il linguaggio della chimica: qualche idea
di Gianni Michelon
Perché parlare di "linguaggio"?
Uno degli aspetti più interessanti della chimica è il suo linguaggio, forse la sua caratteristica
più qualificante per poter affermare l'autonomia di questa scienza rispetto a tutte le altre;
parlare di questa sua caratteristica può essere utile anche per eliminare quei residui di vecchie
convenzioni che tendevano a ridurre la chimica soltanto a un ramo della fisica o della medicina
(riduzionismo).
In effetti, oltre al linguaggio, la chimica possiede una sua propria storia e una sua logica, che
non possono essere ricondotte semplicisticamente a quelle di altre scienze.
Nell'affrontare il tema del linguaggio chimico non posso prescindere da alcuni punti di
riferimento forti dovuti a colloqui con alcuni colleghi e alla conoscenza di alcune loro ricerche;
intendo parlare, soprattutto (ma sono solo i più significativi per me) di Aldo Borsese, Carlo
Fiorentini, Paolo Mirone, di cui mi sento debitore...
Cercherò di mettere a fuoco alcuni punti che possono stimolare a pensare criticamente alla
significatività e pregnanza di un sistema di comunicazione che è non solo accettato dalla
comunità scientifica in generale, ma ormai addirittura mutuato da diverse altre discipline,
prime fra tutte -e questo può essere considerato scontato- quelle che hanno a che fare con la
chimica (biologia e microbiologia, geologia, farmaceutica e medicina, tanto per citarne alcune)
dato che debbono usarne parti sostanziali per permettere sia un approfondimento quantitativo
sia una effettiva comunicazione della disciplina.
Termini "chimici" nel linguaggio comune
Ma alcuni termini propri del nostro ambiente culturale sono entrati anche nell'uso comune,
politico, economico, umanistico, pedagogico (anche se non sempre vengono usati nel loro
significato corretto, almeno per noi!); basti pensare a termini come:
"cartina di tornasole" per parlare di un qualcosa che indica un limite di demarcazione o un
segnale
"distillazione" per parlare di un processo che porta lentamente e con fatica mentale a qualcosa
"filtrazione" per indicare un processo che tende ad eliminare le cose superflue
"decantazione" per indicare l'effetto del passare del tempo su qualche fatto o problema
"precipitazione" per indicare il risultato o prodotto di più componenti apparentemente
indipendenti
"fusione" per indicare l'accorpamento di due o più strutture
"atomo" o "molecola" per indicare una parte infinitesima, ma caratteristica, di qualcosa
"catalizzatore" per indicare qualcosa o qualcuno che facilita un processo o un'attività
Che cosa intendiamo per "linguaggio"?
Il linguaggio è un complesso sistema di simboli convenzionali e di relazioni tra di essi, adottato
e utilizzato da un gruppo di persone per comunicare tra loro e con gli altri.
Possiamo ragionevolmente dire che un gruppo di persone che riesce a comunicare secondo un
linguaggio condiviso (perciò basato su una "convenzione") costituisce una "comunità", che può
essere scientifica, per esempio, se utilizza (e ovviamente "comprende") il linguaggio
scientifico; chimica se utilizza quello chimico; fisico se utilizza quello fisico; biologico o
geologico se utilizza rispettivamente quello biologico o geologico; e così via.
Ognuna delle comunità si riconosce infatti per la condivisione di un linguaggio specifico,
chiamato "microlingua". Ci sarà così una microlingua pedagogica, una fisica, una medica...
anche se spesso ci sono interazioni o mutuazioni di termini o concetti tra una disciplina e
un'altra.
Questa affermazione sembrerebbe tautologica o lapalissiana ma non è così; e neppure è
un'affermazione semplice come potrebbe sembrare.
La condivisione del linguaggio è una condizione assoluta?
A dimostrazione che l'affermazione "una comunità si riconosce per la condivisione di un
linguaggio specifico" non è poi così perentoria nè banale, si può osservare che la condivisone
non sempre è totale.
