinteressati da proteggere. Non si dubita, quindi, della possibilità di opporre un diniego – indipendentemente dalle insindacabili motivazioni della scelta – anche rispetto a cure che potrebbero rivelarsi risolutivamente salvifiche. Ciò cui si dà risalto è piuttosto che la decisione sia adottata da persona effettivamente capace19, adeguatamente informata20 ed il cui consenso si sia liberamente formato21. L’attenzione rivolta a questi temi – con ben altro approfondimento rispetto a quello ad essi dedicato nei sistemi continentali – è funzionale alla realizzazione dei valori autonomistici e la miglior garanzia di una vera autodeterminazione responsabile. 85 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 86 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 4. Profili di criminal liability del medico L’assetto tracciato si riverbera sulla posizione del medico, il quale è tenuto a rispettare il rifiuto di cure, nonostante possa discenderne la morte e pure ove la volontà dell’ammalato sia rivolta proprio ad anticipare l’exitus vitae. Ciò, comunque, non si traduce nel riconoscimento del diritto a uccidersi, perché si ritiene che possa parlarsi di suicidio solo nel caso di comportamenti positivi finalizzati ad anticipare il termine naturale della vita22. In caso di decesso del paziente, quindi, non può essere chiamato a rispondere delle condotte di aiuto incriminate dal Suicide Act 1961 il professionista che si sia limitato a interrompere o non intraprendere un trattamento nel rispetto della volontà del diretto interessato23. Tanto più va scartata un’eventuale responsabilità penale per murder, soluzione questa cui si perviene sulla base di percorsi differenti. Una prima impostazione interpreta la cessazione delle cure come mera omissione piuttosto che come azione ed esclude per questa via l’esistenza di un nesso di derivazione causale giuridicamente rilevante. In tal modo, però, si trascura che talvolta l’interruzione della procedura terapeutica deve passare 86 attraverso fatti commissivi, quali, ad esempio, la disconnessione del macchinario per la respirazione meccanica o il disinserimento del tubo di alimentazione e idratazione. Inoltre, il sistema inglese ammette la configurabilità dell’omicidio mediante omissione laddove sussista un duty of care, qual è certamente quello che grava sul professionista rispetto al proprio assistito24. È, allora, più persuasivo il ragionamento che non punta sulla qualificazione del fatto come commissivo od omissivo, ma evidenzia che il rifiuto del paziente sospende il professionista dal duty of care e fa sorgere il dovere di rispettare le decisioni dell’assistito, fatto salvo il diritto all’obiezione di coscienza25. In tal modo l’esenzione da responsabilità per omicidio è basata non sul semplice distinguo tra killing e letting die, ma sulla volontà dell’ammalato e sulla qualifica del destinatario della richiesta. In proposito è illuminante l’esemplificazione prospettata da autorevole dottrina26: si fa il caso di una donna colpita da grave malattia degenerativa in fase terminale e dipendente da un macchinario per la respirazione artificiale, la quale abbia espresso ferma volontà di essere distaccata dal respiratore e lasciata morire; si ipotizza, quindi, che il 18-12-2008 16:05 Pagina 87 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto figlio della paziente – avido e desideroso di entrare in possesso dell’eredità – proceda all’estubazione e adduca poi a propria difesa di non aver ucciso la madre ma di aver permesso alla malattia di far il suo corso. In realtà, quello che sarebbe stato il comportamento del medico e l’agire concreto del figlio non differiscono per il nucleo materiale del fatto né per l’evento risultante. A fare la differenza sono i motivi della condotta e soprattutto il fatto che il professionista si comporta secondo quel ruolo legale e sociale che gli impone di rispettare la volontà del curato contraria alla prosecuzione del trattamento. Aderendo a siffatta impostazione, si costruisce una scriminante complessa, incentrata sulla qualifica soggettiva dell’agente, sull’esistenza di un processo patologico, sull’apprezzabilità o almeno non indegnità dei motivi e sul consenso dell’ammalato. A ben vedere – e per quanto la distinzione non sia stata compiutamente articolata nel pensiero giuridico inglese – il rifiuto che preclude l’inizio e la prosecuzione delle terapie si impone a chiunque ed esclude la causalità fattuale e giuridica tra omesso intervento e morte; la richiesta di interruzione di cure che passi attraverso condotte positive, da qualificare atti medici, può esse- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati re rivolta solo al sanitario e non elide il nesso eziologico tra azione ed evento, ma giustifica il fatto. La distinzione tra uccidere e non ostacolare la malattia torna, invece, centrale quando si tratti di ponderare la richiesta del paziente che chieda al medico di accelerare il decorso patologico. In tali casi, non si tratta semplicemente di sospendere il duty of care, ma di agire positivamente per anticipare l’evento letale. L’ammalato ha diritto a veder rispettata l’inviolabilità fisica, ma non alla realizzazione di ogni volere. Non solo non c’è un diritto a morire – come chiaramente enunciato nel caso Pretty27 –, ma vi è uno sbarramento di legge per l’omicidio da chiunque e comunque perpetrato. Pertanto, si rientra nell’ambito di applicazione del murder e la condotta non è scriminata dal consenso dell’ammalato, se il medico agisce allo scopo di provocare – o meglio anticipare – la morte28. Resta da esaminare l’ipotesi in cui il medico tratti il paziente in assenza, in difformità o contro la volontà di questi. I sistemi angloamericani prevedono come reato – segnatamente battery29 – il touching without consent and without lawful excuse, cioè il mero contatto non consentito o non giustificato secondo il diritto. Tuttavia, in quegli ordina87 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 88 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati menti, caratterizzati dalla discrezionalità dell’azione penale, vi è scarsa propensione ad incriminare per una simile fattispecie o per altre più gravi – ivi comprese quelle di omicidio – il professionista che abbia agito a scopo benefico e nel rispetto delle regole tecniche. È evidente che ragioni di public policy – e forse una tradizionale vicinanza tra la classe dei giudici e quella dei medici – vengono ritenute prevalenti sulla coerenza dei principi col risultato di far trionfare il paternalismo sull’autonomia30. L’assetto tracciato può essere giudicato più o meno condivisibile, ma si è consolidato nel tempo ed ha quantomeno il pregio di assicurare certezza al diritto, sicuro orientamento al professionista e libertà al paziente. 5. Il fondamento di liceità del trattamento medico alla luce del diritto italiano e delle Convenzioni internazionali Di ritorno dall’indagine Oltremanica il quadro non è altrettanto nitido, poiché nel nostro ordinamento continuano a formare oggetto di discussione i punti capitali, dalla collocazione sistematica del consenso al valore del rifiuto, dai doveri del medico ai profili di responsabilità penale. Eppure, allargando il punto di 88 osservazione dalla singola norma all’intero sistema – inserito, a sua volta, nel più ampio contesto internazionale, europeo ed occidentale in genere – è possibile trovare dei punti fermi e tracciare un percorso lineare. Può dirsi riconosciuta la centralità della persona come unicum inscindibile di materialità e idealità, che merita considerazione in quanto tale senza distinzioni né discriminazioni di sorta; se ciascuno deve essere libero di vivere secondo le proprie convinzioni, allora è al diretto interessato che spetta decidere quel che deve essere della propria esistenza, col limite assiologico del rispetto per gli altri e col vincolo contingente della fattibilità giuridica e materiale della pretesa. Per gli incapaci, i quali per definizione non sono in grado di statuire per sé, il rispetto per la dignità umana si traduce in spinta solidaristica, da conformare nel suo concreto atteggiarsi alle volontà precedentemente espresse dal soggetto quando era capace oppure – in assenza di indicazioni in questo senso – ai valori recepiti dall’ordinamento. È quanto si ricava dalla lettera e dallo spirito della Costituzione, che riconosce e tutela i diritti fondamentali – pur assoggettandoli a bilanciamento secondo criteri di ragionevolezza –, promuove la solidarietà, antepone il diritto individuale alla 18-12-2008 16:05 Pagina 89 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto salute al relativo interesse pubblico e riconosce carattere di eccezionalità ai trattamenti coattivi, che possono essere praticati nei soli casi espressamente previsti dalla legge. Nella stessa direzione sono orientati le decisioni delle Corte costituzionale31, la legislazione ordinaria32, talune sentenze di legittimità33 e persino i codici deontologici medici34: si riconosce l’autonomia, pur con taluni limiti e con la previsione di criteri sussidiari solidaristici laddove essa non possa esplicarsi. Non avrebbe potuto essere più esplicita la recente pronuncia della Suprema Corte, che ha ravvisato nel consenso informato «legittimazione e fondamento del trattamento sanitario» nonché «forma di rispetto per la libertà dell’individuo e mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi», derivandone l’illiceità dell’intervento medico eseguito in assenza di consenso pur se animato da finalità benefiche35. L’evoluzione in senso personalistico, poi, è sorretta e sospinta dal quadro internazionale, che segna ormai in modo marcato il passaggio dall’eteroprotezione all’autodeterminazione. Così, l’art. 12 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo pone al riparo ogni individuo da «interferenze arbitrarie nella sua vita privata» e l’art. 8 CEDU è interpretato nel La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati senso dell’illegittimità di forme di ingerenza dei pubblici poteri diverse da quelle a tutela della salute collettiva e nel senso del connesso potenziamento dell’elemento volontaristico ai fini delle scelte terapeutiche36. Più di recente, è intervenuta la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (c.d. Convenzione di Oviedo) la quale ha complessivamente delineato un sistema di autonomia temperata, riconoscendo il valore fondamentale del consenso e prevedendo, al contempo, regole suppletive per salvaguardare la posizione di chi non sia in grado di decidere per sé stesso37. Ancora, l’art. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea stabilisce che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge»38. È, dunque, la determinazione del soggetto della cura a legittimare il dispiegarsi in concreto dell’attività medica, a meno che una volontà non possa essere formata e manifestata. Le fonti internazionali più recenti ribadiscono la validità del principio del consenso informato, enunciato nell’ormai lontano 1914 dal giudice Cardozo ed affermato nelle 89 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:05 Pagina 90 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati successive Dichiarazioni internazionali in materia. Tale approdo ermeneutico – che giustifica il trattamento medico sulla base del consenso informato e, in via residuale, sul necessity principle – costituisce oggi patrimonio condiviso delle società evolute. Alla luce di quanto detto, anche nell’ordinamento italiano il principale fondamento di liceità dell’attività medica va ravvisato nel consenso del soggetto della cura, esattamente come accade nel diritto inglese che non si interroga più di tanto sulla collocazione dogmatica della manifestazione di volontà. Comunque – a voler seguire la nostra tradizione sistematica39 – sembra coerente ricondurre il consenso alla scriminante di cui all’art. 50 c.p. Ed infatti – sgombrato il campo dalla visione paternalistica, che pretende di difendere l’uomo da sé stesso, e dall’impostazione panpubblicistica, che ravvisa nella conservazione della vita un obbligo funzionale all’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà sociale – la giustificazione etica e giuridica del trattamento sanitario non può che essere vista nella libera scelta di chi voglia essere curato ed autorizzi un soggetto qualificato, cioè il terapeuta, a varcare la propria sfera più riservata per eseguire, nel rispetto dei limiti giuridici e materiali, gli interventi previamente concordati. 90 6. Il rifiuto di cure nel diritto italiano: profili generali L’approdo ermeneutico che si è descritto non ha spazzato del tutto antichi retaggi. Il fatto che ancora si continui a parlare di consenso alle cure piuttosto che di decisione sulle cure tradisce il permanere di una visione antica, in cui il paziente non è visto come soggetto realmente autonomo bensì come colui che, al più, può esprimere adesione rispetto a quanto venga proposto ‘per il suo bene. In quest’ottica, il rifiuto del trattamento appare un’incomprensibile e intollerabile ribellione al paternalismo, il gesto sconsiderato di chi non sa scegliere il meglio per sé e va, dunque, tutelato. Gli ordinamenti angloamericani si sono in gran parte affrancati dalle suggestioni sottese alla terminologia impiegata (consent) per valorizzare la libertà di scelta di chi sia capace. Mentre la vocazione più individualistica di quei sistemi rende incontroverso che nessun interesse pubblico può imporre la coercibilità del vivere, nel nostro Paese la difesa a oltranza della sacralità della vita ha portato, in più di una occasione, a negare al paziente capace il diritto di rifiutare le cure. Quasi per contrappasso, per perseguire tale scopo trascendente sono stati impiegati gli strumenti prosaici 18-12-2008 16:05 Pagina 91 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto che modellano la disciplina degli atti di disposizione del corpo sulla logica proprietaria, con il connesso limite dell’utilità sociale. Ed ecco che la tesi tradizionale attribuisce portata generale dell’art. 5 c.c. e ne fa discendere l’invalidità di una manifestazione di volontà che metta a rischio la vita o la salute, con conseguente obbligo per il medico di attivarsi penalmente rilevante ex art. 40 cpv. c.p.40. Di fatto, la questione si è posta e si pone principalmente per l’opposizione all’emotrasfusione da parte di testimoni di Geova, per la rinuncia a terapie salvifiche in generale, per le richieste di cessazione delle cure provenienti da malati terminali. In tali casi, il dibattito sul rifiuto delle cure intercetta quello sull’ammissibilità della c.d. eutanasia passiva, ma non si tratta qui di stabilire cosa sia eticamente giusto o sbagliato bensì di tener fermo il fuoco dell’indagine sull’affermato diritto dell’adulto capace e consapevole di decidere per sé stesso. Coerenza vuole, riconosciuta l’autonomia, che essa non subisca restrizioni o aggiustamenti per le conseguenze che possano derivare all’interessato dal suo esercizio. 7. Responsabilità del medico In base alla disamina svolta alla luce dei principi costituziona- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati li e convenzionali deve ritenersi che, nei casi di rifiuto delle cure, non va posta la questione della responsabilità penale del medico per omesso impedimento dell’evento, giacché non solo non scatta la posizione di garanzia, ma il professionista ha l’opposto dovere di non intervenire e di non invadere la sfera privata dell’ammalato. Allora, l’evento lesivo o mortale eventualmente prodottosi in conseguenza del rifiuto iniziale di cure non può essere imputato al medico ex art. 40 cpv. c.p. e non si versa nell’area di tipicità del reato omissivo improprio. D’altra parte, l’ordinamento non predispone strumenti giuridici che permettano di fare ricorso a mezzi di contenzione per praticare trattamenti sanitari su soggetti dissenzienti41. Al contrario, il professionista che non rispetti la volontà espressamente manifestata42 dal paziente ne viola la sfera fisica e morale e tale condotta integra violenza privata, eventualmente in concorso con altri reati quali lesioni, sequestro di persona, stato di incapacità procurato mediante violenza o altro. Ed infatti, la lettura coordinata degli artt. 13 e 32 Cost. attribuisce prevalenza alla libertà sulla costrizione, «una prevalenza che consente di allontanare lo scenario indubbiamente inquietante di una medicina istituzionale che interviene coercitivamente sul paziente, 91 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 92 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati imponendogli ciò che essa ritiene essere necessario»43. Così impostati i termini della questione, sfuma – con riguardo all’interruzione delle terapie – il profilo problematico della distinzione tra l’agire e l’omettere, che di regola segna il discrimen tra c.d. eutanasia passiva, non incriminabile, ed eutanasia attiva, integrante reato. Ed infatti, l’interruzione delle cure voluta dal paziente – anche quando passi attraverso atti positivi quali la disconnessione o lo spegnimento del macchinario per la respirazione artificiale – resta lecita in quanto doverosa per il medico, che è tenuto a far cessare una condotta invasiva della sfera personale dell’ammalato ed avvertita da questi come non più intollerabile44. Se l’evento letale si produce in conseguenza del rapporto di causalità materiale tra distacco della macchina ed evento morte, il fatto deve ritenersi tipico ma scriminato dall’adempimento del dovere. L’esimente – lo si segnala – può giovare non a chiunque, ma solo chi sia abilitato e tenuto allo svolgimento degli specifici atti medici necessari per l’interruzione delle procedure: ciò è garanzia della riuscita tecnica dell’operazione, ma anche della neutralità dell’agente rispetto a interessi ulteriori eventualmente collegati alla permanenza in vita o meno dell’assistito. Non vi è necessità, 92 allora, di costruire una causa di giustificazione ad hoc, bastando la corretta individuazione della categoria di soggetti gravati dall’obbligo di attuare la volontà del paziente. Diversi i termini della discussione per quanto attiene all’eventuale richiesta dell’ammalato di accelerare il decorso patologico. Il diritto a morire non è, infatti, espressamente riconosciuto né appare facilmente sostenibile alla stregua dei principi generali; d’altra parte, le norme di legge ordinaria (artt. 579 e 580 c.p.) e il codice deontologico medico fanno divieto di agevolare il suicidio o procurare la morte, anche se col consenso o su richiesta. Il professionista che agisca in violazione di detto divieto non può, dunque, beneficiare di alcuna esimente, ma, al più, di attenuanti, ove il giudice ritenga di riconoscerle o concederle. 7. Dilemmi etici nello specchio della giurisprudenza: il caso Welby Quello tracciato è il quadro teorico, ma il vero travaglio emerge quando si passa dall’area speculativa ai casi concreti, come è accaduto – per ricordare una vicenda di ampia risonanza mediatica e paradigmatica dei diversi orientamenti giurisprudenziali – a Piergiorgio Welby, 18-12-2008 16:06 Pagina 93 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto che ha dovuto spendere le ultime risorse di tempo e di energia per cercare far rispettare la propria volontà. L’uomo – affetto da distrofia fascioscapolomerale in fase terminale – versava in uno stato irreversibile di immobilità pressoché totale dal 1997, quando era stato collegato a un respiratore artificiale che lo teneva in vita. Egli conservava, però, integre le facoltà mentali e riusciva a comunicare con l’ausilio di un computer. Dal 2002, conscio del decorso ineluttabile della malattia, aveva iniziato a battersi pubblicamente per l’affermazione del diritto di rifiutare le cure e nell’autunno del 2006, giunto allo stremo delle forze, aveva rivolto accorati appelli ai vertici istituzionali perché fosse consentito il distacco del respiratore. L’animato dibattito che ne era seguito sui mezzi di informazione, nelle case e nelle coscienze conferiva al dramma individuale respiro universale e significato sociale, ma non aiutava concretamente quell’uomo straziato dalla malattia. Nel novembre dello stesso anno, quindi, Welby aveva promosso ricorso ex art. 700 c.p.c. nei confronti del medico che l’aveva in cura, affinché fosse accertato il diritto di autodeterminazione e fatta cessare la ventilazione artificiale con contestuale sedazione terminale. Il La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati terapeuta, peraltro, non aveva contestato il diritto del paziente a rifiutare le cure, ma affermato il proprio obbligo di agire pro vita una volta subentrata la situazione di incapacità ad esprimere un consenso attuale. Nonostante anche il pubblico ministero si fosse pronunciato in senso favorevole al riconoscimento del diritto vantato da Welby, il giudice adito si è pronunciato per l’inammissibilità della domanda con una motivazione non convincente per le ragioni di seguito illustrate45. Anzitutto, il principio di autodeterminazione e consenso informato è affermato in astratto, col sostegno degli opportuni richiami normativi e giurisprudenziali, ma smentito in concreto: in contraddizione col riconosciuto «diritto soggettivo perfetto a rifiutare liberamente e consapevolmente la terapia, anche nel caso in cui quest’ultima consentirebbe di salvare la vita al paziente», si individua un vuoto di disciplina del rapporto medico-paziente sulle scelte di fine vita e si desume dagli artt. 5 c.c., 579 e 580 c.p. nonché dalle prescrizioni del codice deontologico medico l’indisponibilità della vita e il permanere della posizione di garanzia del sanitario – con connesso obbligo di intervento – a fronte del rifiuto che possa mettere a repentaglio il bene 93 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 94 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati supremo. Il vizio logico è evidente, perchè delle due l’una: o c’è un vuoto normativo sulla dinamica della relazione terapeutica per la gestione della fase terminale della vita o il sistema consente di estrapolare le regole di risoluzione dei conflitti. In quest’ultima direzione depongono – oltre al principio di completezza del diritto civile, da realizzare eventualmente attraverso il ricorso all’analogia – i numerosi riferimenti normativi contenuti nella stessa ordinanza. Si ha l’impressione che l’indecisodecidente inizialmente non abbia voluto operare una scelta di campo tra autonomia e paternalismo per poi orientarsi verso quest’ultimo. E qui l’inversione metodologica, atteso che – pur radicato il consenso informato al livello supremo della gerarchia delle fonti – si dà prevalenza a norme di legge ordinaria non interpretate in chiave costituzionalmente orientata e convenzionalmente corretta. Le ambiguità del provvedimento, peraltro, non si fermano qui, perché – sovrapponendo il piano della libertà del decidere con quello della medical futility e dell’uso spropositato dei mezzi curativi – si passa a considerare il concetto di accanimento terapeutico e si attribuisce fondamento costituzionale al relativo divieto, la cui concreta attuazio94 ne, però, è rimessa alla assoluta discrezionalità del medico in un campo non giuridicamente regolato e «non suscettibile di essere riempito da un intervento del giudice, nemmeno utilizzando i criteri interpretativi che consentono il ricorso all’analogia o ai principi generali dell’ordinamento». L’avvilente epilogo è che, il diritto del ricorrente esiste ma non è tutelato, perché quanto richiesto – in assenza di definizione normativa dell’accanimento terapeutico e per l’inesistenza di una «forma di tutela tipica dell’azione da far valere nel giudizio di merito» – è rimesso alla totale discrezionalità del professionista. A ben vedere, appare superfluo e fuorviante il riferimento alla controversa nozione di accanimento terapeutico46, che rileva per valutare quando l’operato del medico a favore del paziente incapace cessi di essere benefico. Piergiorgio Welby, però, non era affatto incapace ed aveva stimato nel proprio interesse l’interruzione delle cure. E comunque, anche a voler aderire all’impostazione del giudicante – che collega il diritto di rifiutare le cure ai soli casi di accanimento terapeutico – è un non-senso giuridico affermare che il diritto esiste ma non è tutelato47. Ancora una volta, delle due l’una: o il diritto non esiste ed allora non v’è alcuna pretesa da far valere 18-12-2008 16:06 Pagina 95 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto innanzi agli organi di giustizia o, se esiste, esso – in un sistema processuale non basato sulla regola di tipicità – è azionabile e tutelabile, anche soltanto attraverso una mera azione di accertamento48. Uno sviluppo logico e lineare della disamina iniziata nella prima parte dell’ordinanza avrebbe dovuto condurre ad affermare il diritto del ricorrente ad ottenere l’interruzione delle cure49. In realtà, i veri nodi giuridici del procedimento erano altri. Sotto il profilo processuale, l’ostacolo avrebbe potuto essere ravvisato nell’irreversibilità della statuizione di accoglimento delle richieste del ricorrente, poiché, secondo l’orientamento più accreditato, nel giudizio ex art. 700 c.p.c. non è consentita l’adozione di misure preclusive del successivo giudizio di merito50. In seno a tale indirizzo, comunque, si registrano aperture volte ad ammettere l’accoglimento del ricorso quando sia questo l’unico mezzo per scongiurare un pregiudizio irreparabile per il diritto azionato51. Sul punto l’ordinanza tace del tutto nonostante la disamina condotta dal pubblico ministero nell’atto di intervento, mentre sarebbe stato possibile, anche aderendo alla tesi più rigoristica che avrebbe portato al rigetto del ricorso, affermare – La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati almeno in forma di obiter dictum – il diritto di rifiutare le cure del paziente concreto. Guardando al caso da altra prospettiva, merita attenzione l’eventualità che il terapeuta avverta un insanabile contrasto tra la funzione istituzionale di cura dell’ammalato e il lasciare che la malattia faccia il suo corso. In proposito, appare utile il distinguo – operato da tempo dalla giurisprudenza anglo-americana – tra rifiuto iniziale delle cure e rifiuto sopravvenuto che debba passare attraverso specifiche azioni mediche. Nel primo caso, la volontà del paziente preclude a chiunque di superare la soglia di inviolabilità fisica, con la conseguenza che il mancato rispetto del divieto integra quantomeno il reato di violenza privata. Considerato che al medico si richiede semplicemente la non ingerenza nel corso naturale degli eventi, le ragioni del paziente devono prevalere e non vanno bilanciate. Nella seconda ipotesi, invece, non è difficile comprendere che la sensibilità del sanitario possa ribellarsi ad atti che si inseriscono nella sequenza causale che produce quella morte o quello specifico evento lesivo. Qui i sistemi anglo-americani non hanno difficoltà a dare spazio all’obiezione di coscienza, ma la questione non è altrettanto pacifica in Ita95 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 96 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati lia. Nel nostro ordinamento, infatti, alla posizione di chi fonda la libertà di coscienza sugli artt. 2, 3 e 19 Cost. e sull’interpretazione analogica delle ipotesi legislativamente previste52, si contrappone quella di chi ritiene che tale libertà possa «essere legittimamente esercitata solo in presenza di una disciplina legislativa che traduca positivamente i termini di componimento di quel conflitto» che può instaurarsi tra detta libertà e altri diritti costituzionali53. Le conseguenze dei due orientamenti sono diametralmente opposte, perché nell’un caso le ragioni di coscienza pongono il medico al riparo da ogni conseguenza sanzionatoria, mentre nell’altro – in mancanza di regolamentazione ad hoc – si profila una incriminazione per omissione di atti d’ufficio, ove il medico rivesta la necessaria qualifica soggettiva, e persino per lesioni personali. L’evento di danno di quest’ultimo reato risiede nell’ulteriore protrazione dello stato patologico, restando irrilevante che alla fine del trattamento possa far seguito la morte, la quale è l’inevitabile conseguenza di un atto lecito ed anzi dovuto. Inoltre, opera la responsabilità aquiliana, posto che il fatto doloso del curante è causa del danno contra jus consistente nel prolungamento delle sofferenze; il concorrere 96 dell’illecito civile con quello penale aggrava l’obbligo risarcitorio, estendendolo ai danni morali. Una regolamentazione dei casi e modi di esercizio dell’obiezione di coscienza in quest’ambito risulta, allora, opportuna per conciliare il rispetto per gli imperativi morali del professionista con la salvaguardia dei diritti del paziente, al quale va garantita la possibilità di individuare agevolmente e prontamente altro soggetto qualificato disposto a interrompere trattamenti indesiderati. Di tali aspetti non ha tenuto conto l’ordinanza in esame, che, invece, ha dato spazio più ancora che alla discrezionalità o alla coscienza del terapeuta all’arbitrio di questi, rimettendogli addirittura il compito – ritenuto precluso finanche al giudice – di delineare la nozione di accanimento terapeutico. Insomma, le falle logiche dell’ordinanza sono talmente numerose ed evidenti da far ritenere che essa sia emblematica non tanto della logica del giurista quanto piuttosto dell’incertezza e della titubanza dell’uomo che si confronta con i temi supremi del vivere e del morire. Non è stato comunque tale provvedimento a mettere la parola fine a questa vicenda, perchè il dott. Mario Riccio – nonostante il Consiglio superiore di Sanità non avesse ravvisato nel caso un accanimen- 18-12-2008 16:06 Pagina 97 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto to terapeutico54 – ha accolto la richiesta dell’ammalato di disconnettere il respiratore sotto sedazione. Piergiorgio Welby è spirato il 21 dicembre 2006, dopo aver combattuto la sua ultima coraggiosa battaglia per i diritti della persona. Si sono, quindi, messi in moto nei confronti del medico procedimenti volti ad accertare eventuali responsabilità disciplinari e penali. Sotto il primo profilo, è bastato poco tempo alla Commissione disciplinare dell’Ordine dei medici di Cremona per giudicare l’operato del professionista conforme alle norme deontologiche e chiudere l’istruttoria preliminare con declaratoria di insussistenza dei presupposti di apertura del procedimento55. Sul fronte penalistico, la Procura – in coerenza con la posizione precedentemente assunta – aveva chiesto l’archiviazione, rigettata, però, dal G.I.P. con imposizione dell’imputazione coattiva. L’instaurato rito abbreviato si è poi concluso con il non luogo a procedere per il reato di omicidio del consenziente56. Il giudice dell’udienza preliminare ha criticato – per ragioni non dissimili da quelle sopra illustrate – l’ordinanza ex art. 700 c.p.c., rimarcando che la disposizione di cui all’art. 32 Cost. implica «il riconoscimento anche della facoltà di rifiutare le cure o di La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati interromperle, che, a sua volta, non può voler significare l’implicito riconoscimento di un diritto al suicidio, bensì soltanto l’inesistenza di un obbligo di curarsi a carico del soggetto». Il decidente ha coerentemente ascritto il diritto di rifiutare le cure al novero dei diritti fondamentali della persona ex art. 2 Cost. in collegamento con la libertà di autodeterminazione riconducibile all’art. 13 Cost. ed ha puntellato tale ricostruzione col richiamo alle enunciazioni d’interesse contenute nella Convenzione di Oviedo ed in una serie di pronunce della Consulta e della Corte di Cassazione. Se ne è desunto che il rifiuto di una terapia, ancorché già iniziata, costituisce un diritto costituzionalmente garantito, «rispetto al quale sul medico incombe (...) il dovere giuridico di consentirne l’esercizio, con la conseguenza che, se il medico in ottemperanza a tale dovere, contribuisse a determinare la morte del paziente per l’interruzione di una terapia salvavita, egli non risponderebbe del delitto di omicidio del consenziente, in quanto avrebbe operato alla presenza di una causa di esclusione del reato e segnatamente quella prevista dall’art. 51 c.p.». Pertanto, si è ritenuto che la condotta dell’imputato avesse integrato la tipicità del delitto di omicidio del consenziente, ma fosse scriminata 97 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 98 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati dall’adempimento del dovere di rispettare la volontà consapevole del soggetto della cura. La pronuncia è apprezzabile per aver sviscerato con rigore motivazionale il tema dell’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 579 c.p. con riguardo all’ipotesi di morte derivante da rifiuto di cure o da richiesta di interruzione di cure già in atto. Non può che concordarsi con la soluzione cui è addivenuto il G.U.P. di Roma, perché – riconosciuto il principio del consenso informato – la condotta del medico si pone nella sfera di liceità e non può essere penalmente rilevante. A livello assiologico, poi, vanno equiparate le due situazioni, quella del rifiuto iniziale delle cure e quella del rifiuto sopravvenuto, il quale ultimo può passare attraverso condotte positive del medico necessarie per interrompere il trattamento. In entrambe le ipotesi, infatti, è la volontà del paziente a dettare la dirittura da seguire, anche se il percorso tecnico che fa escludere la punibilità del medico è diverso: in caso di morte derivante dal rifiuto di cure opposto ab initio è esclusa la tipicità del fatto, perché non opera la posizione di garanzia e quindi non si delinea l’equivalente normativo della causalità; in caso di morte seguente all’interruzione delle terapie che passi attraverso una condotta attiva, invece, è 98 integrata la materialità dell’omicidio, che, però, è scriminato dall’adempimento del dovere57. 8. Segue: il caso Nuvoli Problematiche del medesimo tenore di quelle sollevate dal caso Welby si sono affacciate nella vicenda che ha avuto per protagonista Giovanni Nuvoli, affetto da sclerosi laterale amiotrofica in stadio avanzato, immobilizzato a letto e tenuto in vita tramite ventilazione artificiale, ma perfettamente lucido ed in grado di comunicare le proprie volontà. Nel gennaio 2007 l’uomo aveva rifiutato le cure antibiotiche necessarie per combattere un grave stato infettivo e la sua volontà era stata rispettata. La circostanza, tuttavia, era stata iscritta nel registro delle notizie non costituenti reato, a conferma del fatto che non si trattava di un dato neutro bensì meritevole di speciale attenzione in quanto suscettibile di ingenerare conseguenze penalmente rilevanti. Superata la fase acuta del processo settico, il paziente aveva manifestato dissenso rispetto ai trattamenti rianimatori da praticare in caso di perdita di coscienza e domandato al primario del reparto di interrompere sotto sedazione la somministrazione di aria nei polmoni. A fronte del diniego opposto dal responsabile 18-12-2008 16:06 Pagina 99 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto della struttura, l’ammalato si era rivolto al pubblico ministero affinché consentisse ad altro medico di fare ingresso nel reparto per interrompere le terapie. Analogamente a quanto era accaduto per Welby, l’autorità giudiziaria ha affermato in astratto il diritto di rifiutare le cure, ma ha dichiarato inammissibile la specifica richiesta per l’inesistenza di una norma che attribuisse all’organo adito il relativo potere58. Proseguendo, quindi, sulla strada segnata dall’ordinanza del Tribunale di Roma ex art. 700 c.p.c., quel pubblico ministero ha ravvisato un’insanabile contraddizione sistemica tra il diritto riconosciuto e l’assenza di strumenti giuridici che ne assicurino l’effettività ed ha ritenuto che solo il legislatore possa approntare l’antidoto per porvi rimedio. Si argomenta che l’Ufficio della Procura non solo non ha il potere di nominare un commissario ad acta per l’attuazione della volontà del paziente, ma non può far leva neppure su strumenti di coazione indiretta. Ed infatti, il personale medico che non interrompa le cure non può essere perseguito né in sede penale, non sussistendo i presupposti di tipicità della violenza privata, né in sede disciplinare, non potendosi costringere il soggetto istituzionalmente deputato a preservare la vita a porre in La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati essere un atto dal quale deriverebbe certamente la morte. Si conviene sul fatto che la mancata interruzione delle cure non integra la fattispecie di cui all’art. 610 c.p. per difetto degli elementi strutturali della violenza o della minaccia e si può convenire sull’inopportunità di intentare l’azione disciplinare – che è discrezionale – per una condotta così eticamente controversa. La trappola logico-giuridica risiede, però, in quel che il provvedimento non dice; proprio nel non detto si coglie l’impostazione paternalistica di chi ha deciso. Il pubblico ministero, infatti, non vaglia la rilevanza o irrilevanza penale della condotta eventualmente posta in essere da un sanitario che accolga la richiesta dell’ammalato; argomenta che il professionista non può essere forzato a quanto ritiene contrario alla propria deontologia, ma tace sulla liceità del comportamento spontaneamente realizzato da chi giudichi conforme all’etica medica dare attuazione al diritto di non continuare a subire trattamenti indesiderati. V’è di più, perché surrettiziamente si rafforza un discrimen che non avrebbe motivo di esistere sul piano assiologico, ossia quello tra rifiuto di cure non ancora iniziate – che è sospetto ma non illecito – e richiesta di interruzione di terapie già in 99 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 100 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati essere, che sembra aleggiare in una sorta di limbo coperto dal silenzio. Il risultato raggiunto è razionalmente illogico e giuridicamente contestabile, perché il diritto di autodeterminazione è reso claudicante – valendo pienamente per il consenso ma non anche per il rifiuto – e perché si trascura l’indicazione fondamentale contenuta nell’art. 5 della Convezione di Oviedo, che riconosce la libera revocabilità del consenso in ogni momento. Se la volontà adesiva al trattamento è sempre revocabile ad nutum, ciò vuol dire che esiste il diritto di far cessare terapie indesiderate; se all’interruzione consegue uno stato di sofferenza, è dovere del medico cercare di alleviarla con gli strumenti che la scienza gli mette a disposizione, ivi compresi i farmaci sedativi. Non potendosi rassegnare ad essere vittima dei sofismi giuridici oltre che delle leggi di natura, nel luglio 2007 Giovanni Nuvoli si è lasciato morire di inedia per por fine al calvario cui era costretto. 9. Segue: l’intervento chiarificatore della Suprema Corte dell’ottobre 2007 (caso Englaro) Il succedersi in rapida sequenza dei drammi umani e delle vicissitudini giudiziarie dei 100 quali s’è dato conto è stato certamente tenuto presente dalla Suprema Corte nell’ottobre 2007, quando è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla vicenda della giovane in stato vegetativo permanente dal 1992 per la quale il padre-tutore ha più volte chiesto l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione forzata, sul presupposto che la figlia non avrebbe voluto trascinare quel tipo di esistenza59. Qui vengono in considerazione problematiche ulteriori rispetto a quelle esaminate, perché la condizione di incapacità irreversibile della paziente ha reso necessario dettagliare i criteri dell’agire per conto altrui. La Corte regolatrice ha colto l’occasione per una pronuncia di ampio respiro volta a fare il punto sulle questioni problematiche, dal ruolo del consenso e del rifiuto di cure al discrimen tra quest’ultimo e l’eutanasia, dall’ambito di operatività dei trattamenti coatti agli obblighi del medico, dai poteri del legale rappresentante dell’incapace al valore della volontà ipotetica del soggetto della cura. E così – superando tesi dottrinali e orientamenti giurisprudenziali di segno contrario60 e valorizzando le indicazioni provenienti dalle norme costituzionali, convenzionali, legislative e deontologiche – «legittimazione e fondamento del trattamento 18-12-2008 16:06 Pagina 101 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto sanitario» sono stati riconosciuti nel consenso informato, senza il quale «l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente». È il logico corollario del principio personalistico – dal quale discende «la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale» – ed è un assetto coerente con «la nuova dimensione che ha assunto la salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza». La libertà di autodeterminazione acquista, dunque, valore fondante la liceità del trattamento medico indipendentemente dal contenuto della decisione adottata e la salute individuale non è più intesa in una accezione eminentemente oggettiva misurabile in termini di durata della vita. Non potrebbe essere più chiara la presa di distanza sia dall’impostazione panpubblicistica, che ammette la funzionalizzazione dell’individuo all’utilità sociale, sia da La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati visioni eticizzanti di stampo religioso, che esaltano la sacralità della vita come valore astratto a prescindere da come la qualità di essa sia percepita dal diretto interessato. Con sensibilità, oltre che con limpida coerenza, il Collegio segnala che, «di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio – nel quadro dell’ «alleanza terapeutica» che tiene uniti il malato e il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno – per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Lo si ricava dallo stesso testo dell’art. 32 della Costituzione, per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sempre che il provvedimento che li impone sia volto ad impedire che la salute del singolo possa arrecare danno alla salute degli altri e che l’intervento previsto non danneggi, ma sia 101 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 102 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati anzi utile alla salute di chi vi è sottoposto (Corte cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996). Soltanto in questi limiti è costituzionalmente corretto ammettere limitazioni al diritto del singolo alla salute, il quale, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire». Resta fermo, però, il limite delle pratiche eutanasiche, ravvisate nelle sole ipotesi di positiva causazione dell’evento letale61. Non si fatica a riconoscere nelle parole della Corte la presa d’atto del mutamento di prospettiva che negli ultimi decenni ha interessato il mondo occidentale e l’avvicinamento al modulo dell’informed consent, che sottolinea la necessità di adottare le decisioni cliniche sulla base di uno schema di rapporto tra medico e paziente che sia collaborativo e rispettoso dell’autonomia del soggetto della cura. In tale cornice, si risolvono agevolmente anche le questioni relative all’eventuale responsabilità del professionista per omesso intervento a fronte del rifiuto di cure. Ed infatti, tale responsabilità «sussiste in quanto esista... l’ob102 bligo giuridico di praticare o continuare la terapia e cessa quando tale obbligo viene meno: l’obbligo, fondandosi sul consenso del malato, cessa – insorgendo il dovere giuridico del medico di rispettare la volontà del paziente contraria alle cure – quando il consenso viene meno in seguito al rifiuto delle terapie da parte di costui». La sentenza in commento avalla, quindi, indirettamente la soluzione adottata dal G.U.P. di Roma nel caso Welby, sgombra il campo dai retaggi del passato e segna la direzione di marcia per il futuro. 10. Considerazioni conclusive Le sentenze da ultimo citate hanno segnato un punto di svolta. Diversi fattori hanno concorso a far raggiungere tale traguardo, da tempo agognato dalla dottrina più sensibile ai valori autonomistici: la diffusione di tecniche di sostegno vitale atte a prolungare indefinitamente esistenze che – in passato o altrove – sarebbero già state risolte dalle leggi di natura; la maggiore laicizzazione dell’opinione pubblica e della classe dei giudici; la circolazione dei modelli culturali e la graduale costruzione di un sostrato comune occidentale consolidato dalle convenzioni internazionali; la forza mediatica di fatti e protagonisti che hanno 18-12-2008 16:06 Pagina 103 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto saputo toccare le coscienze nel profondo. Quei drammi individuali – connotati dal respiro universale della tragedia e dall’impatto scioccante della vita reale – non sono riusciti a smuovere l’immobilismo legislativo, ma hanno forzato i giudici a pronunciarsi. Ciò spiega perché queste pagine non hanno voluto trascurare il vissuto di ineffabile dolore e grande coraggio di taluni protagonisti di celebri casi giudiziari, i quali hanno accettato di subire fino all’estremo la luce accecante dei riflettori. Sarebbe stato più semplice e più rapido trovare soluzioni private e silenziose e, invece, Welby, Nuvoli ed altri come loro hanno voluto attribuire un senso forte alla sofferenza, sensibilizzando l’opinione pubblica e stimolando il cambiamento giuridico e culturale. Nel farlo hanno osservato socraticamente le regole dell’ordinamento, studiandone le dinamiche e sfruttandone gli strumenti, per poi arrendersi solo innanzi a prese di posizione tiranniche più che paternalistiche. Il loro sacrificio non è stato inutile, perché la Suprema Corte ha, infine, riconosciuto la fondatezza del diritto di rifiutare le cure, ancorandolo alle libertà fondamentali della persona. L’avvenuto chiarimento della normativa ad opera della giurisprudenza sgombra ora il campo La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati dalla tentazione di ravvisare nel rifiuto di cure uno «spazio libero dal diritto» o l’inespugnabile colonia del paternalismo e rende, invece, palese che si tratta di un territorio integrato, sottoposto alle regole generali da applicare con logica e coerenza. L’auspicio è, dunque, che nessun paziente debba tornare ad ingaggiare lotte estenuanti per veder riconosciuta la legittimità della scelta autonoma e consapevole di rifiutare o far interrompere un trattamento indesiderato. Dopo i passi importanti già compiuti, è facile pronostico che ulteriori innovazioni – ad esempio in tema di standard informativo, direttive anticipate, diritti dei minori e degli incapaci – saranno veicolate da pronunce giurisprudenziali. I giudici, infatti, non possono rimandare indefinitamente né traslare ad altri il fardello della scelta e devono comporre le antinomie del sistema; d’altro canto, la forza suggestiva dei casi concreti muove, commuove e orienta l’opinione pubblica ben più di quanto possa fare una discussione parlamentare. Non è un caso se anche negli ordinamenti anglo-americani molti interventi legislativi sono stati anticipati e segnati nel contenuto da storiche sentenze62. Non si tratta di invocare una sorta di governo dei giudici in violazione del principio di divi103 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 104 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati sione dei poteri63, ma di prendere atto, da una parte, che il sistema consente già di risolvere senza forzature molte questioni pugnacemente dibattute e, dall’altra, che il legislatore non riesce a superare la situazione di stallo da lungo tempo perdurante64. Il giudice che risolva un conflitto ordinando il materiale normativo a sua disposizione non fa che svolgere il proprio compito; se la decisione non è condivisa a livello assiologico, ciò non vuol dire che sia sbagliato il metodo o la soluzione; il legislatore domina altre leve e può intervenire per correggere o modificare – nei limiti imposti dal rispetto delle norme costituzionali e convenzionali – le note stonate. Del resto, c’è ancora tanto da fare e sono chiamati a intervenire il potere legislativo e l’esecutivo. Sul fronte delle politiche sociali, non vanno trascurati gli appelli di molti malati e delle rispettive famiglie, che chiedono allo Stato di investire nella ricerca scientifica e di fornire a chi soffre adeguati ausili, supporti e contributi di assistenza. Perché la scelta di non vivere possa realmente considerarsi libera, infatti, occorre predisporre le condizioni perché sia possibile scegliere di vivere. È un aspetto che la stessa Corte regolatrice non ha mancato di sottolineare, chiarendo che 104 anche la tragicità estrema degli stati patologici più gravi – quali lo stato vegetativo permanente – «non giustifica in alcun modo un affievolimento delle cure e del sostegno solidale, che il Servizio sanitario deve continuare a offrire e che il malato, al pari di ogni altro appartenente al consorzio umano, ha diritto di pretendere fino al sopraggiungere della morte. La comunità deve mettere a disposizione di chi ne ha bisogno e lo richiede tutte le migliori cure e i presidi che la scienza medica è in grado di apprestare per affrontare la lotta per restare in vita, a prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia di recuperare le funzioni cognitive. Lo reclamano tanto l’idea di una universale eguaglianza tra gli esseri umani quanto l’altrettanto universale dovere di solidarietà nei confronti di coloro che, tra di essi, sono i soggetti più fragili». Sono affermazioni di grande civiltà, che scongiurano il rischio di derive utilitaristiche e della reificazione della persona; sono anche il riflesso di una sensibilità cristiana profondamente radicata, che va oltre l’autonomismo kantiano ed assegna valore all’individuo anche quando non sia più cosciente e pensante. Quest’ultimo tratto fa la differenza rispetto agli ordinamenti anglo-americani, laddove la ricostruzione dei 18-12-2008 16:06 Pagina 105 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto best interests del soggetto della cura finisce per essere influenzata anche da dati di contesto esterni all’ammalato ed attinenti all’efficiente ripartizione delle risorse ed alla massimizzazione dell’utilità di sistema. Una volta riconosciuta la libertà di rifiutare persino le terapie life-sustaining o life-saving, va considerata l’opportunità di dare spazio – laddove l’interruzione debba passare attraverso azioni mediche e non mere omissioni – all’eventuale obiezione di coscienza del personale sanitario, come accade, ad esempio, per le pratiche abortive65. Se il tema delle ragioni di coscienza del professionista si pone all’attenzione solo ora è perché sono stati gli interventi giurisprudenziali più recenti ad instaurare la corretta corrispondenza tra principi normativi e regole operative, affermando perentoriamente il dovere giuridico e deontologico del medico di rispettare la volontà contraria alle cure. Il rovescio della medaglia – se si aderisce all’impostazione classica che subordina l’esercizio dell’obiezione di coscienza ad espressa previsione di legge – è che il non dar corso al volere del paziente si traduce nella violazione di un preciso obbligo ed espone il medico ad imputazione per lesioni personali volontarie e omissione di atti d’ufficio non- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ché a procedimento disciplinare per violazione dell’art. 35 del codice deontologico. La linea difensiva potrebbe essere incentrata, seppur con difficoltà, sulla possibilità – non pacifica, come si è visto – di fondare l’esercizio della libertà di coscienza in ogni settore sui principi generali. Tuttavia, appare condivisibile l’opinione che nega la generale prevalenza dell’imperativo morale su quello giuridico e rimette al legislatore ordinario – non all’interprete – la funzione di previsione e composizione, perché l’assenza di limiti e regole di contemperamento potrebbe pregiudicare la posizione dei controinteressati. Basti pensare alle difficoltà cui andrebbe incontro l’ammalato che si veda opporre l’obiezione di coscienza e non abbia mezzi adeguati in termini di denaro, capacità di ricerca e abilità di movimento per individuare altro professionista disposto ad assecondarne il volere. Un ordinamento democratico deve farsi carico di rispettare quegli imperativi della coscienza individuale che si fondino «su convinzioni che (...) possono (...) essere accettate e condivise dai consociati, tra i quali l’obiettore vive»66; ciò è opportuno che avvenga attraverso un intervento espresso e puntuale del legislatore, che individui soggetti legittimati, casi, modi e limiti di eser105 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 106 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati cizio dell’obiezione di coscienza e che abbia cura di blindare la posizione del paziente con la predisposizione di meccanismi che permettano di individuare rapidamente e tempestivamente altro professionista disposto a dar corso alla richiesta cessazione delle terapie. Insomma, per ciò che attiene ai rapporti tra autonomia, medicina e salute la cornice è pronta, ma la tela – ancora abbozzata – necessita di essere rifinita. Note 1. Si è scelto di non trattare delle dichiarazioni anticipate, che meritano un taglio specifico per la disamina di problematiche ulteriori rispetto a quelle affrontate in questa sede. 2. Il tema dell’allocazione ottimale delle risorse economiche ed umane è centrale nell’ordinamento inglese e viene avvertito come pressante da economisti, medici e giuristi. In argomento: C. Newdick, Who Should We Treat, Oxford, 1995. 3. Cfr.: G. Williams, Consent and Public Policy [1962] Crim LR 74 e 154; J. Feinberg, The Moral Limits of the Criminal Law, vol I Harm to Others, Oxford, 1984. 4. Attorney.General’s Reference (No 1 of 1980) [1981] QB 715. 5. Vi troviamo giochi ed attività sportive adeguatamente praticati, castighi e punizioni espressione di jus corrigendi, esibizioni pericolose. Per una disamina dottrinale: R. Card-R. Cross-P.A. Jones, Criminal Law, London, 1995, 174 e ss.; D. Ormerod, Criminal Law, Oxford, 2005, 534 e ss. 6. Si rinvia – anche per la disamina storica, l’esposizione delle tesi avverse e l’ampia bibliografia – a R. Romboli, Delle persone fisiche. Sub art. 5 c.c., in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 225 e ss. Nella dottrina penalistica: F. Albeggiani, Profili problematici del consenso dell’avente diritto, Milano, 1995, 66 e ss.; F. Dassano, Il consenso informato al trattamento terapeutico tra valori costituzionali, tipicità del fatto di reato e limiti scriminanti, in Aa.Vv., 106 Studi in onore di Marcello Gallo, Torino, 2004, 340 e ss.; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, 263; M.B. Magro, Eutanasia e diritto penale, Torino, 2001, 61 e ss. 7. Così E. Jackson, Medical Law, Oxford, 2006, 181, la quale giustamente evidenzia che, se la volontà del diretto interessato fosse l’unica ragione giustificatrice del trattamento medico, non vi dovrebbero essere ostacoli ad ammettere, ad esempio, la liceità dell’amputazione volontaria di arti sani o delle mutilazioni genitali femminili, procedure che, invece, sono vietate per ragioni di public policy. Il limite ordinario di disponibilità del diritto, infatti, può essere valicato solo in presenza di una good reason, che viene ravvisata, in caso di atto medico, nella «reasonable surgical inteference... as needed in the public interest» (Attorney General’s Reference, cit.). 8. Schloendorff v New York Hospitals (1914) 105 NE 92. 9. La sentenza di riferimento per il diritto inglese è Secretary of State v Robb [1995] 1 All ER 677, ma sono state le corti americane ad evidenziare per prime l’esigenza di salvaguardia dei citati interessi in un caso del New Jersey: In the Matter of Claire Conroy 486 A 2d 1209 (1985). 10. Quanto alla partoriente, in Re T (An Adult: Medical Treatment) [1992] 4 All ER 649 è stata sostenuta ma è rimasta minoritaria l’opinione che questa sia la sola evenienza in cui dar prevalenza al feto rispetto alla madre. L’ordinamento inglese, infatti, non riconosce autonomi diritti ed interessi a chi non è ancora nato (cfr.: Re F (in utero) [1988] Fam 122; Re MB (medical treatment) [1997] 2 FLR 426; AttorneyGeneral’s Reference (No 3 of 1994) [1997] 3 All ER 936, HL) tanto che, laddove il taglio cesareo è stato autorizzato, le corti hanno motivato sul presupposto dell’incapacità della gestante, unico fattore in grado di legittimare una decisione ab externo rispondente al migliore interesse della donna (Rochdale Healthcare (NHS) Trust v C [1997] 1 FCR 274). Il sistema esprime un forte individualismo, mitigato solo da una prassi incline a ravvisare profili di incapacità in colei che rifiuti procedure mediche consolidate atte a salvare il feto (Re MB (Medical Treatment), cit.). Per il mature minor, cioè il minore con un grado di maturità che consenta scelte autonome e consapevoli, la giurisprudenza ammette che questi possa esprimere valido consenso al trattamento, ma non rifiutare cure che scongiurino un grave pericolo per la vita o la salute (cfr.: Re W (A Minor) (Medical Treat- 18-12-2008 16:06 Pagina 107 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto ment) [1992] 4 All ER 627; Re E (A Minor) (Wardship: Medical Treatment) [1993] 1 FLR 386). È un netto favor vitae che fa giudicare il minore all’altezza di bilanciare i propri interessi solo se sceglie di curarsi. 11. British Medical Association, Withholding and withdrawing life prolonging medical treatment: guidance for decision making, (2nd ed. 2001), §§ 9.1-9.3. 12. Bouvia v Superior Court 179 Cal App 3d 1127 (1986). 13. La giurisprudenza ha configurato, in certi casi, una mera facoltà di intervento, che pone il medico al riparo da un’eventuale accusa per battery; in altri, un dovere il cui inadempimento è sanzionabile per negligence (Selfe v Ilford and District Hospital Managment Committee (1990) 114 SJ 935; Kirkham v Chief Constable of Greater Manchester Police [1990] 2 WLR 987). 14. Cfr. anche Reeves v Commissioner of Police of the Metropolis [1999] 3 All ER 897. 15. Cfr. R (On the Application of Pretty) v Director of Public Prosecutions (2001) 151 NLJ 1572. 16. Ad esempio, in Ms B v An NHS Trust Hospital [2002] EWHC Fam 429 la paziente aveva chiesto di interrompere la respirazione artificiale che la manteneva in vita, ma il personale sanitario che l’aveva in cura non era disposto assecondarne il volere, essendo legato alla donna da sentimenti di affetto e stima. La corte ha stabilito che l’ammalata dovesse essere trasferita presso altra struttura disponibile ad accoglierne la richiesta. 17. Per l’opposta soluzione adottata dai giudici statunitensi si vedano: Jacobson v Massachussetts 197 US 11 (1905); Holmes v Silver Cross Hospital 340 F Supp 125, 130 (NDIII 1972). 18. Ex plurimis: M. Stauch-K. Wheat-J. Tingle, Text, Cases and Materials on Medical Ethics, Abingdon, 2006, 111. 19. Per fare il punto sui diversi metodi di accertamento della capacità – status, outcome e functional approach – si veda Law Commission, Mental Incapacity, Report No 231, London, 1995, HMSO. La presa di posizione legislativa per il functional approach, già in uso presso le corti, si è avuta con il Mental Capacity Act 2005, che individua anche i parametri di accertamento. 20. Per una carrellata dei modelli informativi con esposizione critica dei vantaggi e svantaggi di ciascuno, si rinvia alla celebre pronuncia del 1972 della Court of Appeal del District of Columbia nel caso Canterbury v Spence, 464 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati F 2d 772 (1972). Per il diritto inglese si segnala Sidaway v Board of Governors of the Bethlehem Royal Hospital and the Maudsley Hospital [1985] AC 871. 21. La libertà del volere si reputa esclusa – oltre che da violenza, errore, dolo – anche dalla undue influence, espressione che si può tradurre come «influenza indebita» e per la cui nozione si rinvia a Re T [1993] Fam 95 CA. 22. In questo senso House of Lords Select Committee, Assisted Dying for the Terminally Ill Bill – First Report (2005), § 15. Di diverso avviso M. Otlowski, Voluntary Euthanasian and the Common Law, Oxford, 2000, 69, la quale ritiene che sia la considerazione sociale a far ritagliare una definizione di suicidio tale da escludere quanto è comunemente ritenuto accettabile. 23. Infatti, «accade semplicemente che il paziente ha, come è suo diritto fare, declinato il consenso a un trattamento che potrebbe prolungare o prolungherebbe la sua vita, e il medico, come suo dovere, si è conformato alle volontà del paziente» (Airedale NHS Trust v Bland, cit.). Concorde House of Lords Select Committee, op. loc. cit. 24. Invero, gli stessi autori che puntano su tale approccio riconoscono che esso è dettato da pragmatismo piuttosto che dalla logica (cfr.: I. Kennedy, Treat Me Right, Oxford, 1992, 351; M. Otlowski, op. cit., 163). 25. Così General Medical Council, Withholding and Withdrawing Life-prolonging Treatments: Good Practice in decision-making, 2002, § 28. Per un riconoscimento giudiziale del diritto del sanitario all’obiezione di coscienza, cfr. Bouvia v Superior Court, cit. 26. D.W. Brock, Voluntary Active Euthanasia, Hastings Center Report 22 Mar.-Apr. 1992, 10 e ss. 27. Pretty v UK, cit. 28. Cfr. Cox (1992) 12 BLMR 38. 29. Si veda la section 39 del Criminal Justice Act 1988; per una definizione nella common law: Rolfe (1952) 36 Cr App R 4. 30. Pur nell’ambito dell’orientamento generale di cui s’è detto, comunque, negli Stati Uniti si riscontra minore resistenza a valorizzare i diritti del paziente, anche a costo di sanzionare penalmente il professionista, come comprovato dal maggior numero di condanne per battery o assault. Ad esempio, la responsabilità del professionista è stata ravvisata per l’effettuazione di un intervento in spregio a una volontà contraria espressamente manifestata (Allan v New Mount Sinai Hospital, cit.) e per il mancato rispetto della revoca del consenso ini- 107 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 108 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati zialmente prestato (Ciarlariello v Schactr (1993) 100 DLR (4th) 609 (SCC)). 