Può dipendere per esempio anche dal livello di utilizzo e di comprensione (non tutti gli studenti
di chimica sono im-mediatamente -cioè senza alcuna azione di "mediazione"- in grado di
utilizzare alcune parti del linguaggio chimico appena ne siano venuti a conoscenza); neppure i
ricercatori chimici sono in grado di comprendere tutto quello che, nell'ambito chimico, viene
fatto o trattato da altri ricercatori; questo è dovuto anche alla enorme espansione della scienza
chimica, che ha portato come conseguenza la sua settorializzazione e specializzazione: un
esempio: non è detto che i termini usati dall'esperto di polimeri siano completamente e
perfettamente noti all'esperto di elettrochimica o di biochimica o di chimica analitica...; e
viceversa.
Inoltre la mutuazione di termini, procedimenti e concetti da una disciplina "fonte" in un
contesto diverso (termini chimici in biologia, per esempio; o biologici in geologia ecc.) fa sì che
questi termini acquisiscano talvolta sfumature di significato non sempre chiare agli altri,
proprio perché inseriti in un contesto caratterizzato da finalità, logica, procedure, oggetti,
diversi.
Un'esperienza molto interessante in tal senso la ebbi più di vent'anni fa quando cercai di
mettere assieme fisici, chimici, matematici, biologi per discutere dei problemi della
termodinamica dai loro specifici punti di vista disciplinari: le discussioni preliminari, molto
lunghe e vivaci servirono soltanto per tentare di trovare punti di accordo sui termini base.
Le origini del linguaggio chimico
Non è facile individuare origini certe: da quando l'uomo ha cercato di ottenere qualcosa
partendo da altro (da quando cioè ha cominciato ad interessarsi di "trasformazioni" delle
sostanze) egli ha cercato di dare un nome ai processi (reazioni) che ha escogitato ed anche
alle sostanze di cui poteva disporre e ai prodotti che riusciva ad ottenere.
Ma come abbiamo visto quando si parlava dell'alchimia, la comunicazione avveniva
volutamente solo -e nemmeno sempre!- tra "addetti ai lavori", dato che nel saper modificare le
cose risiedeva un potere enorme: coloro che in tempi antichi erano chiamati maghi e che
spesso erano soltanto manipolatori della natura, tecnici -benché geniali-, erano perseguitati
talvolta (come dalla Chiesa), ma più spesso cercati dai potenti per accrescere il loro prestigio e
la loro ricchezza.
La natura di "maghi" li spinse a coltivare anche altri settori (il "mercato" di allora lo richiedeva)
come l'astrologia, così che ci fu una interazione linguistica tra tali settori.
La conseguenza più evidente fu che si usarono termini e simboli astrologici, astronomici e
mitici per indicare i metalli più comuni ed importanti. Nell'accostamento di questo a quello
giocarono ovviamente processi e associazioni mentali legati a filosofie esoteriche come
l'alchimia, l'astrologia, le tradizioni religiose antiche (l'oro, metallo prezioso e "perfetto", giallo,
lucente, inattaccabile dagli agenti esterni, è associato al Sole, giallo, luminoso, sempre uguale
a se stesso; il ferro, metallo adatto a forgiare le armi più robuste, è associato a Marte, dio
della guerra, ecc.).
L'oro veniva così rappresentato dal simbolo del Sole; l'argento dal simbolo della Luna, il rame
da quello di Venere, lo stagno da quello di Giove, il mercurio da quello di Mercurio (scontato!),
il ferro da quello di Marte e il piombo da quello di Saturno.
Come e per quanto tempo vennero usati questi simboli?
Se non è facile sapere a quando risale l'adozione dei vari simboli per indicare metalli, acidi,
processi, è invece facile trovare documentazioni sull'uso dei simboli anche in tempi non molto
lontani (fino a poco più di 2 secoli fa).
Fino ad allora infatti erano utilizzate, per esempio, le Tabulae affinitatum, nelle quali
comparivano questi simboli per indicare la scala di reattività (per usare un termine attuale) di
varie sostanze rispetto a quella che veniva indicata nella casella superiore della colonna.
In figura un bellissimo esemplare di Tabula conservato al Museo delle Scienze di Firenze
Nella figura successiva un'altra Tabula, di Geoffroy, del 1718, ma ancora in uso alla fine del
'700. Il titolo è Table des differentes rapports observés entre differentes substances
Altri esempi di Tabulae sono frequenti; esse erano così diffuse che vennero riprodotte anche
nella famosa "Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences des arts et des métiers" di
Diderot e D'Alembert. Nell'edizione di Lucca 1758-1776, compare questa Tabula
Come è possibile interpretare una Tabula?
Per una lettura di una tabula, per esempio quella di Geoffroy, la seconda riportata, potremmo
nominare le colonne secondo le lettere dell'alfabeto, le righe con i numeri interi cominciando da
uno, secondo lo schema:
a b
c
d e
f
g h
i
l m n o p q
r s
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Così, utilizzando le regole degli scacchi o della "battaglia navale", e tenendo presente che la
riga 1 corrisponde alla sostanza in oggetto, possiamo individuare un riquadro qualsiasi, per
osservare per esempio che:
- per l'"acido del sale marino" (HCl), colonna b, la massima affinità è presentata da Sn (b2),
minore da Cu (b4), poi Ag (b5), Hg (b6) e, molto lontano, Au (b9).
- per il "sale alcalino fisso" (carbonato di Na), colonna f, la massima affinità è dell'acido
solforico (vitriolico) (f2), poi del nitrico (f3), del cloridrico (f4), dell'acetico (f5, spirito di aceto
di vino).
- per il mercurio, Hg, colonna l, teniamo presente che il mercurio fa amalgama soprattutto con
i metalli nobili: primo Au (l2), Ag (l3), Pb (l4), Cu (l5), Zn (l6), Sb (l7).
- per l'argento, Ag, colonna o, primo Pb (o2), poi Cu (o3), con i quali fa leghe; per il resto non
ha affinità con altro o quasi: infatti è un metallo nobile, inattaccabile normalmente anche dagli
acidi.
Addirittura non esiste nemmeno una colonna per Au, essendo praticamente inutile. Si può
tentare facilmente di dare una interpretazione ad altre parti della tabula, alla luce delle
conoscenze attuali, per osservare altre corrispondenze a reazioni note.
I simboli astrologici usati per i metalli sono evidenti, per esempio, per l'oro (Sole) in b9, per
l'argento (Luna) in b5, per il ferro (Marte) in c2, per il rame (Venere) in b4, per il piombo
(Saturno) in c4, per lo stagno (Giove) in b2, per il mercurio (Mercurio) in c5.
E' interessante anche notare l'abbondanza di simboli dedicati a sostanze diverse o categorie di
sostanze (per esempio la prima casella in alto a sinistra della seconda illustrata corrisponde a
"Esprits acides", spiriti acidi in generale, mentre il quarto simbolo da sinistra corrisponde ad
"acide vitriolique", "acido vitriolico", l'attuale acido solforico; il quinto (un triangolo col vertice
in basso e una barra trasversale) a "Terre absorbante", probabilmente un'argilla. Se parte di
questi simboli erano accettati dagli esperti di allora, altri cambiavano se cambiava l'ambiente
in cui venivano usati: certamente occorreva una notevole dose di fantasia per cercare di
identificare sostanze diverse e comunque non era facile, per un profano, capire di che si
trattava.
Erano tempi in cui la chimica non era ancora pervenuta all'accettazione che le sostanze fossero
costituite da un numero limitato di atomi (la chimica analitica non era ancora decollata, almeno
in questo settore... e non era suffragata da modelli teorici).
E poi che successe?
Poi arrivò lo scienziato inglese John Dalton (1766-1844), fondatore dell'atomistica chimica
moderna, che riuscì a razionalizzare teorie filosofiche ed esperienze di altri precedenti
scienziati.
Tra gli altri suoi meriti scientifici, si può annoverare, rispetto al linguaggio della chimica,
l'introduzione di nuovi simboli per identificare gli elementi (a dire il vero usò simboli anche per
alcuni composti, poiché non esistevano ancora metodi di analisi per individuarli come tali).