31. Cfr.: Corte cost., 22 ottobre 1990, n. 471, in Foro it., 114, I, 21, 1991, con nota di R. Romboli, I limiti alla libertà di disporre del proprio corpo nel suo aspetto «attivo» ed in quello «passivo»; Corte cost., 27 giugno 1996, n. 238, ivi., 1997, I, 58. 32. La necessità del previo consenso è ribadita dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (art. 33, legge n. 833/1978) nonché da quelle sul trapianto del rene (legge n. 458/1957), sulla raccolta del sangue umano (legge n. 219/2005), in tema di sperimentazioni cliniche (art.1, d.l. 16 giugno 1998, n. 186 convertito nella legge 30 luglio 1998, n. 257) ed in campo oncologico (art. 1, d.l. 17 febbraio 1998, n. 23, convertito nella legge 8 aprile 1998, n. 94), sull’interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194/1978), sugli interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS (legge n. 135/1990). 33. In ambito civilistico, si vedano: Cass., 14 marzo 2006, n. 544, AUSL Imperiese, in Giur. it., 2007, 343, con nota M. Petri, La corretta prestazione medica in assenza di informazione non esonera da responsabilità; Cass., 15 gennaio 1997, n. 364, Scarpetta c. USL n. 12 Ancona in Foro it., 1997, I, 772, con nota di A. Palmieri, Relazione medico-paziente tra consenso «globale» e responsabilità del professionista; Cass., 25 novembre 1994, n. 10014, Sforza M.P. c. Milesi O., in Foro it., 1995, I, 2913 e ss., con nota di E. Scoditti, Chirurgia estetica e responsabilità contrattuale, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 937 e ss., con nota di G. Ferrando, Chirurgia estetica, «consenso informato» del paziente e responsabilità del medico. In ambito penalistico, basti citare Cass., 21 aprile 1992, Massimo, in Cass. pen., 1993, 63 e ss., con nota di G. Melillo, Condotta medica arbitraria e responsabilità penale. 34. Dal 1995 il codice deontologico medico lega la legittimità dell’intervento al «consenso informato» e l’art. 35 del codice vigente stabilisce che «il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente». 35. Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748, E.B. c. E.E., in Corr. giur., 2007, 1676 e ss., con nota di E. Calò, La Cassazione «vara» il testamento biologico. 36. Così A. Princigalli, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, 196. 37. In particolare, l’art. 5 pone la regola generale per cui «un intervento sanitario non 108 può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia prestato il suo consenso libero ed informato», previa adeguata informazione «sulla finalità e sulla natura dell’intervento nonché sulle sue conseguenze e i suoi rischi» e ferma restando la libera revocabilità in qualsiasi momento della volontà manifestata. A tutela di coloro che non siano in grado di autodeterminarsi l’art. 6 stabilisce che «un trattamento può essere praticato su una persona incapace di prestare il consenso solo se gliene derivi un beneficio diretto» e prevede altresì l’autorizzazione del legale rappresentante ed il coinvolgimento, nei limiti del possibile, dell’interessato al procedimento di autorizzazione. L’art. 9 apre la strada al riconoscimento giuridico delle volontà a futura memoria, stabilendo che «i desiderata espressi anteriormente in ordine ad un trattamento sanitario da un paziente che, al momento del trattamento, non è in grado di manifestare la sua volontà saranno presi in considerazione». Non si attribuisce, quindi, valore vincolante ai voleri pregressi, ma si assicura quantomeno che essi vadano indagati e considerati. Il consenso svolge così un ruolo centrale ed il criterio oggettivo del «trattamento indispensabile dal punto di vista sanitario per il benessere della persona interessata» – simile al nostro stato di necessità ma di portata più lata – soccorre solo «quando a causa di una situazione di urgenza non è possibile ottenere il consenso appropriato» (art. 8). 38. Per un commento A. Santosuosso, Integrità della persona, medicina e biologia: art. 3 della Carta di Nizza, in Danno e resp., 2002, 809 e ss. 39. Per una disamina delle diverse tesi – e delle relative obiezioni – sul fondamento di liceità dell’attività medica, per tutti: M. Benincasa, Liceità e fondamento dell’attività medico chirurgica a scopo terapeutico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, 713 e ss.; R. Fresa, La responsabilità penale in ambito sanitario, in Aa.Vv., I reati contro la persona, vol. I, I reati contro la vita e l’incolumità individuale, trattato diretto da A. Cadoppi-S. Canestrari-M. Papa, Torino, 2006, 628 e ss.; F. Viganò, Profili penali del trattamento chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, in Riv. it.dir. proc. pen, 2004, 141 e ss. 40. Cfr.: G. Barbuto, Alcune considerazioni in tema di consenso dell’avente diritto e trattamento medico chirurgico, in Cass. pen., 2003, 329; L. Eusebi, Sul mancato consenso al trattamento terapeutico: profili giuridico-penali, in Riv. it. med. leg., 1995, 734 e s.; G. Iadecola, Potestà di curare e consenso del paziente, 18-12-2008 16:06 Pagina 109 Il rifiuto di cure da parte di soggetti adulti capaci: esperienza inglese e diritto italiano a confronto Padova, 1998, 113, per i quali l’intervento del medico nelle ipotesi di rifiuto di trattamenti salvavita è giustificato dallo stato di necessità o dall’adempimento del dovere connesso alla posizione di garanzia del professionista. Per una rassegna critica delle applicazioni giurisprudenziali di tale orientamento F. Vigano, op. cit. 41. Si veda R. Blaiotta, op. cit., 3620, il quale argomenta sulla base di Corte cost., 9 luglio 1996, n. 238, in Cass. pen., 1996, 3597, che ha dichiarato l’illegittimità per contrarietà con l’art. 13 Cost. dell’art. 224 c.p.c nella parte in cui consentiva al giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, di disporre misure – nella specie il prelievo ematico – che incidevano sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi, al di fuori dei casi e modi previsti dalla legge. Se neppure con provvedimento dell’autorità giudiziaria possono essere imposti interventi coattivi al di fuori delle espresse previsioni di legge, a fortiori il medico non può intervenire su soggetti dissenzienti. 42. Condivisibile il rilievo mosso da F. Viganò, op. cit., 163 ss., a parere del quale la fattispecie di cui all’art. 610 c.p. non si adatta – per difetto del requisito della violenza e la mancata previsione legislativa di un suo equivalente normativo – ai casi in cui il medico abbia ‘approfittato’ dello stato di incoscienza per praticare cure non previamente prospettate. A fortiori la medesima fattispecie non si presta a colpire la condotta di chi resti inerte innanzi alla richiesta di far cessare cure già in essere e capaci di procedere in modo automatico, come nel caso del collegamento a respiratore artificiale (così A. Vallini, nota a G.U.P. Roma, 23 luglio 2007, n. 2049, in Dir. pen. e proc., n. 1, 2008, 77 e s.). 43. R. Blaiotta, op. loc. cit. 44. In termini analoghi: F. Giunta, Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazione problematica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 95; L. Stortoni, Riflessioni in tema di eutanasia, in AA.VV., La tutela penale della persona: nuove frontiere, difficili equilibri, a cura di L. Fioravanti, Milano, 2001, 151; A. Vallini, op. cit., 68 e ss. Avanza riserve circa l’esistenza di un vero e proprio dovere del medico S. Seminara, Le sentenze sul caso Englaro e sul caso Welby: una prima lettura, in Dir. pen. e proc., 2007, 1563 e s. 45. Trib. Roma, ord. 15 dicembre 2006, in Guida al Dir., n. 1/2007, 32 e ss. e in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 844 e ss. 46. Nello stesso senso vedi pure S. Rodotà, Su Welby l’occasione mancata dai giudici, in La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati La Repubblica, 18 dicembre 2006, 20. 47. Dello stesso avviso G.M. Salerno, Un rinvio della questione alla Consulta poteva essere la soluzione appropriata, in Guida al dir., n. 1/2007, 49. L’argomento, peraltro, è stato sviluppato dal p.m. nel reclamo avverso l’ordinanza del tribunale di Roma. 48. In termini analoghi M. Azzalini, Il rifiuto di cure. Riflessioni a margine del caso Welby, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, 319. 49. Analogamente S. Rodotà, op. cit., 1. 50. Cfr. in dottrina C. Mandrioli, Diritto processuale civile, III, Torino, 2002, 413 e s., nota 22. Per la giurisprudenza: Trib. Modena, 11 giugno 1999, in Giur. merito, 2000, 1645, con nota di E. Canavese; App. Torino, 9 giugno 2000, in D. ind., 2002, 276; App. Torino, 29 novembre 2000, in Corr. giur., 2001, 371. 51. In questo senso in giurisprudenza: Trib. Milano, 14 agosto 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 354. 52. Cfr. C. Casonato, Il malato preso sul serio: consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della Corte di Cassazione, in corso di pubblicazione in Quad. cost., 2008, n. 3. 53. F. Palazzo, voce Obiezione di coscienza, in Enc. dir., vol. XXIX, Milano, 1979, 543. 54. Ministero della Salute – Consiglio superiore di Sanità – Sessione XLVI, Parere 20 dicembre 2006, in Guida al dir., n. 1/2006, 37 e s. 55. La decisione è intervenuta in data 1 febbraio 2007. 56. G.U.P. Roma, 23 luglio 2007, n. 2049, in Dir. pen. e proc., n. 1, 2008, 59 e ss., con nota A. Vallini, cit.. 57. Così, tra gli altri, M. Donini, Il caso Welby e le tentazioni pericolose di uno «spazio libero dal diritto», in Cass. pen., 2007, 902 ss. 58. Proc. Sassari, provv. 13 febbraio 2007, in Guida al dir., 2007, n. 16, 92 e ss., con nota G.M. Salerno, A questo punto diventa indispensabile avviare una «conversione costituzionale». 59. Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748, cit. Per una ricostruzione del caso nei vari passaggi si rimanda a: App. Milano, decr. 31 dicembre 1999, in Foro it., 2000, I, 2022, con note di G. Ponzanelli, Eutanasia passiva: sì, se c’è accanimento terapeutico, e A. Santosuosso, Novità e remore sullo «stato vegetativo permanente»; M. Fusco, Eluana vivrà. Per una questione di rito gli ermellini decidono di non decidere, in Dir. e giust., 2005, n. 19, 12 e ss.; App. Milano, decr. 15 novembre-16 dicembre 2006, in Guida al dir., 2007, n. 1, 39 e ss. 109 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 110 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 60. Per una rassegna critica si rinvia a F. Viganò, op. cit. 61. Sui confini – per vero incerti – tra rifiuto di cure ed eutanasia attiva in dottrina si vedano significativamente: S. Canestrari, Le diverse tipologie di eutanasia, in Aa.Vv., I reati contro la persona e l’incolumità individuale, cit., 129 e ss.; C. Casonato, op. cit.,. 62. Il rischio, invero, è stato paventato a seguito della sentenza della Cassazione che ha riconosciuto espressamente e pienamente il diritto di rifiutare le cure, dettagliandone pure i modi di esercizio con riguardo ai soggetti incapaci (Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748, cit.). Ed infatti, dopo il decreto della Corte d’Appello di Milano – emesso in sede di giudizio di rinvio – che ha autorizzato l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale alla giovane in stato vegetativo permanente, le Camere hanno deciso di sollevare innanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione avverso la sentenza della Corte regolatrice. Significativamente nella Relazione della Commissione Affari costituzionali del Senato – preso atto della carenza di «una organica disciplina normativa destinata espressamente a regolamentare la materia della “interruzione volontaria della vita”» e volutamente sovrapposta tale questione a quella dell’ammissibilità del mero rifiuto di cure – si critica la soluzione prescelta dalla Suprema Corte di demandare al giudice l’opera di ricostruzione della regola di giudizio nel quadro dei principi costituzionali, sul presupposto dell’indubbia operatività degli artt. 579 e 580 c.p. La Commissione ravvisa, quindi, una «potenzialità offensiva» del provvedimento dell’autorità giudiziaria per avvenuta «usurpazione» dell’attribuzione costituzionale di produzione normativa riservata esclusivamente al potere legislativo (il testo integrale della Relazione può leggersi in: www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tip o=BGT&id=307796). 63. Basti ricordare i numerosi progetti presentati e non approvati in materia di direttive anticipate e consenso informato. Per una disamina: L. Eusebi, Note sui disegni di legge concernenti il consenso informato e le dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, in Criminalia, 2006, 251 e ss.; D. Tassinari, Gli attuali progetti di legge sul così detto «testamento biologico»: un breve sguardo d’insieme, ivi, 2006, 265 e ss. 64. Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748, cit. 65. La questione attiene – non è superfluo ribadirlo – al solo caso in cui sia chiesta la cessazione delle cure e non anche la somministra- 110 zione di dati farmaci o terapie: è riconosciuto al paziente, a tutela dell’inviolabilità fisica prima ancora che della salute, il diritto di opporsi a pratiche indesiderate, ma non di servirsi del medico quale mero strumento; a tale ultimo risultato si oppongono, infatti, quella che gli inglesi chiamerebbero integrity of the medical profession, le prescrizioni del codice deontologico e gli specifici divieti posti dall’ordinamento per gli atti finalizzati ad arrecare danno o a provocare la morte. 66. R. Bertolino, Obiezione di coscienza, I) Profili teorici, in Enc. Treccani, Roma, 1990, 2. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 111 Impaginato 2-2008 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 112 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona *Giudice del Tribunale di Palermo Luigi Petrucci* Queste riflessioni si fondano esclusivamente sulla mia personale esperienza di lavoro e, soprattutto, sui numerosi colloqui con i colleghi avuti in questi anni, che sono, credo, la vera “causa” delle presenti considerazioni. Non so cosa condividerete e cosa invece non vi convincerà affatto: vi auguro, però, di avere sempre accanto a voi persone sagge nel momento di affrontare decisioni così difficili, come è stato per me in questi anni, e – possibilmente – che ciascuno di noi possa essere per il collega della stanza accanto che si trova in difficoltà un valido sostegno. A) L’IMPATTO DELLE QUESTIONI DI BIOETICA NEL LAVORO GIUDICE CIVILE. 1. Alcuni casi giudiziari. Ripescando nella memoria i casi affrontati in questi primi anni di lavoro professionale mi vengono, ovviamente, in mente le esperienze “comuni” a tutti i giudici del Tribunale per i Minorenni, come la richiesta dei medici che devono operare un figlio di testimoni di Geova, che non vogliono prestare il consenso alle trasfusioni di sangue o quello dei genitori che rifiutano di sottoporre il figlio al vaccino obbligatorio. Altri casi sono stati forse più curiosi: la richiesta di emissione di un provvedimento a tutela del 112 concepito avanzata dal Servizio sociale per impedire ad una tossicodipendente di mettere a repentaglio la gravidanza (che pure voleva portare avanti) con il suo stile di vita pericoloso. O quella di un padre che chiedeva l’intervento del Tribunale per sapere dove e quando la madre avrebbe partorito, allo scopo di effettuare il riconoscimento del figlio nei 10 giorni ed evitare così il ricorso al procedimento previsto dall’art. 250 c.c.. Addirittura una volta venne un signore straniero venne per chiedere un provvedimento di decadenza dalla potestà genitoriale della moglie italiana, perché questa non voleva sottoporsi a fecondazioni artificiali in modo da concepire un figlio che potesse essere donatore compatibile del midollo osseo necessario per curare un altro loro figlio. Siamo stati anche alle prese con dei genitori che avevano deciso di far nascere i loro figli in un reparto di neonatologia chiuso a seguito della “razionalizzazione” delle strutture mediche ovvero alla necessità di interdire una minore che, a causa di una rarissima ed incurabile patologia psichiatrica, aveva atteggiamenti violenti nei confronti dei genitori e dei fratelli, tanto da rendere loro la vita impossibile. Il ricordo per me più indelebile (e drammatico) è, però, quello 18-12-2008 16:06 Pagina 113 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona del “consenso informato” per un intervento a cuore aperto da praticarsi su una bambina allontanata dai genitori con un provvedimento di urgenza – al momento dell’intervento solamente sospesi dalla potestà genitoriale con reclamo in Corte di Appello pendente – che non ne volevano sapere di questa operazione (per fortuna tutto è andato bene!). Nella Sezione del Tribunale di Palermo, dove lavoro attualmente, ci siamo occupati a più riprese dei trattamenti medici di malati di mente e di interdizioni con finalità “sanitarie”, anche qui sempre con nuove varianti di problemi che conosciamo tutti: dalla richiesta del tutore di autorizzare un intervento chirurgico agli organi genitali per eliminare un tumore (ma anche gli organi stessi!), alla richiesta del tutore di ricoverare in istituto di cura dell’interdetto, che però non voleva essere ricoverato. Immagino che tutti hanno in mente le enormi questioni che solleva al giudice civile la necessità del consenso informato a qualunque trattamento medico e che sempre di più solleverà la valutazione che ci viene richiesta dell’adeguatezza dell’informazione dovuta. Nessun modulo, infatti, potrà mai del tutto “sterilizzare” il problema, che coinvolge delle scelte di vita importantissime: penso al caso di una madre, La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati con 4 figli piccoli, trattenuta in Ospedale per sei mesi con la “promessa” di risolvere in via chirurgica la sua incontinenza e che ha preteso di uscire senza avere più il “problema”, nonostante i ripetuti interventi non avessero avuto, purtroppo, alcun esito, aggravando anzi in modo irreparabile le sue condizioni. Vorrei anche accennare ai numerosi processi (che stavolta vedono impegnati anche i giudici amministrativi) in tema di fecondazione artificiale o ai problemi che hanno attraversato le nostre mailing list: penso soprattutto al tema dell’obiezione di coscienza del magistrato davanti al procedimento di autorizzazione all’interruzione volontaria della gravidanza (che era stato discusso nel maggio 2005 sulla mailing di Unicost ed è, poi, tornato alla ribalta nazionale nel 2007, con un prezioso intervento, fra gli altri, di Nello Rossi, e che fu anche oggetto di discussione in una Giunta Centrale) o, ancora, alle tante perplessità dei giudici tutelari che circolano sulla mailing “persone e famiglia”. 2. Tema da studiare. Un’occasione importante per riflettere sull’impatto della Bioetica su questi problemi ci è stata data dalla formazione decentrata del distretto di Palermo che, con l’occasione dell’anniversario 113 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 114 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati della morte del collega Livatino, ha organizzato ad Agrigento una giornata di studio sul tema, prendendo spunto dal caso Welby e dal caso Nuvoli (abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare i colleghi che se ne sono occupati) e nella quale anche Piergiorgio Morosini (che leggete pure in questo numero) è intervenuto con una relazione molto stimolante sui profili penali dell’eutanasia. Chi c’era ad Agrigento avrà letto con (maggior) soddisfazione la sentenza n. 21748/07 della Cassazione (ultimo arresto, per ora, sulla drammatica vicenda della giovane Englaro), in cui si sente l’eco dei profili comunitari, internazionali e comparatistici del problema, che nella giornata di studio avevano tenuto banco, grazie alla lungimiranza degli organizzatori (e penso soprattutto a Roberto Conti, che sta mettendo al servizio dei colleghi i suoi studi scientifici sul tema) ed alla preparazione dei vari relatori. Che sia un tema da approfondire non lo dice tanto la statistica (i casi non sono molti), quanto la nostra professionalità e la nostra coscienza, che vengono messe a dura (durissima: chi c’è passato lo sa) prova. La professionalità, perché in queste occasioni siamo chiamati – come sempre – a decidere in nome del popolo italiano, spesso senza il conforto di una normati114 va di riferimento, nella piena consapevolezza che la pluralità di opinioni etiche espone a facili critiche qualsiasi soluzione venga presa. La coscienza, perché abbiamo in mano la vita e la morte delle persone, un potere che paradossalmente – con sollievo di tutti! – la Costituzione aveva tolto per sempre al giudice penale. Per questo ad Agrigento si è giustamente detto che un più ampio ricorso all’esperienza delle Alte Corti Europee, delle altre tradizioni costituzionali, ai principi sanciti dai trattati internazionali, è necessario per dare maggiore spessore alle “decisioni difficili”, che da sempre misurano l’efficacia della Magistratura nella soluzione delle questioni che l’evoluzione sociale necessariamente porta con sé. Nell’orizzonte più vasto che la Suprema Corte e la Formazione ci propongono vorrei chiedermi, allora, quale può essere il contributo della Bioetica al nostro lavoro e, specialmente, nella motivazione dei provvedimenti e nella conduzione del procedimento. 3. Cenni sulla Bioetica. La parola bioetica è stata utilizzata per la prima volta da Van Renselaer Potter, un oncologo olandese che lavorava negli Stati Uniti, in suo articolo del 1970 (V. R. POTTER, Bioethics. The 18-12-2008 16:06 Pagina 115 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona Science of Survival, in “Perspectives in Biology and Medicine”, 14/1970, pp.127-153). In questo e nei successivi scritti proponeva la bioetica come scienza della sopravvivenza ed anche ponte verso il futuro, quando scienze sperimentali ed etica. Una prima lezione della Bioetica viene, dunque, dal metodo multi ed inter disciplinare, che è comune a tutte le impostazioni o modelli. Una seconda lezione viene, poi, dai quattro principi “classici” della Bioetica: di autonomia o, più propriamente, di rispetto dell’autonomia del paziente, che conosciamo nella nostra esperienza giudiziaria sotto il nome di “consenso informato”, con tutte le caratteristiche che sono state precisate anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza; di non maleficenza, che consiste nell’obbligo di non arrecare intenzionalmente danno al paziente; di beneficità, parola che vuole esprimere l’obbligo per il medico di avere sempre di mira il bene del paziente (istanza che è alla base della visione “paternalistica” del rapporto medico paziente ormai superata); di giustizia ovvero di distribuzione delle risorse, posto che tutti i cittadini hanno diritto alla cura della salute nello Stato sociale. La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Questi sono senz’altro i principi che tutti abbiamo applicato nella soluzione dei problemi che ci ha posto la pratica. Ma proprio alcuni dei casi dai quali sono partito ne evidenziano le (insanabili?) contrapposizioni: come conciliare autonomia e maleficienza per la signora che vuole assolutamente operarsi per non dover girare con il sacchetto o con i pannoloni? Ed autonomia e giustizia nel caso dei genitori che vogliono far nascere il loro bambino nel reparto di neonatologia del loro paese in via di chiusura per la razionalizzazione delle strutture sanitarie? Ancora, quale principio prevale fra autonomia e beneficità per i casi dei malati di mente che devono essere curati e non lo vogliono? Non posso, poi, fare a meno di notare che sono proprio autonomia, beneficità e maleficenza il combustibile delle accese discussioni sulla tutela del concepito, a seconda che si guardi alla madre, come è doveroso fare, ma tentando di rispettare la tutela della vita del concepito, pur prevista dalla legge, ovvero la stessa posizione del padre (almeno nel caso di chi vuole conoscere se e dove partorisce la madre). 4. Paradigmi di riferimento. Come è noto, ogni sistema completo contiene almeno una proposizione indecidibile: il 115 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 116 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati sistema formato dai quattro principi sembra contenerne parecchie! Visto che si tratta di una branca del sapere nata poco più di 30 anni fa è stato detto che “Non sorprende perciò che il fatto non esista una definizione condivisa di bioetica, e che sono molte le discussioni sul suo statuto epistemologico” (L. CICCONE, Bioetica. Storia, principi, questioni, Milano, Ares, 2003, p. 9). A questo punto della discussione il rischio è quello di dividere il campo fra chi crede nella sacralità della vita e chi, invece, nella qualità della vita, sterilizzando ogni tipo di discussione ulteriore. Personalmente appartengo senz’altro alla prima categoria, ma sono convinto che, così come accade per i bioeticisti, anche fra i giuristi (e fra di noi!) ci sono molte sfumature, che vale la pena di riassumere, ognuna con i suoi lati positivi. Senza pretese scientifiche penso che le principali pre-comprensioni dell’approccio alla decisione giudiziaria possono essere divise in tre categorie e pure in tre categorie si possono dividere i bioeticisti. La prima è quella contrattualistica o procedurale: per J. RALWS (Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 8^ ed., p. 43) questa posizione viene icasticamente espressa dalla formula 116 per cui viene prima la Giustizia, cioè le procedure per mettersi d’accordo, e poi il Bene, cioè quello che utile per il singolo o per la comunità. In Bioetica1 uno dei rappresentanti di questo approccio ha opportunamente notato che “poiché non ci sono argomenti [...] decisivi capaci di provare che una concreta visione della vita morale è migliore delle visioni alternative, e poiché non è avvenuta una conversione di tutti a un unico punto di vista morale, allora l’autorità morale [...] è l’autorità del consenso. L’autorità non è né quella del potere coercitivo, né quella della volontà di Dio, né quella della ragione, ma semplicemente l’autorità delle persone che decidono di collaborare” (H. T. ENGELHARDT, The Foundations of Bioethics, Oxford University Press, New York 1986; tr. it. Manuale di bioetica, a cura di M. Meroni, Il Saggiatore, Milano 1991, pp. 98-99). Una variante di questa impostazione, che si viene definita “clinica”, ancora più pragmatica, rinuncia a dare risposte generali ed affronta i problemi caso per caso, cercando la soluzione più ragionevole. Nel mondo giuridico credo che questa impostazione procedurale rappresenti l’evoluzione più consapevole del positivismo, poiché cerca la soluzione nelle norme e, ancora meglio, nel pro- 18-12-2008 16:06 Pagina 117 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona cesso quale forma di realizzazione del diritto al contraddittorio e di controllo delle decisioni. Un ruolo centrale in questa visione lo ha senz’altro la motivazione delle decisioni, quale strumento di persuasione circa la ragionevolezza della scelta fatta dal giudice. Mi sembra che questa sia la via attualmente più accreditata: ne sono espressione il riferimento al concetto di azione socialmente adeguata (Piergiorgio Morosini) o anche l’ampiezza della motivazione che fa ricorso a tradizioni giuridiche diverse da quelle italiana (come ha fatto la Suprema Corte nella decisione citata). Sicuramente è una risposta coerente alla necessità di assicurare la massima professionalità in queste decisioni. La seconda impostazione prende le mosse dalla grande famiglia dell’etica utilitaristica, in base alla quale occorre massimizzare il benessere e minimizzare la sofferenza. Questa è la grande tradizione del mondo anglossassone, che non a caso si riverbera in molte decisioni delle Corti di common law, fino alle applicazioni più spinte dell’analisi economica del diritto, che da noi non hanno, per la verità, mai avuto troppo seguito e sulla quale non mi soffermo, se non per notare che il contributo di questo modo di pensare è quello di giudicare la bontà di La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati una decisione in base ai suoi effetti (un tema, mi sembra, pure molto trascurato). Da questo punto di vista vale la pena ricordare quali difficoltà enormi vi siano nell’eseguire un trattamento medico su persona non consenziente, pur quando vi sia una decisione giudiziaria che lo dispone, così come è tutt’ora irrisolto il nodo dell’esecuzione dei provvedimenti civili di natura personale riguardanti i minori. Vi è, infine, l’approccio personalistico nel quale l’uomo – in quanto persona – viene ritenuto portatore di un compito e di valori sempre ed in ogni caso2. Mi piace pensare che questo approccio porti ad approfondire le ragioni di ogni situazione, a cercare di comprendere perché alcune persone possono decidere di fare scelte irreversibili, a vedere l’umano che sprigiona in ogni conflitto di interessi o di principi, di persone. Per cercare di trovare la soluzione che renda ragione, nella situazione concreta, del compito e dei valori espressi dalle persone coinvolte. Che non sono (quasi) mai una sola persona: nell’eutanasia c’è il paziente terminale che esprime il desiderio di morire, ma c’è il medico che deve assecondare questo suo desiderio e, forse, un giudice che lo deve autorizzare preventivamente, così per l’interruzione volontaria della gravidanza, per il trattamento medico 117 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 118 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati irreversibile, etc. Restando nel “recinto” del processo civile, l’effetto pratico si ha non tanto sulla motivazione, quanto sull’istruttoria, che deve essere aperta all’ascolto (del minore, dei genitori, del tutore e dei parenti: in questo senso l’istituto dell’amministrazione di sostegno offre una visione del processo a tutela degli incapaci davvero molto attenta alla conoscenza del caso concreto, cfr. in particolare gli artt. 406 e 407 c.c.), ai saperi diversi da quelli giuridici (in primo luogo una c.t.u. medica con quesiti ben strutturati, forse un giorno sarà il counselling o, addirittura, un approfondimento di bioetica, di cui molti ospedali sentono già il bisogno attraverso la costituzione di comitati di bioetica), alla fattiva collaborazione dei soggetti coinvolti nella decisione (non vi potrebbero essere conflitti mediabili o decisioni causate dalla mancanza di una speranza di sostegno concreto?). Questo modo di procedere parte, come dire, dal basso e va maturando la decisione nel contributo di conoscenze e di esperienze. Uno dei provvedimenti a cui si accompagnano queste riflessioni è una possibile applicazione di quest’ultimo approccio. Credo che risponda anche alle domande che pone la coscienza, perché 118 rappresenta ciò che umanamente si può chiedere ad un giudice, ovvero a colui che alla fine deve decidere, cioè tagliare, la controversia. Un lavoro ben fatto che lascia la coscienza tranquilla, a condizione, però, che tutti abbiano fatto bene il loro lavoro. Anzitutto chi deve darci i mezzi e la possibilità di svolgere bene il nostro lavoro (un caso difficile sconvolge il fitto programma di lavoro di un qualsiasi giudice civile, ma chi ci pensa a riequilibrare i carichi, le sentenze già poste in decisione?). La stessa società, che troppo spesso scarica sul giudice delle responsabilità che, forse, con una cura più affettuosa delle persone potrebbe evitare alla radice di giungere a scelte irreversibili. La categoria dei tutori, degli amministratori di sostegno, dei curatori speciali, delle stesse famiglie affidatarie, quei soggetti che rispondono quotidianamente ai bisogni della persona da proteggere, e il cui reperimento è quasi sempre lasciato all’inventiva degli operatori del settore e, spesso, al giudice, senza la previsione del benché minimo capitolo di spesa nel bilancio pubblico. B) IL CONSENSO INFORMATO IN ALCUNE ESPERIENZE DI PROCEDIMENTI CIVILI 18-12-2008 16:06 Pagina 119 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona A TUTELA DELLA PERSONA. 1. Il caso del minore. Vorrei soffermarmi, ora, sulle questioni interpretative che pone il consenso informato del soggetto incapace e, quindi, del minore (in senso stretto ovvero il bambino che non è in grado di esprimere in modo consapevole un consenso al trattamento medico) e della persona bisognosa di protezione, sia esso un c.d. grande minore (cioè un soggetto incapace di agire per legge, ma “che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”, così l’art. 155 sexies c.c.) oppure un maggiorenne (per il quale sussistano le condizioni indicate per la nomina di un amministratore di sostegno o per la sua interdizione). L’ammissibilità dell’autorizzazione all’espletamento di ogni terapia atta a salvaguardare la vita e l’integrità fisica del minore (i.e. il consenso informato sostitutivo di quello dei genitori) da parte del Tribunale per i Minorenni è ormai da anni pacifica nella giurisprudenza (a partire da Pret. Arezzo 24 aprile 1963). È interessante, però, esaminare in base a quali presupposti normativi e fattuali sia giustificabile questo intervento, anche per inquadrare la (parzialmente) diversa tematica del consenso informato al trattamento medico per i soggetti maggiorenni biso- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati gnosi di protezione. L’art. 33, 1° comma, l. 833/78 afferma che gli interventi sanitari “sono di norma volontari”, mentre le eccezioni a tale principio sono fissate dalla legge: sulla base di tale riferimento normativo si ritiene che ogni intervento medico debba essere espressamente consentito dal paziente, che in caso di soggetti minori viene dato dai genitori (v. ora anche l’art. 5, 1° comma, l. 184/83 come riformato nel 2001). In caso di mancato consenso viene, poi, in gioco il principio stabilito dall’art. 32 Cost. che “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, quale valore fondamentale da proteggere ed in base al quale valutare eventuali situazioni di conflitto con altri principi costituzionali (come ad es. l’art. 13 o l’art. 30 Cost.). In base a tali essenziali riferimenti la problematica in esame è stata in modo convincente ed autorevole risolta dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 132 del 1992, la quale – pronunziandosi sulla legittimità costituzionale delle vaccinazioni obbligatorie – ha individuato negli artt. 333 e 336 c.c. il fondamento normativo dell’intervento del giudice, riconducendo al corretto esercizio dell’ufficio privato affidato ai genitori la ratio ed il limite di 119 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 120 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati questi provvedimenti. L’esatta configurazione degli interessi costituzionali in gioco operata dalla Corte delle Leggi consente facilmente l’individuazione delle predette norme applicabili, quantomeno, in via analogica: la stessa ampia latitudine lessicale utilizzata dal legislatore, del resto, ben si attaglia alle più diverse situazioni di pregiudizio per il minore che possono in concreto determinarsi (cfr. T.M. Venezia 2 giugno 1998). La Corte ha, infatti, affermato: <<Tanto meno può ipotizzarsi che in queste ultime ipotesi si abbia una restrizione della libertà personale dei genitori, come invece sembra presupporre il giudice a quo. La potestà dei genitori nei confronti del bambino é, infatti, riconosciuta dall’art. 30, primo e secondo comma, della Costituzione non come loro libertà personale, ma come diritto-dovere che trova nell’interesse del figlio la sua funzione ed il suo limite. E la Costituzione ha rovesciato le concezioni che assoggettavano i figli ad un potere assoluto ed incontrollato, affermando il diritto del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità e collegando funzionalmente a tale interesse i doveri che ineriscono, prima ancora dei diritti, all’esercizio della potestà genitoriale. É appunto questo il fondamento 120 costituzionale degli artt. 330 e 333 cod. civ., che consentono al giudice – allorquando i genitori, venendo meno ai loro obblighi, pregiudicano beni fondamentali del minore, quali la salute e l’istruzione – di intervenire affinché a tali obblighi si provveda in sostituzione di chi non adempie>>. Mi sembra che le altre ricostruzioni proposte non siano altrettanto convincenti. L’intervento del sindaco sulla base dell’art. 33, 2° comma e ss., l. 833/78 non dovrebbe essere giustificato, perché la norma presuppone l’effettuazione di un intervento ritenuto obbligatorio dalla legge, mentre il trattamento medico non è per definizione obbligatorio. Qui l’obbligo da far rispettare è quello dei genitori rispetto al dovere di prestare il consenso per cure necessarie per il figlio (così T.A.R. Lazio 8 luglio 1985). Né credo si possa dire che il medico possa procedere direttamente, senza richiedere l’autorizzazione al giudice: il medico, infatti, non ha il potere di accertare lo scorretto esercizio della potestà genitoriale (diversamente nel caso di c.d. grandi minori, per i quali, però, la problematica è analoga a quella dei maggiorenni bisognosi di protezione). Neppure la proposta di fare ricorso all’art. 10 l. 184/83 per 18-12-2008 16:06 Pagina 121 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona fondare il potere di intervento del giudice è del tutto convincente, perché manca evidentemente il presupposto dei provvedimenti previsti dalla legge speciale, consistente nello stato di abbandono. Un’ulteriore opzione prospettata ravvisa negli artt. 320-321 c.c. le norme di riferimento, ma anche in questo caso difetta il presupposto di intervento previsto dalle norme, che si riferiscono a problematiche di tipo patrimoniale e nulla hanno a che vedere con il consenso informato, né in via di interpretazione estensiva, né in via interpretazione analogica. Un argomento contrario a questa tesi viene anche dal diritto processuale, poiché in questo caso il giudice competente sarebbe il giudice tutelare, al quale non è però affidato il potere di limitare la potestà genitoriale (il caso dell’autorizzazione all’interruzione alla gravidanza della minorenne è molto particolare: sia per l’età della minore, sia per la ricostruzione giuridica dell’intervento, sia per la eguale possibilità di considerare tale norma come eccezionale ovvero espressiva di un principio generale, valido però per i c.d. grandi minori). In base all’inquadramento suggerito dalla Corte delle Leggi è facile individuare i limiti e le conseguenze del provvedimento autorizzativo del giudice: soccorre al riguardo il consolidato La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati orientamento per cui il provvedimento camerale minorile non deve interferire con le legittime scelte educative dei genitori, dovendosi intendere come non legittime quelle scelte oggettivamente dannose ovvero quei genitori che si dimostrano incapaci di provvedere ai bisogni più elementari del figlio (cfr. A.C. MORO, Manuale di diritto minorile, 2^ ed., Bologna, Zanichelli, 2000, p. 161). In casi di questo tipo l’istruttoria dovrebbe tendere ad evidenziare se la scelta dei genitori sia oggettivamente pregiudizievole ed andrebbe valutata caso per caso senza pregiudizi: per esempio per i Testimoni di Geova va considerato se sia possibile fare ricorso all’autoemotrasfusione, che non pone problemi per la loro religione e viene utilizzata in alcuni centri medici come prassi, per i ridotti rischi che comporta. 2. Il caso del maggiorenne bisognoso di protezione. Per il maggiorenne bisognoso di protezione bisogna, anzitutto, esaminare il caso dell’intervento necessario proprio perché la persona rifiuta le cure del caso. È possibile, anzitutto, escludere che una condizione di abituale infermità di mente debba necessariamente portare ad una pronunzia di interdizione, poiché non ricorre la condizione della 121 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 122 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati necessità per la sua adeguata protezione, prevista dall’art. 414 c.c. nuova formulazione. Se, infatti, l’interesse alla protezione dell’integrità del patrimonio non è rilevante per la sua scarsa consistenza, l’esigenza di avere una figura in grado di imporre il ricovero in occasione degli scompensi, cui il malato di mente si oppone, può essere risolto con la nomina di un amministratore di sostegno, poiché può realizzare le due necessità sopra menzionate, pur salvaguardando un’adeguata ampiezza della capacità d’agire del beneficiario, attraverso l’opportuna perimetrazione degli atti da compiere e della struttura giuridica da prevedere per la loro validità. In via generale va detto che la principale differenza fra l’amministrazione di sostegno e le pronunzie di interdizione e di inabilitazione risiede proprio nel contenuto del provvedimento giudiziario che, nel primo caso, viene disegnato caso per caso dal giudice (come avviene ormai anche nel caso dei poteri del rappresentante legale dei minori in caso di scissione delle responsabilità genitoriali, cfr. artt. 4, 3° comma, 5, 1° comma, l. 184/83 per l’affidamento familiare; artt. 155, 2° e 3° comma, c.c. nel caso di separazione fra i coniugi), nel secondo caso, invece, è predeterminato ex lege tanto negli atti (previsti 122 per l’interdizione dagli artt. 372 e ss., per l’inabilitazione dall’art. 394 c.c., pur con la possibilità di eccezioni nominate dal giudice, oggi prevista dall’art. 427, 1° comma, c.c.), quanto nella struttura (si fa qui riferimento soprattutto alla necessaria concertazione fra curatore e inabilitato di cui agli artt. 394 e 395, che è ben diversa tanto dall’autonomo potere del tutore, quanto dal parere del beneficiario dell’amministrazione previsto dall’art. 410 c.c.). Sul piano degli effetti giuridici, infatti, l’amministrazione può avere quasi la stessa ampiezza dell’interdizione (e, a fortiori, dell’inabilitazione), tanto che la Suprema Corte ha precisato che, in tali ipotesi, il procedimento deve svolgersi secondo il rito contenzioso, con tutte la conseguente necessità di conferire mandato ad un difensore (cfr. Cass. sez. 1, 29.11.06, n. 25366, Cass.sez. 1. 2012.06, n. 27268). Proprio per l’impossibilità di operare una distinzione in base al criterio qualitativo (o soggettivo, fondato cioè sul grado di incapacità dell’infermo di mente), la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione che sono intervenute sul tema (Corte Cost. 440/2005 e Cass. n. 13584/2006) hanno individuato il criterio quantitativo (o oggettivo, costituito cioè dalla tipologia di atti da compiere) l’e- 18-12-2008 16:06 Pagina 123 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona lemento più idoneo a discriminare i due istituti. Queste stesse pronunzie ricordano come tale criterio (quantitativo o oggettivo) sia quello più confacente all’obiettivo prioritario del legislatore, rappresentato dall’armonizzazione fra la minimizzazione delle limitazioni della capacità e l’effettiva protezione dell’incapace. Seguendo questo ragionamento non è consentito il ricorso all’amministrazione di sostegno quando si vuole impedire al beneficiario qualsiasi atto di disposizione patrimoniale (così Corte Cost. cit.), mentre al di fuori di questo limite massimo è comunque inopportuno che gli atti di competenza esclusiva dell’amministratore siano tali e tanti, da rendere l’amministrazione una vuota figura (tra l’altro priva in buona misura della garanzia dell’intervento giurisdizionale preventivo e, in qualche misura, successivo del giudice tutelare e del Tribunale). Nella stessa linea può anche ragionevolmente affermarsi che sia poco coerente con l’introduzione del principio di necessità dell’interdizione (e inabilitazione) posto 414 c.c. ritenere che un soggetto debba essere interdetto sol perché occorra provvedere al ritiro della sua pensione (argomento sviluppato da tutte le decisioni della Suprema Corte sul punto). La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Se questo è il quadro relativo alla misure di carattere patrimoniale, meno tranquillanti sono gli approdi giurisprudenziali in merito agli atti relativi dispositivi della persona dell’incapace. Certamente nessun potere di questo genere è attribuito al curatore, sicché sotto questo punto di vista la misura dell’inabilitazione è inutile. Alcuni ritengono che il tutore possa prestare il consenso ai trattamenti medici in luogo dell’interdetto, poiché interpretano la norma sulla necessità del consenso (art. 33 l. 833/78, attuativo del disposto dell’art. 32, 2° comma, cost.) come un potere esercitabile dal rappresentante legale (fenomeno delle c.d. interdizioni sanitarie). Né la suddetta norma, né quella successiva in realtà prevedono una tale possibilità e, anzi, altri argomentano proprio dall’art. 34 (e analogamente gli artt. 1 e ss. della coeva legge n. 180), che prevede un vero e proprio procedimento per disporre trattamenti sanitari su persone malate di mente non consenzienti, per escludere che il potere di disposizione del corpo sia commesso al rappresentante legale (così come si è detto in precedenza a proposito dei minori). Per quanto si è detto dei minori, sembra da escludere che il fenomeno possa essere inquadra123 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 124 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati to nel fenomeno della rappresentanza e, dunque, anche della rappresentanza legale. La conclusione è stata, però, che quando sia accertata la necessità dell’intervento il giudice può e deve intervenire, pur con alcuni limiti. Vi è analoga possibilità anche per i maggiorenni bisognosi di cure? E qual è la norma di legge che fonda tale possibilità? Per la disciplina sul consenso informato attualmente occorre necessariamente fare riferimento alla Convenzione di Oviedo sulla “la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina”, ratificata con legge 145/2001. La Cassazione n. 21748/07 ha affrontato il tema dell’efficacia della legge, dal momento che non è stato depositato dal Governo lo strumento di attuazione in sede internazionale, in ogni caso le disposizioni del trattato possono senz’altro essere utilizzate per l’interpretazione adeguatrice delle norme interne. L’art. 5, titolato “regola generale”, prevede che la persona dia il proprio consenso libero e chiaro (sempre revocabile), dopo aver ricevuto un adeguata informazione sulla natura dell’intervento, sulle sue conseguenze ed i rischi connessi. L’art. 6, titolato proprio « protezione delle persone che non 124 sono capaci di prestare il consenso», prevede che nel caso di maggiore di età incapace di prestare il consenso, questo debba essere dato dal suo rappresentate legale, dall’autorità a ciò preposta ovvero dalla persona o istituzione designata dalla legge. Il successivo art. 7 è sostanzialmente riproduttivo dei principi espressi dalla nostra legislazione in tema di malati di mente, mentre gli artt. 8 e 9 prevedono che l’intervento medico sia consentito in situazioni di urgenza e che, disposizione del tutto innovativa rispetto al tessuto normativo previgente, si debba tenere conto della volontà del paziente espressa prima che intervenisse lo stato di incapacità (art. 9). Infine vanno ricordati i ricordati articoli da 17 a 20, che peraltro riguardano la specifica materia del consenso per le ricerche mediche e per il prelievo di organi, nei quali sono previsti casi e motivi in cui può essere dato il consenso nei modi previsti dall’art. 6 già citato. A seguito dell’entrata in vigore dell’amministrazione di sostegno dottrina e giurisprudenza si sono divise circa la possibilità che l’amministratore possa prestare il consenso ai trattamenti medici in luogo del beneficiario (in senso positivo, comunque, nel merito vi sono alcune pronunzie edite del Tribunale di Modena, 18-12-2008 16:06 Pagina 125 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona del Tribunale di Torino sezione staccata di Pinerolo, del Tribunale di Cosenza, del Tribunale di Palmi, del Tribunale di Messina). La questione, infatti, riguarda oggi l’individuazione del rappresentante dell’incapace, così come previsto dall’art. 6 della Convenzione di Oviedo, ratificata con legge 145/01. Anzitutto va escluso che il poter di consentire ai trattamenti medici sia un carattere proprio del tutore e non dell’amministratore, piuttosto v’è da dire che i dubbi sulla possibilità che il tutore abbia tale potere sono esattamente gli stessi che si devono avere per attribuirli all’amministratore, facendo entrambi riferimento alla possibilità di configurare un’ipotesi di rappresentanza in questi casi. In secondo luogo va ricordato che non vi è differenza dal punto di vista qualitativo fra la tutela e l’amministrazione di sostegno, per cui soggetti con lo stesso tipo di infermità mentale possono essere soggetti all’una o all’altra forma di protezione giuridica. Possono essere, infine, ricordati alcuni dati testuali in base ai quali si può dedurre che l’intento del legislatore era proprio quello di consentire (anche) all’amministratore di sostegno di compiere tali atti, con l’opportuno intervento del beneficiario (senza, quindi, escludere ovviamente che La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati il tutore possa prestare il consenso ai trattamenti medici in luogo dell’interdetto). E così non sarà inutile ricordare la stessa finalità della legge, secondo cui: “La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente” (art. 1), funzioni che ben possono essere quelle di ricevere cure mediche. L’art. 407, 2° comma, c.c. per cui “Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa.”, inciso che va ben oltre la finalità di protezione del patrimonio (pure evincibile dall’elenco fornito dall’art. 405 c.c. in relazione al contenuto del provvedimento di nomina dell’amministratore). Analogo inciso è contenuto anche all’art. 410, 1° comma, c.c.. Ancora l’art. 408, 1° comma, c.c. a mente del quale “La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo 125 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 126 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata”, che utilizza non solo la stessa formula dell’articolo appena citato, ma nella seconda parte riprende quasi testualmente l’espressione utilizzata dall’art. 9 della Convenzione di Oviedo (qui si parla di designazione della persona, lì degli atti di disposizione del corpo). È pure significativa l’incompatibilità degli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario prevista dal successivo terzo comma, a testimoniare una situazione di potenziale conflitto di interessi, che sussiste in modo particolare se le stesse persone che curano possono assentire alle cure. Infine si può ricordare che nessun rilievo può spiegare la clausola di salvaguardia prevista dall’art. 409 c.c. (“Effetti dell’amministrazione di sostegno. Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno”), poiché se la possibilità di dare il consenso agli interventi 126 medici è espressamente prevista nel decreto, l’inclusione generale dell’atto fra quelli riservati solo al beneficiario non può ovviamente operare. Anche aderendo alla tesi che il tutore sia il soggetto “istituzionalmente” previsto per dare il consenso agli atti medici è opportuno rilevare che, proprio in funzione dei canoni ermeneutici indicati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, la previsione che l’amministratore debba sempre e comunque consultare il beneficiario (anche quando l’atto sia riservato all’amministratore, ciò senza dire della possibilità per il giudice tutelare di strutturare diversamente questo specifico atto) tutela maggiormente lo scopo di sentire l’opinione del paziente, completamente frustrata dalla normativa sul tutore, che non prevede alcuna forma di coinvolgimento dell’interdetto. Infine, proprio sul piano della struttura della rappresentanza legale (che poi era il piano di indagine individuato all’inizio del ragionamento), va ricordato che l’art. 411, 1° comma, c.c. richiama gli artt. 374 e ss., la cui unica differenza, rispetto alle norme sulla tutela dell’incapace, risiede nella concentrazione di tutti i poteri in capo al giudice tutelare. Sembra, pertanto, potersi con- 18-12-2008 16:06 Pagina 127 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona cludere che la misura dell’amministrazione di sostegno non solo consenta tale intervento, ma forse sia anche quella più indicata nel caso che stiamo ipotizzando. Se, infatti, non vi sono numerosi atti di disposizione patrimoniale da indicare, per i poteri pertinenti agli interventi di carattere medico l’amministratore può essere autorizzato a prestare il consenso al ricovero in una struttura sanitaria quando il beneficiario sia in stato di scompenso, senza bisogno del consenso di questo, che resterebbe pienamente capace di dare tutti gli altri consensi medici necessari, senza neppure il bisogno di sentire l’amministratore. Per un maggior scrupolo è anche possibile che il decreto renda necessario l’intervento caso per caso del giudice. Che fare quando l’interdizione sia già stata pronunziata ovvero debba essere pronunziata per la necessità di amministrare un patrimonio rilevante? È chiaro che tale compito graverà sul tutore, ma – come bene evidenzia il provvedimento commentato – con le stesse cautele “partecipative” e “conoscitive” del beneficiario3. Secondo quanto recentemente affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 21748 dei 4-16 ottobre 2007, in caso di La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati incapacità del paziente, «l’istanza personalistica alla base del principio del consenso informato ed il principio di parità di trattamento tra gli individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione della decisione medica: tra medico che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità terapeutiche, e paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa accettare o rifiutare i trattamenti prospettati». La Suprema Corte ha ritenuto di fondare tale conclusione sull’esame della disposizione dell’art. 357 cod. civ., la quale – letta in connessione con l’art. 424 cod. civ. – prevede che “Il tutore ha la cura della persona” dell’interdetto, così investendo il tutore della legittima posizione di soggetto interlocutore dei medici nel decidere sui trattamenti sanitari da praticare in favore dell’incapace. Tale principio è stato, peraltro, già affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5652 del 18 dicembre 1989, che ha espressamente riconosciuto l’applicabilità dell’istituto dell’interdizione anche in assenza di patrimoni da proteggere, a salvaguardia di soli interessi di natura personale e, specificamente, di natura sanitaria, ed in particolare nel caso di 127 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 128 Il giudice e la bioetica La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati soggetti “la cui sopravvivenza è messa in pericolo da un suo rifiuto (determinato da infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in luogo sicuro e salubre od anche il ricovero in ospedale” per trattamenti sanitari. L’estensione delle facoltà di rappresentanza sostanziale del tutore alla tematica dell’espressione del consenso ai trattamenti sanitari trova conferma: nelle norme in materia di sperimentazione di medicinali per uso clinico dettate dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 211, art. 4, che ammette la sperimentazione su adulti incapaci che non hanno dato o non hanno rifiutato il loro consenso informato prima che insorgesse l’incapacità, a condizione, tra l’altro, che “sia stato ottenuto il consenso informato del legale rappresentante”, consenso che “deve rappresentare la presunta volontà del soggetto”; nell’art. 13 della legge sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, L. 22 maggio 1978, n. 194, che prevede che la richiesta di interruzione volontaria della gravidanza della donna interdetta per infermità di mente possa essere presentata, oltre che dalla donna personalmente, anche dal tutore, che nel caso di richiesta avanzata dall’interdetta debba essere sentito il parere del 128 tutore e che la richiesta formulata dal tutore debba essere confermata dalla donna; dal citato art. 6 della Convenzione di Oviedo, rubricato «Protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso», che prevede, al comma III, che «Allorquando, secondo la legge, un maggiorenne, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare, non ha la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione.» e dal successivo articolo 7, rubricato «Tutela delle persone che soffrono di un disturbo mentale», che, con specifico riferimento al trattamento di patologie di natura psichiatrica prevede che «La persona che soffre di un disturbo mentale grave non può essere sottoposta, senza il proprio consenso, a un intervento avente per oggetto il trattamento di questo disturbo se non quando l’assenza di un tale trattamento rischia di essere gravemente pregiudizievole alla sua salute e sotto riserva delle condizioni di protezione previste dalla legge comprendenti le procedure di sorveglianza e 18-12-2008 16:06 Pagina 129 Bioetica e principio del consenso informato nell’esperienza dei procedimenti civili a tutela della persona di controllo e le vie di ricorso». Può, dunque, ritenersi che i doveri di cura della persona in capo al tutore si sostanziano nel prestare il consenso informato al trattamento medico avente come destinatario la persona in stato di incapacità, ma in considerazione della natura di diritto personalissimo del diritto alla salute, secondo quanto affermato dalla pronunzia di legittimità testè citata, non può ritenersi che il riferimento all’istituto della rappresentanza legale trasferisca sul tutore, il quale è investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incapacità di intendere e di volere. Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, «nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non “al posto” dell’incapace nè “per” l’incapace, ma “con” l’incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdi- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ta della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche.» Alla luce di quanto sin qui rilevato occorre, pertanto, valutare se ricorrano le predette condizioni per il ricovero in una struttura, tramite gli opportuni approfondimenti istruttori e “partecipativi”, così come avviene nel caso dei bambini i cui genitori si rifiutino di prestare il consenso per cure dovute. Note 1. Per completezza segnalo che questo Autore ha anche precisato che la bioetica riguarda solo le persone ovvero “esseri coscienti, razionali (...). I feti, i neonati, gli handicappati mentali gravi e i malati in stato vegetativo persistente sono altrettanti casi di esseri che, per quanto umani, non sono persone” (H.T. Engelhardt jr., Manuale di Bioetica, Milano, Il Saggiatore, 1991, p. 58). 2. Questa viene spesso considerata la posizione cattolica, forse per l’umano desiderio di etichettare e, dunque, pre-giudicare (nel senso di valutare in anticipo a prescindere da ciò che dice): certamente molti cattolici si riconoscono in questa posizione, ma non dipende necessariamente dall’appartenenza religiosa (in un’intervista sul Corriere della Sera dil Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera del 8/5/81, alla vigilia del referendum sull’aborto nel maggio 1981, Norberto Bobbio disse: « ...mi stupisco che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere»). 3. Le riflessioni che seguono le devo parola per parola al collega Angelo Piraino. 129 Il giudice e la bioetica Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 130 Il mestiere del giudice e i tornelli *Procuratore Generale della Repubblica di Venezia Il dibattito sulla giustizia Ennio Fortuna* Non amo le polemiche in generale, e ancora meno amo le polemiche in materia di giustizia. Credo però doveroso chiarire alcuni punti oggetto di particolare contrasto dopo l’uscita del Ministro Brunetta a proposito dei cosiddetti tornelli a Palazzo di Giustizia. I tornelli nei nostri palazzi ci sono da molti anni, non riguardano però i magistrati, e non certo per un particolare rispetto della loro funzione. La realtà è che i tornelli sarebbero del tutto inutili in molti casi, spesso sarebbero assolutamente dannosi. Mentre scrivevo questo articolo, il pensiero mi è andato più volte al giudice di Perugia in camera di consiglio da molte ore per decidere la sorte dei tre imputati dell’omicidio della studentessa inglese. Che cosa avrebbe dovuto fare, lasciare la camera di consiglio, tornare a casa perché l’orario di lavoro era scaduto, e ricominciare daccapo il mattino successivo, dopo avere superato il tornello? Ma non c’è un orario per la camera di consiglio. Il giudice, proprio per legge, deve deliberare in piena serenità, prendersi tutto il tempo necessario per non sbagliare (se riesce, e non sempre riesce). È nell’interesse dell’imputato, dell’offeso, della collettività, non nel suo personale. E il giudice civile monocratico quando deve 130 decidere una controversia, non può timbrare un cartellino marcatempo. La soluzione gli viene in mente dopo ore di studio degli atti, in base alla propria preparazione giuridica e al proprio intuito. Magari stando a casa o in autobus. Non avrebbe alcun vantaggio, stando in ufficio, tanto più se costretto. Il tornello non aiuta a riflettere. Se si tratta di un giudice collegiale al tempo dello studio e della meditazione occorre aggiungere quello del dibattito in camera di consiglio. Se qualcuno vi assistesse anche una sola volta si renderebbe conto subito che i tornelli o gli orologi marcatempo non servirebbero a nulla. È la discussione che facilita o rende possibile la decisione. Non c’è, non può esservi un tempo prestabilito per esaminare un problema giuridico o di prova, e definirlo. Come non c’è un tempo definito per interrogare un testimone o un imputato. Da pubblico ministero ho aspettato anche 20 ore che il giudice uscisse dalla camera di consiglio con la sentenza, e a volte è uscito solo con un’ordinanza di richiamo in istruttoria. Si ricominciava daccapo, insomma, la decisione, secondo lui, non era matura, occorreva ancora qualche atto, qualche ulteriore indagine. Secondo Brunetta invece il tornello è un atto di giustizia nei Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 131 Il mestiere del giudice e i tornelli confronti di tutti, l’orario di lavoro vale per tutti; non c’è ragione di trattare il giudice diversamente dagli altri dipendenti dello Stato. Sarei molto soddisfatto che il Ministro avesse ragione. Temo però che si sia infilato in una strada senza uscita. Forse ha inteso solo fare una battuta, e ora trova poco dignitoso fare marcia indietro. Ma non dubito che si convincerà dell’insostenibilità della sua posizione. Il mestiere del giudice è assolutamente diverso dagli altri, non migliore, non più difficile, ma certamente diverso, assai diverso. Non conta dove lavora, conta solo che lavori e come lavora. Il giudice decide la sorte di terzi, a volte per sempre, e non sempre decide esattamente. Ma credo sia interesse di tutti, anche del Ministro Brunetta, che abbia la possibilità di meditare, prima di decidere, tutto il tempo necessario. Indipendentemente da dove. Altrimenti sbaglia di più. È vero, c’è il rischio che qualcuno approfitti della situazione, ma difficilmente tale atteggiamento sfugge ai colleghi o ai dirigenti. Nel nostro ambiente i pochi che ci “marciano” sono ben noti a tutti. Senza tornelli o orologi marcatempo. Non voglio neppure parlare delle nostre difficoltà logistiche, della mancanza di mezzi e di locali. Se tutti fossimo presenti in ufficio con- temporaneamente, il palazzo non terrebbe, le stanze e le sedie non basterebbero, ma è un problema secondario. Quello vero, quello essenziale per noi, ma soprattutto per gli utenti è che il giudice possa decidere serenamente, esaminando, meditando, discutendo, se serve, con i colleghi. Senza orari e senza marcatempo, il che non significa in meno tempo, anzi. A casa, in ufficio o altrove. Purtroppo la sentenza non ci cade dal cielo come la manna. È spesso frutto di dibattito accanito, di successive eliminazioni di ipotesi di soluzione esaminate, e poi scartate in favore di un’altra migliore, almeno apparentemente (e che non sempre si rivela tale). Se la politica conosce un altro modo di fare il giudice (o il pubblico ministero) ce lo faccia sapere. Ci adegueremo subito, senza polemiche e senza rancore. Magari con i tornelli. Tanto più che, e ne sono sicuro, il tempo definito e controllato, va tutto a nostro vantaggio personale, anche se a detrimento della giustizia. 131 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 132 Riformare il processo e non i magistrati Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati *Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma Intervento di Antonello Racanelli* Svolgo le funzioni di pubblico ministero da oltre 17 anni e devo purtroppo con grande amarezza confessare che il senso di frustrazione è sempre maggiore. Sempre più si ha non solo la sensazione ma la certezza di un lavoro inutile, di un girare di carte a vuoto. Il nostro processo penale è diventato un meccanismo costoso in tutti i sensi ma privo di una reale utilità per una molteplicità di ragioni. Con una battuta si potrebbe dire che si è cercato di realizzare il “giusto processo” ma il problema è che per molti il “giusto processo” è il processo che non si deve mai fare e che se si celebra deve portare all’assoluzione dell’imputato o comunque alla prescrizione del reato. Pur prescindendo dalla considerazione personale dell’inutilità dell’aggettivo “giusto” (forse in precedenza il processo non era giusto?) evidenzio che “processo giusto” significa che il processo deve fare giustizia e cioè che deve pervenire ad una decisione nel merito, nel rispetto delle norme processuali e del principio, riconosciuto a livello costituzionale, della ragionevole durata. Ancora una volta sento parlare di proposte di modifica ordinamentale (tipo separazione delle carriere tra giudici e p.m., etc...): l’inefficienza e la durata 132 irragionevole del processo penale non dipendono certo dall’attuale assetto ordinamentale (peraltro, la separazione delle funzioni è già una realtà e si sono introdotti limiti tali da arrivare già, di fatto, a un certo grado di separazione delle carriere ovviamente non in senso tecnico, cioè nel senso stretto e proprio del termine). Le soluzioni per il superamento dell’attuale crisi della giustizia e del processo penale (attualmente siamo alla paralisi, con il rischio di una vera e propria implosione) vanno cercate in interventi di più basso, ma non meno importante, profilo e cioè sul fronte di modifiche/integrazioni al codice di rito e alle norme sostanziali. Ma prima di affrontare in maniera più specifica proposte concrete di modifiche o integrazioni è necessario anche prendere atto che la crisi del processo penale è ormai strutturale: vi è una differenza sempre più marcata tra domanda ed offerta di giustizia, tra il numero dei procedimenti e la capacità di risposta da parte dell’organizzazione giudiziaria. Bisogna prendere atto che l’attuale struttura, con le attuali normative sostanziali e processuali, non è assolutamente in grado di far fronte alla domanda di giustizia, né si può pensare di risolvere tale situazione con Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 133 Riformare il processo e non i magistrati un aumento indiscriminato del numero dei magistrati (molteplici sono le motivazioni che rendono non percorribile questa strada). Appare ovvio premettere che sono necessarie maggiori risorse finanziarie da destinare al settore giustizia (le riforme a costo zero sono una mera illusione, come le esperienze passate ci devono avere ormai insegnato) per interventi sul piano dei mezzi e delle strutture. Accenno brevemente ai numerosi casi nei quali le udienze vengono interrotte e non possono proseguire nelle ore pomeridiane per la mancanza di personale amministrativo. È inutile illudersi: un miglior funzionamento della giustizia penale richiede necessariamente maggiori stanziamenti. Appaiono indispensabili immediati interventi in termini di riqualificazione del personale amministrativo e di istituzione dell’ufficio per il processo che io personalmente preferirei chiamare ufficio del giudice o del pubblico ministero. È necessario, altresì, prevedere interventi in punto di risorse materiali (si insiste tanto e giustamente sui temi della professionalità e della responsabilità dei magistrati ma in quale paese civile l’amministrazione non fornisce periodicamente agli stessi i necessari strumenti di aggiornamento profes- sionale (in primis i codici? nonché proseguire sulla strada già intrapresa dei processi di informatizzazione. Il presente articolo si propone di indicare, sulla base dell’esperienza quotidiana di lavoro, alcuni punti problematici sul piano processuale e meritevoli di interventi che, è doveroso sottolineare, hanno solo scopo esemplificativo e non certamente esaustivo. Sul piano del diritto sostanziale mi limito solo ad evidenziare che bisogna continuare nel processo di depenalizzazione di alcune fattispecie, anche se sul punto si osservano segnali contraddittori. Tutti sono d’accordo con la volontà di depenalizzare ma si susseguono leggi nonché progetti di legge che introducono o propongono di introdurre continuamente nuove ipotesi di reato (nel recente passato il legislatore italiano spesso, dando attuazione alle direttive dell’Unione Europea, ha fatto ricorso alle sanzioni penali anche nei casi nei quali le direttive non le prevedevano): ad esempio era proprio necessario prevedere come reato la condotta dell’elettore che introduce all’interno della cabina elettorale un telefono cellulare in grado di fotografare? Osservo che trattasi di contravvenzione che punisce anche chi soltanto per dimenticanza o negligenza ha con sé il 133 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 134 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati telefono: non sarebbe stato sufficiente introdurre una sanzione amministrativa? Ed ancora: era proprio necessario reintrodurre sanzioni penali per la guida senza patente? (l’esperienza dimostra che non è certamente questa la causa dei numerosi incidenti stradali). Si ipotizza di rendere penalmente rilevante la guida di autoveicoli privi di copertura assicurativa e così via dicendo. L’area del penalmente rilevante è già molto estesa: occorre procedere ad una riduzione (il codice del 1930, per molti aspetti, specie in relazione ai beni da tutelare, appare superato dall’attuale assetto costituzionale) per consentire poi l’introduzione, eventuale, di nuove fattispecie in relazioni a nuovi fenomeni meritevoli di sanzione sotto il profilo penale. Altri interventi potrebbero essere fatti per realizzare quella che i processualisti chiamano deprocessualizzazione: si tratta di introdurre o incrementare istituti con scopi deflattivi del processo e che possano consentire, ricorrendo determinati presupposti, al pubblico ministero di essere esentato dal dovere di promuovere l’azione penale. Si può pensare ad allargare l’area dei reati procedibili a querela nonché prevedere forme di archiviazione condizionata ad esempio alla circostanza che l’indagato si 134 astenga in futuro dal commettere ulteriori reati, in relazione ovviamente alla scarsa offensività del fatto posto in essere ovvero ad avvenute condotte di riparazione o di risarcimento realizzate dall’autore del fatto. Decisamente utile sarebbe un’estensione dell’attuale istituto dell’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, di occasionalità dello stesso, del grado ridotto di colpevolezza, oggi limitata ai reati di competenza del giudice di pace. Un cenno non può non essere fatto alla necessità di un intervento in materia di prescrizione per restituire razionalità ad un sistema che rischia di vanificare il lavoro di molti operatori del settore. Evidenzio solo un dato: con l’attuale disciplina credo sia diventato quasi impossibile riuscire ad ottenere una sentenza definitiva di condanna per il reato di corruzione. L’attuale sistema processuale rende, di fatto, poco probabile che in 7 anni e mezzo siano svolte le indagini preliminari, l’udienza preliminare ed i tre gradi di giudizio. Lo stesso discorso vale anche per molti altri reati. Appare necessario riconsiderare in maniera approfondita l’istituto della prescrizione: come già suggerito da alcuni, la sentenza di primo grado, se di condanna, potrebbe rappresentare il punto Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 135 Riformare il processo e non i magistrati finale per il decorso della prescrizione. Ciò consentirebbe di ridurre enormemente il numero delle impugnazioni presentate solo per motivi dilatori ma sul punto altre soluzioni potrebbero essere avanzate e discusse: l’importante è evitare che l’obiettivo finale di alcuni imputati sia quello non di vedere riconosciute le proprie ragioni ma di raggiungere la prescrizione. Fallimentare appare essere stata anche la recente scelta di adottare un provvedimento di indulto senza una contestuale amnistia: noi p.m. continuiamo a svolgere indagini per reati oggetto di indulto, i giudici continuano a celebrare processi per reati coperti da indulto e nel frattempo i procedimenti pendenti crescono con buone possibilità di chiudersi per prescrizione. Peraltro, non può non osservarsi che quello che era stato indicato come l’obiettivo principale del provvedimento di indulto (e cioè il sovraffollamento delle carceri) è divenuto nuovamente, sulla base degli ultimi dati diffusi dal D.A.P., un problema destinato ad aggravarsi nei prossimi mesi. D’altronde il bisogno di sicurezza e soprattutto l’emergere di sempre più diffuse forme di criminalità impongono interventi di più ampio respiro. Senza giustizia non può esserci sicurezza e non c’è giustizia se i processi hanno una durata irragionevole. In tale ottica, se pure sono necessari interventi in materia di edilizia penitenziaria, occorre anche riflettere sull’opportunità di mantenere il carcere al centro del sistema sanzionatorio, pensando ad una maggiore articolazione del predetto sistema prevedendo, in particolare per certi reati, sanzioni prescrittive, ablative e interdittive che appaiono sicuramente più adeguate. Occorre anche rendere effettive le c.d. pene alternative alla detenzione: la fuga dal carcere non può essere intesa come fuga dalla pena. L’attuale disciplina normativa è sotto molteplici aspetti lacunosa e deve anche fare i conti con una debolezza strutturale della magistratura di sorveglianza. Venendo allo stato del nostro processo penale, non si può non iniziare da una constatazione: negli ultimi anni gli interventi legislativi, evidentemente diretti alla tutela di “interessi particolari” (impedire o comunque ostacolare la celebrazione di certi processi) hanno, di fatto, aggravato la già difficile situazione in relazione a tutti i processi, ma evito in questa sede di analizzare quest’aspetto del problema. Sul piano processuale il punto più problematico è costituito dalla durata del processo: è possibile incidere su tale durata del 135 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 136 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati processo senza eliminare le giuste garanzie previste. Occorre semplificare le procedure e razionalizzare le garanzie. Settore privilegiato di intervento è rappresentato dalla disciplina in tema di notificazioni. L’esperienza quotidiana di chi frequenta le aule porta ad individuare nella complessa e farraginosa disciplina delle notificazioni una delle principali cause della lunga durata dei procedimenti e dei processi penali. Una recente ricerca svolta dalla Camera Penale di Roma in collaborazione con l’Istituto Eurispes, realizzata attraverso il monitoraggio di oltre 1600 processi celebrati innanzi ai giudici monocratici e collegiali del Tribunale di Roma tra l’aprile ed il maggio 2007, ha evidenziato come i dati relativi ai rinvii determinati dalla irregolarità delle notifiche all’imputato, alla persona offesa e al difensore nonchè delle notifiche ai testi rappresenti una delle reali patologie del processo penale. Lo studio in oggetto, a dire il vero, arriva alla seguente conclusione: “il processo penale è paralizzato dalla catastrofica condizione della struttura amministrativa deputata a gestirlo”: ciò è solo in parte vero, perché, ad avviso di chi scrive, anche alcuni meccanismi processuali ed alcune garanzie, solo formali e non sostanzia136 li, influiscono in maniera significativa sui tempi di svolgimento del processo penale. Sul punto specifico delle notificazioni, anche le recenti modifiche normative (introdotte con la legge 155/2005 c.d. legge antiterrorismo) che hanno eliminato o quantomeno drasticamente ridotto la possibilità di avvalersi della polizia giudiziaria per l’attività di notificazione, hanno reso sempre più difficile la situazione, in mancanza di un potenziamento del personale amministrativo destinato a tale attività. Se da una parte appare comprensibile la necessità di evitare di distogliere dalle attività ordinarie il personale di polizia giudiziaria non si comprende (e sul punto sarebbe sufficiente un limitato ma decisivo intervento normativo) perché non possa essere utilizzato in tale attività il personale inserito nelle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso le Procure della Repubblica: non è inutile evidenziare che trattasi di personale alle dipendenze dei Procuratori della Repubblica e che non ha certamente compiti di controllo del territorio. Si potrebbe pensare, ad esempio, anche ad eliminare la possibilità per il difensore di fiducia di non accettare la notificazione di cui all’art. 157 c. 8 bis c.p.p. Specie in presenza di un difenso- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 137 Riformare il processo e non i magistrati re di fiducia, non appare irragionevole semplificare le regole in materia di notifica di atti all’indagato o all’imputato. Perché non prevedere ex lege l’elezione di domicilio dell’indagato presso il difensore di fiducia sin dalla fase delle indagini? (sulla base, ad esempio, di quanto previsto dall’art. 33 disp. att. c.p.p. con riferimento al domicilio della persona offesa). Così come in caso di indagato o imputato assistito da due difensori di fiducia non si vede perché non possa ritenersi sufficiente la notifica fatta ad uno solo dei due difensori o deve ritenersi che i co-difensori non si parlino? Altra modifica potrebbe riguardare anche il numero di copie di atti da notificare ad esempio al difensore che sia anche domiciliatario del suo assistito: perché non può ritenersi sufficiente la notificazione di una sola copia dell’atto? Proprio nel settore delle notifiche i processi di innovazione tecnologica potrebbero essere di rilevante aiuto nel ripensare in maniera sistematica la relativa disciplina, prevedendo un largo uso delle comunicazioni mediante mezzi informatici o telematici. Altro intervento potrebbe riguardare il settore dell’inutilizzabilità che oggi ex art. 191 c.2 c.p.p. è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del pro- cedimento: non è infrequente il caso dell’avvocato che, pur consapevole di un vizio di inutilizzabilità come anche di un vizio di nullità assoluta, evita di eccepirlo subito e attende il giudizio di legittimità per farlo rilevare ed ottenere così la prescrizione del reato. Notevoli problemi causa anche l’attuale disciplina sulla c.d. inutilizzabilità relativa solo a determinati soggetti: vi sono cioè prove utilizzabili per un imputato, ad esempio e non per i suoi coimputati. Non si è ancora riflettuto a sufficienza sulle conseguenze di questa situazione sui percorsi motivazionali e decisionali del giudice. Strettamente collegato a questi temi è il c.d. problema dell’abuso del diritto e del processo: tematica che non può essere affrontata solo sotto l’aspetto deontologico ma che richiede precisi interventi normativi diretti ad impedire il verificarsi di casi di abuso, oggi spesso frequenti. È necessario intervenire, a livello normativo, per impedire non solo l’uso illecito degli strumenti processuali ma anche per impedirne l’uso dilatorio: entrambi gli usi devono ritenersi contrari alla lealtà e regolarità del processo (ovviamente, il discorso vale sia per gli avvocati sia per i magistrati). È necessario, inoltre, rendersi 137 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 138 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati conto che finchè il procedimento ordinario ha una durata irragionevole, con la quasi sicura prospettiva della prescrizione, non ci sarà nessun reale interesse a preferire i procedimenti speciali che pur rappresentano dei modelli interessanti ed utili di definizione processuale (anche se alcune perplessità suscita il c.d. patteggiamento in appello che appare un istituto inutile dal punto di vista deflattivo e che spesso consente di cumulare i benefici previsti dai riti alternativi). Altro settore di intervento è rappresentato dai processi celebrati nei confronti dei c.d. imputati irreperibili: assistiamo quotidianamente ad uno spreco di risorse materiali e temporali per processi “inutili” a soggetti “irreperibili” e che quasi sempre non saranno mai rintracciati. Sarebbe opportuno pensare a forme di sospensione del processo e della prescrizione fino a quando non si raggiunga la certezza della conoscenza del processo da parte del soggetto interessato, anche per evitare poi di dover rinnovare giudizi (vedi sul punto le numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei confronti dell’Italia). In materia di competenza appare indispensabile modificare l’attuale normativa, prevedendo un intervento definitivo e risolu138 tivo della Corte di Cassazione sin dalla fase degli atti preliminari al dibattimento per evitare che in sede di terzo grado di giudizio si arrivi ad una dichiarazione di incompetenza dopo la celebrazione di ben due gradi di giudizio e che quindi il processo debba ricominciare ab initio (tutti ricordano un recente clamoroso caso). Altro settore meritevole di intervento è l’istituto dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p.: l’esperienza dei nostri uffici dimostra sempre di più l’inutilità di un simile istituto, specie nei procedimenti con reati per i quali è prevista l’udienza preliminare nonché nei procedimenti nei quali siano state emesse misure cautelari, personali o reali, o comunque nei procedimenti nei quali l’indagato sia stato interrogato od abbia comunque avuto cognizione degli elementi di accusa. Ancora non ho ben capito quale sia l’esigenza di garanzia posta alla base della norma che prevede (art. 406 c.3 c.p.p.) la necessità di notificare all’indagato la richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari, almeno nel caso di prima richiesta di proroga che può aversi per giusta causa (termine generico e omnicomprensivo). Finora nella mia esperienza professionale solo in un caso l’avviso previsto dall’art. 406 c.p.p. ha avuto Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 139 Riformare il processo e non i magistrati come conseguenza la presentazione di una memoria da parte dell’indagato, ma anche sulla base di informazioni avute da altri colleghi ritengo di poter dire che trattasi di avviso sostanzialmente inutile, come priva di utilità appare anche la previsione di udienza in camera di consiglio (con conseguenti oneri di avvisi a carico della cancelleria del giudice) nel caso il giudice ritenga di non dover concedere la proroga. Occorre intervenire anche sul sistema delle incompatibilità che, come attualmente previsto, determina numerosi ritardi e rallentamenti nell’attività giurisdizionale: è necessario riesaminare l’intero settore, circoscrivendo l’incompatibilità alle sole situazioni che effettivamente possono mettere in pericolo la libertà e la serenità del giudice. Altra modifica che si potrebbe introdurre, ad esempio nei procedimenti per ricettazione (in relazione ad oggetti provento di furto), è considerare documenti le denunce dei reati presupposti, prevedendo solo che il giudice possa discrezionalmente, sulla base di richiesta motivata delle parti, disporre la citazione come teste del denunciante. Tutti assistiamo nei procedimenti per ricettazione alla quasi sempre inutile citazione di testi che spesso provengono da città distanti centinaia e centinaia di chilometri dal luogo di celebrazione del processo e che poi, quando vengono sentiti, non sono assolutamente in grado di apportare al processo elementi differenti o ulteriori rispetto al contenuto della denuncia già presentata: si assiste, spesso, al caso di avvocati, difensori dell’imputato, che si oppongono alla produzione della denuncia ed insistono per l’audizione del denunciante e che poi, quando il denunciante viene sentito, dichiarano di non aver alcuna domanda da fargli: è possibile continuare così? Quali sono le garanzie che si vogliono tutelare con le norme oggi esistenti? E veniamo ora alla norma che considero tra le più rilevanti nel determinare la durata irragionevole dei processi: l’art. 525 c.p.p. che, in combinato disposto con gli articoli dedicati alle letture, nell’interpretazione giurisprudenziale ormai prevalente non consente che, nel caso di mutamento totale o parziale dell’organo giudicante, le dichiarazioni assunte innanzi al giudice, totalmente o parzialmente diverso, siano utilizzabili per la decisione mediante lettura. Trattasi di interpretazione che, a modesto parere di chi scrive, contrasta, peraltro, con i principi di conservazione degli atti processuali, dell’efficace esercizio dell’azio139 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 140 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ne penale e dell’efficienza e della durata ragionevole del processo. Trattasi di norma che, specie in relazione alle ultime disposizioni in materia ordinamentale (vedi limite di permanenza decennale nelle funzioni, ovvero limite di permanenza per i semidirettivi) rischia veramente di allungare la durata dei processi senza alcun valido motivo. Non è dato realmente comprendere quali siano le reali esigenze di garanzia che impongano la necessità di dover rinnovare il dibattimento in caso di semplice mutamento, ad esempio, di uno dei componenti del collegio. Non si può parlare di lesione del principio del contraddittorio perché la prova si è formata nel pieno contraddittorio sia pure innanzi a giudice, parzialmente o totalmente diverso. Quanto alla lesione del principio di immediatezza (principio che richiede il contatto diretto tra giudice e fonti di prova e che comporta conseguentemente l’immutabilità del giudice dal momento dell’ammissione delle prove fino alla decisione) l’esperienza quotidiana di chi frequenta le aule di giustizia ci dimostra che quasi sempre i processi durano alcuni mesi se non anni e quindi anche in caso di medesima composizione del collegio tra l’inizio e la fine del processo, è impossibile per l’organo giudicante fare affida140 mento solo sul ricordo della prova formatasi in sua presenza ma necessariamente ricorre alla lettura dei verbali di udienza o, rectius, delle trascrizioni delle udienze. Peraltro, anche in appello, salvo casi eccezionali di rinnovazione, totale o parziale, del dibattimento, i giudici decidono leggendo le carte e quindi senza aver partecipato direttamente alla formazione della prova (certo occorre riflettere sull’attuale configurazione del nostro giudizio di appello – la possibilità di essere assolti in primo grado e poi di essere condannati in secondo grado solo sulla base dell’esame documentale degli atti pone indubbiamente un problema meritevole di valutazione – ma il legislatore, anziché intervenire su questo aspetto, ha invece ritenuto necessario eliminare il potere di appello del pubblico ministero, poi reintrodotto dalla Corte Costituzionale che negli ultimi anni in maniera sempre più frequente e puntuale ha impedito “derive” pericolose per l’assetto complessivo del sistema processuale penale). Ora nessuno mette in dubbio che in determinati processi possa essere utile se non necessario che, in caso di mutamento totale o parziale del giudice, si proceda anche a rinnovare le prove già formatesi ma per fare questo sarebbe sufficiente Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 141 Riformare il processo e non i magistrati affidare ogni decisione sull’eventuale necessità di rinnovazione alla discrezionalità del giudice, su richiesta motivata delle parti, anziché chiedere il consenso delle difese degli imputati che quasi sempre non consentono alla rinnovazione mediante lettura e non sempre perché può essere utile o necessario rinnovare la formazione ma spesso e volentieri solo per guadagnare tempo in vista di una quasi certa prescrizione, se non in primo grado, quantomeno nei gradi successivi. Tutti noi operatori siamo consapevoli come una semplice modifica dell’art. 525 c.p.p. consentirebbe una immediata accelerazione dei tempi dei processi. Tanto per essere molto concreti, vi faccio un esempio che mi coinvolge direttamente: nel Tribunale di Roma c’è un abbinamento tra p.m. e un collegio di una determinata sezione. Ebbene nella mia sezione ormai da più di un anno manca uno dei giudici a latere, perché trasferito ad altra funzione e non è stato ancora sostituito in via definitiva: abbiamo,quindi, un collegio c.d. precario con composizione variabile ad ogni udienza. Si riescono, pertanto, a definire solo i processi che è possibile chiudere in una sola udienza (pochissimi) ovvero i processi nei quali le difese consentono alla rinnovazione delle prove mediante lettura (ancora meno). Quale la conseguenza?: i processi non si fanno e nel frattempo decorre il termine di prescrizione. Se poi a ciò si aggiunge che dopo l’entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario il presidente del collegio in questione, che è anche presidente della sezione, è un perdente posto (nel caso specifico è in attesa di trasferimento alla Corte d’Appello) è facile comprendere quanto disastrosa sia la situazione: siamo di fronte ad un collegio super-precario con le ovvie conseguenze. Inutile dire che tra i processi destinati a non essere mai celebrati o meglio destinati a chiudersi già in primo grado con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione ve ne sono alcuni per reati anche molto gravi e di particolare allarme sociale (quali corruzione, abuso d’ufficio, falso in bilancio etc...). È anche vero che secondo alcuni questi non sono reati particolarmente gravi ma non è questa la sede per affrontare tale problematica. Certo già oggi appaiono possibili letture interpretative delle norme in questione che possono consentire di ridurre le “assurde” conseguenze sopraindicate ma trattasi di letture interpretative poco praticate dalla giurisprudenza: si impone la necessità di un intervento normativo chiaro e risolutivo. Peraltro, a mio avviso, 141 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 142 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati anche sulla base di un attento esame della giurisprudenza costituzionale, in caso di modificazione soggettiva del giudicante, non vi sarebbero modalità di assunzione delle prove dichiarative costituzionalmente imposte: ben potrebbe il legislatore ordinario intervenire sul punto. D’altronde già esiste nel nostro codice una norma,l’art. 190 bis c.p.p., che potrebbe fornire utili indicazioni. Il principio di immediatezza, come si è autorevolmente sostenuto in dottrina (Tonini), “non può essere accolto nel suo significato più rigoroso, in quanto non ha un valore in sé, bensì è funzionale all’accertamento dei fatti ed alla necessità di amministrare la Giustizia”. Lo stesso autore precisa che “i principi dell’oralità, dell’immediatezza e del contraddittorio non hanno valore in se stessi, bensì servono ad accertare la verità nel modo migliore. Essi hanno un valore strumentale in quanto assicurano la correttezza del risultato”. Sempre attuale e valido è quanto ha detto la Corte Costituzionale nella sentenza 255/1992 ex qua “fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità”. Efficaci, come sempre, risultano sul punto le parole del collega Davigo: “Risentire un teste a cui sono già state effettuate contestazioni, 142 interrogare di nuovo un teste a cui sono state poste domande a sorpresa è inutile, perché le domande non possono essere a sorpresa la seconda volta e le risposte non sono più genuine… l’interesse processuale, nel rito accusatorio, dovrebbe essere di utilizzare quegli atti”. In alternativa o come ipotesi subordinata si dovrebbe quantomeno prevedere la sospensione della prescrizione in caso di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per mutata composizione, totale o parziale, dell’organo giudicante. Ulteriori interventi potrebbero riguardare alcuni punti evidenziati nei vari “protocolli d’udienza” che sono stati elaborati in alcuni uffici giudiziari in collaborazione tra magistrati ed avvocati. Il protocollo per la gestione delle udienze dibattimentali penali, collegiali e monocratiche, elaborato a Roma offre, ad esempio, spunti interessanti: si potrebbe introdurre, a livello normativo, la c.d. udienza-filtro o di programma che serve ad una più razionale programmazione del ruolo delle udienze e serve ad impedire inutili citazioni di testi che spesso sono costretti ad attendere numerose ore prima di apprendere che il processo nel quale devono essere sentiti è stato rinviato ad altra data oppure che si è conclu- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 143 Riformare il processo e non i magistrati so con un patteggiamento. Un problema da non sottovalutare è la conseguenza negativa, in termini di credibilità e di fiducia nel sistema giustizia, che i continui e numerosi rinvii dei processi, dovuti ai più diversi motivi, causa nei cittadini che, specie in qualità di persone offese o di testi, frequentano le nostre aule di giustizia. Ho assistito personalmente a testi che in più occasioni hanno dovuto prendere atto, dopo alcune ore di attesa, che il loro processo era rinviato: come si fa poi a sanzionare lo stesso teste che, dopo essere venuto inutilmente più volte, decide poi di non presentarsi? L’udienza di prima comparizione, con eccezione per i giudizi con imputato detenuto, dovrebbe essere dedicata alla sola verifica della regolare costituzione delle parti, alla discussione delle questioni preliminari, alle formalità di apertura del dibattimento, all’ammissione delle prove (con conseguente calendarizzazione dell’istruttoria), alla definizione dei giudizi ex art. 444 c.p.p. o per ragioni processuali o di prescrizione, alla definizione dei giudizi di rito abbreviato non condizionato all’assunzione di prove dichiarative. È inutile ed è causa solo di disagi alle numerose parti coinvolte nei vari processi sovracca- ricare in maniera abnorme i ruoli di udienza: personalmente ho partecipato ad udienze monocratiche con oltre 40 procedimenti, per alcuni dei quali erano stati citati anche i testi. Pur essendo evidente che era impossibile celebrare tutti i processi fissati, si costringono le parti ad inutili attese: ecco perché appare necessario l’introduzione della c.d. udienza-filtro o di programma. Accenno brevemente ad ulteriori possibili interventi che potrebbero servire a razionalizzare il processo penale e ad evitare alcune distorsioni, indubbiamente presenti nella realtà, anche nell’ottica di recuperare risorse. In materia di misure cautelari personali (con eccezione, ovviamente, in caso di emissione successiva a convalida del fermo o dell’arresto) si può pensare ad attribuire l’emissione delle stesse ad un collegio con contestuale abolizione del riesame. In tal modo si ridurrebbe certamente il rischio di abusi o di errori. Una competenza collegiale potrebbe essere prevista anche in materia di autorizzazione all’esecuzione di operazioni di intercettazione: personalmente sono dell’opinione che l’attuale disciplina normativa in tema di intercettazioni non vada modificata in punto di presupposti e condizioni ma poiché non si può non registrare un certo “abuso” nell’uso di questo 143 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 144 Il dibattito sulla giustizia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati strumento investigativo si può pensare, ferma restando l’attuale disciplina, di prevedere la possibilità di una competenza collegiale, allo scopo di consentire un’applicazione più rigorosa e puntuale delle attuali norme codicistiche. Ma gli ultimi argomenti indicati (misure cautelari e intercettazioni) richiederebbero riflessioni ulteriori per la loro delicatezza e per i contrapposti interessi coinvolti, tutti meritevoli di attenzione e di tutela. Ovviamente, quelle indicate sono solo alcune proposte a titolo esemplificativo in relazione ai limiti del presente intervento. In conclusione sento di poter dire che continuare a parlare di separazione delle carriere, di riforma del C.S.M. e di altro in questa situazione di paralisi del processo penale significa, di fatto, non voler affrontare e risolvere i veri problemi che determinano questa situazione. Per riformare la giustizia bisogna riformare i processi ed intervenire sull’organizzazione amministrativa senza necessità di riformare i giudici e/o i pubblici ministeri. E soprattutto bisogna essere consapevoli che qualsiasi tentativo di riforma richiede una precisa scelta di investimento di risorse nel settore. Mi piace concludere questo scritto con alcune parole di Carnelutti che, pur 144 datate nel tempo, sono quanto mai attuali: “... gli uomini di governo danno atto periodicamente delle esigenze di una ‘giustizia rapida e sicura’ ma basterebbe che avessero conoscenza delle strettezze materiali, spesso inconcepibili, nelle quali il servizio si compie per rendersi conto che in pratica codeste declamazioni non hanno alcuna serietà. Se al servizio giudiziario si dedicassero le cure che si prodigano al servizio ferroviario o alla circolazione stradale, le cose comincerebbero ad andare diversamente; ma i valori economici contano ancora purtroppo assai più che i valori morali”. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 145 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 146 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali *Magistrato ordinario in tirocinio presso il Tribunale di Palermo Giustizia italiana e standard europei Francesco Antonino Cancilla* Premessa Il presente contributo intende delineare alcune questioni che emergono da una rapida ricognizione della giurisprudenza della Corte Costituzionale dell’ultimo anno. Da tali pronunce si evince che le norme della CEDU e quelle comunitarie (rectius UE) finiscono ormai per integrare il parametro di legittimità costituzionalei in virtù di un’applicazione alquanto duttile dell’art. 117 comma 1 Cost. Non è casuale che tale disposizione diventi lo strumento essenziale per condurre all’interno del giudizio le norme europee2. Le pronunce, alle quali si accennerà, sono le seguenti. Innanzitutto, vi sono le sentenze n. 348 e n. 349 del 22 ottobre 2007 (depositate il 24 ottobre 2007), con le quali la Corte ha dichiarato che talune disposizioni legislative, che riguardano il calcolo dell’indennità di espropriazione e la liquidazione del danno da occupazione acquisitiva, violano l’art. 117 comma primo della Costituzione, poiché sono contrastanti con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo3, che tutela il diritto di proprietà. Per comodità espositiva nel corso di questo articolo ci si riferirà a tali sentenze come “i casi sull’espropriazione”. Vi è poi la sentenza n. 39 del 146 25 febbraio 2008 (depositata il 27 febbraio) con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 50 e 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, poiché tali articoli stabiliscono che le incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale. La pronuncia scaturisce dal contrasto –mediato dall’art. 117 Cost. – fra le norme censurate e l’art. 8 par. 2 della CEDU, che sancisce il “diritto al rispetto della vita privata”. Sussiste, peraltro, anche una violazione dell’art. 3 Cost. Tale caso sarà in prosieguo indicato come il “caso del fallimento”. Merita poi rilievo l’ordinanza n. 103 del 13 febbraio 2008 (depositata il 15 aprile 2008), con la quale la Corte Costituzionale, adìta in via principale, si è avvalsa – per la prima volta nella sua storia – del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee al fine di ottenere una pronuncia sull’interpretazione dell’art. 49 TCE e dell’art. 87 TCE. 18-12-2008 16:06 Pagina 147 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali In tale vicenda lo Stato ha impugnato una legge della Regione Sardegna, che ha istituito un tributo regionale che colpisce il transito e l’approdo degli aeromobili e delle unità da diporto di imprese non domiciliate in Sardegna. La censura è stata sollevata con riferimento a diversi parametri costituzionali e, in particolare, all’art. 117 primo comma Cost. per violazione delle norme del Trattato CE relative alla tutela della libera prestazione dei servizi (art. 49), alla tutela della concorrenza (art. 81 coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10) e al divieto di aiuti di Stato (art. 87)4. Per ragioni di speditezza espositiva il caso sarà indicato come “il caso della Sardegna”. Va poi considerata la sentenza n. 128 del 16 aprile 2008 (depositata il 30 aprile 2008), con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata – in riferimento agli artt. 3, 10 e 27 della Costituzione – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 630, comma 1, lettera a) c.p.p. nella parte in cui tale norma codicistica esclude dai casi di revisione l’impossibilità di conciliare i fatti stabiliti a fondamento della sentenza (o del decreto penale di condanna) con la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che abbia accertato l’assenza di equità del processo ai sensi dell’art. 6 della La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU). Questo è il “caso della revisione”. Infine, da ultimo, si rammenta l’ordinanza n. 109 del 14 aprile 2008 (depositata il 18 aprile 2008) con la quale la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità dell’art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione. Il giudice a quo ha prospettato un possibile contrasto fra la decisione quadro sul mandato di arresto europeo (2002/584/GAI) e l’art. 18 della legge n. 69 del 2005, che impone il rifiuto della consegna del soggetto richiesto, nel caso in cui la legislazione dello Stato richiedente non preveda «limiti massimi di carcerazione preventiva». Questo sarà definito come il caso del “mandato di arresto europeo”. Effettuata tale ricognizione complessiva, non essendo ovviamente possibile esaminare approfonditamente le diverse tematiche, in questa sede saranno 147 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 148 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati svolte soltanto alcune riflessioni sulle linee guida della giurisprudenza costituzionale e sulle zone d’ombra che tuttora esistono. D’altra parte, i casi richiamati, che tracciano un particolare assetto dei rapporti tra gli ordinamenti, si prestano ad essere analizzati da una pluralità di punti di vista: quello processuale, quello dei rapporti fra gli interessi coinvolti, quello dei diritti fondamentali. La prospettiva processuale Per quanto attiene al punto di vista processuale, quasi tutti i casi richiamati riguardano giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale. Soltanto il “caso Sardegna” è oggetto di un giudizio in via principale promosso dallo Stato avverso una legge della Regione Sardegna. Tale particolarità incide sullo svolgimento del processo; e infatti, la Corte Costituzionale, disattendendo una sua costante riluttanza alla realizzazione di un dialogo diretto con la Corte di Lussemburgo, si è finalmente avvalsa del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia5. In materia è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale, malgrado qualche apertura dei primi anni Novanta, nei giudizi incidentali di costituzionalità ha costantemente negato di essere una “giurisdizione”6 nel senso 148 previsto dall’art. 234 TCE, che – come è noto – disciplina il rinvio pregiudiziale. Tale posizione non è stata smentita neppure nell’ambito di più recenti giudizi in via principale, in cui, però, a causa della semplicità delle norme comunitarie, la Corte non ha neppure avvertito l’esigenza del rinvio pregiudiziale7. In effetti, la Corte Costituzionale ha evidenziato che nei giudizi in via incidentale vi è già un giudice, quello a quo, che – nell’ipotesi di contrasto tra la norma interna e quella comunitaria dotata di effetti diretti – può direttamente disapplicare la norma interna e può altresì rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo al fine di chiarire i dubbi sull’interpretazione delle disposizioni comunitarie. Per contro, innanzi alla Corte costituzionale, adíta in via principale, la valutazione della conformità della legge impugnata alle norme comunitarie si risolve, attraverso il parametro dell’art. 117 Cost. comma 1 Cost., in un giudizio di legittimità costituzionale, sicché, in caso di riscontrata difformità, la Corte non può procedere alla disapplicazione della legge ma deve dichiararne l’illegittimità con efficacia erga omnes8. Pertanto, nel “caso della Sardegna” la Corte, pur insistendo 18-12-2008 16:06 Pagina 149 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali sulla sua peculiare posizione di organo di garanzia costituzionale, riconosce a sé nei giudizi in via principale la natura di giudice ossia la qualifica che – ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE – è indispensabile presupposto soggettivo per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Seguendo tale ragionamento, allora, la Corte Costituzionale potrebbe (rectius dovrebbe) utilizzare il rinvio pregiudiziale anche nel giudizio per conflitto di attribuzioni o in quello di ammissibilità del referendum, dato che in entrambe le situazioni non vi è un diverso giudice che possa occuparsi del rapporto fra le norme interne e quelle comunitarie. Vi è tuttavia una zona d’ombra, nella quale il giudice a quo, pur ravvisando una possibile violazione del diritto comunitario, non può disapplicare la norma interna in contrasto con il diritto comunitario ma deve necessariamente sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 11 e 117 Cost. Si tratta delle ipotesi in cui viene a rilievo una normativa europea priva di efficacia diretta o ancora dei casi in cui viene lamentata la possibile violazione dei “controlimiti”9 (ossia dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano) da parte del diritto La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati comunitario o ancora dell’ipotesi in cui la norma interna pregiudichi la perdurante osservanza del Trattato CE o del nucleo essenziale dei suoi principi10. Ora, con riferimento alle ipotesi summenzionate e – in particolare – per quella relativa alla normativa comunitaria priva di efficacia diretta, la Corte costituzionale ha elaborato la tesi della priorità del rinvio pregiudiziale rispetto alla questione di legittimità costituzionale. Di conseguenza, il giudice che si trovi di fronte a una norme interna, che richieda una preliminare interpretazione del diritto comunitario e ponga contemporaneamente dubbi di legittimità costituzionale, dovrebbe prima interpellare in via pregiudiziale la Corte di Lussemburgo; soltanto dopo la statuizione della Corte CE egli potrebbe decidere di sollevare questione di legittimità costituzionale. Se non viene rispettata tale priorità, la Corte Costituzionale tende a dichiarare l’inammissibilità della questione o a restituire gli atti al giudice a quo. La tesi in oggetto, che apparentemente cerca di salvaguardare l’autonomia della Corte Costituzionale, facendo ricadere esclusivamente sul giudice del merito l’onere del rinvio pregiudiziale, potrebbe tuttavia non soddisfare le esigenze del giudizio di costituzionalità. E infatti, 149 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 150 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati poiché la Corte di Lussemburgo si limita a rispondere ai quesiti posti dal giudice a quo, non vengono esaminati ulteriori profili che potrebbero essere nondimeno decisivi per risolvere il caso. Ciò premesso, per capire il senso di quanto si è sostenuto, si pensi al “caso del mandato di arresto europeo”. Si è già detto che nell’ordinanza n. 109 del 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione, poiché il giudice a quo avrebbe dovuto preliminarmente verificare se la regola della previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, che la norma denunciata mutua dall’art. 13 Cost., sia o meno “cedevole” di fronte all’obbligo di rispetto dei vincoli scaturenti dall’ordinamento comunitario, sancito a carico del legislatore nazionale dall’art. 117 Cost. Ebbene, il giudice di merito, pur nel caso di ritenuta cedevolezza della norma interna, non potrebbe disapplicarla, dato che le decisioni quadro – ai sensi dell’art. 34 TUE – sono prive di efficacia diretta. Qualora, poi, il giudice a quo intravedesse una violazione dei “controlimiti”, il problema sarebbe ancor più complesso. In ambedue le ipotesi il giudice dovrebbe sollevare questione di legittimità innanzi alla Corte, che finalmente potrebbe (o dovrebbe) avvertire l’utilità (o la neces150 sità) del rinvio pregiudiziale. Con tale strumento, che le consentirebbe di esplicitare la tesi dei controlimiti, la Corte costituzionale esprimerebbe la sua posizione sugli aspetti attualmente più critici del diritto europeo, sui quali si sono pronunciate anche altre corti costituzionali11. In breve, la tesi della priorità del rinvio pregiudiziale può tuttora accogliersi per finalità di semplificazione e di deflazione del lavoro della Corte Costituzionale, ma non può giustificare una irragionevole avversione della Corte verso il rinvio pregiudiziale. Il “caso del mandato di arresto europeo” sarebbe poi interessante anche sotto un altro profilo. E infatti, la Corte CEDU ha affermato che la disciplina di taluni Stati sulla custodia cautelare, sebbene sia diversa da quella italiana, è comunque coerente con i «principi giuridici europei» e segnatamente con l’art. 5, paragrafo 3, della CEDU. Pertanto, la Corte Costituzionale e la Corte di Lussemburgo, a loro volta, non potrebbero prescindere dall’esame della giurisprudenza della Corte di Strasburgo12. La prospettiva degli interessi I casi richiamati possono essere analizzati anche nella prospettiva degli interessi, che viene 18-12-2008 16:06 Pagina 151 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali spesso trascurata dagli studiosi che preferiscono concentrarsi sulla tutela dei diritti individuali oppure sui rapporti tra gli ordinamenti sotto il profilo del riparto di competenze. In verità, non va dimenticato che l’attribuzione di un potere e di una competenza su una certa materia avviene in vista della salvaguardia di taluni interessi pubblici. In parallelo, il concetto di diritto soggettivo sottende un inevitabile riferimento ad interessi sostanziali. E infatti, da un lato, il diritto soggettivo scaturisce dal riconoscimento di un interesse del singolo ad un certo bene della vita; dall’altro lato, la limitazione dei diritti individuali viene spesso giustificata dall’esigenza di tutelare diritti altrui di pari importanza oppure dalla necessità di perseguire interessi collettivi anch’essi meritevoli di protezione13. L’interesse, dunque, è la sostanziale giustificazione di un potere pubblico o di un diritto individuale e costituisce l’anello di collegamento fra il piano dei poteri e quello dei diritti dei cittadini. L’indagine lungo la linea degli interessi può allora contribuire a fissare alcuni tratti dei rapporti fra gli ordinamenti14. Ebbene, nel “caso dell’espropriazione” all’interesse alla realizzazione delle opere pubbliche e al risparmio della collettività, La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati finora reputato prevalente dalla Corte Costituzionale, si contrappone con successo l’interesse al buon andamento e alla legittimità dell’attività amministrativa e quello alla tutela della proprietà privata, che finisce per prevalere per il tramite dell’art. 117 Cost. e della giurisprudenza della CEDU. Nel “caso del fallimento” l’interesse all’ordine pubblico e alla disciplina dell’economia, che sarebbe a fondamento delle incapacità per il fallito, risulta soccombente – proprio a causa del carattere sproporzionato delle incapacità – rispetto all’interesse allo svolgimento dell’attività economica e a quello connesso alla tutela della dignità degli individui e al loro inserimento sociale, interessi tutti affermati dalla CEDU. Nel “caso della Sardegna” l’interesse alla contribuzione fiscale, cui è connessa l’autonomia finanziaria della Regione, che invoca ragioni di equità tributaria, si scontra con l’interesse allo svolgimento delle attività economiche, che è tutelato dall’ordinamento comunitario. È chiaro che la decisione della Corte di Giustizia, che dovesse tendere – come è probabile – a un’interpretazione estesa del significato della libera prestazione di servizi, indurrà verosimilmente la Corte Costituzionale a 151 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 152 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati dichiarare l’illegittimità delle norme sarde censurate. Nel “caso della revisione” l’interesse al processo equo, tutelato dalla CEDU, sembrerebbe soccombente rispetto a un generico interesse al mantenimento dello status quo della normativa processuale. In realtà, in tale vicenda il giudice a quo non ha individuato fra i parametri l’art. 117 Cost., che invece è indispensabile per far valere la violazione delle norme CEDU all’interno del giudizio di legittimità costituzionale. Vi è quindi un profilo di natura processuale che ha inciso negativamente sul giudizio di costituzionalità, impedendo una più accurata disamina della vicenda. Nel caso del “mandato di arresto europeo” si contrappongono l’interesse alla libertà personale e l’interesse alla cooperazione europea nel campo processuale e della repressione dei crimini. Il conflitto, però, non si è risolto, poiché la Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione così come posta dal giudice a quo. Può allora affermarsi che, eccettuati per ragioni processuali il caso della revisione e quello mandato del arresto europeo, il conflitto tra gli interessi ha determinato un loro bilanciamento in un’ottica di ragionevole contem152 peramento e di valutazione di proporzionalità, che conduce, infatti, ad affermare l’illegittimità della normativa sul calcolo dell’indennità da occupazione acquisitiva e quella sulle incapacità del fallito. In generale, allorché vengano a rilievo interessi giuridicamente rilevanti e di carattere fondamentale, non è possibile l’aprioristica prevalenza di uno rispetto all’altro, ma occorre considerare le specifiche esigenze e le particolari modalità di tutela hic et nunc. In altre parole, un interesse, che si ricollega a diritti fondamentali, non può tollerare una sproporzionata compressione da parte di normative che in modo irragionevole ed eccessivo perseguono interessi pubblici15; oltretutto, la tutela delle libertà è essa stessa un primario interesse pubblico. La prospettiva dei diritti individuali Dal piano degli interessi, che fanno da collegamento “deformalizzato” fra poteri pubblici e diritti, si può procedere al piano formale dei diritti soggettivi. Dalla giurisprudenza costituzionale in esame risultano prevalenti il diritto di proprietà (nel caso delle espropriazioni), il diritto al “rispetto della vita privata” e all’iniziativa economica (nel caso del fallimento). Per 18-12-2008 16:06 Pagina 153 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali quanto attiene al caso della Sardegna, – come si è già osservatopuò prevedersi la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme regionali per violazione – per il tramite dell’art. 117 Cost. del diritto alla libera prestazione di servizi sancito dall’ordinamento CE. Infine, per il “caso della revisione” e per quello del “mandato di arresto europeo” taluni problemi di carattere processuale hanno impedito alla Corte di affrontare funditus le questioni dedotte, che coinvolgono il diritto alla libertà personale e al processo equo. Non v’è dubbio che l’esito favorevole per i diritti individuali scaturisce dall’integrazione del parametro di legittimità costituzionale. Ciò è reso possibile – sotto un profilo di stretto diritto positivo – dal vigente art. 117 comma 1 della Costituzione, che pone espressamente il primato delle norme CEDU sul diritto interno e – unitamente all’art. 11 Cost. – ribadisce la supremazia dell’ordinamento comunitario. Si rende quindi necessaria e ormai ineludibile una lettura “transnazionale” delle norme che enunciano diritti16. Bisogna allora domandarsi se davvero i cataloghi di diritti menzionati in questo scritto siano fra di loro nettamente distinti e in posizione “sussidiaria” o se piuttosto si configuri un La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati insieme complessivamente integrato di diritti, i cui contenuti devono perciò desumersi da una pluralità di ordinamenti. Nella prima ipotesi i cataloghi sopranazionali entrerebbero in gioco soltanto nel caso di inadeguatezza o di insufficienza delle norme interne, ferma restando la separazione dei livelli ordinamentali. L’interpretazione di una disposizione costituzionale, dunque, parrebbe indenne dalle interferenze europee. Nella seconda ipotesi, invece, la ricognizione dei contenuti di un diritto fondamentale, affermato dalla Costituzione, non potrebbe trascurare un preliminare collegamento con diritti analoghi che sono sanciti nell’ambito sopranazionale. Appare preferibile quest’ultima tesi. E infatti, il contrasto delle norme interne con quelle poste dall’ordinamento CE o dalla CEDU implica una violazione non solo degli obblighi sopranazionali ma anche della stessa Costituzione, poiché ormai – in forza dell’art. 117 comma 1 Cost.– la potestà legislativa (statale e regionale) è limitata da sistemi normativi esterni, i cui principi conseguentemente si riverberano nell’ordinamento nazionale. Invero, l’art. 117 comma 1 Cost., imponendo di fatto un’interpretazione delle disposizioni interne conforme 153 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 154 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati all’ordinamento CE e alla CEDU, stimola la prospettiva dell’integrazione. A questo punto, è utile riesaminare i diversi casi, mettendo in risalto l’esigenza di un’interpretazione “aperta” dei diritti fondamentali enunciati nella Costituzione. In primo luogo, nei casi sulle espropriazioni la Corte riprende la giurisprudenza CEDU sul diritto di proprietà e sul principio di legalità delle procedure di espropriazione. Nondimeno, l’illegittimità costituzionale delle disposizioni in questione sarebbe pure emersa qualora le norme costituzionali, che sanciscono il diritto di proprietà, fossero state sottoposte ad una lettura “transnazionale” (ossia ispirata alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo) e più garantista della sfera giuridica del proprietario. In secondo luogo, per quanto riguarda il caso del fallimento, la Corte Costituzionale aderisce alla giurisprudenza della Corte CEDU, che ha sostenuto che le disposizioni della legge fallimentare sono lesive dei diritti della persona, perché incidono sulla possibilità di sviluppare le relazioni col mondo esterno e sono tali da determinare un’ingerenza non necessaria in una società democratica. Invero, la nozione di rispetto della “vita privata” presa in considerazione 154 dall’art. 8, § 2, della CEDU non esclude le attività di natura professionale o commerciale, dato che proprio nel mondo del lavoro le persone intrattengono un gran numero di relazioni con il mondo esterno. Il medesimo risultato si sarebbe tuttavia raggiunto attraverso una rinnovata interpretazione degli artt. 4, 27, 35 e 41 Cost., essendo palese che l’automaticità e l’eccessività delle incapacità si traducono in un’indebita lesione del diritto al lavoro, di quello all’iniziativa economica e della stessa dignità della persona. Sarebbe stata quindi auspicabile un’interpretazione sistematica più attenta alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo e maggiormente ispirata a un rinnovato valore della dignità della persona, che va rispettata anche per gli aspetti riferibili alle attività economiche. Infine, in relazione al tema del rapporto fra i diversi livelli di tutela dei diritti individuali, si consideri il “caso della Sardegna” in cui viene dedotta la violazione della libertà di prestazione di servizi, che carattere fondamentale per il Trattato CE. A tal proposito, occorre sottolineare che i diritti e le libertà derivanti dall’ordinamento comunitario, a differenza di quelli di fonte CEDU, non hanno carattere tendenzialmente universale. La giu- 18-12-2008 16:06 Pagina 155 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali risprudenza comunitaria, infatti, ha chiarito che, in assenza di una specifica normativa derivata, la libertà di prestazione di servizi non può essere invocata da un operatore economico contro il proprio Paese ma soltanto da un operatore di un altro Stato membro17. In altri termini, la libertà di origine comunitaria (specie di natura economica) può valere soltanto nelle ipotesi transnazionali, che presuppongono un attraversamento – sia pure potenziale – delle frontiere, ma non può investire l’ambito delle situazioni esclusivamente interne. Da ciò deriva che la pronuncia della Corte di Giustizia, resa a seguito del rinvio pregiudiziale, non potrà tenere conto della condizione delle imprese italiane ma potrà soltanto considerare quella delle imprese straniere. Pertanto, se la Corte di Lussemburgo fornirà un’interpretazione estesa della libertà in oggetto, la violazione del diritto comunitario si ravviserà in senso stretto solo per le imprese straniere. Per tutelare le imprese italiane, allora, la Corte Costituzionale dovrà pervenire a un concetto esteso di “vincoli comunitari” oppure dovrà affrontare la “discriminazione a rovescio”18, che inevitabilmente si configurerà per gli operatori aventi sede in Italia. La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati In alternativa, una pronuncia favorevole per le imprese nazionali potrebbe derivare da una rinnovata lettura dell’art. 41 Cost. sul diritto di iniziativa economica. Nella stessa direzione potrebbe pensarsi a una valorizzazione della “tutela della concorrenza” come materia “trasversale” ex art. 117 comma 2 lett. e) Cost., che, in virtù di preminenti interessi del mercato derivanti dall’ordinamento europeo ma ormai “interiorizzati” dall’ordinamento statale, esige un’uniformità di trattamento fra le imprese. Tale parità può attenuarsi solo per la protezione di ulteriori interessi pubblici, che sono compatibili con il sistema comunitario e che richiedono una qualche diversità di disciplina. In conclusione, il quadro brevemente tratteggiato finisce per valorizzare il ruolo del giudice, che –sulla base dell’art. 117 comma 1 Cost. e della stessa giurisprudenza costituzionale qui accennata – dovrà interpretare le norme interne in una prospettiva sopranazionale che dà nuovi contenuti agli stessi diritti fondamentali enunciati dalla Costituzione. Le ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, dunque, dovranno manifestare tale lettura “sopranazionale” del catalogo dei diritti, essendo altrimenti probabile che sia dichiarata l’infondatezza o l’inammissi155 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 156 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati bilità della questione. Note 1. In breve, tali norme diventano “parametro interposto” del giudizio di legittimità costituzionale. Sulle norme interposte e sull’integrazione del parametro di costituzionalità, si v. C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della “manifesta infondatezza”, Milano 1957, 26; M. SICLARI, Le “norme interposte” nel giudizio di costituzionalità, Padova 1992; v. anche G. PITRUZZELLA, F. TERESI, G. VERDE (a cura di), Il parametro del sindacato di legittimità costituzionale delle leggi, Torino 2000; S. PAJNO, L’integrazione comunitaria del parametro di costituzionalità, Torino 2001. Si v. pure F. TERESI, Elementi di giustizia costituzionale, Bari 2004, 67. 