Gli "Elementi" di Dalton
Nella figura seguente una tabella che rappresenta i simboli adottati da Dalton per gli
"Elements"
La notazione è mista: per ogni elemento la base è un cerchio, ma prevede anche lettere o
simboli grafici aggiuntivi.
Nella prima riga, da sinistra, i primi simboli (da 1 a 6) sono O, H, N, C, S e P; il primo della
seconda riga (10) è Hg.
Alcuni simboli corrispondono a composti, a quei tempi non ancora identificati come tali: KOH e
NaOH (26 e 27), ultimi due della terza riga; barite (30) e MgO (36).
I "Composti" di Dalton
Egli adottò anche un modello simbolico per mostrare che gli atomi potevano unirsi in rapporti
diversi, pur immaginando "molecole" assolutamente improbabili e, alla luce delle attuali
conoscenze, impossibili.
Nella figura successiva, una serie di composti poliatomici ipotizzati da Dalton, suddivisi nei
gruppi: Ossigeno con Idrogeno (37-40); Ossigeno con Azoto (41-45); Ossigeno con Carbonio e
Zolfo (46-50); Ossigeno con Fosforo (51-52); Idrogeno con Azoto e Carbonio (53-55);
Idrogeno con Zolfo e Fosforo (56-58); Zolfo con Fosforo (59-60)
Molte combinazioni sono assolutamente fantastiche, per esempio OH, O2H, O3H, O4H o ancora
HN e HC, HS e HS2, PS e PS2 ma il principio di rappresentazione è assolutamente innovativo.
Ma ora non si usano più questi simboli!
E' vero che ormai usiamo codici simbolici molto diversi, ma Dalton fu il primo a pensare di
rappresentare gli "atomi" con simboli non fantastici e con l'intenzione di rendere la
comunicazione tra scienziati chiara e univoca.
Col passare degli anni entrò in gioco la simbologia attuale che utilizza lettere anziché simboli
grafici; il primo a codificare questo metodo fu Berzelius nel 1813 (in figura).
Le lettere o le coppie di lettere si riferiscono direttamente al nome dell'elemento o al suo nome
latino o greco, per esempio:
Na, sodio, dal nome latino Natrium;
K, potassio da Kalium;
Sb, antimonio, da Stibium;
Au, oro, da Aurum;
Cu, rame, da Cuprum,
Hg, mercurio, da Hydrargirium...
Ma che vantaggi presenta il simbolo in lettere?
Soprattutto quello di poter essere detto e scritto (e perciò condiviso) da chiunque; il simbolo
grafico poteva andare bene solo se si comunicava per iscritto; pensate alla difficoltà che si
sarebbe presentata a uno scienziato che avesse dovuto parlare ad altri, per descrivere, per
esempio, il simbolo dell'azoto (un cerchio con diametro verticale?), dello zolfo (un cerchio con
una croce all'interno?), al fosforo (un cerchio con 3 raggi a 120°?)...
Ed ora, soprattutto, il linguaggio formalizzato della chimica è semplice ma di grande
pregnanza:
quando (almeno se si parla tra persone che hanno una sufficiente formazione nella disciplina
chimica) uno di noi dice "H", un'enorme quantità di informazioni si collegano a questo simbolo:
un gas, primo elemento della tavola periodica, componente essenziale di ogni sistema
biologico, molto reattivo, il maggiore componente dell'universo, si presenta in molecole
biatomiche, si può sviluppare in molti processi elettrochimici, è il gas con densità minore in
condizioni normali, con l'ossigeno può dar luogo alla pericolosa "miscela tonante", sarà forse il
combustibile del futuro, presenta un secondo isotopo (il deuterio) fondamentale nella fusione
nucleare...
oppure, se si dice "Fe": metallo di colore grigio scuro, con punto di fusione abbastanza alto,
buon conduttore di elettricità, in presenza di acqua e aria si ossida facilmente, si trova in molti
minerali ed è uno dei componenti principali della Terra, è parte essenziale di trasportatori di
ossigeno nei sistemi biologici, forma leghe con C e con metalli diversi producendo materiali con
caratteristiche meccaniche eccezionali, i sui processi di produzione e purificazione fanno parte
della storia della chimica industriale...