2. Per un commento sul comma 1 dell’art. 117 Cost. dopo la riforma del 2001, si v. G. SERGES, Commento all’art. 117, 1° co., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. III, Torino 2006, 2213. Si v. pure: E. CANNIZZARO, La riforma “federalista” della Costituzione e gli obblighi internazionali, in Riv. dir. internaz., 2001, 921; ID., Gli effetti degli obblighi internazionali e le competenze estere di Stato e Regioni, in Ist. Fed., 2002, 15; P. CARETTI, Il limite degli obblighi internazionali e comunitari per la legge dello Stato e delle Regioni, in Stato, Regioni, Enti locali tra innovazione e continuità, Torino 2003, 61; A. D’ATENA, La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione europea, in Rass. Parl., 2002, 916; G. FLORIDIA, Diritto interno e diritto internazionale: profili storico-comparatistici, in Dir. pubbl. comp. eur., 2002, 1340; F. GHERA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali nei confronti della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, in F. MODUGNO, P. CARNEVALE (a cura di), Trasformazione della funzione legislativa, Milano 2003; E. PALAZZOLO, Ordinamento costituzionale e formazione dei trattati internazionali, Milano 2003; F. SORRENTINO, Nuovi profili dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e comunitario, in Dir. pubbl. comp. eur., 2002, 1355. 3. Sulla CEDU si v. per tutti P. PITTARO (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano 2000; S. BARTOLE, B. CONFORTI, G. RAIMONDI, Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova 2001; B. NASCIMBENE (a cura di), La convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano 2002. 156 4. In parallelo, con la coeva sentenza n. 102 del 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di norme legislative della Regione Sardegna, concernenti tasse sul turismo e imposte sulle abitazioni, in relazione all’art. 8, lettera h ) [già lettera i] dello Statuto speciale, che impone alla Sardegna la condizione dell’armonia con i principi del sistema tributario statale nell’istituzione dei tributi propri. Per contro, i profili di possibile contrasto tra altre norme regionali anch’esse censurate e le norme comunitarie per il tramite dell’art. 117 Cost. sono stati oggetto dell’ordinanza n. 103 del 2008. 5. Sul tema si v. M. CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, in AA.VV., Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, (a cura di N. ZANON), Napoli 2006, 99. 6. La Corte Costituzionale aveva accennato ad una possibilità di rinvio pregiudiziale nella sentenza n. 168 del 18/04/1991; ciò tuttavia veniva successivamente negato con l’ordinanza n. 536 del 15/12/1995. 7. La rilevanza dei profili comunitari si coglie nella sentenza n. 384 del 10/11/1994, nella sentenza n. 94 del 30/03/1995 e anche nella sentenza n. 85 del 23/03/1999. 8. L’incidenza del diritto europeo sulle pronunce della Corte Costituzionale attraverso l’art. 117 comma 1 Cost. è notevole; v., in particolare, le seguenti sentenze: n. 166 dell’11/06/2004, n. 406 del 3/11/2005, n. 129 del 28/03/2006. 9. Sui “controlimiti”, si v. per tutti M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano 1995 10. Si v. Corte Cost. sentenza 23/12/1986 n. 286. 11. Si v. U. DRAETTA, Diritto dell’Unione Europea e principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano: un contrasto non più solo teorico, in AA.VV., La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della Corte Costituzionale (a cura di L. DANIELE), Napoli 2006, 281; L. MARIN, Il mandato di arresto europeo al vaglio delle Corti nazionali: divergenze e convergenze nell’interpretazione di uno strumento trasnsazionale europeo, in AA.VV., Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, (a cura di N. ZANON), Napoli 2006, 271. 12. Sul “valore” delle sentenze della Corte di Strasburgo si v. P. PIRRONE, L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano 2004; F.M. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 157 Questioni di legittimità costituzionale nella prospettiva europea: il processo, gli interessi e i diritti fondamentali La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Giustizia italiana e standard europei PALOMBINO, Il valore delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ambito dei giudizi costituzionali: in margine alla pronuncia della Corte costituzionale 154/2004, in AA.VV., La dimensione internazionale ed europea cit., 184; B.RANDAZZO, Le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo: effetti ed esecuzione nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Le Corti dell’integrazione europea cit., 295. 13. Si v. pure R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano 1992. 14. L’analisi sul piano degli interessi è sviluppata da autorevole dottrina; si v.: AA.VV., Legal and Diffuse Interests in the European Legal Order (Liber Amicorum Robert Reich), Baden Baden 1997; J. BEGOETXEA, N. MACCORMICK, L. MORAL SORIANO, Integration and Integrità in the Legal Reasoning of the European Court of Justice, in AA.VV., The European Court of Justice (a cura di G. DE BURCA E J. WEILER), Oxford 2001, 43; M. POIARES MADURO, We, the Court, Oxford 1999. 15. Per una prospettiva di diritto interno, si v. O CHESSA, Bilanciamento ben temperato o sindacato esterno di ragionevolezza? Note sui diritti inviolabili come parametro del giudizio di costituzionalità, in Giur. Cost., 1998, 3925. 16. Sulla tutela “multilivello” dei diritti si v. A. APOSTOLI, La tutela dei diritti fondamentali al di là della Costituzione, in AA.VV., Le Corti dell’integrazione europea cit., 1; I. VIARENGO, Corte costituzionale, Corte di giustizia e tutela dei diritti fondamentali in Europa, in AA.VV., La dimensione internazionale ed europea cit., 435. Più ampiamente v. pure si seguenti volumi: L. MONTANARI, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e fonti interne, Torino 2002; A. D’ATENA, P. GROSSI (a cura di), Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello, Milano 2004; P. BILANCIA, E. DE MARCO (a cura di), La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano 2004; S.P. PANUNZIO (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli 2005. 17. Sulla libertà di prestazione di servizi ex art. 49 TCE, si v. CGCE, 16/02/1995, cause riunite da C-29/94 a C-35/94; più ampiamente, sulla libertà di stabilimento ex art. 43 TCE, si v. CGCE, 3/10/1990, C-54/88, C-91/88 e C14/89, CGCE, 07/11/2000, C-168/98. 18. Sul tema delle “discriminazioni a rovescio”, si v. L. VEDASCHI, L’incostituzionalità delle discriminazioni a rovescio: una resa al diritto comunitario. 157 Impaginato 2-2008 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 158 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea *Giudice del Tribunale di Como Luca De Matteis* 1. Introduzione. Il tempo sta per scadere e le risposte al problema della durata dei procedimenti giudiziari civili e penali in Italia sono improcrastinabili. Non è uno scenario allettante: troppe volte nel nostro Paese l’urgenza ha giustificato la superficialità, se non già l’adozione di scelte profondamente sbagliate. Il tempo sta per scadere, in quanto entro il 1 novembre 2008 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, sulla base di quanto deliberato con la Risoluzione interinale CM/ResDH (2007)2 del 14 febbraio 20071 riprenderà l’esame delle misure per ridurre la durata dei procedimenti civili e penali al fine di valutare se vi sia stata, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, osservanza delle plurime decisioni di condanna della Corte di Strasburgo nei confronti del nostro Paese in relazione a tale ormai “storica” disfunzione. Nessuna misura è stata presa, anche in considerazione dell’azzeramento, a seguito delle recenti elezioni politiche, delle proposte sul tappeto. I tempi della giustizia in Italia restano tra i più elevati in Europa (considerando non solo la “vecchia” Europa della C.E., ma anche quella “grande” dei 47 Stati membri del Consiglio d’ Europa), costituendo l’imbarazzante rove158 scio della medaglia rispetto alla storia e alla qualità della nostra civiltà giuridica. Senza alcuna pretesa di completezza, si vuole in questa sede riassumere la natura e la portata del principio della ragionevole durata dei processi nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nelle altre Carte internazionali dei diritti che si occupano di giustizia, nonché richiamare schematicamente i risultati del lavoro che da diversi anni in Europa si svolge per identificare le cause del problema e suggerire possibili soluzioni. Pur nella evidente peculiarità della situazione italiana, credo che questo excursus possa fornire qualche utile spunto di riflessione in vista della formazione di una posizione dell’A.N.M., anche per rispondere ad una certa “cultura dell’efficientismo” che non di rado affiora quando si tratta dei tempi della giustizia in Italia. 2. La ragionevole durata nelle fonti internazionali. Il principio della ragionevole durata del processo è stato introdotto espressamente a livello normativo per la prima volta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950. In precedenza, si era ritenuto che tale principio potesse ritenersi implicito in quello di eguaglianza, espresso a livello internazionale già nella Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 159 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Tuttavia, la menzione esplicita nella CEDU ha fatto sì che, parallelamente all’elaborazione dottrinaria sul tema, si sia sviluppato per via giurisprudenziale, tramite l’azione della Corte europea dei diritti dell’uomo, un insieme di regole concrete che ha reso l’affermazione contenuta nell’art. 6 § 1 CEDU molto più che un auspicio. Solo sulla scorta di tale elaborazione si è giunti all’introduzione normativa del principio a livello nazionale: già nel 1978 nella Costituzione spagnola (art. 24.2); nell’art. 111 comma 2 della nostra Costituzione, dal 2001. È però evidente che non si può parlare di ragionevole durata dei procedimenti senza confrontarsi con l’elaborazione fatta nel corso degli anni dalla Corte di Strasburgo: elaborazione che ha avuto il merito di impegnarsi per uno sviluppo armonico delle decisioni sui singoli casi sottoposti al giudizio della Corte, cercando di apportare con ciascuna sentenza un mattone alla costruzione di un edificio teorico solido e comprensibile dall’esterno. 3. I criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. In sintesi, la giurisprudenza di Strasburgo ha individuato, nel corso della sua evoluzione, un corpus di principi per i giudizi in materia di ragionevole durata che può essere così riassunto2. 3.1. Individuazione dei momenti iniziali e finali del computo. Sotto questo profilo, la Corte ha legato il dies a quo per il computo della durata del procedimento al momento in cui le Autorità assumono una responsabilità legale verso il cittadino per la trattazione di un procedimento. Nel processo civile, tale momento coincide per lo più con il deposito in tribunale dell’atto di impulso del processo; nel processo penale, per contro, l’inizio del procedimento non necessariamente è legato ad un atto formale o all’incriminazione espressa del sospettato: si ricollega l’inizio del procedimento al momento in cui il soggetto interessato dalle investigazioni è ragionevolmente in grado di sapere che nei suoi confronti le autorità stanno svolgendo attività d’indagine (ad es., a seguito di una perquisizione). Per quanto riguarda il punto finale del procedimento, la dizione impiegata è quella del “momento in cui cessa l’incertezza legale sulla situazione controversa”. Generalmente, ciò coincide con l’irrevocabilità della decisione giudiziale. Tutta159 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 160 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati via, nel caso della giustizia civile, viene computato nella durata del procedimento anche il tempo necessario ad ottenere l’esecuzione, anche forzata, della decisione. Va inoltre evidenziato come non sempre nel proprio giudizio la Corte considera unitariamente l’intero procedimento, preferendo talvolta giudicare separatamente della durata delle singole fasi processuali. 3.2. Inesistenza di un parametro temporale prefissato. Nell’ambito della cornice così definita si situa il giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo in merito al rispetto del parametro della ragionevole durata. Va subito precisato che la giurisprudenza della Corte non offre parametri temporali rigidi, neppure divisi per tipologie di procedimento: ogni giudizio fa “storia a sé”, in quanto la Corte di Strasburgo esamina ogni caso con le sue particolarità per decidere se in concreto la durata sia stata ragionevole. Questo modo di procedere discende dal principio di fondo secondo il quale il diritto del cittadino è ad un processo di “ragionevole durata”, cosa ben diversa dal procedimento “il più veloce possibile”: torneremo più avanti su questa importante distinzione. 160 Tuttavia, un’analisi della giurisprudenza della Corte porta ad individuare quelle che potrebbero essere definite “soglie di attenzione”3: si tratta di durate complessive, misurate secondo i parametri iniziali e finali cui si accennava sopra, al superamento delle quali la Corte si addentra con maggior attenzione nell’esame delle circostanze del caso concreto. In altre parole: al di sotto di una certa durata, il procedimento può in via di prima approssimazione dirsi corretto dal punto di vista del rispetto dell’art. 6 § 1 CEDU; al di sopra di essa, non è detto che sia stato violato il principio della ragionevole durata, ma occorre valutare attentamente i motivi per i quali si è arrivati a superare la soglia in questione. Va da sé che tali standard variano a seconda della tipologia di procedimento considerato (civile, penale, amministrativo). Due brevi osservazioni sul punto: in primo luogo, tali standard temporali vanno adattati, oltre che alla tipologia procedimentale, anche all’oggetto concreto del giudizio. La Corte ha infatti individuato categorie di procedimenti ad “oggetto prioritario” rispetto ai quali anche tempi normalmente considerati idonei portano alla violazione del principio della ragionevole durata. In secondo luogo, dalla Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 161 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea mera lettura degli standard in questione e dal raffronto, anche superficiale, con l’esperienza giornaliera di ciascuno di noi, emerge, per quanto riguarda il nostro Paese, tutta la drammaticità della situazione che ci troviamo ad affrontare. Si consideri, ad esempio, che per un procedimento penale di ordinaria complessità viene ritenuta adeguata una durata di due anni (dal coinvolgimento dell’indagato alla sentenza definitiva): anche un confronto superficiale con la realtà italiana rende evidente la portata del problema. 3.3. Complessità del giudizio. Ciò premesso, passiamo a vedere quali sono gli elementi presi in considerazione dalla Corte per giudicare se un dato processo si sia o meno svolto in un tempo ragionevole. Primo parametro è quello della complessità del giudizio: tale complessità può derivare da fattori giuridici o fattuali. Sotto il primo aspetto, vengono presi in considerazione, ad esempio: mutamenti normativi occorsi in pendenza del procedimento; interazioni tra giudizi in diverse sedi, come ad es. nel caso di pregiudiziali civili, penali, amministrative (es.: C.e.d.u., Djangozov c. Bulgaria, 8 luglio 2004, nella quale è stato considerato rilevan- te per giustificare la cospicua durata di un procedimento civile il fatto che questo fosse stato obbligatoriamente sospeso in attesa dell’esito di un connesso giudizio in sede penale); procedimenti complessi per la quantità delle parti. Sotto il secondo profilo, la Corte ha ritenuto rilevanti: la necessità di interrogare numerosi testimoni, alcuni di difficile reperibilità (C.e.d.u., Mitev c. Bulgaria, 22 dicembre 2004); la necessità di ricostruire in giudizio fattispecie concrete di particolare complessità (C.e.d.u., Akcakale c. Turchia, 25 maggio 2004); dal lato opposto, la difficoltà di concludere le investigazioni in assenza di testimoni diretti del fatto (Jean-Claude Boddaert c. Belgio, 17 aprile 1991 (rapporto della Commissione)); la necessità di svolgere in sede processuale giudizi tecnici complessi, tramite l’impiego di periti, o ancora la necessità di attendere la traduzione di una corposa mole di documenti (C.e.d.u., Sari c. Turchia e Danimarca, 8 novembre 2001). Vi sono poi alcune categorie di procedimenti per i quali la Corte esprime una sorta di “presunzione di complessità”: ad es., in materia di espropriazione per pubblica utilità; oppure, per il settore penale, in casi di reati finanziari transnazionali o reati 161 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 162 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati societari afferenti realtà societarie complesse (es.: C.e.d.u., Wejrup c. Danimarca, 7 marzo 2002). 3.4. Il comportamento del ricorrente. La Corte europea prende in considerazione anche il comportamento delle parti private in seno alla procedura, affiancandola al giudizio sulla diligenza impiegata dall’autorità giurisdizionale. Il metro di giudizio cambia a seconda della natura del processo. Nel processo civile si richiede da parte degli organi giurisdizionali una “ordinaria diligenza”, valutando dunque in maniera più attenta il comportamento delle parti (C.e.d.u., Hervouet c. Francia, 2 luglio 1997); nel processo penale, per contro, non viene richiesta alcuna collaborazione attiva con le pubbliche autorità del soggetto sottoposto a procedimento (C.e.d.u., Eckle c. Germania, 15 luglio 1982), salvo il caso in cui un determinato snodo procedimentale richieda la sua partecipazione attiva. Tuttavia, anche se nessuna cooperazione alla speditezza del processo penale viene pretesa dall’imputato, allo stesso tempo il suo comportamento costituisce fatto oggettivo che non può andare a detrimento delle autorità dello Stato, potendo quindi portare ad un giudizio di non violazione dell’art. 6 § 1 Cedu 162 nonostante la durata del procedimento appaia prima facie eccessiva: così, ad es., nel computare la durata dei processi viene sempre detratta la durata di un’eventuale latitanza dell’imputato (laddove il sistema processuale non possa prescindere dalla presenza in giudizio di questi). 3.5. Il comportamento delle autorità nazionali. Nel valutare se le autorità nazionali abbiano usato, nella gestione del procedimento, la necessaria diligenza, la Corte europea richiede ai tribunali nazionali anche uno sforzo particolare per affrontare le cause di ritardo non dipendenti dal loro comportamento. L’accumularsi di arretrato, per esempio, non può valere di per sé a giustificare la durata eccessiva del procedimento, laddove lo Stato chiamato in giudizio non dimostri di aver effettuato sforzi per ridurre il divario tra procedimenti esauriti e sopravvenuti (C.e.d.u., Buchholz c. Germania, 6 maggio 1981; Zimmermann e Steiner c. Svizzera, 13 luglio 1983; a contrario, Dumont c. Belgio, 28 aprile 2005). Ancora, lo Stato è chiamato ad ogni sforzo possibile per ridurre i ritardi derivati da astensioni dalle udienze degli avvocati (C.e.d.u., Papageorgiou c. Grecia, 22 ottobre 1997; Agga c. Grecia, 25 gennaio 2000). Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 163 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea Una misura di diligenza maggiore per assicurare la speditezza del procedimento viene poi richiesta in considerazione di alcune particolarità dei processi inerenti qualità delle persone coinvolte o l’oggetto di trattazione: per la gravità delle pene in relazione alle quali si svolge il processo (C.e.d.u., Soto Sanchez c. Spagna, 25 novembre 2003); nel caso di processi relativi ad abusi commessi dalle forze di polizia (Caloc c. Francia, 20 luglio 2000; Krastanov c. Bulgaria, 30 settembre 2004); per le gravi condizioni di salute della persona che ha adito il tribunale (X c. Francia, 31 marzo 1992; Henra c. Francia, 29 aprile 1998) o per l’età avanzata. La Corte ha poi individuato (senza pretesa di organicità) un gruppo di “priority cases”, nell’ambito dei quali giudicare in modo particolarmente attento le circostanze di fatto della domanda proposta alle autorità nazionali: ad es., processi in materia di licenziamento illegittimo, recupero di retribuzioni non corrisposte o reintegrazione nel posto di lavoro (C.e.d.u., Dousaly c. Francia, 23 aprile 1998; Lechelle c. Francia, 8 giugno 2004; Obermeier c. Austria, 28 giugno 1990); ancora, per il risarcimento dei danni subiti da vittime di incidenti (C.e.d.u., Hüseyin Ertürk c. Turchia, 22 settembre 2005). 4. Rimedi risarcitori. Ciò che preme osservare, conclusivamente, è che il sistema di protezione dei diritti contemplati dalla CEDU (e dunque anche quello alla ragionevole durata del procedimento del quale qui ci occupiamo) è strutturato in modo sussidiario: l’obbligo per il ricorrente avanti la Corte europea di esaurire i mezzi di ricorso interni (art. 35) implica che l’intervento di tale Corte deve essere una sorta di extrema ratio allorquando i meccanismi interni non sono in grado di garantire l’osservanza della Convenzione. Per ciò che concerne la riparazione dei danni derivanti dalla lesione del principio di ragionevole durata, come noto, a seguito di plurime sollecitazioni della Corte e del Consiglio d’Europa nel nostro Paese è stata introdotta una disciplina specifica tramite la c.d. legge “Pinto” (l. 24 marzo 2001, n. 89), giudicata dalla Corte europea “rimedio efficace” ai sensi dell’art. 13 CEDU con la sentenza Brusco c. Italia, 6 settembre 2001. Ma non possiamo ritenerci soddisfatti. Consideriamo, infatti, che anche per il tramite di tale meccanismo l’irragionevole durata del processo non è solo una questione di denegata giustizia, ma anche di impegno finanziario: prima attraverso le condanne della Corte europea dei 163 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 164 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati diritti dell’uomo, poi attraverso i risarcimenti tramite la legge Pinto, il nostro Paese duplica da anni le spese per l’esercizio della giustizia, prima spendendo per celebrare processi estenuanti, poi per risarcire dell’attesa coloro che sono stati coinvolti in tale processo. Anche se secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo la legge Pinto costituisce rimedio efficace, ogni soddisfazione di fronte a questo riconoscimento dovrebbe arrestarsi a fronte della semplice constatazione del crescente numero di ricorsi introdotti e di risarcimenti accordati in base a tale legge. Si cura il sintomo, non la malattia. Non è un caso se la Commissione Europea per l’Efficacia della Giustizia (Commission Européenne pour l’Efficacité de la Justice – C.E.P.E.J., organo consultivo costituito in seno al Consiglio d’Europa)4, nel proprio programma quadro “Un nuovo obiettivo per i sistemi giudiziali: la trattazione di ciascun caso entro una cornice temporale ottimale e prevedibile” (approvato con risoluzione CEPEJ (2004) 19 REV 2 del 13 settembre 2005 – d’ora in avanti per brevità “Programma quadro”)5 ha osservato che meccanismi di compensazione nazionali per la violazione del principio della ragionevole durata sono “troppo 164 deboli” e non “spingono adeguatamente gli Stati a modificare i loro processi operativi”. Ma bisogna andare anche oltre, e ricordare che (lo fa anche la CEPEJ nel “Programma quadro”) l’art. 6 CEDU ed i procedimenti riparatori davanti alla Corte di Strasburgo (prima) e secondo la legge Pinto (oggi) sono posti a tutela di uno standard minimo di accettabilità e non costituiscono certo un massimo virtuoso cui aspirare. Non solo: occorre anche ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo non tutti i diritti previsti dall’art. 6 si applicano alla vittima del reato: ciò significa che la persona vittima di reato è priva di qualsiasi tutela risarcitoria per l’eccessiva durata del procedimento penale, a meno che non abbia esercitato in sede penale anche l’azione civile. 5. Ipotesi di intervento nel “Programma quadro” della C.E.P.E.J. Proprio il citato “Programma quadro” della CEPEJ offre molte indicazioni utili al nostro tema, a partire da quella contenuta nel titolo del rapporto che già implica in sé un giudizio di merito. Due, infatti, sono i poli intorno ai quali deve muoversi la strategia di riforma: tempi “ottimali” e Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 165 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea tempi “prevedibili”. Quanto al primo predicato, occorre evidenziare (lo si era anticipato supra, § 3.2.) come la CEPEJ affermi chiaramente che non è ottimale il tempo più breve possibile (cfr. Programma quadro, § 13.): deve essere lasciato alle parti tutto il tempo necessario per un esercizio effettivo del diritto di difesa. Non solo: la stessa Commissione mette in guardia da soluzioni “fasulle”, ispirate al “diktat of urgency” (§ 23.), atte solo a mettere sotto pressione il giudice chiamato a decidere su una controversia senza che questo possa dare alle circostanze del caso la considerazione che meritano. “Fare presto”, dunque, ma anche “fare bene”. Il richiamo alla prevedibilità, poi, ci ricollega al ruolo assegnato alla ragionevole durata nell’implementazione del rule of law, di cui si diceva in apertura. La prevedibilità è un valore forte nel sistema di garanzie dei diritti fondamentali incentrato sulla CEDU: si ricordi che la giurisprudenza di Strasburgo nega la natura di norma giuridica a quelle previsioni, pur contenute nell’ordinamento positivo, che vengono applicate in modo incostante e, appunto, imprevedibile da parte dei tribunali nazionali. Quanto alle soluzioni proposte, il “Programma quadro” parte dall’acquis della Corte di Strasburgo nei giudizi relativi alla violazione dell’art. 6 CEDU, ma si propone di andare oltre, osservando – come premesso sopra – che la norma convenzionale pone un limite minimo di accettabilità e non può essere considerato un risultato del quale accontentarsi. La CEPEJ individua tre principi essenziali, tre “elementi di un piano d’azione per un nuovo approccio” al problema della durata dei procedimenti (§§ 26. – 30.): principio del bilanciamento e della qualità complessiva, con riferimento ad un efficiente impiego delle risorse umane ed economiche da destinare alla giustizia; necessità di dotarsi di strumenti di misura ed analisi definiti in accordo tra tutte le parti interessate; necessità di conciliare tutti gli elementi costitutivi del “giusto processo”, bilanciando l’esigenza di speditezza dei processi con il rispetto delle garanzie procedurali. Questi principi vengono poi specificati attraverso l’indicazione di diciotto “linee d’azione”, raccomandazioni rivolte rispettivamente agli Stati membri quali “gestori” del servizio giustizia, agli Stati quali produttori normativi ed infine alle parti del processo. 165 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 166 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Nel primo gruppo rientrano, in particolare: la riqualificazione delle risorse umane, sia magistrati che personale amministrativo, dal punto di vista della formazione, della dotazione organica e materiale, della retribuzione; la definizione, anche attraverso appositi “progetti pilota”, di standard ottimali di durata per ciascuna classe di procedimento; Nel secondo gruppo sono comprese, ad esempio: l’invito a ridurre il numero di casi portati avanti ai tribunali mediante un uso “appropriato” degli strumenti di impugnazione, che possono essere ad accesso limitato, ovvero sottoposti ad un filtro, studiando meccanismi di dissuasione ed addirittura sanzionatori degli “abusi del processo”; l’attenzione alla qualità delle decisioni, sia come qualità delle soluzioni raggiunte, sia come rispetto delle procedure; la definizione di un sistema di priorità nella trattazione dei procedimenti che non sia esclusivamente una gestione dell’urgenza ma tenga effettivamente conto della natura degli interessi coinvolti nel processo; Quanto agli “attori” della giustizia, le raccomandazioni comprendono: il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati (a partire 166 dalla classe forense) nell’amministrazione dei tribunali; lo sviluppo della formazione; lo studio della possibilità di coinvolgere nella gestione degli affari giurisdizionali anche personale diverso dai magistrati (quali, nel sistema tedesco, i Rechtspfleger). 6. Conclusioni. Qualche considerazione conclusiva, sulla scia di quanto esposto sino ad ora. Appare, in primo luogo, sin troppo evidente che il problema della durata dei procedimenti non ha una singola soluzione, né può essere affrontato con un coacervo non sistematico di misure. È invece necessario disegnare un piano di approccio globale, una strategia per individuare, per poi attaccarle contemporaneamente, tutte le cause del dissesto della giustizia civile e penale, ponendosi seriamente il problema delle conseguenze sistemiche che ciascuna scelta potrà avere anche in relazione alle altre misure prospettate. Crediamo, altresì, che un progetto di soluzione debba partire da un presupposto metodologico che implica già in sé una scelta di merito: non si può pensare di diminuire la durata dei procedimenti pretendendo aumenti indiscriminati di rendimento da ciascun magistrato, né aumentando Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 167 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea tout court il numero dei giudici e pubblici ministeri6. È necessario salvaguardare appieno la qualità della magistratura, consci della delicatezza della funzione che esercitiamo7. Altri, dunque, sono i nodi che vanno sciolti prima di poter ragionare con cognizione di causa su un eventuale aumento della pianta organica della magistratura. In primo luogo, è ormai imprescindibile una profonda rivisitazione delle procedure, per eliminare quegli infiniti bizantinismi che, lungi dal costituire espressione di autentica garanzia per le parti, finiscono per trasformare il processo in una specie di “gioco enigmistico” nel quale il senso della vicenda umana che ne costituisce il cuore è presto perduto. A tal fine, preziose indicazioni ci vengono proprio dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo: si pensi, ad esempio, alla copiosa casistica relativa al processo penale contumaciale o nei confronti degli irreperibili, alla luce della quale si potrebbe pensare ad una radicale rivisitazione di questo istituto che avrebbe non solo la conseguenza di rendere “più sostanzioso” il processo, ma anche un’immediata finalità deflattiva. Si pensi, ancora, alla giurisprudenza in tema di accesso ai mezzi di gravame, sulla scorta della quale si potrebbe ripensare al principio della libera ed indiscriminata accessibilità ai gradi superiori di giudizio. D’altro lato, credo sia ormai imprescindibile una presa di coscienza del fatto che la massiccia “giurisdizionalizzazione” dei conflitti non è compatibile con la società contemporanea. È essenziale ricondurre l’intervento del giudice alla sua matrice essenziale di tutela dei diritti fondamentali e di risoluzione delle controversie di particolare valore economico e sociale, mediante un ricorso convinto a metodologie contenziose e non contenziose di risoluzione dei conflitti che evitino il passaggio all’interno del circuito giudiziario (ove, tra l’altro, non sempre gli strumenti dati al giudicante sono i più idonei per raggiungere un’effettiva composizione degli interessi ottimale per le parti). Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che la magistratura non può occuparsi efficacemente di tutto e chiedere che il nostro intervento sia tendenzialmente limitato ai casi ove effettivamente si può dare alla società nella quale operiamo un contributo di qualità. In questo, credo sia imprescindibile non solo individuare possibili competenze e capacità al di fuori della magistratura per la 167 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 168 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati risoluzione delle controversie, ma anche aprire un confronto serio con la classe forense che deve assumersi la propria parte di responsabilità nel contribuire a contenere la “litigation explosion”8: in primo luogo, mediante una riqualificazione dell’accesso alla professione, in secondo mediante un possente sforzo di tutela e promozione della professionalità dei propri membri, anche attraverso l’eliminazione di tutti i meccanismi che, oggi, rendono il processo (per il difensore) più conveniente della transazione. Per quanto ci riguarda, come Associazione Nazionale Magistrati abbiamo un preciso dovere di elevare la questione a priorità 168 assoluta nell’agenda del confronto con la politica. E ciò non solo per la ragione, sin troppo ovvia, relativa alle conseguenze politiche ed economiche che derivano al Paese dalla sistematica disfunzione della sua giustizia, ma anche per noi stessi. Scriveva Jeremy Bentham: “justice delayed is justice denied”: la giustizia dai tempi infiniti non è giustizia e rende le nostre fatiche spesso vane, quando non controproducenti per l’individuo e la società. Chiedere una riforma radicale della nostra giustizia e contribuire ad essa con tutte le nostre forze è anche recuperare il senso del nostro lavoro: lo dobbiamo dunque anche a noi stessi. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 169 Quale ragionevole durata? Una prospettiva europea Note 1. La Risoluzione interinale (consultabile all’indirizzo: http://www.coe.int/t/e/human_rights/execution/02_documents/ IntResLengthProc_%20it.asp#TopOfPage in traduzione italiana) è stata emanata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nell’ambito dei propri poteri di sorveglianza sull’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 46 § 2 della Convenzione. Va ricordato che il rispetto delle decisioni della Corte costituisce parte di quella “collaborazione sincera ed effettiva” richiesta dall’art. 3 dello Statuto agli Stati membri del Consiglio per il raggiungimento dei fini di protezione dei diritti fondamentali che ne costituiscono lo scopo. Ai sensi dell’art. 8 dello Statuto, in caso di violazioni “gravi” dell’art. 3 uno Stato membro può essere sospeso dai propri diritti di rappresentanza in seno al Consiglio e soggetto a richiesta di ritiro da parte del Comitato dei Ministri. Se lo Stato non si ritira, può essere dichiarato decaduto dal Consiglio d’Europa. Va inoltre ricordato che, con l’entrata in vigore del Protocollo 14 alla Corte europea dei diritti dell’uomo (per la quale difetta, a tutt’oggi, la ratifica da parte della sola Federazione Russa), l’art. 46 sarà modificato prevedendo per l’accertamento delle infrazioni e delle relative conseguenze una vera e propria procedura contenziosa davanti alla Corte di Strasburgo su iniziativa del Comitato dei Ministri. Si rimanda al testo della Risoluzione interinale ResDH(2007)2 anche per quanto riguarda l’elencazione delle numerose precedenti Risoluzioni con le quali, dapprima dal 1990 al 1996, poi in via costante dal 2000, il nostro Paese è stato tenuto sotto osservazione per la questione della durata dei processi. 2. Tra le tante trattazioni sistematiche e/o riassuntive della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di durata dei processi si vedano: la Relazione dell’Ufficio Studi e Documentazione del C.S.M. n. 310 del 15 giugno 2000, ne La ragionevole durata del processo, Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, anno 2000, n. 113, p. 35 e ss.; M. Fabri – P. M. Langbroek, Delay in Judicial Proceedings: A Preliminary Inquiry into the Relation Between the Demands of the Reasonable Time Requirements of Article 6, 1 ECHR and their Consequences for Judges and Judicial Administration in the Civil, Criminal and Administrative Justice Chains, Strasburgo, 10 novembre 2003; F. Calvez, Length of court proceedings in the member States of the Council of Europe based on the case law of the European Court of Human Rights, Strasburgo, 6-8 dicembre 2006; questi ultimi sono consultabili sul sito http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/cepej/Delais/default_en.asp. Tutte le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo sono inoltre consultabili liberamente sul sito www.echr.coe.int. 3. V. Calvez, Length of court proceedings, cit., p. 6. 4. Si rimanda al sito della C.E.P.E.J., http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/cepej. 5. Per il testo del Programma quadro v. http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/cepe j/Delais/default_en.asp. 6. Integralmente condivisibile, a tal proposito, quanto affermato dal Prof. G. Verde nella Prefazione al volume “La durata ragionevole del processo” (cit. sub nota 2), secondo il quale non si può affrontare il problema della durata dei processi aumentando i giudici, che devono essere una classe selezionata, ma diminuendo i processi a favore di altri metodi e sedi di risoluzione dei conflitti. 7. Valga come ulteriore esempio di tale impostazione quanto affermato nel “Rapporto Woolf” del 21 dicembre 2005 sui metodi di lavoro della Corte europea dei diritti dell’uomo, parte di un progetto lanciato per affrontare – può sembrare un paradosso – il problema della irragionevole durata dei procedimenti avanti la Corte di Strasburgo. In seno a tale studio, appare particolarmente significativo (e dal punto di vista di chi scrive pienamente condivisibile) che gli Autori, pur evidenziando come sia stato auspicato l’aumento della pianta organica del personale addetto alla Corte, mettano in guardia dal pericolo che “l’attenzione alla produttività mini la qualità del lavoro della Corte, e con essa la credibilità del sistema della Convenzione stessa”. Pertanto, pur avanzando proposte per razionalizzare l’attività dei giudici addetti alla Corte, nulla viene detto circa la necessità di incrementarne la mera produttività in termini numerici. Il rapporto è consultabile all’indirizzo: http://www.echr.coe.int/Eng/Press/2005/Dec/L ORDWOOLFSREVIEWONWORKING METHODS2.pdf. 8. Cfr. J. Chevalier, L’État de Droit, Montchrestien, Coll. Clefs, 4a ed., Paris 2003, 141. 169 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 170 Un codice per l’Europa *Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara Giustizia italiana e standard europei Rosario Minna* So che su di noi è calata una nebbia quasi nera. Ci hanno sceso da cavallo ma rispondiamo come noi fossimo e dovessimo sempre stare sul piedistallo. Con “Mani Pulite versus Tangentopoli” approdammo a dignità planetaria. Ma, dentro l’uso pubblico della Storia, fummo epifania della società civile o noi recitammo lo Stato? È vero, poi, che, finiti quegli anni, per naturali gestori della cosa pubblica si sono proposti i ceti superiori? Per poter essere se stessa, la società oggi pensa a se stessa? Solo noi resistiamo come esseri normativi, dotati di autocomprensione etica dell’umanità nel suo complesso? Precipitiamo verso la depressione – senz’altro realistica – di farci muovere come “lavoratori socialmente inutili”? Introitiamo il silenzio delle parole perché abitudini e schemi adatti ad altri tempi continuano a guidarci? Forse, però, prima di scegliere o di scioglierci dentro questi nodi, c’è ancora qualcosa da vedere e, magari, da fare. Da un bel po’ di tempo le Istituzioni si occupano di “ripartizioni di funzioni e risorse”, con cui si relativizza la sovranità ma si tiene desto il consenso. Il Parlamento governa con una Finanziaria che ogni anno stampa 3/4 mila articoli, di cui qualcuno cesella anche il c.p.p. per una 170 qualche utilità di un qualcuno. Il Governo legifera con una selva sempre mutante di decreti legislativi, che quasi mai contengono principi fondamentali, ma, spesso, ricordano le circolari ministeriali di Giolitti. Alla fine però: 1) nel gennaio 2008 la Corte dei Conti, con grazia e finezza giuridica di livello alto, spera che in futuro un po’ di responsabilità e di controlli effettivi tornino dentro la mano pubblica; 2) a marzo 2008 su Corsera protestano gli imprenditori perché, anche dopo la legge-obiettivo del 2001, per passare nelle opere pubbliche dal progetto preliminare a quello definitivo ci vogliono 3 anni e 7 mesi rispetto ai 4 anni di prima, mentre le ineffabili/incommensurabili varianti in corso d’opera ritardano le realizzazioni del 43%. Ma non avevano detto che Istituzioni serie ed efficienti domavano le mafie? O il neofeudalesimo di dominanti poteri forti-locali è più globale? Fingiamo, soprattutto, noi di non sapere che ci è franato addosso il fallimento del nuovo codice di procedura penale. Mentre gli articoli da 40 a 50 del codice penale sono “principi attuativi” che inglobano anche bilanciamenti di interessi, il c.p.p. dell’89 non possiede semafori perché non ha una linea di politica criminale. È giusto un processo dove, ai sensi dell’art. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 171 Un codice per l’Europa 444 c.p.p. come novellato nel 2003, l’imputato può impugnare una condanna che gli riduce della metà una pena fino a 7 anni e la vittima viene semplicemente estromessa dal processo? Senza meraviglia, cioè, le vicende delle norme procedurali sanciscono al massimo un “ordine pubblico processuale” dove “diritto penale dell’amico” e “diritto penale del nemico” bellamente convivono; mentre noi stiamo al palo e in silenzio. Epperò, il presente è già ricchissimo di futuro. Da anni ed anni l’Europa con minute direttive domina le nostre produttività economiche ma anche le nostre mense: un po’ più di Unione, magari, aiuterebbe nell’attuale, vischiosissima, crisi dell’economia globale? Sul piano del diritto il nuovo Vecchio Continente trascina tutti contro la criminalità transnazionale ma intanto sforna una quantità incredibile di direttive che, a loro volta e soprattutto in Italia, si sminuzzano in una caterva quasi incontrollabile di leggine: gli Stati, cioè e noi avanti a tutti, preferiscono abbondare in sanzioni penali che non costano nulla, mentre Loro non conviene elaborare mezzi di tutela extrapenali capaci di proteggere a buon livello i beni della collettività; sarebbe una trasformazione della cultura giuridicopenale degli Stati europei; e anche una diminuzione dei singoli poteri, o dei poteri dei singoli. Invece, la stessa Unione va molto oltre. Se già nel 1971 il Consiglio dei Ministri d’Europa immagina un codice penalemodello, poi nel 1995 la Commissione (unico, vero organo sopranazionale) incarica un gruppo di giuristi di stilare, soprattutto per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione, un “Corpus iuris”: anzi, tra il 1997 e il 2000 ne appaiono due (molto buone) edizioni. Al che e del tutto in proprio, gli scienziati europei formano gli “Europadelikte” sopra il diritto penale economico, che poi è oltre la metà di qualsiasi sistema penale; ma ne è anche la parte più nuova quando proprio l’Europa vara “il principio di precauzione” che tutela beni superindividuali come l’ambiente e la salute. Ma, e ben al di là di singole fattispecie, Europadelikte contiene 22 “norme di parte generale” e il Corpus 8. Non per caso, allora, giuristi europei sono in primissima linea nello scrivere gli Statuti della Corte Penale Internazionale inventata sopra i crimini contro l’umanità nel 1998 a Roma; e qui le situazioni generali sono almeno 12 (artt. 21-33). Dunque: un Codice Penale per l’Europa, con una ricca parte 171 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 172 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati generale e con una parte speciale magari limitabile a 50/100 reati, è tutto a portata di mano; soprattutto perché il Parlamento Europeo che eleggeremo nel 2009 vedrà molto aumentati i poteri decisionali. In particolare: il codice penale europeo sarebbe il vero, e agevole, supporto di quel Mandato d’Arresto europeo che pure abbiamo ma stenta a decollare. È sogno/illusione/utopia? È vero che tutto ciò che non serve a niente possiamo chiamarlo filosofia? No: è una scelta. Dalla Dichiarazione sui Diritti del 1950, e passando per oltre una dozzina di Patti Aggiuntivi, fino alla Carta di Nizza gli europei siamo trainanti per la positivizzazione dei diritti fondamentali: facendo perno su un ineliminabile “principio di eguaglianza” spalanchiamo la porta sul domani come un processo di democratizzazione permanente. Non abbiamo grandi previsioni per il nostro futuro anche immediato. Vogliamo restare muti su un piedistallo tarlato e prossimo a franare? E se cercassimo di correre come “attori” là dove nell’agenda politica il presente passa al futuro? In base all’europeo “criterio di sussidiarietà”, il meglio dei vari diritti penali salirebbe sopra il Conti172 nente, da dove tornerebbe dentro i singoli Stati nazionali, non si sa quanto amici o nemici del diritto ma comunque obbligati ad attuare imperative norme europee. Allora: la ANM (alma mater e talvolta matrigna per ciascuno di noi) prenda tre o quattro soggetti (e li abbiamo in abbondanza), chieda loro di scrivere, dentro 60 righe di e-mail, una petizione al Parlamento di Strasburgo per ottenere il Codice Penale Europeo. Su questa base apriamo un confronto con l’Università, con la Corte dei Conti, con l’Ordine degli Avvocati, con chi ci vuole e sa stare. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 173 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 174 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ (presentato al Convegno di MEDEL, 1/2 febbraio 2008, Palermo) *Presidente di sezione del Tribunale di Palermo Giustizia italiana e standard europei Gioacchino Natoli* 1. Introduction En décembre 2004, la Commission européenne pour l’efficacité de la Justice (CEPEJ) a adopté le rapport “Systèmes judiciaires européens: faits et chiffres”. Il s’agissait d’une première en Europe. Ce document était le résultat d’un exercice expérimental, basé sur un questionnaire d’évaluation des systèmes judiciaires, visant à obtenir des données quantitatives et qualitatives comparables, concernant l’organisation et le fonctionnement des systèmes judiciaires dans 40 des 46 Etats membres du Conseil de l’Europe. Malgré les limites et les lacunes inhérentes à son caractère expérimental, le rapport a montré qu’un tel exercice d’évaluation est possible et surtout qu’il est utile, puisqu’il fournit des données dans des domaines essentiels pour la compréhension du fonctionnement des systèmes judiciaires européens. Le rapport a été étudié par les autorités judiciaires de nombreux Etats membres pour mettre en évidence les lacunes de leur propre système et pour élaborer des réformes. Le rapport 2006 est le résultat d’un nouveau processus d’évaluation et il présente les résultats d’une enquête menée dans 45 Etats européens. 174 Ce processus a pour but de définir progressivement un noyau de données-clé, qui devront être collectées régulièrement et traitées de la même façon dans tous les Etats membres. Il devrait ainsi permettre de faire ressortir des indicateurs communs sur la qualité et l’efficacité du fonctionnement de la justice dans le Conseil de l’Europe et d’évaluer l’évolution de la situation d’un exercice à l’autre. Nous tous croyons à l’importance de ce projet sur l’efficacité de la justice, mais il faut adopter beaucoup de précautions et de précisions surtout avant de parler de «qualité de la justice». En effet, donner une définition de ce concept est beaucoup plus difficile, parce que la notion de «qualité» est la synthèse complexe de facteurs nombreux, relevant de plans différents et qui ne peuvent pas tous être saisis par les mêmes outils. C’est pourquoi la CEPEJ a choisi de mettre en avant la diversité des constituants qui font la «qualité de la justice ». Ceci pourrait se traduire par l’idée que cette «qualité» est comparable à un triangle, dont les sommets sont l’efficacité, l’éthique et la légitimité. Et alors seulement les systèmes judiciaires nationaux qui se situeront à l’intérieur du triangle ainsi délimité seront conformes à 18-12-2008 16:06 Pagina 175 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ une «justice de qualité». Ces trois facteurs principaux sont unis entre eux par des interactions réciproques, qui marquent leurs rôles convergents dans la construction d’une <justice de qualité>. L’objectif sera de fournir aux responsables des juridictions des tests pouvant être largement utilisés et diffusés. Donc, nous désirons que MEDEL – comme partenaire de la CEPEJ – puisse suggérer des modifications à la collecte des données-clé pour les prochains rapport (à partir du rapport 2008) au but d’améliorer l’évaluation de l’efficacité des divers systèmes judiciaires. L’autre objectif est de relever des spécificités nationales, qui puissent expliquer tout à fait certains résultats ou certains détails différents de chaque système. 2. Les difficultés objectives Le rapport 2006 a écrit que comparer des données quantitatives de pays différents (avec des situations judiciaires particulières) est une tâche très difficile, qui doit être appréhendée avec précaution, tant par les experts au moment de la conception du rapport, que par le lecteur pour comprendre le fonctionnement des systèmes judiciaires européens. La CEPEJ a donc créé, en 2005, un Groupe de travail sur La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati l’évaluation des systèmes judiciaires afin de réviser le questionnaire à la lumière des conclusions de l’exercice pilote 2004 pour assurer la collecte et le traitement de nouvelles données et pour préparer le rapport 2006 et les suivants. Le principal objectif de la révision de la grille est d’élaborer un questionnaire utilisable, de façon systématique, pour les futures exercices d’évaluation. Cette finalité est très importante et – comme j’ai déjà dit – il faut faire encore beaucoup d’efforts pour améliorer la collecte des données futures (à partir de 2008) par des intégrations bien mirées, parce que les résultats bruts doivent être pondérés par plusieurs ratios pour prendre sens. 3. Le possible développement des prochains rapports En particulière, par exemple, il faut estimer dans le prochain future – pour mieux quantifier les performances de chaque système – le ratio entre le montant total du budget affecté au fonctionnement des tribunaux et du ministère public dans chaque pays et le numéro global des affaires (pénales et civiles) auxquelles les tribunaux et les parquets doivent donner une réponse de justice. En effet, en cette perspective, les nouveaux résultats réalisables 175 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 176 peuvent devenir très différents. En Italie, par exemple, le ratio entre le budget global et le numéro des procédures (civiles et pénales) destiné aux tribunaux colloque le pays aux premières positions. Au contraire, le seul ratio brut entre le budget global national et les procédures décidées (ou autrement terminées) est bien pire. Les chiffres portées par le Rapport 2006 (tableau 2) pourront expliquer mieux la question. Giustizia italiana e standard europei Tableau 2 - Budget allouée à l'ensemble des tribunaux en 2004 Pays Budget annuel total consacrée à l'ensemble des tribunaux (sans le ministeère public et l'aide judiciaire) Budget annuel total consacreé à l'ensemble des tribunaux (sans le ministèere public et l'aide judiciaire) par habitant Budget annuel total consacreé à l'ensemble des tribunaux (sans le ministeère public et l'aide judiciaire) par habitant en pourcentage du PIB per capita Budget annuel total consacrée à l'ensemble des tribunaux (sans le ministeère public et l'aide judiciaire) par habitant en pourcentage du salaire moyen brut 0,14% 10 486 065 Euro 3,4 Euro 0,18% Andorre* 4 447 193 Euro 57,8 Euro 0,26% 0,39% Azerbaïdjan 6 915 057 Euro 0,8 Euro 0,10% 0,08 % Bosnie-Herzégovine 59 262 904 Euro 15,5 Euro 0,89 % 0,33 % Bulgarie 48 900 313 Euro 6,3 Euro - % 0,26 % Croatie 159 988 552 Euro 36,0 Euro 0,58 % 0,38 % Chypre 17 997 698 Euro 26,1 Euro 0,36 % 0,22 % Réepublique tcheèque 241 292 690 Euro 23,6 Euro 0,28 % 0,35 % Danemark 155 000 000 Euro 28,7 Euro - % - % 20 700 000 Euro 15,3 Euro 0,23 % 0,27 % Albanie Estonie 211 636 000 Euro 40,4 Euro 0,14 % 0,12 % 2 257 981 000 Euro 36,3 Euro 0,14 % 0,09 % 7 206 338 Euro 1,6 Euro 0,17 % 0,16 % 276 563 900 Euro 27,4 Euro 0,34 % 0,39 % Islande 9 400 000 Euro 32,0 Euro 0,09 % 0,08 % Irlande 97 991 000 Euro 24,3 Euro 0,07 % 0,09 % 2 749 944 000 Euro 47,0 Euro 0,20 % 0,21 % 21 074 355 Euro 9,1 Euro 0,19 % 0,25 % 8 611 142 Euro 248,9 Euro 0,23 % 0,33 % 38 045 065 Euro 11,1 Euro 0,21 % 0,28 % 8 679 000 Euro 21,6 Euro 0,22 % 0,19 % Moldova 26 015 100 Euro 7,7 Euro 1,34 % 0,90 % Monaco * 3 020 010 Euro 100,6 Euro -% -% Montéenéegro 6 791 731 Euro 10,9 Euro 0,52 % 0,30 % Pays-Bas 762 607 000 Euro 46,8 Euro 0,16 % 0,15 % Norvèege 164 000 000 Euro 35,6 Euro 0,08 % 0,09 % Pologne 813 729 185 Euro 21,3 Euro 0,41 % 0,34 % Roumanie 117 961 263 Euro 5,4 Euro 0,20 % 0,22 % 1 545 651 802 Euro 10,8 Euro 0,31 % 0,45 % Serbie 70 207 781 Euro 9,4 Euro 0,42 % 0,27% Slovaquie 79 339 027 Euro 14,7 Euro 0,24 % 0,29 % Sloveénie 111 500 000 Euro 55,8 Euro 0,43 % 0,41 % Espagne* 2 231 531 310 Euro 52,0 Euro 0,27 % 0,21 % Suèede 463 687 163 Euro 51,3 Euro 0,18 % 0,16 % Angleterre & Pays de Galles (RU) 429 000 000 Euro 8,1 Euro 0,03 % 0,02 % 93 301 917 Euro 18,4 Euro 0,07 % 0,05 % Finlande France Geéorgie Hongrie Italie Lettonie Liechtenstein Lituanie Malte Feédéeration de Russie Ecosse (RU) *budget estimée 176 18-12-2008 16:06 Pagina 177 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ Eh bien, en comparant seulement des pays homogènes pour caractéristiques sociales et juridiques, il faut dire que le budget annuel global consacré en Italie à l’ensemble des tribunaux est égal à euro 2,75 milliards. La France destine au même but euro 2,26 milliards et l’Espagne euro 2, 23 milliards (l’Allemagne, le Portugal et la Grèce n’ont pu fournir le chiffre du budget consacré aux tribunaux: voir note 3). L’Italie, donc, est située à la première place. Au contraire, en face de 5.378.221 affaires civiles et pénales existantes en Italie (avec un ratio de dépense de 511 euro pour chaque dossier), la France enregistre 4.353.330 affaires civiles et pénales (ratio 519 euro) et l’Espagne 7.047.092 affaires civiles et pénales (ratio 317 euro). L’Espagne, donc, montre le meilleur résultat par ratios pour chaque dossier, avec un investissement inférieur à celui-là de l’Italie et de la France. Mais il y a un petit problème dans cette acte récognitif: parce que, en effet, le montant des affaires civiles italiennes ne comprends pas les données statistiques regardantes la matière fiscale et tributaire, qui en Italie (mais – je pense – aussi dans autres pays) n’a rien à voir avec la magistrature ordinaire. La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 3.1 Les affaires civiles et administratives traitées par le tribunaux Dans le tableau suivant le nombre total d’affaires civiles reçues par les tribunaux, ainsi que les décisions, les affaires pendantes, les durées et les appels sont présentés. Toutefois les données dans ces tableaux ne sont pas facilement comparables, car certains pays ont défini de manière différente une affaire civile. 177 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 178 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Tableau 37 - Nombre de proceédures pour des affaires civiles et administratives en 2004 Pays Q68 Nombre total d'affaires civiles devant les tribunaux (contentieuses et non contentieuses) Q69-1 Nouvelles affaires civiles et administratives contentieuses (1eère instance) pour 100.000 habitants Q69-2 Q69-3 % Deécisions des deécisions au fond ayant fait l'objet d'un appel à une instance supeérieure Q69-4 Affaires pendantes au 1 janvier 2005 Q69-5 % d'affaires pendantes de plus de 3 ans Albanie 41 755 24 960 813 - 9,0 3 386 0,0 Andorre 3 765 3 070 3 993 1 100 1,9 1 426 1,3 101 703 101 703 3 168 84 851 4,6 5 927 4 807 881 818 213 9 970 44 169 32,2 177 106 53 249 53 249 638 38 252 21,9 4 616 Belgique 700 709 694 986 6 653 733 890 5,1 Bulgarie 680 742 573 399 7 388 542 417 Croatie 417 223 160 790 3 618 Arméenie Autriche Azerbaïdjan 338 159 29 043 4 212 31 220 285 469 2 793 316 367 141 486 126 696 2 347 Estonie 37 781 25 301 1 873 Finlande 176 171 9 460 181 3 390 413 1 779 344 13 755 061 n.r. Hongrie Réepublique tcheèque 68 852 237 749 1 209 659 Chypre 1,5 1,0 32 679 20,0 171 454 5,9 2,0 35 308 25 682 9,3 11 826 9 715 24,6 5 682 4,0 2 862 1 368 181 12,8 1 490 000 12,0 3 083 980 3 738 1 375 938 23,4 1 510 916 168 651 1 525 113 748 00,0 34 087 635 000 165 027 1 634 86 965 25,2 76 203 1,4 Islande 25 664 1 296 441 0,9 728 0,0 Irlande 135 510 130 391 3 228 7 716 19,0 3 944 961 3 600 526 6 159 1 156 045 21,8 4 087 311 116 808 59 156 2 551 44 491 6,6 20 720 831 416 1 202 89 152 132 152 132 4 441 149 646 5,0 12 079 4 315 948 18 931 n.a. 5 858 5 858 1 455 56 401 52 414 1 548 42 124 950 748 2 492 860 n.r. 15 462 2 492 11 996 1 131 810 902 980 5 542 896 700 Danemark France Allemagne Grèece Italie Lettonie Liechtenstein Lituanie Luxembourg Malte Moldova Monaco Montéenéegro Pays-Bas Norvèege Pologne 15,7 6 692 n.a. 20,0 1 091 21,7 3 466 8,4 0,0 292 13 944 12,0 7 751 3 045 1 201 149 17,8 498 955 628 170 5 966 524 684 5 321 933 854 Feédéeration de Russie 6 334 000 5 852 000 4 079 5 019 000 Serbie 7756 758 687 431 Slovaquie 7228 755 238 662 4 420 Sloveénie 550 470 25 335 1 268 18 971 1 862 966 826 835 1 926 188 246 9 168 461 589 Suèede 69 721 43 539 482 Turquie 2 116 746 1 391 095 1 955 Ukraine 1 873 438 2 031 123 4 296 Angleterre & Pays de Galles (RU) 1 770 056 1 597 123 3 011 61 824 n.r. 28 062 1 641 1 641 178 n.a. 33,0 13 450 1 153 187 Irlande du Nord (RU) n.a. 14 277 1 162 480 628 170 Espagne 1 779 13 450 1 353 749 1,4 154 7 602 495 Roumanie Portugal 7,6 1 325 662 247 337 5,9 485 000 0,8 23,7 225 555 n.a. 12,0 226 462 15,2 21,2 44 418 31,8 17,5 578 209 4,8 1 081 777 26 151 671 915 224 325 2,0 9 364 3,9 18-12-2008 16:06 Pagina 179 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ Commentaires (seulement pour les pays définis homogènes) France: - Q 69-1: sont comprises les affaires au fond litigieuses (contentieuses uniquement) des tribunaux de grande instance, tribunaux d’instance, juges de proximité, conseillers prud’homaux, tribunaux de commerce et tribunaux des affaires de sécurité sociale; ne sont pas comptés les ordonnances sur requête et les référés. Pour les mineurs sont comptés les mineurs en danger devant le juge des enfants et les familles faisant l’objet d’un suivi social. - Q 69-2: comprend toutes les décisions qui mettent fin à l’affaire en statuant sur le fond (hors référés et ordonnances sur requête et hors radiations, jonctions, etc.). - Q 69-3: le taux de recours moyen calculé toutes juridictions confondues n’a jamais été donné et va mélanger des taux aussi différents que 4,6 % pour les tribunaux d’instance et 56,9 % pour les prud’hommes. - Q 69-5: pas d’information sur les stocks d’affaires de plus de 3 ans d’âge à l’exception des tribunaux de grande instance. Allemagne: Le nombre total d’affaires comprend environ 9 100 000 procédures accélérées pour le recouvrement des créan- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ces incontestées qui sont, pour la plupart, examinées automatiquement par traitement informatique. (automatisiertes Mahnverfahren). Grèce: Nombre total de nouvelles affaires civiles: 168 651; nombre total de décisions rendues: 113 748; toutes les décisions ont fait l’objet d’un appel. Pour 34 087 nouvelles affaires, les décisions ont été rendues après 2004. Il n’y a pas d’affaires pendantes depuis plus de trois ans parce que la loi ne le permet pas. Il n’est pas possible d’estimer la durée moyenne. Les données sur le nombre d’affaires civiles, administratives et pénales ne concernent que le parquet du Tribunal de première instance d’Athènes et de tribunal administratif de première instance d’Athènes. Italie: Q 69-3: estimation. 3.2 Les affaires pénales traitées par les tribunaux Comme évident, seule une petite partie des affaires pénales est portée par le ministère public devant le tribunal. Dans le tableau suivant des chiffres généraux sont présentés pour le nombre d’affaires pénales reçues par les tribunaux. Toutes les données doivent être traitées avec précaution et peuvent seulement être utilisées dans un but illustratif, pour montrer la charge d’affaires des tribu179 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 180 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati naux. Il doit être noté que la durée générale des procédures a été incluse comme une indication, mais ne peut être utilisée à des fins comparatives, étant donné les disparités entre les périodes de la procédure prises en compte. Tableau 40 - Nouvelles affaires peénales devant les tribunaux en 2004 (question 73) Pays Q73-1 Nouvelles affaires péenales pour 100.000 habitants Q73-2 Décisions judiciaires Q73-3 Q73-4 Q73-5 % Personnes Personnes des deécisions condamneéesacquittéees ayant fait l'objet d'un appel à une instance supeérieure Q73-6 Affaires pendantes au 1 janvier 2005 Q73-7 % d'affaires pendantes de plus de 3 ans Albanie 9 181 299 7 068 6 379 303 38,0 2 113 - Andorre 2 319 3 017 911 1 656 1420 - - - Arméenie 4 651 145 3 780 4 881 6 33,3 547 - Autriche 91 152 1 111 50 723 - - 8,8 15 695 2,4 Azerbaïdjan 13 838 166 10 775 13 353 6 18,6 1 305 - Belgique 32 437 311 - - - - - - Bulgarie 67 537 870 58 377 57 383 2 953 - 28 117 - Croatie 33 931 764 - - - - - - Chypre 81 948 11 884 80 608 68 536 13 412 0,3 32 058 0 10,86 Réepublique tcheèque Danemark Estonie 79 012 773 94 024 68 443 7 456 - 5 403 134 647 2 495 131 298 131 298 - 3,0 42 780 - 8 622 638 8 412 10 060 248 21,0 2 181 3,8 6 67 298 1 285 66 533 54 018 3 486 12,4 17 380 France 962 917 1 549 1 086 651 1 115 823 47 800 - 368 818 - Allemagne 910 548 1 104 433 406 442 356 37 243 14,0 313 989 0,63 Grèece 205 534 1 859 - - - - - - Hongrie 138 433 1 371 103 041 98 976 4 490 10,6 51 761 1,61 Islande 8 563 2 917 8 105 2 612 81 2,0 761 0 Irlande 360 334 8 919 - - - - - - 1 433 260 2 452 1 311 549 - - - 1 254 003 - 12 167 525 12 295 13 222 209 17,2 4 475 1,9 Finlande Italie Lettonie Liechtenstein Lituanie Luxembourg Moldova Monaco Montéenéegro 1 429 4 130 1 293 - - - 321 - 17 592 514 17 364 17 882 458 26,0 3 493 - - - 11 477 - - - 2 956 - 12 774 377 13 046 12 751 338 4,6 2 799 - 617 2 055 700 796 30 10,0 40 - 5 190 836 3 459 3 000 595 32,3 1 731 5,1 - - - 133 218 126 174 6 353 - - 16 896 367 16 343 - - 8,0 5 264 - Pologne 548 136 1 436 564 196 500 799 13 070 18,4 213 277 2,8 Portugal 116 344 1 105 99 747 69 798 35 105 - 170 008 - Roumanie 416 581 1 922 353 945 76 198 27 816 - 60 633 - 1 059 000 738 677 000 816 000 9 000 19,8 155 000 - 105 389 1 406 56824 - - 25,0 48 565 - 26 939 499 26 446 26 804 1 223 17,0 17 330 9 26,5 Pays-Bas Norvèege Feédéeration de Russie Serbie Slovaquie 14 529 727 16 008 7 974 1 713 - 20 904 5 184 126 12 074 415 313 - - 7,0 751 472 - Suèede 68 555 759 - - - 12,9 25 827 2,6 Turquie 1 778 875 2 500 2 337 748 1 091 358 485 253 - 1 056 754 - Angleterre & Pays de Galles (RU) 2 022 604 3 813 1 599 448 1 548 500 50 948 12,7 28 198 0 Sloveénie Espagne 180 18-12-2008 16:06 Pagina 181 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ Commentaires (seulement pour les pays définis homogènes) France: - Q 73-1: 517.245 crimes et délits, 445. 