E' chiaro che il numero di legami concettuali che caratterizzano ogni simbolo è legato al
patrimonio conoscitivo di ognuno: per un bambino "Fe" rappresenta solo due lettere in
sequenza; per un profano il simbolo del ferro che si scrive sul 3 verticale delle parole crociate;
per uno studente di chimica deve rappresentare ben di più!
Ne consegue perciò che occorre una attenzione continua, quando si comunica (e si insegna) al
significato che può assumere ciò che si dice, dato che soltanto se sono pre-acquisiti i necessari
concetti esisterà la possibilità (anche se non sempre la certezza!) di creare legami tra di loro
per conseguire un apprendimento profondo e duraturo.
Il linguaggio chimico è perciò ormai definitivamente codificato?
Certamente no! La necessità di comunicare tra scienziati di scuole, lingue e nazionalità diverse
implica un continuo affinamento del processo di codifica.
La prima tappa significativa di questo processo può essere considerato il primo Congresso
Internazionale di Chimica di Karlsruhe nel 1860 (proprio quello in cui Cannizzaro riuscì a
convincere scienziati di tutto il mondo della validità dell'ipotesi di Avogadro); in quell'occasione
si concordò ufficialmente sui simboli da usare, oltre a definire alcuni termini di uso comune
(come "equivalente") o procedure (per esempio per determinare i pesi atomici).
Questo compito di uniformare il linguaggio fu poi assunto da organismi diversi: per esempio lo
IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), organismo dell'American Chemical
Society, per la nomenclatura della chimica: la loro attività continua tuttora, per dimostrare che
il lavoro di normalizzazione non è certo finito.
Ma è proprio necessario?
Pare proprio di sì, se si pensa che ancora per molti decenni del XX secolo alcune scuole
scientifiche adottavano codici completamente diversi da quelli comunemente usati in altri
paesi. Qualche esempio "estremo".
In Cina la simbologia chimica era basata su ideogrammi molto ricchi di significato ma molto
complessi dal punto di vista grafico; in ogni caso i significati impliciti nei segni grafici erano
comprensibili solo da chi conoscesse a fondo le varie componenti dell'ideogramma. Solo in
tempi recenti, quando la Cina è uscita dal suo isolamento culturale e scientifico, si è cominciato
ad adottare la simbologia con lettere latine: una rivoluzione non da poco per chi ha avuto
grosse difficoltà anche ad accettare l'innovazione della macchina da scrivere, incompatibile,
effettivamente, per una lingua grammaticalmente e graficamente così complessa!
Il prof.Iannaccone, di Lingue Orientali di Napoli, si è interessato a lungo della simbologia usata
in Cina e ne è diventato certamente uno dei più grandi esperti; fu invitato ad un Convegno di
Storia della Chimica a Venezia (vedi biliografia) e in esso illustrò i principi base della
simbologia chimica cinese; per esempio, per indicare Na, l'ideogramma comprendeva segni di
"terra" (solido), di alcalino, di "facilmente fondibile", ecc.
In diversi manuali francesi dei primi decenni del secolo scorso (siamo ormai nel XXI)
riportavano ancora le formule chimiche scritte in modo molto diverso da quelle a cui siamo (ad
anche loro ormai) abituati; pensiamo a un sale come il carbonato di sodio: noi scriviamo prima
i cationi, poi gli anioni: Na con 2 al piede (pedice) e poi C e poi O con 3 al piede:
Na2CO3
loro, invece, mettevano prima l'anione e poi il catione: CO, ma indicando il 3 come un
esponente (apice); poi facevano seguire Na sempre col 2 in apice:
CO3Na2
I tentativi di normalizzazione sono dovuti, in alcuni casi, anche a pesanti controversie sui
nomi: gli elementi transuranici artificiali di sintesi più recente venivano battezzati col nome di
grandi scienziati del passato. Chi proponeva il nome era generalmente la nazione in cui la
sintesi era avvenuta; ma è successo più volte che tale sintesi sia avvenuta in due luoghi diversi
ma in tempi vicini: di chi la priorità? Ci sono state così grandi discussioni sul nome. Per evitare
che negli USA il nome di un nuovo elemento fosse X mentre nei paesi sovietici fosse Y, si è
pensato ad un nuovo metodo, sicuramente meno fantasioso e suggestivo ma più asettico:
quello di costruire il nome in base al numero atomico: "un" per 1, "du" per 2, "ter" per 3,
"quad" per 4, "pent" per 5, "hex" per 6, "sept" per 7, "oct" per 8, "enn" per 9, "nil" per 0 (da
nihil), seguiti da un suffisso comune "ium".