672 contraventions, dont 5e classe 119. 622 - Q 73-2: décisions judiciaires (jugements et arrêts) 1.086.651dont 518. 699 crimes et délits, 567. 952 contraventions dont 5ème classe 149. 789; - Q 73-3: 566. 919 crimes et délits, 548. 904 contraventions, dont 5e classe 143. 953 - Q 73-4: dont 31.110 crimes et délits, 16. 690 contraventions dont 5e classe 4 403 - Q 73-5: affaires pendantes au 1er janvier 2005 (hors tribunaux pour enfants) 368. 818, dont tribunaux de police et juridictions de proximité 221. 917 (hors tribunaux pour enfants) Grèce: les données sont celles transmises par le parquet auprès du Tribunal de première instance d’Athènes et le Tribunal administratif de première instance d’Athènes. Italie: - Q 73-1: 1. 343. 481 tribunaux, 89. 779 tribunaux de paix (total 1. 433. 260) - Q 73-2: 1. 231. 499 tribunaux, 80. 010 tribunaux de paix (total 1. 311. 549) - Q 73-6: 1. 196. 156 tribunaux, 57. 847 tribunaux de paix (total 1. 254. 003). La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 4 - Le numéro des juges Un autre critère utile d’évaluation est certainement le numéro des juges (professionnels ou non) employés dans chaque pays, parce que ce montant agit beaucoup sur le budget national (en Italie, p. e., environ pour le 65%). Dans la grille de la CEPEJ, trois types de juges sont définis. En général, un juge est défini comme une «personne chargée de rendre ou de participer à une décision judiciaire ». Cette définition doit être envisagée dans le contexte de la Convention Européenne des Droits de l’Homme et la jurisprudence de la Cour. En particulier: “le juge tranche, sur la base de normes de droit et à l’issue d’une procédure organisée, toute question relevant de sa compétence”. Les juges professionnels sont décrits comme «ceux qui ont été formés et qui sont rémunérés comme tel (et où leur principale fonction est de travailler comme un juge)». A côté des juges professionnels, la grille de la CEPEJ définit deux autres catégories de juges, à savoir : – les juges professionnels qui siègent sur une base occasionnelle (et qui sont payés comme tel) ; – et les juges non professionnels. 181 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Les juges non professionnels sont surtout chargés du traitement des affaires pénales. Ils interviennent également dans les affaires de droit du travail et de droit commercial. Dans certains pays (France, par exemple) les juges non professionnels siègent dans divers tribunaux spécialisés. Les différentes catégories de juges figurent au suivant tableau. Commentaires Tableau 30 - Types et nombres de juges en 2004 Pays Giustizia italiana e standard europei Pagina 182 Q36 Juges Q37 Juges professionnels à temps professionnels siéegeant plein (etp) occasionnellement Nombre pour 100.000 habitants Nombre Q38 Juges non professionnels (lay-judges) pour 100.000 habitants Nombre Nombre de juges non professionnels (lay judges) par juge professionnel pour 100.000 habitants Albanie 383 12,5 n.a.p. - n.a.p. - - Andorre 22 28,6 2 2,6 n.a.p. - - 179 5,6 n.a.p. - n.a.p. - - 1 696,5 20,7 n.a.p. - n.r. - - 338 4,0 n.r. - n.r. - - 2 500 23,9 n.a.p.- - 3 749 35,9 1,50 Bosnie-Herzégovine 690 18,0 12 0,3 362 9,4 0,52 Bulgarie n.r. - 1751 22,6 n.r. - - 1907 42,9 n.a.p - 6 272 141,1 3,29 96 13,9 n.r. - n.r. - - 2 878 28,2 n.a.p. - 7 872 77,0 2,74 Arméenia Autriche Azerbaïdjan Belgique Croatie Chypre Réepublique tcheèque Danemark 368 6,8 n.a.p. - n.a. - - Estonie 245 18,1 n.r. - 1 955 144,7 7,98 Finlande 875 16,7 n.r. - 3 700 70,7 4,23 6 278 10,1 213 0,3 3 299 5,3 0,53 406 9,0 n.r. - n.r. - - 20 395 24,7 n.r. - 100 000 121,2 4,90 Grèece 2 200 19,9 n.a.p. - n.a.p. - - Hongrie 2 757 27,3 n.a.p. - 2 921 28,9 1,06 Islande 47 16,0 n.a.p. - n.r. - - Irlande 130 3,2 n.a.p. - n.a.p. - - 6 105 10,4 n.r. - 8 077 13,8 1,32 384 16,6 n.r. - 4 058 175,0 10,57 17 49,1 1 2,9 16 46,2 0,94 Lituanie 693 20,2 n.a.p. - n.a.p. - - Luxembourg 162 35,6 n.r. - 127 27,9 0,78 - France Georgie Allemagne Italie Lettonie Liechtenstein Malte 35 8,7 n.a.p. - n.a.p. - Moldova 415 12,3 n.r. - n.r. - - Monaco 18 60,0 14 46,6 118 393,1 6,56 Montéenéegro 242 39,0 n.a.p. - 544 87,7 2,25 2 004 12,3 900 5,5 n.a. - - 501 10,9 n.r. - n.a. - - Pologne 9 766 25,6 n.a.p. - 43613 114,2 4,47 Portugal 1 754 16,7 n.a.p. - 676 6,4 0,39 Roumanie 4 030 18,6 n.a.p. - 170 0,8 0,04 29 685 20,7 n.a.p. - n.a.p. - - 16 53,9 4 13,5 n.a.p. - - Serbie 2 418 32,2 n.r. - n.a. - - Slovaquie 1 208 22,4 n.a.p. - 2 747 50,9 2,27 Pays-Bas Norvèege Feédéeration de Russie Saint-Marin Sloveénie 780 39,0 n.a.p. - 4 065 203,5 5,21 Espagne 4 201 9,8 1 181 2,8 7 681 17,9 1,83 Suèede 1 618 17,9 n.a. - 7 556 83,6 4,67 Turquie 5 304 7,5 n.a.p. - n.r. - - Ukraine 6 999 14,8 n.r. - n.r. - - Angleterre & Pays de Galles (RU) 1 305 2,5 2 370 4,5 28 029 52,8 21,48 62 3,6 n.r. - n.a.p. - - 227 4,5 57 1,1 749 14,7 3,30 Irlande du Nord (RU) Ecosse (RU) 182 18-12-2008 16:06 Pagina 183 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ (seulement pour les pays définis homogènes) Juges professionnels: Allemagne: Il n’y a pas de chiffre absolu pour le nombre de juge à temps complet ou à temps partiel. La donnée est précisée en équivalent temps plein. C’est pourquoi cette donnée ne peut pas être comparée directement avec celle d’autres Etats. Juges professionnels (sur une base occasionnelle): France: 213 juges de proximité en exercice en 2004. Ils travaillent maximum 4 jours par mois. Espagne: juges suppléants ou substituts. Juges non professionnels: France: 14.610 conseillers prud’homaux, 1.800 (au budget: 2.412) assesseurs des Tribunaux pour enfants, 3.800 assesseurs des tribunaux des affaires de sécurité sociale, 2.800 assesseurs des tribunaux du contentieux de l’incapacité et assesseurs des tribunaux paritaires des baux ruraux (chiffre inconnu). Allemagne: les chiffres doivent être interprétés comme le nombre de citoyens faisant fonction de juge avec des juges professionnels dans divers tribunaux. Dans les affaires pénales 36.029 citoyens étaient engagés, La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati en ce qui concerne les autres types de procédures prises en compte, le chiffre est une estimation. Italie: 3.686 juges de paix, 440 juges non professionnels dans les tribunaux et 2.233 juges honoraires dans les tribunaux avec des postes non permanents. Portugal: Ce chiffre se réfère aux personnes désignées comme juges sociaux, tel que publié au Journal officiel. Figurer sur ces listes ne signifie pas participer effectivement à la prise de décision judiciaire mais seulement être susceptible d’être appelé à participer à des procédures spécifiques, notamment pour les affaires référencées tant dans la Loi n. 166/99 du 14 septembre (article 30, n. 2 – Loi sur l’éducation tutorale) que dans la Loi n. 147/99 du 1er Septembre (article 115 – Loi sur la protection des mineurs en danger); ils décident alors sous la présidence d’un juge professionnel. Il est impossible de déterminer la quantité de juges non professionnels qui ont effectivement participé à des jugements en 2004. Espagne: les juges de paix sont chargés des infractions pénales mineures dans les municipalités. Note: Les autres pays qui ont un grand nombre de juges profes183 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 184 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati sionnels sont: Belgique, Allemagne, Hongrie, Luxembourg et Roumanie. Concernant les juges professionnels à temps partiel, il n’en existe pas: en Arménie, Croatie, Grèce, Hongrie, Monténégro, Pologne, Portugal, Fédération de Russie, Slovaquie, Slovénie et Turquie. Alors, nous référant au numéro total de tous ces juges, nous pouvons dire en général que: – la France compte 29.501 juges (+ un chiffre inconnu d’assesseurs des tribunaux paritaires en matière de contrats agricoles, dits des “baux ruraux”) – l’Allemagne compte 20.395 juges (+36.029 citoyens engagés dans le système de jugement par jury des affaires pénales. Cependant, il n’y a pas de chiffre absolu pour le nombre de juge à temps complet ou à temps partiel. La donnée est éstimée en équivalent temps plein. C’est pourquoi cette donnée ne peut pas être comparée directement avec celle d’autres Etats) – l’Italie compte 12.464 juges – l’Espagne compte 4.201 juges – le Portugal seulement 1.754 juges La France, donc, montre le meilleur résultat, ayant un ratio d’investissement inférieur à celui184 là des autres pays homogènes considérés. Cependant, il faut noter que le fonctionnement du système judiciaire de certains Etats est beaucoup dépendent de l’utilisation de juges non professionnels (c’est le cas de l’Allemagne et de la France) et, en particulière, de la participation des citoyens au jugement par jury (c’est le cas de l’Allemagne pour les affaires pénales). Ce critère, donc, doit être envisagé avec beaucoup de précaution. 5 - Le budget consacré au ministère public Sur les 47 Etats ou entités considérés, seulement 36 ont répondu au questionnaire. Dans la grande majorité des pays (32), les parquets sont entièrement séparés des tribunaux et ont leur propre budget. Dans 13 pays, les tribunaux et les parquets sont gérés ensemble ou s’inscrivent dans un même et seul budget. France, Italie et Espagne ont été en mesure d’estimer les parts respectives du budget attribuées au tribunaux et aux parquets. Au contraire, Allemagne, Grèce et Portugal n’ont pas été capables d’estimer ces parts respectives et en conséquence ils ne sont pas dans le tableau suivant. Commentaires 18-12-2008 16:06 Pagina 185 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Tableau 3 - Budget consacréée au ministeère public en 2004 Pays Q9 Budget public annuel consacreé au ministeère public Budget public annuel Budget public annuel consacreé au ministeère consacreé au ministeère public par habitant public par habitant en pourcentage du PIB per capita Budget public annuel consacrée au ministeère public par habitant en pourcentage du salaire moyen brut 8 498 900 Euro 2,8 Euro 0,14 % 0,11 % 426 969 Euro 5,6 Euro 0,02 % 0,04 % Azerbaïdjan 10 916 740 Euro 1,3 Euro 0,15 % 0,13 % Bosnie-Herzégovine 16 591 370 Euro 4,3 Euro 0,25 % 0,09 % Bulgarie 22 826 626 Euro 2,9 Euro - % 0,12 % Croatie 28 967 501 Euro 6,5 Euro 0,11 % 0,07 % Réepublique tcheèque 55 924 241 Euro 5,5 Euro 0,06 % 0,08 % Estonie 3 500 000 Euro 2,6 Euro 0,04 % 0,05 % Finlande 33 022 000 Euro 6,3 Euro 0,02 % 0,02 % 646 771 000 Euro 10,4 Euro 0,04 % 0,03 % 7 498 585 Euro 1,7 Euro 0,18 % 0,17 % 108 000 000 Euro 10,7 Euro 0,13 % 0,15 % Islande 3 100 000 Euro 10,6 Euro 0,03 % 0,03 % Irlande 28 661 000 Euro 7,1 Euro 0,02 % 0,03 % 1 167 510 000 Euro 20,0 Euro 0,09 % 0,09 % 12 018 365 Euro 5,2 Euro 0,11 % 0,14 % 1 302 339 Euro 37,6 Euro 0,04 % 0,05 % 24 375 087 Euro 7,1 Euro 0,14 % 0,18 % 1 023 260 Euro 2,5 Euro 0,03 % 0,02 % Moldova 18 623 700 Euro 5,5 Euro 0,96 % 0,64 % Monaco* 780 740 Euro 26,0 Euro - - 1 197 047 Euro 1,9 Euro 0,09 % 0,05 % 335 300 000 Euro 20,6 Euro 0,07 % 0,07 % 10 737 Euro 0,0 Euro 0,00001 % 0,00001 % 226 591 855 Euro 5,9 Euro 0,11 % 0,10 % 70 989 086 Euro 3,3 Euro 0,12 % 0,14 % 926 827 355 Euro 6,5 Euro 0,19 % 0,27 % Serbie 12 108 235 Euro 1,6 Euro 0,07 % 0,05 % Slovaquie 26 289 474 Euro 4,9 Euro 0,08 % 0,10 % Sloveénie 15 600 000 Euro 7,8 Euro 0,06 % 0,06 % Espagne* 153 158 726 Euro 3,6 Euro 0,02 % 0,01 % Suèede 89 000 000 Euro 9,9 Euro 0,03 % 0,03% Ukraine 41 307 900 Euro 0,9 Euro 0,08 % 0,08 % 770 000 000 Euro 14,5 Euro 0,06 % 0,04 % 35 370 000 Euro 20,7 Euro 0,08 % 0,07 % 131 300 000 Euro 25,9 Euro 0,11 % 0,08 % Albanie Andorre* France Geéorgie Hongrie Italie Lettonie Liechtenstein Lituanie Malte Montéenégro Pays-Bas Norvèege Pologne Roumanie Feédération de Russie Angleterre & Pays de Galles (RU) Irlande du Nord (RU) Ecosse (RU) *budget estimée 185 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 186 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati (seulement pour les pays définis homogènes) Les différences notables entre les compétences et les modes d’organisation du parquet doivent être prises en compte lorsque l’on examine les montants consacrés au ministère public. Ces informations apparaissent plus loin dans ce rapport, tout comme d’autres données d’importance pour ce thème, en particulier le nombre de personnels et de juridictions. Quelques pays ont indiqué un faible montant de ressources affectées au parquet. C’est le cas en particulier de la Norvège qui aurait déclaré un chiffre beaucoup plus élevé si elle avait intégré budgétairement dans son système de poursuites certains membres de la police attachés au parquet. Cette donnée doit donc être interprétée avec prudence. Dans 6 pays (Italie, PaysBas, Liechtenstein, Monaco, Irlande du Nord et Ecosse), le montant consacré aux fonctions de poursuite est égal ou dépasse les 20 euro par habitant. Mais c’est en Bosnie-Herzégovine, en Moldova, en Fédération de Russie et en Géorgie que ce montant est le plus élevé par rapport au PIB par habitant. 186 Dans ce tableau, l’Italie montre le budget plus important en face de celui-là de la France et de l’Espagne: – Italie: euro 1.167.510.000 – France euro 646.771.000 – Espagne euro 153.158.726 Mais c’est nécessaire, aussi que pour le tribunaux, commenter le ratio entre l’investissement et les affaires pénales traitées. 5.1 - Le traitement des affaires pénales par le ministère public Le tableau suivant présente le nombre total d’affaires pénales reçues par le ministère public en première instance. 18-12-2008 16:06 Pagina 187 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Tableau 39 - Affaires péenales traiteées par le ministeère public en 2004 Pays pour Q72 Nombre 100.000 total d'affaires habitants peénales de premièere instance reçcçues par le ministèere public Classées par le ministeère public parce que en raison l'auteur de d'une iml'infraction possibilitée de fait ou n'a pas de droit pu êetre identifiée en geéneéral Terminéees par une sanction ou par une mesure imposéee ou neégociéee par le Procureur Portéees par le Procureur devant les tribunaux Albanie 14 204 463 2 175 - - - 3 779 Andorre 2 343 3 048 10 - - - 14 Arméenie 3 481 108 1 485 1 345 403 - - 631 619 7 697 126 717 - 107 064 32 765 67 002 Autriche Azerbaïdjan - - 145 75 39 443 11 452 821 392 7 863 624 880 294 386 133 751 8 390 19 331 96 915 2 181 - 41 679 15 075 - - Réepublique tcheèque 111 694 1 093 294 0 184 0 79 012 Danemark 194 926 Belgique Croatie 892 288 16 531 - - - - Estonie 34 078 2 522 29 474 20 987 2 336 2 096 - Finlande 88 000 1 680 26 000 - - 3 700 67 000 5 004 678 8 049 366 382 3 147 897 401 184 414 693 674 522 43 071 950 7 016 792 6 224 - 7 291 4 988 450 6 047 4 997 579 - 1 313 576 265 319 1 211 875 Grèece 148 556 1 344 2 257 50 700 - - - Hongrie 137 886 1 366 16 934 - - 5 254 78 850 France Georgie Allemagne 8 782 2 991 2 794 - 455 - 5 944 3 188 511 5 454 2 223 721 1 339 369 - - 568 515 15 511 669 1 639 54 213 1 282 13 322 2 787 8 055 1 407 208 1 199 0 1 158 Lituanie 17 358 507 61 696 - 20 401 - 18 827 Luxembourg 48 365 10 630 9 749 - - 618 11 477 2 714 9 041 1 680 240 - 0 617 10 535 1 698 - 6 458 554 - 8 503 Pays-Bas 273 974 1 682 36 743 - 36 743 78 613 160 000 Norvèege 426 053 9 249 241 046 183 762 - 185 007 87 466 Pologne 1 816 335 4 758 1 040 125 681 860 294 198 0 425 048 Portugal 498 935 4 739 406 151 - - 2 116 85 563 Roumanie 661 355 3 051 321 219 - - 96 976 49 185 Feédéeration de Russie 978 371 682 1 435 830 1 369 326 65 904 - 65 123 88 453 1 180 - - - - 44 881 Islande Italie Lettonie Liechtenstein Monaco Montéenéegro Serbie Slovaquie 139 384 2 581 65 727 63 234 - - 32 682 Sloveénie 91 956 4 603 15 472 - - 3 007 14 721 514 741 Espagne 3 956 078 9 214 - 2 305 225 424 819 91 562 Suèede 185 710 2 055 71 944 - - 24 488 92 900 Turquie 2 300 954 3 234 919 158 - - - 872 875 Angleterre & Pays de Galles (RU) 1 570 000 2 960 172 848 72 195 32 832 1 060 619 1 330 767 70 000 4 093 - - - - - Irlande du Nord (RU) 187 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 188 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Commentaires En France, les infractions routières sont incluses dans le nombre total indiqué. En général on doit dire que la variété des procédures pénales nationales implique que le rôle et le pouvoir du ministère public peut grandement différer d’un pays à l’autre. Dans ce sens, par exemple, plusieurs absences de réponses sont expliquées par les options suggérées qui n’entrent pas dans les attributions du procureur examinées plus haut, telles que par exemple le fait de classer une affaire sans une décision du tribunal. Cette remarque est également valable pour les pays qui ne fournissent pas le nombre d’affaires classées par le ministère public dans une situation où le contrevenant ne pourrait pas être identifié, car leur système ne prévoit pas que ces affaires soient traitées par le procureur (Arménie, PaysBas); parfois ces affaires sont gérées par les forces de police jusqu’à leur élucidation (Croatie), ce qui n’est pas exactement l’équivalent d’un classement par le ministère public. C’est ainsi le cas pour la République tchèque, où les forces de police ont le pouvoir de ne pas prolonger et de clôturer l’affaire. Cela doit être souligné également à l’égard de la spécificité de l’Irlande, dont le système 188 accusatoire rend difficile le fait de transférer une affaire au procureur quand le contrevenant est inconnu et que les chances de le localiser sont minces. Il peut être noté quelques fois une légère disparité entre les catégories suggérées et les dispositions légales des pays. Aux Pays-Bas, par exemple, le terme “sanction” n’est pas un exact équivalent d’un cas conclu par une peine imposée ou négociée par le ministère public. Le ratio entre le budget et le montant des affaires traitées est, donc, le suivant: – Espagne euro 39 – France euro 129 – Italie euro 366 Le résultat est très important mais il faut probablement, pour le future, être surs que les données fournies par chaque pays soient homogènes, parce que en Italie par exemple - ne sont pas inclues les infractions de la circulation routière (au contraire de la France ou des autres pays). 5.2 - Le numéro des procureurs Un critère utile d’évaluation, comme déjà dit au § 4, est certainement le numéro des procureurs (professionnels ou honoraires ) employés dans chaque pays, parce que ce montant agit beaucoup sur le budget national affecté (en Italie, p. e., environ pour le 65%). Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 189 Tableau 42 - Nombre de procureurs en 2004 Q43 Nombre de procureurs (etp) pour 100 000 habitants Q44 D'autres personnes ont-elles des fonctions comparables à celles des procureurs? Albanie 267 8,7 8,7 Andorre 4 5,2 non Arméenie 605 18,9 non Autriche 216 2,6 oui Azerbaïdjan 360 4,3 n.a. Belgique 893 8,5 non Bosnie-Herzégovine 274 7,2 non Bulgarie n.r. Croatie 558 12,6 non Chypre 107 15,5 non 1 066 10,4 non Danemark 564 10,4 oui Estonie 186 13,8 non oui République tchèque Finlande France Georgie Allemagne Grèece Hongrie Q44 Si oui, nombre pour 100 000 habitants 145 1,8 non 330 6,3 1 848 3,0 oui 532 11,7 non 5 106 6,2 oui 520 4,7 non 1 453 14,4 non Islande 7 2,4 oui 26 8,9 Irlande 100 2,5 oui 16 0,4 2 146 3,7 oui 1 506 2,6 604 26,0 non 85 21,1 628 13,6 22 1,1 Italie Lettonie Liechtenstein Lituanie Luxembourg Malte Moldova Monaco 7 18,8 non 850 24,8 non 39 8,6 non 6 1,5 oui 766 22,6 non 4 13,3 non 83 13,4 non Pays-Bas 598 3,7 non Norvège Norvèege 705 15,3 oui Pologne 5 393 14,1 oui Portugal 1 217 11,6 non Roumanie 2 784 12,8 non 55 021 38,3 non 1 3,4 oui Slovaquie 697 12,9 non Slovenie 171 ,68 oui Serbie 800 10,7 non 1 740 4,1 non 767 8,5 non Turquie 3 006 4,2 non Ukraine n.r. Monténégro Feédération de Russie Saint-Marin Espagne Suède Angleterre & Pays de Galles (RU) Irlande du Nord (RU) Ecosse (RU) non 2 819 5,3 oui 300 17,5 non 1 428 28,1 n.r. 189 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Giustizia italiana e standard europei Pays Impaginato 2-2008 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 190 Le tableau concernant les procureurs montre ces nombres: 1. Allemagne 5.106 procureurs 2. Italie 2.146 3. France 1.848 4. Espagne 1.740 5. Portugal 1.217 6. Grèce 520 Dans le tableau suivant, le personnel non procureur de tous les pays est représenté. Le ratio entre le nombre de personnel non procureur par procureur, ainsi que le nombre de juges par procureur est également décrit. Giustizia italiana e standard europei Tableau 43 - Nombre de personnel non procureur en 2004 et ratios Pays Q46 Nombre de personnel (non procureurs) rattachée au parquet (etp) Q43 Nombre de procureurs (etp) Personnel non procureur par procureur Q40 Nombre de personnel non juge travaillant dans les tribunaux (etp) Q36 Nombre de juges professionnels siégeant dans les tribunaux (etp) Personnel non juge par juge Albanie 497 267 1,9 808 383 2,1 Andorre 4 4 1,0 68 22 3,1 273 605 0,5 966 179 5,4 171,6 216 0,8 4 320 1 697 2,5 700 360 1,9 1 524 338 4,5 2 304 893 2,6 5 618 2 500 2,2 Bosnie-Herzégovine 427 274 1,6 1 998 690 2,9 Bulgarie n.r. n.r. n.r. n.r. Croatie 885 558 1,6 6 473 1 907 3,4 Chypre 190 710 1,8 425 96 4,4 1580 1 066 1,5 9 093 2 878 2,2 n/a 564 1 422 368 3,9 74 618 0,4 1 016 245 4,1 210 330 0,6 2 586 875 3,0 4 077 1 848 2,2 17 376 6 278 2,8 290 532 0,5 1 155 406 2,8 12 304 5 106 2,4 58 922 58 922 2,9 Nap 520 6 827 2 200 3,1 2 295 1 453 1,6 6 770 2 757 2,5 Islande 57 7 8,1 57 47 1,2 Irlande 102 100 1,0 1 084 130 8,3 10 852 2 146 5,1 24 952 6 105 4,1 Lettonie 372 604 0,6 1 137 384 3,6 Liechtenstein 3,8 7 0,6 39 17 2,3 Lituanie 585 850 0,7 2 350 693 3,4 36 39 0,9 240 162 1,5 7 6 1,2 346 35 9,9 790 766 1,0 n.a. 415 Arméenie Autriche Azerbaïdjan Belgique République tchèque Danemark Estonie Finlande France Georgie Allemagne Grèece Hongrie Italie Luxembourg Malte Moldova Monaco 5 4 1,3 41 18 2,3 116 83 1,4 830 242 3,4 3 382 598 5,7 5 217 2 004 2,6 51 705 0,1 961 501 1,9 Pologne 4 213 5 393 0,8 33 878 9 766 3,5 Portugal 1 696 1 217 1,4 7 506 1 754 4,3 n.r. 2 784 8 975 4 030 2,2 16 902 55 021 65 237 29 685 2,2 Saint-Marin n.r. 1 45 16 2,8 Slovaquie 756 697 1,1 4 070 1 208 3,4 Slovenie 174 171 1,0 2 257 780 2,9 Serbie n.r. 800 18 171 2 418 7,5 1 751 1 740 1,0 37 744 4 201 9,0 Suèede 620 767 0,8 1 337 1 618 0,8 Turquie Nap 3 006 18 276 5 304 3,4 Ukraine n.r. n.r. 23 304 6 999 3,3 8 011 2 819 2,8 23 000 1 305 17,6 300 300 1,0 537 62 8,7 1 428 1 428 1,0 1 231 227 5,4 Monténégro Pays-Bas Norvege Norvèege Roumanie Fédération de Russie Espagne Angleterre & Pays de Galles (RU) Irlande du Nord (RU) Ecosse (RU) 190 0,3 18-12-2008 16:06 Pagina 191 Analyse et propositions sur la méthode de collecte des données par la CEPEJ Note: Quand le ratio du personnel non procureur par procureur est comparé avec le personnel non juge par juge, le résultat général est que, selon la moyenne, les juges ont plus de personnel à leur disposition que les procureurs (à l’exception de: Islande, Italie, Pays Bas et Royaume Uni (Angleterre et Pays de Galles, Irlande du Nord et Ecosse). Des différences entre les pays peuvent être également clairement identifiées selon le nombre de juges par procureur. Dans un premier groupe de pays, les procureurs sont plus nombreux que les juges, car le ratio est en dessous de 1 (dans un ordre croissant): 2 entités du Royaume Uni (Ecosse et Irlande du Nord), Arménie, Fédération de Russie, Moldova, Lettonie, Danemark, Norvège, Géorgie, Angleterre et Pays de Galles (RU), Lituanie, Chypre et Azerbaïdjan. Dans le second groupe, les juges sont légèrement plus nombreux que les procureurs (moins de 2): Irlande, Estonie, Albanie, Portugal, Pologne, Slovaquie, Turquie et Hongrie. Finalement, une troisième catégorie où les juges sont beaucoup plus nombreux que les procureurs (plus de deux) dans les pays suivants: La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Suède, Espagne, BosnieHerzégovine, Liechtenstein, Finlande, République tchèque, Belgique, Italie, Monténégro, Malte, Pays Bas, Croatie, Allemagne, France, Luxembourg, Grèce, Monaco, Slovénie, Andorre, Islande, Autriche et Saint Marin. Le tableau 43, concernant le personnel non procureur, montre ce ratio: – Italie 10.852 ratio 5,1 (pour chaque procureur) – Allemagne 12.204 ratio 2,4 – France 4.077 ratio 2,2 – Portugal 1.696 ratio1,4 – Espagne 1.751 ratio 1,0 Donc, le budget italien est très influencé - en moyen - par le numéro de personnel non procureur. Il faut savoir, cependant, pour la future collecte des données le nombre de procureurs honoraires, parce que ce paramètre est très important pour évaluer le vrai ratio entre le numéro des procureurs et le numéro de personnel non procureur. En Italie, par exemple, les 191 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 192 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati procureurs honoraires sont 1.755 et le supérieur ratio, donc, descende de la moitié (de 5.1 à 2.7). 6. - Conclusion Attendu que le rapport 2006 affirme que «les experts ont tenu compte des propositions de modifications formulées par les membres de la CEPEJ, par les 192 observateurs et par les correspondants nationaux dans le cadre du processus pilote», j’espère que ces actuelles propositions puissent être utiles pour le «colloque de Palerme» au but de rendre plus efficaces et homogènes les réponses aux divers destinataires des prochains rapports de la CEPEJ. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 193 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 194 *Università di Bologna. Dipartimento di Scienza Politica La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo Giustizia italiana e standard europei Daniela Piana* Introduzione Affermava Piero Calamandrei che “se il livello morale e intellettuale della nostra magistratura è stato finora superiore a quello di ogni altra categoria di funzionari, ciò è derivato dal fatto che ha potuto formarsi attraverso una scelta fondata sulla vocazione” ([1959] 1999, p. 251). E, riprendendo Weber, l’esercizio di una professione intellettuale è sottesa da una vocazione professionale (1919). Le capacità intellettuali necessarie a indirizzare quella motivazione all’interno di una attività collettivamente riconosciuta e legittimata istituzionalmente si possono acquisire attraverso la formazione e l’apprendimento. La professione del magistrato si situa all’incrocio di tre aree, regolate da standard e principi di azione fra loro diversi, anche se non incompatibili. Innanzitutto, la professione del magistrato richiede la conoscenza del diritto, anche se tale conoscenza dipende da cosa all’interno di un sistema socio politico si deve intendere per diritto (se diritto di common law o di civil law, ma più raffinata distinzione potrebbe anche introdursi fra diritto dottrinaria e diritto giurisprudenziale). In secondo luogo, la professione del magistrato richiede la conoscenza delle regole che definiscono il ruolo di “magistrato”, 194 ovvero di quegli standard deontologici che regolano il comportamento di individui che obbediscono ad una “figura”, un tipo istituzionale. Infine, la professione del magistrato richiede la conoscenza delle altre professioni con cui eventualmente egli interagisce sia nel corso processo, sia nella gestione quotidiana del lavoro. Come vedremo, la costruzione dello spazio giudiziario europeo e la definizione di standard di professionalità per l’esercizio della funzione giudiziaria intrattengono fra loro una relazione a doppio filo, la cui logica può essere meglio compresa se si parte delle tre questioni sovra menzionate: professionalità giuridica, professionalità di ruolo, professionalità di interazione con le altre professioni. La competenza giuridica: standard e politicies in Europa Il processo di integrazione europea ha indotto una crescente pressione sulle corti ordinarie di tutti i paesi membri (e diremmo anche dei paesi candidati alla membership). Un primo strumento di pressione consiste nella necessaria integrazione del diritto comunitario all’interno del sistema di norme giuridiche nazionali. Integrazione tuttavia non ha significato riorganizza- 18-12-2008 16:06 Pagina 195 La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo zione di un sistema deduttivo nel quale le norme più generali – il diritto europeo – costuiscono la base dalla quale dedurre, ovvero inferire, tutte le altre norme. In altri termini, il diritto comunitario non sistematizza le norme giuriche nei paesi membri, ma ne mette in discussione la tenuta assiomatica e in generale ne scardina talvolta alcuni prassi interpretative (Kuhn, 2003; Bobek, 2007; Weiler, 2005). Anche se non è questa la sede per approfondire questo aspetto, occorre ricordare quante difficoltà siano insite nell’esercizio quotidiano che consiste nell’”accomodare” all’interno di una unica argomentazione giurisprudenziale norme prodotte da due ratio legislative o giurisprudenziali diverse, l’una facente capo a Bruxelles o a Lussemburgo, e l’altra facente capo a Roma, Berlino, Varsavia, Madrid, o anche, considerato il grado di decentramento che oggi contraddistingue le democrazie europee, Bologna, Bonn, Monaco, Barcellona, ecc. Invece, in questa sede si intende portare l’attenzione sugli standard e sulle politiche ad essi legate relative alla formazione giudiziaria per quanto attiene strettamente la conoscenza del diritto, nazionale, comunitario ed internazionale. Già nel 1995 la Raccomanda- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati zione R 1994, adottata dal Comitato Consultivo dei Giudici Europei, sottolineava la necessità di reclutare i giudici permettendo loro di “acquisire ogni formazione necessaria, ad esempio una formazione pratica nei tribunali e, se possibile, presso altre autorità ed enti, prima della loro nomina e durante la loro carriera. Tale formazione dovrà essere gratuita per il giudice e, in particolare, interessare la legislazione recente e la giurisprudenza. Se del caso, la formazione dovrà includere visite di studio presso le autorità e le corti europee e straniere”.1 Nel testo si fa esplicita menzione alla legislazione recente (in ragione della crescente produzione normativa degli organi di governo nazionali e sovranazionali) e alla giurisprudenza. Inoltre viene auspicata la promozione delle visite-studio dei giudici all’esterno, una prassi che come vedremo trova la sua formalizzazione all’interno dei programmi di costruzione dello spazio giudiziario europeo. In ragione della specificità delle mansioni e della crescente pressione posta sulle magistrature reguirenti da parte delle società contemporanee, la Raccomandazione 2000 19 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa in merito alle competenze dei pubblici 195 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 196 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ministeri sottolinea che “la formazione è sia un dovere che un diritto per tutti i pubblici ministri, prima della loro nomina e dopo di questa [...] lo Stato deve garantire pertanto misure effettive per assicurare che i pubblici ministeri abbiano una formazione e un training adeguati”. I contenuti della formazione devono comprendere: i principi deontologici (su questi torneremo nel prossimo paragrafo); i principi costituzionali di protezione delle vittime e dei testimoni; la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e per le Libertà Fondamentali. Tuttavia è probabilmente è nel testo della Opinione n. 4 adottata dal Comitato Consultivo dei Giudici Europei che si definisce con maggiore rigore e con divizia di particolari il tipo di formazione che deve essere offerta ai magistrati (Oberto, 2007). Ancora viene ribadita la necessità di fornire ai magistrati programmi di formazione iniziale e in corso di carriera che comprendano sia il diritto nazionale sia il diritto internazionale.2 L’accento posto sulla dimensione internazionale, invece che su quella comunitaria, si può spiegare in virtù del fatto che la Opinione nasce nel contesto di un gruppo di lavoro che appartiene al quadro delle attività della Direzione Generale per gli Affari 196 Legali del Consiglio d’Europa, una organizzazione che ha propriamente natura intergovernativa e che obbedisce a diritto internazionale, piuttosto che a quello comunitario.3 Tuttavia la Opinione stessa riconosce il carattere cruciale del diritto comunitario per lo svolgimento della funzione giudiziarie in Europa e consacra al tema dell’apprendimento (e aggiornamento) di competenze giuridiche in materia di diritto comunitario il titolo VI della Opinione: “La formazione europea dei giudici”. Al suo interno il concetto di “europeizzazione” della formazione giudiziaria viene utilizzato in un duplice modo: sia in senso funzionale, sia in senso contenustico. La formazione europea significa innanzitutto acquisizione della conoscenza del diritto comunitario (che deve essere insegnato nei programmi universitari di giurisprudenza prima che divenire materia di formazione giudiziaria in senso proprio): “nessun giudice può ignorare il diritto comunitario, sia la CEDU o altre Convenzioni del Consiglio d’Europa o i Trattati dell’Unione europea e la legislazione che da questi deriva, dal momento che ci si aspetta che egli sia in grado di applicare tali norme ai casi che sono portati dinnanzi alla corte”.4 L’introduzione di una dimensione propriamente europea nei 18-12-2008 16:06 Pagina 197 La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo meccanismi di formazione giudiziaria si esplica anche in un’azione di carattere organizzativa, sia attraverso la promozione di scambi di informazioni fra uffici giudiziari (Fabri et al., 2007), sia attraverso il finanziamento di programmi di scambio fra istituzioni giudiziarie nazionali, sia ancora attraverso la offerta di programmi di formazione vera e propria. Su quest’ultimo punto riteniamo che valga la pena soffermarsi un istante. Già a partire dal 1985 alcune scuole di formazione decisero di costituire il Network di Lisbona,5 allo scopo di facilitare, in seno ai programmi di cooperazione giudiziaria del Consiglio d’Europa, lo scambio di informazioni sui programmi e i meccanismi di offerta, aggiornamento ed eventualmente valutazione della formazione della magistratura (Piana, 2007).6 A partire dall’ottobre del 2000 viene istituito il Network Europeo per la Formazione Giudiziaria.7 L’Ecole Nationale de la Magistrature ne costituisce il centro propulsore, sia in termini di leadership politica, sia in termini di offerta di programmi di formazione. Il Network ha lo scopo di promuovere sia lo scambio di programmi di formazione, attraverso accordi bilaterali fra paesi, sia la formazione “europea” dei magistrati, offerta La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati in alcune sedi istituzionali: l’Accademia europea di diritto (ERA), l’Istituto europeo di pubblica amministrazione (EIPA), entrambi supportati finanziariamente dalla Commissione europea. Il Network Europeo per la Formazione Giudiziaria ha oggi un segretariato con sede a Bruxelles ed è uno dei network europei supportato dalla Commissione europea. È composto dalle scuole giudiziarie e dai dipartimenti dei ministeri o dei Consigli superiori della magistratura che sono responsabili per la formazione. È in grado di organizzare regolarmente seminari e sessioni di formazione, in particolare in materia di diritto comunitario. Dal 2001 ne fanno parte anche i paesi post comunisti.8 Esso si propone come piattaforma di coordinamento dei programmi di formazione offerti a livello nazionali dai paesi membri.9 Fornisce ai magistrati dei paesi membri dell’Unione europea la conoscenza di quali corsi sono offerti nelle diverse sedi nazionali e quali sono le opportunità di partecipazione da parte di magistrati provenienti da altri paesi. Ogni anno redige un catalogo nel quale sono raccolti i diversi programmi, corsi, seminari offerti dalle istituzioni di formazione membre del Network. La Commissione europea ha riconosciuto al Network il 197 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 198 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati monopolio nella implementazione dei programmi di scambio, attraverso i quali diverse istituzioni di formazione ospitano giudici, pubblici ministeri e formatori giudiziari (giudici, professori di diritto, esperti che prestano servizio come formatori presso le scuole di formazione nazionali). Sulla base dell’osservazione longitudinale dei cataloghi redatti dal Network considerandoli come banche dati (anchorchè non esaustive) dei programmi di formazione offerti, si può notare l’emergere di una crescente attività seminariale, che possiamo definire “europea” in senso proprio. Il contenuto dei programmi di formazione offerti dal Network Europeo per la Formazione Giudiziaria fornisce una indicazione delle aree “sensibili” della politica giudiziaria europea. A partire dal 2001 molte sessioni sono state dedicate allo studio degli strumenti di cooperazione giudiziaria. Fra il 2001 e il 2002 10 su 20 seminari sono stati dedicati alle decisioni europee in materia di cooperazione giudiziaria e ai regolamenti di Bruxelles I e II, con riconoscimento delle sentenze in materia civile e penale. Nel 2003 8 su 10 seminari hanno riguardato aspetti procedurali della giustizia penale in Europa (5 di essi sono stati organizzati a Roma, presso il Consi198 glio superiore della Magistratura). Nel 2004 il catalogo dei seminari è aumentato fino a raggiungere un offerta di 98 sessioni formative. La giustizia penale resta il tema prevalentemente affrontato, così come nel 2005. Nel 2006 i corsi sono aumentati fino a 123.10 La dimensione europea dei contenuti di programmi di formazione si istanzia innanzitutto nella offerta di conoscenze giuridiche relative ai regolamenti e alle decisioni del Consiglio Europeo appartenenti al Terzo Pilastro, ovvero l’insieme degli strumenti che sono stati creati per costruire lo spazio giudiziario europeo (Vervaele, 2003). La definizione del ruolo nello spazio giudiziario: il magistrato e gli altri Alla luce di una attenta osservazione dei documenti ufficiali, si può notare come il tema sul quale stanno progressivamente convergendo le energie politiche e finanziarie messe in campo dalla Commissione europea nell’ambito della costruzione dello spazio giudiziario è rappresentato dalla formazione giudiziaria. Con “formazione giudiziaria” non si indica solo l’offerta di corsi, programmi, seminari nelle sedi ufficiali che sono state prima elencate (come il Network europeo per la formazione giudiziaria, o la Accademia europea 18-12-2008 16:06 Pagina 199 La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo per il diritto di Trier). Per formazione deve essere inteso un processo più ampio di socializzazione e comunicazione fra magistrati che ha lo scopo di costruire una cultura comune, ovvero di contribuire in modo significativo e duraturo alla “costruzione dell’Europa attraverso la legge”.11 L’enfasi posta sulla formazione è presente nel discorso ufficiale dell’Unione europea ed in particolare della Commissione, la quale, in una comunicazione del giugno del 2006, afferma: “occorre create il prima possibile un effettivo network per la formazione delle autorità giudiziarie”.12 Questo allo scopo di creare “una cultura giuridica comune”, un senso di appartenenza ad un “corpo comune” per implementare in modo più efficace il programma dell’Aja (Piano di rafforzamento dello spazio di Libertà, sicurezza e giustizia). Tuttavia, per avere una più ampia e forse più corretta visione di quali cambiamenti abbiano interessato il ruolo del magistrato, occorre fare un passo indietro e ritornare alla definizione parsoniana di “ruolo”: nel sistema sociale gli individui si muovono all’interno di ambiti di azione che essi considerano legittimi e opportuni, ambiti definiti (o in taluni casi istituiti)13 sulla base di una serie di norme comportamentali e di standard di accetta- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati bilità (Parsons, 1965). I ruoli non sono definiti in vacuum. Essi rispondono alla differenziazione delle funzioni che sussiste all’interno del sistema sociale. Dove termina la funzione F1 del ruolo R1 inizia la funzione F2 del ruolo R2. Nel caso in cui un individuo debba agire compenetrando regole del ruolo R1 con regole del ruolo R2 esso necessiterà di meta-regole, ovvero di principi che non derivano la propria origine nè dalla funzione F1 nè dalla funzione F2 e che gli permettono di gestire insieme regole, standards di comportamento, funzioni che obbediscono a logiche diverse. La gestione di funzioni giudiziarie e di funzioni organizzativo-gestionali sembra esemplificare questo tipo di situazione. Tale premessa si rende particolarmente saliente per comprendere l’evoluzione degli standard con cui viene oggi valutata la attività della magistratura e, conseguentemente, l’evoluzione delle domande di formazione che il processo di costruzione dello spazio giudiziario europeo fa emergere. Nel mondo westfaliano al magistrato veniva richiesto di conoscere il sistema giuridico nazionale e la dottrina che scaturiva dalla elaborazione scientifico tecnica delle norme. Nel mondo post westfaliano, dove le 199 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 200 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati fonti del diritto si frammentano e diventano plurime e non riducibili ad un unica ratio, al magistrato si chiede non solo di conoscere diversi sistemi giuridici, ma anche di dotarsi di criteri per “decidere come trattare all’interno della propria attività quotidiana diversi set di norme, norme giuridiche, norme gestionali, norme sociali. Uno dei punti su cui si è maggiormente insistito in Europa è la fiducia che i magistrati appartenenti a diversi paesi dovrebbero nutrire gli uni per gli altri. Tale fiducia non attiene solo al fidarsi delle capacità dei colleghi, ma anche della capacità dei sistemi di formazione di mantenere aggiornati i colleghi. Tale fiducia si rende necessaria nell’eventualità di dovere gestire in comune processi inter-nazionali (in particolare si pensi alla implementazione del mandato di arresto). Mutua fiducia significa anche credenza nella comunanza di cultura giuridica. In questo senso la richiesta dell’Unione europea implica che i magistrati di diversi paesi risentano dell’influenza di norme comportamentali provenienti da uno stesso codice deontologico. Possiamo qui identificare un tentativo di europeizzare la cultura giuridica interna delle magistrature nazionali. La cultura giuridica interna 200 (Friedman, 1971) si crea e si trasmette attraverso i meccanismi di socializzazione che hanno luogo all’interno delle magistrature nazionali. Cercare di creare una cultura giuridica comunitaria significa 1) presupporre che vi siano principi comuni alle culture giuridiche nazionali e 2) presupporre di potere scoprire quali principi essi siano e 3) immaginare di poterli trasmettere in assenza di una magistratura propriamente europea. Di qui i programmi di scambio e i programmi di formazione aperti a magistrati di diversi paesi. Il processo di costruzione dello spazio giudiziario è andato sviluppandosi in parallelo con la definizione di standard di qualità della giustizia. Tali standard hanno integrato una visione maggioremente managerialista (Friedman, 2007) del servizio del rendere giustizia. Essi si sono estesi dalla valutazione della correttezza procedurale delle sentenze e dei processi alla valutazione della adeguatezza della gestione delle risorse che sono utilizzate per rendere giustizia. Il ruolo del magistrato risente pertanto dello sviluppo del discorso di policy attinente alla qualità della giustizia.14 Nel 2003 il Consiglio d’Europa istituisce la Commissione per la Valutazione della Efficienza dei Sistemi Giudiziari, alla quale 18-12-2008 16:06 Pagina 201 La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo viene affidato il compito di monitorare dapprima le politiche giudiziarie dei paesi membri del Consiglio d’Europa e in seguito di diffondere la conoscenza e il know how derivati da sperimentazioni, good practices, riforme organizzative micro o locali introdotte in alcuni paesi in modo pionieristico, tutte avnti lo scopo di migliorare la “qualità della giustizia”. Il concetto di qualità denota due diverse caratteristiche di un processo. È una giustizia di qualità quella che si esplica in tempi ragionevoli. È una giustizia di qualità quella che si esplica in luogo trasparenti e attenti alla comunicazione pubblica con utenti/cittadini (sulla dicotomia ritorniamo in seguito) e professioni legali (avvocati e notai). Sul primo punto a distanza di 4 anni dalla creazione della CEPEJ gli standard europei si sono ampiamente sviluppati, fino ad arrivare alla elaborazione di una check list, un blueprint che può essere applicato al fine di valutare la adeguatezza dei meccanismi di gestione dei tribunali, dei dossier, delle pratiche, degli archivi.15 In realtà la CEPEJ non è la prima voce a identificare con una adeguata gestione dei tribunali la qualità della giustizia. Già nella Raccomandazione R 2000 si sottolineava come ai pubblici mini- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati steri fosse necessario fornire una formazione adeguata al fine di permettere loro di svolgere le funzioni di organizzazione del lavoro, management delle risorse umane degli uffici di procura.16 Che impatto possono avere le influenze degli attori esterni ai sistemi giudiziari nazionali rispetto alla definizione del ruolo del magistrato? Ci preme indicarne e discutere due aspetti. In primo luogo l’aumento delle fonti di diritto con cui i magistrati devono commisurarsi oggi, aumento dovuto in larga misura alla evoluzione del diritto comunitario, alle opportunità di comunicazione fra sistemi giuridici nazionali, ed infine allo sviluppo di forme di normazione di carattere paragiudiziale, come ad esempio i meccanismi di soluzione alternativa delle dispute (ADR), espande da un lato gli ambiti di azione dei sistemi giudiziari ma ne indebolisce la univocità, la sistematicità e la coerenza degli strumenti di azione. In termini semplici, ma senza troppo forzare i fatti, si può affermare che se il magistrato nel mondo westfaliano basava la propria decisione su un sistema di norme che tendeva (almeno asintoticamente) ad essere coerente, eventualmente basato sulla norma fondamentale del testo costituzionale (sulla linea del modello germanico-continentale 201 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 202 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati della Gründnorm), nel mondo post-westfaliano la decisione giudiziaria è basata su una articolata rete di norme, che intrattengono fra di loro una relazione non sempre lineare, di ordinamento chiaro deduttivo o nel caso della common law di carattere evolutivo giurisprudenziale. L’analisi delle sentenze delle corti costituzionali e in taluni casi anche delle corti di cassazione o corti supreme ha messo in evidenza che l’appello a principi extra giuridici, come ad esempio quelli che sottendono l’intera architettura normativa dei diritti umani, finiscono non solo per aprire i sistemi giuridici a norme che non sono posite, ma rendono possibile anche la contaminazione, ovvero citazione, di sentenze attraverso i confini nazionali, avendo tali principi extra-giuridici un valore che prescinde dall’ordinamento dello Stato (Bobek, 2008; Kuhn, 2003 e 2005; Pernice, 2004). La costruzione dello spazio giudiziario europeo accentua pertanto le tendenze evolutive già messe in rilievo dagli studiosi (Ferrarese, 1999 e 2003) nell’ambito della sociologia del diritto. Un secondo punto che ci preme portare alla attenzione riguarda la molteplicità dei ruoli che si sono affiancati a quello tradizione di carattere giudiziario (soluzione dei conflitti sulla base 202 di norme astratte, imparziali, certe). Questa trasformazione avviene in modo surrettizio, laddove l’aspetto precedentemente toccato è maggiormente evidente. L’ampiamento della gamma di standard con i quali si valuta la qualità della giustizia induce un ampiamento della gamma dei comportamenti del magistrato che possono essere sottoposti a regolazione e controllo via standardizzazione. Se infatti si richiede ad un magistrato di ottemperare obblighi di efficienza (gestione adeguata delle risorse), obblighi di comunicazione con il pubblico (trasparenza e accountability sociale), per restare all’interno dell’ambito coperto dagli standard della CEPEJ, i comportamenti del magistrato soggetti a istituzionalizzazione, normazione, controllo sono di numero maggiore (almeno per tipo). Il ruolo del magistrato non si esplica solo nella gestione delle sentenze (studio delle norme salienti, articolazione della sentenza, rendere giustizia), ma anche nella gestione delle risorse umane e materiali, nella gestione degli strumenti comunicativi (fra i quali vanno compresi anche i media). Un ruolo espanso per qualità e per quantità richiede la dotazione di conoscenze e know how diversi e certamente maggiori rispetto a quelli che potevano 18-12-2008 16:06 Pagina 203 La professione del magistrato nella costruzione dello spazio giudiziario europeo rispondere alla domanda di formazione giudiziaria in mondo tradizionale westfaliano. Tali saperi spaziano dalla conoscenza del diritto, alla conoscenza degli strumenti di gestione dei tribunali (compresa quella delle tecnologie informatiche), alla conoscenza delle linmgue straniere (per comunicare con i colleghi di altri paesi), alla conoscenza delle scienze sociali (al fine di meglio interagire con l’ambiente esterno, pubblico, media, politica). Non è un caso che l’agenda della CCJE si sia spostata vigorosamente fino a toccare la domanda della qualità delle decisioni giudiziarie, dove per qualità non si intende “rispetto dei termini della legge”. Si intende una complessa articolazione di proprietà che devono soddisfare standard comportamentali, solo alcuni dei quali hanno una natura squisitamente giuridica. Che ne è di Parsons dunque? La differenziazione funzionale che appariva come centrale nello sviluppo dei sistemi sociali moderni, una funzione, una struttura, un tipo di ruolo, si sfalda sotto la pressione dei processi di sovranazionalizzazione, che hanno la peculiare caratteristica di mettere in rilievo anche quanto complesse siano oggi le domande rivolte al sistema giudiziario. In tal senso la formazione del La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati magistrato deve rispondere ad un compito arduo, ma al contempo stimolante. È infatti assai possibile che l’insieme dei know how e dei saperi di cui il magistrato deve essere dotato provengano da discipline che spaziano dalle scienze sociali, al management, all’informatica, alla psicologia sociale e della decisione. Contaminazione, comunicazione, scambio, discussione fra professioni che tradizionalmente, in ottemperanza al principio della divisione dei lavori e dei saperi, si sono tenute meticolosamente all’interno dei propri spazi regolati da peculiari standard di comportamento.17 203 Giustizia italiana e standard europei Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 204 Giustizia italiana e standard europei La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Note 1. Principio 3, 1.a. 2. Opinione 4, par. 28. 3. Fra Unione europea e Consiglio d’Europa sussistono tuttavia sinergie e sovrapposizioni di carattere normativo. Si veda in proposito Benoit-Rohmer, 2005. 4. Opinione 4, Titolo 6, par. 43. Si aggiunge poi che “al fine di promuovere questo aspetto essenziale dei doveri dei magistrati, la CCJE considera che gli Stati membri [del Consiglio d’Europa, n.d.a.], dopo avere rafforzato lo studio del diritto comunitario nelle università, debbano promuovere la sua inclusione anche nei programmi di formazione iniziale e in corso di carriera”. 5. Http://www.coe.int/lisbon_network 6. CCJE, Opinione 4, titolo 6, par. 46 (si auspica il potenziamento del European Network of Judicial Training al fine di armonizzare i programmi di formazione). 7. http://www.ejtn.net/www/en/html/index.htm 8. http://www.ejtn.net/www/en/html/nodes_ main/4_1949_208.htm (link “members”). 9. Il Network è un organo indipendente dai governi nazionali. 204 10. EJTN, Newsletters, 2005, 2006, 2007. 11. Consiglio d’Europa, DG Affari Giuridici, 2006. 12. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, sulla formazione giudiziaria nell’Unione europea, COM (2006) 356 finale, p. 2. 13. La concezione delle norme come strumenti che istituiscono (costituiscono) tipi di azioni si trova in Luckmann e Berger, 1977, poi in Mc Cormick, 1991, e in La Torre, 1999. 14. Si veda su questo il nostro precedente intervento su questa stessa rivista. 15. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, Il Programma del L’Aja, COM(2005), 184 finale. 16. Raccomandazione R 94, principio 3, 3.g. 17. Un ultimo aspetto che merita essere ricordato è l’accento posto dal processo di standard setting sulla meta-cognizione dei magistrati (Girotto, 1998). Per metacognizione si intende la conoscenza di quello che un individuo sa e la consapevolezza di quali sono i propri bisogni formativi. Si veda i rapporti-paese raccolti dal Network di Lisbona. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 205 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 206 Poteri violenti e mafie *Componente del Consiglio Superiore della Magistratura Gli strumenti della lotta alla mafia Livio Pepino* 1. Dire «poteri violenti» significa evocare soggetti organizzati e influenti che esercitano la forza in modo aggressivo e privo di controlli pubblici e/o democratici (id est, in modo illecito). Categoria assai ampia, a ben guardare. Comprensiva, per un verso, di soggetti istituzionali (le dittature sanguinarie in primis) e di realtà che alle istituzioni si contrappongono (o sembrano contrapporsi) e, per altro verso, di organizzazioni apertamente criminali e di strutture complesse operanti su una pluralità di piani. Dei poteri violenti fanno parte a pieno titolo le mafie1, ma non v’è, fra le due categorie, coincidenza: non solo per la varietà ed eterogeneità della prima ma anche perché l’organizzazione e l’uso illecito della forza, pur costituendo un tratto distintivo e immancabile delle mafie, non bastano a definirle. Per orientarsi e cercare di mettere ordine nell’intreccio tra poteri, violenza e attività illecite occorre addentrarsi nell’analisi dell’evoluzione in atto dei principali fenomeni mafiosi e criminali. 2. Conviene partire dalle tre organizzazioni mafiose storiche del nostro Paese: la mafia in senso stretto (o mafia siciliana o Cosa nostra), la ‘ndrangheta e la 206 camorra. Si tratta, come noto, di organizzazioni tra loro assai diverse non solo nelle strategie criminali e nelle relazioni esterne ma anche nella struttura. In sintesi, e facendo riferimento alle analisi più classiche: la prima è organizzata in modo tendenzialmente unitario e gerarchico; la seconda realizza un modello orizzontale o federativo; la terza si configura come una costellazione di associazioni spesso in lotta tra di loro. Eppure tutte le definizioni classiche delle mafie individuano in esse elementi fondamentali comuni (seppur variamente intrecciati): una struttura associativa stabile, risalente nel tempo, con coesione interna irrobustita da riti di iniziazione e con caratteri – più o meno marcati – di segretezza; l’esercizio di una vera e propria sovranità su un determinato territorio (con le connesse prerogative, tra cui l’uso sistematico della forza); l’esistenza, nell’area geografica di riferimento, di un significativo consenso sociale; l’ingente accumulazione economica e l’impiego imprenditoriale dei capitali acquisiti; il più o meno rilevante (ma costante) peso politico. In maggiore o minor misura tali elementi caratterizzano, in Italia, anche le nuove mafie: soprattutto la Sacra corona unita (SCO), comunemente considerata la «quarta mafia», nata nei primi Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 207 Poteri violenti e mafie anni Ottanta e operante in una ampia area comprensiva delle province di Brindisi, Lecce, Taranto e del Salento. La compresenza delle caratteristiche sin qui descritte individua un vero e proprio modello mafioso, da anni preso in considerazione in maniera esplicita anche nel nostro sistema penale. La legge 13 settembre 1982, n. 646 (comunemente nota come legge Rognoni-La Torre) infatti, nell’introdurre nel codice penale il delitto di associazione mafiosa, prevede che la relativa disciplina, dettata dall’art. 416 bis, «si applica anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso». In questa ottica la giurisprudenza ha applicato la fattispecie in esame anche a ipotesi apparentemente assai lontane da quella originaria, comprese quelle di organizzazioni straniere dedite a traffici illeciti (di persone o di stupefacenti) sul territorio nazionale. C’è di più. Molti elementi simbolici tipici delle organizzazioni mafiose (i riti, il segreto, il vincolo di fedeltà al gruppo, l’organizzazione gerarchica, la confusione tra virtuale e reale, la criminalizzazione dell’avversario) sono diventati, negli ultimi decenni, caratteri strutturali, palesi o comunque riconoscibili, della cultura diffusa e finanche di una parte significativa del sistema politico2; e, ancora, termini come «mafia» e «mafioso» vengono abitualmente usati per definire situazioni eterogenee (si pensi all’espressione «messaggio mafioso»). In altri termini, la mafia ha fatto scuola, non ha trasformato la sua specificità in fattore di chiusura e isolamento, ma si è rivelata un modello capace di espansione. 3. Prima di proseguire è opportuno estendere lo sguardo alle mafie operanti in realtà geopolitiche diverse da quella italiana. In proposito è necessario guardarsi dalle generalizzazioni (ché, nel linguaggio giornalistico – e non solo –, è invalso in modo tanto diffuso quanto improprio l’impiego del termine «mafia» per definire qualunque organizzazione criminale potente, agguerrita e dotata di elevata professionalità delinquenziale) e fare uso del massimo rigore, districandosi tra carenza di informazioni approfondite, siti internet non tutti egualmente affidabili e frequenti diversità di valutazioni tra studiosi. Ma l’operazione è necessaria per comprendere e interpretare gli sviluppi di una realtà in continuo movimento 207 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 208 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati (soprattutto negli ultimi decenni). Del resto, già quindici anni fa Giovanni Falcone scriveva che «nel panorama criminale internazionale, le maggiori organizzazioni, depurate dalle loro specifiche connotazioni ambientali, presentano caratteristiche non dissimili da quelle della mafia (...). Tale unicità sostanziale del modello organizzativo nelle più importanti organizzazioni criminali operanti a livello internazionale, consente di usare per le stesse il termine “mafia” in una accezione certamente più estensiva di quella che è normalmente, in senso tecnico, il significato di questa parola, ma in una accezione tuttavia non priva di un certo rigore scientifico»3. 3.1. Spiccano, tra le organizzazioni storiche assimilabili alle mafie, le Triadi cinesi e la Yakuza giapponese Le origini delle Triadi cinesi4 risalgono a oltre due secoli fa. Di esse si parla inizialmente come di società segrete sorte per combattere la corruzione del Governo centrale, ma è certo che, quantomeno dopo la instaurazione della repubblica nel 1911, esse persero ogni venatura ideologica per assumere la veste preponderante di organizzazioni criminali. Le Triadi non sono mai state – e non sono – una organizzazione unitaria bensì una costel208 lazione di strutture associative aperte quanto a classi sociali, con numero di componenti variabile (da poche decine ad alcune migliaia), caratterizzate spesso da rapporti parentali o da provenienza geografica omogenea, legate all’interno da vincoli di solidarietà e omertà assai forti, cementate da giuramenti e riti di iniziazione talora sofisticati. Ogni Triade, poi, è strutturata al proprio interno in modo gerarchico, con la previsione di ben sei livelli o gradi. Le Triadi sono diffuse non solo nella madre patria e nella città di Hong Kong (diventata principale luogo di diffusione durante il regime comunista e giunta, negli anni Novanta, a contare sul proprio territorio un numero di affiliati superiore a centomila) ma anche in tutte le realtà a grande immigrazione cinese. Esse hanno spesso come caratteristica peculiare la facciata di associazioni di mutuo soccorso o di società finanziarie, che le colloca formalmente in una situazione di liceità. Le loro attività criminali (estorsioni, traffico di stupefacenti, controllo del gioco d’azzardo e di traffici clandestini di merci, riciclaggio e sfruttamento della prostituzione) sono gestite – secondo gli accertamenti di numerose autorità di polizia – con il ricorso a forme di violenza particolarmente efferate. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 209 Poteri violenti e mafie Ancor più antica delle Triadi cinesi è la Yakuza giapponese5, risalente addirittura al Medio Evo, pur se soggetta, nei secoli, a profonde trasformazioni che la configurano come organizzazione originariamente composta da classi e ceti sociali deprivati e poi, nell’Ottocento, rilanciata da samurai fattisi banditi per «togliere ai ricchi e dare ai poveri». Qual che ne sia l’origine, negli anni Novanta la Yakuza si presenta come organizzazione reticolare composta – secondo stime accreditate – di 3.400 clan e di 90.000 uomini. Tra i suoi caratteri principali si segnalano: i riti di accesso e i simboli di appartenenza; un mix di segretezza e di visibilità, posto che alcune strutture della organizzazione si presentano addirittura «con uffici aperti al pubblico, con un cartello all’esterno che indica il nome del gruppo o lo stemma»; un rapporto assai stretto della struttura associativa formale con le istituzioni, al punto che, nel 1997, 23 clan si presentavano come organizzazioni filantropiche con contributi statali (tanto che – difficile dire se per ragioni di sostanza o di immagine – una legge del 1992 impose a tali organizzazioni il limite del 12 per cento di soci condannati penalmente). I settori principali di attività criminale della Yakuza sono quelli classici (traffico di stupefacenti, riciclaggio, estorsioni, sfruttamento della prostituzione etc.) anche se ad essi si affiancano in modo significativo incursioni esplicite e strutturate nelle attività industriali o finanziarie, come nel caso dei sokaiya, azionisti con quote irrisorie che intervengono per conto terzi nelle assemblee delle società interessate al fine di influenzare le scelte aziendali con la minaccia e l’intimidazione. 3.2. Diverse dalle precedenti sono alcune agguerrite organizzazioni, prive di radici storiche ma dotate di altri caratteri comuni con le mafie. Il riferimento è, in particolare, alla mafia russa, ai Cartelli colombiani e ai clan nigeriani. La mafia russa (Organizatsya o Mafiya)6 assume una dimensione eccedente i confini locali e una mole di affari considerevole (e in costante crescita) solo a partire dalla metà degli anni Ottanta con il crollo dell’Unione sovietica. L’humus su cui essa nasce è una realtà diffusa di bande criminali composte da qualche decina o centinaia di affiliati, operanti su base locale, dedite soprattutto ad attività predatorie, frodi e sfruttamento della prostituzione, dirette da capi indiscussi detti vory v zakone (letteralmente «ladri sottoposti a una regola»)7, 209 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 210 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati spesso dotate di riti di iniziazione e di segni distintivi per gli aderenti (classico quello dei tatuaggi). Il salto di qualità e la trasformazione di tale sistema di malavita in insieme di organizzazioni strutturate e influenti anche sul piano economico e politico è intervenuto con il passaggio dal sistema collettivistico all’economia di mercato e con il contestuale indebolimento del potere statale, incapace di controllare l’immenso territorio russo e di gestire una situazione sociale esplosiva. In tale contesto la malavita classica, pur mantenendo alcuni caratteri identificativi originari, si è trasformata e potenziata con l’ingresso massiccio di ex ufficiali dei dissolti KGB e GRU (servizi segreti interni e internazionali) e di professionisti spregiudicati di ogni genere e mediante la pratica massiccia di traffici (in particolare di armi e materie prime) con l’estero. Oggi la mafia russa si presenta come una costellazione o un arcipelago di brigade (corrispondenti alle famiglie della mafia siciliana o della ‘ndangheta) che, secondo le stime più accreditate, ammontano a circa 350, nella maggior parte radicate a Mosca, San Pietroburgo, Ecaterinburgo e Vladivostok. Operativamente le brigade hanno una struttura verticale al cui apice stanno spesso personaggi insospettabili della 210 vecchia nomenklatura o della nuova borghesia. La capacità di controllo delle attività economiche e la entità della violenza di tali brigade sono impressionanti: già dieci anni fa si parlava di un controllo sul 40 per cento delle imprese private, sul 66 per cento degli esercizi commerciali, su 400 banche, 50 borse e 1.500 imprese di proprietà statale8 e le cronache descrivono un crescendo continuo di omicidi di oppositori (cioè funzionari pubblici non disponibili alla corruzione e giornalisti indipendenti). Con la definizione «Cartelli colombiani»9 si indicano, in modo un po’ improprio, le principali organizzazioni dedite, negli ultimi decenni del secolo scorso, al traffico di stupefacenti (soprattutto cocaina) dalla Colombia ai mercati europei e nordamericani. I cartelli erano in realtà delle vere e proprie imprese a carattere multinazionale, con struttura piramidale e rigida compartimentazione che si occupavano dell’intero ciclo della droga (dalla produzione alla distribuzione), avvalendosi anche di collaborazioni e di capitali estranei alla organizzazione. I due cartelli principali sono stati quelli di Medellin (il cui esponente più noto e leggendario è stato Pablo Escobar10) e quello di Cali, giunti a controllare, secondo stime attendibili, quasi il 70 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 211 Poteri violenti e mafie per cento del traffico internazionale di cocaina. Entrambi i cartelli, seppur con sistemi diversi, non si sono limitati alla gestione di affari illeciti ma, al fine di condurli in condizioni di maggior sicurezza e tranquillità, si sono sempre preoccupati di garantirsi copertura e protezione pubblica: con la corruzione il cartello di Cali, con l’esercizio di una violenza pari a quella di una guerra civile quello di Medellin (a cui si devono tra l’altro, negli anni Ottanta, gli omicidi di cinquanta giudici e di centinaia di poliziotti, l’attacco militare alla Corte suprema mentre era impegnata nel giudizio di validità del trattato di estradizione negli Stati Uniti, l’abbattimento di aerei, l’uccisione di un candidato alla presidenza). Tale esercizio di violenza si è accompagnato, nel cartello di Medellin, con opere sociali di grande impatto, come la costruzione di ospedali, di oltre cento campi sportivi, di quattrocento case popolari finalizzata a costruirsi un’area di consenso nelle classi più povere. I due cartelli storici si sono esauriti sul finire degli anni Novanta con l’uccisione di Pablo Escobar e con l’arresto contrattato degli altri principali leader. Dalle ceneri dei cartelli, e grazie anche alla loro strutturazione in subcartelli, è, peraltro, nato un nuovo sistema organizzativo, più flessibile e articolato, che consta attualmente – secondo le stime più accreditate – di circa duecento associazioni indipendenti con vaste ramificazioni e alleanze in altri Paesi dell’America del Sud e in Messico. Tratti di modernità analoghi a quelli delle organizzazioni colombiane caratterizzano i Clan nigeriani11, anch’essi apparsi sulla scena internazionale nei primi anni Ottanta e presto diventati i controllori del traffico di eroina verso gli Stati Uniti e l’Europa. I caratteri peculiari delle molteplici organizzazioni nigeriane (dedite, oltre che al traffico di stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione di connazionali e a frodi internazionali) sono: una struttura verticale e ben compartimentata, una forte omertà e segretezza e un uso spietato della violenza (verso il proprio interno e nei confronti delle vittime) coniugati con una grande capacità di alleanze con altre organzizazioni criminali e con una vasta rete di riferimento a livello internazionale (facilitata dalla presenza diffusa in molti Paesi di connazionali emigrati). Questi profili di indubbia modernità si innervano su un humus arcaico, costituito dalla commistione con una vasta rete di sette religiose e dalla adozione di riti, sia a fini di affiliazione sia a fini di controllo e dominio sulle vitti211 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 212 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati me (in particolare nello sfruttamento della prostituzione). 4. La sommaria carrellata sin qui svolta consente di individuare alcuni tratti di un metodo che, pur muovendo talora da situazioni di fatto diverse, sta conformando, con influenze reciproche, le principali organizzazioni e i loro rapporti con la società circostante. Ciò consente di riprendere il discorso sui poteri violenti non istituzionali, che sembrano costituire il modello evolutivo delle mafie, differenziandole in modo crescente dalle gang criminali comuni, che hanno altra genesi e altre caratteristiche12 e di cui esistono in Italia esempi significativi13. Conviene soffermarsi su alcuni punti cruciali. 4.1. Una prima caratteristica della evoluzione delle organizzazioni mafiose sta nel consolidamento del loro carattere interclassista, con una forte presenza di borghesia o di classe media (e talora alta). Esemplare, nelle mafie italiane, è il caso di Cosa nostra, nel cui milieu i “briganti” e i “galantuomini” si incontrano, si parlano, si toccano, costituiscono un tutt’uno. In esso le differenze di status, di censo, di cultura, di collocazione sociale non sono certo eliminate, ma i rapporti non 212 rispecchiano in modo rigido e immodificabile le stratificazioni sociali. Altrettanto – e ancor più – ciò accade in alcune delle più importanti organizzazioni criminali straniere. È il caso della mafia russa, il cui carattere specifico è proprio l’intreccio tra antiche bande diseredate dedite a delitti comuni e violenti, strutture burocratiche e militari in libertà e nuova borghesia (sì da rendere abituale anche in tale realtà l’uso, da parte degli studiosi, della espressione «borghesia mafiosa»). Illuminante è un passaggio dell’intervento svolto il 23 giugno 1993 davanti alla Commissione antimafia italiana dal generale Aslanbeek A. Aslahnov (presidente del Comitato per la legalità, l’ordine pubblico e la lotta contro la criminalità della Federazione russa) che vale la pena riportare per la sua esemplarità: «Per quanto riguarda un diretto legame tra ambiente politico e criminalità, vorrei portate un esempio. È qualcosa che deve essere visto con i propri occhi, altrimenti è difficile crederlo: poniamo che si inauguri una nuova azienda o una mostra di quadri; lei potrà vedere che all’inaugurazione si presentano noti esponenti criminali in doppio petto accanto agli uomini politici e gli uni e gli altri si salutano»14. Egualmente aperte in punto partecipazione sono strutturalmente Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 213 Poteri violenti e mafie – come già si è detto – le Triadi cinesi e la Yakuza, sia in patria che nella diaspora. Evoluzioni analoghe, poi, si intravedono, pur nella diversità dell’origine e della struttura, in organizzazioni come la camorra e i Cartelli colombiani, entrambi nati e stabilmente ancorati alla plebe, ma capaci oltre che di un uso esponenziale di violenza anche di intrecci impensati con la borghesia: se pur non può parlarsi, per esse, di una «borghesia mafiosa» in senso proprio, non va dimenticato che la camorra, soprattutto con il suo ingresso nei traffici internazionali, conosce contaminazioni e rapporti che la allontanano definitivamente dal modello della criminalità stracciona e che i Cartelli colombiani hanno fin dall’inizio come metodo di espansione l’impiego di capitali anche ingenti investiti da soggetti estranei appartenenti al ceto dirigente del Paese. 4.2. Le mafie (non solo la mafia siciliana che ne costituisce, in qualche modo, il prototipo, anche sotto il profilo terminologico) sono nate prevalentemente in contesti territoriali limitati e spesso caratterizzati da economie arcaiche. Ma il loro sviluppo e la loro espansione in luoghi e mercati diversi dal territorio di radicamento dimostrano l’inadeguatezza delle interpretazioni che le considerano, nei fatti (quando non in modo esplicito), fenomeni contingenti legati all’arretratezza, economica, sociale, politica. Esse, in realtà, non sono figlie del sottosviluppo e la loro rappresentazione come metafora dell’arretratezza è una visione a dir poco parziale ché il loro tratto specifico è proprio quello di essere state sempre (e tanto più ora) strutture di potere capaci di coniugare tradizione e modernità e, soprattutto, di inserirsi nelle dinamiche economiche piegandole o controllandole a proprio vantaggio. L’idea di una mafia sconfitta dal progresso è un’ingenua illusione o un’abile bugia. E i boss rozzi e semianalfabeti sono una parte soltanto della realtà mafiosa che mostra al loro fianco, con un sorprendente interscambio di ruoli, tipi d’autore di tutt’altra caratura culturale e di ben diverso status sociale. Ciò – come si è visto – riguarda tutte le mafie (italiane e straniere), delle quali gli osservatori segnalano, talora con sorpresa (in realtà ingiustificata), i caratteri di estrema e sofisticata modernità anche tecnologica. Uno dei corollari dell’adeguamento delle mafie alla modernità è il loro tener conto della complessità, con progressivo abbandono (persino, seppur con qualche resistenza, da parte di Cosa 213 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 214 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati nostra) del modello rigidamente centralista in favore di strutture reticolari, collegate tra di loro e ricche di relazioni esterne, tanto da indurre un attento studioso a dire, in modo solo apparentemente paradossale, che la forza della mafia sta al suo esterno, «nelle relazioni esterne dei mafiosi, che costituiscono in definitiva la loro forza, la loro capacità di adattamento, di radicamento e di diffusione»15. 4.3. Un terzo dato emergente è la crescita (o il consolidarsi), ovunque, dell’interazione tra mafie e politica. Il caso più studiato, nel nostro Paese, è quello del rapporto tra istituzioni, politica e mafia siciliana. La tipologia di tale rapporto – in estrema sintesi – è chiara: la mafia non ama il protagonismo diretto nella sfera politica e il condizionamento palese dell’attività parlamentare. Buscetta, di fronte alla Commissione antimafia, dichiara che anche il deputato colluso deve poter votare una legge contro la mafia perché tutte le persone ragionevoli si rendono conto che egli «deve conservare quell’immagine pubblica anche a scapito di Cosa nostra»: i politici devono rispettare le regole della politica come i mafiosi devono rispettare quelle della mafia, perché le cose possono funzionare solo lascian214 dole nel loro ordine naturale16. L’atteggiamento degli “uomini d’onore” nei confronti della politica e dei politici è stato – ed è – di formale rispetto o, addirittura, di deferenza17, ma a ciò si è sempre accompagnata, nel merito, la richiesta di trattare da pari a pari18. Ciò esalta il peso delle interazioni sia nella definizione delle strategie complessive che nelle scelte contingenti. È un sistema risalente nella storia della mafia, non disdegnato, pur con diversa intensità e modalità di rapporti, da personaggi politici di primo piano della nostra storia: da Crispi a Vittorio Emanuele Orlando fino a Giulio Andreotti19. Diverso il caso della camorra, la cui natura tipicamente plebea non toglie, peraltro, che i ceti dominanti di Napoli e della Campania abbiano sempre intrattenuto con essa un rapporto particolare, sia in termini di generica tolleranza della illegalità sia in termini di gestione di specifiche emergenze20. E lo stesso accade per le principali mafie straniere. In Colombia i Cartelli sono dei veri e propri decisori politici in gradi di trattare da pari a pari con i Governi21; in Giappone la Yakuza condiziona pesantemente l’attività politica (come è emerso in maniera univoca da alcuni scandali degli anni Novanta e dalle conseguenti inchieste giudiziarie) e ha finanche contrattato Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 215 Poteri violenti e mafie leggi che la riguardano; per quanto riguarda la Cina, sono state segnalate aperture alle Triadi, indicate come «organizzazioni patriottiche», anche da parte di dirigenti di primo piano del regime comunista22. Difficile non vedere in ciò solidi indizi di un rapporto tra mafie e politica «caratterizzato da un legame di reciproco bisogno»23. Ciò rende ambigua – se non francamente elusiva – la definizione, pur frequente sui media e nel linguaggio comune, delle mafie come antistato. In essa, infatti, v’è certamente del vero (e non poco) ma le sfuggono la complessità e la doppiezza delle mafie, che propongono nel rapporto con le istituzioni profili cangianti che vanno dall’antagonismo alla compenetrazione. Del resto, come è stato scritto: «se la mafia rappresentasse davvero l’antistato, la cronaca non ci riporterebbe con sempre maggior frequenza la notizia di un numero crescente di Stati-mafia. In questo caso il paradosso si coglie soltanto se facciamo coincidere lo Stato con la democrazia, con l’idea del potere pubblico in pubblico, e la mafia, invece, con l’esasperazione criminale di un interesse comunque privato»24. 4.4. I rapporti e i fenomeni descritti si intrecciano, per di più, con alcuni cambiamenti in atto della politica, anche in relazione all’esercizio di alcune delle sue specifiche competenze. L’esempio più rilevante ai fini che qui interessano è – insieme alla progressiva sottrazione al controllo democratico delle decisioni pubbliche – quello della cosiddetta esternalizzazione dell’uso della forza che ha manifestazioni di immediata evidenza ad ogni livello (nazionale e internazionale): dall’impiego in operazioni belliche – per esempio nella guerra in Iraq – di forze irregolari, ingaggiate da società private, quantitativamente superiori a quelle regolari (cioè a quelle inquadrate nelle forze armate dei Paesi belligeranti) alla gestione da parte di agenzie private di prigioni e corpi di sicurezza (i vigilantes diffusi in tutte le società occidentali). Orbene, ciò che sta accadendo in modo frequente e vistoso è il trasferimento di queste funzioni direttamente alle mafie. Il fatto, a ben guardare, non è nuovo né nel nostro Paese né nel panorama internazionale. Persino nella storia della camorra (l’organizzazione che più incarna l’illegalismo popolare) c’è una componente di esercizio delegato di poteri di polizia in senso stretto: si pensi all’affidamento alle organizzazioni camorristiche di compiti di tutela della sicurezza, operato nel 1860 – alla vigilia 215 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 216 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati dell’ingresso a Napoli di Garibaldi – dal prefetto borbonico Liborio Romano per evitare sollevazioni e disordini: singolare affidamento nato dalla convinzione «non solo del potere dei camorristi sul popolo, ma anche della loro abituale funzione di contenitori e calmieratori della violenza»25. Quanto alla mafia siciliana, poi, basti citare la tacitiana descrizione, risalente al 1875, del duca Gabriele Colonna di Cesarò secondo cui «tutti i baroni, tutti i proprietari tanto delle città come dell’interno hanno sempre avuto una forza che stava attorno a loro e della quale si sono sempre serviti per farsi giustizia da sé senza ricorrere al Governo e della quale forza si sono serviti ogni qualvolta si è dato il segnale della rivoluzione»26 o considerare il suo ruolo nella strategia separatista del secondo dopoguerra, perseguita anche con una vera e propria strategia della tensione. Allo stesso modo è stato ripetutamente segnalato il ruolo di braccio armato del Governo svolto dalle Triadi cinesi che, nel 1927, parteciparono alla sanguinosa repressione dei sindacati dei lavoratori nella città di Shangai. Ma il fatto in qualche misura nuovo è che ciò ha assunto, negli ultimi decenni, una dimensione per così dire strutturale. Così, per limitarsi ad alcuni esempi etero216 genei, in Russia la mafia gestisce una parte significativa delle agenzie di sicurezza private27, in Colombia il cartello di Cali ha svolto veri e propri compiti di polizia sia nel garantire l’ordine pubblico in città28 sia nell’assicurare alle autorità i principali esponenti del cartello rivale di Medellin29, in Calabria e a Palermo il controllo del territorio nei confronti della microcriminalità di strada assicurato dalla ‘ndrangheta e da Cosa nostra non è stato disdegnato, nei periodi di pax mafiosa, dalle istituzioni. In sintesi, le mafie si appropriano di poteri e prerogative che nell’organizzazione politica contemporanea sono monopolio dello Stato e diventano “imprenditori della sicurezza”; e ciò – è questo l’aspetto più significativo e inquietante – accade non in modo conflittuale (nel senso di una sottrazione di poteri allo Stato) bensì in modo consensuale (nel senso di una cessione di poteri o di una delega, nei fatti, a esercitarli). 4.5. Il percorso evolutivo delle mafie (e, parallelamente, dell’agire di ampi settori delle classi dirigenti e della politica) ha incrinato in modo significativo – e talora abbattuto – il tradizionale confine tra lecito e illecito. Nel settore dell’economia il Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 217 Poteri violenti e mafie dato è conclamato. La radicale tesi esposta oltre quindici anni fa da M. Centorrino30 secondo cui «non esiste più, rispetto alle analisi tradizionali, una contrapposizione tra economia legale, economia sommersa, alegale, illecita e mafiosa, e ci si avvia verso un’economia “cattiva” fatte di diverse tipologie di contatto, compenetrazione, continuità», ha trovato negli anni successivi molteplici conferme ed appare oggi condivisa da un numero crescente di studiosi31. Il fenomeno – va aggiunto – ha assunto dimensioni planetarie intrecciandosi con la globalizzazione e determinando in maniera diffusa l’estendersi della zona grigia32 tra lecito e illecito, tra legale e illegale. Come ha scritto recentemente M. Massari: «È ormai riconosciuto come questa globalizzazione asimmetrica faccia sempre più ricorso alla manipolazione, se non addirittura al vero e proprio annullamento, delle regole del gioco e delle norme che producono la leale competizione in campo economico e imprenditoriale. La ricerca di profitti crescenti a costi sempre più limitati attraverso la frode, l’inganno e il ricorso sistematico alla negazione dei diritti elementari fa sì che settori crescenti delle cosiddette élites utilizzino frequentemente comportamenti illegali, se non manifestamente criminali, per raggiungere i propri obiettivi. Si tratta dell’emergere di vere e proprie “economie sporche” che trovano una collocazione, talvolta ottimale, nei meandri dell’economia ufficiale: un’arena in cui criminalità organizzata e attori legali tendono a scambiarsi servizi, a offrirsi reciprocamente favori, a promuoversi vicendevolmente nelle loro attività imprenditoriali»33. Inutile aggiungere che l’ombra lunga dell’economia si proietta sulla intera organizzazione sociale e politica e che l’affievolirsi del discrimine tra lecito e illecito ha condotto, su grande scala, all’emergere di veri e propri «Stati mafia» e, nella realtà del nostro Paese, alla commistione talora inscindibile di potere legale e mafie34. 5. È tempo di conclusioni. Ciò che sta accadendo può, in estrema sintesi, descriversi in questi termini: sempre più le mafie assumono (o consolidano) un carattere interclassista e un rapporto privilegiato con le sedi della politica (nella quale, parallelamente, viene meno la trasparenza e la controllabilità delle decisioni e si verifica una crescente esternalizzazione dell’uso della forza anche in favore di organizzazioni criminali); in questo contesto, il confine tra il lecito e l’illecito si attenua sino a 217 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 218 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati scomparire. Così le mafie entrano a far parte del sistema dei poteri in un intreccio nel quale il successo e il riconoscimento sociale sembrano irrimediabilmente collocarsi sul versante esclusivo della capacità di produrre profitti (indipendentemente dal modo in cui ciò avviene). *È una editio minor della relazione svolta nel ciclo di seminari organizzato a Palermo nell’autunno 2007 dalla locale Università in collaborazione con l’Ufficio dei referenti per la formazione professionale dei magistrati del distretto di Palermo. La relazione completa (comprensiva anche di più ampi riferimenti bibliografici) può leggersi, insieme alle altre relazioni, nel fascicolo monografico (n. 3/2008) di Questione giustizia dal titolo Sistemi criminali e metodo mafioso e, ora, nel volume dallo stesso titolo curato, per i tipi di FrancoAngeli, da A. Dino e L. Pepino. La pubblicazione costituisce anche occasione per segnalare il recente volume Nuovo dizionario di mafia e antimafia (a cura di M. Mareso e L. Pepino, Ega, Torino, 2008) da cui sono tratte molte delle informazioni cui si fa riferimento nel testo, in particolare per quanto riguarda le mafie straniere. Note 1. Della mafia come soggetto dedito all’«esercizio autonomo di potere extralegale» e «compenetrato» nelle strutture del potere, soprattutto pubblico, parlano da decenni, nel nostro Paese, anche i documenti ufficiali, a cominciare dalla prima – pur reticente – relazione della Commissione parlamentare antimafia, risalente al 1972. Per una accurata raccolta dei passaggi più significativi delle relazioni delle Commissioni susseguitesi sino alla XIII Legislatura, cfr. N. Tranfaglia, Mafia, politica e affari. 1943-2000, 2^ edizione (aggiornata), Laterza, Roma-Bari, 2001. 218 2. Questa tendenza, definita ancor più preoccupante di una ulteriore espansione delle organizzazione mafiose, è stata segnalata già più di quindici anni fa da N. Tranfaglia, La mafia come metodo nell’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 13. 3. G. Falcone, Il testamento di Falcone: «Attenti ai Colombiani» (intervento svolto a Roma il 12 maggio 1992), Narcomafie, n. 1/1993, p. 17. 4. Cfr. A. Jamieson, Cinesi, triadi, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 126. 5. Cfr. A Jamieson, Yakuza, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 585. 6. Tra i (pochi) scritti in materia comparsi nel nostro Paese, cfr. F. Varese, Russa (mafia), voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 485 e P. Cusano e P. Innocenti, Le organizzazioni criminali nel mondo. Da Cosa nostra alle triadi, dalla mafia russa ai narcos, alla yakuza, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 93 ss. 7. In epoca staliniana queste forme di criminalità organizzata furono combattute con deportazione di migliaia di malviventi nei campi di lavoro siberiani, ma ciò, lungi dal debellare il fenomeno, finì per accrescere il prestigio di molti capi che continuarono a dirigere le loro attività dalla prigione corrompendo o minacciando le guardie carcerarie. 8. Così M. Dixelius, Terra madre, terra di mafiya, Narcomafie, n. 6/1997, p. 15. 9. Sul punto vds. A. Jamieson, Colombiani, cartelli, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 132 e P. Cusano e P. Innocenti, Le organizzazioni criminali nel mondo, cit., p. 47 ss. 10. Pablo Escobar, arrestato una prima volta nel 1976 con 39 chilogrammi di cocaina, venne sei anni dopo eletto deputato supplente in Parlamento nelle file del Partito liberale, mantenne sempre rapporti di grande cordialità con la Chiesa locale e venne indicato nel 1987 dalle riviste Fortune e Forbes come il quattordicesimo uomo più ricco del mondo (cfr. G. Piccoli, Pablo Escobar, il fascino del male, Narcomafie, n. 1/1994). 11. Cfr., P. Monzini, Nigeriani, clan, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 381. 12. Il discrimine tra forme tradizionali di malavita e criminalità organizzata di tipo moderno viene, in genere, individuato negli elementi strutturali delle aggregazioni prese in esame, nel senso che si considera «criminalità organizzata» quella in cui «la struttura e il dato “organizzazione” svolgono un ruolo preponde- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 219 Poteri violenti e mafie rante e superiore rispetto a quello dei singoli aderenti». Così V. Ruggiero, Crimine organizzato: una proposta di aggiornamento delle definizioni, in Dei delitti e delle pene, n. 3/1992, p. 7 ss., all’esito di un elencazione dei fenomeni (eterogenei) cui si fa riferimento allorché si parla genericamente di criminalità organizzata (che spaziano dalle associazioni prive di elementi di stabilità nel tempo, alle bande giovanili, a gruppi spontanei in cui l’elemento organizzativo è secondario). Merita, peraltro, ricordare che tale rigida e tradizionale distinzione è da tempo superata nella cosiddetta criminologia critica: cfr. V. Ruggiero, Crimine organizzato, cit., p. 7 ss. e A. Dal Lago, Controllo sociale e nuove forme della devianza, Questione giustizia, n. 2-3/2004, p. 345 ss. Sull’evoluzione e sui caratteri attuali del crimine organizzato cfr. anche S. Becucci, Criminalità organizzata, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 178. 13. Tra le espressioni più significative di criminalità organizzata diversa da quella mafiosa si possono ricordare, nel nostro Paese, il brigantaggio e alcune bande di tipo gangsteristico. Il primo fenomeno (detto anche banditismo) ebbe il suo massimo sviluppo nelle regioni centrali e meridionali in epoca immediatamente postunitraria e fu, anche in testi legislativi, assimilato alla mafia. Così non è: per la diversa base sociale (ché il brigantaggio fu essenzialmente fenomeno di fuorilegge datisi alla macchia, ancorché talora circondati da fama leggendaria), ma anche perché – dato di particolare rilievo ai fini che qui interessano – mentre «la mafia esercitò la violenza con impunità nella difesa del privilegio, il banditismo fu sempre in opposizione allo Stato» (così A. Jamieson, Le organizzazioni mafiose, in L. Violante (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 12, La criminalità, Einaudi, Torino, 1997, p. 465; cfr. sul punto anche D. Paternostro, Brigantaggio, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 90, il quale sottolinea come «mentre la mafia continua a esistere ancora oggi, il brigantaggio, quando si è manifestato, fu spento appena cessata l’emergenza che lo aveva prodotto»). Anche le bande gangsteristiche italiane (assai diverse dal gangsterismo americano, da cui pure prendono il nome) differiscono profondamente dalle mafie soprattutto per il loro scarso radicamento sociale e per la loro stretta dipendenza dal capo, scomparso il quale l’organizzazione non sopravvive a lungo. I due principali esempi di bande gangsteristiche del nostro Paese (che evidenziano in modo scolastico i caratteri richiamati) sono stati, negli ultimi decenni, quelli della Banda della Magiana (operante a Roma tra gli anni Settanta e Ottanta, su cui cfr. M. Fiasco, Banda della Magliana, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 55) e la Mafia del Brenta (operante negli stessi anni nel Veneto e dintorni, sotto la guida di Felice Maniero, su cui cfr. P.P. Romani, Brenta, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 83). 14. Il passaggio è riportato, con altri di pari interesse, da L. Violante, Non è la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino, 1994, p. 220 ss. 15. R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, Donzelli, Roma, 1998, p. 293. 16. Commissione parlamentare antimafia, XI legislatura, audizione di Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, p. 428, citata in S. Lupo, Andreotti, la mafia, la storia d’Italia, Donzelli, Roma, 1996, p. 41. 17. Questa (tradizionale e risalente) tipologia di rapporti è stata sovvertita da Riina e dal suo gruppo di potere, ma sembra essersi trattato più di una parentesi che di uno stabile cambiamento di strategia, come dimostra la vicenda di questi ultimi anni con il prevalere di quello che è stato chiamato il “modello Provenzano”. 18. Non è una novità, se già nel 1876 un parlamentare della destra storica, all’esito di una nota indagine informale in Sicilia, si esprimeva nei seguenti termini: «quella popolazione di facinorosi (i mafiosi, ndr) che prima era al servizio dei baroni diventò indipendente; sicché per ottenere i suoi servigi bisognò trattare con essa da pari a pari. (...) Coloro che predominano, se vogliono adoperare la classe facinorosa ai loro fini devono pur permetterle di curare i suoi interessi particolari e indipendenti» (L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, in L. Franchetti e S. Sonnino, Inchiesta in Sicilia, ripubblicazione, Vallecchi, Firenze, 1974, p. 72). 19. Tale sistema è ricostruito analiticamente in S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 2000. Su alcuni collegamenti storici tra mafia e settori della politica, emersi nel corso delle indagini conseguenti agli omicidi di Emanuele Notarbartolo e di Joe Petrosino (commessi rispettivamente nel 1893 e nel 1909), cfr. anche G. Montanaro, Il contesto storico sociale, in Gruppo Abele (a cura di ), Dalla mafia allo Stato. I pentiti: analisi e storie, Ega, Torino, 2005, p. 35. Sulla trama di rapporti evidenziati dal processo a carico del sen. Andreotti (conclusosi, come noto, per quanto riguarda il periodo precedente il 1980 con sentenza di non doversi procedere 219 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 220 Gli strumenti della lotta alla mafia La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati per essere il reato estinto per prescrizione, fermo che i fatti accertati dimostrano «una vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo»: così Corte appello Palermo, sentenza 2 maggio 2003) cfr. L. Pepino, Andreotti, la mafia, i processi, Ega, Torino, 2005 e N. Tranfaglia, La sentenza Andreotti. Politica, mafia e giustizia nell’Italia contemporanea, Garzanti, Milano, 2001. 20. Così I. Sales, La camorra, le camorre, Editori riuniti, Roma, 1993, che ricorda, tra l’altro, i casi emblematici della ricostruzione del dopo terremoto del 1980 (in cui la cogestione dei fondi stanziati da parte della politica e della camorra fu conclamata) e delle trattative per la liberazione dell’on. Cirillo, sequestrato dalle Brigate rosse, «unico caso di cui si abbia notizia, certo in Italia e forse nel mondo, in cui esponenti di un partito politico, terroristi, camorristi, servizi segreti, “pezzi di Stato” hanno strettamente collaborato e si sono reciprocamentre influenzati per liberare un ostaggio nelle mani di una banda criminale» (cfr. p. 47 ss.). 21. Si veda, per esempio, l’impressionante quadro descritto da G. Piccoli, Colombia, il paese dell’eccesso, Feltrinelli, Milano, 2003. 22. Per più precise indicazioni sul punto cfr. P. Cusano e P. Innocenti, Le organizzazioni criminali nel mondo, cit., p. 62. 23. A Jamieson, Le organizzazioni mafiose, cit., p. 462. Cfr. altresì L. Pepino e M. Nebiolo, Poteri, mafia e antimafia, in L. Pepino e M. Nebiolo (a cura di), Mafia e potere, Ega, Torino, 2007, p. 18. 24. F. Armao, Il mafioso e i suoi paradossi, Il Mulino, n. 395, maggio-giugno 2001, pp. 489-490. 25. Così I. Sales, La camorra, cit., p. 49. 26. La citazione è tratta dagli atti della Commissione d’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia ed è stata inserita nella lezione inaugurale del corso su «Storia della criminalità organizzata» tenuta da E. Ciconte il 5 novembre 2004 presso la Facoltà di giurisprudenza di Roma Tre. 27. Esplicito è M. Dixelius, Terra madre, terra di mafiya, cit., che osserva: «Un settore nel quale lo Stato russo ha manifestamente ceduto potere alle organizzazioni criminali è quello che riguarda l’uso della forza (...). Nel settore della sicurezza e della protezione sono infatti nate parecchie ditte private che offrono alle imprese servizi del tutto legittimi, ma che spesso operano per conto di gruppi criminali. La polizia di San Pietroburgo calcola che circa 220 l’80 per cento delle agenzie di sicurezza private della città abbia legami con la malavita organizzata. (...) Un aspetto paradossale della situazione è che i boss criminali si lamentano apertamente del teppismo e della microdelinquenza e offrono il proprio aiuto per mantenere la legge e l’ordine». 28. Secondo A. Wallon, Le narcostrategie del dopo Escobar, Narcomafie, n. 3/1994: «I narcos caleños hanno ripulito la città dagli “indesiderabili” in modo radicale: assassinî di migliaia di mendicanti, di delinquenti che sfuggivano all’ordine dei narcos, di prostitute, di omosessuali o di semplici gamines, i bambini di strada». 29. Cfr., sul punto, A. Jamieson, Colombiani, cartelli, cit. 30. L’economia “cattiva” nel Mezzogiorno, Liguori, Napoli, 1990, p. 12. 31. Per una delle prime analisi, nel nostro Paese, sull’intreccio tra mafia ed economia cfr. l’ormai classico P. Arlacchi, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1983. In tempi più recenti cfr., per tutti, F. Armao, Il sistema mafia. Dall’economia del mondo al dominio locale, Bollati Boringheri, Torino, 2000. Il numero e la notorietà delle conferme della tesi qui esposta esimono da una esemplificazione che sarebbe interminabile. Ma non si può evitare un richiamo alle vicende paradigmatiche del banchiere Michele Sindona [accomunate da grande successo nei palazzi del potere (politico, economico ed ecclesiastico), dagli indissolubili intrecci con Cosa nostra, da gesta e fatti rocamboleschi e, infine, dalla tragica morte secondo i più classici rituali mafiosi]. 32. Esempio classico di tale zona grigia nel panorama italiano è, a fronte della azione di estorsione/protezione mafiosa, la posizione di molti imprenditori il cui ruolo oscilla tra quello di vittime e quello di concorrenti nella associazione mafiosa. Su questa delicata questione cfr., da ultimo, P.G. Morosini, Contiguità alla mafia e prova penale, in L. Pepino e M. Nebiolo (a cura di), Mafia e potere, cit. p. 201 ss. 33. M. Massari, Globalizzazione e criminalità, voce del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, cit., p. 286. 34. La punta dell’iceberg di questo fenomeno è data dalla quantità, davvero ingente, degli scioglimenti (talora ripetuti) di amministrazioni locali per «infiltrazioni mafiose». Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 221 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 222 Una riforma necessaria e urgente: i reati collegati all’espulsione *Magistrato di Tribunale destinato alla Corte di Cassazione Il dibattito sulle riforme Angelo Caputo* I reati collegati all’espulsione svolgono un ruolo di primo piano nel quotidiano della giustizia penale, un ruolo spesso non adeguatamente conosciuto (e valutato) nella discussione pubblica. Per almeno due ragioni un rilievo particolare va riconosciuto al reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore: per il suo collocarsi a valle della gestione amministrativa dell’immigrazione irregolare, con le gravi problematiche applicative che nascono dall’intreccio tra provvedimenti amministrativi e fattispecie penale; ma anche per i meccanismi processuali (incentrati su arresto in flagranza e giudizio direttissimo) che ne fanno un vero protagonista del diritto penale in action. La breve, ma travagliata storia di questo reato merita allora di essere riassunta. Il nuovo reato, punito a titolo di contravvenzione, si inseriva (e tuttora si inserisce) in un quadro normativo nel quale, da una parte, i canali di ingresso legale dei migranti - ed è questo un dato largamente condiviso - sono difficilmente praticabili e, dall’altra, la risposta data dall’ordinamento a qualsiasi ipotesi di irregolarità è rappresentata dall’espulsione e dalla sua esecuzione attraverso misure coercitive della libertà personale di natura amministrativistica (l’accompagna222 mento coattivo alla frontiera e la detenzione amministrativa nei centri di permanenza temporanea). La legge del 2002 (legge Bossi - Fini) aveva costruito per le ipotesi di impossibilità di procedere all’espulsione attraverso tali misure - un meccanismo penal-amministrativo imperniato sul passaggio dall’espulsione amministrativa all’ordine di allontanamento emesso dal questore, dall’incriminazione dell’inosservanza di questo ordine all’arresto dello straniero inottemperante, dal giudizio direttissimo fino, nuovamente (almeno sulla carta), all’espulsione. I primi problemi interpretativi sorsero con riferimento alla compatibilità della clausola del “giustificato motivo” con il princìpio di tassatività/determinatezza della fattispecie penale: la Corte costituzionale (sent. n. 5/2004) dichiarò infondata la questione, precisando che tale clausola si riferisce «a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa (...)». La Corte osservò poi che, nell’«architettura complessiva della nuova disciplina dell’espulsione», l’ordine del questore ex art. 14 comma 5bis «viene emesso in surroga del- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 223 Una riforma necessaria e urgente: i reati collegati all’espulsione l’accompagnamento, proprio nei casi in cui il destinatario versa in una situazione di rilevante difficoltà di adempierlo»: e tale rilievo suggerì la considerazione che «la formula “senza giustificato motivo” riduce notevolmente, in fatto, l’ambito applicativo della norma incriminatrice»: interpretata, dunque, in termini rigorosi, la clausola del giustificato motivo riduce notevolmente la portata applicativa della norma incriminatrice di cui al comma 5-ter dell’art. 14. Abbiamo assistito, in questi anni, a periodiche polemiche politico-mediatiche in relazione ad alcune sentenze di assoluzione per il reato in questione: la nitida presa di posizione del giudice delle leggi rappresenta la migliore risposta a queste polemiche (e, può aggiungersi, un indice attendibile del carattere strumentale di molte di esse). Sempre nel 2004 la Corte costituzionale (sent. n. 223) affrontò un altro filone di questioni rimesse al suo giudizio, dichiarando illegittima la norma sull’arresto dello straniero che non aveva ottemperato all’ordine del questore. In quella occasione il giudice delle leggi osservò, tra l’altro, che la misura pre-cautelare «non trova valida giustificazione neppure ove la si voglia ritenere finalizzata, sia pure impropriamente, ad assicurare l’espulsione amministrativa dello straniero che non abbia ottemperato all’ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato», posto che il relativo procedimento amministrativo potrebbe comunque seguire il suo corso a prescindere dall’arresto dello straniero: la funzionalizzazione dell’arresto all’espulsione dell’immigrato irregolare era dunque considerata dalla Consulta impropria sul piano dei princìpi e, può ben dirsi, inutile su quello della effettività dei provvedimenti di allontanamento. Nonostante le nette affermazioni della Corte, il legislatore ha nuovamente introdotto, con la legge n. 271/2004, il meccanismo descritto e, in particolare, la generalizzata previsione dell’arresto dello straniero: a questo scopo, ha inasprito fortemente le sanzioni per i vari reati collegati all’espulsione, trasformandoli di regola da contravvenzioni in delitti. Ulteriori dubbi di illegittimità costituzionale si sono affacciati e un nuovo intervento della Corte costituzionale si è reso necessario: con la sentenza n. 22/2007 la Corte - pur ritenendo inammissibile la questione relativa al trattamento sanzionatorio previsto per il reato di ingiustificata inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore - ha rivolto al legislatore un severo monito, rilevando che «il quadro norma223 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 224 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati tivo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa»; di qui «l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie prima evidenziate». D’altra parte, la necessità di una riforma della disciplina dei reati collegati all’espulsione discende da un ulteriore ordine di questioni messo in luce da un passaggio della sentenza n. 22 del 2007; la Corte descrive il reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento come una «fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili». È questo un rilievo decisivo che evoca efficacemente il profilo dello straniero/tipo coinvolto negli ingranaggi del meccanismo penal-amministrativo costruito intorno al reato di cui all’art. 14, co. 5-ter del D. Lgs. n. 286/1998: 224 si tratta di un soggetto la cui pericolosità sociale si attesta, nella maggioranza dei casi, su livelli bassissimi e che si trova coinvolto nella vicenda penale in relazione ai reati marcatamente artificiali introdotti a presidio del provvedimento di espulsione amministrativa. Un’indicazione nello stesso senso si ricava da una ricognizione svolta alcuni anni fa presso vari tribunali (Milano, Torino, Bologna, Roma, Cagliari e Palermo) sui dati e sulle prassi più significative riguardanti i processi celebrati con giudizio direttissimo nei confronti di soggetti imputati dei reati collegati all’espulsione: la ricognizione (pubblicata in Questione Giustizia, n. 2/2006) non ha ovviamente alcuna pretesa di scientificità, ma offre comunque una serie di testimonianze degli operatori circa l’impatto di quei reati sull’amministrazione della giustizia. Due spunti tratti dalla ricognizione meritano di essere segnalati. Le diverse rilevazioni segnalano un numero molto basso di misure cautelari applicate all’esito della convalida (disposta invece nella generalità dei casi), il che sembra confermare i tratti del profilo dello straniero/tipo imputato del reato ex art. 14, co. 5-ter, un soggetto nei confronti del quale la valutazione sulla Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 225 Una riforma necessaria e urgente: i reati collegati all’espulsione sussistenza delle esigenze cautelari è di regola negativa. Da questo punto di vista, può ben dirsi che la sicurezza dei cittadini – la sicurezza vera, quella messa a repentaglio prima di tutto dai reati contro la vita e l’incolumità individuale, ma anche, ad esempio, dai reati contro il patrimonio – trae ben poco vantaggio dalla repressione di questi reati artificiali, che invece, grazie soprattutto al meccanismo arresto/giudizio direttissimo, assorbono una parte rilevante delle - scarse - risorse della macchina della giustizia penale: eloquenti, anche per l’ampiezza del periodo preso in considerazione, sono i dati raccolti presso il Tribunale di Torino, dove «nell’anno 2005, su un totale di 5.929 di arresti/fermi, ben 2.016 riguardano le nuove fattispecie di reato (pari al 34% del totale); nello stesso periodo si sono celebrati 3.434 processi di rito direttissimo con detenuti, di cui 2.079 concernenti reati previsti dalla Bossi-Fini (pari al 60, 54%)». Agli squilibri, alle sproporzioni e alle disarmonie del trattatamento sanzionatorio dei reati collegati all’espulsione può dunque essere associata la valutazione della loro inutilità (per non dire dannosità) sul piano di una razionale politica criminale. Nell’una e nell’altra prospettiva, chiudere la pagina del diritto penale speciale dello straniero appare necessario e urgente, ma i primi passi della nuova legislatura muovono in ben diversa direzione. La previsione, nel disegno di legge n. 733/S, del delitto di ingresso illegale nel territorio dello Stato risponde ad una logica che ne mette in luce la irriducibile incompatibilità con il volto costituzionale dell’illecito penale: verrebbe sanzionato penalmente non un fatto lesivo di beni primari, ma una condizione individuale, la condizione di migrante. La stessa logica di fondo è alla base dell’aggravante comune per gli immigrati irregolari introdotta con il D.L. n. 125/2008, conv. nella L. n. 125/2008. La norma suscita numerosi dubbi di legittimità costituzionale, con riferimento a vari parametri e, prima di tutto, al principio di uguaglianza che prima ancora di costituire il fondamento del giudizio di ragionevolezza contiene un nucleo forte che esclude «distinzioni normative ratione subiecti, correlate cioè a qualità meramente subiettive anziché alla natura dell’atto, dell’attività, della funzione, dell’oggetto giuridico» (Cerri). D’altra parte, come hanno osservato i primi commentatori (Pulitanò), l’aggravante si ispira a una logica “presuntiva” di maggiore 225 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 226 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati capacità a delinquere dello straniero irregolare che è già stata sconfessata dalla Corte costituzionale: con la sentenza n. 78 del 2007, il giudice delle leggi ha escluso che la condizione soggettiva derivante dal mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato sia, di per sé, univocamente sintomatica di una parti- 226 colare pericolosità sociale. L’autorevole ed argomentato giudizio della Corte costituzionale dovrebbe rappresentare la base per un ripensamento complessivo del diritto penale dell’immigrazione, in linea con i princìpi costituzionali e al riparo dalla tentazione dell’utilizzo in chiave simbolica degli strumenti della politica criminale. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 227 Impaginato 2-2008 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 228 Il nuovo testo unico in materia di sicurezza sui luoghi del lavoro: prime osservazioni *Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. **Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese Vania Contrafatto* e Marco Formentin** Uno sforzo pregevole seppur perfettibile quello contenuto nel nuovo T.U. su sicurezza e salute dei luoghi di lavoro. Il decreto legislativo 81/2008 emanato il 1 maggio 2008 ( pubblicato nel supplemento n. 108/L alla G.U. n 101 del 30 aprile 2008 entrato in vigore il 15.05.2008) si evidenzia per avere riorganizzato il complesso sistema di norme che hanno regolamentato per oltre sessant’anni la materia prevenzional – antinfortunistica, tentando di armonizzare la legislazione stratificatasi nel tempo. L’armonizzazione è infatti l’unico elemento per cui si contraddistingue tale decreto legislativo, poiché nessuna innovazione viene portata al previgente sistema di norme i cui principi sottesi rimangono immutati: la individuazione dei soggetti titolari di posizioni di garanzia, la valutazione dei rischi, il sistema dei controlli. L’esame comparato della maggior parte delle disposizioni, in particolare, rivela una riorganizzazione “formale” del testo, con la sola novità della mutata numerazione dei precetti: i titoli di cui si compone ricalcano infatti quasi integralmente il testo del d.lgs 626/94, del dpr 303/56, del dpr 547/55, del dlgs 494/96, abrogandone le relative norme. Il titolo I del decreto si apre con l’enucleazione delle defini228 zioni sia dei soggetti destinatari delle posizioni di garanzia, sia degli altri soggetti coinvolti nell’organizzazione del lavoro chiamati ad interagire in tema di sicurezza (art. 2). La tecnica legislativa è quella già usata nel testo unico in materia di ambiente: tale tecnica se presenta l’indubbio pregio di fornire una classificazione tassativa delle posizioni di garanzia (datore di lavoro, dirigente, preposto, ecc..) può determinare vuoti di tutela, con riguardo alla molteplicità di situazioni contigenti non previste né prevedibili, se non mediante definizione più generali ed “elastiche”. Non a caso, il legislatore inserisce, una norma di chiusura l’art. 299, il quale attribuisce una posizione di garanzia anche ai soggetti che, pur sprovvisti di regolare investitura, esercitino in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti prima definiti. Principale responsabile, e dunque titolare della posizione di garanzia per antonomasia, rimane il datore di lavoro, su cui gravano tutti gli obblighi di sicurezza. Proprio perché il sistema, pur tendendo alla eliminazione del rischio alla fonte, assume come risultato effettivo la riduzione o il contenimento dello stesso, il legislatore del 2008, al pari di quello del 1994, distingue tra obblighi “non delegabili” (art. 17) il cui 18-12-2008 16:06 Pagina 229 Il nuovo testo unico in materia di sicurezza sui luoghi del lavoro: prime osservazioni adempimento spetta in via esclusiva al datore di lavoro, e obblighi delegabili, il cui adempimento viceversa può essere delegato ad altro soggetto , che come tale sarà definito “datore di lavoro ai fini prevenzionali” e che nelle imprese di medie e grandi dimensioni, potrà anche coincidere con il dirigente. Così secondo prima una lettura, si potrebbe affermare che il quadro delle posizioni di garanzia che si viene a delineare è così articolato: 1. posizioni di garanzia “originarie” dei soggetti così come definiti nella parte introduttiva (ar. 2) già individuati attraverso un criterio di tipo c.d. “misto” (investitura formale accompagnata da effettivi poteri di gestione). 2. posizioni di garanzia delegate di cui all’art. 16 T.U. che, codificando definitivamente la giurisprudenza in tema di delega di funzioni, fornisce una interpretazione autentica dei requisiti della delega. Peraltro, la delega non svuota di contenuto gli obblighi gravanti sul garante originario: da obbligo di attendere direttamente alla sicurezza, a obbligo di sorveglianza . 3. posizione di garanzia sussidiaria dei c.d. “garanti di fatto” , con la cristallizzazione all’art. 299 del principio di “effettività”, caro alla giurisprudenza, e critica- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati to da quella parte di dottrina che sosteneva invece come suddetto principio comportasse una rinuncia ai precetti di tassatività e determinatezza tipici della materia penale. Ancora, definiti e individuati con dovizia descrittiva tutti i rischi che il datore deve valutare ai fini di una corretta redazione del “documento di valutazione dei rischi” (artt. 28-29), questo adempimento viene graduato a seconda dei livelli di occupazione dell’azienda, residuando l’autocertificazione sullo svolgimento della valutazione del rischio alle sole aziende con meno di dieci dipendenti, e semplificandolo con procedure standardizzate per i datori di lavoro che occupino più di dieci, ma meno di cinquanta dipendenti, purchè non svolgano attività che presentino “particolari” profili di rischio. Procedure standardizzate che dovranno però essere stabilite con decreto interministeriale entro il 31 dicembre 2010. Sorge spontaneo chiedersi cosa accadrà nelle more dato che viene sanzionato penalmente anche l’aver redatto il documento di valutazione dei rischi in maniera “incompleta”. In ossequio alla determinazione 5/03/2008 n. 3, l’art. 26 del decreto in commento, quando il datore di lavoro intenda appaltare una o più fasi dell’attività produttiva ad imprese esterne o lavora229 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 230 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati tori autonomi, deve effettuare la cd. analisi delle interferenze, analizzando le concomitanze, le sovrapposizioni o le amplificazioni dei rischi, derivanti non solo dal lavoro in concreto da effettuarsi, ma anche dalle situazioni ambientali, e indi redigere un unico documento di valutazione dei rischi, ove indichi le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi da interferenza. Documento che deve essere allegato al contratto di appalto. I primi commenti al T.U. sono unanimi nel lamentare il moltiplicarsi degli adempimenti formali richiesti dalla legge: l’eccessiva “formalità” degli obblighi imposti, tipica del sistema fino ad ieri vigente, non è mutata nell’impianto disegnato dal T.U. che affida sempre alla sanzione penale il maggior peso di deterrente delle situazioni illegittime. Purtuttavia, come le prime letture del testo unico sottolineano, non viene fatta alcuna distinzione tra inadempimenti ad obblighi “formali” ed inadempimenti ad obblighi “sostanziali”: le violazioni integrano tutte reati contravvenzionali puniti con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. Immutata rimane la tecnica redazionale con la separazione del precetto dalla sanzione che viene indicata in un unico articolo con rinvio alle altre norme con230 tenenti gli obblighi prescrittivi. Le sanzioni vengono infatti inserite al termine di ogni titolo specifico al quale fanno riferimento, con la coordinazione di cui all’art. 298, che cristallizzando il principio di specialità, recita che “quando lo stesso fatto è punito da una disposizione prevista dal titolo I del presente decreto e da una o più disposizioni previste negli altri titoli del medesimo decreto, si applica la disposizione speciale”. Il testo unico ha altresì ribadito che prevenzione vuol dire formazione, informazione, sostegno finanziario. Il lavoratore deve essere adeguatamente formato e ricevere tutte le istruzioni e i mezzi necessari per prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro. La legge prevede infatti che gli argomenti da trattare debbano spaziare dai principi giuridici generali alla legislazione speciale in materia di sicurezza, al diritto sindacale, alle nozioni di tecnica della comunicazione. Senza dubbio formazione ed informazione dei lavoratori sono dei capisaldi, che, già introdotti dalla 626/94, costituiscono il fulcro dell’eliminazione dei rischi alla fonte, ma la “formazione” in quanto tale, nella pratica asseverata a logiche clientelari, rischia di diventare il business del terzo 18-12-2008 16:06 Pagina 231 Il nuovo testo unico in materia di sicurezza sui luoghi del lavoro: prime osservazioni millennio piuttosto che un valido strumento di prevenzione. Sotto il profilo processuale, degna di nota è la disposizione di cui all’art. 60 del T.U. la quale prevede che, in caso di esercizio dell’azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne dia notizia all’INAIL ed all’IPSEMA, in relazione alle rispettive competenze, ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e dell’azione di regresso. È inoltre previsto che le organizzazioni sindacali e le associazione dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro abbiano la facoltà di esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa di cui agli artt. 91 e 92 c.p.p, con riferimento ai reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale Viene mantenuta la logica del legislatore del 1994, secondo la quale “prevenire è meglio che curare”; quindi non solo rimane in vigore il D.lgs 758/94, ma viene introdotto un nuovo beneficio dell’estinzione del reato ove La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati decorrano tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza, senza che l’imputato abbia commesso ulteriori reati in materia di salute e sicurezza del lavoro, ovvero quelli agli articoli 589 e 590, limitatamente alle ipotesi di violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. È inoltre introdotta all’art. 303 una particolare ipotesi di circostanza attenuante legata al c.d. “ravvedimento operoso”: “1. La pena per i reati previsti dal presente decreto e puniti con la pena dell’arresto, anche in via alternativa, è ridotta fino ad un terzo per il contravventore che, entro i termini di cui all’art. 491 del codice di procedura penale, si adopera concretamente per la rimozione delle irregolarità riscontrate dagli organi di vigilanza e delle eventuali conseguenze dannose del reato. 2. La riduzione di cui al comma 1 non si applica nei casi di definizione del reato ai sensi dell’articolo 302 del presente decreto”. Il quadro delle conseguenze sanzionatorie, anche non penali, previste dal nuovo T.U. deve essere completato con la menzione dello strumento dissuasivo della sospensione dell’attività imprenditoriale previsto dall’art. 14. Infatti dopo il totale abbandono dei vecchi istituti previsti 231 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 232 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati rispettivamente dagli artt. 9 e 10 del DPR n. 520/55, la diffida e la disposizione, viene introdotto un nuovo provvedimento amministrativo, “la sospensione cautelare”, che, affidato ad entrambi gli organi di vigilanza – AUSL e ispettorati del lavoro – dovrebbe anche costituire strumento di lotta al lavoro nero. L’art. 14 del T.U. prevede infatti che “gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione di un’attività imprenditoriale qualora riscontrino l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, considerando le specifiche gravità di esposizione al rischio di infortunio, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro e 232 della previdenza sociale, adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”. Tale strumento ha natura giuridica formale e sostanziale di atto amministrativo, circostanza questa che si deduce dal fatto che sia impugnabile con ricorso da presentare entro trenta giorni alla direzione regionale del lavoro territorialmente competente e dal fatto che, se l’organo di secondo grado non decide sul ricorso entro 15 giorni dalla proposizione, il provvedimento di sospensione perde efficacia (silenzio-accoglimento). La possibilità di sanzionare un’impresa con la sospensione cautelare da parte dell’AUSL è limitata ai casi di accertamento della reiterazione delle violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, al pari di quella emessa dall’ispettorato del lavoro, la predetta sospensione, è revocabile se sia reintegrata la situazione di illegittimità e pagata una sanzione pecuniaria. Last but not least, l’art. 300 del T.U. ha esteso l’ambito della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche (l. 231/01) anche alle ipotesi di cui agli artt. 589 c.p. e 590 c.p., quando l’evento sia il risultato della violazione delle norme sulla prevenzione. 