Così gli elementi non ancora "battezzati" concordemente si chiamano, in funzione del numero
atomico:
N
simbolo e nome
simbolo IUPAC
104
Rf Rutherfordio
unq
un-nil-quadium
105
Db Dubnio
unp
un-nil-pent-ium
106
Sg Seaborgio
unh
un-nil-hex-ium
uns
un-nil-sept-ium
107
?
nome IUPAC
108
Hs Hassio
uno
un-nil-oct-ium
109
Mt Meitnerio
une
un-nil-enn-ium
110
?
uun
un-un-nil-ium
111
?
uuu
un-un-un-ium
112
?
uud
un-un-du-ium
113
-
uut
un-un-tri-ium
114
?
uuq
un-un-quadium
115
-
uup
un-un-pent-ium
116
?
uuh
un-un-hex-ium
117
-
uus
un-un-sept-ium
118
?
uuo
un-un-oct-ium
Gli elementi in cui compare ?, non sono ancora stati ottenuti; ma hanno già un nome!
Come vedete, problemi nuovi di nomenclatura se ne presentano continuamente.
Esistono altri aspetti problematici del linguaggio?
I punti che abbiamo visto sono, in effetti, solo alcuni. Per chi ha il compito di insegnare (e di
capire se quanto fa produce un effettivo apprendimento!) entrano in gioco molti altri fattori di
carattere psicopedagogico; per chi esercita la professione giornalistica, fattori comunicativi (e,
non trascuriamolo, di conoscenza effettiva di ciò di cui parla).
Inoltre abbiamo accennato delle origini del linguaggio chimico: il discorso si potrebbe
sviluppare in tempi più recenti, per esempio sulla razionalità della nomenclatura organica,
forse la prima ad avere, proprio per la difficoltà intrinseca di rappresentare molecole
estremamente complesse, cercato soluzioni linguistiche adatte alla comunicazione.
Spero di avere comunque fatto emergere gli alti livelli di formalizzazione e di significatività del
linguaggio proprio della chimica, livelli che, credo, nessuna altra disciplina possa vantare.
Comunicazione didattica: dall’insegnamento all’apprendimento
La parte seguente del modulo, che riguarda alcuni aspetti della comunicazione e del
linguaggio, è un contributo di Maria Antonietta Carrozza ed è ispirato a diversi articoli di Aldo
Borsese ed a colloqui con lui e con Gianni Michelon
Una efficace comunicazione didattica è alla base del passaggio dall’ottica dell’insegnamento
(centrata sul docente) a quella dell’apprendimento (centrata sullo studente): una sua
discontinuità interrompe il processo.
La comunicazione può però interrompersi sia quando si instaura una comunicazione “dialogica
apparente” (il linguaggio usato è adeguato alle competenze linguistiche dello studente ma i
contenuti non sono adeguati ai requisiti in suo possesso) sia quando si instaura una
comunicazione “fonologica” (nel senso che il contenuto è adeguato ai requisiti in possesso dello
studente ma il linguaggio non lo è).
La comunicazione è in effetti un processo di interazione e non un semplice fenomeno
unidirezionale: il significato del messaggio è infatti stabilito dal ricevente non dall’emittente.
E’ evidente perciò che la comunicazione coinvolge sia il linguaggio sia i contenuti; poiché la
qualità dell’acquisizione di concetti da parte dello studente dipende da entrambi, occorre che
l’insegnante (o chi comunica, in generale) faccia attenzione ad entrambi gli aspetti.
La qualità dell’acquisizione dipende dalle conoscenze in possesso del ricevente, dal punto di
vista sia contenutistico sia linguistico. Per queste ragioni il significato di una espressione
linguistica è una proprietà relativa, non assoluta.
Uno degli obiettivi dell’insegnamento è perciò quello di favorire atteggiamenti di
“comprensione” negli studenti.
Comprensione
Comprendere un fatto o un concetto significa possedere alcune capacità pratiche ad esso
connesse, saperlo spiegare, saper effettuare affermazioni correlate, saper discutere sul tema,
saper effettuare parafrasi, saper inserire il nuovo concetto nella rete esistente, saper creare
nessi tra vecchi e nuovi concetti.
L’assenza di nessi logici porta ad una conoscenza effimera e puramente mnemonica: il
concetto, in tal caso, resta solo nella memoria a breve termine.
Il significato di un termine non coincide con la sua definizione ma è dato dall’insieme di tutti i
suoi collegamenti o connessioni con concetti già noti.
Per farsi capire, occorre verificare con sistematicità il proprio modo di comunicare evitando di
condurre gli allievi ad un apprendimento di termini senza recepirne i contenuti, occorre
ricordare che i termini scientifici corrispondono a “concetti”: per questo essi devono trovare
nessi con concetti già posseduti per non restare privi di significato. Si rischia cioè di far
pensare che il significato coincida con la definizione con cui i termini si esprimono.
Alcuni esempi
NaCl, anonimo “sale da cucina” per il profano, acquista significati di solido ionico, fragile, con
capacità di condurre la corrente elettrica se fuso, con specifico rapporto tra ioni costituenti
ecc.: il significato delle parole si consolida man mano che si creano nessi tra queste e le
conoscenze che possediamo
Quando un chimico scrive CO2, PCl5, KNO3, CH3COONa, sa che le prime due sono entità
realmente esistenti, mentre le altre due non hanno alcun significato fisico: esse si chiamano
“unità di formula” e indicano semplicemente il rapporto stechiometrico tra gli ioni in quei
composti.
Le parole “energia di ionizzazione” a quali concetti sono connesse? Alla sua definizione, ma
anche a :tabella periodica, proprietà periodiche, nomenclatura, sali, ioni, legami, legame
ionico, configurazione elettronica, ecc.
Quando introdurre i termini del lessico scientifico?
Quando possono essere definiti attraverso altri termini posseduti concettualmente dagli
studenti: si deve introdurli tenendo conto anche che la transizione da termine-oggetto a
termine-concetto è un processo graduale.
La sensibilità verso il codice linguistico della propria disciplina è legata al fatto che i simboli,
per un chimico, sono portatori di una grande messe di informazioni sulle proprietà delle
sostanze e sulla loro struttura.
Dal punto di vista della comunicazione didattica il linguaggio chimico ha carattere
“designativo”: deve caratterizzare le sostanze per individuare, prevedere, progettare,
controllare il decorso dei fenomeni che le coinvolgono; si tratta cioè di introdurre un
sottocodice, cioè un insieme di parole nuove, oppure già esistenti, ma con un nuovo
significato.
Nomenclatura e “significanti”
La nomenclatura è il sottocodice della chimica: Lavoisier introdusse un sistema univoco di
prefissi e suffissi che ha reso tutti i termini motivati e significativi, costruendo un grande
numero di termini univoci utilizzando pochi “significanti di base”. Questi possono essere:
-sistematici, cioè espressi attraverso una forma che consenta di ricostruire la struttura chimica
del significato (2-2 Dimetilbutano);
-banali, che non informano sulla struttura chimica del significato (idrocarburo);
-semisistematici, che informano parzialmente sulla struttura chimica del significato (alcano)
Accanto al sistema di comunicazione diretto vi è il sistema “sostitutivo” che segue fedelmente
quello della nomenclatura ed è il sistema della simbologia chimica.