18-12-2008 16:06 Pagina 233 Il nuovo testo unico in materia di sicurezza sui luoghi del lavoro: prime osservazioni In tal modo il legislatore ha accolto i rilievi della dottrina, la quale aveva sottolineato come un sistema sanzionatorio ancorato alla moderna realtà produttiva deve tenere conto del fatto che spesso le scelte operate dai datori di lavoro sono condizionate dalle politiche economiche di impresa e dunque anche dagli interessi particolari perseguiti dal soggetto collettivo. La suddetta norma, se da una parte ha l’indubbio pregio di costituire un “punto di contatto tra responsabilità da reato degli enti e condotte illecite incentrate su un’inadeguata gestione del rischio”, dall’altra apre in dottrina la querelle circa “la compatibilità tra i reati previsti dall’art. 25-septies ed il criterio di attribuzione dell’illecito all’ente incardinato sull’interesse e/o sul vantaggio” . Posto infatti che l’esigenza che l’ente venga chiamato a rispondere per il fatto proprio è stata assolta delineando un triplice collegamento tra reato presupposto ed ente (l’illecito della persona fisica deve essere stato commesso da persone che intrattengono rapporti particolari con l’ente; il reato deve essere stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente; deve sussistere una colpa di organizzazione), il criterio di attribuzione dell’illecito basato sull’interesse e sul vantaggio, nato per evidenziare la proie- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati zione finalistica della condotta nei reati di matrice dolosa , mal si coniuga con il delitto colposo il quale si caratterizza per la mancanza di volontà dell’evento. Secondo alcuni autori questa “impasse” interpretativa sarebbe superata da una ricostruzione della fattispecie incentrata sulla c.d. colpa cosciente o sull’interesse mediato. Altri invece pongono l’accento sulla contrarietà a Costituzione delle interpretazioni che legittimano l’associazione tra interesse/vantaggio e condotta, sostenendo invece che l’interesse/vantaggio vada sempre ancorato all’evento lesivo, e quindi con sostanziale disapplicazione dell’art. 25-septies. Queste in estrema sintesi le uniche novità nonostante le linee guida del Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale per il testo unico si concludessero con la chiosa: “In sintesi, le parole chiave del nuovo “Testo Unico” sono: riordino, innovazione, coordinamento, semplificazione, il tutto finalizzato ad una maggiore prevenzione, a controlli più efficaci, oltreché alla diffusione di una cultura della sicurezza”. 233 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 234 Riflessioni sulla Riforma del diritto di famiglia e dei Tribunali per i minorenni *Giudice del Tribunale per i minorenni di Palermo Fulvia Fratantonio* Mi preme sottolineare come una riforma del diritto di famiglia e dei Tribunali per i minorenni implica necessariamente una revisione del rito processuale applicabile alle questioni inerenti il diritto di famiglia ed il minore in particolare. Si tratta infatti di revisionare le competenze attualmente attribuite al Giudice Civile ordinario, al Giudice minorile ed al Giudice tutelare, organi giurisdizionali regolati da norme processuali diverse. Una modifica del rito processuale attualmente applicato presso i Tribunali per i minorenni inciderebbe profondamente e sostanzialmente sul concetto di “Tutela del minore” e sulla qualità e importanza di tale “interesse”. Presso i Tribunali per i minorenni allo stato vige il rito c.d. camerale, ossia vige il rito della volontaria giurisdizione che ha caratteristiche ben diverse dal rito civile ordinario, applicabile presso i Tribunali Ordinari. Bisogna considerare che quando furono istituiti i Tribunali per i minorenni - ossia nel 1934 con il R.D.L.20 luglio 1934 n. 1404; e poi con il successivo R.D. 30.3.1942 n. 318 e con successive ulteriori modifiche - si avvertiva forte la necessità di offrire un trattamento diverso al minorenne “delinquente”, privilegiando l’aspetto di recupero 234 sociale e riabilitativo del processo penale e della pena. Nello stesso tempo si avvertiva la necessità di prevedere una competenza civile differenziata per le questioni relative all’esercizio della potestà genitoriale; per l’adozione nonché per altre questioni che in forza dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile (R.D. 30 marzo 1942 n. 318 ), vennero attribuite alla competenza del Giudice minorile, con un enumerazione tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica ( attribuzione di cognome - azione per il riconoscimento della paternità sentenza sostitutiva del mancato consenso al riconoscimento ecc...) . Il legislatore dell’epoca si rese conto della necessità di istituire un Tribunale specializzato del quale facessero parte non solamente Giudici Togati ma anche Giudici non togati - un uomo ed una donna - scelti fra i cittadini benemeriti dell’assistenza sociale e fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia che avessero compiuto il trentesimo anno di età. Il Legislatore previde anche la presenza presso Il T.M. di un ufficio di Procura autonomo rispetto a quello Ordinario e di una sezione di Corte di Appello specializzata per i minori, con la medesi- 18-12-2008 16:06 Pagina 235 Riflessioni sulla Riforma del diritto di famiglia e dei Tribunali per i minorenni ma composizione. Quindi, il legislatore attribuì al Tribunale per i minorenni competenza territoriale allargata - per così dire - rispetto ai Tribunali Ordinari, conferendogli competenza a decidere per tutte le questioni insorte nel Distretto della Corte di Appello, ossia in un territorio più ampio rispetto a quello ordinario . Lo stesso art. 38 delle le disposizioni di attuazione al Codice civile del 1942 previde ancora che “In ogni caso il giudice provvede in camera di consiglio sentito il Pubblico Ministero” . Tale norma sancì quindi che il T.M. si avvalesse delle forme del rito c.d. camerale o di volontaria giurisdizione con l’intervento necessario del Pubblico Ministero, come portatore di un interesse pubblico. Tale scelta non fu casuale, atteso che il rito camerale , a differenza di quello ordinario applicabile presso i Tribunali Ordinari, si caratterizzava - e si caratterizza tuttora- dalla mancanza di udienze pubbliche ; da una prevalenza dell’impulso di ufficio; dalla maggiore velocità e sollecitudine; minori vincoli processuali, ampi poteri per il giudice di assumere informazioni ecc,; revocabilità in ogni tempo dei provvedimenti emessi e conseguente mancanza di passaggio in giudicato dei medesimi provvedimenti; La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati mancata possibilità di esecuzione forzata dei provvedimenti ad eccezione dei ricoveri in casa famiglia per i minori maltrattati e/o abusati; ecc… tanto che tali processi possono essere inquadrati nella categoria dei processi c.d. “inquisitori”, laddove l’interesse pubblico coesiste ed a volte sovrasta l’interesse privato, sempre nel rispetto comunque del contradditorio fra le parti. Tali procedimenti hanno sempre avuto la caratteristica di non riguardare questioni patrimoniali, per le quali è sempre stato competente il Giudice civile ordinario, ad eccezione di un solo caso che era quello dell’azione di riconoscimento della paternità, laddove era - ed è anche attualmente - lasciata al Giudice minorile anche la questione relativa alla determinazione dell’assegno di mantenimento da porre a carico del genitore di cui si accerta la paternità. Dal 1934, dunque, al Tribunale per i minorenni è demandata competenza a decidere sulle questioni sopra indicate con le forme del rito camerale o di volontaria giurisdizione. Le ultime riforme legislative, in modo scoordinato e caotico hanno preteso di estendere in qualche misura regole proprie e provvedimenti propri del giudice civile ordinario al Giudice minorile, creando non pochi problemi 235 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 236 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati interpretativi, disparità di trattamento ed incongruenze, al vaglio della Corte Costituzionale, che tuttavia non si è ancora pronunciata in merito. Tutto ciò premesso mi preme qui sottolineare ancora che il vecchio R.D.L. 1934 con le modifiche successive, si inseriva in un contesto sociale dove non era pensabile la disciplina del divorzio; dove la famiglia fondata sul matrimonio era un bene costituzionalmente rilevante e con un chiaro riferimento antropologico, ossia quello che reputava - a mio avviso a ragione - che la persona ha una struttura familiare da difendere e che solo nella famiglia formata da un uomo ed una donna uniti volontariamente da un vincolo stabile nel tempo, un minore trova la sua migliore collocazione e la comunità umana trova una sua stabilità ed un suo ordine sociale, capace di garantire la memoria del passato, la consapevolezza del presente e la possibilità di proiettarsi nel futuro. Il contesto di riferimento era quello chiaro per tutti e condiviso da tutti e le norme sopra richiamate in qualche modo prendevano atto di ciò prevedendo - a ragione - la necessità che il collegio giudicante presso il Tribunale per i minorenni fosse composto anche da esperti di cui uno di sesso maschile ed uno di sesso femminile; prevedevano l’appli236 cabilità del rito camerale nel quale non esistono diritti contrapposti ma interessi che meritano o meno tutela e che si confrontano con un interesse pubblico superiore che era quello della tutela degli interessi del minore, fra i quali quello ancestrale di vivere all’interno della propria famiglia in maniera dignitosa ed adeguata alle sue necessità ed esigenze. È evidente che le modifiche sociali e culturali avvenute nel corso degli anni hanno confuso e disorientato molte delle certezze sulle quali si fondava l’intera legislazione. Oggi diverse sono le istanze che richiedono riconoscimento e tutela: a fronte dei difensori della Famiglia ossia a fronte di coloro che ritengono che la famiglia stabile nel tempo e formata da un uomo ed una donna sia l’unica società idonea a garantire l’ordine sociale ed il benessere psicofisico di un minore - cui io aderisco pienamente - oggi si agitano altre istanze: quelle dei genitori separati che pretendono di dividere a metà il tempo da trascorre con i figli, costringendoli a peregrinare di casa in casa per tutta la settimana; le istanze dei padri separati, stanchi di essere considerati genitori di serie b); le istanze degli omosessuali o dei transessuali, stanchi di sentirsi ripetere di essere “anormali” e desiderosi di vedere riconosciuto giuri- 18-12-2008 16:06 Pagina 237 Riflessioni sulla Riforma del diritto di famiglia e dei Tribunali per i minorenni dicamente il loro legame sessuale ed il loro diritto ad adottare un bambino; ci sono ancora le istanze di coloro che ritengono che una differenza di “genere” non esiste, perché il maschile ed il femminile appartengono ad un retaggio culturale superato ormai dal progresso; le istanze di coloro che esigono il riconoscimento del diritto a fecondare un figlio assolutamente sano e così via di seguito. Argomenti tutti di grande rilevanza etica che coinvolgono la coscienza e che ci interrogano sul ruolo del diritto oggi. Di certo il legislatore non può ignorare il contesto sociale e culturale in cui si muove . Una riforma del diritto di famiglia ed una riforma dei Tribunali per i minorenni non ignora certo e non può ignorare tale contesto sociale e culturale. Credo tuttavia che la virulenza del dibattito in materia possa in qualche modo far dimenticare qual è la posta in gioco. Si corre il rischio, infatti, che “il minore” rimanga schiacciato dagli ingranaggi del dibattito politico e rimanga schiacciato da una riforma che non tenga più conto delle sue esigenze. Si corre il rischio di non apprezzare più l’importanza che riveste il contributo dell’esperienza femminile e maschile in campo educativo. Si corre il rischio che attraver- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati so un rito processuale ordinario, che è tipico delle controversie su diritti in contrapposizione fra loro, il minore diventi esso stesso “parte” del processo, in contrapposizione con le altre parti ossia i suoi genitori e nello stesso tempo diventi “Oggetto” di rivendicazioni e di diritti in contrapposizione. Nel rito ordinario ogni parte ha necessità di un avvocato, perché non si ha facoltà di stare in giudizio personalmente, quindi ogni genitore deve aver un difensore ed il minore deve avere un curatore che lo rappresenti ed un difensore che possa stare in giudizio: quindi per ogni processo deve essere garantita la presenza di almeno tre difensori (se il curatore nominato al minore è anche un difensore, infatti, si risparmierà un legale) con le necessarie conseguenze, peraltro, in tema di patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti. Nel rito ordinario il Giudice è vincolato alle domande di parte; è vincolato alle prove chieste dalle parti ed ogni parte ha una serie infinita di decadenze, scadenze e forme da rispettare; il Giudice non ha alcun potere di iniziativa autonomo ed il Pubblico Ministero non deve necessariamente intervenire. Nel rito ordinario le decisioni hanno la forma di sentenza, che è un provvedimento che definisce 237 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 238 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati il processo; che è suscettibile di passare in giudicato che non è mai revocabile e/o modificabile, se non con le impugnazioni previste dalla legge - appello e ricorso in Cassazione. La scelta di un giudice specializzato che agisca con le forme di un rito del tipo camerale invece, ha permesso finora di concentrare tutte le attenzioni sul minore, che in tal modo non diventa mai “parte” in contrapposizione “con” ma che rimane quale protagonista principale del processo e quale portatore di un interesse che coincide prima di tutto con un interesse pubblico e che è anche un potente fattore di pacificazione sociale (si pensi all’importanza di una cultura della mediazione che presuppone un bene superiore alla posizione del singolo, per il quale ognuno deve essere disposto a rinunciare a qualcosa in favore dell’altro in posizione di reciprocità). L’istituzione di un Tribunale per la Famiglia che accorpi in sé tutte le competenze finora distribuite tra Giudice civile ordinario, giudice minorile e giudice tutelare deve tenere conto di quanto detto sopra, perché altrimenti il rischio è quello di ridurre il minore alla stessa stregua dell’adulto. A mio parere deve, quindi, riconoscersi una rilevanza pubblica all’interesse del minore, che va difeso e custodito con priorità 238 ed al di là di ogni interesse e/o pretesa individuale . Questo significa riconoscere che esiste “Il Minore” come verità e come realtà degna di tutela al di sopra dei diritti e dei desideri del singolo individuo. Credo, pertanto, importante che una riforma del diritto di famiglia e dei Tribunali per i minorenni sia consapevole di quale sia la posta in gioco e prenda decisamente posizione rispetto a ciò che reputa prioritario difendere e tutelare. A mio parere abbandonare il rito camerale; eliminare i giudici onorari; applicare il rito civile ordinario senza distinguere le questioni patrimoniali da quelle relative all’esercizio della potestà genitoriale; non prevedere legislativamente percorsi di sostegno alla genitorialità ; non potenziare e favorire le competenze espresse oggi dai Servizi sociali, dai SERT, dai servizi di N.P.I.; dai consultori familiari; dai Servizi Pedagogici ecc... e dal volontariato sociale, non favorire l’avvio di protocolli di intesa e prassi comuni ma differenziate in ragione delle diverse caratteristiche del territorio - significa acuire un disagio sociale che è sotto gli occhi di tutti. Spero di aver fornito un contributo alla riflessione comune e rimango a disposizione per eventuali ulteriori confronti. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 239 Impaginato 2-2008 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 240 Un nuovo giudice per la persona, la famiglia ed i minori *Consigliere della Corte di Appello di Napoli Lucio Napolitano* Il tema in questione, certamente non nuovo, ha indubbiamente assunto, negli ultimi tempi, aspetti tali da far ritenere non più differibile un serio intervento riformatore. Soprattutto alcune riforme di rilevante impatto sociale, prima ancora che d’impianto normativo, come la L. 8.2.2006 n. 54 in tema di c.d. affidamento condiviso della prole in caso di separazione dei genitori, anche a causa dell’adozione di tecnica legislativa assolutamente lacunosa, hanno posto agli interpreti numerosi problemi, determinando, in alcuni casi, una pressoché totale situazione di denegata giustizia. È il caso, per limitarsi all’esempio più clamoroso, del conflitto negativo di competenza tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario riguardo ai provvedimenti da emanare nell’ambito dei “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”, in ragione della generica norma di rinvio di cui all’art. 4, 2° comma, della citata legge: conflitto che, per circa un anno, sino all’intervento della Suprema Corte (Cass. civ. sez. unite 3 aprile 2007 n. 8362) ha determinato la paralisi nella materia riguardante le disposizioni sull’affidamento della prole e sui provvedimenti di natura economica nel caso di disgregazione della c.d. famiglia di fatto. L’individuazione di un nuovo 240 unico giudice per la persona, la famiglia ed i minori, che postula evidentemente l’accorpamento in capo a detto giudice di competenze sia di natura civile che penale, allo scopo di affrontare in modo più adeguato alla realtà dei tempi ed alla complessità delle relative problematiche gli aspetti relativi in primo luogo alla tutela dei minori e dei soggetti comunque più deboli della realtà familiare, può considerarsi ormai esigenza sufficientemente condivisa tra gli studiosi e gli operatori del settore, inteso in senso lato, della giustizia minorile, tale da comprendere tutte le fattispecie nelle quali l’interesse del minore costituisca oggetto della valutazione giudiziale e misura della giustizia del provvedimento. In realtà, non appena si passi ad individuare le possibili opzioni tecniche per il perseguimento dell’obiettivo, le soluzioni che vengono ad essere prospettate divergono in modo spesso radicale. Oggi è maturata finalmente la convinzione che non possa procedersi sulla strada di un proficuo intervento riformatore se non previa attenta globale valutazione dei provvedimenti che, sul piano ordinamentale, processuale e nel contempo anche sostanziale, un simile intervento comporti. Ciò diversamente da un pur recente passato, in cui, all’insegna di una preoccupante tendenza all’improvvisazione e, addirittura, Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 241 Un nuovo giudice per la persona, la famiglia ed i minori all’ignoranza di talune problematiche determinate da riforme già approvate ma delle quali era stata differita l’entrata in vigore (come quella relativa alla difesa d’ufficio, ex L. n. 149/2001, nei procedimenti de potestate) si prospettavano misure in certo modo dirompenti in assenza di soluzioni meditate (il ricordo, in proposito, non può non andare alla clamorosa bocciatura da parte della Camera dei Deputati, che il 5.11.2003 deliberò di accogliere la pregiudiziale di costituzionalità del ddl 2517/C d’iniziativa governativa presentato dall’allora Ministro della Giustizia). Sul piano ordinamentale sembra preferibile l’opzione dell’istituzione non di sezioni specializzate del Tribunale e della Corte di Appello per la tutela dei diritti e dei minori da creare, sia pur attraverso un aumento di organico del personale di magistratura ed ausiliario, presso le sedi (centrali) dei tribunali esistenti (in tal senso va invece ad esempio il primo disegno di legge d’iniziativa parlamentare n. 393/C riproposto nella presente legislatura appena iniziata), ma quella di addivenire all’istituzione del Tribunale per la persona, la famiglia ed i minori che passi attraverso una necessaria rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, diverse tanto da quelle distrettuali, sulle quali è in linea di massima oggi organizzato il riparto della competenza per territorio dei Tribunali per i Minorenni, tanto da quelle circondariali degli odierni tribunali ordinari. Evidentemente siffatta esigenza può essere assicurata unicamente attraverso una seria rilevazione dei flussi dei procedimenti che porti, previa determinazione dei carichi di lavoro compatibili, alla configurazione di entità sufficientemente presenti sul territorio, snelle e quindi più agevolmente dirette dai capi degli uffici ma al tempo stesso dotate di quelle risorse umane e materiali necessarie al perseguimento dello scopo di una giustizia per quanto possibile celere, ma al tempo stesso attenta alle garanzie formali. Non s’ignora che ogni discorso volto alla riforma della circoscrizioni territoriali si è sempre storicamente scontrato, nell’Italia dei Campanili, con forti resistenze conservatrici a livello politico ed amministrativo. Bisogna comunque confidare che non si perda, in questo senso, un’importante e forse decisiva opportunità di avvicinare la nostra giustizia a standard europei di efficienza. È evidente, a tal fine, che le misure ordinamentali debbano essere accompagnate dalle imprescindibili misure organizzative, in primo luogo in tema di aumento dell’organico del personale di magistratura ed ausiliario. 241 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 242 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Quanto alle competenze del nuovo Tribunale per la famiglia e per i minori, presso cui dovrebbe essere costituito un autonomo ufficio di Procura, fermando l’attenzione in questa sede solo a quelle civili, esse dovrebbero includere i procedimenti relativi alle materie indicate nei titoli VI, VII, VIII, IX, IX – bis, X. XI, XII, XIII e XIV del primo libro del codice civile, i procedimenti ex L. n. 898/1970 e successive modifiche, quelli ex L. n. 183/1984 e successive modificazioni, accorpando quindi in unico ufficio le competenze oggi ripartite tra tribunale per i minorenni, tribunale ordinario e giudice tutelare, ivi comprese quelle previste da altre leggi speciali. Il giudice tutelare sarebbe quindi aggregato al Tribunale per la famiglia, potendo riservarsi ai criteri tabellari la valutazione circa l’opportunità o meno di un’assegnazione esclusiva dello stesso giudice al solo ufficio tutelare o anche all’attribuzione di una quota di contenzioso. In ordine alla competenza per territorio, in linea con le più recenti tendenze, essa potrebbe essere individuata nel giudice del luogo ove abitualmente dimora la famiglia al momento della proposizione della domanda (luogo dove è la casa familiare, anche se non coincidente con quella emergente dalle risultanze anagrafiche) solo in via sussidiaria potendo farsi ricorso al 242 foro del convenuto o, in caso d’irreperibilità, a quello dell’attore. Il criterio del luogo ove è sita la casa familiare postula che al momento della proposizione della domanda vi sia ancora la dimora familiare (va in proposito ricordata la recentissima sentenza della Corte Costituzionale 23 maggio 2008 n. 170 che, riguardo ai procedimenti per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 1° comma della L. 1.12.1970 n. 898 nel testo da ultimo sostituito dall’art. 2 comma 3 bis del D.L. n. 35/2005 convertito, con modificazioni, nella L. n. 80/2005, ripristinando, attraverso l’eliminazione dal testo normativo della frase “dell’ultima residenza comune dei coniugi, ovvero in mancanza” il criterio del luogo il coniuge convenuto ha residenza o domicilio con riferimento a fattispecie in cui, a distanza di molti anni dalla separazione, non vi era più alcun criterio di collegamento di ciascuna delle parti con il luogo dell’ultima residenza comune. Sotto il profilo processuale deve essere assicurata, a fronte del rispetto delle esigenze di celerità del procedimento avuto riguardo anche alla natura peculiare degli interessi in gioco, la salvaguardia del fondamentale principio del contraddittorio come sancito dagli art. 24 e 111 della Costituzione. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 243 Un nuovo giudice per la persona, la famiglia ed i minori Il nodo del mancato adeguamento del rito camerale, procedimento attraverso il quale oggi il Tribunale per i Minorenni adotta i provvedimenti di propria competenza (ex art. 38 3° comma disp. att. c.c.). dal momento in cui è stato adoperato anche in tema di giurisdizione contenziosa su diritti, ai principi fondamentali in tema di contraddittorio e diritto alla prova, lascia presumere che possa essere più facilmente percorsa la via, prospettata già in via d’interpretazione dal Tribunale per i Minorenni di Milano nel noto decreto del 12 maggio 2006 (poi sconfessato dalla Suprema Corte) dell’adozione di un rito uniforme modellato sull’attuale procedura dei procedimenti di separazione e divorzio dinanzi al Tribunale ordinario, con una fase presidenziale caratterizzata dall’esperimento del tentativo di conciliazione, all’esito della quale provvedersi all’emanazione dei provvedimenti urgenti nell’interesse delle parti e dei minori e da una fase di merito a cognizione piena. Potrebbe eliminarsi quella che appare oggi come una superfetazione (il reclamo dei provvedimenti presidenziali quale oggi previsto dall’ultimo comma dell’art. 708 c.p.c.) in considerazione della possibilità di revoca o modifica degli stessi in ogni momento da parte dell’istruttore, ma prevedersi di contro la reclamabilità dei prov- vedimenti di quest’ultimo al tribunale in composizione collegiale ex art. 669 terdecies c.p.c., senza la partecipazione al collegio dell’estensore del provvedimento reclamato. Nel caso in cui la controversia non veda coinvolti minori, potrebbe ipotizzarsi la devoluzione della decisione al tribunale in composizione monocratica (sia pure con l’intervento obbligatorio del P.M. nelle controversie riguardanti lo stato e la capacità delle persone, come ad esempio nelle cause di separazione o divorzio di coniugi senza figli o con prole maggiorenne), che potrebbe quindi adottare il modello decisorio di cui all’art. 281 sexies c.p.c. In ogni altro caso in cui invece occorra valutare l’interesse di minori la decisione dovrebbe essere attribuita al tribunale in composizione collegiale, la quale dovrebbe integrare una prevalente componente togata (due giudici) con un terzo componente non togato dotato di particolare esperienza in quei saperi medici, psicologici e sociologici che consentano di compiere una valutazione accurata e completa della situazione del minore. In ogni caso tali decisioni sarebbero soggette ad appello dinanzi alla sezione specializzata di Corte di Appello per la persona, famiglia e minori, sempre in composizione collegiale, con sola 243 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 244 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati componente togata avverso le decisioni monocratiche o con il terzo componente esperto negli altri casi. Il c.d. giudice - esperto potrebbe in primo luogo contribuire a rendere sempre effettivo l’ascolto del minore capace di discernimento, se del caso affiancando il Presidente sin dal momento dell’adozione dei provvedimenti urgenti o l’istruttore nella successiva fase istruttoria. L’attuazione dei provvedimenti provvisori o l’applicazione di misure di coercizione indiretta dovrebbe essere affidata al giudice del procedimento in corso, mentre l’esecuzione delle decisioni idonee ad acquisire tendenziale definitività o l’applicazione di sanzioni per la loro violazione potrebbe essere affidata al giudice tutelare, ove non sia richiesta la modifica del provvedimento. Certamente sul piano processuale la riforma non potrà più obliterare la definizione dell’ambito del ruolo dell’avvocato del minore. L’impatto del patrocinio obbligatorio nelle procedure relative all’adottabilità dei minori e in quelle de potestate, sopraggiunto inaspettato nel luglio 2007 dopo proroghe dell’entrata in vigore delle disposizioni processuali della L. n. 149/2001 protrattesi per oltre una legislatura, senza l’adozione di una specifica normativa sulla 244 difesa d’ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato, con le forti incertezze conseguite sulle prassi adottate presso i diversi Tribunali per i Minorenni, evidenzia come il problema necessiti di soluzioni attente e meditate. Chi scrive ritiene, d’accordo con altre opinioni pure recentemente espresse, che sia da evitare una predeterminata istituzionalizzazione del conflitto tra minore ed ambiente familiare di appartenenza, genitori in primo luogo, dovendo tendere le soluzioni in primo luogo verso l’attenuazione dei conflitti, ove possibile attraverso la mediazione delle relazioni familiari e quindi, verso l’applicazione di un c.d. “diritto mite”. Ciò impone almeno un cenno alla problematica della mediazione familiare che, timidamente, ha trovato ingresso, in maniera molto riduttiva, nell’art. 155 sexies 2° comma c.c. come inserito dall’art. 1 della L. n. 54/2006, come una sorta di parentesi nell’ambito di un procedimento di separazione o divorzio. In realtà storicamente l’ambito proprio della mediazione nasce in funzione preventiva e alternativa al processo. Certamente non può risolversi in pochi spunti il controverso problema sulla volontarietà (ribadita anche dalle raccomandazioni europee) o meno della mediazione, volontarietà infine ribadita dal Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 245 Un nuovo giudice per la persona, la famiglia ed i minori testo approvato dall’art. 155 sexies c.c. con abbandono quindi della previsione dell’obbligo, previsto dai cosiddetti progetti di legge Paniz 2 (aprile 2003) e Paniz 3 (aprile 2004) di rivolgersi, prima di adire il giudice, ad un centro di mediazione. Sembra però certamente opportuno che il previo ricorso alla mediazione, se non reso obbligatorio in funzione deflativa del contenzioso, sia quanto meno incrementato attraverso misure oggettive quali, in primo luogo, una capillare informazione dell’esistenza dei centri pubblici di mediazione, un rafforzamento delle loro potenzialità attraverso l’incremento della spesa sociale e l’individuazione di meccanismi premiali per chi si rivolga previamente alla mediazione (ad esempio corsie privilegiate per la definizione dei procedimenti sulla base degli accordi raggiunti in sede di mediazione c.d. globale). Infine deve sottolinearsi l’importanza che contestualmente si approvino norme di carattere sostanziale destinate ad avere incidenza significativa nella semplificazione delle procedure. Può essere richiamato, in proposito, come esempio di normativa da riprendere nella legislatura in corso, il testo base sul c.d. “divorzio veloce” approvato nella scorsa legislatura il 19 dicembre in Commissione Giustizia del Sena- to, comprendente, oltre all’abbreviazione ad un anno dalla comparizione dei coniugi all’udienza presidenziale di separazione per la proposizione della domanda di divorzio, anche altre importanti disposizioni, tra le quali l’abrogazione dell’art. 151 2° comma c.c. in tema di addebito della separazione e delle conseguenti disposizioni in tema di mantenimento del coniuge e di diritti successori del coniuge separato e la decorrenza automatica degli effetti dello scioglimento della comunione dal momento della proposizione della domanda di separazione o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. In tema di protezione dell’incapace, dovrebbe infine portarsi a compimento la definitiva abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione secondo quanto auspicato e prospettato da lavori condivisi da esperti ed operatori di diversa formazione. I giudici sono pronti a fare la loro parte nel quadro di un impegno costante alla formazione, all’aggiornamento ed alla dedizione ad un servizio di vitale importanza per la società. L’auspicio è che anche le scelte politiche s’indirizzino nel solco di riforme meditate ed effettivamente attente ai bisogni della famiglia. 245 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 246 Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile *Giudici del Tribunale di Palermo Michele Ruvolo* e Luigi Petrucci* Lo scopo di questo articolo è quello di individuare delle misure utili per ridurre in modo significativo i tempi del processo civile, che sono evidentemente spropositati ed impediscono al cittadino di avere giustizia, a prescindere dalla equità o meno della decisione finale. Uno dei presupposti di questo contributo è, anzitutto, un atteggiamento propositivo nei confronti di chi scrive le regole e di chi ha il compito di organizzare i servizi a sostegno della decisioni giudiziarie. Si è poi anche tenuto conto della necessità che tutti gli attori del processo civile siano adeguatamente coinvolti nella riforma, perché la diminuzione dei tempi del processo passa attraverso il cambiamento del modo di pensare il lavoro dei giudici, degli avvocati e del personale ausiliario. Il presente lavoro si fonda, infine, sulla consapevolezza che occorre agire su più fronti – e non solo su quello dei riti – per determinare una reale e sensibile diminuzione del tempo per giungere ad una decisione “utile” delle controversie di natura civile. Le proposte sono state articolate su quattro livelli, a seconda del tipo di intervento normativo che si richiede. Il primo livello comprende l’unificazione delle giurisdizioni, alla quale dovrebbe essere 246 logicamente accompagnata una divisione del lavoro per macrospecializzazioni, peraltro già in parte esistenti nella realtà giudiziaria. Nel secondo livello sono riportate una serie di proposte di distribuzione dell’attuale carico lavoro del giudice ordinario, quasi integralmente già oggetto del dibattito in corso da anni sul tema ed in parte già recepite dall’attuale disegno riformatore, al quale si aggiunge il necessario raccordo che va fatto fra la “capacità produttiva” dei magistrati e del personale ausiliario e la “capacità produttiva” degli avvocati (come ha sottolineato la Banca d’Italia nel suo rapporto sulla situazione produttiva dell’Italia del 2007). Nel terzo livello sono accorpate alcune misure sul rito, che nel solco delle parziali riforme già attuate puntano a ridurre ulteriormente i tempi “morti” del processo ed a trovare un ragionevole sistema di stabilizzazione delle decisioni “interinali”, che è l’unico strumento in grado di abbreviare realmente i tempi del processo secondo l’osservazione del più qualificato osservatorio europeo (il CEPEJ). Nel quarto livello viene focalizzata l’attenzione sulle misure organizzative che possono sviluppare atteggiamenti quotidiani degli attori del processo più fun- 18-12-2008 16:06 Pagina 247 Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile zionali alla rapida conduzione del procedimento verso una decisione “utile” (l’attenzione è puntata sui magistrati, ma è ovvio che analoghe iniziative dovrebbero essere sviluppate dagli avvocati e dagli ausiliari). È importante che tutti siano consapevoli che il processo civile è sempre il luogo in cui non solo si vivono i conflitti individuali, ma si esprimono, con la forza dell’attuazione della decisione giudiziaria, anche i valori della nostra società. Si tratta, pertanto, di uno strumento delicatissimo per la qualità della convivenza civile e fondamentale soprattutto per chi non ha la forza di imporre il rispetto dei propri diritti e, dunque, soprattutto dei soggetti più deboli (i minori, gli incapaci, i lavoratori, i consumatori, il cittadino di fronte all’Amministrazione, i senza casa, gli stranieri, i clienti di banche ed assicurazioni, le persone offese nel bene della salute e così via elencando una serie di interessi che sono rappresentati quotidianamente e con più frequenza nelle cause civili). Questa è la stella polare che deve guidare tutti coloro che oggi stanno ridisegnando il ruolo del giudice civile e che, proprio per questo motivo, non può essere né un funzionario, assorbito solo dalle logiche del sistema a cui appartiene, né un cavaliere La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati solitario, completamente indifferente al sistema di cui fa oggettivamente parte. I quattro livelli del processo veloce 1. architettura costituzionale dell’equilibrio fra poteri dello Stato e disegno delle giurisdizioni (principi); 2. legislazione sull’organizzazione giudiziaria (regole 1); 3. legislazione sul modello processuale (regole 2); 4. gestione efficace del processo (enforcement) Il primo livello del processo veloce: i principi a. unificazione delle giurisdizioni (quindi fine delle questioni sulla giurisdizione); b. creazione di sezioni specializzate, quali quella della famiglia e della persone (quindi fine del problema Trib.Ord./Trib. Min./Giud.Tut.), quella delle cause in cui è parte una PA, quella dell’impresa e del lavoro, quella della proprietà immobiliare, quella dei rapporti negoziali ordinari. La maggiore specializzazione del giudice comporta, evidentemente, una più frequente trattazione di cause seriali, con un fisiologico aumento della produttività. È chiaro che una specializzazione delle sezioni potrebbe attuarsi solo nei Tribunali di una certa dimensione e 247 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 248 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati funzionerebbe in tutto il territorio nazionale se operasse in sinergia con una revisione della geografia giudiziaria (v. infra); c. coerente previsione di un Ufficio dell’Avvocato Distrettuale che riunisca Avvocatura Distrettuale, Procura Ordinaria e Procura della Corte dei Conti Il secondo livello del processo veloce: le regole sull’organizzazione giudiziaria a. abolizione delle sezioni distaccate e dei Tribunali non sede di provincia (quindi riduzione delle questioni di competenza per territorio, miglior utilizzo dei magistrati e del personale di Cancelleria ed ottenimento di forme di economie di scala) – [cfr. art. 74 comma 3 dl 112/08 conv. l. 133/08 sulla soppressione degli uffici amministrativi]. Si evidenzia che nelle conclusioni ultime dell’ANM era prevista la: riduzione degli uffici del Giudice di pace, l’accorpamento dei piccoli Tribunali e l’istituzione di Procure infraprovinciali, secondo le linee di un progetto già elaborato dall’ANM; b. determinazione della competenza per valore dei giudici di pace con norma di legge (per rispettare riserva di legge su giudice naturale) che la affidi ad un decreto ministeriale (da emanarsi all’inizio di ogni revisione tabel248 le, e quindi ogni quattro anni) sulla base di parametri da indicare (es. indice ISTAT FOI o altro indice analogo) ed a partire (aumentando quindi la previsione di cui al ddl governativo attuale) da 10.000,00 euro (per cause ordinarie) e 30.000,00 euro (per sinistri stradali), con aumento a 2.000,00 euro del limite per l’inappellabilità; c. riordino della magistratura onoraria in modo conforme all’assetto costituzionale. Si osserva che nelle conclusioni ultime ANM si parla soltanto di una limitata redistribuzione delle competenze dal giudice professionale al giudice di pace; d. sostituzione (integrale o parziale) delle attuali Corti di Appello con un giudice collegiale di primo grado (modello Riesame, più che reclamo) e ciò nell’ottica di un equilibrato decentramento e rapido svolgimento delle cause di appello e di una nuova impostazione dei Tribunali; e. estensione dell’ambito di non appellabilità delle sentenze di primo grado e ciò sia per valore che per materia (es. materia condominiale, regolamento di confini o opposizioni a ordinanza ingiunzione di valore inferiore ad euro 10.000,00. A tale ultimo proposito è appena il caso di rilevare che non si sentiva affatto l’esigenza, in un sistema giudi- 18-12-2008 16:06 Pagina 249 Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile ziario già in forte crisi, di ingolfare le aule dei giudici di appello di cause per “multe stradali” di valore molto basso); f. introduzione del giudice monocratico anche per talune cause di appello; g. previsione di una struttura di filtro in appello ed in Cassazione [sul punto si noti, comunque, che il ddl attuale approvato alla Camera non prevede più l’appellabilità di tutti i provvedimenti di primo grado; molti di più saranno, poi, stando al testo del ddl in questione, i ricorsi in Cassazione non ammissibili]; h. eliminazione degli affari di volontaria giurisdizione non contenziosi, affari da delegare ad altre categorie professionali o uffici amministrativi (autorizzazioni, visti, etc.); i. riduzione dei compiti che sono propri del giudice, garantendo l’assistenza in udienza e l’ordine dei fascicoli previsto dal codice e prevedendo la liquidazione dei compensi degli ausiliari come compito dei funzionari amministrativi; j. necessaria riorganizzazione del processo, da attuare mediante l’istituzione del cd. ufficio per il processo o dell’ufficio del giudice e la riqualificazione del personale amministrativo. È prioritario sviluppare l’applicazione degli strumenti informatici in tutte le fasi processuali, a comin- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ciare dalla introduzione della posta elettronica certificata. Solo in questo contesto sarà possibile l’adozione di misure organizzative idonee a garantire che ogni magistrato possa gestire, nell’ambito della sua responsabilità, un carico sostenibile di lavoro (v. conclusioni ultime ANM); k. copertura delle vacanze amministrative con personale degli enti pubblici da sopprimere; l. introduzione di un numero programmato massimo di avvocati; m. individuazione in anticipo dei costi del processo ridisegnando le tariffe professionali in modo che siano parametrate più al valore ed alla complessità della causa che all’attività formalmente espletata davanti al giudice, con la conseguenza che verrebbe meno ogni interesse alla dilatazione dei tempi processuali. Anzi, l’avvocato avrebbe tutto l’interesse ad una rapida soluzione della controversia al fine di non sprecare attività professionale; n. incentivazione delle sedi conciliative e degli strumenti di composizione/mediazione dei conflitti (conclusioni ultime ANM). Occorre che si faccia ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie civili, con l’intervento di organi di conciliazione prima dell’in249 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 250 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati staurazione del giudizio Interessanti sono state, sul punto, alcune iniziative in tema di conciliazione (il progetto ‘Conciliamo’ di Milano e la preparazione di una proposta di legge per istituire camere di conciliazione in ogni tribunale, su cui si sollecita il parere di avvocati e magistrati); o. valorizzazione della capacità degli avvocati di far trovare ai loro clienti della soluzioni conciliative, totali o parziali, della controversia. I compensi professionali per l’attività di conciliazione giudiziale ed extragiudiziale sono, invece, di gran lunga inferiori a quelli per l’attività giudiziale contenziosa. Questo punto andrebbe rivisto. Si potrebbero inoltre prevedere delle agevolazioni fiscali per tali compensi per l’attività extragiudiziale e meccanismi di sgravio fiscale per le parti (es. possibilità di detrarre i compensi in questione), considerato il vantaggio complessivo per l’Erario derivante dalla minor mole di processi da celebrare; p. adozione, all’interno del processo, di strumenti volti a contrastare l’uso dilatorio e gli abusi del processo (conclusioni ultime ANM). La previsione di nuove forme conciliatorie (prima o durante il processo) andrebbe, ad esempio, accompagnata da meccanismi che le rendano effettive, quali possono essere i prov250 vedimenti in materia di spese di lite in caso di mancato accoglimento di proposte transattive qualora, all’esito del giudizio, la parte ottenga il riconoscimento del diritto nella stessa misura (o in misura minore) di quella che avrebbe ottenuto in sede conciliativa (così il ddl Mastella ed il ddl attuale). Va disincentivato, attraverso delle sanzioni pecuniarie, il vero e proprio abuso del diritto alla tutela giurisdizionale, che si manifesta nella presentazione di domande strumentali, palesemente infondate e dilatorie, delle quali si ravvisano molteplici esempi nell’esperienza quotidiana del giudice civile. Il terzo livello del processo veloce: le regole del modello processuale a. introduzione del sistema della decisione provvisoriamente esecutiva allo stato degli atti (salvo cause di stato). Sempre di più si sente l’esigenza di una stabilizzazione dei provvedimenti provvisori. Questa è la principale soluzione secondo il CEPEJ. Unitamente al principio di non contestazione, aiuta a precisare i temi della causa da subito e concentrare l’istruttoria sui punti realmente controversi. Si tratta, però, di una soluzione che non puo’ essere realizzata allo stato, perchè l’arretrato impedirebbe di studiare sin da subito i fascicoli. 18-12-2008 16:06 Pagina 251 Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile puo’ andare bene se si mettono le premesse per cominciare daccapo. Culturalmente è una svolta soprattutto per gli avvocati, che dovrebbero “spalmare” il loro lavoro da qualche anno a qualche mese ed anche per loro c’è il problema dell’arretrato. Peraltro, si noti che il principio della decisione allo stato degli atti potrebbe far ottenere, insieme ad un sistema di appello configurato sulla falsariga del riesame, decisioni autorevoli da subito Si potrebbe, poi, anche avere una maggiore uniformità di giudizio; b. riduzione dei riti (massimo tre) [intanto il ddl ne introduce uno nuovo: procedimento sommario di cognizione]. La normativa processuale deve essere elastica, capace di adeguarsi agli specifici bisogni di ciascuna controversia, ma è certamente possibile individuare pochi modelli di riferimento, a seconda della celerità della decisione e dell’importanza degli interessi coinvolti (la recente modifica del rito ordinario e la concentrazione delle attività processuali da poco introdotta rende, comunque, sempre meno necessaria la previsione di riti ad hoc). Si potrebbero così eliminare inutili e pericolosi intrecci tra questioni di rito e riparto all’interno del medesimo ufficio, che ostacolano lo spedito svolgimento del processo, agevolano la parte più abile nell’ap- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati plicare le disposizioni più complicate e finiscono con il creare controversia proprio sulle regole processuali, dando pure luogo in qualche caso a decisioni sfavorevoli per mancato rispetto di taluna delle nuove (ed ancora poco note e chiare) norme processuali; c. rivitalizzazione del processo del lavoro e semplificazione/ riduzione degli altri riti processuali; modulazione del rito ordinario a seconda della complessità/semplicità della controversia (conclusioni ultime ANM) [il ddl attuale prevede, in un’ottica di semplificazione e di diversificazione della procedura a discrezione del giudice, la testimonianza scritta, che dovrebbe però essere accompagnata da una videoregistrazione, e la possibilità di non concedere i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.]; d. riduzione dei tempi di prescrizione dei diritti; e. introduzione del principio della non contestazione [il ddl attuale prevede solo che il giudice può, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione non soltanto le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, ma anche “i fatti ammessi o non contestati”. Tuttavia, questo era già sostanzialmente pacifico. Andrebbe chiarito se costituisce (come sarebbe preferibile ritenere) non contestazione anche il silenzio o la 251 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 252 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati contestazione generica]; f. introduzione dell’inversione dell’onere della prova per le cause introdotte dopo la metà del tempo per la prescrizione (quale possibile alternativa alla riduzione sic et simpliciter dei tempi di prescrizione e, comunque, come temperamento del principio di non contestazione da non applicarsi in cause “prescritte”)1; g. modifica dell’art. 132 c.p.c. relativo al contenuto della sentenza, eliminando l’esposizione dello svolgimento del processo, rendendola facoltativa per i soli casi in cui la stessa è richiesta dalla complessità delle questioni da decidere [così ddl Mastella e ddl attuale]; h. riformulazione dell’art. 281 sexies c.p.c. prevedendo la motivazione per relationem con espresso riferimento anche agli atti di causa, compresi quelli delle parti [il ddl attuale consente solo in caso di domanda manifestamente fondate o non fondate di rifarsi ad un precedente di una corte superiore]; i. esclusione dell’obbligo di motivazione sulle questioni preliminari se la domanda di merito può essere facilmente valutata come infondata nel merito; j. introduzione dellla forma decisoria dell’art. 281 sexies c.p.c. anche in fase di appello; k. incentivazione (prevedendo magari dei meccanismi obbligato252 ri) delle comunicazioni via fax e via mail prendendo atto che anche gli avvocati si devono adeguare al processo telematico ed al processo veloce ed incentivando quindi gli studi associati e la diffusione dei requisiti minimi per l’attività (fax, posta certificata, numero di avvocati per fare tot udienze contemporaneamente, etc.); l. controllo ad opera del personale di cancelleria del deposito delle relazioni del ctu prima dell’udienza fissata per l’esame ed ulteriore (rispetto alla previsione attuale contenuta nel T.U. sulle spese di giustizia) riduzione (fino alla metà dei minimi) degli onorari dei consulenti d’ufficio che depositano in ritardo senza giustificato motivo; m. previsione della cancellazione della causa dal ruolo quando entrambe le parti non compaiono ad un’udienza – eliminando il rinvio ad altra udienza previsto dagli artt. 181 e 309 c.p.c. [ancora contemplato dalla recente modifica apportata dalla legge 133/08, di conversione di un precedente decreto legge, nonostante sia stata introdotta l’estinzione, in aggiunta alla cancellazione, per le cause introdotte a partire dal luglio 2008] – e drastica riduzione del termine per la riassunzione della causa, limitandolo, ad esempio, a tre mesi dalla comunicazione della cancellazione alle parti [ddl attuale]; 18-12-2008 16:06 Pagina 253 Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile n. riduzione di tempi di riassunzione del giudizio in caso di interruzione [ddl attuale]; o. abolizione del termine lungo di impugnazione (ridotto solo a sei mesi dal ddl attuale) e decorrenza dei termini dell’appello (da ridurre a 60 giorni) dalla comunicazione del deposito della sentenza da parte della Cancelleria; [così in parte ddl attuale, che però si limita ad affidare alla notifica telematica della sentenza ad opera della parte il termine per l’impugnazione ed dimezza tutti i tempi per riassunzione e impugnazioni] p. riduzione dei motivi di impugnazione in appello (o giudice dell’impugnazione) e Cassazione; q. revisione del sistema delle impugnazioni ed in particolare del processo di appello [Conclusioni ultime ANM]; r. garanzia della fase esecutiva, assicurandone la continuità con quella di cognizione (estendere il meccanismo di cui all’art. 669 duodecies c.p.c. al processo ordinario ove possibile) [buona l’astreintes generalizzata per l’attuazione degli obblighi di fare del ddl attuale]; s. previsione di un meccanismo di adeguamento per tutte le previsioni di sanzioni o di limiti in valuta (è stata aggiornata la sanzione per i testimoni ingiustificatamente assenti, ma vanno La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati anche costantemente tenute aggiornate, magari con il medesimo provvedimento che aggiorna la competenza per valore del Giudice di pace, la sanzione per il terzo che non ottempera all’ordine di esibizione, la multa nei regolamenti condominiali, il limite di ammissibilità della prova per testi, il limite delle cause decise secondo equità, il limite per le sentenze non appellabili, etc.). Alcune di queste sanzioni possono, se effettive e di importo congruo, non dilatare i tempi processuali; t. la garanzia della prima notifica alle persone che non hanno fissa dimora. Le nuove regole sul processo veloce dovrebbero essere accompagnate da una serie di provvedimenti relativi alla gestione dell’arretrato, quali: 1. assegnazione dell’arretrato a chi si impegna a garantire uno standard con incentivi per la produttività (tempo massimo: fine di questa legislatura?); 2. introduzione di meccanismi di “rottamazione” dei processi più antichi (conciliazione incentivata); Il quarto livello del processo veloce: la gestione efficace del processo (enforcement) a. ruolo del sistema Consiglio Superiore/Consigli Giudiziari: 253 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 254 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati tenere conto delle esigenze e delle condizioni di chi sta in prima linea, secondo una catena in cui ogni anello è causa ed effetto dell’altro: condizioni di lavoro, ovvero tabelle e disfunzioni, esigenze di formazione, ovvero la Scuola della Magistratura, crescita professionale del Magistrato ovvero le valutazione periodiche. N.B. Il carico di lavoro sostenibile è un tema culturalmente molto sensibile: si gioca su questo fronte il ruolo del magistrato del terzo millennio come funzionario che esegue direttive ministeriali o della Cassazione ovvero come potere dello Stato diffuso, indipendente e soggetto alla legge (come fare quantità senza andare a discapito della qualità? Come difendere uno status senza assicurare un servizio efficace?) Su questo bisogna ricordare che è proprio il magistrato dotato di autonomia che può rispondere ai bisogni dei cittadini immediatamente e concretamente (v. giurisprudenza creativa sul danno biologico), nonché il fatto che il Legislatore ha sempre lasciato alla discrezionalità del magistrato la soluzione dei casi più spinosi (es. equo indennizzo); b. consolidare le prassi applicative ed interpretative virtuose. Evidenti sono, in proposito, le prospettive che possono aprirsi considerando gli Osservatori un 254 luogo privilegiato per la rilevazione delle prassi: ad esempio, al fine di dare risposte al libro verde sulle esecuzioni o di monitorare la giurisprudenza sull’applicazione del diritto comunitario; c. organizzare nel maggior numero di uffici incontri di formazione comune tra giudici e avvocati in ordine alle riflessioni sulla motivazione ed in particolare al raccordo tra atti difensivi e provvedimenti, coinvolgendo le fondazioni per la formazione forense, i consigli dell’ordine, l’a.n.m., la formazione decentrata del c.s.m., i singoli uffici. Gli incontri potrebbero svolgersi sulla base degli schemi di atti emersi dai lavori assembleari, specie su impulso degli Osservatori di Milano, Verona e Salerno; d. rendere effettivi dei livelli standardizzati minimi e massimi nel lavoro dei magistrati (attraverso un’analisi del carico di lavoro dei singoli uffici che tenga conto dell’aspetto qualitativo e quantitativo del lavoro). Occorre ottenere un carico di lavoro sostenibile per ciascuno dei “mestieri” del giudice civile (della famiglia, del fallimento, delle società, dell’esecuzione, del lavoro, delle locazioni, etc.); e. prevedere che le riunioni mensili di Sezione siano dedicate anche all’esame dei flussi (in entrata ed in uscita) per singolo 18-12-2008 16:06 Pagina 255 Il processo veloce, il processo giusto. La riforma dei tempi della giustizia civile magistrato ed al numero ed allo stato delle cause da definirsi con priorità (con particolare riferimento a quelle ultratriennali); f. prevedere che le riunioni mensili di Sezione siano dedicate anche al confronto con gli avvocati sulla gestione delle udienze e sulle cause seriali (o sui criteri di decisione seriali). Sotto questo profilo si può fare uno sforzo per distinguere l’indipendenza (della decisione) dall’arbitrio (della gestione); g. privilegiare un’organizzazione del lavoro degli uffici e delle politiche di trasferimento interno dei magistrati in modo da rispettare il principio che chi istruisce il procedimento possa anche concluderlo; h. organizzare gli eventi “straordinari” (arretrati, vuoti di organico, sopravvenienze incontrollate, etc.); i. non penalizzare chi non è abbastanza abile nel prevedere i tempi di scrittura della sentenza, ma che rispetta il tempo complessivo di definizione del procedimento; j. utilizzare i finanziamenti pubblici previsti per le best practices; k. individuare in anticipo i tempi del processo in relazione a cause tipo (ovvero in relazione al carico di lavoro medio esigibile); l. ripensare la “cultura” della motivazione: massima concisio- La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ne, sempre comunque nel rispetto dei limiti minimi di contenuto. Es. motivazione per relationem agli atti delle parti (specie se il giudice ha già indicato l’indice dei punti controversi); m. adottare formule per gli atti di parte da rendere utilizzabili anche in motivazione con il rinvio per relationem; n. adottare dei dettagliati regolamenti di procedura sulla falsariga di quelli della CGCE. 255 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 256 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Note 1. Rispetto al tema della non contestazione (che andrebbe comunque legato ad una chiara sanzione in caso di sostanziale infedeltà dell’allegazione, pena la sua disapplicazione nella pratica), che implica un rapporto fra allegazione e prova, è forse utile evidenziare un passaggio logico che riguarda l’estensione del principio di non contestazione e che afferisce all’onere della prova. In altri termini, si è tenuti a contestare un fatto che è comunque onere dell’altra parte provare? La portata del quesito si chiarisce subito pensando all’ipotesi della contumacia e dell’istruttoria che è necessario fare per accogliere la domanda contro il contumace e che “carica” il giudice di nuove responsabilità. È piuttosto frequente, poi, che la causa sia decisa attraverso il ricorso all’onere della prova per l’intrinseca difficoltà di provare il fatto decisivo per la causa. Non bisogna, infine, dimenticare l’importanza della ripartizione degli oneri probatori per stabilire l’alea del giudizio, che indubbiamente incide sulla possibilità di addivenire ad accordi transattivi. Ecco che si può allora cercare di evidenziare la “sensazione” del giudicante (ma l’esperimento va fatto anche mettendosi dal punto di vista dell’avvocato). Si può, infatti, tollerare l’emissione di un decreto ingiuntivo sulla base della sola fattura, mentre non si può tollerare di condannare chi ha dato un pugno ed è rimasto contumace ad un risarcimento del danno senza fare un minimo di istruttoria, sulla base di un mero referto medico. La “sensazione” evidenzia due elementi, più che la prova atipica documentale, presente nei due esempi: la differente struttura del diritto fatto valere (il credito contrattuale deve essere “impedito” da qualche fatto: l’onere è sul debitore; il credito extracontrattuale deve essere provato in tutti i suoi elementi dall’attore) ed il tipo di rimedio che si ha a fronte della decisione di primo grado (pieno e totale con oneri probatori normali in caso di opposizione a decreto ingiuntivo; l’appello con tutte le conseguenze sulla prova nella seconda ipotesi). Se si vuole pensare un processo diverso che possa tagliare i tempi dell’istruttoria (ma non quelli decisione!) e che, soprattutto, anticipi (e di molto!) i tempi della (prima, ovviamente, perché destinata ad essere seguita da un’altra decisione ad istruttoria completa) decisione del giudice, occorre agire anche su questi due elementi (oneri probatori ed impugnazioni). I due esempi più lampanti di questo modulo processuale sono il decreto ingiuntivo e l’udienza presidenziale della separazione e del divorzio, che non a caso sono provvedimenti decisori, potenzialmente 256 definitivi, che vengono emessi sulla base di istruttoria sommaria in meno di un anno (spesso anche meno di sei mesi) dalla presentazione del ricorso (ma anche il possessorio, il cautelare atipico). Quanti di questi provvedimenti vengono modificati dopo il giudizio? Non è, allora, più facile condannare chi ha fatto proseguire il giudizio inutilmente? È possibile pensare che questo modulo processuale possa temperare, attraverso un sapiente uso delle regole di riparto dell’onere della prova, esiti imprevedibili ed ingiusti del meccanismo della non contestazione (es. penso di aver ragione senza fare istruttoria, il giudice mi dà torto perché applica un diverso onere della prova, posso sempre espletare l’istruttoria che non avevo fatto). Con l’attuale processo, che contempla ordinariamente una sola decisione su tutte le questioni, questo non è possibile e, nell’incertezza sugli esiti del principio di non contestazione, rischia di porre nel nulla l’innovazione ovvero di approdare ad esiti ingiusti. La reclamabilità di questi provvedimenti assicurerebbe, poi, in tempi brevi la cristallizzazione di una determinata situazione processuale, che dovrebbe favorire la transazione della causa (l’unica alea resta quella dell’istruttoria, che peraltro sarebbe ridotta a quella costituenda o orale). Il sistema del reclamo collegiale si apprezza, infine, per la possibilità che si formino più rapidamente indirizzi giurisprudenziali locali condivisi (analogamente al meccanismo di interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, preliminare rispetto alla decisione di merito). Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 257 Impaginato 2-2008 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 258 Le difficoltà di accertamento del reato di usura: proposta di modifiche normative *Consigliere della Corte d’Appello di Mialno Rosario Spina* L’usura è un fenomeno sommerso; a tale conclusione si perviene da una lettura dei dati offerti dall’Osservatorio permanente sui fenomeni dell’usura e dell’estorsione presso il Ministro dell’interno A fronte dell’effettiva diffusione di tale reato, infatti, il numero dei procedimenti penali pendenti non corrisponde alla reale portata dello stesso. Al riguardo la legge 7 marzo 1996 n. 108 che ha profondamente modificato la struttura del reato, non sembra aver apportato sostanziali novità in tema di numero di denuncie. Lo stesso Osservatorio nell’anno 1999, monitorando il periodo 1995-1998, scriveva: “Le analisi di carattere economico che, pur con sempre maggior frequenza, vengono condotte sul tema dell’usura convergono nel mettere in evidenza la natura prevalentemente sommersa di questo fenomeno, che lo rende scarsamente trasparente all’osservazione statistica. Le fonti definite ‘dirette’, cioè i dati di polizia e le statistiche giudiziarie penali, forniscono, invero, una rappresentazione parziale dell’usura, essendo indicative solo delle manifestazioni emerse dei processi usurari.” Ragioni di carattere personale e di non giustificabile pudore si oppongono a che l’usurato si 258 rivolga all’autorità Giudiziaria Il rapporto tra usuraio ed usurato – può sembrare singolare - è di reciproca convenienza, configurando per quanto riguarda la posizione dell’usurato, qualcosa di simile alla c.d. “sindrome di Stoccolma”. La spiegazione è da ricercare nelle ragioni che spingono un soggetto verso l’usuraio, quasi sempre determinate dal fatto che egli, per la propria condizione economica ( pensiamo al debitore “protestato” o semplicemente a chi non garanzie da offrire) non ha accesso al credito “legale”. In questa situazione l’usuraio diviene una sorta di ancora di salvezza. Vi sono inoltre ragioni di pudore che si oppongono a che si sveli all’esterno la propria situazione di difficoltà economica. Scriveva sempre l’Osservatorio nel 1999 : “Il fenomeno dell’usura, infatti, è una piaga criminale e sociale che resta spesso impunita, in ragione dl particolar legame psicologico tra usurai e debitori e, soprattutto, della necessità di questi ultimi, in genere piccoli imprenditori e commercianti, di mantenere nascosto il proprio effettivo stato economico”. La conseguenza di tutto ciò è che sino a quando non si verifichino situazioni che rendano intollerabile la prosecuzione del rapporto,- e cioè quando di fatto 18-12-2008 16:06 Pagina 259 Le difficoltà di accertamento del reato di usura: proposta di modifiche normative quest’ultimo si sia deteriorato ed abbia raggiunto una via di non ritorno, - la denuncia non viene presentata. In particolare l’esperienza giudiziaria dimostra come il rapporto usuraio emerga, a seguito di denuncia, nella ricorrenza di alcune condizioni. La prima condizione è costituita dal timore da parte dell’usurato per la propria incolumità fisica o per quella dei propri cari; nella prassi accade, infatti, che qualora il finanziatore non riesca a recuperare il proprio credito passi a vie di fatto particolarmente “convincenti”, quali minacce, violenze, pestaggi; in questo caso la condotta dell’agente, per l’illiceità del profitto che caratterizza la pretesa creditoria, realizza il delitto di estorsione. La seconda condizione è individuata nella situazione economica del denunciante particolarmente critica. In ipotesi come questa vi è tuttavia il rischio di denuncie “strumentali”, presentate cioè al solo fine di paralizzare la procedura stessa; ed infatti la denuncia è quasi sempre accompagnata dalla richiesta di sequestro di titoli in possesso del presunto usuraio e dallo stesso azionati. Ma non vi è dubbio che il carattere sommerso dell’usura risenta anche delle difficoltà di accertamento del reato; l’usurato non rischia un processo “inutile” La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati che potrà risolversi con l’assoluzione dell’autore del reato. In tal senso le difficoltà sopradette influiscano sulla risposta che lo Stato è chiamata a dare. Ed è proprio la particolarità del rapporto usuraio – usurato, infatti, ad influire in modo sostanziale sull’attività investigativa. Sovente, allorché la denuncia viene presentata, il rapporto tra le parti è in atto da tempo, i fatti denunciati sono remoti, e pertanto gli elementi probatori sono difficilmente acquisibili; le difficoltà riguardano in primo luogo la incapacità della persona offesa a ricordare e ricostruire dettagliatamente i termini del rapporto usurario, la carenza di tracce documentali (assegni, cambiali), dei flussi di denaro, molto spesso i ritardi degli istituti di credito a rispondere alle richieste di informazione dei Pubblici Ministeri, la carenza di segnalazioni delle operazioni “sospette”. Se le difficoltà di accertamento sono da porre in relazione al problema relativo alla risposta sanzionatoria adeguata, le stesse spiegano solo in parte il fatto che comunque i casi di usura denunciati siano sicuramente inferiori come numero a quelli effettivi. Infatti, se la ragione principale delle scarse denuncie nella normativa previgente si spiegava con il vuoto normativo in tema di strumenti di soccorso alle vittime 259 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 260 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati del reato, così non può più dirsi con la legge n. 108 del 1996, nella quale l’attenzione verso la persona offesa è massima, avendo il Legislatore previsto una serie di interventi volti a favorire la denuncia da parte delle stessa e a consentire il superamento della crisi economica derivante dal reato. Dal raffronto dei dati offerti dall’Osservatorio permanente sui fenomeni dell’usura e dell’estorsione, emerge in modo evidente come che in alcune aree geografiche il numero delle denuncie per usura sia limitato, al contrario di quelle per estorsione; ciò tuttavia non può portare alla conclusione di una marginalità di tale fenomeno rispetto ad altre forme di criminalità. Il dato da tenere presente, in realtà, è l’impatto violento che caratterizza il reato di estorsione ed il fatto che i valori aggrediti, quali sicurezza ed incolumità, sono difficilmente rinunciabili; l’imprenditore oggetto di estorsione sa che non può salvarsi dalla spirale in cui è entrato se non facendo ricorso all’Autorità Giudiziaria. Inoltre gli atti intimidatori normalmente compiuti (incendi, danneggiamenti di esercizi) hanno una rilevanza esterna che necessariamente rende immediato l’intervento degli inquirenti i quali, contattando la vittima, favoriscono la 260 denuncia. Ciò spiega quindi il numero di denuncie maggiori per estorsione rispetto a quelle per usura. Per favorire la denuncia per usura è necessario quindi superare quelle difficoltà di accertamento del reato. che, rendendo meno efficace la risposta dello Stato, contribuiscono a creare quel clima di diffidenza dell’usurato verso l’Autorità Giudiziaria. È necessario pertanto verificare se alcune modifiche legislative possano rendere più efficace l’attività di contrasto dell’usura.1 Partendo dal presupposto sopra evidenziato delle difficoltà di accertamento del reato, va subito detto che il termine massimo di diciotto mesi per le indagini previsto dal codice di rito (termine di sei mesi di volta in volta prorogabile, previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sino a diciotto mesi), e fissato dall’art. 407 cpp, è sicuramente inadeguato. Pertanto sarebbe auspicabile ricomprendere nel comma 2 della lett.a) n.2 dell’art. 408 cpp, che fissa il termine massimo per le indagini preliminari in due anni per alcuni reati, il reato di usura; con la predetta modifica, sarebbe previsto un termine massimo delle indagini preliminari della durata di due anni per alcune categorie di reati, e precisamente i “delitti 18-12-2008 16:06 Pagina 261 Le difficoltà di accertamento del reato di usura: proposta di modifiche normative consumati o tentati di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, 630 e 644 dello stesso codice penale”. Un’ ulteriore modifica sarebbe auspicabile in tema di modalità di proroga del termine delle indagini preliminari. Il sistema dell’art. 406 cpp prevede come alla scadenza di sei mesi dal momento in cui il nome dell’indagato è stato iscritto nell’apposito registro, il Pubblico Ministero, se non ha concluso l’attività investigativa (e ciò, in questa tipo di reato, stante le difficoltà di accertamento, rappresenta ipotesi tutt’altro che infrequente) debba presentare richiesta di proroga al giudice per le indagini preliminari. Tale richiesta, recita l’art. 406 cpp “... è notificata, a cura del giudice... alla persona sottoposta alle indagini...”. Ora, è evidente che la notifica all’indagato della richiesta di proroga, mettendo lo stesso in grado di conoscere l’esistenza di un procedimento a suo carico per usura, di fatto pregiudichi inevitabilmente il corso e l’esito delle indagini medesime; il presunto usuraio, infatti, nella ipotesi migliore penserà bene di sopprimere le eventuali tracce del reato e, nell’ipotesi peggiore, provvederà a contattare la persona offesa, costringendola a ritrattare. Orbene, com’è noto l’art. 406 co.5 bis cpp prevede che tale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati meccanismo della notifica della richiesta di proroga vada escluso per alcuni reati, rendendo quindi maggiormente agevole l’intervento investigativo e quindi repressivo; posto che, come si è detto, quasi sempre le indagini preliminari per il delitto di usura non si concludono in sei mesi, sarebbe auspicabile che nel co.5 bis dell’art. 406 cpp venisse inserito anche il reato di usura tra quei reati in relazione ai quali non va disposta la notifica all’indagato della predetta richiesta di proroga. A nostro avviso tali modifiche normative porterebbero enormi vantaggi sul piano investigativo, rendendo sicuramente più efficace l’azione di contrasto dell’Autorità Giudiziaria. Note 1. l’argomento è stato sviluppato dallo scrivente nel convegno organizzato dall’Osservatorio permanente dei fenomeni dell’estorsione e dell’usura in Roma il 6.12.2005: Cfr. R.SPINA, Il reato di usura: la legislazione attuale tra repressione e tutela della persona offesa, in Atti del Convegno organizzato dall’Osservatorio permanente dei fenomeni dell’estorsione e dell’usura, Usura ed estorsione: esperienze a confronto e prospettive di riforma, Roma, 6 dicembre 2005, p.23 ss. 261 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati 18-12-2008 16:06 Pagina 262 Sulle scuole di specializzazione per le professioni legali: una proposta di riforma per il loro effettivo rilancio *Magistrato ordinario in tirocinio. Tribunale di Napoli Luigi Levita* “Le Scuole di Specializzazione devono essere rafforzate anche con un’opportuna riforma normativa, in modo da costituire un luogo di preparazione comune alla futura attività professionale di magistrati ed avvocati, che serva a far venir meno le separazioni culturali che sovente sono di ostacolo ad una serena conduzione dei processi, e da garantire un’adeguata formazione teorico-pratica, verificata alla fine del corso con una prova nazionale di idoneità”: con queste parole, lo scorso maggio 2007, il Consiglio Superiore della Magistratura invocava un cambio di rotta nella navigazione, piatta e priva di slancio, delle Scuole per le Professioni Legali, sorte nell’anno accademico 2001/2002 ed attualmente avviate all’inaugurazione dell’ottavo ciclo. Nonostante l’autorevole input dell’organo di autogoverno, la precedente Legislatura si è chiusa senza che un’opera di riforma venisse quantomeno intrapresa, il che trova peraltro una parziale giustificazione nella necessità di avviare una complessiva rivisitazione dei meccanismi di selezione ed accesso, all’interno dei quali la valorizzazione delle Scuole Bassanini costituisce solo un tassello del più generale impianto di collegamento fra l’Università ed il mondo del 262 lavoro e delle professioni. Nondimeno, il sostanziale immobilismo che ha caratterizzato il legislatore di questi ultimi anni sembra protrarsi anche nel corso dell’attuale Legislatura, giacché il Governo in carica ha dimostrato in questa fase del suo cammino di voler porre in primis attenzione ai problemi dell’efficienza della giustizia, senza debitamente soffermarsi sulle annose problematiche dell’accesso alla magistratura ed alle professioni legali. Anzi, perpetuando con il solito decreto legge il rinnovo in carica dei magistrati onorari ed avviandosi a varare la sessione degli esami d’abilitazione forense con l’ormai collaudato sistema delle correzioni decentrate (in attesa di una riscrittura complessiva dell’accesso alla professione che si preannuncia travagliata), l’Esecutivo sembra pericolosamente tralasciare gli spinosi interrogativi che si connettono ad un’Università poco meritocratica, ad una difficile ricerca della professionalità nel mondo dell’avvocatura e ad un sistema oneroso e defatigante di selezione dei nuovi magistrati, duramente messo alla prova dall’abolizione della prova preselettiva e destinato a scontrarsi con gli impietosi numeri degli aspiranti che si stagliano all’orizzonte. Non vi è quindi dubbio che 18-12-2008 16:06 Pagina 263 Sindacato e Associazionismo: una necessità storica e una scommessa per il futuro dell’A.N.M. Considerazioni sparse per un impegno sindacale dell’A.N.M. una seria rimodulazione dell’accesso alle professioni legali debba presupporre una adeguata trasformazione delle SSPL, nella consapevolezza che le poche Scuole di eccellenza funzionanti sul territorio nazionale non possono guadagnarsi l’apprezzamento degli studenti esclusivamente per la qualità dei contenuti e la bontà dell’organizzazione didattica, ma necessitano di un chiaro riconoscimento normativo che contribuisca ad elevare l’appeal dell’istituzione e, nel contempo, l’appetibilità di tutte le 39 Scuole operanti in Italia (una delle quali in via telematica). Chi scrive, del resto, ha ormai maturato la profonda convinzione che l’obiettivo – patrocinato dalla legge Bassanini – di un sistema di formazione comune degli aspiranti magistrati, avvocati o notai, sia allo stato utopico: la crescente specializzazione della società e degli operatori, il progresso tecnologico e la correlata settorializzazione degli studi non potevano non riverberare i loro effetti anche nel ramo umanistico e nel settore giuridico. Pertanto, continuare a sostenere che la SSPL, così com’è, possa adempiere alla formazione comune di professionisti così diversi è opinione fallace, per non dire illusoria, tanto più se messa a raffronto con le linee guida emergenti dall’odierno La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati dibattito in materia di separazione delle carriere dei magistrati e di specializzazione delle attività della classe forense. Una riprova di questa evidenza è peraltro ravvisabile nell’atteggiamento di complessivo disinteresse che il notariato ha da sempre manifestato nei confronti delle Scuole per le Professioni Legali, un disinteresse che il sottoscritto ha avuto modo di appurare nel corso della partecipazione ai lavori della cd. “Commissione Siliquini”, organismo di studio presieduto dal Sottosegretario all’Istruzione che, nel corso della passata Legislatura, ha invano tentato una riforma delle professioni nel contempo ipotizzando una revisione della struttura normativa ed organizzativa delle SSPL. L’impossibilità di coinvolgere il notariato nel rilancio delle Scuole ha peraltro costretto i Direttori delle Scuole italiane, onde adempiere al comando normativo di differenziare al secondo anno gli indirizzi di studio, a concludere apposite convenzioni con i locali Consigli Notarili che assicurano la frequenza degli specializzandi ai corsi ivi organizzati, per non ingolfare la macchina burocratica con la predisposizione di indirizzi frequentati da pochissimi studenti. Quale, allora, la pars costruens del ragionamento? 263 Il dibattito sulle riforme Impaginato 2-2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 264 Il dibattito sulle riforme La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Accertata la refrattarietà del notariato ad instaurare un proficuo dialogo con i Direttori delle SSPL, con il Ministero e con gli altri organi competenti, una proposta di rinnovamento potrebbe compendiarsi nei seguenti punti fondamentali: convertire la SSPL in SSPG, ossia “Scuole di Specializzazione per le Professioni Giudiziarie”, magistratura ed avvocatura, estromettendo il notariato dall’obiettivo formativo; lasciare il primo anno di formazione comune, così come prevede l’attuale legislazione, per poi creare due indirizzi al secondo anno, l’indirizzo giudiziario e l’indirizzo forense; prevedere però che – diversamente dalla disciplina attuale – il diploma conseguito sia differente a seconda dell’indirizzo. In altre parole, solo chi consegue il diploma ad indirizzo giudiziario potrà accedere al concorso per magistrato ordinario; invece, solo chi consegue il diploma ad indirizzo forense potrà accedere all’esame di avvocato, fermo restando il canale “ordinario” dello svolgimento della pratica forense che va fatto salvo (e sempre che il passaggio obbligatorio per le “Scuole forensi”, preconizzato dalle recenti proposte di riforma dell’accesso all’avvocatura, non dovesse concretizzarsi). In questo modo si vincerebbero le censure di disparità di trat264 tamento e si consentirebbe allo specializzando di maturare per tempo la scelta professionale dopo aver già frequentato la Scuola per un anno accademico, edificando altresì un filtro d’ingresso che conferirebbe gestibilità al concorso in magistratura e deflazionerebbe la mole dei dottori in giurisprudenza alla ricerca dell’abilitazione professionale. Il tutto, però, sempre che lo Stato preveda un effettivo ed adeguato meccanismo di incentivi economici per i laureati capaci e meritevoli che intendano frequentare le Scuole, pena la creazione di un inaccettabile meccanismo censitario di selezione. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 265 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 266 Diario semiserio di un uditore con funzioni *Giudice Siracusa. Sede distaccata Augusta Magistratura giovane Stefano Montoneri* Oramai ci sono. Dopo aver chiesto decine di volte ho trovato finalmente il Tribunale. Il mio tribunale di assegnazione. Parcheggio e scendo. L’edificio - certo - si qualifica come tribunale solo per la bandiera italiana, un po’ malconcia, che sventola su un’asta arrugginita. Per il resto sembra abbastanza anonimo ed ammaccato. Quella che è stupenda è la vista del mare, che mi riempie di gioia e mi rinfranca, spingendomi ad entrare. Salgo le scale ripidissime. Noto subito che non ci sono né ascensori, né alcun tipo di sistema di sicurezza. Ma comunque. Arrivato al piano, apro la porta antipanico ed entro. Sono concentrato. Voglio fare una buona impressione sin da subito. “Chi ben comincia, è a metà dell’opera”, ripeto tra me e me. E fare una bella impressione sul personale è importante. Nessuno mi ferma, guarda o rivolge la parola. Saluto due vigilantes seduti ad un tavolo. Ancora non lo so: diventeranno i miei custodi, sempre gentili e disponibili. Entro nella prima stanza che mi assomiglia ad una cancelleria. 266 Busso gentilmente alla porta aperta e nel modo più educato che mi riesce, dico: “buongiorno”. Da dietro un tavolo, una signora, nascosta sotto un muro di carte, neanche mi guarda e, col tono di quella che lo ha ripetuto decine di volte, dice: “che c’è?”. Io cerco di rispondere: “emm... beh... io veramente sarei... ecco ... sono il nuovo giudice assegnato a questo tribunale”. “DOTTOREEEEE”... “mi scusi, non l’avevo riconosciuta”, dice – tutto in una volta – la signora drizzandosi da dietro il tavolo, come se scattasse sull’attenti. “Come potrebbe?”, penso e le dico: “salve”. Per arrivare a questo momento, occorre fare un passo indietro. Ormai è passato il giorno del giudizio, il giorno più lungo: lo sbarco. Quando 360 uditori piovono a Roma e si radunano insieme per l’evento su cui hanno discusso per mesi e mesi. La tensione si palpa ed il clima goliardico degli incontri precedenti è mutato. Tutti sanno che tra poco il destino si compie. È il giorno della scelta. Quando i vincitori dell’ultimo concorso sono chiamati a Roma presso il C.S.M. ad indicare la scelta sulla propria destinazione. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 267 Diario semiserio di un uditore con funzioni La tensione che si percepisce alla griglia di partenza di una finale olimpionica dei 100 metri, è nulla in confronto. La sera prima ci si attarda ed accapiglia con commenti e discussioni sullo stravolgimento della graduatoria tra matrimoni, figli, convivenze, militare, parenti, cugini, bisognosi di assistenza, passaggi dalla trecentesima alla seconda posizione. Finalmente la notte passa e l’indomani ci si trova tutti riuniti in una sala in attesa del proprio turno. Fuori uno stuolo di parenti che aspettano la “destinazione” del proprio caro. I tentativi di infiltrazione sono bloccati dal servizio, questa volta rigidissimo, di controllo del personale del C.S.M., ormai avvezzo ed esperto: nessuna scusa o motivazione viene accolta: neanche malori improvvisi, minacce di aborto, telefonate del Papa, richieste del Presidente della Repubblica. Per mezza giornata, gli uditori sono soli con se stessi e gli altri. Uditore per uditore inizia la processione al podio per la dichiarazione: Tribunale di Roma, Bari, Napoli, Palermo... L’Italia tribunalizia passa tutta: sede per sede. “Lanusei?”. “Dov’è Lanusei?”. Contestualmente io, come gli altri, seguo l’andamento, depennando le sedi e pensando alle opzioni possibili. Arriva il mio turno. Neanche ci credo, è rimasto l’ultimo posto nella sede che desideravo. Passata la scelta del Tribunale, si entra in una fase nuova, ma non meno stressante. L’individuazione concreta delle funzioni che si andranno ad esercitare. Io convinto al 100% di aver scelto il mio tribunale per la disponibilità del “civile”, sul quale mi ero concentrato da anni, mi ritrovo giudice penale, assegnato in distaccata: solo monocratico. Un intero tribunale penale sulle mie spalle. Niente collegio: niente supporto e guida di un Presidente che, quanto meno, nelle prime fasi mi aiuti a limitare i danni che combino. Niente sicurezza e confronto della camera di consiglio. Nella stanza sarò solo. In distaccata non ci sono altri colleghi. Non c’è tempo per la disperazione, la delusione, i ripensamenti: “avrei potuto scegliere lì dove ero primo”, “volevo fare civile”, “ma com’è possibile”, “faccio opposizione”, “non è giusto”, ecc. Investo uno sproposito in libri, riviste ed abbonamenti. 267 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 268 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Passo l’estate a studiare il dibattimento, chiedo consigli a tutti i miei affidatari penali, fino al giorno del mio ingresso in tribunale. Mi accompagnano nella mia stanzetta, dove inizio a dare una occhiata. Apro l’armadio e trovo un metro cubo di carte impolverate e malridotte. “Cosa saranno?”. “Ma non siamo al penale?”. “cosa sono questi fascicoli?”, penso. Chiamo e mi viene risposto: “quella ormai è cosa tua”. “Ops… ok”. Faccio caricare il metro cubo impolverato sulla macchina e porto tutto a casa. Sono i miei compiti per l’estate. Decine di istanze, richieste, liquidazioni di ogni tipo, abbandonate da anni, della cui presenza nel mondo giuridico io non avevo idea. Sono gli interstizi del diritto processuale penale. Le rogne noiose, insomma. Quelle che non danno gloria. Non fanno statistica. Sfortunatamente. Il giorno della mia prima udienza sta per approssimarsi. Passata l’estate a studiare fascicoli, mi arriva una nota del Tribunale: “si comunica che con 268 delibera del ...” “FANTASTICO: LO SCIOPERO DEGLI AVVOCATI”. Le prime due udienze saltano in maniera provvidenziale: “Dio c’è e mi vuole bene”, consentendomi di smistare i fascicoli e vivere il primo giorno con calma. Ma gli scioperi, anche se provvidenziali, non durano in eterno. Arriva così inesorabilmente la mia prima udienza vera. Un numero spropositato di fascicoli sul ruolo monocratico: 42. Ormai ho anche catabolizzato la sensazione di amarezza che mi aveva lasciato lo studio dei fascicoli. Mi chiedo, infatti: “vediamo per che cosa vengono tutti questi procedimenti”. Apro il primo fascicolo e vado all’ultimo verbale di udienza: “si rinvia per la decisione”. “Cavolo”, penso. “questo me lo devo studiare per la decisione”. Apro il secondo e leggo: “si rinvia per la decisione”. “ops .. anche questo”, mi ridico. Il terzo: “per la decisione”. “sicuramente sarà un caso”, penso. “saranno sistemati in ordine; prima quelli per la decisione”. Prendo il quarto: “per la decisione”. Il quinto: “per la decisione”. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 269 Diario semiserio di un uditore con funzioni Il sesto: “per la decisione”. “Ma vah...” penso. “Che coincidenza”. Un dubbio ed un velato timore mi attraversa. Vuoi vedere che son tutti così e soprattutto che saranno tutti così. Conto quasi venti procedimenti per la decisione. Impossibile anche solo pensare di deciderli tutti. Sono quintali di carta: centinaia di pagine da studiare. “Mi sa che questo è un bel pacco”, penso. Non c’è nulla da fare: è inutile anche chiamare amici-colleghi per lamentarsi. L’unica soluzione è non smarrirsi. Ed iniziare: da uno, come sempre. Dovrò studiarli, sistemarli, riorganizzarli, ricollocarli sul ruolo e deciderli quanto più velocemente ed efficacemente possibile. Sono in tribunale. “Dottore, il pubblico ministero è arrivato”, mi dice il cancelliere. “Ci siamo”, penso. “Esco subito”, rispondo. Prendo la toga dall’attaccapanni e la indosso. Sento una strana sensazione. Ho impiegato anni ed un oceano di sacrifici solo per fare questo gesto, che mi accompagnerà per – spero – tutta la vita. È la mia divisa ed il mio orgoglio. “Ce la metterò tutta per non deludere... soprattutto me stesso”: è il mio augurio a me medesimo, prima di uscire. Un popolo di persone, tra avvocati, imputati, testimoni, agenti, curiosi, parenti, ecc. mi aspetta in udienza. Sono tutti incuriositi, dall’arrivo del nuovo giudice e dall’impostazione che darà. Mi avevano detto che occorre avere un po’ di polso e non farsi sfuggire la situazione, se no: “ti salgono di sopra”. Il segreto dell’efficienza è l’organizzazione. Avevo studiato bene i fascicoli, dividendoli tra quelli da rinviare subito per problemi vari, così da liberare le persone interessate e sgomberare un po’ l’udienza, quelli con attività istruttoria e quelli da discutere. Almeno quelli che avrei fatto discutere. Faccio anche rinvii miei di ufficio. Troppi i fascicoli. Il mio primo obiettivo è riorganizzare il ruolo in modo da gestirlo meglio. Tutto sta andando bene. Certo, ancora cose strane non me ne sono accadute; ma la situazione è sotto controllo. Spero di non aver fatto una brutta impressione, soprattutto 269 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 270 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati agli avvocati: loro sono i giudici dei giudici, con loro lavorerò per un bel po’ di tempo. È del tutto inutile sembrare o essere troppo altezzosi, presuntuosi o superbi. La maggior parte degli avvocati ha venti anni di esperienza in più di me. Vorrei che il loro rispetto per me dipendesse da stima e non da timore. Sono le 13.30: è dalle 9 che sono seduto senza mai fermarmi. Ancora ce n’è per un bel pezzo. Dalla porta vedo uno dei collaboratori del Tribunale che cerca di farmi capire che dovrebbe parlarmi. Gli faccio un cenno per farlo avvicinare. “Vediamo che succede”, penso. Mi si avvicina e con fare guardingo mi dice: “Dottore, il Tribunale chiude!”. “E io che avevo pensato non so a quale tragedia”. Poi pensandoci su, nell’arco di 15 nanosecondi, rielaboro il messaggio appena ricevuto. Non riesco a formulare niente di meglio che: “in che senso, scusi?”. “Sì, dottore, il personale alle 14,00 finisce ed i vigilantes se ne vanno, rimane solo il custode”. Cerco di mostrarmi indifferente o comunque con l’aria di chi è 270 abituato a sentirsi dire che il Tribunale chiude e che sa cosa fare. So che sono in udienza. Allora dico: “aspetti un momento”. Sospendo per un attimo l’udienza. Mi ricordo anche che avevo bisogno di andare in bagno. E così scopro che in effetti nei tribunali piccoli soprattutto in distaccata, non ci sono le forze dell’ordine come presidio: la sicurezza dell’edificio è garantita da vigilantes privati. Solo che loro hanno un ben preciso monte orario. Finisco col chiamare i vigili urbani per garantire la sicurezza dell’edificio: lo stabile infatti è del Comune. Mentre chiamo i carabinieri per l’ordine pubblico in udienza. Un meccanismo di telefonate e persone un po’ perverso che sarò costretto a ripetere. Nel pomeriggio inoltrato, finisco l’udienza. Fatta la camera di consiglio; depositate le decisioni. La giornata giudiziaria è finita. Entrato con la luce del mattino, esco con il buio della sera: “e chi se n’è accorto”. Il custode ed il vigile urbano, i soli rimasti ormai, insieme a me, mi aiutano a posare i 5 faldoni di fascicoli nella macchina. Sono la mia prossima udienza. Tornato a casa, finisce l’effetto Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 271 Diario semiserio di un uditore con funzioni della adrenalina. Crollo fisicamente e perdo conoscenza nel letto. Il giorno dopo, di mattina prestissimo, sono già sul tavolo per studiare i nuovi fascicoli. Non mi posso distrarre un secondo. I fascicoli aumentano con ritmo circadiano: se ci si ferma, si viene sommersi dalla carta. Mi sento però un po’ stanco, intontito e svogliato. Scoprirò che si tratta del rebound post-udienza. Troppo stress, tensione ed adrenalina prodotta nell’arco della precedente giornata. Il giorno dopo si rende di meno. Da quella udienza ne sono passate 92 altre. La tensione da microfono e toga è passata. Letti, studiati e trattati più di 500 procedimenti. Depositati un numero imprecisato di provvedimenti. Il rebound non c’è più. La sensazione di affrontare una situazione ingestibile è passata. Quasi. Anche il dispiacere per il civile. L’esperienza del monocratico penale è tosta ma dà grandi soddisfazioni. Certo: c’è un motivo se le norme dell’ordinamento giudiziario e le circolari del CSM richiedono che – affinché un giudice possa essere assegnato a funzioni giudicanti penali monocratiche – è necessario che abbia tre anni di esperienza di collegio penale. Eccome se c’è. A gestire da solo un processo penale si fanno sfaceli. Per consolarti ti dicono: “ma guarda che i got fanno udienze monocratiche perché non le deve fare l’uditore?”... magari droga, omicidi, ambiente, inquinamento, rapine, estorsioni è una risposta sufficiente... Ma non è più un problema che mi riguarda. Le persone mi guardano come se dovessi avere sempre la risposta. Mi piacerebbe dire: “proprio non lo so, aspetti che devo chiedere a qualcuno dei miei affidatari”... purtroppo non posso. Allora alla prima occasione, chiamo il primo numero: niente, non risponde. Il secondo: è staccato; il terzo: risponde la telecom; il quarto: è occupato; l’ultimo: non risponde. Una piccola goccia di sudore fa la sua comparsa sul lato destro della fronte: “mo’ che faccio?”. La camera di consiglio non può durare in eterno. Le persone aspettano e non si sa quando la linea rossa “aiuto uditori con funzioni in crisi” 271 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 272 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati riprenderà a funzionare. Non c’è niente da fare. Non ho neanche una monetina per scegliere. Devo decidere di testa mia. Il codice non mi dà alcun aiuto. L’intranet del tribunale manco funziona. Non resta altro da fare che leggersi bene le carte e prendere una decisione che assomigli a qualcosa di logico e condivisibile. Dopo, con calma, non so se per fortuna o altro, verifico che la decisione presa era quella della Cassazione. “Grazie”! “Di nuovo, Dio c’è!”. Un procedimento disciplinare evitato. La routine tribunalizia abitua a qualunque vicenda e situazione. L’assunzione di responsabilità, prima impensabili, diventa normalità. Quasi non ci si fa più caso. Si diventa un po’ fatalisti, ma anche – o forse per questo – scanzonati. Ma, come dice la prima legge di Murphy: “se le cose possono andare peggio, peggioreranno”. Infatti, dopo pochi mesi di attività giurisdizionale e con ormai la sensazione di riuscire a farcela, ecco che l’altro giudice che avevo 272 trovato in distaccata e che svolgeva il ruolo di magistrato responsabile della Sezione, un amico ed una garanzia, viene trasferito. Questa volta più che la gocciolina di sudore sul lato destro della fronte, ho un cedimento della gambe. Questo significa che il ruolo di magistrato responsabile – in assenza di qualunque altro: “indovina chi lo dovrà assumere??”. Esauriti tutti gli improperi che conosco, spenti gli intenti bellicosi, mi chiedo: “ma come si amministra un tribunale?”. Incomincia una nuova sfida. Rifaccio di nuovo tutte le telefonate che posso alla ricerca di consigli ed indicazioni di qualunque genere. Cerco sul Cosmag tutte le relazioni sull’amministrazione dei Tribunali. Mi studio circolari, delibere, leggi e regolamenti sulla vita delle cancellerie e sul lavoro del magistrato responsabile in distaccata. Risultato: non si capisce nulla. Non ho capito se sono: responsabile della sicurezza dell’edificio, dell’ordine pubblico, garante della sicurezza dei dati personali, coordinatore del personale amministrativo, supervisore del lavoro dei cancellieri. Non c’è nulla da fare. Come è stato per l’attività giu- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 273 Diario semiserio di un uditore con funzioni risdizionale verificherò sul campo. Tutti si mettono a disposizione. Mi dicono: “però che bella esperienza che stai facendo!”; “certo è impegnativo, ma in qualunque altro posto andrai te la saprai sempre cavare”; “a me non è capitata una cosa del genere, però diventerai davvero bravo”. Al che io non so se consolarmi oppure sentirmi peggio. Quello che è subito diventato un mio amico, il precedente magistrato responsabile, il giudice civile della distaccata, va via il 4 aprile. Dal 5 aprile sono responsabile di fatto. Il 30 aprile arriva il provvedimento tabellare che mi nomina formalmente. Il 4 maggio, dopo 8 anni che non facevano la loro comparsa, arrivano gli ispettori ministeriali. Il primo giorno da giudice e responsabile neanche lo ricordo più. Ricordo solo una carpetta blu contenente 72 fogli, documenti e circolari da firmare, vistare, autorizzare. Penso – per consolarmi: “davvero diventerò bravo”! Per fortuna, il personale amministrativo è fatto di persone gentili e disponibili. Si rendono conto e cercano anche loro di aiutare. Peccato che ho avuto la fortuna di assumere l’incarico di responsabile del Tribunale con la maggiore scopertura di organico amministrativo di Italia, con una sede fatiscente e con ogni tipo di problemi di sicurezza. L’unico sistema è – di nuovo – organizzarsi. La legge di Murphy però è sempre in agguato. Faccio l’accoglienza agli ispettori. Mi presento. Spiego la situazione. Si mettono a ridere. Scherziamo un pochino sulla vicenda. È andata. Inizio a pensare che non è tanto la legge, i provvedimenti o altro che fanno il sistema, ma sono le persone. Basta incontrare quelle giuste. Alternando ormai ufficio come giurisdizione ed ufficio come amministrazione, cerco di barcamenarmi e di non essere sommerso dalla carte. Le cose che si leggono nei fascicoli sono a volte sorprendenti, a volte imbarazzanti. Nessun tirocinio può preparare a questo. 273 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 274 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Ma è bello cercare di mettere le cose a posto. O almeno pensare di stare mettendo le cose a posto. Per scoprire nel corso della messa a posto che “a posto” è un concetto relativo e dipende da troppe variabili per essere universalmente apprezzato e riconosciuto. È meglio non pensarci e cercare di far quanto meglio si può. Perdere la concezione del superman della giurisdizione, non acquisire quella della pallina insieme alle altre e rimanere se stessi. In genere viene apprezzato. In genere. Emetto una valanga di sentenze di prescrizione. Cerco di sfoltire il ruolo in tutti i modi che riesco a concepire: udienze di smistamento, monotematiche, istruttorie, di discussione, per fasce orarie, ecc. Qualunque meccanismo è buono pur di dare una organizzazione che mi consenta, quanto meno una volta al mese, di andare al cinema. Finiscono il loro lavoro gli ispettori. Sono gentili. Mi dicono anche cosa fare nella mia situazione: “tu scrivi sempre”. “A tutti. Così che non si possa 274 dire che tu non avevi rappresentato la situazione”. “Grazie”. Non capisco bene sul momento. Passano pochi giorni. E: “Al magistrato responsabile del tribunale – sezione distaccata, . ecc. rilevato che … ecc….” . Una nota mi dice che, a seguito dei rilievi ministeriali, devo cercare di mettere a posto le cose. “Io?”, penso. Capisco, all’improvviso, il consiglio. Da allora ho iniziato a scrivere: relazioni, note, trasmissioni, richieste, comunicazioni. Divento una scheggia. Anche a rappresentare i problemi. Acquisisco un maggiore confidenza, sicurezza e fatalità. Ogni giorno che passa, arrivo sempre prima in tribunale. Ero partito dalle 8,30, quando mi sembrava presto: mezz’ora prima dell’udienza, in modo da iniziare puntuale. Sono giunto ad arrivare ordinariamente in tribunale alle 7,45. Senza contare la strada. Arrivo e: “dottore il muro è pieno di umidità. È pericoloso. Sta per crollare”. “Non c’è problema”, penso: basta scrivere. E scrivo. “Si rappresenta che … pericolo…. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 275 Diario semiserio di un uditore con funzioni responsabilità ….ecc…. si chiede che ecc. ” Dopo pochi giorni, il muro crolla. Non capisco se sono fortunato o meno, ma scrivo lo stesso: “comunico che, come rappresentato, ecc.., il muro è crollato”. Il Tribunale mette però in condizioni di poter vivere la vita di un sacco di persone. Che non sono solo quelle dei fascicoli, ma anche le altre, vive, con le quali ci si può confrontare. Inizio a diventare un po’ psicoanalista, a volte anche terapeuta. Mi convinco della fondatezza del detto per cui “l’uomo è dotato di due occhi, due orecchie ed una bocca, per vedere ed ascoltare il doppio di quanto non si parli”. Cerco di ascoltare tutti: dal custode al vigilantes, dal messo al cancelliere. Ognuno ha le sue lamentale, indicazioni, consigli, manie, hobby e fobie. Tutti fanno capo a me, come se davvero avessi la risposta per tutto. Un giorno appena entrato nella stanza, entra un ufficiale giudiziario con aria circospetta, chiude la porta: “Le devo parlare”, dice. “È successa una cosa gravissima”, anticipa. “Mi dica”, rispondo. “che cosa è successo?”, chiedo. “Giudice, l’altro giorno”, inizia subito, “ho cercato di notificare un atto, ma i carabinieri me lo hanno impedito”. A quel momento, avevo già scoperto che una delle frasi che avrei ripetuto più spesso di fronte alle vicende e richieste più strane, era quella che pronunziai in quel momento: “in che senso?”. Serve infatti per prendere un attimo di respiro, riflettere ancora un secondo, sperare che l’interlocutore chiarisca qualcosa e non si accorga della perplessità che ha suscitato. “dovevo notificare un atto”, continua - cercando di farmi capire - “presso la base militare. Ed i carabinieri del posto di guardia non mi hanno fatto entrare. Ho dovuto lasciare l’atto al piantone”. “Ma”, cerco di argomentare, “magari, sa, la base militare”. “No, io dovevo entrare”, rinforza. “Si, va beh, ok. Però. Voglio dire. Lei l’atto l’ha notificato. Teoricamente è una zona militare quella. L’accesso è vietato”, cerco di argomentare io, tentando di giustificare quello che mi veniva descritto e sentivo essere stato percepito come un oltraggio e soprattutto già subodorando quello che stava per accadere. “io dovevo notificare un atto. Sono un pubblico ufficiale. Dove275 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 276 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati vo entrare. E me lo hanno impedito”. La discussione è continuata in questi termini per un po’, sino a quando, ormai rassegnato, e sapendo a cosa andavo incontro, chiesi: “ho capito, ma io cosa dovrei fare?”. “lei deve richiamare il comandante dei carabinieri”, risponde l’ufficiale come se fosse una cosa assolutamente normale. “Ma, vede”, cerco di dire con la voce più suadente possibile, “i carabinieri non dipendono dalla magistratura”. “Lei è il magistrato responsabile: e le devono ubbidire. Si deve fare chiedere scusa”, conclude irremovibile. Ho capito così che la gestione del processo e del tribunale consente di entrare in relazione con tutti gli organi dello Stato e di vedere quanto sia affascinante e farraginosa la vita della pubblica amministrazione. Oltre che umanamente interessante. In quel caso, una volta rassicurato l’ufficiale giudiziario, scoprii, che – a volte – l’inattività è la soluzione migliore. Ha avuto l’intelligenza di non chiedermi come era andata a finire. Mai però, mi sarei aspettato che tra tutti i problemi il più difficoltoso sarebbe stato quello relati276 vo alle zone di parcheggio. E già. Oramai i veicoli dominano universalmente le nostre vite. Il parcheggio è diventato un bene di consumo, economicamente valutabile. Di difficile reperimento. Innanzi al tribunale ci sono le strisce gialle che delimitano una area di parcheggio riservata. L’area però deve essere delimitata sia orizzontalmente che verticalmente per essere obbligatoria. Non essendo più leggibile la segnaletica, ne chiedo il rifacimento, essendo questa una delle tante incombenze delle quali oramai mi occupo. Anche perché i posti, pochissimi, sono sempre occupati da altre macchine, alle quali non è possibile elevare una contravvenzione per la mancanza della segnaletica. Scrivo al sindaco ed al comandante dei vigili urbani. Sicuro di avere, con il mio grande decisionismo, risolto il problema. Dopo una settimana ricevo una comunicazione a firma di un ispettore della polizia municipale, il quale mi dice che, sì, provvederanno al rifacimento; nel frattempo, mi avverte che l’aria di parcheggio delimitata è riservata esclusivamente ai veicoli delle forze dell’ordine. Mi affaccio dalla finestra per Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 277 Diario semiserio di un uditore con funzioni controllare se non mi hanno già fatto la multa, dato che, da quel momento, potevo considerarmi in sosta vietata. Lo comunico al personale. Scoppia una semi rivolta. Cerco di calmare tutti. Do l’esempio spostando la mia macchina. Si apre così un lungo percorso per risolvere la situazione. Telefonate al Sindaco, alla Presidenza; confronti col Comandante dei Vigili Urbani; sopralluoghi; domande; delibere, valutazioni di impatto ambientaleecologico-urbanistico; studi di fattibilità, petizioni. Alla fine la spunto. Ora quelle strisce gialle, la nuova segnaletica ed il pass nominativo dell’auto mi fanno sentire troppo operativo. Trovo peraltro nuovamente la conferma che un po’ di buon senso, sensibilità e soprattutto buona educazione, servono molto di più di mille carte. Una telefonata con un tono gentile, fattivo e collaborante apre un sacco di porte e risolve una miriade di problemi. Ho scoperto che le parole che pronunzio più frequentemente non sono “legge”, “sentenza”, “diritto”, “giudice”, “ordinanza”, ma sono: “cortesemente”, “gentilmente”, “per favore”, “mi scusi”, “mi rendo conto”, “la capisco, però”, “grazie”, “guardi, possia- mo metterci d’accordo”, “vediamo se riusciamo a risolvere il problema”. Nonostante che il tribunale assorba il 97,4 % del mio tempo, e si faccia difficoltà a condurre una vita decente, si viene ripagati dall’esperienza e soprattutto dai risultati, se arrivano. E arrivano, anche se non è detto che vengano riconosciuti. Ma non ha importanza. Sforzandosi, ci si convince che non si è proprio più in alto degli altri, anche se la sedia su cui ci si siede è collocata un po’ più su. In fondo ci si sta seduti sempre con il sedere, a prescindere dall’altitudine. Le persone mi aiutano in continuazione. Peccato che il lavoro del giudice, soprattutto quello monocratico, soprattutto in distaccata, non è esattamente un lavoro di squadra. È un lavoro un po’ da orsi solitari. Ma a me piace. Così com’è. Alla fine si è soli con se stessi e bisogna cercare di comportarsi e di fare in modo da potersi continuare a guardare allo specchio la mattina, senza avere particolari repulsioni. Così facendo ci si rende conto di quanto il nostro sia un lavoro interessante. 277 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 278 Magistratura giovane La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Di quanto siamo fortunati. Di quanto ci si possa divertire. E migliorare. Basta solo non fare come taluni, anche noti, personaggi che a forza di dire “bravo” a se stessi, finiscono col credere di esserlo davvero. Basta non prendersi troppo sul serio e lasciarsi il tempo di fare qualcosa che non abbia nulla a che vedere con la legge, il diritto o il processo. 278 In fondo dopo tanto studio, tante questioni, giudizi, problemi, si arriva a scoprire quanto sia vera la frase detta da quel famoso avvocato che aveva elogiato i giudici per la quale: “il processo – e aggiungerei io la giustizia – non è questione di legge, ma di galateo”. Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 279 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 280 L’associazionismo giudiziario al di là delle frontiere nazionali Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati Antonio Mura*, Giacomo Oberto** L’Unione Internazionale dei Magistrati L’Unione Internazionale dei Magistrati (UIM), nota più diffusamente con la sua denominazione inglese International Association of Judges (IAJ), è stata fondata il 6 settembre 1953 a Salisburgo (Austria) per iniziativa di sei associazioni nazionali di magistrati, tra cui l’ANM, che ne è dunque membro fondatore. L’esigenza di costituire un sodalizio internazionale che avesse per scopo da una parte la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura e dall’altra la promozione di scambi culturali tra magistrati di diversi paesi si era palesata nell’autunno del 1952, in occasione del VI congresso nazionale dell’ANM, tenutosi a Venezia, al quale avevano partecipato anche delegazioni straniere provenienti da Austria, Francia, Germania, Lussemburgo e Brasile. Di quella esigenza si era fatto carico un comitato promotore, i cui lavori erano terminati nello spazio di un anno con l’adozione dello Statuto della nuova associazione internazionale e l’elezione del suo primo Presidente, il cons. Ernesto Battaglini della Corte di cassazione italiana, e del suo primo Segretario generale, il cons. Pietro Pascalino, all’epoca dirigente della Pretura di Roma. L’Unione Internazionale è 280 *Sostituto procuratore generale della Corte di cassazione **Giudice del Tribunale di Torino, sono rispettivamente Segretario generale e Segretario generale aggiunto dell’Unione internazionale dei magistrati costituita come organizzazione professionale senza fini politici, cui aderiscono non i singoli giudici, ma le associazioni nazionali di magistrati, purché siano dotate di un apprezzabile livello di rappresentatività degli appartenenti all’ordine giudiziario nel rispettivo paese e si riferiscano a sistemi nei quali l’indipendenza della magistratura è assicurata a livello costituzionale e nella vita concreta delle istituzioni. Lo Statuto dell’UIM prevede altresì la qualifica di membro straordinario, allorquando, pur non essendo l’indipendenza della magistratura pienamente raggiunta nel paese, un’associazione nazionale o un gruppo rappresentativo di magistrati dimostri di lottare per conseguire questo risultato. Attualmente all’UIM aderiscono associazioni nazionali di magistrati di 70 paesi, ma si tratta di una dimensione in costante crescita: nell’imminente riunione mondiale che avrà luogo in Armenia a settembre 2008, l’assemblea esprimerà infatti il suo voto sull’adesione di sei nuove associazioni nazionali di magistrati, mentre prosegue l’esame di altre candidature. L’Unione Internazionale ha status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e presso l’Ufficio Internazionale del Lavoro, non- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 281 Il trattamento “economico-professionale” dei magistrati: tanti oneri senza onori ché presso il Consiglio d’Europa. Negli ultimi anni, la sua cooperazione con le organizzazioni internazionali è cresciuta di intensità, come testimoniato anche dalla partecipazione dello Special Rapporteur sull’indipendenza di giudici e avvocati, Leandro Despouy, alle riunioni annuali in Messico (2004) e Uruguay (2005), nonché dalla cooperazione con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani relativamente a questioni afferenti il Sud Africa, l’Egitto e l’Angola. Organo deliberante dell’UIM è il Consiglio Centrale; la rappresentanza e la direzione spettano al Presidente, assistito nel Comitato di presidenza da sei Vice-presidenti. L’organo esecutivo dell’Unione è il Segretariato Generale, che ha sede a Roma e nel quale il Segretario generale è assistito da più Segretari generali aggiunti. Le cariche hanno durata biennale e vengono rinnovate in occasione della riunione plenaria, che si svolge abitualmente durante l’autunno in uno dei paesi la cui associazione nazionale dei magistrati è membro dell’Unione. L’ANM italiana partecipa ai lavori con 6 suoi delegati. I fini dell’Unione sono definiti dall’art. 3 dello Statuto: “a) salvaguardare l’indipendenza del potere giudiziario, condizione essenziale della funzione giurisdizionale e garanzia dei diritti e delle libertà umane; b) salvaguardare la posizione costituzionale e morale del potere giudiziario; c) ampliare e perfezionare le conoscenze e la cultura dei magistrati mettendoli in contatto con i loro colleghi di altri paesi, facendo loro conoscere gli ordinamenti esteri ed il loro funzionamento, nonché il diritto positivo straniero, specialmente nella sua applicazione; d) studiare in comune alcuni problemi giuridici al fine di giungere, sia nell’interesse nazionale, sia nell’interesse delle comunità regionali o universali, ad una migliore soluzione dei problemi stessi”. Per perseguire questi obiettivi, l’Unione Internazionale si è dotata di una struttura che le consente, da un lato, l’esame e il monitoraggio delle situazioni di sofferenza dell’ordine giudiziario con riferimento particolare (ma non esclusivo) al tema del rapporto tra i poteri dello Stato e, dall’altro, lo studio di questioni attuali di diritto sostanziale e processuale in una prospettiva comparatistica. Alla prima esigenza si può ricondurre la costituzione, a partire dal 1989, dei Gruppi Regionali, mentre alla seconda esigenza risponde l’istituzione delle 281 Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 282 Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Commissioni di Studio. I Gruppi Regionali in cui si articola l’Unione Internazionale sono attualmente quattro: l’Associazione Europea dei Magistrati (“AEM” o – secondo la dizione inglese – European Association of Judges, “EAJ”, con 38 paesi membri); il Gruppo Ibero-americano (“IBA”, 15 membri); il Gruppo Africano (12 membri); il Gruppo AsiaticoNordamericano-Oceanico (“ANAO”, 9 membri). Attraverso i Gruppi, l’Unione Internazionale ha la possibilità di seguire più da vicino le attività delle organizzazioni internazionali regionali che hanno riflessi sull’amministrazione della giustizia, nonché di esprimere – ove necessario e richiesto – il proprio sostegno ad uno dei suoi membri, tenendo conto dello specifico regionale. Tra il 1993 e il 1995 i gruppi regionali europeo, ibero-americano ed africano hanno adottato le carte regionali del giudice, che sono state la base per una riflessione a livello ancora più generale sullo status dei magistrati, conclusasi con l’adozione nel 1999, a Taipei (Taiwan), dello Statuto Universale del Giudice. Le Commissioni di Studio sono anch’esse quattro e si occupano rispettivamente di: 1) organizzazione giudiziaria e status dei magistrati; 2) diritto e proce282 dura civile; 3) diritto e procedura penale; 4) diritto pubblico e del lavoro. Ogni anno, la presidenza di ogni Commissione elabora un questionario sull’argomento prescelto dall’assemblea e lo trasmette alle associazioni aderenti all’UIM per raccoglierne il contributo. I rapporti nazionali vengono diffusi tra tutte le associazioni e pubblicati sul sito internet dell’UIM (http://www.iajuim.org), studiati e ricondotti a sintesi in occasione della riunione annuale. L’Unione Internazionale e l’ANM sono storicamente legate da un vincolo particolarmente intenso, che deriva innanzitutto dall’essere stata l’ANM tra gli ispiratori e fondatori dell’UIM. Il primo e il secondo Presidente dell’Unione Internazionale sono stati magistrati italiani (il già citato cons. Battaglini, fino al 1958, e il cons. Vincenzo Chieppa, fino al 1961); al Segretariato generale sono stati sempre eletti magistrati italiani e per il suo funzionamento l’ANM – a far data dall’anno 2000 – ha assicurato uno specifico finanziamento. La magistratura italiana per questa via ha sempre svolto – con espliciti, ripetuti apprezzamenti di tutti i colleghi stranieri che partecipano alla vita associativa – un ruolo sostanziale di pri- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 283 Il trattamento “economico-professionale” dei magistrati: tanti oneri senza onori missimo piano nel promuovere gli obiettivi dell’UIM. L’Unione Internazionale ha a sua volta manifestato la propria vicinanza all’ANM con la partecipazione del Presidente dell’UIM Tarek Bennour (Tunisia) al XXVI Congresso ANM (Salerno il 28 febbraio - 1, 2 e 3 marzo 2002) nonché quella del Presidente dell’UIM Ernst Markel (Austria) e della Presidente dell’Associazione Europea Maja Tratnik (Slovenia) al XXVII Congresso ANM (Venezia, 5-8 febbraio 2004). L’Associazione Europea dei Magistrati L’Associazione Europea dei Magistrati (European Association of Judges – Association Européenne des Magistrats: “EAJ”–“AEM”) è il più ampio dei quattro gruppi regionali in cui si articola l’Unione Internazionale dei Magistrati. È composta da 38 associazioni di magistrati di altrettanti paesi del continente, tra i quali tutti quelli appartenenti all’Unione Europea. Tra di esse, 35 associazioni nazionali hanno lo status di membro ordinario; le residue (Armenia, Bulgaria e Ucraina) quello di membro c.d. straordinario. Pur essendo nata nel 1953, l’UIM cominciò a porsi il pro- blema della costituzione di gruppi regionali nei primi anni Novanta, allorquando divenne chiaro che l’aumento del numero delle associazioni aderenti determinava l’esigenza di una più razionale ripartizione di compiti e sfere di competenza. Il Gruppo Regionale Europeo nacque così nel 1991, con lo scopo di fornire una tribuna per la discussione a livello continentale delle questioni attinenti all’indipendenza della magistratura. La difesa dell’indipendenza del potere giudiziario costituisce infatti il primo dei compiti dell’UIM e dell’AEM. Un’altra importante finalità istituzionale è rappresentata dall’opportunità di offrire ai magistrati di diversi paesi una sede per dibattere i problemi comuni e confrontare sistemi ed esperienze. L’AEM si riunisce due volte l’anno: una volta nel contesto del congresso mondiale annuale dell’UIM (così come gli altri tre gruppi regionali, vale a dire quello Ibero-americano, quello Africano e quello che raggruppa i rimanenti paesi aderenti all’Unione Internazionale, essenzialmente delle aree asiatica e nordamericana) ed un’altra volta in un paese europeo. Essa è guidata da un Presidente, che è eletto ogni due anni dalle associazioni membre tra i sei vice-presidenti 283 Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 284 Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati dell’UIM. La sua struttura è retta da uno statuto (da ultimo modificato nel 2003), che prevede anche la costituzione di uno o più gruppi di lavoro o comitati esecutivi. Il più importante di questi gruppi, istituito in via permanente a Madrid nel 2001, è dedicato alla situazione della magistratura nei singoli paesi membri. L’adesione di numerose associazioni nazionali di magistrati dell’Europa centrale e orientale, a partire dai primi anni Novanta, ha infatti suscitato la necessità di prendere in considerazione situazioni di sistemi nazionali in cui la fragilità del nuovo assetto istituzionale e le pesanti eredità di un passato non democratico espongono i magistrati a frequenti tentativi di circoscrivere l’indipendenza dell’ordine giudiziario sotto ogni forma possibile (dai profili ordinamentali, a quelli di carriera ed economici). Il compito del gruppo permanente di lavoro in questione è dunque quello di ricevere le indicazioni di allarme e le doglianze provenienti dalle associazioni richiedenti, di raccogliere informazioni al riguardo e di proporre all’assemblea plenaria le azioni da intraprendere. Queste ultime consistono, per lo più, nell’elaborazione di risoluzioni, dichiarazioni o raccomandazioni preparate dal gruppo di lavoro e 284 quindi discusse ed approvate dall’assemblea plenaria, formata dai delegati delle varie associazioni aderenti all’AEM. Questi documenti vengono poi trasmessi ai rappresentanti del potere esecutivo e legislativo dei paesi interessati, ma anche, in caso di mancata risposta, o qualora si profili la necessità di esercitare una pressione particolare, agli organi di stampa, nonché ad organismi internazionali e sovranazionali: dal Consiglio d’Europa, all’Unione Europea, all’Ufficio del Rapporteur delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati. Un ulteriore strumento a disposizione dell’Associazione è l’invio di missioni in loco, per l’incontro con i rappresentanti delle istituzioni interessate. Un fenomeno – insieme interessante e preoccupante – di questo ultimo periodo è dato dal fatto che, mentre sino ad alcuni anni or sono erano i soli paesi dell’ex blocco comunista a dar luogo ad interventi del genere di quelli appena descritti, negli ultimi anni sono piuttosto le associazioni delle «tradizionali» democrazie occidentali a sollecitare l’intervento dell’AEM: si possono citare, ad esempio, i casi dell’Italia, della Svezia e della Francia; ma l’elenco può essere assai più nutrito. Gli attacchi all’indi- Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 285 Il trattamento “economico-professionale” dei magistrati: tanti oneri senza onori pendenza della magistratura sembrano quasi rispondere ad una linea di comportamento che presenta attraverso l’Europa elementi di impressionante analogia: dall’inasprimento della responsabilità disciplinare, al tentativo di ridurre la componente togata negli organi di autogoverno, all’introduzione di elementi salariali collegati alla «produttività», alla pura e semplice (talora drastica) riduzione del trattamento retributivo e pensionistico. La storia delle dichiarazioni emesse dalla AEM costituisce una vera e propria «antologia» di siffatti tentativi, che talora, proprio grazie all’intervento dell’Associazione Europea, sono stati se non sventati quanto meno contenuti nella loro portata. Merita di essere rammentato, fra l’altro, che nel 2003 - in relazione all’intervista concessa dal Presidente del Consiglio Berlusconi alla rivista The Spectator nella quale si descrivevano i giudici come soggetti “mentalmente disturbati” - l’Associazione Europea dei Magistrati si è pronunciata con una lettera della Presidente Tratnik spedita all’ANM, alla rivista medesima e al Consiglio d’Europa. Nel 2004 l’AEM è poi intervenuta criticamente in merito alla riforma dell’ordinamento giudiziario italiano (c.d. riforma Castelli), con una risoluzione dell’assemblea. Il ruolo dell’AEM è però anche quello di costituire un valido punto di riferimento delle principali istituzioni europee per le questioni attinenti alla giurisdizione ed all’assetto della magistratura. Da tempo, infatti, l’Associazione Europea collabora con il Consiglio d’Europa fornendo esperti per i programmi che attengono alla formazione dei magistrati ed alla cooperazione con le nuove democrazie dell’Europa centrale e orientale. L’AEM partecipa inoltre come osservatore ai lavori del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCEJ) e della Commissione Europea per l’Efficacia della Giustizia (CEPEJ). Rappresentanti dell’AEM hanno contribuito all’elaborazione dello Statuto Europeo del Giudice approvato dal Consiglio d’Europa nel 1998 ed alla revisione (recentemente varata a livello di comitato d’esperti) della Raccomandazione R(94)12 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sull’Indipendenza, efficacia e ruolo del giudice. L’AEM è poi sovente chiamata a partecipare ad iniziative dell’Unione Europea nel campo della giustizia: l’ultima di queste è rappresentata dall’EU Justice Forum, iniziativa lanciata dalla Commissione Europea e destinata a costituire il principale punto di riferimento 285 Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 286 Cronache dell’Unione Internaz. dei Magistrati La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati per l’evoluzione della «politica» dell’Unione Europea nel campo della giustizia. D’altro canto, il Presidente dell’AEM siede nel comitato direttivo dell’Accademia Europea di Diritto (Europäische Rechtsakademie – ERA) di Treviri, istituto fondamentale nel campo della formazione dei giuristi del nostro Continente. L’AEM ha elaborato, nel 1993, una Carta del Giudice Europeo ed ha sostanzialmente contribuito alla redazione e all’approvazione a Taipei, nel 1999, della Carta Universale del 286 Giudice da parte dell’UIM. L’associazione pubblica periodicamente una rivista elettronica. La ricchezza e la vastità dei dibattiti al suo interno, testimoniata dai verbali delle riunioni semestrali, il credito che essa ha acquistato di fronte ad istituzioni quali l’Unione Europea ed il Consiglio d’Europa, l’efficacia degli interventi dispiegati ovunque l’indipendenza del potere giudiziario fosse posta in discussione ne fanno un punto imprescindibile per l’affermazione dell’idea del «giudice europeo». Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 287 Presidente Dr. Luca PALAMARA Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma Vice Presidente Dr. Gioacchino NATOLI Presidente di Sezione del Tribunale di Palermo Segretario Generale Dr. Giuseppe CASCINI Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma Vice Segretario Generale Dr.ssa Silvana SICA Giudice del Tribunale di Napoli Codirettori de “La Magistratura” Dr. Antonio BALSAMO Corte Suprema Cassazione Dr. Nicola DI GRAZIA Giudice del Tribunale di Civitavecchia Componenti: Dr.ssa Anna CANEPA Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova Dr. Piergiorgio MOROSINI Giudice del Tribunale di Palermo Dr. Roberto ROSSI Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo Dr. Gaetano SGROIA Giudice del Tribunale di Salerno 287 Cronache dell’ANM La Giunta Esecutiva Centrale eletta dal Comitato DIrettivo Centrale nella riunione del 17 maggio 2008 Impaginato 2-2008 18-12-2008 16:06 Pagina 288 2 Anno LXI-Trimestrale-Poste Italiane Spa-Spedizione in abbonamento postale-d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2-DCB Roma Aprile-Giugno 2008 Articoli di Caterina Brignone, Francesco Antonio Cancilla, Angelo Caputo, Mario Chiavario, Vania Contrafatto, Luca De Matteis, Marco Formentin, Ennio Fortuna, Fulvia Fratantonio, Luigi Levita, Rosario Minna, Stefano Montoneri, Antonio Mura, Lucio Napolitano, Gioacchino Natoli, Giacomo Oberto, Livio Pepino, Luigi Petrucci, Daniela Piana, Antonello Racanelli, Michele Ruvolo, Armando Spataro, Rosario Spina, Francesco Viganò. Organo dell’Associazione Nazionale Magistrati Organo dell’Associazione Nazionale Magistrati 2 Aprile-Giugno 2008