Per trasferire il lessico chimico in modo che gli studenti possano comprenderne la rilevanza
culturale è necessario che l’insegnante che descrive le sostanze non si limiti solo a designarle
con il nome, ma ne individui anche le proprietà che consentono di associare al nome un
significato; in questo modo si passa dalla caratterizzazione formale al concetto.
La designazione linguistica
Questa operazione avviene a vari livelli, sempre più approfonditi:
designante di gruppo ampio (idrocarburo)
designante di gruppo più ristretto (alcano)
designanti di oggetti (2-2 Dimetilbutano)
Oppure: i termini e simboli Ferro – Fe sono i designanti di oggetto. Come termini riferibili al
ferro, solido e metallo sono designanti di gruppo, cui corrispondono determinati pacchetti di
proprietà. Quando vengono utilizzati permettono di associare a quella sostanza il pacchetto di
proprietà rappresentato: il pacchetto di proprietà associato al termine metallo possono essere
lucentezza, duttilità, conduzione elettrica, colore, capacità di formare con O2 ossidi basici…
Affermare che il ferro è un metallo significa associare al ferro l’insieme delle proprietà che il
termine metallo reca con sé.
I designanti di gruppo in chimica sono moltissimi, consentono la comunicazione e permettono
di costruire “reti concettuali funzionali” e facilitano l’analisi e la distinzione rispetto ad altri
oggetti.
Ma per designare il ferro non basta associargli il designante di gruppo “metallo”, poiché esso è
associabile anche ad altri oggetti simili. Per caratterizzare il ferro è necessario trovare altri
pacchetti di proprietà applicabili ad esso soltanto e non ad altri metalli. Il designante
“ferromagnetico” permette di farlo: designanti che caratterizzano il ferro sono perciò “metallo
ferromagnetico”.
Fattori non linguistici della comunicazione
Sono essenzialmente la motivazione e i requisiti posseduti.
Per creare motivazione occorre:
-individuare tattiche e strategie per suscitare l’interesse, il bisogno di cercare spiegazioni,
-mettere al corrente delle conoscenze che si intendono far acquisire,
-mostrare la funzionalità di ciò che si intende proporre e la spendibilità delle competenze da
acquisire,
-stabilire un contratto che evidenzi le reciproche responsabilità e verificarlo sistematicamente.
Quanto ai requisiti è necessario individuarli e analizzarne il livello concettuale di possesso: ciò
significa avere chiaro il grado di comprensione dei contenuti proposti che si vuole che lo
studente abbia raggiunto.
Per esempio: non è sufficiente dire che lo studente deve “saper calcolare il pH” Calcolare il pH
può assumere infatti molti significati di livelli diversi; per esempio calcolare il pH di un acido
monoprotico forte, o di un acido poliprotico, o di una miscela di un acido e di una base, o della
soluzione di un sale, o di una miscela di due acidi di forza diversa…
Il calcolo del pH di un acido monoprotico forte richiede meno requisiti del calcolo del pH di una
soluzione contenente due acidi di forza diversa o di una soluzione tampone…
Occorre cioè sistematicamente individuare la rete concettuale potenziale raggiungibile da uno
studente con gli strumenti che gli vengono forniti.
Per poter stabilire il livello di comprensione acquisibile di un concetto occorre così individuare i
requisiti per raggiungere tale concetto
Ipotesi di compito per gli specializzandi
Scegliere due composti e due elementi chimici a piacimento e disegnare un percorso
metodologico didattico finalizzato all’apprendimento del linguaggio chimico (competenze da
sviluppare; COSA si intende fare e COME) ricordando che:
i termini scientifici specifici sono concetti di cui l’allievo deve costruire il significato,
i termini concetto devono trovare nessi con concetti già in possesso altrimenti restano privi di
significato,
il significato di un termine non coincide con la definizione ma è dato dall’insieme di tutti i suoi
collegamenti con concetti già noti.
Perciò descrivere le sostanze comporta:
1. designarle con il nome
2. individuarne le proprietà che consentono di associare al nome il significato
Solo in questo modo si passa dalla caratterizzazione formale al “concetto”.
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Fti_Chimica_Il linguaggio della chimica